Logistica Oggi - Inserto del n.230

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ANNO 1- NUMERO 7 -

novembre 2021

L’EVOLUZIONE DELLA SUPPLY CHAIN In una intervista esclusiva Massimo Merlino ci parla di reshoring

L’INCHIESTA

Il malaffare nella logistica rischia di sporcare un comparto strategico per la nostra economia. L’allarme di associazioni e sindacati


La tua flotta in un click!


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L’editoriale di

GIORGIO COORDINATORE LOGISTICA OGGI

L

a storia del mondo è sempre stata collegata con la logistica e i trasporti. I percorsi delle merci, l’organizzazione degli approvvigionamenti, la necessità di importare materie prime e prodotti più o meno finiti, la ricerca di nuovi mercati per le proprie esportazioni sono state le motivazioni che hanno portato l’umanità a estendere i propri orizzonti, a scoprire nuovi mondi, a sviluppare le tecnologie, a dare vita a un sistema finanziario globale e, infine, a creare contaminazioni culturali e sociali che hanno arricchito il patrimonio genetico dell’umanità. Nei mesi che stiamo vivendo, queste considerazioni appaiono ancora più veritiere, perché sono confermate dalla cronaca

VIZIOLI quotidiana, in attesa di trasformarsi, rapidamente, in Storia. Storia non solo economica, ma anche Storia di civiltà, di mutamenti sociali, culturali, politici. Nelle dinamiche alle quali stiamo assistendo non è possibile trascurare l’influsso dalla pandemia, che in taluni casi si è inserita su processi di cambiamento già avviati, accelerandoli e corroborandoli, mentre in altre situazioni ha ingenerato veri e propri cambiamenti di direzione. Nei processi legati alle filiere di approvvigionamento si stanno infatti modificando radicalmente quelli che fino a poco tempo fa erano considerati veri e propri punti fissi delle supply chain internazionali. La concorrenza di numerosi fattori diversi – l’emergenza sanitaria, l’emergenza ambientale,

i nuovi scenari geopolitici, con il nuovo ruolo della Cina, che si va affermando come potenza di riferimento, le difficoltà degli Stati Uniti, l’affermarsi di potenze locali emergenti, come Turchia, Iran e Russia (eredi di grandi imperi del passato), le difficoltà di amalgama dell’Unione Europea – sta ridisegnando gli schemi ai quali abbiamo fatto riferimento fino a ora. È illuminante quindi, in questo contesto, l’intervista al professore Massimo Merlino, tra i massimi esperti di Logistica e Geopolitica, e, che pubblichiamo in apertura, nella quale si delineano con grande capacità di visione e di sintesi le linee generali degli scenari presenti e futuri. Massimo Merlino, tra l’altro, è autore dell’interessante e-book “Geopolitical Notes 2017-2021”, in uscita ai primi di novembre. Buona lettura.

SOMMARIO 2

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COME CAMBIA LA SUPPLY CHAIN

L’INCHIESTA

SOSTENIBILITÀ: DA VINCOLO A CARTA VINCENTE

I MILLE VOLTI DELLA SOSTENIBILITÀ

di

G iorgio Vizioli

Intervista a Massimo Merlino

di

Ferruccio Venturoli

C’è una logistica buona e una cattiva? Lo scopriamo attraverso le testimonianze di opinion leader del comparto

di

Francesco Galimberti

Una ricerca SAP-Oxford Economics individua alcuni criteri per l’organizzazione logistica delle imprese efficiente

di

Daniele Testi

Investire nelle persone e in modalità di trasporto alternative possono essere buone pratiche verso la Logistica Sostenibile


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COME CAMBIA LA SUPPLY CHAIN

di GIORGIO VIZIOLI

tenere conto, quasi l’unica, anche perché la tecnologia era meno avanzata rispetto a oggi e il ruolo della manodopera era ancora predominante. Tutti gli altri costi passavano in seconda linea, a partire da quello dei trasporti”.

