Selezione di Sapori |2020 01

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I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A GEN | FEB 2020


Editoriale

DALLA VALSESIA A SAN SEBASTIAN Un nuovo anno partito “in bomba” con tantissime nuove idee, cose da fare, appuntamenti e proposte. Partiamo dalle new entry del nostro ormai collaudato team editoriale: diamo il benvenuto a Enrico De Conto, sommelier per passione, che affiancherà Matteo De Santi nella rubrica di abbinamenti a quattro mani; nuovissima anche la collaborazione con Elisa Perillo, autrice del libro “Bimbe e bimbi a tavola”, che ci proporrà qualche ricetta alternativa per il menù bambini. Rientra nel team editoriale la nostra responsabile qualità, Giorgia Barbaresco, con un approfondimento sulle informazioni contenute in etichetta. Con Danilo Gasparini faremo un focus su alcuni dei più importanti cuochi e gastronomi della cucina italiana, a partire da Pellegrino Artusi di cui si celebra il duecentenario. Con Anna Maria Pellegrino approfondiremo alcune tecniche di cottura, in questo numero la gratinatura. Prosegue anche il viaggio alla scoperta delle cucine internazionali con la guida d’eccezione di Vittorio Castellani: prima tappa in Spagna, per gustarci le tapas. Ma non vogliamo anticiparvi troppe cose, vi lasciamo sfogliare questo primo numero, sperando di riuscire a suscitare qualche riflessione, domanda o emozione...

SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Alessandro De Conto, Enrico De Conto, Matteo De Santi, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Elisa Magro, Anna Maria Pellegrino, Elisa Perillo Direttore: Giulia Basso In copertina: Gianluca Bacchella Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via degli Olmi, 16 - Godega di Sant’Urbano TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017

Che cosa ti piacerebbe leggere nel prossimo numero del magazine Selezione di Sapori? Scrivilo a marketing@valsana.it

Martina Iseppon VALSANA | 02


SOMMARIO GENNAIO | FEBBRAI0 2020

Viaggio in Valsesia

LA GIUNCÀ

04

Intervista Doppia

CAPITELLI \ MARINI

08

Novità a catalogo

ACCIUGHE TESTA | FRIULTROTA | ALPEGGI

10

A proposito di filiere

LA FILIERA DEL COTTO

14

Abbinamenti a quattro mani IL PROSCIUTTO TOSCANO DOP 16 Come si riconosce?

L’AFFUMICATURA

Letteratura tra i fornelli

PELLEGRINO ARTUSI

Come si fa

IL GORGONZOLA È SERVITO

Cibo dal mondo

TAPAS

Idee per il menù bambini

LE POLPETTE DELLA PERI

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La cucina di qb

LA GRATINATURA

28

Appuntamenti

TASTE E NON SOLO!

31

VALSANA | 03

18 20 22

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Viaggio in Valsesia

LA GIUNCÀ Martina Iseppon è laureata in Economia e Commercio a Venezia e Responsabile Marketing in Valsana dal 2003

Fa freddo a Fobello, è tutto ghiacciato e le montagne che circondano il caseificio sono innevate. Ma la storia di Gianluca ci scalda il cuore: una storia di coraggio e determinazione, non solo di formaggi (buoni) di Martina Iseppon

TUMA DI FOBELLO Classica tuma della Valsesia a latte vaccino crudo, stagionata circa 90 giorni. Il gusto dolce, burrosa al palato, con note di fungo e nocciola. cod 21448 | peso 2,5 kg circa

GIANDUIOTTO Formaggio a latte vaccino crudo, stagionato in grotta per circa 90 giorni. Ha un gusto dolce con sensazioni erbacee e profumi di cantina umida cod 21449 | peso 7 kg circa ordine minimo 1/2 forma

E’ agguerrito, Gianluca. La sensazione è che qualche volta si senta solo, nel difendere un territorio abbandanato a sè stesso e nel portare avanti una piccola produzione di formaggi a latte crudo, lottando contro le barriere all’ingresso che la normativa e la concorrenza “dei grandi” impone. Ma è anche orgoglioso, dei risultati e dei riconoscimenti ottenuti, non ultima la vittoria al Piemonte Food Awards nel 2018 come miglior caseificio artigianale. “A volte mi sembra di essere Don Chisciotte, che lotta contro i mulini a vento”, confessa mentre mangiamo una pizza per pranzo. Ma non si arrende, anche se la vita è tutt’altro che facile in Valsesia. Con la tenacia e la consapevolezza di chi è sicuro di percorrere la strada giusta. Siamo a Fobello, in provincia di Vercelli, nella parte nord orientale del Piemonte, nel Parco dell’Alta Valsesia, l’area naturale protetta più alta d’Europa che comprende il Monte Rosa. Fobello è un comune di 194 anime. “D’estate - precisa Gianluca - perchè d’inverno ci abitano sì e no un centinaio di persone”. Alain, suo figlio, è l’unico bambino tra i 6 e i 10 anni e per andare a scuola si fa ogni giorno 10 km. E’ l’ennesima testimonianza di uno dei tanti piccoli borghi che pian piano si spopolano e muoiono. E’ l’ennesima testimonianza di un eroe che si fa carico in prima persona di resistere, per continuare a far vivere un territorio, una comunità, laddove andarsene sarebbe la scelta più facile, più scontata, forse più razionale. Invece no. “Sono tornato a Fobello dopo aver lavorato 7 anni a Cannes come agente immobiliare”. Una laurea in economia, motociclista nell’anima, Gianluca Bacchella lascia tutto e decide di tornare nel paese dove ha trascorso l’infanzia, dove da ragazzino aveva una tazza appesa a un albero con cui andava, con VALSANA | 04

gli amici, a mungere di nascosto il latte dalle vacche che pascolavano dietro casa. “E’ dura, ma è un posto vero, fatto di relazioni autentiche. La Costa Azzurra è bellissima, ma contano solo i soldi, non era quello che volevo fare nella mia vita”. E’ il 2003 e il bando della Comunità Montana per la gestione del caseificio nell’alpeggio Roj è andato deserto per la terza volta. Bruno, compagno di Ileana, mamma di Gianluca, decide di prenderlo in gestione. “Non costa niente, ce lo danno gratis, facciamo un po’ di formaggi per gli amici”. Così è nata la Giuncà, un po’ per caso, un po’ perchè Bruno Giovannacci il mestiere di casaro ce l’ha nel sangue. Figlio e nipote di casari da tre generazioni, prova il mestiere da ragazzo ma non lo ama. Decide di fare il geometra, finchè non incontra Ileana, che gli fa scoprire la Valsesia. Si innamora di entrambe. In uno dei viaggi di ritorno a casa dalla Costa Azzurra Gianluca assaggia i formaggi di Bruno. Formaggi che hanno una storia da raccontare, quella di un alpeggio dove si arriva con fatica su una strada sterrata, dove per portare il latte d’inverno il camioncino deve essere trainato da una jeep davanti e una dietro. Formaggi fatti con il latte degli ultimi pastori, che allevano anche solo 10-20 capi a famiglia. Così Gianluca lascia Cannes e torna a casa, carica i formaggi su un furgoncino e va a presentarsi alle formaggerie piemontesi e lombarde. “Sei matto? Costano troppo”, è il ritornello che si sente ripetere. Finchè non riesce a farli assaggiare: “Se li assaggiano poi li comprano. Questa è la chiave”. Così ha convinto anche noi. Con la Giuncà avevamo già lavorato una decina di anni fa, ma al tempo la sede era ancora a Roj ed era difficile mantenere costanza nella produzione,


ammette Gianluca. E così nonostante la scintilla scattata già al tempo, quando eravamo stati a trovarli nel lontano 2010, dopo qualche tentativo avevamo a malincuore sospeso la collaborazione. Ritornare a Fobello dopo 10 anni ci ha regalato un’emozione unica: ritrovare gli stessi volti in un caseificio più grande e strutturato ci ha fatto un enorme piacere. Ora la sede del caseificio si trova nel paese di Fobello, non nella frazione di Roj, sempre in alta quota ma un po’ più accessibile. Costanza è una parola che Gianluca ripete come un mantra. Costante deve rimanere la temperatura del latte durante la lavorazione, costante deve essere il pH, così come la “spezzatura” della cagliata. Solo così riescono a ottenere dei formaggi con delle caratteristiche riconoscibili nonostante il latte crudo e la stagionatura in ambienti naturali. Rigorosamente senza l’uso della chimica.

Ma ripartiamo dall’inizio. Il latte oggi viene raccolto con dei padroncini in una zona molto estesa, che va dall’Alto Biellese all’Alta Valsesia fino all’Alto Monzese, e proviene da tantissimi micro allevamenti. A volte è lo stesso pastore a portare al padroncino 40/50 litri di latte, perchè si trova in luoghi disagiati e la quantità prodotta è troppo ridotta per giustificare la strada. Il latte viene quindi stoccato in tank refrigerati e lavorato rigorosamente a crudo due o tre volte la settimana a seconda della disponibilità e della stagione: da 100 a 400 quintali di latte a settimana a seconda del periodo. Gennaio è il mese in cui si riprende a lavorare il latte di capra. “Alcuni degli allevamenti sono riusciti a gestire l’asciutta a rotazione e destagionalizzare quindi un po’ la produzione, ma noi sospendiamo comunque la lavorazione dei caprini freschi durante il periodo di asciutta perchè il latte non è ottimale per questo tipo di lavorazione”.

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Gianluca Bacchella, laurea in economia e motociclista nell’anima, dopo aver lavorato sette anni a Cannes come agente immobiliare lascia tutto e torna a Fobello, in Valsesia


“Pastori tecnologici siamo stati definiti da diversi critici gastronomici, perchè controlliamo in modo maniacale temperatura e pH, ma anche perchè ci piace sperimentare tante diverse tecnologie di lavorazione. Produciamo più di 40 tipologie di formaggi, dai caprini freschi alle tome stagionate, fino al burro”.

