R A S S E G N A I N T E R N A Z I O N A L E D I S C U LT U R A E P I T T U R A I N S I C I L I A
II RASSEGNA INTERNAZIONALE DI SCULTURA E PITTURA IN SICILIA www.ilmitocontemporaneo.it
Evento promosso dall’Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo della Regione Siciliana PO FESR Sicilia 2007 - 2013 - Linea di intervento 3.3.1.1
ENTE PROMOTORE ASSESSORATO TURISMO, SPORT E SPETTACOLO REGIONE SICILIANA Daniele Tranchida Assessore Turismo, Sport e Spettacolo Regione Siciliana Marco Salerno Dirigente Generale Dipartimento Regionale al Turismo, Sport e Spettacolo Regione Siciliana Salvatore Presti Direttore Artistico “Il Circuito del Mito” Filippo Nasca Dirigente Servizio Turistico Palermo Regione Siciliana MA Service s.r.l. Ente Attuatore Massimiliano Simoni Art Director Il Mito Contemporaneo
Evento promosso dall’Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo della Regione Siciliana PO FESR Sicilia 2007 – 2013 - Linea di intervento 3.3.1.1
Regione Siciliana Assessorato del Turismo dello Sport e dello Spettacolo
Si ringraziano Sebastiano Missineo Assessore Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana Gesualdo Campo Dirigente Generale Dipartimento Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana Sergio Aguglia Dirigente Servizio Parco Archeologico di Segesta e delle aree archeologiche di Calatafimi Segesta e dei Comuni limitrofi Maria Costanza Lentini Dirigente Servizio Parco Archeologico di Naxos e delle aree archeologiche di Giardini Naxos, Taormina, Francavilla e dei Comuni limitrofi Umberto Spigo Dirigente Servizio Parco archeologico delle Isole Eolie e delle aree archeologiche di Milazzo, Patti e dei Comuni limitrofi Michele Benfari Dirigente Servizio Museo Archeologico Regionale Eoliano “Luigi Bernabo’ Brea” Mauro Passalacqua Sindaco di Taormina Antonella Garipoli Assessore alla Cultura Comune di Taormina Girolamo Fazio Sindaco di Trapani Ester Bonafede Sovrintendente FOSS - Teatro Politeama Garibaldi Salvatore Castiglione Presidente Airgest (Aeroporto di Trapani)
Unione Europea
in collaborazione con:
In collaborazione con: Trapani - Segesta
Palermo
Regione Siciliana Assessorato dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana Dipartimento dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana
Servizio Parco archeologico di Segesta e delle aree archeologiche di Catatafimi Segesta e dei Comuni limitrofi
Regione Siciliana Assessorato dei Beni Culturali e dell'Identità siciliana Dipartimento dei Beni Culturali e dell'Identità siciliana
Parco Archeologico delle Isole Eolie, di Milazzo Patti e dei Comuni limitrofi
Comune di Lipari
Lipari
Taormina
LIPARI
Museo Archeologico Chiesa di Santa Caterina 1 giugno - 8 luglio 2012
Museo Archeologico di Lipari Via del Castello 98055 Lipari (Messina) info +39 090 9880174 - +39 090 9880594
ENTE ATTUATORE M.A. SERVICE s.r.l. Alessandro Marchetti Amministratore Unico Massimiliano Simoni Art Director Giulio Battaglini Project Leader Enrico Mattei Art Curator Andrea Berti Press Office Manager Francesca Caselli Secretary Valentina Bigicchi Producer
M.A. Service s.r.l. - Via Sarzanese, 303 55041 Capezzano Pianore - Camaiore (Lu) www.maservice.it info@maservice.it
Coordinamento generale e organizzazione Claudia Viola Assistente alla produzione Dalila Ardito Assicurazione Alleanza Toro S.p.A. Agenzia Generale di Viareggio Logistica e Allestimenti M.A. Service S.r.l. Trasporti Autrotrasporti Seardo di Giovannetti Adriano & C. S.n.c. Collaboratore allestimento mostra Michele Benfari Posizionamento e sicurezza opere Giorgio Angeli Si ringraziano per la gentile collaborazione la Stamperia d’Arte Edi Grafica R2B2, il Laboratorio marmo e granito Studio Giorgio Angeli; Onofrio Lasciato - Capo Segreteria Particolare; Bruno De Vita - Vicario del Capo di Gabinetto dell’Assessore al Turismo, Sport e Spettacolo Regione Siciliana; Eleonora Cacopardo - Assessore alla Cultura e al Turismo - Comune di Castelmona; Nino Orifici e Massimiliano Bertano Autotrasporti.