AL CENTRO I COSTI DI TRASPORTO

[L’INTERVISTA]

“R

eshoring e Supply Chain corta sono concetti oggi sempre più spesso evocati nel mondo della logistica. Sono proposti come parole d’ordine, per esprimere l’inversione di una tendenza che per molti lustri ha caratterizzato le filiere internazionali. Invece, molte volte mi sembra che queste idee siano evocate senza la necessaria consapevolezza della complessità di quanto sta accadendo, delle difficoltà da superare e del tempo occorrente”. Così il professore Massimo Merlino, direttore per oltre trent’anni del mensile Logistica Management e Premio CSCMP Italy “Hall of Fame 2018” e uno dei massimi esperti di organizzazione logistica internazionale inquadra l’argomento che

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abbiamo voluto affrontare questo mese. “Per capire quello che sta accadendo adesso – spiega – dobbiamo fare non uno ma due o più passi indietro: risalendo agli anni in cui nacque quel fenomeno mondiale che fu definito globalizzazione. In Italia, se ne parlò per la prima volta in un convegno organizzato dallo Studio Ambrosetti sul tema della delocalizzazione delle imprese, ossia sulla tendenza, allora agli albori, di trasferire gli impianti di produzione in paesi in cui il costo del lavoro era inferiore, e specificamente in America Latina (soprattutto per quanto riguarda il settore automotive) e in Asia (prevalentemente tessile ma anche tecnologia). Il costo del lavoro era considerato la variabile principale di cui

Il costo dei trasporti era calcolato in modo semplicistico, ossia senza tenere conto di una serie di importi collaterali, indotti. In primo luogo, si trascurava di considerare il costo del trasporto dei componenti: delocalizzando la produzione in paesi lontani, le imprese imponevano a tutti i loro subfornitori di farsi carico del trasporto dei componenti al nuovo domicilio. In molti casi, queste aziende riuscirono a soddisfare la domanda, ma in altri o fallirono o comunque rinunciarono a quelle onerose commesse. Inoltre, il trasporto aveva un costo in termini di utilizzo e usura delle infrastrutture e di consumo delle fonti di energia; infine (ma allora la sensibilità era enormemente inferiore a quella attuale) vi erano costi anche in termini ambientali. Sulla base di questo Merlino ricorda che “Fu il britannico Neil Kinnock, membro della Commissione Europea alla fine degli anni Novanta con delega ai Trasporti,


INCONTRO CON MASSIMO

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MERLINO PER PARLARE DI RESHORING E RIPROGETTAZIONE DELLE FILIERE LOGISTICHE

il primo a sottolineare questa macroscopica incongruenza e fare squillare il primo campanello d’allarme in tal senso: se si fosse tenuto conto delle diseconomie esterne, il costo del trasporti avrebbe dovuto essere fino a quattro-cinque volte superiore a quello contabilizzato”. “Non era solo questo – aggiunge il nostro interlocutore – l’unico elemento che rendeva fragili i pilastri sui quali si sorreggeva l’edificio mondiale della globalizzazione. In primo luogo, infatti, va considerata l’inferiore preparazione professionale della manodopera nei paesi dove erano stati realizzati i nuovi impianti. Inoltre, quanto più la supply chain era lunga, tanto maggiore era la possibilità di portarsi a casa i problemi di tutto il mondo: dagli eventi climatici e tellurici ai mutamenti delle situazioni politiche. Alluvioni, inondazioni, terremoti, rivoluzioni, colpi di stato, crisi economiche, mutamenti del quadro politico possono verificarsi ovunque dall’oggi al domani, creando difficoltà a volte insormontabili alle filiere. Infine, un altro problema sottovalutato era la capacità dei paesi ospiti di copiare il knowhow, o addirittura i brevetti, delle aziende americane ed europee, proponendo in tempi relativamente rapidi perfette copie dei prodotti originali”. Ma perché, è stata privilegiata la delocalizzazione proprio in Oriente, e in particolare in Cina? “Perché l’Estremo Oriente ha fatto registrare una evoluzione tecnologica estremamente avanzata, che ha favorito la delocalizzazione di tutti i settori d’avanguardia, quali l’elettronica e la telefonia, sviluppando anche un indotto qualificato per ciò che riguarda la componentistica di alto livello. Tutti i settori più innovativi sono andati in Cina. Quindi, fino agli inizi di questo secolo, la tendenza delle supply chain è stata quella di allungarsi verso est. Tra gli Massimo Merlino.