BEOLA DI CAPRA Caprino a latte crudo intero, stagionato almeno 90 giorni. In bocca è dolce, con note di latte, nocciola, frutta matura, cantina e leggere note caprine. Prende il nome dalle pietre usate un tempo per rivestire i tetti cod 21447 | peso 5 kg circa

“Qui in Valsesia una volta la Toma Valsesia e il burro erano moneta di scambio per i pastori: le gerle venivano riempite con le tome e nei buchi veniva messo il burro per portarli al mercato. La Toma Rossa invece era una toma più grande che veniva prodotta per sfamare la famiglia: grande, così poteva stagionare a lungo e durare fino al periodo di alpeggio successivo e dalla pasta sufficientemente dura per poter essere impilata a coltello negli zaini trasportati dagli asini. Il burro invece veniva chiarificato e conservato in dispensa, quando ancora non c’erano i frigoriferi”. Il caseificio è vuoto, oggi non c’è produzione, ma dobbiamo comunque indossare grembiule VALSANA | 06

e copriscarpe. I locali vengono sanificati ogni giorno per evitare contaminazioni di qualunque tipo. Anche quando entriamo nella sala di confezionamento ci assale un odore pungente di disinfettante. Su questo Gianluca è intransigente: “lavorando esclusivamente latte crudo dobbiamo essere rigorosi sull’igiene”. A partire dalla selezione dei pastori, che devono essere innanzitutto puliti. Il latte crudo viene pompato in caldaia dal silos esterno di stoccaggio e portato a una temperatura di 36-43°C a seconda della lavorazione. Dopo l’estrazione della cagliata le forme passano in una prima camera calda per rallentare la caduta del pH, una sorta di stufatura; quando raggiungono l’acidità desiderata vengono spostate in locali a temperatura ambiente o in una seconda camera calda con una decina di gradi in meno: in tal modo lo sbalzo termico stabilizza il pH. Solo a questo punto il formaggio “è nato”, dice Gianluca. Si passa quindi alla salatura, in salamoia per


le forme grandi, a secco per i piccoli, dopo di che i formaggi passano in una cella di prestagionatura, dove inizia la “cicatrizzazione della crosta”, e qui aspettano che si liberi spazio in grotta dove inizierà la vera stagionatura. E’ curioso vedere la varietà di fuscelle e stampi utilizzati: lo stampo del Gianduiotto, frutto di uno studio ingegneristico, con l’obiettivo di rendere più uniforme l’assorbimento del sale ma anche di riuscire a maneggiare uno stampo che contiene 18/20 kg di cagliata; o la fuscella in metallo di 50 anni fa, ancora oggi usata per la Toma Rossa; e soprattutto quella della Beola: una cassetta di plastica, come quella della frutta, in cui il formaggio viene messo in forma avvolto in una tela. “La crosta è la vera carta di identità del formaggio. Le muffe ti dicono tutto, che stagione è - sono grigio scuro d’inverno e diventano gialle-bianche-rossicce in primavera e in estate - se c’è stato uno sbalzo termico, se la forma è stata girata in modo accurato”.

Lasciamo il caseificio e dopo una breve passeggiata tra le viuzze di Fobello raggiungiamo una delle dieci cantine seminterrate, dislocate in varie parti del paese e utilizzate da Gianluca per la stagionatura. Avevo visto le foto, ma non me le aspettavo così piccole: grotte naturali che ospitano poche scalere in legno, dove per entrare ci si deve abbassare, dove la temperatura rimane costante e le muffe hanno tempo di lavorare a lungo. In primavera e in estate, con l’aumentare dell’umidità, i formaggi tendono ad appicicarsi alle assi, chiudendo i pori del legno. Le cantine vengono quindi svuotate e pulite due volte al mese, le assi di legno portate in caseificio e lavate con l’idropulitrice per ripulirle in modo da permettere al formaggio di respirare durante la stagionatura. Un bel lavoro!! Sarà anche vero che costano tanto, ma forse la domanda giusta è quanto valgono: quanto vale salvare una tradizione o mantenere vivo un piccolo borgo... VALSANA | 07

Reportage fotografico di Beatrice Mancini

BLU DI ROJ Toma blu a latte vaccino crudo, stagionata 60 giorni circa. Prende il nome dalla frazione di Fobello dove un tempo si trovava il caseificio. Ha un gusto dolce, con note di burro, pera matura e cantina cod 21439 | peso 6 kg circa


Intervista doppia

CAPITELLI

MARINI

BORGONOVO VALTIDONE (PC)

Giulia Basso è giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste e direttore responsabile del nostro magazine, Selezione di Sapori, dal 2017

FERRUCCIA AGLIANA (PT)

Due pancette cotte molto diverse tra loro a confronto: una proviene dalla Toscana e una dall’Emilia. E voi quale preferite? di Giulia Basso CAPITELLI

LE RECENSIONI DEI CLIENTI

Renato Bosco Saporè Downtown | Verona Ho scoperto i prodotti Capitelli qualche anno fa e uso prevalentemente la pancetta Giovanna, per la particolare delicatezza del prodotto, la sua dolcezza e autenticità di gusto. La utilizzo soprattutto in fase di cottura della pizza, in abbinamento a una crema di verdure, e in un’altra ricettazione la faccio seccare e tostare e la uso nella mia versione di Caesar Salad.

Giovanni De Marchi Al Portico Wine Bar | Noale Uso la Pancetta cotta Marini da più di dieci anni: mi ha conquistato non appena l’ho provata e i clienti la richiedono e continuano ad apprezzarla per il suo gusto deciso, senza compromessi, e la sua semplicità.

MARINI

Nel 1976 Claudio Capitelli, da sempre appassionato d’alimentazione, realizza le proprie aspirazioni fondando, a Borgonovo Val Tidone, il Prosciuttificio Capitelli. Suo figlio Angelo eredita la passione dal padre e nel 1992, terminati gli studi universitari, entra nell’azienda, con l’obiettivo di portare il proprio originale contributo, pur nel rispetto della tradizione. Così inizia un percorso di ricerca e sperimentazione, incoraggiato da uno dei più famosi salumieri della Milano degli anni ’80, Attilio San Giovanni. Nel 1994, ispirandosi all’antico metodo di lavorazione utilizzato a Modena, “reinventa” il Prosciutto cotto, chiamandolo san Giovanni in omaggio al suo vecchio maestro. Nel 2019 il Prosciutto cotto san Giovanni entra nella categoria “In punta di coltello”, la più esclusiva della guida Salumi d’Italia, edita da L’Espresso, e nel 2020 viene riconfermato come il miglior cotto d’Italia. “Questo premio è la riconferma di un percorso che ho iniziato nel 1996 con il desiderio di far mangiare alla gente il cotto d’altri tempi, quello che nessuno faceva più. Essere stati inseriti tra gli 11 migliori salumi d’Italia come unico prosciutto cotto presente è una splendida notizia”, ha commentato Angelo Capitelli. Oltre al Prosciutto cotto, Capitelli produce anche la pancetta Giovanna, che si chiama così perché condivide la stessa filosofia produttiva del san Giovanni. Anche la concia è la stessa, ma il risultato ottenuto è differente perché si utilizzano parti anatomiche diverse del maiale, ci spiega Angelo Capitelli.

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La macelleria Marini ha una storia ultracentenaria, iniziata nella piccola frazione agricola di Ferruccia, in Toscana, nel 1904, con la lavorazione di carni selezionate da piccoli allevamenti locali. La lavorazione artigianale del maiale è un’arte di famiglia che viene tramandata di padre in figlio, e tra fratelli e nipoti, da ormai quattro generazioni: oggi nel salumificio e nella macelleria, rinnovata nel 2007, lavorano Nicola e Manuel, che aiutano mamma Patrizia e papà Marco a mandare avanti questo piccolo tempio del gusto. La produzione spazia dagli stagionati ai cotti: dopo un’accurata scelta della materia prima, i salumi vengono lavorati ancora “come una volta” e stagionati naturalmente, sfruttando l’aria delle cantine di un’antica cascina splendidamente restaurata. Tra i prodotti stagionati spiccano specialità tradizionali come il Prosciutto crudo, il Salame toscano e la Sbriciolona, o finocchiona, mentre tra i cotti ci sono la famosa Mortadella di Prato Igp e la Pancetta cotta. Ad Agliana e dintorni la macelleria Marini è una piccola istituzione, ma i suoi prodotti sono apprezzati ben al di là dei confini regionali, in tutt’Italia e anche all’estero. Nel 2009 l’attività si è guadagnata il Premio Golosaria “Miglior Macelleria”, con la seguente motivazione: “Il patrimonio zootecnico italiano, ricco di razze autoctone adattatesi ai vari territori, vive grazie alla professionalità dei macellai, artisti senza uguali, capaci di trasmettere dall’allevamento alla tavola una storia di antichi saperi”.


Angelo Capitelli

Marco Marini

Che carne utilizzate per la vostra pancetta cotta? Utilizziamo suini nati e allevati in Italia, principalmente provenienti da Lombardia ed Emilia, con un peso dai 180 ai 200 chili e un anno di vita. Quali ingredienti per la concia? Prepariamo una bollitura di verdure e spezie, secondo una ricetta che si tramanda da generazioni. La caratteristica di Giovanna è che la parte dolce della concia è costituita da miele al naturale: serve come ingrediente funzionale, ci aiuta a far maturare la carne e rendere più complesso il sapore. Come la cucinate? E’ una pancetta in tre cotture. Prima di cucinarla la stagioniamo sotto sale per 24-28 giorni, così rilascia acqua e si asciuga. Quindi passiamo alla cottura, che avviene in tre fasi, intervallate dal raffreddamento: in questo modo otteniamo una progressiva riduzione del volume e una naturale concentrazione dei sapori. Le prime due cotture le effettuiamo in forni a vapore, la terza in stufa e con l’impiego di legno per ottenere una leggera affumicatura. Come va servita e con quali cibi consigliate di abbinarla? E’ un concentrato di aromi e sapori e il nostro prodotto più versatile. Sta benissimo su un risotto, una carne alla griglia, una pizza: l’importante è usarla sempre a freddo, a fine cottura, aggiungendo le fette, preferibilmente poste a forma di piramide, un attimo prima di servire la portata.

PANCETTA COTTA GIOVANNA Dolce, con leggero sentore di fumo; morbidissima grazie al tipo di cottura e all’uso del miele codice 78048 peso 4 kg circa

PANCETTA COTTA MARINI Delicata, ricca di profumi di spezie fresche tra cui semi di finocchio selvatico, rosmarino, limone e aglio codice 78200 peso 3 kg circa VALSANA | 09

Che carne utilizzate per la vostra pancetta cotta? Usiamo pancette nazionali di suino pesante, con una pezzatura da fresche dai tre chili e mezzo ai quattro chili. I suini, di età minima dai 10 agli 11 mesi, provengono principalmente dalla Toscana, ma anche dall’Emilia e dal Veneto. Quali ingredienti per la concia? Sale, pepe, aglio ed erbe aromatiche: rosmarino, timo, alloro, chiodi di garofano macinati e un po’ di buccia di limone. Lasciamo la carne in concia per un giorno intero, poi le pancette vengono arrotolate, legate, e sono pronte per la cottura. Come la cucinate? Viene cotta in caldaia nello strutto liquido per circa 3 ore e mezzo o 4, in base alla pezzatura, in modo che raggiunga una temperatura al cuore di circa 72 gradi. Poi la lasciamo sgocciolare, la laviamo per eliminare il grasso superfluo e per raffreddarla la mettiamo in abbattitore per 12-18 ore. Quindi la confezioniamo sottovuoto: consigliamo di conservarla in frigo e di consumarla rapidamente una volta aperta. Come va servita e con quali cibi consigliate di abbinarla? E’ un prodotto in cui semplicità e bontà vanno a braccetto. E’ una pancetta che può essere consumata a freddo sopra una focaccia calda, come antipasto, ma anche come secondo piatto accompagnata da un’insalata o un purè.


Novità a catalogo

ACCIUGHE TESTA Elisa Magro, laureata in Scienze della Comunicazione, dopo un’esperienza nell’ecommerce ora si occupa di Marketing online in Valsana

Acciughe salate in olio di girasole biologico nate sotto la buona pratica della #pescasicura di Elisa Magro

Quella dei Testa è la storia di una famiglia di armatori e pescatori di Ognina, un antico borgo marinaro, uno dei quartieri più caratteristici di Catania. Pescatori da 200 anni i Testa hanno un legame davvero profondo con il mare, direi quasi una sorta di devozione per “un mestiere che richiede fede, coraggio e umiltà, pazienza, scrupolo, rispetto, pudore”, come racconta il comandante Pippo Testa.