Grafica e cura editoriale Nicola Micieli Museo Archeologico Luigi Bernabò Brea L'età del bronzo. La tazza di Filicudi Maria Clara Martinelli Testi critici Claudio Cerritelli Enrico Mattei Nicola Micieli Massimiliano Simoni Coordinamento cataloghi Enrico Mattei Fotografie © M.A. Service S.r.l. by Matteo Simoni Impaginazione e Stampa Bandecchi & Vivaldi, Pontedera
Il Mito Contemporaneo
PINO PINELLI
II R A S S E G N A I N T E R N A Z I O N A L E D I S C U LT U R A E P I T T U R A I N S I C I L I A II I N T E R N AT I O N A L E X H I B I T I O N O F S C U L P T U R E A N D PA I N T I N G I N S I C I LY
Art Director Massimiliano Simoni
................................................................................................................................................................................................................................................................................................. LIPARI TAORMINA TRAPANI/SEGESTA PALERMO
Gio’ Pomodoro Taormina
WWW.I LM ITOC O NTEMPO R ANE O.IT
Vivi, Scopri, Ama la Sicilia con Il Mito Contemporaneo....
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Prof. Daniele Tranchida Assessore Turismo, Sport e Spettacolo Regione Siciliana
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La Sicilia è uno scrigno di bellezze naturali, storiche e architettoniche. Un luogo magico, accogliente, crocevia, per secoli, di culture e di religioni. Il Circuito del Mito ideato da Franco Zeffirelli e diretto, nelle ultime edizioni, dal regista Salvatore Presti, nasce proprio per rilanciare questa identità dell’isola restituendole nuovo protagonismo culturale. Da qui l’attenzione anche all’arte contemporanea al centro di questa Rassegna Internazionale di Pittura e Scultura, una novità introdotta da questo assessorato e che, in questa seconda edizione, annovera quattro grandi artisti: Gio’ Pomodoro, Jiménez Deredia, Gian Marco Montesano e Pino Pinelli. Un calendario dentro il grande calendario de Il Circuito del Mito che si rivolge ad appassionati d’arte e di viaggi e che può essere utilizzato come “cartina”, “itinerario turistico” da seguire nella scoperta dell’isola, spaziando così da antichi centri storici a chiese medievali; dalla caledoscopica Palermo alla antica e vivace Trapani, da Lipari nello splendido arcipelago delle Eolie, a Taormina, meta obbligata nell’Ottocento del Grand Tour della giovane aristocrazia europea. Con un’opportunità rara: ammirare sotto una prospettiva nuova monumenti e aree archeologiche. Insieme: opere dell’antichità e del nostro tempo. Il teatro antico di Taormina diventa così spazio espositivo per le forme poliedriche di Gio’ Pomodoro, considerato uno dei maggiori scultori astratti del XX secolo e convinto assertore dell’importanza sociale dell’arte, mentre la strada che porta al tempio di Segesta, è la galleria en plein air delle opere realizzate dallo scultore costaricano Jiménez Deredia che, per l’occasione, ha ultimato Armonia, scultura in marmo di Carrara che rappresenta una donna distesa con una sfera tra le braccia, simbolo del cosmo e della vita. In linea con la prima edizione de Il Mito Contemporaneo, sono stati scelti artisti di fama internazionale e location di grande suggestione. A Palermo, i saloni dell’ottocentesco teatro Politeama ospitano il maestro Gian Marco Montesano con la sua pittura figurativa asciutta e le tele di varie dimensioni che raccontano il nostro passato prossimo: il Novecento e le “storie della Storia” che lo hanno caratterizzato, a cominciare dal senso di smarrimento di fronte alla distruzione della guerra. Infine, nell’area archeologica di Lipari in mostra c’è il lavoro di 40 anni di Pino Pinelli, pittore e scultore di origine catanese, affermato in tutta Europa, tra i principali interpreti della pittura analitica, tra gli allievi e seguaci di Fontana. Quattro artisti diversi tra loro ma accomunati dall’originalità che li contraddistingue. E che, ne siamo certi, saranno in grado di riaccendere, così come è stato per i grandi nomi della prima edizione de Il Mito Contemporaneo, i riflettori della stampa di settore e gli occhi di tanti visitatori. Sulla Sicilia, sulla sua ricchezza di beni culturali e ambientali. Ma soprattutto: sulla sua ambizione e capacità di tornare ad essere protagonista di questo tempo. In una parola, di essere essa stessa, Contemporanea.