effetti negativi della delocalizzazione continua Merlino - ne indentifichiamo due che, in particolare, hanno finito per avere conseguenze potenzialmente devastanti: in primo luogo, l’aumento della disoccupazione, a causa della chiusura degli impianti nei paesi d’origine e, in secondo luogo, la perdita dell’esperienza e delle competenze professionali nei vari settori. In Italia, grazie al nostro sistema di ammortizzatori sociali, i contraccolpi di questa disoccupazione sono stati relativamente assorbiti, ma negli Stati Uniti, dove il mercato del lavoro è molto più aspro, si è creato un forte rancore sociale che ha portato a mettere gradualmente in dubbio la sostenibilità della globalizzazione. Le scelte protezionistiche dell’Amministrazione Trump sono state solo l’ultimo e più visibile atto di un processo che si è sviluppato gradualmente, dapprima manifestandosi in modo episodico e progressivamente affermandosi su ampia scala, dando vita, per l’appunto, ai concetti di reshoring e supply chain corta”. Si cambia davvero? “Non si tratta di una passeggiata, – spiega ancora Merlino – tanto è vero che, in Italia, solo il 15% delle aziende ha portato effettivamente le operazioni di reshoring, che non sono affatto

semplici per diversi motivi. Innanzitutto, perché si ripropone, all’inverso, il problema dei subfornitori che si era presentato al momento della delocalizzazione: i fornitori ora sono in Estremo Oriente ed è difficile sostituirli. In secondo luogo, come si è detto, in Italia si è perduta nel tempo l’esperienza professionale dei lavoratori, ai quali non è stato nemmeno fornito l’aggiornamento tecnologico per lavorare in fabbriche profondamente trasformate rispetto al passato, dove occorre poco personale e altamente qualificato”. “Infine – conclude il professore – va detto che la Cina, che aspira alla leadership globale dei traffici, prevedendo che il fenomeno della delocalizzazione potesse subire una marcia indietro, ha lanciato il progetto OBOR (One Belt One Road), da noi ribattezzato ‘via della seta’, che prevede la gestione in proprio delle vie di comunicazione, in particolare dei porti. Nuove rotte si stanno aprendo, comprese quelle artiche, rese accessibili dal riscaldamento della terra e dall’allentamento della morsa dei ghiacci: la rotta polare, attraverso i porti siberiani (che stanno conoscendo un notevole sviluppo), costituisce sempre di più una valida alternativa in termini di tempi, distanza e costi alle rotte che passano per Singapore e Suez. Inoltre, si stanno completando linee ferroviarie ad alta velocità, che passano attraverso l’Asia centrale. I tempi sono già molto competitivi: oggi il trasporto in treno è di 15 giorni, contro i 40 del trasporto navale, ma quando le nuove linee saranno interamente in servizio (e, conoscendo, i cinesi non ci vorrà molto), il tempo necessario scenderà a dieci giorni”. www.trasportale.it  TRASPORTARE OGGI

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4 LA LOGISTICA STA VIVENDO UN MOMENTO D’ORO, UNA GRANDE

DIETRO I GRANDI CONCETTI di FERRUCCIO VENTUROLI

[L’INCHIESTA]

“P

rende il via l’intesa tra Federdistribuzione, Freight Leaders Council e TTS Italia che ha l’obiettivo di supportare il comparto della logistica nel cambio di passo verso un modello più digitale, semplificato, integrato e in ottica di economia circolare, in linea con i principi di transizione energetica fissati dall’Unione Europea e dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Si metteranno a fattor comune competenze, progettualità e best practice per elaborare soluzioni

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CRESCITA E UNO SVILUPPO TECNOLOGICO SENZA PRECEDENTI. AL DI LÀ DELLE BELLE PAROLE E DELLE BELLE INTENZIONI, PERÒ, C’È UN MONDO ANCORA FATTO DI SFRUTTAMENTO, DI ILLEGALITÀ, DI CONCORRENZA SLEALE E QUALCHE VOLTA DI VIOLENZA

capaci di accompagnare il settore della logistica verso un futuro sempre più digitalizzato e sostenibile, in grado di ridurre costi ed emissioni… etc etc“.. Così si legge nell’ultimo comunicato emesso dal Freight Leaders Council, validissima associazione tra aziende attive in ogni fase della supply chain per contribuire allo sviluppo e alla competitività di una logistica sempre più̀ sostenibile e al passo con i tempi. Tutto giusto, tutto condivisibile e, diciamolo, anche piuttosto affascinante. Sì, affascinante perché

la logistica, che ormai si tende a considerare come il “settore dei settori”, è un argomento estremamente interessante, è il futuro, è una parola dietro alla quale si celano i segreti della distribuzione, piccola e grande, delle grandi piattaforme


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Scontri tra Si Cobas e Forze dell’Ordine a Piacenza (foto: ilpiacenza.it)

di e-commerce, del famoso “ultimo miglio”, degli hub, insomma di qualsiasi cosa oggi riguardi la movimentazione di beni. E poi si tratta comunque di un settore che attualmente conta quasi 100mila imprese che occupano 1,5 milioni di addetti e generano 85 miliardi di euro di fatturato, pari al 9% del PIL nazionale. Attenzione però: dietro le belle parole e i bei concetti cosa c’è? Come funzionano le grandi piattaforme logistiche delle multinazionali?