“Quello del pescatore è un mestiere che richiede fede, coraggio e umiltà, pazienza, scrupolo, rispetto, pudore” Pippo Testa

Pippo salpò da comandante per la prima volta molto giovane. Aveva 14 anni, era il 1960. Nino Testa, oggi vice comandante, saliva in barca quando aveva solo dodici anni, un po’ per gioco, dai sedici invece per mestiere. Gli anni sono passati, ma la passione è rimasta intatta, e oggi la famiglia Testa oltre a pescare si occupa anche di conservare il pesce, lavorandolo nello stabilimento di Portopalo. L’azienda, che ha affidato a Tuccio Testa la direzione commerciale, collabora a stretto contatto con Ciccio Sultano, cuoco 2 stelle Michelin di Ragusa Ibla.

La pesca praticata dai Testa è una pesca che rispetta il mare e la sua fauna, prelevando solo ciò che serve e con attrezzature a basso impatto ambientale. Un esempio su tutti per raccontare delle buone pratiche di pesca dei Testa: l’adesione e il rispetto delle quote ICCAT, le quote di cattura destinate ai pescherecci, ha contribuito a salvare dall’estinzione il tonno rosso. Due sono le navi della famiglia Testa: Atlante, per la pesca nel Mar Tirreno del tonno rosso dal quale vengono ricavati i Filetti di Tonno Rosso (cod 94196), la Ventresca di Tonno Rosso (cod 94198) e la Buzzonaglia di Tonno Rosso (cod 94197), e Futura Prima per la pesca nel Mare Ionio e nelle Isole Eolie del pesce azzurro, quindi lo sgombro, da cui i Filetti di Sgombro (cod 94199) e le acciughe che vi presentiamo in queste pagine. Le acciughe vengono pescate da giugno a settembre a largo di Portopalo di Capo Passero.


RIC

Il fattore tempo è essenziale per determinare la qualità delle acciughe, infatti tra la pesca e la lavorazione non passano più di 12 ore. All’arrivo nello stabilimento le acciughe vengono “scapuzzate”, ossia vengono eliminate testa e viscere, quindi vengono salate e disposte a strati dentro dei recipienti detti “cugni” sui quali vengono disposti dei pesi che, grazie alla pressione esercitata, permettono la fuoriuscita del sangue e dell’acqua in eccesso dal pesce. Le acciughe vengono quindi lasciate maturare sotto sale per un tempo variabile, che dipende dal clima e dall’umidità. Dopo la maturazione vengono tolte dal sale e rifilate, quindi vengono centrifugate per eliminare qualsiasi residuo di liquido e infine messe sott’olio. Per avere un risultato eccellente al palato anche la scelta dell’olio di conservazione è fatta con grande cura: un olio di girasole biologico, spremuto a freddo, che non si butta, ma si può utilizzare per fare delle ottime salse o per condire. Provare per credere!

ETT A

LA MAIONESE CON L’OLIO DI RECUPERO Fonte: Intagram/testa_conserve

FILETTI DI ACCIUGHE SALATE IN OLIO DI GIRASOLE Filetti di colore rosso amaranto con sfumature nocciola. Il sapore è dolce e carnoso, leggermente ferroso con sapidità decisa, ma ben bilanciata. Ottimi per dare carattere a una pasta al nero di seppia. Perfetta con pane e burro cod 94193 vaschetta da 205g cod 94194 vaschetta da 950g VALSANA | 11


Novità a catalogo

RICETTE VENETE Sono lavorate e cotte ispirandosi alla tradizione culinaria veneta. Due ricette rassicuranti e, perchè no, anche versatili. Gustatevi sarde in saor e seppie in umido di Elisa Magro NOVITÀ

SARDE IN SAOR

SEPPIE IN UMIDO

Che il pesce faccia bene ormai è risaputo, ma che il pesce azzurro faccia meglio degli altri pesci, non tutti lo sanno.

SARDE IN SAOR Pescate nel Mar Adriatico settentrionale. Presentano una carne color bianco-crema abbinata a filamenti di cipolla, pinoli e uva sultanina nelle giuste proporzioni cod 94083 | vaschetta 150 g cod 94084 | vaschetta 1 Kg

NOVITÀ

SEPPIE IN UMIDO Seppie provenienti esclusivamente dalla pesca in oceano Atlantico Nord orientale e Canale de La Manica orientale

La sardina è un pesce azzurro, dal punto di vista nutrizionale un ottimo alimento. Ricca di grassi omega 3, utili per la funzione protettiva di cuore e arterie. È anche ricca di vitamine e sali minerali, soprattutto B12 e Fosforo. Le sarde in saor sono uno di quei piatti poveri diventati con il tempo simbolo di una cucina tipica regionale. Grazie a Friultrota abbiamo incontrato un nuovo prodotto pronto all’uso che si affianca alle altre specialità di pesce tradizionali che già conoscete: baccalà mantecato (cod 93690; cod 93691), baccalà delicato (cod 93695; cod 93696) e seppie in umido (una novità). Confezionate in atmosfera protettiva in pratica vaschetta termosaldata, le sarde in saor di Friultrota sono cotte senza lisca, marinate con cipolla, uva sultanina e pinoli. Possono essere utilizzate tal quali come antipasto oppure su dei crostini caldi per replicare il tipico “cicheto” dei bacari veneziani, o in alternativa come secondo piatto accompagnate alla polenta come da tradizione veneta-friulana.

Le seppie in umido mi ricordano la mia infanzia, un po’ come le polpette. Rientrano nella mia classifica dei comfort food: la cura migliore dopo una giornata no. Vi siete mai cimentati nella cottura delle seppie in umido? Io sì e non sempre con risultati soddisfacenti, perché il procedimento è semplice ma bisogna avere anche delle accortezze: le seppie devono essere freschissime, vanno pulite accuratamente, la cottura deve essere fatta a puntino perché, se stracotte, diventano gommose e difficili da mangiare. Nonostante questi accorgimenti il sapore e la consistenza non sempre soddisfano. Ecco perchè l’idea della ricetta pronta e ben preparata di Friultrota ci è piaciuta subito. Confezionate in pratica vaschetta termosaldata, le seppie in umido di Friultrota si presentano tagliate a striscioline con pomodoro e pepe. Sono morbide al punto giusto, mai gommose. Il gusto del pesce si sposa bene con quello del pomodoro e del pepe, ben bilanciato. Potete consumarle tal quali come antipasto, su dei crostini caldi o su cialde croccanti di mais preparate magari con la polenta che rimane attaccata al paiolo dopo averla versata sul tagliere, oppure come secondo piatto.

cod 94158 | vaschetta 150 gcod 94159 | vaschetta 1 Kg VALSANA | 12


Novità a catalogo

NOVITÀ D’ALPEGGIO Quattro imperdibli formaggi di malga nelle nuove annate da sfoggiare al banco e nel carrello dei formaggi. Tanto attesi e finalmente disponibili! di Elisa Magro ALPEGGIO

ALPEGGIO

2019

ALPEGGIO

2018

2018 ALPEGGIO

LA MEIRO CASTELMAGNO (CN)

CASTELMAGNO DOP DI ALPEGGIO Intramontabile formaggio prodotto in alpeggio con latte crudo proveniente da vacche allevate al pascolo alimentate per il 90% con flora locale. La pasta si presenta di colore ambrato e con possibili caratteristiche muffe verdi nobili che dalla superficie entrano in pasta per sposarsi con il cuore del prodotto. Decisamente profumato, al palato è leggermente sapido, con spiccate note erbacee e floreali; più dolce e con note di sottobosco in presenza di erborinatura STAGIONATURA Almeno 5 mesi cod 31029M19 | 4,5 kg circa ordine minimo 1/4 di forma

2018

FRANCESCO STAGNOLI BAGOLINO (BS) CASEIFICIO DEGLI ALTIPIANI E DEL VEZZENA LAVARONE (TN)

FORMAGGIO VEZZENA SAPORI DI MALGA Prodotto da secoli negli alpeggi con latte vaccino crudo parzialmente scremato, raccolto negli alpeggi intorno al caseificio, prevalentemente da vacche di razza Pezzata Rossa e Pezzata Nera. Il sapore è pieno e leggermente piccante, ricco di profumi di erbe e fiori di pascolo STAGIONATURA Almeno 12 mesi

BAGOSS DI BAGOLINO Un grande formaggio prodotto a Bagolino, in malga, con latte crudo parzialmente scremato, ottenuto da vacche di razza Bruna, Viene stagionato in un Reolt, una cantina umida scavata sottocasa, fatta di terra e pietre. Il sapore è ricco, con intense note speziate di zafferano e sentori di pascolo, una leggera sensazione di mandorle e un finale lievemente piccante STAGIONATURA Almeno 15 mesi cod 31090M18 | 16 kg circa ordine minimo 1/16 di forma

cod 31114M18 | 6 kg circa ordine minimo 1/4 di forma

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MALGA VERDE CONCO (VI)

ASIAGO D’ALLEVO DOP STRAVECCHIO Prodotto solo d’estate con latte vaccino crudo parzialmente scremato, ottenuto da vacche di razza Bruna e Frisona alimentate al pascolo in alpeggio. Il sapore è ricco e complesso, dolce e poi tendente al piccante, con sentori di nocciola tostata e frutta matura e con una straordinaria intensità di profumi d’erba e muschio STAGIONATURA Almeno 19 mesi cod 30879 | 9 kg circa ordine minimo 1/8 di forma


A proposito di filiere

LA FILIERA DEL COTTO Alessandro De Conto, laureato in Ingegneria ma appassionato di formaggi, in Valsana si occupa di selezione ed è Responsabile dell’Export

3.900

Ci siamo mai chiesti da dove “viene” un prodotto? Un approfondimento per entrare nelle dinamiche dei modelli di filiera dei prosciutti cotti di Alessandro De Conto

Penso a filiera e mi viene in mente il concetto di percorso, di storia, di background. Conoscere la filiera permette di valutare in modo più completo un prodotto, prender coscienza del fatto che la qualità non è determinata soltanto da un’esperienza organolettica positiva, ma anche e soprattutto da un sistema di scelte produttive a monte orientate al buono. In quest’ottica vi proporremo nel corso dell’anno una rubrica dedicata a sei filiere, cominciando dai Prosciutti Cotti e Arrosti di carne suina.

allevamenti del circuito Parma-San Daniele

Il mondo delle produzioni di salumi poggia fondamentalmente su tre modelli: globale, nazionale e locale. Ciascuno di essi offre elementi o di pregio o di limite, cerchiamo di approfondirli insieme.