Salvatore Presti Direttore Artistico Il Circuito del Mito
Terra delle domande fondanti sulla vita e sulla morte, la Sicilia è luogo filosofico per eccellenza, sospeso tra tragico e idilliaco, fra immaginazione e raziocinio. In cui, per dirla con una definizione di Salvatore Quasimodo, c’è una “permanenza della poesia”. Questa rassegna offre ad artisti italiani e stranieri, ispirazione e nuova linfa creativa e ai turisti un’occasione unica: l’emozione di scoprire, toccare con mano, questa “permanenza” attraverso un percorso originale che accosta il patrimonio storico e architettonico del passato all’arte contemporanea. È una formula già collaudata in diversi Paesi europei e sperimentata in Sicilia nella scorsa edizione de Il Circuito del Mito. Con successo. La prima Rassegna internazionale di Pittura e Scultura ha suscitato l’attenzione di oltre 5 milioni di utenti, tra visitatori reali, buyer, addetti ai lavori, giornalisti di settore. Insomma, con Il Mito Contemporaneo e con l’intero cartellone de Il Circuito del Mito, si è voluto dare spazio a una Sicilia che cambia, attenta alla velocità dei mutamenti, consapevole dei suoi limiti rispetto alla complessità del reale ma percettiva delle sue enormi potenzialità. Rispetto ai moduli interpretativi correnti, assai più aderente all’essenza di quest’isola è la definizione braudeliana della Sicilia come “continente in miniatura”, microcosmo che accoglie in forme miniaturizzate, ma nette, l’eredità di una storia lunghissima e complessa e in cui trovano spazio e ispirazione, artisti diversi e lontani tra loro – per cultura, formazione, modalità espressiva e appartenenza geografica – proprio come i protagonisti di questa rassegna: Gian Marco Montesano, Jiménez Deredia, Gio’ Pomodoro, Pino Pinelli. Interpretare questa complessità e soprattutto rintracciare quella “permanenza della poesia” attraverso la letteratura, la musica, il teatro, il cinema, la danza e l’arte in tutte le sue forme, per la comprensione della galassia - Sicilia, sono gli obiettivi che Il Circuito del Mito si propone. E che questa rassegna centra pienamente contribuendo a rafforzare il turismo culturale sull’isola.