SFRUTTAMENTO E MALAFFARE Non è davvero tutto oro quello che brilla. Una serie di fatti gravi, quando non drammatici con feriti, scontri, tafferugli, avvenuti negli ultimi mesi davanti a piattaforme logistiche importanti, stanno a

dimostrare in maniera eclatante quello che, in realtà, si sapeva già da tempo e cioè che dietro le quinte il mondo della logistica, un settore dove la differenza del prezzo non è fatta che dalla forza lavoro, la competizione, o la concorrenza, si basano solo, troppo spesso, su un’estrema flessibilità del lavoro, che si traduce in mano d’opera sottopagata e quasi sempre non in regola. Una buona parte di queste piattaforme, parliamo anche di grandi e notissime multinazionali della distribuzione, si basano spesso su un sistema di cooperative e consorzi di cooperative messe in competizione tra loro e sfruttati. Quindi lavoratori, in gran parte extracomunitari, molti arrivati in Italia da poco, pagati per lo più in nero, senza versamenti di contributi, senza regolari orari di lavoro. “Naturalmente – ci racconta Claudio Fraconti, presidente dell’Osservatorio dei Trasporti e della Logistica di Milano, Lodi, Monza e Pavia – queste strutture stanno in piedi perché non pagano nessun tipo di tassa, né l’Iva né i contributi; dopo due anni, tempo massimo per non subire controlli, chiudono e poi riaprono con un altro nome e con altri responsabili”.

LA MAGISTRATURA È AL LAVORO C’è voluto un fatto eclatante, come quello del commissariamento, nel 2019, della Ceva Logistics, un operatore logistico di primissimo piano coinvolto nel maxi fallimento della cooperativa Premium Net che le forniva il personale addetto alle attività di facchinaggio e movimentazione merce nei propri magazzini, dopo una lunga indagine della Guardia di Finanza, per scoperchiare la pentola. “In sostanza – riprende Fraconti – la Ceva è stata commissariata perché pagava troppo poco e male i lavoratori. Ma, una volta commissariata, è stato lo stesso commissario a rendersi conto che, avendo alzato le tariffe, la Ceva perdeva clienti che si spostavano su altri operatori che offrivano prezzi più bassi. Si è cioè capito, finalmente, che Ceva non era l’unica struttura a usare cooperative di comodo per tenere i prezzi bassi. Così è partita l’azione della magistratura che, devo dire, sta dando i suoi frutti”. Grazie al lavoro della magistratura si stanno scoprendo una serie di situazioni decisamente marce. Una delle operazioni più recenti e che più hanno fatto scalpore è stato, nel giugno scorso, quella nei confronti di DHL. Secondo l’inchiesta, ventitré false cooperative sono state usate per esternalizzare 1.573 lavoratori, non pagare i loro contributi, abbattere il carico fiscale ed evadere l’Iva. Contro questo sistema del subappalto, dello sfruttamento e

Alcune delle grandi piattaforme, parliamo anche di grandi e notissime multinazionali della distribuzione, si basano spesso su un sistema di cooperative e consorzi di cooperative messe in competizione tra loro e sfruttati.

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[L’INCHIESTA]

altrettanto importanti come Bologna, Piacenza e Milano, sono ostaggio di alcune sigle parasindacali che sono andate a occupare, in alcuni casi anche con la violenza, gli spazi un tempo presidiati dal sindacato tradizionale. Sigle sindacali che spesso sono cresciute sfruttando le condizioni di disagio di immigrati impiegati in queste attività. Stiamo parlando di sigle sindacali che più volte si sono rese protagoniste di improvvisi e a volte violenti blocchi ai cancelli delle piattaforme, utilizzando il blocco delle merci, uno dei pochi grimaldelli che hanno per farsi ascoltare, con scontri con il personale esterno, con gli autisti, per esempio, che già hanno ritmi di lavoro massacranti. Si tratta – conclude Fraconti – di episodi colpevolmente tollerati da chi non ha voluto comprendere che in questo contesto le imprese sane hanno dovuto combattere contro una concorrenza sleale che è diventata sempre più preponderante, facilitata da pratiche illegali”.