10 MIL

Il globale si definisce da solo e prevede che la filiera si sviluppi trasversalmente in paesi diversi, quindi un maiale allevato in un paese viene macellato e le sue parti anatomiche vengono vendute separatamente in paesi diversi, dove poi avverrà la lavorazione finale. Molto spesso nel mondo dei prosciutti cotti vengono scelte materie prime olandesi o tedesche, soprattutto perché queste garantiscono carni magre più tenere e una marezzatura intramuscolare maggiore, anche se appena percettibile. Si vuole così offrire un prodotto finito più succoso e dal colore più rosato. Le pezzature sono mediamente minori anche perché il maiale allevato nel nord Europa viene macellato al raggiungimento di 120 kg di peso circa, mentre il nazionale, normalmente definito pesante, si macella con almeno 30/40 kg in

circa di maiali macellati ogni anno in Italia

250 MIL circa di maiali macellati ogni anno in Europa

VALSANA VALSANA| |1414

più di peso vivo. La Coscia cotta Meggiolaro è volutamente prodotta con cosce olandesi o tedesche che Alessandro sala solo a secco senza siringature poiché la fibra morbida della carne favorisce la penetrazione del sale senza bisogno di interventi invasivi. La filiera nazionale segue delle dinamiche fortemente legate al Prosciutto di Parma Dop e San Daniele Dop, due giganti della salumeria italiana che con i loro disciplinari incidono anche sullo stile dell’allevamento (sono ben 3900 in Italia), le caratteristiche dell’animale e anche della coscia. Rigidi sistemi di tracciabilità, fattisi ancor più stringenti dopo i recenti scandali, vogliono che non solo venga tatuato il maiale all’altezza della coscia, ma anche il taglio anatomico al momento della macellazione (vedi Fig.1).

Figura 1 Da sinistra a destra: tatuaggio a fuoco identificativo dell’allevamento e timbro a fuoco recante la sigla PP e il codice che individua lo stabilimento di macellazione


I PROTAGONISTI DELLA FILIERA: quanti e quali passaggi? quali domande ha senso porsi?

MANGIMIFICIO

I mangimi possono essere acquistati da mangimifici oppure autoprodotti dallo stesso allevatore

ALLEVAMENTO

Gli allevamenti si differenziano per localizzazione geografica, numero di capi/spazio, razze, benessere animale

Da questa rigorosa filiera attingono anche molte altre produzioni, cotti e arrosti compresi. Avrete sicuramente già sentito parlare delle razze Landrace o Large White, garantiscono abbondante grasso di copertura, un’importante dimensione delle cosce e maggior compattezza delle carni. Ottenere questi profili ovviamente genera un costo “energetico” maggiore per l’allevatore e un riconoscimento a valore più elevato sul mercato delle carni. Prodotti come il Lenti & Lode, il San Giovanni, il Cuore Rosa sono figli di questo percorso e si contraddistinguono per la buona presenza di grasso, la piacevolissima eleganza organolettica e la bella dimensione.

FILIERA EUROPEA

COSCIA AL FORNO Il sapore è dolce, la quasi assenza di sale è in conformità con la tradizione che lo vuole aggiunto al momento del consumo cod 80854 a metà | peso 4,5 kg circa

MACELLO

SALUMIFICIO

E’ importante che la coscia venga pulita e rifilata bene, la lavorazione deve essere veloce

Da valutare l’artigianalità del processo, i tagli selezionati, la % di sale utilizzata, l’uso di conservanti

E infine il terzo modello, il locale, altrimenti noto come “filiera chiusa”. E’ sicuramente quello che gode di maggior virtù offrendo un valore aggiunto elevato, oltre ad un prodotto finito viene valorizzata una razza, un territorio, un allevatore che è anche trasformatore e artigiano. Aderire a questo modello è impegnativo, dietro ad un circuito produttivo chiuso c’è una struttura, molto spesso familiare, che esige coinvolgimento pieno sui vari fronti della catena, dalla coltivazione dei cereali alla preparazione del mangime per il maiale, dalla cura dell’allevamento alla trasformazione del prodotto. Solo la macellazione viene esternalizzata per ovvi limiti strutturali. FILIERA ITALIANA

DISTRIBUTORE

CONSUMATORE

La distribuzione è il ponte tra il produttore e il consumatore, non solo logistico ma anche informativo

I consumatori sono sempre più attenti nella scelta dei prodotti, a partire dalle info contenute in etichetta

Nonostante possiamo citare diversi produttori di salumi a filiera corta, come Agostino Ninone nei Nebrodi, le Selve di Vallolmo in Toscana o Casa Cason in Veneto, ci troviamo invece solo un esempio di cotto da filiera chiusa, si tratta della Spalla di Cinta Senese di Savigni, un prodotto dalle dimensioni importanti, ma dall’appeal accattivante. Molto raramente infatti avviene che un’azienda agricola abbia anche un forno adatto alle cotture di prosciutti, anche perché molto spesso le cosce seguono un percorso di valorizzazione maggiore diventando prosciutti crudi di “razza”!

FILIERA LOCALE

PROSCIUTTO COTTO LENTI & LODE

SPALLA COTTA DI CINTA SENESE

Dolce, con aromatizzazione delicata, asciutto e poco sapido. La parte grassa garantisce dolcezza e morbidezza

Dolce, non troppo sapida, dopo l’assaggio permane un piacevole aroma di carne e spezie

cod 78031 | peso 11 kg circa

cod 79128 | peso 8 kg circa

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Abbinamenti a quattro mani

IL PROSCIUTTO

Matteo De Santi è laureato in Economia Aziendale a Pisa, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari ed è Export Manager in Valsana

Una rubrica a quattro ma degli abbinamenti

di Matteo De Santi

Ed eccoci qua di nuovo pronti a partire per un nuovo anno di abbinamenti, che stavolta non farò da solo. In questo nuovo viaggio il prezioso sommelier di Valsana, Enrico De Conto, mi affiancherà nella ricerca del miglior abbinamento con l’obiettivo di dimostrare che i toscani e i veneti hanno in comune molto di più oltre all’alcol e alle blasfemie. Quindi per questa puntata batto io e partiamo col Prosciutto Toscano DOP! Il prosciutto toscano non è salato! Attenzione a non confondere sapidità con sale, perché il prosciutto toscano ha un vino in concia e una speziatura (pepe in primis) differenti dagli altri. Ciò lo rende solitamente molto più intenso al palato, ma non a caso. È sempre una questione di equilibrio delle alimentazioni. Aldilà della stagionalità, le tradizioni diventano tali quando si adeguano alle materie prime e alle possibilità. Nello specifico del prosciutto toscano, a un pane senza sale. Ma si capisce che la via della tolleranza è quella migliore, quindi per fronteggiare bocche sensibili il nostro produttore Meoni seleziona cosce di dimensione maggiore per permettere a concia e spezie di non essere mai coprenti nel gusto, bensì compagni fedeli in stagionatura.

RICETTA Chiudendo gli occhi e tornando in Toscana questa volta vi propongo un utilizzo tanto semplice quanto goloso. Versate nel piatto dell’olio extra vergine d’oliva, il più “nuovo” possibile, e bagnateci un paio di fette di prosciutto crudo. Scaldate del buon pane e adagiate le fette unte del prosciutto, ed ecco fatto. Un panino con un solo ingrediente che basta e avanza per riempirvi la bocca di sapori ed esclamazioni come: “maremma com’è bono!”

VERDURA Visto che siamo ancora in stagione e visto che secondo me è una verdura straordinaria d’inverno, vi suggerisco l’abbinamento del crudo toscano con il cavolo nero. Reso famoso dalla ribollita non sfigura assolutamente in molte altre preparazioni e farebbe al caso nostro come ingrediente per un flan, una pasta, fritto, involtini... Insomma vi lancio la sfida di abbinarlo con le diverse tecniche possibili al prosciutto Toscano. Carnoso, dolce se confrontato con altri cavoli, l’abbinamento c’è, adesso la ricetta sceglietela voi.

FRUTTA Kiwi. Strano vero? In realtà potrebbe essere una rivelazione. Divertitevi ad abbinare in un tagliere di salumi il Prosciutto Toscano ai kiwi e vedrete che il suo sapore dolce-acidulo si sposa molto bene con la sapidità e speziatura del crudo

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PROSCIUTTO T

Prosciutto di dimensioni scotennatura a forma di di pepe nero. La fetta, d chiaro, presenta un be e magro, le cui caratte sapidità si bilancia

Stagionatura: a

codice 79190 con codice 79191 disos


TOSCANO DOP

Enrico De Conto è laureato in Tecnologia Alimentare a Udine, è un grande appassionato di vini e sommelier FISAR, si occupa di Acquisti in Valsana

ani per esplorare il mondo di cibo e bevande

TOSCANO DOP

i importanti, dalla tipica i V rovesciata e ricoperta di colore rosso mattone ell’equilibrio di grasso eristiche di dolcezza e ano perfettamente

almeno 18 mesi

n osso | peso 9 kg ssato | peso 8 kg

di Enrico De Conto

Suggestioni: Claude Monet, 1866, Colazione sull’erba. Le soluzioni idroalcoliche mi piacciono, o meglio, sono innamorato del loro sinonimo: “incontro”. Che si parli di persone o piatti, le bevande fungono da anello di congiunzione. Bilanciano un gusto o una discussione, ripuliscono il palato e ingrassano le risate. La presenza non è obbligatoria, ma gradita. Buon viaggio!

CHAMPAGNE BLANC DE NOIRS AOC

VITOVSKA CARSO DOC

Come primo passo vi suggerisco uno Champagne prodotto solo con uve a bacca nera. L’ingannevole fragilità di questo prodotto d’oltralpe ben si accompagna alla tendenza dolce del Prosciutto Toscano, affrontandone anche la parte grassa grazie alla freschezza che lo caratterizza. Anche a Queen Elizabeth, la quale è solita sorseggiare un bicchiere di champagne prima di coricarsi, suggerirei l’abbinamento con questo prosciutto!

Vino estremo, vino di confine. Ci troviamo nel Carso, terra di roccia e grandi produttori. L’ingresso al palato di sua maestà Vitovksa è fresco, vibrante. Le sfumature olfattive di camomilla ed erbe officinali ben si accompagneranno ai profumi delicati del prosciutto toscano. Tuttavia, non facciamoci ingannare dall’eleganza spesso sconcertante di questo vino, il carattere c’è e non ha paura della tessitura fitta dell’amico pistoiese.

Zona: Champagne, Francia

Zona: Carso, Friuli Venezia Giulia

Intensità:

Intensità:

CHIANTI DOCG

BIRRA LAGER

Si parla di Toscana e condivido queste pagine con un lucchese: se non faccio l’abbinamento regionale vengo sfrattato! Per l’accompagnamento di questo prosciutto suggerirei un Chianti giovane, fresco e leggermente tannico. La lieve speziatura del prosciutto ben si sposa con il sottofondo aromatico del sangiovese, dove le note di frutti rossi posano su una base di cuoio e pepe. Dall’aperitivo al dopo cena, passando per un panino senza sale.

Non scomoderei abbinamenti brassicoli troppo resinosi, acidi o alcolici. Vi suggerisco una birra lager, ma attenzione alla qualità! Erroneamente siamo soliti cadere nella trappola del binomio lager-scarsa qualità. Scegliete una birra con un naso pulito, senza spigolosità. Al palato dev’essere fresca, con un’effervescenza non aggressiva e un retrogusto amarognolo. Anche in questo caso, immagino un sorso a servizio del toscano protagonista.

Zona: Chianti, Toscana

Stile: Repubblica Ceca

Intensità:

Intensità: VALSANA | 17


Come si riconosce?