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Dott. Umberto Spigo Direttore del Parco Archeologico delle Isole Eolie, di Milazzo, Patti e dei Comuni limitrofi
Fra le immagini del Museo Eoliano che anche un visitatore piuttosto distratto e/o non sostenuto da particolare conoscenza e interesse per la storia dell’arte antica, conserverà senz’altro più a lungo nella memoria, si staglia l’universo rappresentativo del Pittore di Lipari e del suo gruppo, maestro e continuatori di una scuola attiva localmente nella prima metà del III secolo a.C: splendido canto del cigno della ceramica figurata del mondo greco, attraverso il dominio di una policromia impressiva (sapientemente calibrata con colori a “tempera”) che costruisce le figure e le loro interrelazioni, contribuendo, insieme, alla percezione logica del peculiare spazio interno al racconto. Insomma, gli “ateliers” eoliani, pur spesso legati a un repertorio ripetitivo entro ben definiti canoni iconografici e cultuali, sanno anche – soprattutto attraverso la mano del “capo scuola” e alcuni suoi esiti di eccellenza, come le due lekanai delle cosiddette “Beatitudini dei Campi Elisi” – sfiorare, quasi in un’ardita emulazione, le grandi conquiste della pittura parietale del primo ellenismo, quali oggi ci vengono soprattutto fatte cogliere dalle superstiti, potenti testimonianze delle tombe reali macedoni. Ora, Il Circuito del Mito nel secondo appuntamento eoliano, e ancora una volta nello spazio interno di Santa Caterina al Castello (spazio che, ormai ben a ragione, possiamo definire “dedicato”), offre, con la Mostra retrospettiva di Pino Pinelli, un singolare spunto di riflessione al visitatore del Museo che vi entri con ancora negli occhi la vitalità cromatica del Pittore di Lipari. Non possono nascere, naturalmente, anche per il frapposto diaframma di oltre ventitré secoli, confronti diretti, ma, dopo aver intuito l’apertura dei ceramografi eoliani verso una progressione formale della Pittura, che non sarebbe comunque più potuta essere quella delle botteghe vascolari, si potrà ancor meglio apprezzare l’itinerario creativo di questo autore contemporaneo: un artista che attraverso la fisicità del colore (uno dei segni della sua “identità mediterranea”, come ammette lo stesso Pinelli, catanese formatosi nel milieu intellettuale e artistico della – anzi delle – Milano della seconda metà del secolo scorso), la particolare tattilità dei materiali e il superamento dei limiti dello spazio della superficie da campire, reinventa l’espressione pittorica, al di là di ogni definizione contenutistica e formale, verso l’assoluto, al punto tale da far scrivere a un attento studioso della sua opera, Giovanni Maria Accame, che egli «non dipinge ma fa pittura». Nei suoi più recenti cicli di attività, Pinelli, al di là della stessa idea di “opera aperta”, ha dichiarato di tentare «attraverso il legame con uno spazio non circoscritto, illimitato, con la forma e col colore “un viaggio verso lo spazio infinito”, conservando il concetto della pittura e ampliandone i confini e le competenze». E, guardando, con occhio profano, alle svolte artistiche e concettuali di Pinelli, ci viene spontaneo evocare, volgendoci a un linguaggio figurativo “altro”, uno dei vertici dell’opera di Stanley Kubrick e dell’arte cinematografica in generale, ulteriore splendido frutto di quella fase epocale di disgregazione e insieme di palingenesi delle certezze della cultura contemporanea, segnata dal ponte fra anni ’60 e ’70 del XX secolo: il viaggio oltre lo spazio-tempo (vera, assoluta esperienza iniziatica per tanti spettatori diciotto-ventenni di allora) nel divenire visivo e cromatico (rigenerazione aliena da ogni segno di casualità) del prefinale di 2001 Odissea nello Spazio, che, attraverso “Giove”, ci proietta (sì!) “oltre l’infinito”. 13
Arch. Michele Benfari Dirigente del Museo Archeologico Bernabò Brea di Lipari
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Continua la stagione del contemporaneo a Lipari, continua il dialogo attivo, limpido ed euforico con il tempo presente, con il suo linguaggio affascinante e complesso, ricco di stimoli e di sfide. La Chiesa di Santa Caterina è ancora una volta lo spazio scelto per raccontare la contemporaneità, e lo fa narrando quarant’anni di lavoro di Pino Pinelli. Antologica, mostra omnia, che rende omaggio agli elementi cari all’artista: lo spazio, il colore e la pittura. Apre la via alle cesure, a quel modo “interrotto” di comunicare il tempo, di organizzare “il luogo”, di animarlo, brulicante di piccole cromie significative e autonome. Pino Pinelli ha rappresentato la rottura degli schemi, la presa di coscienza di uno spazio aperto e non subordinato alle logiche della ratio. Uno spazio creativo, una pagina bianca, illimitata, dove dare sfogo alle idee. Linee di colore, linee di senso. È nel contesto volumetrico (nave-transetto-catino absidale) che affiora il Mito nel rimando agli ancestrali segni tracciati per rappresentare, per fissare la realtà. Pinelli ha scritto: «Come un guerriero cieco, cerco la luce». Appunto la luce, come quella ingombrante e prepotente di quest’Isola, con la sua forza sublime, rarefatta. Una luce sempre uguale e irripetibile, testimone della storia che fa eco alle opere del Maestro della pittura