Amazon è una delle grandi multinazionali che, di recente, ha siglato un contratto nazionale e ha cominciato ad assumere.

della concorrenza sleale creato dalla DHL Supply Chain Italy spa, società della multinazionale DHL, la procura di Milano ha disposto il sequestro d’urgenza di 20 milioni di euro dopo un’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza, insieme all’Agenzia delle Entrate, nelle provincie di Milano, Monza-Brianza, Lodi e Pavia. In sostanza i rapporti di lavoro con la società committente venivano “schermati” da un consorzio che si avvaleva, a sua volta, di 23 società cooperative, che si avvicendavano nel tempo trasferendo la manodopera dall’una all’altra, omettendo il versamento dell’Iva e, nella maggior parte dei casi, degli oneri previdenziali.

LO STRAPOTERE DEI COBAS Dunque, siamo arrivati a capire il gioco delle cooperative di comodo a danno dei lavoratori. Ma quali sono i motivi che hanno dato vita a questa situazione? Ci risponde ancora Claudio Fraconti “Sicuramente un momento di debolezza del sindacato tradizionale, una crescita vertiginosa della domanda di logistica

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e, non ultimo, l’arrivo di molti immigrati, soprattutto marocchini e pachistani; questa concomitanza di eventi ha fatto sì che si creassero dei veri e propri clan e da lì i sindacati autonomi, i cosiddetti COBAS, che hanno sfruttato queste situazioni a loro favore, di fatto ricattando le aziende. Da troppi anni – continua Fraconti – alcune importanti piattaforme logistiche in piazze

UNA SITUAZIONE DAVVERO ESPLOSIVA Una situazione esplosiva che va avanti da anni, e che in un mondo tradizionalmente ad alta conflittualità sindacale, può essere affrontata e risolta solo ripristinando rapporti sindacali corretti. Già, ma perché dobbiamo considerare la filiera della logistica ad alta conflittualità sindacale? “Perché la logistica – ci risponde Emanuele


Barosselli, segretario della Filt CGIL Lombardia – è in uno sviluppo costante e velocissimo, con numeri enormi. C’è poi sempre il tentativo di aumentare i margini, perché il grosso è il costo lavoro, tutto si gioca sulle persone, e sulla flessibilità che si deve chiedere a queste persone”. Ce lo aveva detto anche Fraconti, tra i motivi dello sviluppo di questo malaffare generalizzato c’è stato un po’di debolezza del sindacato che ora, sempre a detta dello stesso Fraconti, sembra più attivo. Ma giriamo la domanda a Barosselli. È vero che il sindacato tradizionale è un po’ “mancato”? “Fino a una decina di anni fa – risponde – lavoravamo nei settori ‘classici’ del trasporto, ferrovie, tpl, aeroporti e rappresentavamo solo i dipendenti. Poi abbiamo capito che la logistica era una vera galassia, immense praterie da conquistare, di sacche di illegalità dove intervenire, cosi abbiamo scelto di ‘investire’ in quel mondo, crescendo molto anche in numero di iscritti; il 50% degli iscritti Filt, in Lombardia, sono ormai nella logistica”.

C’È SINDACATO E SINDACATO Qual è, in sostanza, la differenza tra cobas e sindacati tradizionali? Siamo d’accordo che la domanda non è carina, ma noi dobbiamo capire. Per esempio, i Cobas firmano i contratti nazionali di categoria? “C’è una grande differenza nel modo di agire tra sindacati classici, in particolare la CGIL e i Cobas – risponde subito il dirigente sindacale – noi abbiamo sulle spalle la responsabilità rispetto ai lavoratori che chiamiamo alla lotta, quindi cerchiamo di mantenete i migliori rapporti possibili con le Istituzioni, con le Forze dell’Ordine etc. Il Cobas tende a identificare tutti come nemici, non solo i ‘padroni’ ma anche le istituzioni. Questo porta a mandare di mezzo i lavoratori con iniziative forti, scontri, lavoratori che si sdraiano davanti ai camion, addirittura