L’AFFUMICATURA Come riconoscere un prodotto affumicato in modo tradizionale da uno aromatizzato con fumo liquido? Giorgia Barbaresco è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari a Udine ed è Responsabile Qualità in Valsana dal 2007

di Giorgia Barbaresco

LA STORIA Probabilmente si tratta della più antica tecnica di conservazione utilizzata dall’uomo, risale a circa 90.000 anni fa ed è legata alla scoperta del fuoco. E’ verosimile che casualmente l’uomo che appendeva nelle caverne la carne per sottrarla agli insetti, avesse notato che quella appesa sopra il fuoco si conservava meglio e più a lungo, oltre ad avere un sapore migliore. Anche successivamente, nelle tradizioni rurali, era consueto appendere nel camino pezzi di carne e salsicce, perchè in questo modo era possibile conservarle più a lungo senza doverle consumare subito. Inizialmente quindi, lo scopo era quello di aumentare la conservabilità degli alimenti e questo avveniva attraverso l’essiccamento della superficie degli stessi e per il depositarsi di composti con azione antimicrobica, oltre al fatto che la vicinanza al fuoco innalzava la temperatura abbastanza da ridurre anche la carica batterica superficiale.

ARINGA AFFUMICATA SCIOCCA Filetti di aringa argentata, affumicati a freddo e delicatamente salati. Pronti all’uso, non necessitano di interventi di desalatura. Ottimi a trancetti su un piatto, conditi con un filo d’olio extravergine di oliva e prezzemolo fresco, accompagnati a piacere da cipolla cruda cod 94130 | filetto da 130 g cod 94132 | busta da 1 kg

Nell’età della pietra, le comunità che popolavano le coste erano circondate da una fonte infinita di pesci, ma in alcuni periodi dell’anno la pesca poteva essere piuttosto scarsa, avevano quindi bisogno di trovare un modo per ottenere scorte di cibo e l’affumicatura dava loro la possibilità di avere una fonte proteica anche in questi mesi. Dall’utilizzo di questa tecnica per conservare i cibi in ambito “casalingo” e poterli consumare anche “fuori stagione” o lontano da casa, si è passati intorno al XVI secolo a utilizzarla per rendere commercializzabili prodotti piuttosto deperibili, spesso abbinandola alla salagione, per giungere ai giorni nostri in cui, non avendo più le stesse necessità di conservazione degli alimenti, il processo VALSANA | 18

di affumicatura viene per lo più utilizzato per conferire all’alimento caratteristiche sensoriali particolari. LA CHIMICA Il fumo è il prodotto della combustione lenta e incompleta del legno, in assenza di fiamma e in atmosfera povera di ossigeno. Contiene oltre 200 composti chimici e purtroppo fra questi ci sono anche gli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici), in particolare il benzoapirene e il benzoantracene, che devono essere tenuti sotto controllo perchè ritenuti cancerogeni. Per questo, rispetto a un tempo, il processo di affumicatura deve essere costantemente monitorato controllando: • la quantità di ossigeno della camera di affumicamento: più l’ambiente è areato e meno IPA si formano • densità e umidità del fumo • durata dell’esposizione • la temperatura dell’affumicatoio: più è elevata più è favorita la formazione di composti cancerogeni. Da quasi 20 anni l’Europa ha fissato i limiti massimi di IPA che possono essere rilevati negli alimenti affumicati per poter garantire al consumatore un prodotto sicuro e nel 2014 i limiti sono stati più che dimezzati. Un tempo gli affumicatoi erano costituiti da un’unica camera dove veniva bruciata la segatura o la legna e nella quale erano anche appesi i prodotti, oggi invece i generatori di fumo sono distinti dalla camera di affumicatura, questo garantisce migliore igiene e salubrità. Spesso l’affumicatura è preceduta dalla salatura, che aumenta la disidratazione, contrasta la crescita dei microrganismi e conferisce maggior sapore.


TECNICHE DI AFFUMICATURA

A CHE TEMPERATURA?

PER QUALI ALIMENTI?

a freddo

l’alimento viene riscaldato a una temperatura compresa tra i 20°C e i 25°C, con una umidità relativa del 70%; la durata del trattamento può protrarsi per giorni

viene utilizzato per derrate semigrasse, come salmone, aringa, pesce spada;

semicaldo

l’alimento viene riscaldato a una temperatura compresa tra i 25°C e i 45°C, con una umidità relativa del 75%

viene utilizzato per prodotti come bacon, lardo, pancetta

a caldo

l’alimento viene riscaldato a una temperatura compresa tra i 50°C e i 90°C per un breve arco di tempo, generalmente poche ore

viene utilizzato per prodotti di pronto consumo, sgombro, trota

I PRODOTTI Uno dei prodotti che, per tradizione, viene più frequentemente affumicato è il salmone. Nel nostro territorio nazionale la più nota è probabilmente l’aringa, un piatto antico che permetteva di superare gli inverni, integrando diete povere di proteine e per i credenti di rispettare la morale ecclesiale che imponeva l’astinenza dalle carni il venerdì e durante la Quaresima. Parlando di prodotti ittici affumicati non dimentichiamo anche tonno, pesce spada, sgombro, marlin e cefalo, forse meno presenti nella tradizione locale ma che sono sempre più diffusi. Oltre al pesce anche le carni (speck, pancette, wurstel) e i formaggi (ricotta, provola, scamorza) sono alimenti che tradizionalmente nel nostro Paese vengono affumicati. LE TECNICHE Le tecniche utilizzate per conferire un aroma di affumicato sono quella “tradizionale” utilizzando fumo naturale di legna e piante o spezie oppure con “fumo liquido”. La tecnica tradizionale prevede l’utilizzo di affumicatoi, sottoponendo il prodotto a periodi più o meno lunghi di esposizione a fumo di legna prodotto in appositi bruciatori a partire da miscele di trucioli di legna (es. quercia, castagno, noce, acacia, faggio, ecc) a volte integrando con piante aromatiche (timo, alloro, maggiorana, rosmarino, ecc.) e si distingue in tre tipologie a seconda della temperatura della camera e di conseguenza del prodotto: a freddo, semicaldo, a caldo. Questa tecnica deve essere effettuata tenendo i parametri sempre sotto controllo per evitare l’accumularsi delle sostanze cancerogene e soprattutto richiede molto tempo, un aspetto che oggigiorno l’industria tiene molto in considerazione per contenere i costi. Inoltre è considerata essenzialmente una tecnica di aromatizzazione degli alimenti ed è abbinata a uno o più sistemi di

conservazione (confezionamento sottovuoto o utilizzo di conservanti). Questi aspetti hanno portato l’industria alimentare a utilizzare un aroma per conferire un sapore di affumicato chiamato “fumo liquido” abbinato spesso all’utilizzo di conservanti per prolungare la conservazione del prodotto stesso e riducendo sensibilmente il calo del peso che si ha a opera dell’inevitabile essiccamento del prodotto affumicato in modo tradizionale. Il fumo liquido fu commercializzato per la prima volta nel 1895 da E.H. Wright, con il nome di “fumo condensato”. Oggi ne viene fatto largo utilizzo in America, per la produzione di circa l’80% degli alimenti affumicati, mentre in Europa l’impiego è ancora piuttosto limitato. Per la produzione di questa sostanza aromatizzante vengono utilizzati legni selezionati che vengono mandati in combustione e il fumo prodotto a una temperatura di 300-400°C viene condensato con acqua fredda, depurato e filtrato. Il prodotto finale è un liquido denso e scuro, ricco di sostanze aromatiche e povero di tutte le sostanze indesiderate che il fumo “classico” potrebbe apportare. Una volta ottenuto, il fumo liquido si può utilizzare iniettandolo nel prodotto oppure per immersione o nebulizzazione. Figura 1: etichette di würstel con affumicatura tradizionale e con fumo liquido a confronto; la dicitura würstel (come speck) comprende già il concetto di affumicatura

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L’ETICHETTA Come si può distinguere un prodotto affumicato in modo tradizionale da uno “aromatizzato” con il fumo liquido? Anche in questo caso l’etichetta può darci un’indicazione del metodo utilizzato per “aromatizzare” il prodotto. Con il Regolamento sull’etichettatura (REG. UE 1169/2011) e in particolare con l’allegato VI è stato introdotto l’obbligo di aggiungere alla denominazione dell’alimento anche un’indicazione dello stato fisico nel quale si trova il prodotto o dello specifico trattamento che ha subito, quindi se un alimento viene sottoposto ad affumicatura con fumo naturale troveremo in etichetta la dicitura “Affumicato”. L’articolo 18 dello stesso regolamento impone che in etichetta siano riportati tutti gli ingredienti che compongono l’alimento in ordine decrescente di peso inoltre l’allegato VII prevede che gli aromi siano designati con il termine “aroma(i)” e nel caso specifico del fumo liquido con il termine “aroma(i) di affumicatura” o “aroma(i) di affumicatura ricavato(i) da un prodotto/da prodotti, da una categoria o una base/da basi alimentari”.

Figura 2: etichette di pancette con affumicatura tradizionale e con fumo liquido a confronto


Letteratura tra i fornelli

PELLEGRINO ARTUSI Danilo Gasparini è docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova e al Master in Cultura del cibo e del vino di Ca’ Foscari ed è ospite e consulente fisso per Geo&Geo su Rai 3

ANTIPASTO

La storia di un paese può essere raccontata in tanti modi: attraverso i suoi paesaggi o i capolavori d’arte, la musica, la letteratura. Ma se c’è un modo che ci permette di “gustare” la nostra storia è quello di raccontare la cucina, il cibo, le mille tradizioni legate a un Paese come l’Italia che non ha una cucina nazionale, ma ha una fantasia di cucine territoriali straordinaria. E tanti sono i testimoni che nel corso dei secoli hanno narrato questo gustoso mosaico: cuochi, gastronomi, buongustai, giornalisti, letterati… Quest’anno cercheremo di proporre i ritratti di alcuni di questi testimoni del mangiare “italiano”. Buon appetito!

Chi era davvero, e perché il suo manuale di gastronomia, scritto nel 1891, è ancora una pietra miliare della cucina italiana. Ecco la sua storia (che non conosci)

di Danilo Gasparini LA VITA Cominciamo da lui, il più noto, di cui si celebrano proprio quest’anno i duecento anni dalla nascita. Scrive nella sua autobiografia, alla “barbogia età” di 82 anni: “Nacqui in Forlimpopoli ai 20 di agosto del 1820 da Agostino e da Teresa Giunchi nata da buona famiglia di Bertinoro. Mio nonno Francesco, esercitava l’arte del muratore. Nell’arte medesima aveva iniziato mio padre ma… giunto all’età di 18 anni gettò in un canto la martellina, lo sparviere, la cazzuola ed il giornello… Prima operazione fu di aprir una bottega che in una città avrebbe il nome di drogheria”. Pellegrino frequenta il seminario vescovile della vicinissima e papalina Bertinoro, poi studi a Bologna dove si appassiona ai classici. Ritornato in famiglia, aiutò il padre nel suo mestiere, e fra libri e droghe condusse vita tranquilla fino ai trent’anni. Ma una tragedia sconvolge la tranquilla vita familiare. La sera del 25 gennaio 1851 la banda di malfattori guidata dal famoso Stefano Pelloni, detto “il Passatore”, fece irruzione in Forlimpopoli terrorizzando e imponendo taglie di ogni sorta. Anche la famiglia Artusi ebbe a subire la violenza e il saccheggio dei briganti (una sorella fu ferita e un’altra impazzì per il terrore). In seguito a questo episodio la famiglia decise di abbandonare quelle terre infestate dai banditi e nel 1852 si trasferì a Firenze. L’Artusi trovò occupazione a Livorno presso un’importante casa commerciale e, fattosi molto esperto in affari, fondò un Banco di sconto a Firenze che gli diede buon nome e ricchezza. Si ritirò, a 50 anni, a vita privata, assieme ai fidati servi e cuochi Marietta

