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UNICUSANO DOCET

Il diritto allo sport: una partita ancora da giocare

Lo sport è da sempre una costante della vita di ogni individuo. È gioco, è passione, è dedizione, è momento di socialità, è benessere e salute, è anche un lavoro. È trasversale e attraversa molteplici ambiti sotto più punti di vista. Per questo, lo sport è considerato anche e soprattutto un diritto. Ma lo è davvero? E in che termini?

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Il ‘diritto allo sport’, per opinione unanime e consolidata, rientra nel novero dei diritti inviolabili e fondamentali garantiti dalla Costituzione. Ciò nonostante, non esiste una sola norma nella Costituzione Italiana che menzioni espressamente lo sport come ‘diritto’. Certo, lo sport può essere – e di fatto è – ricondotto a molteplici previsioni costituzionali, dall’art. 2, famosa norma aperta che ricomprende tutti i diritti inviolabili dell’uomo che siano “espressione della sua personalità”, all’art. 18, sul diritto di associazione, all’art. 32, relativo al diritto alla salute, come anche agli artt. 33 e 34 per l’educazione o agli artt. 4, 35 e 36 nel caso in cui lo sport diventi un lavoro.

Tuttavia, nessuna di queste disposizioni menziona direttamente lo ‘sport’.

Problema questo riconducibile forse a uno schema culturale di vecchia data, legato alla considerazione dello sport come passatempo, come un ‘di più’, come qualcosa che può esserci o non esserci senza che dalla sua mancanza derivino chissà che conseguenze. Ma non è così e probabilmente non lo è mai stato, a maggior ragione oggi. La ‘resistenza’ dimostrata da questo fenomeno, la sua capacità di adattamento al contesto storico, la sua capillare diffusione e il suo inserirsi in ogni ambito, unitamente al riconoscimento dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, proprio in ragione della sua peculiarità, dimostrano che lo sport è qualcosa di più. E, quindi, correttamente, viene ricondotto nell’ambito dei diritti fondamentali, anche in raccordo a tutte le previsioni contenute nella Carta Olimpica. Lo sport è dunque, anzitutto, ‘luogo’ e ‘momento’ in cui l’individuo realizza se stesso. Attraverso lo sport, poi, si ottiene un miglioramento della propria salute fisica, potendo essere considerato in questo senso come un investimento in ‘salute’. Lo sport è socialità ed educazione. È veicolo di comunicazione tra i popoli ed è correlato anche con lo sviluppo e la pace. Lo sport è divenuto anche un lavoro, una vera e propria attività economica, la cui importanza è tangibile e perennemente crescente, come testimoniano anche le recenti riforme in materia, che hanno ridisegnato la figura del lavoratore sportivo in una chiave attuale e non discriminatoria, considerando il ‘lavoro sportivo’ nella sua sostanza, sganciandolo dai formalismi che lo hanno caratterizzato fino ad ora.

Insomma, lo sport è effettivamente un diritto che reca con sé anche il pregio di essere un valore in se stesso e un veicolo di diffusione di valori sociali ed etici. nonostante la sua innegabile importanza e nonostante i suoi numerosi riconoscimenti, stenta ancora a ‘decollare’.

Il peso del retaggio culturale, cui si è fatto cenno, sembra ancora relegarlo a un ruolo secondario, destinato ad essere sempre “la prima testa che cade”.

L’emergenza sanitaria che stiamo attraversando testimonia ulteriormente questa tendenza. Il mondo dello sport è fermo, a fasi alterne, da più di un anno. Tutti i provvedimenti contenenti norme di contenimento dei contagi, pur dando atto dell’importanza dello sport - in questo operando, in un certo senso, un riconoscimento di un ‘diritto allo sport’ -, di fatto ne hanno fortemente limitato, se non annullato, la pratica. Dalla preclusione totale della primissima fase di lockdown nazionale, si è passati a riaperture timide e non generalizzate, per lo più rimettendo al CONI (e quindi alle singole Federazioni, Discipline sportive associate e enti di promozioni sportiva) la decisione sulla prosecuzione o meno di allenamenti e campionati delle singole discipline. Ogni Federazione, DSA o ESP, come di consueto avviene nell’ambito della autonomia loro riconosciuta, si è autonomamente determinata, variamente interpretando anche la locuzione delle attività di “preminente interesse nazionale” disposta dal Governo a partire dal DPCM 3 novembre 2020.

E per quanto riguarda lo sport di base, quello svolto in maniera puramente amatoriale? Consentito, ma vicino casa e in forma individuale se mera attività fisica. Non consentito se, invece, riguarda sport di squadra. Non consentito, a quanto pare, se si tratta di attività svolta in palestre o piscine o centri sportivi, che attualmente risultano ancora chiusi fino a data da destinarsi.

Il che equivale a creare una sorta di paradosso in cui la semplice pratica sportiva, quella che, più genuinamente e per concezione radicata, realizza noi stessi e contribuisce al nostro benessere (esattamente come prescrive la Costituzione), è interdetta o, nel migliore dei casi, fortemente limitata.

E un ulteriore paradosso deriva dal fatto che proprio un veicolo di miglioramento della salute collettiva risulta, in questo momento, interdetto o limitato proprio per la salvaguardia della salute collettiva.

Chiaro che non sia facile operare un giusto bilanciamento degli interessi e dei diritti in gioco in questo momento. Riaperture generalizzate non aiuterebbero il contenimento della pandemia e questo vale per tutti gli ambiti, non solamente per quello sportivo.

Tuttavia, sembra che lo sport sia tra quelle attività di cui ancora può farsi a meno a priori, a prescindere dal rispetto o meno dei rigidi protocolli igienico-sanitari predisposti e imposti. “Fare sport” non può significare “fare sport a tutti i costi”. Sembra non potersi porre, quindi, alla luce dei fatti, il diritto allo sport sullo stesso piano del diritto alla salute o del diritto allo studio, ad esempio, anche se a questi è riconducibile.

‘Riconducibile’, appunto. Lo sport ha una sua innegabile dimensione effettiva ma è solo ‘riconducibile’ e, in Italia, non ha una sua espressa dimensione costituzionale, come invece avviene in altre realtà in cui il diritto allo sport, soprattutto nel suo ruolo sociale e come diritto della personalità, anche strumentale al diritto alla salute, è stato espressamente codificato.

Ma allora, esiste davvero un ‘diritto allo sport’? O meglio, esiste un diritto fondamentale, costituzionalmente garantito, allo sport? Certamente. Esiste. Ma non è del tutto tangibile e, ancora oggi, sembra rimanere sacrificabile.

Il percorso del diritto allo sport, allora, non è pienamente compiuto. La partita è ancora aperta.

Maria Francesca Serra

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