scontri da diverse etnie di lavoratori della stessa azienda. Quindi il rischio di incidenti, se non si presta massima attenzione è davvero dietro l’angolo. In termini di iscritti i sindacati confederali hanno un numero di iscritti molto più alto di quello dei Cobas ma loro riescono ad avere più peso, facendo diventare cronaca anche mediatica una lotta sindacale. Il Cobas ha spesso una forte impronta politica: sono contro il sistema capitalistico, tra loro c’è spesso chi milita in collettivi, nei partiti extra parlamentari. Il Cobas ha colto un’opportunità: organizzare migliaia di lavoratori stranieri che vengono in Italia con delle aspettative e che non hanno nulla da perdere ma solo da guadagnare. I Cobas, poi, non

oggi sono concentrate soprattutto nella GDO, in particolare nel mondo del fresco. Poi abbiamo tutto il mondo della cooperazione spuria che non è fatta da cooperatori, ma da sedicenti imprenditori, che vedono la cooperativa solo come un modo per risparmiare, visto che le leggi di questo Paese concedono un certo marghimne alle strutture cooperative per avere più flessibilità sulle ore, sugli straordinari etc”. Il quadro, certo, non è edificante, ma da quello che sembra, almeno da quello che ci ha fatto capire Fraconti prima, e Barosselli poi, la situazione si sta lentamente e faticosamente stabilizzando. È così? “Nelle multinazionali dove finalmente si opera con il sindacato – dice il sindacalista

partecipano alle trattative nazionali – continua Barosselli – ma si concentrano solo sui loro iscritti. Come si sa, i contratti nazionali hanno dentro moltissime associazioni datoriali, solo una di queste, la Fedit, ha trovato, qualche anno fa, una sorta di accordo nazionale con il mondo Cobas per alcune condizioni normative, ma sembra, più che altro, una sorta di trattato di non belligeranza”.

– dove questi si siedono a parlare non solo dei propri dipendenti, ma dell’intera filiera, il problema si sta risolvendo, anche con accordi che tengono fuori le cooperative, si può cioè appaltare soltanto a Srl o a SpA. Insomma, molte multinazionali, alla fine, sembra che abbiano capito che fare accordi nazionali per normare o internalizzare le filiere è il modo migliore per evitare conflitti e per normalizzare alcuni settori. Devo dire – conclude Barosselli – che ultimamente abbiamo fatto accordi con Fedex, con DHL ed con Amazon per l’ internalizzazione dei magazzini; i lavoratori vengono assunti con stipendi fissi, contributi, ferie, orari di lavoro certi etc. Sono accordi importanti che tolgono anche potere e terreno ai cobas perché se non c’è più sfruttamento non hanno nulla da dire”.

VERSO UNA STABILIZZAZIONE DELLA SITUAZIONE Ma torniamo un attimo alle cooperative che mandano avanti le grandi piattaforme, tutte di comodo? “Assolutamente no – risponde immediatamente – perché Il mondo delle coop è diviso in due, quelle sane con un knowhow particolare, dove vengono rispettate le norme economiche e sociali che

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SOSTENIBILITÀ:

UNA RICERCA SAP-OXFORD ECONOMICS INDIVIDUA ALCUNI CRITERI

DA VINCOLO A CARTA VINCENTE

PER L’ORGANIZZAZIONE LOGISTICA DELLE IMPRESE EFFICIENTI

di FRANCESCO GALIMBERTI

[STUDI E RICERCHE]

S

AP e Oxford Economics hanno intervistato oltre mille Supply Chain Manager di tutto il mondo e di tutti i settori economici per identificare le principali aree in cui sia possibile coniugare gli obiettivi apparentemente divergenti di sostenibilità, innovazione e resilienza con alcuni dei criteri più importanti per i consumatori, come il prezzo. In base ai risultati della survey, è emerso in primo luogo come la sostenibilità sia divenuta l’elemento determinante in base al quale le aziende decidono i loro comportamenti e le loro politiche. Le aziende, infatti, stanno iniziando a conferire priorità alla sostenibilità

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per soddisfare il principio base del business: appagare le esigenze dei clienti. Per tutti gli intervistati, ampliare la quota di mercato risulta essere una priorità strategica assoluta, seconda solo all’incremento della produttività. In risposta alla domanda su cosa influenzasse maggiormente l’impegno della propria organizzazione per la sostenibilità, i primi due elementi citati sono stati l’innovazione di prodotti e servizi (43%) e la soddisfazione dei clienti (40%), seguiti dal rispetto delle norme e dal vantaggio competitivo.