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Sabatini e Francesco Ruffilli e si dedicò alla scrittura. Dopo alcuni insuccessi - una Vita di Ugo Foscolo ad esempio - pubblica nel 1891, a sue spese perché snobbato dagli editori, “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene”. Un successo di pubblico enorme! Passerà poi gli anni a curare e aggiornare le numerose edizioni dell’opera, quindici prima della morte che avverrà improvvisamente il 30 marzo 1911. L’OPERA Si diceva: la prima edizione è del 1891 e contiene 475 ricette, che spaziano dagli antipasti (principii) fino ai dolci; l’ultima, la quindicesima, del 1911, ne contiene 790, tutte rigorosamente numerate. Cosa è successo? Pellegrino si occupa di tutto, tiene una meticolosa contabilità e spedisce personalmente la sua opera in tutta Italia, attuando una sorta di self-marketing, spedendo in omaggio copie alle associazioni dei migranti italiani all’estero. Mette in moto una sorta di social-cook con i suoi lettori e lettrici, che con il passaparola, diremmo likes oggi, decretano il successo dell’opera. Pellegrino Artusi, piazza d’Azeglio 25, Firenze non è solo l’indirizzo presso cui ordinare l’opera, ma diventa una sorta di moderno dominio, un brand. Il tutto (lettere, cartoline, appunti) è conservato a Casa Artusi a Forlimpopoli dove da anni si celebra la Settimana Artusiana. Tutte le ricette, che gli arrivano da questa rete, vengono testate dalla sua microbrigata (i suoi due cuochi domestici Marietta Sabatini e Francesco Ruffilli) e inserite solo dopo averne controllato qualità e fattibilità. Alla sua morte, avvenuta nel 1911, egli, non avendo figli,


«Il mondo ipocrita non vuol dare importanza al mangiare; ma poi non si fa festa, civile o religiosa, che non si distenda la tovaglia e non si cerchi di pappare del meglio» Pellegrino Artusi 1820-1911

e cerca di costruire un gusto gastronomico nazionale, riconducendo ad un unicum le infinite differenze regionali e locali, una cucina fusion! E se è vero che il nucleo L’opera conta 111 edizioni, con oltre un milione centrale appartiene all’area tosco-romagnolodi copie vendute. Dopo la morte dell’autore bolognese e solo una trentina provengono il libro non è più stato aggiornato: l’edizione giorno lun 13 gen 2020 alle ore 20:07 Federico Tramonte <dr.tram@gmail.com> scritto: dal “resto d’Italia” e altreha poche dall’estero, disponibile in commercio è identica a quella italiano è il lessico, il linguaggio, fluido, iao Elisa, del 1911. Sono state pubblicate traduzioni elegante, armonioso colloquiale: irei che è tutto chiaro, domani ti preparo una prova di stile in modo da capiree quale stradainsomma percorrere. dell’Artusi in numerose lingue: inglese, unifica gli italiani a tavola più di quanto non olandese, portoghese, spagnolo, tedesco, abbiano fatto I Promessi Sposi di Alessandro iguardo al preventivo, il prezzo è diparziale), 350€ a illustrazione, francese (traduzione russo. Ne 2000€ per il gruppo di sei. Il libro più famoso e letto Manzoni. Elimina francesismi, anglicismi, anche per smartphone. ammi sapere esistono se ti torna ed edizioni eventualmente ti chiederei anche i dati della vostra per intestare il preventivo. sulla cucina italiana, da cui termini dialettali… traduceazienda e adatta! tutti i grandi cuochi hanno PERCHÉ TANTO SUCCESSO? Straordinario esempio di opera dinamica e razie mille, a domani, tratto ispirazione. aperta, la Scienza diffonde nelle case degli ederico Per più ragioni. La prima, resa esplicita nel Tre i motivi del successo: italiani un modello di lingua fiorentina fresca titolo, è la presa d’atto che la scienza è entrata e viva, ma insieme corretta e controllata, (1) la scienza in cucina: in cucina: tecnologia e chimica, applicate alla sensibile alla tradizione letteraria. Non solo: introduce nelle ricette gastronomia cominciano ad assumere le diventa una sorta di lascito testamentario, concetti di chimica e forme della nascente industria alimentare. che passa di generazione in generazione e tecnologia caso alle a fine si diffondono i continua ad affascinarci. giorno lun 13Non gena2020 oreOttocento 10:16 Elisa Magro - Valsana <emagro@valsana.it> ha scritto: (2) eleva i piatti contadini primi forni elettrici e nel 1913 si inventa il E in tempi come questi, caratterizzati da una della festa a piatti quotidiani frigorifero. Insomma, cavalca le novità senza bulimia cuciniera e gastronomica, un consiglio: Ciao Federico,dimenticare il passato. (3) riunisce in un’unica opera spegnete la tivvù, oscurate internet , zittite i ti giro come da accordi degli esempi di fumetti. le diverse cucine regionali Dal punto di vista gastronomico compie social, prendete la Scienza in cucina e l’arte di Leggono in copia le colleghe del marketing. un’operazione straordinaria: eleva i piatti mangiar e leggete, con lentezza, una ricetta al L’ultima edizione, del 1911, contadini della festa a piatti quotidiani per giorno: imparerete l’arte di allargare la vita… contiene 790 ricette. Come ti dicevo al telefono magazine è bimestrale. Le uscite, e quindi i una nascente ilborghesia cittadina, omologa con gusto. lasciò in eredità ai suoi due domestici i diritti d’autore dell’opera, con i quali essi poterono vivere di rendita, diritti che scaddero nel 1961.

personaggi da disegnare saranno 6.

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Come si fa

IL GORGONZOLA È SERVITO Giulia Bassetto è laureata in Commercio Estero, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari a Venezia e si occupa di Marketing in Valsana

GORGONZOLA DOP · LA TOSI AL CUCCHIAIO Formaggio DOP erborinato di straordinaria cremosità per servizio a cucchiaio. La crosta è rugosa e leggermente rosata, la pasta è cremosa, di colore paglierino scarico, screziata per lo sviluppo di muffe. Il gusto è estremamente dolce, con sensazioni lattiche e di frutta matura; l’erborinatura è accattivante ma mai invadente. Da provare abbinato a frutta secca come noci, frutta fresca ad esempio piccoli frutti rossi o pere, con del sedano o sulle patate lesse, su una fetta di pane caldo o anche con del cioccolato fondente. cod 20901 | peso 6 kg ca anche senza scatola (20908)

Formaggio erborinato e dalle grandi dimensioni: cosa è bene fare e cosa è meglio evitare nella gestione del Gorgonzola DOP al cucchiaio di Giulia Bassetto Il Gorgonzola al cucchiaio, chi non lo ama? Un po’ perché la mezza forma fa sempre un gran bel figurone sul banco, un po’ perché chiunque lo conosca sa che una volta assaggiato è impossibile fermarsi. Ne so qualcosa perché soffro proprio di questa piccola dipendenza! Scherzi a parte, è fuor di dubbio che il Gorgonzola al cucchiaio sia un formaggio che sa conquistare anche i più scettici. Ormai conosciamo La Tosi al cucchiaio da moltissimo tempo, un formaggio nato nel 2010 circa, a partire dal bisogno di gestire forme di Gorgonzola dolce un po’ più morbide e dallo scambio di idee tra il Caseificio Tosi e Gino Magro (uno dei pilastri fondatori di Valsana): tutto il resto è storia! Si differenzia dal semplice Gorgonzola dolce per la maggiore cremosità della pasta che regala una sensazione di eccezionale dolcezza al palato, ben bilanciata dalle note piccanti ma delicate che si sprigionano in presenza delle muffe. Per mantenere l’equilibrio dei sapori, Tosi utilizza dei ceppi di muffe particolarmente delicati e mai invadenti. La lavorazione, del tutto manuale, è la stessa del Gorgonzola dolce: il latte dopo essere pastorizzato viene addizionato di fermenti lattici e di Penicillium Roqueforti, una coltura di spore selezionate responsabile dello sviluppo delle tipiche muffe. Quindi si procede con la cagliatura del latte e una volta ottenuta la cagliata, questa viene rotta delicatamente in due fasi fino a raggiungere pezzi delle dimensioni di una mano circa. Si passa quindi alla cavata, quando la cagliata viene spostata dalla caldaia alle tele per un primo spurgo. Il passaggio successivo è l’insacco, ossia lo spostamento della cagliata negli stampi. Seguono quindi il rivoltamento delle forme e la salatura a secco. Dopo un riposo di una decina di giorni in celle a temperatura VALSANA | 22

e umidità controllata, le forme vengono forate così da permettere all’ossigeno di entrare e al panicillium di svilupparsi, dando vita alle tipiche venature. Infine, la stagionatura di 3 mesi circa nonostante il Consorzio del Gorgonzola preveda una stagionatura minima di 50 giorni. Ed è proprio questo che fa la differenza: la cremosità della pasta non è data dalla scarsa stagionatura e quindi dalla maggiore presenza di acqua nel formaggio, bensì l’esatto contrario, quindi da una buona maturazione che genera una maggiore proteolizzazione. A questo punto le forme più morbide vengono selezionate manualmente e tagliate a metà orizzontalmente, pronte per essere esposte sul banco e servite al cucchiaio. Perciò veniamo al dunque: avete acquistato una mezza forma di Gorgonzola Dop La Tosi al Cucchiaio e volete essere sicuri di conservarlo al meglio affinché mantenga le sue caratteristiche e magari duri anche un po’ di più? Ecco, qui entriamo in gioco noi, che con l’aiuto di Andrea del Caseificio Tosi, abbiamo stilato una piccola lista di utili accorgimenti. 1 | LA CONSERVAZIONE Questa è la parte più importante e vanno tenuti in considerazione più fattori: · temperatura: il gorgonzola non ama gli sbalzi di temperatura! Se ritenete di aprire e finire la mezza forma nell’arco della giornata, potete anche tenerla fuori dal banco frigo (purché la temperatura esterna lo permetta); abbiamo sperimentato personalmente la buona tenuta. Se invece avete la consapevolezza che non lo finirete con estrema velocità, conservatela in frigo o nel banco, a +4 +6 °C · ossigeno: vi suggeriamo di non scoprire


La Gorgonzola tutto l’orologio, ma di servire e scoprire il formaggio ragionando idealmente in termini di spicchi così che mantenga inalterate le caratteristiche e non prenda troppo ossigeno. Coprite la superficie che non utilizzate con il foglio bianco di ovtene® che trovate in dotazione assieme al gorgonzola. Quest’operazione è in ogni caso fondamentale a fine servizio: proteggete la superficie del gorgonzola facendo aderire bene il foglio di ovtene® alla pasta, evitando così la formazione di liquidi

L’usanza locale è di parlare al femminile riferendosi al Gorgonzola; nel caso di La Tosi A Cucchiaio l’attributo femminile è perfetto per descriverne il carattere dolce, sinuoso e aggraziato