Analitica. Anticonformista e rigidamente distaccato dalla storia, attraverso le sue opere, Pinelli ritorna ad affermare la sua idea di arte come significante, arte come testimone tangibile del pensiero. I frammenti sono reali, il colore è sensibile, vero, vivo. Niente appare più in sintonia della forza fenomenica della poetica di Pino Pinelli con la continuità creatrice di questi luoghi che hanno nel tempo mantenuto uno spirito generatore di culture e di idee. L’Isola, essa stessa geometria pura che non sfugge alla perfezione, dialoga con i suoi elementi e con il senso, profondo e lucido, dei rimandi all’infinito e all’indefinito delle opere dell’artista. E lo fa attraverso il segno. Quello antico, degli artigiani dell’età del bronzo, con tazze, scodelle, vasi e olle finemente decorati, connubio svelato sul fondo della chiesa dove la luce spiazzante e centripeta illumina le Opere, facendole parlare, come in un racconto di viaggio, senza lo scandire del tempo. In questo senso si condensa, qui e ora, in quello straordinario concetto di autosignificazione dell’arte, il senso magnifico di abbandono al cosmo del segno pittorico, che diventa materia, gesto, parola. Gesto con cui Pinelli ha liberato l’opera d’arte da ogni legame con la realtà consegnandola agli uomini e all’infinito.
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Lipari Il Museo Eoliano, creato nel 1954 da Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier, espone organicamente in diversi edifici, sul Castello di Lipari, complessi di reperti provenienti dagli scavi condotti dai due studiosi nell’Arcipelago Eoliano dagli anni ’40 a oggi. Per le sue caratteristiche di Museo “vivo”, in costante rapporto col territorio di appartenenza (l’incremento e lo sviluppo delle sue collezioni e degli apparati espositivi, nonché delle sue infrastrutture, sono pressoché continui), è direttamente connesso al costante progredire delle indagini archeologiche. L’esposizione, pur nel rigore scientifico, è improntata, secondo la limpida concezione didattica dei suoi creatori, a criteri di chiarezza illustrativa che rendono la visita proficua e gradita anche ai non specialisti. Un particolare impatto sul pubblico suscitano, ad esempio, le ricostruzioni storiche, con gli elementi originari di contesti di scavo (la necropoli della tarda età del Bronzo di Piazza Monfalcone a Lipari, le necropoli preistoriche e protogreche di Milazzo, un settore della necropoli greca di Lipari). In quest’ottica i testi esplicativi che accompagnano l’esposizione sono a due livelli: didascalie rosse in italiano e inglese con le informazioni essenziali per una visita rapida ma “consapevole” e testi più diffusi e dettagliati, a caratteri di colore nero. Nelle varie sezioni il pubblico può consultare postazioni informatiche con testi interattivi con un ampio corredo di informazioni e spunti di approfondimento, sulle emergenze archeologiche e monumentali del Castello e sui complessi esposti nel Museo. L’Acropoli, denominata il Castello, costituisce ancora oggi il punto focale del centro storico. Entro il perimetro delle mura posero le loro sedi le popolazioni del neolitico, quelle della prima età dei metalli, dell’età del bronzo e dell’età ellenistica, come dimostrano i ritrovamenti archeologici. Dal lato sud della Piazza Mazzini si accede alla cittadella, passando dalla porta più antica e attraversando una torre normanna. Superato il secondo passaggio, sostenuto da arcate ogivali, si trovano in ordine progressivo: la chiesa di Santa Caterina, chiusa al culto; l’abside della chiesa cinquecentesca dell’Addolorata, con ricchi altari lignei, stucchi dorati in stile barocco e una tela del Seicento raffigurante la crocifissione; infine la chiesa dell’Immacolata. Più avanti, sulla sinistra, si trova la cattedrale dedicata a San Bartolomeo, patrono delle Eolie, fatta costruire dal normanno Ruggero I. Dello stile normanno la chiesa conserva solo le volte a crociera ogivale; gli interni, come la facciata, sono stati successivamente rifatti. All’interno sono conservate la statua argentea di San Bartolomeo e una tavola del Seicento raffigurante la Madonna del Rosario. Ancora più in fondo appaiono la chiesa della Madonna delle Grazie, chiusa al culto, che raccoglie pregiati affreschi di Alessio Cotrone (1708), e il palazzo vescovile, del 1753, che posto sul lato destro della cattedrale, è adibito a padiglione del museo. 17
Le zone più interessanti del Castello sono quella del museo e quella del parco archeologico. Degno di attenzione è il Museo, il quale conserva ritrovamenti archeologici dall’epoca neolitica a quella del Bronzo, fino al periodo greco e romano. Negli ultimi anni esso è stato ampliato con una sezione dedicata all’archeologia sottomarina e una sezione vulcanologica. Nel parco archeologico, invece, sono stati ricostruiti numerosi sarcofagi, che risalgono al IV-II secolo a.C., e le tombe greco-romane, rinvenute nella necropoli di Contrada Diana. In questa contrada la necropoli si sovrappone a un vasto insediamento preistorico, fiorito dalla fine del Neolitico medio alla prima età del Bronzo, ma nel quale la massima intensità di vita si è avuta nel Neolitico superiore, in quella fase culturale che, in tutta Italia, è oggi designata con il nome di “Cultura di Diana”.