CAMBIO DI PARADIGMA Dalla rilevazione emerge quindi che, benché la soddisfazione del cliente sia destinata a rimanere decisiva per la strategia di un’azienda, la sensibilità degli executive nei confronti della sostenibilità assume rilievo sempre maggiore, sostenuta da vantaggi che vanno oltre gli immediati ritorni finanziari. La maggior parte degli intervistati considera la supply chain sostenibile un elemento importante per il successo a lungo termine delle loro organizzazioni, distintivo rispetto ai concorrenti.


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Traguardi ambiziosi esigono un monitoraggio costante, con il rischio però che ci si fermi a fissare obiettivi di sostenibilità relativi alla catena di approvvigionamento piuttosto che fare passi concreti per raggiungerli. Più di due terzi degli intervistati ha creato una dichiarazione di intenti chiara sulla sostenibilità (e un ulteriore 21% la sta redigendo), ma la percentuale di chi afferma di compiere progressi rispetto ai propri obiettivi è molto bassa. Solo il 52%, ad esempio, ha ridotto le miglia di spedizione complessive.

della propria organizzazione. Alcuni settori sono più avanti di altri nell’adottare una mentalità incentrata sugli ecosistemi: due terzi delle aziende del settore dei beni di consumo o dell’energia concorda con questa affermazione, rispetto a solo un terzo delle imprese di viaggio e di trasporto.

ECCO ALCUNI RISULTATI Alcuni settori si distinguono in aree particolari: le aziende high-tech hanno fatto registrare più progressi (72%) delle aziende delle telecomunicazioni (53%) nell’assicurarsi fornitori con materiali sostenibili. D’altro canto, le aziende di prodotti di consumo hanno fatto buoni progressi nel ridurre le miglia di spedizione complessive (58%) rispetto alle aziende high tech (48%). Le imprese che mantengono concretamente le promesse cominciano a vedere un ritorno sui loro investimenti. La maggioranza dei manager (63%) afferma di avere ridotto complessivamente il consumo energetico e, non a caso, più di tre quarti degli intervistati dice che l’impatto sulla sostenibilità è stato positivo. I manager stanno però trascurando un aspetto chiave: i principali responsabili dell’impronta ambientale delle loro aziende sono i loro fornitori. Solo il 56% degli intervistati, infatti, ammette di riconoscere la propria rete aziendale come un’estensione

Piccoli cambiamenti possono avere un impatto notevole sulla sostenibilità dei processi della supply chain. Mondelez, gruppo alimentare noto in tutto il mondo, ha risparmiato ben 5,4 tonnellate di plastica in fase di produzione e reso più facile il riciclo per i consumatori, semplicemente eliminando le finestrelle di plastica dalle confezioni di alcuni suoi prodotti. Molti executive che hanno partecipato all’indagine stanno cercando di modificare in modo simile i processi della catena di valore. Quasi un terzo afferma di aver compiuto i maggiori progressi nel rendere più sostenibili i processi di pianificazione e progettazione della supply chain negli ultimi tre anni, cambiando la progettazione dei prodotti per utilizzare una maggiore quantità di materiale riciclato e meno plastica,

oppure valutando il ciclo di vita di tutti i materiali. Guardando al futuro, si prevedono aggiustamenti del processo di produzione: minore impiego di materiali, maggiore automazione, acquisizione di più informazioni sui fornitori.

IL RUOLO DELLA TECNOLOGIA Le tecnologie innovative - cloud, mobile, IoT - possono garantire risultati a lungo termine. Il cloud permette alle organizzazioni di aggregare dati da diverse fonti (tra cui i processi abilitati per dispositivi mobili e IoT) per ampliare la visibilità, identificare potenziali inefficienze e prevenire interruzioni prima che si riversino a cascata lungo la supply chain. Mobile e IoT permettono inoltre tracciamento e monitoraggio delle spedizioni in tempo reale, fornendo aggiornamenti immediati per rendere più efficiente il processo logistico e ridurre quindi le emissioni. I dati provenienti da queste fonti possono procurare informazioni agli algoritmi di machine learning, alle torri di controllo o alle tecnologie di valutazione del ciclo di vita, creando un circolo virtuoso che migliora l’efficienza, a monte e a valle della supply chain. Secondo gli intervistati, il principale vantaggio legato alla sostenibilità, ottenibile grazie all’uso delle tecnologie è costitui­to da una maggiore efficienza dei processi, specialmente con il cloud nelle fasi di consegna (65%) e di progettazione e pianificazione (73%). I manager affermano inoltre di riscontrare una maggiore visibilità sui fornitori grazie all’uso di dispositivi mobili nelle fasi di progettazione e pianificazione (43%) e all’utilizzo di torri di controllo sempre nel processo di consegna (52%). Infine, il machine learning è utilizzato dal 22% delle aziende manifatturiere e dal 29% specificamente per la manutenzione dei prodotti. Le aziende del settore energia con il 29% e dei beni di consumo con il 28% sono in testa nell’uso dell’IoT per le consegne contro il 22% del campione. www.trasportale.it  TRASPORTARE OGGI