· odori: il gorgonzola è un formaggio piuttosto grasso e questa sua caratteristica facilita la possibilità che gli odori si fissino sulla pasta. Vi consigliamo di tenerlo a banco separato da prodotti di gastronomia, soprattutto quelli dai profumi più intensi come il baccalà. 2 | GESTIONE DI EVENTUALI PROBLEMATICHE E se non avete coperto bene il gorgonzola e il giorno successivo vi accorgete della presenza di liquido? Per prima cosa valutate la situazione: se il liquido è maleodorante e con una consistenza vischiosa sicuramente il prodotto è ormai irrimediabilmente alterato. Altrimenti si tratta solo di un po’ di siero: basterà asportare la parte interessata... E cercare di non ripetere più l’errore! E se il gorgonzola appena ricevuto presenta una leggera muffa bianca sulla superficie? In generale sulla crosta si sviluppano prima le muffe bianche e solo successivamente quelle grigie. Con molta probabilità durante il taglio a metà della forma alcune muffe sono migrate dalla crosta alla pasta. Non sono nocive e basterà raschiarle via. Sempre parlando di muffa, si ha un vero difetto solo quando la crosta si presenta molto rosata con una leggera diffusione di queste sfumature anche nel sotto crosta: significa che la maturazione è andata un po’ oltre e che l’acidità della pasta inizia a essere alterata. Infine, per evitare l’attivazione involontaria di processi fermentativi, fate attenzione a tenere il cucchiaio quanto più pulito possibile ed evitare rimescolamenti eccessivi della pasta. 3 | IL SERVIZIO Il gorgonzola al cucchiaio, come già detto in precedenza, è un formaggio dalla pasta molto cremosa e così anche la crosta è decisamente morbida. Questo significa che la pasta più vicina alla crosta è abbastanza difficile da rimuovere senza rischiare di riportare nella porzione che state servendo anche piccole parti di crosta, che vi ricordo, non è edibile. Il suggerimento è quello di servire il formaggio procedendo dall’esterno verso il centro, e praticare dei tagli verticali tra la pasta e la crosta così da facilitare il servizio e lavorare in un modo visivamente pulito e ordinato.

Ovtene®, cos’è? Imballo alimentare innovativo che ritarda i processi di alterazione alimentare. E’ costituito per il 60% da minerali inerti e per il 40% da polietilene. E’ 100% riciclabile nella plastica. Fonte: ovtene.it


Cibo dal mondo

TAPAS Versione spagnola di aperitivo e cicchetti? Non proprio. Icona della cucina spagnola minimalista, le tapas hanno una storia, un ruolo sociale e una ricca tradizione regionale. Ce le racconta Vittorio Castellani

Vittorio Castellani è giornalista freelance di gastronomia e viaggi, food designer, organizzatore di eventi e formatore

di Vittorio Castellani

ilgastronomade.com @chefkumale

Per ogni turista e viaggiatore in transito o in vacanza in Spagna, la triade paella, sangria y tapas rappresenta i piatti bandiera della tradizione iberica. Queste ultime in particolare stanno vivendo il loro momento di gloria, ma cosa sono esattamente le tapas e come stanno cambiando? Per uno straniero non è facile comprendere l’importante ruolo sociale svolto da questi piccoli gioielli della cocina en miniatura. Spesso non conosciamo la ricchezza di varietà regionali, la loro funzione e spesso neppure l’origine del nome.

TAPAR Secondo alcuni il termine tapas deriverebbe dall’abitudine del banconista di un tempo di cacciare (tapar) le mosche che si posavano su queste prelibatezze. Secondo altri, dal fatto che i piatti contenenti le diverse specialità esposte in bellavista al bancone (barra) del bar, venivano coperte (tapar) da campane di vetro protettive.

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COCINA DELLA BARRA E DE LA MESA L’errore più comune che compie chiunque si trovi a entrare in un tapas bar è quello di scambiare il rito delle tapas con un pranzo o una cena light. E invece non è così. Le tapas rappresentano un intermezzo ludico, una distrazione irrinunciabile tra l’impegno lavorativo e la vita in famiglia. Al tapas bar ci si va per incontrare gli amici, nel tragitto tra casa e lavoro, per chiacchierare piacevolmente con loro di amori, di sport, di politica o de lo que sea… E’ un pretesto per bere una birretta gelata (caña), un bicchiere (chorro) di vino, un Vermuth, ma non è

un sostitutivo del pasto che si consuma a casa. Gli spagnoli distinguono infatti nettamente tra la cocina della barra, quella del tapas bar appunto, da gustare rigorosamente in piedi appoggiati al bancone o appollaiati sullo sgabello, e la cocina de la mesa (tavola), da gustare con i propri cari, comodamente seduti con le gambe sotto il tavolo. E poiché gli amici non frequentano tutti lo stesso tapas bar, perché hanno le loro preferenze, o semplicemente


PULPO A FEIRA GILDA Una banderilla o pincho basco (in Euskadi le tapas si chiamano pintxos) a base di un peperoncino verde (guindilla), acciuga del Cantabrico e oliva verde

per gustare le specialità di ciascun locale, che ama farsi concorrenza sfoggiando la miglior barra de tapas, se ne frequenta più di uno, solitamente due o tre, se il tempo lo permette. LE RUTAS DE TAPAS Molte città hanno creato così le rutas de tapas, percorsi tracciati per i viaggiatori golosi per celebrare il rito del tapear, includendo i migliori locali con le loro chicche. Come dicevamo, ogni locale vanta le sue tapas più gettonate e si sforza di migliorarle, selezionando le migliori materie prime o giocando sull’estro creativo del cocinero. La nueva hola gastronomica spagnola, iniziata con Ferran Adrià, ha rivoluzionato anche questo semplice elemento della cucina minimalista, trasformandolo in un esercizio stilistico di alta cucina oggetto di concorsi importanti come il Concurso Nacional y Campeonato Mundial che si svolge ogni anno a Valladolid. Oggi il potere attrattivo delle tapas è diventato un elemento importante per interi quartieri di città come San Sebastian, La Coruña o Barcellona e le amministrazioni locali e i Ministeri puntano proprio su questa testa d’ariete per far conoscere la ricchezza dei prodotti tipici delle diverse regioni spagnole, poiché le tapas più semplici si basano proprio sulla valorizzazione e l’assemblaggio di prodotti d’eccellenza, fatto ovviamente con gusto, tenendo come punto fermo la loro abbinabilità. Basti pensare al pulpo a feira, a base di polpo galiziano di roccia bollito nel suo bouillon , olio extravergine d’oliva, fleur de

Tapa a base di polpo galiziano di roccia bollito nel suo bouillon, olio extravergine d’oliva, fleur de sal e pimenton de la Vera

sal e pimenton de la Vera, o alla gilda, una banderilla o pincho basco (in Euskadi le tapas si chiamano pintxos) a base di peperoncino verde (guindilla), acciuga del Cantabrico e oliva verde. Irresistibile! In altri casi la tapa non è un semplice assemblaggio di materie prime, ma un piatto cucinato, in micro porzioni. DIA MUNDIAL DE LA TAPA Le tapas hanno assunto un ruolo così importante di promozione delle diverse culture regionali e dei loro prodotti tipici che il Ministero del Turismo spagnolo s’è inventato il Dia Mundial de la Tapa, che si celebra il 20 giugno in ogni tasca y bodega della Spagna e in tutto il mondo!

ACCIUGHE CANTABRICHE “MARIPOSA”

ACCIUGHE CANTABRICHE “00”

Filetti interi di acciughe cantabriche uniti dalla parte della coda che ricordano una farfalla (mariposa) in olio extra vergine d’oliva di varietà Arbequina

Filetti di acciughe cantabriche di buona dimensione e piacevole carnosità in olio evo. La sapidità è appena accennata e si accentua nel finale

cod 93697 | latta da 105 g

cod 93677 | vaschetta da 100 g

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Idee per il menù bambini

LE POLPETTE DELLA PERI Un secondo piatto a base di legumi a misura di bambino: stuzzicante, facile da mangiare e genuino Kids foodblogger e autrice del libro “Bimbe e bimbi a tavola”, Elisa Perillo, conosciuta in cucina come la Peri, si occupa di ricette sane per bambini e tiene regolarmente laboratori di cucina dedicati a loro. Ama usare ingredienti di qualità combinati in preparazioni semplici che incontrino il gusto dei piccoli commensali. periandthekitchen.com Facebook.com/ periandthekitchen Instagram: @periandthekitchen

di Elisa Perillo

Come stuzzicare il palato dei bambini proponendo loro ricette gustose, ma allo stesso tempo genuine negli ingredienti e nella preparazione? La sfida non è semplice perché richiede armonia tra ciò che può essere gradito e ciò che fa anche bene a livello di salute. E’ per questo che spesso nei locali legati alla ristorazione il cosiddetto “menù bambini” tende a strizzare maggiormente l’occhio al gusto, proponendo ricette collaudate ma non sempre adeguate da un punto di vista nutrizionale. Queste polpettine a base di fagioli cannellini possono essere una valida soluzione

FAGIOLI CANNELLINI AL NATURALE Lessati e conservati in acqua e sale teneri e burrosi al palato. Deliziosi in insalata o nelle zuppe oppure frullati direttamente nel vaso per ottenere delle creme cod 96206 | peso 200 g sgocciolato confezione da 6 pezzi

per offrire un secondo piatto genuino a base di legumi: i cannellini, infatti, hanno un sapore molto delicato che, abbinato ad altri ingredienti come mandorle, origano e concentrato di pomodoro, dà come risultato un piatto sfizioso e bilanciato. La ricetta, molto semplice da preparare, è anche facile da mangiare da parte dei bambini. Le polpette, croccanti fuori e morbide dentro, non richiedono l’intervento dei genitori e lasciano i piccoli autonomi nell’assaggio. Il piatto è indicato per bambini dall’anno di età in su.


iù Più facile è p

buono!

POLPETTINE DI FAGIOLI CANNELLINI

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VEGETARIANA INGREDIENTI 200 g di fagioli cannellini Natura DelSanto 2 patate lesse piccole 50 g circa di mandorle polverizzate 20 g di parmigiano grattugiato 20 g di pane grattugiato 70 ml di olio extravergine d’oliva 1 cucchiaino di concentrato di pomodoro origano q.b. pane e parmigiano grattugiati per l’impanatura q.b.

SANE RAGIONI

PER METTERE NEL MENÙ BIMBI LE POLPETTE DI CANNELLINI DELLA PERI

1.

Procedimento Lessate le patate e sciacquate bene i fagioli cannellini dal loro liquido di conservazione. Frullate i fagioli fino a ridurli ad una purea in modo tale da eliminare pezzettini e grumi. Trasferite i fagioli frullati in un robot da cucina e azionate il mixer insieme alle mandorle, precedentemente polverizzate, il pane e parmigiano grattugiati, l’origano, il concentrato di pomodoro e l’olio extravergine d’oliva. Aggiungete in una terrina anche le patate schiacciate con uno schiacciapatate e amalgamate tutto l’impasto. Formate delle polpette di piccole/medie dimensioni o dei burger un po’ schiacciati tipo cotolette, quindi passateli sull’impanatura a base di parmigiano e pan grattato. Distribuite le polpettine su una leccarda ricoperta da carta da forno e infornate a 180°/200° per circa 25 minuti, fino a che non risulteranno dorate. Girate le polpettine a metà cottura sul lato opposto. I tempi precisi di cottura possono leggermente variare da forno a forno: le polpettine dovranno risultare dorate e croccanti all’esterno e morbide all’interno.