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Maria Clara Martinelli
L’ETÀ DEL BRONZO. LA TAZZA DI FILICUDI
Archeologa, Parco Archeologico delle Isole Eolie, di Milazzo, Patti e dei Comuni Limitrofi
Alla fine del III millennio a.C. nell’isola di Filicudi sorse un grande insediamento esteso sulla pianura del piano del Porto, dalla base del monte Guardia lungo Filo Braccio e Filo Lorani fino al margine delle Punte. L’insediamento di Filo Braccio appartiene alla facies di Capo Graziano I (2200-1800 a.C.) e fu oggetto di una prima campagna di scavi nel 1959 in cui furono scoperte la capanna C con gli spazi A e B e le capanne D e E. Da allora è stata resa nota la cultura di Capo Graziano, genti sulla cui provenienza ancora si discute, forse dall’Oriente come spiegava Luigi Bernabò Brea riconoscendo in essi i mitici “Eoli”. Le isole Eolie, con l’inizio dell’età del Bronzo, acquisiscono una importanza strategica per la loro posizione geografica al centro del Mediterraneo che permetteva il controllo delle rotte commerciali dall’Oriente attraverso lo stretto di Messina. Nell’insediamento di Filo Braccio sono state svolte nel 2009 nuove indagini archeologiche che hanno messo in luce ulteriori strutture chiuse e aperte, adibite a spazi abitativi, di lavoro, di conservazione di derrate e ricovero di animali domestici. Sono state scoperte le capanne denominate F e H; e poi le capanne G e I associate a un silo e a una grande area all’aperto (spazio L). L’insediamento era composto da capanne singole o da gruppi di ambienti costruiti con muri a secco, alternati ad ampi spazi liberi. Le capanne presentano una pianta ovale con il muro eretto con pietrame, ciottoli di mare ma soprattutto con grandi massi arrotondati che compongono lo strato duro naturale (cosiddetto crigno) che forma l’istmo. Attualmente è in atto una forte erosione dovuta ad agenti meteorici di superficie e a eventi costanti marini che intaccano l’insenatura costiera. Fortunatamente l’intervento dell’uomo moderno questa volta non ha ancora completamente danneggiato i resti archeologici poiché l’uso di delimitare e contenere i suoli agricoli con la costruzione di imponenti muri a secco di terrazzamento, ha aiutato a ridurre i tempi di erosione del deposito archeologico. I grandi muri sono stati costruiti dagli abitanti di Filicudi in tempi molto antichi e mantenuti fino alla metà del 1900 quando iniziò a lacerarsi la vita quotidiana degli abitanti con le grandi emigrazioni verso l’Australia. I muri completamente abbandonati, oggi stanno inesorabilmente cedendo e il paesaggio dell’isola presto cambierà profondamente assumendo un aspetto incolto e selvaggio. In una seconda fase, l’abitato dell’età del Bronzo si sposta dalla costa sulla soprastante Montagnola di Capo Graziano alta mt 174 e occupa i terrazzi naturali del pendio. I motivi di questo spostamento sono dovuti alla necessità di difesa che forse si era improvvisamente determinata. Le condizioni di tranquillità e di sicurezza che permettevano la vita nella pianura costiera, erano cessate e incombevano sulle popolazioni delle isole gravi pericoli di incursioni nemiche provenienti dal mare. Il villaggio di Capo Graziano fase II (1700-1500 a.C.) fu scoperto dagli scavi archeologici condotti dal 1952 al 1969. Esso si trova su un ampio terrazzo a 100 mt s.l.m., ma doveva essere esteso all’intera altura. Il villaggio è composto da capanne molto vicine le une con le altre, con piccoli spazi liberi fra loro. Le dimensioni delle singole strutture a pianta ovale, variano e talvolta sono molto ristrette.