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I MILLE VOLTI DELLA SOSTENIBILITÀ

INVESTIRE NELLE PERSONE E IN MODALITÀ DI TRASPORTO ALTERNATIVE POSSONO ESSERE BUONE PRATICHE VERSO LA LOGISTICA SOSTENIBILE. IL PUNTO DI VISTA DI SOS-LOGISTICA

di DANIELE TESTI

[ASSOCIAZIONI]

Presidente SOS-LOGistica (Associazione per la Logistica Sostenibile) e Coordinatore Commissione Logistica Green e Sostenibilità Confetra

A

ncora una volta la logistica, intesa come il settore dei trasporti e della movimentazione delle merci, riesce a ritagliarsi attenzione sulle principali testate nazionali e network televisivi a causa di un problema. Non si tratta di uno sciopero nazionale o di un blocco davanti a qualche magazzino. Stavolta mancano autisti, circa 17.000. Un problema che si somma all’aumento dei costi di materie prime, energia e gas metano e che rischia di trasformarsi in una tempesta perfetta per molti operatori.

L’IMPORTANZA DEL CAMBIAMENTO Non per tutti, però, con lo stesso rischio e intensità. Alcuni hanno da tempo compreso e messo a terra buone pratiche che riguardano il fabbisogno energetico e la capacità di autoprodurre almeno una parte dell’energia necessaria. Non solo, hanno investito nelle proprie persone, nella

formazione professionale e persino nella loro felicità, riuscendo a rimanere attrattivi e limitando il turnover legato a paghe e trattamenti in concepibili per una società che voglia definirsi moderna e sostenibile. Hanno da tempo compreso e messo in pratica la necessità di non rimanere legati ad un’unica modalità di trasporto, differenziando e investendo sull’intermodalità treno-gomma o nave-gomma, per generare servizi più compatibili con il bisogno di autisti ed operatori di avere stabilità geografica e minore impegno fuori dalla propria residenza. Non penso che si tratti di lungimiranza o capacità di previsione, bensì di una evidenza oggettiva su quanto sia utile impostare uno sviluppo sostenibile del business. Una prova provata, direbbe qualche showman, che la sostenibilità ambientale, economica e sociale non è solo un dovere ma anche un’opportunità conveniente per essere più efficienti e competitivi e diminuire i rischi di disruption. Per cogliere però questi aspetti bisogna uscire dai compartimenti stagni delle proprie “operations”, guardando il sistema e la catena del valore nella sua complessità. Non si può semplificare tutto, ma è sempre più necessario spostare lo sguardo dal dettaglio all’insieme per vedere le innumerevoli connessioni con partner, clienti, fornitori, territori, istituti di formazione e ricerca e pubblica amministrazione. Daniele Testi.

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TRASPORTARE OGGI  novembre 2021

LA LOGISTICA SOSTENIBILE DI SOS-LOGISTIC In SOS-LOGistica, dal 2005, questo modello lo chiamiamo semplicemente Logistica Sostenibile. Potremmo iniziare però a chiamarlo diversamente: logistica buona. Tutto il resto, la logistica meno buona, è invece un inseguire continuo di adattamenti ad una domanda di servizi logistici che su di essa ribalta le proprie inefficienze. Un settore che ancora fa fatica a comprendere a fondo il proprio valore e che continua a focalizzarsi esclusivamente sui costi, sulle tariffe che il mercato cerca di imporre, sulle infrastrutture che generano colli di bottiglia e disservizi, insomma sui problemi (che ci sono e sono tanti). Uscire da questo circolo vizioso richiede un vero e proprio cambio di paradigma, nuove teste nelle stanze dei bottoni, un bel autoesame per comprendere che innovazione, transizione energetica, responsabilità sociale non sono slogan ma devono diventare componenti della propria offerta, elementi su cui impostare i modelli di redditività. È finito il tempo della teoria e contano solo le azioni concrete, oggi. In sintesi, credo, senza che nessun ne abbia a male, che stia finendo il tempo della logistica meno buona.


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