2. 3.

Sono una valida alternativa vegetariana ai classici secondi piatti a base di carne o pesce Nascondono al loro interno ingredienti sani senza insospettire i più diffidenti Contengono anche mandorle, ottima fonte di grassi buoni

La Peri suggerisce... Potete servire le polpette ancora tiepide e proporle ai bambini come secondo piatto accompagnate da una verdura. Per gli adulti si possono offrire anche come finger food a inizio pasto, servite con un po’ di crema a base di avocado VALSANA | 27


Tecniche in cucina

RUOTE MEDITERRANEE GRATINATE

Anna Maria è cuoca e foodblogger. La sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo

LA GRATINATURA di Annamaria Pellegrino

“Invitare qualcuno a pranzo vuol dire incaricarsi della felicità di questa persona durante le ore che egli passa sotto il vostro tetto.”

E’ una frase che avrete sicuramente letto ed è frutto dell’ingegno di Anthelme Brillat-Savarin: il padre della moderna gastronomia e gastrosofia. Non fu mai un cuoco bensì un vero buongustaio e nel 1825, con profonda riluttanza, diede alle stampe il suo libro più famoso, “La fisiologia del gusto o meditazioni di gastronomia trascendentale”. Si presenta come una raccolta di 30 meditazioni, seguite da una rassegna di aneddoti che completano il volume e un percorso che dalla teoria arriva alla pratica della gastronomia. E’ un po’ quello che farà quest’anno la mia rubrica che, dopo due anni di ricette e “meditazioni” gastrosofiche, affronterà le tecniche della cucina, fondamentali per approfondire la conoscenza di un’arte come quella culinaria. Ogni chef, come ogni appassionato, deve dotarsi di un bagaglio indispensabile di conoscenze

che gli consenta di affrontare la realizzazione di ogni tipo di preparazione e, in primis, gli permetterà di non rovinare la materia prima, rischio direttamente proporzionale all’ego dello “spadellatore”. Oggi vedremo la gratinatura, una tecnica di cucina che serve a rendere croccante una pietanza, sia essa a base di carne, pesce, verdura o pasta, cospargendo il cibo, già parzialmente cotto, con pangrattato, olio e prezzemolo, oppure parmigiano grattugiato, besciamella e salse a base di formaggio, latte e panna. Il passaggio successivo sarà la cottura in forno, anche breve, a temperatura molto alta così che la superficie diventi dorata e croccante. E’ possibile gratinare qualsiasi pietanza e in qualsiasi stagione ed è anche possibile “mimare” una sorta di gratinatura, aggiungendo al momento del servizio una panatura profumata

e croccante, pane grattugiato tostato velocemente in padella con un filo di olio evo e qualche erba aromatica, così da aromatizzare un piccolo trancio di pesce cotto al vapore o un buon piatto di pasta. Le proposte “comfort” di questo mese vedono come protagonisti assoluti tre diverse tipologie di formaggio, così da giocare con il gusto e il colore, anche nell’abbinamento ad altri ingredienti. Un intero menù, dall’antipasto al secondo piatto, in compagnia dei seguenti formaggi: il profumatissimo Gratin Blue, un formaggio erborinato a latte vaccino prodotto in Piemonte dal Caseificio Rosso, il saporito Trentingrana Dop prodotto solo con latte trentino e invecchiato almeno 22 mesi del Caseificio di Rumo (TN) e il morbido Primiero fresco, a latte crudo e a pasta semicotta. Bon Appétit!


RUOTE MEDITERRANEE GRATINATE PORTATA primo piatto DOSI per 4/6 persone DIFFICOLTÀ: semplice PREPARAZIONE: 10’ COTTURA 10’ INGREDIENTI per la pasta 500 ml latte 250 g pasta tipo ruote 250 g Primiero fresco 30 g di amido di mais 15 falde di pomodoro essiccato 2/3 cucchiai di capperi origano secco olio evo sale

INGREDIENTI per il crumble 50 g farina 50 g burro 40 g Trentingrana pepe nero

PROCEDIMENTO Amalgama il burro, il parmigiano grattugiato, la farina e profuma con abbondante pepe nero. Distribuisci il composto in una teglia rivestita di carta forno e cuoci nel forno ventilato già caldo a 190° per circa 15’, sbriciola con una forchetta a metà cottura. Sforna e porta il forno a 220°. Cubetta il pomodoro essiccato e il Primiero fresco e lessa in abbondante acqua salata la pasta, avendo l’attenzione di lasciarla al dente (che la pasta troppo cotta, oltre a non essere buona, alza l’indice glicemico). Scola, mescola con il pomodoro, i capperi, l’origano e un cucchiaio di olio. In un pentolino stempera l’amido con qualche cucchiaio di latte, aggiungi il latte restante, profuma con un po’ di pepe, porta quasi a bollore, unisci il formaggio e mescola fino ad ottenere una crema. Lontano dal fuoco unici la pasta, trasferiscila in una teglia e gratina nel forno già caldo a 220° per 15’ (o fino alla doratura). Sforna, spolvera con il crumble e servi immediatamente.

UOVA IN COCOTTE CON GRATIN BLUE E POLVERE DI PORCINI Ingredienti 4 uova bio 400 g di champignon 30 g di funghi porcini essiccati 200 g di Gratin Blue 100 g di panna (o panna acida) 30 g di Trentingrana gratuggiato un paio di rametti di timo 1 spicchio d’aglio vino bianco secco olio evo sale pepe nero macinato al momento baguette per il servizio

Portata: primo piatto Dosi per 4 persone Difficoltà: semplice Preparazione: 10’ Cottura: 10’

Procedimento Metti in ammollo i funghi porcini lasciandone da parte un paio che frullerai per ottenerne una polvere. Monda e affetta finemente gli champignon. In una casseruola rosola lo spicchio d’aglio in camicia con un paio di cucchiai d’olio, aggiungi gli champignon e i porcini strizzati, sfuma con un paio di cucchiai di vino bianco, aggiungi le foglioline di timo e cucina per 5’. Regola di sale e di pepe e metti da parte. In un pentolino sciogli il formaggio con la panna, mescola bene e metti da parte. Componi le coccottine: distribuisci metà funghi, copri con la crema, rompi delicatamente un uovo al centro, termina con i funghi, spolvera con il Trentingrana e cuoci nel forno statico già caldo a 180° per circa 8’-10’. Servi immediatamente spolverando la polvere di porcino e con qualche fetta di baguette tostata


MINIQUICHE DEL CAVOLO (PERÒ È BUONA) PORTATA: antipasto DOSI per 4/8 persone DIFFICOLTÀ: semplice PREPARAZIONE: 30’ più il riposo COTTURA: 40’ INGREDIENTI per la pasta brisè: 200 g di farina 00 o di tipo 1 100 g di burro di centrifuga 1 uovo bio 20 ml di acqua fredda un pizzico di sale

INGREDIENTI per le miniquiche: 400 g di cimette di cavolo 200 g di Gratin Blue 100 g di panna acida o fresca 30 g di pane grattugiato noce moscata, sale burro

PROCEDIMENTO Con un mixer “sabbia” la farina con il burro, aggiungi l’uovo, il sale e l’acqua, lavora velocemente e ottieni un panetto liscio. Copri con pellicola e fai riposare in frigo per almeno 1 ora. Nel frattempo ottieni dai cavoli le cimette (le parti più coriacee non gettarle: le userai per una vellutata a zero spreco con tante fibre) e cucinale nel forno a vapore a 100° per 4’ (oppure sbollentale in acqua salata). Metti da parte. In un pentolino a fuoco dolcissimo sciogli il Gratin Blue tagliato a tocchetti con la panna acida, profuma con un po’ di noce moscata, tuffa le cimette di cavolo cotte e mescola delicatamente. Stendi la pasta in singoli stampini oppure in una tortiera di circa 24-26 cm di diametro, buca il fondo con i rebbi della forchetta, distribuisci il composto, spolvera di pane grattugiato, un ricciolo di burro e cuoci a 190° nel forno statico già caldo per 25’-30’ o fino a doratura. Sforna e servi con una composta di mirtilli o di fichi e un buon passito oppure con una fresca insalata e una birra corposa.

PRIMIERO FRESCO

TRENTINGRANA

GRATIN BLEU

Formaggio trentino a latte crudo a pasta semicotta. Il sapore è dolce con note lattiche e di frutta fermentata

Formaggio a latte vaccino crudo a pasta tipicamente granulosa che si scaglia con facilità. Sapido, con sentori erbacei e floreali, mai piccante

Formaggio erborinato cremoso fine e raffinato, leggermente sapido, intenso, con note di cantina, frutta secca, frutta matura e sottobosco

cod 34203 | 22 mesi 4 kg circa

cod 31244 | peso 2,3 kg circa

cod 31122 | peso 10 kg circa ordine minimo 1/4 di forma

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Appuntamenti

PITTI TASTE E NON SOLO! Parigi, Firenze e Tokyo: abbiamo la carica giusta per iniziare la nuova stagione di fiere ed eventi, con un’agenda bella fitta di appuntamenti

Salon du Fromage 2020

Pitti Taste 15

Foodex Japan 2020

Quando: 23 - 26 febbraio 2020

Quando: 7 - 9 mar 2020

Quando: 10 -13 mar 2020

Dove: Paris Expo | Parigi

Dove: Stazione Leopolda | Firenze

Dove: Makuhari Messe | Tokyo

Il primo appuntamento in agenda è in Francia, a Parigi: stiamo parlando del Salon du Fromage et des Produits Laitiers. Uno degli eventi principali, se non addirittura il più importante, del mondo dei formaggi in cui Parigi diventa il punto di incontro di produttori, operatori e specialisti, banco di discussione e confronto sui temi caldi, palco per la presentazione delle novità del settore. Un pubblico principalmente francese, sempre molto preparato e attento, ma anche tanti attori internazionali. Per noi andare in Francia è sempre una bella sfida e anche una grande soddisfazione!

Ormai giunto alla sua quindicesima edizione, Taste è il salone dedicato alle eccellenze del gusto e del food lifestyle, il salotto italiano del mangiare bene, dove si danno appuntamento i migliori operatori nazionali e internazionali (a cui sono riservate le mattine del 7 e 8 marzo), ma anche il sempre più vasto e appassionato pubblico dei foodies (a cui Taste apre le porte nel pomeriggio del 7 e 8, e tutto il giorno 9). Un evento per noi imperdibile, un’occasione per presentare le nostre selezioni, ma anche per rivedere gli amici di una vita e andare alla scoperta delle novità che ci sono sulla piazza.

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Rientrati da Firenze facciamo subito le valigie per la terra del Sol Levante, in direzione Tokyo per Foodex Japan, uno dei più grandi eventi asiatici dedicati al food & beverage. E’ la prima volta che partecipiamo a questa fiera e siamo davvero molto carichi: lo diciamo spesso che la gastronomia non ha confini e quest’evento ne è l’esempio! Gli espositori provengono da tutto il mondo e tra questi, noi presenteremo una selezione di formaggi che speriamo convinca i nostri amici giapponesi!


Valsana S.r.l. ∙ Via degli Olmi, 16 ∙ 31010 Godega di Sant’Urbano (TV) ∙ Italy Tel. (+39) 0438 1883125 ∙ Fax (+39) 0438 64976 ∙ valsana@valsana.it ∙ www.valsana.it


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