Insediamento dell’età del Bronzo Antico 2200-1800 a.C di Filo Braccio a Filicudi Cultura di Capo Graziano - fase I
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Arte e racconto Nel 2009 gli archeologi hanno scoperto nella capanna F del villaggio di Filo Braccio, una tazza molto particolare, unica nel patrimonio archeologico mondiale. La tipologia del vaso è molto semplice. Il disegno inciso sulla superficie prima della cottura, è eseguito rispettando uno schema espositivo dove lo spazio decorativo è interamente coperto dal disegno che è stato organizzato in due fasce. La narrazione che il disegno esprime, pone la figura umana al centro del racconto e accentua l’attenzione su un evento di particolare importanza da essere ricordato. L’uomo a braccia e mani aperte è disposto nella postura dell’orante mentre è circondato dalle barche che assumono proprio per la posizione ai fianchi della figura umana, un ruolo fondamentale nella raffigurazione dell’evento raccontato. Le linee a zig-zag possono facilmente essere interpretate come il moto ondoso del mare che fa da base al racconto e lo divide in registri narrativi. Difficili in questa fase dello studio sono i due contrassegni incisi all’opposto della scena principale. Essi sono espressione di simboli ormai completamente dimenticati. Certamente questa tazza riporta il racconto di un evento legato al mare in cui è protagonista l’uomo con le barche in un momento di migrazione da o verso le isole. Il disegno, che rimanda a un simbolismo legato alla narrazione, è lo sviluppo di un racconto che forse era tramandato oralmente nel modo più diffuso nelle tribù umane, quello del canto. Gli altri vasi esposti sono espressione dell’artigianato che caratterizza la cultura di Capo Graziano. Le forme più diffuse sono vasi modellati a mano in impasto di colore bruno o nero come le scodelle, le olle e le tazze di piccole dimensioni. Nella fase più antica (2100-1800 a.C.), quella di Filo Braccio, la ceramica non è decorata. Nella fase più recente (1700-1500 a.C.), quella del villaggio sorto sulla Montagnola di Capo Graziano, sono decorate quasi esclusivamente le scodelle. La decorazione eseguita con la tecnica dell’incisione prima della cottura, propone motivi geometrici che invadono la superficie arricchita da linee ondulate, punti, zig-zag, talvolta riempiti di pasta bianca. Possiamo interpretare queste linee come un estremo simbolismo del mare se le confrontiamo con il disegno della tazza narrante. La narrazione del racconto si è fermata, esso non viene più tramandato alle nuove generazioni. Rimane solo il disegno in quanto stile decorativo.
Bibliografia Bernabò Brea L., Cavalier M., Filicudi: insediamenti dell’età del bronzo, Meligunìs Lipára VI, Accademia di Scienze Lettere e Arti, Palermo 1991. Martinelli M.C., Fiorentino G., Prosdocimi B., d’Oronzo C., Levi S.T., Mangano G., Stellati A., Wolff N., Nuove ricerche nell’insediamento sull’istmo di Filo Braccio a Filicudi. Nota preliminare sugli scavi 2009, in Origini, vol. XXXII, edizioni Cangemi, Roma 2010, pp. 285-314. 22
Tazza emisferica decorata ad incisione Il disegno raffigura l’uomo, le barche e il mare (dis. Leandro Lopes) Filicudi. Filo Braccio scavo 2009. Capanna F. Cultura di Capo Graziano – fase I Età del Bronzo Antico 2200-1800 a.C.
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Tazza miniaturistica decorata da bugnette coniche Filicudi. Filo Braccio scavo 2009. Area L Cultura di Capo Graziano – fase I Età del Bronzo Antico 2200-1800 a.C.
Olla miniaturistica decorata da tre coppie di bugnette boniche Filicudi. Filo Braccio scavo 2009. Capanna F e Area L Cultura di Capo Graziano – fase I Età del Bronzo Antico 2200-1800 a.C.
Scodella carenata decorata ad incisione Filicudi. Filo Braccio scavo 1979. Capanne II e I Cultura di Capo Graziano – fase II Età del Bronzo Antico 1800-1500 a.C.
Olla decorata da coppie di bugnette sulla spalla Filicudi. Filo Braccio scavo 2009. Capanna F e Area L Cultura di Capo Graziano – fase I Età del Bronzo Antico 2200-1800 a.C.
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Massimiliano Simoni
IL MITO CONTEMPORANEO. II RASSEGNA DI PITTURA E SCULTURA IN SICILIA
Art Director
Sei un Mito… sui luoghi antichi e sulle contaminazioni artistiche contemporanee. Spunti per una introduzione critica Prosegue l’ideale cavalcata del Contemporaneo attraverso i luoghi più suggestivi del Mito, in una terra, la Sicilia che in ogni angolo evoca l’Antico.
Massimiliano Simoni nella foto di Bob Krieger
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I nostri Maestri sono i testimoni del genio umano che con sapienza plasma la materia, la nutre di colore e le dà forma. La sfida non li spaventa, anzi vi si gettano con giovanile entusiasmo. Ripercorrono luoghi della loro infanzia, del loro vissuto, della loro fantasia e ci fanno vivere un’esperienza sospesa tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere. Per chi, come me, cura ogni aspetto di un evento, la gioia non è l’evento stesso, ma il vedere come Artisti di chiara fama si emozionino davanti ai luoghi magici proposti, e da lì traggano nuova linfa per produrre sempre qualcosa di nuovo e irripetibile. Non si tratta di collocare alcune statue in un luogo, un po’ lì e un po’ là, di attaccare quadri at random: è necessario entrare nella spiritualità del luogo, sentirlo, toccarlo. Quando per la prima volta mi sono recato a Segesta con Jiménez Deredia, l’amico Jorge, e con lui ho respirato un’aria pulita e sentito la spiritualità del luogo, ecco, lì è nata la Mostra. Vedere il Tempio, la vallata incantata sottostante, ammirare la forza delle colonne e delle strutture sovrastanti, che, sfidando il tempo, hanno resistito immobili alla storia, e poi scendere e risalire fino al Teatro, e dall’alto guardare il mare e il paesaggio sottostante, di una bellezza unica, è entrare nella notte dei tempi delle Arti. Capire, al di là di ogni laica considerazione, la Genesi dell’Umanità. Capire l’Arte è capire chi con essa si cimenta, o si è cimentato quotidianamente. Aver avuto la fortuna di conoscere una grande figura del nostro Novecento come Gio’ Pomodoro, e averla anche conosciuta attraverso un caro amico di grande sensibilità, che purtroppo oggi non c’è più come lui, non è esperienza che ti lascia indifferente. Il suo laboratorio di Querceta, oggi come allora, non è muto testimone di una vita spesa per l’Arte, ma luogo anch’esso spirituale che racconta una grande esperienza sospesa tra spazio e storia. Solo la diretta conoscenza del Maestro, e il grande rapporto con il figlio Bruto, mi ha permesso di capire come i luoghi taorminesi avrebbero esaltato e manifestato il suo estro, i suoi archetipi scultorei così profondamente attratti dal mondo greco. L’attenta lettura liceale di Miti e Misteri di Karoly Kerènyi, mi fa essere così vicino al suo mito di Hermes, il dio dei ladri. C’era una volta la “pittura militare”, e nei paesi anglosassoni c’è sempre. Là la Gloria, la Patria, gli Eroi si scrivono con la maiuscola, gli sconfitti si rispettano e onorano perché più grande è la Vittoria consacrata nel Mito. In Italia c’è Gian Marco Montesano, sicuramente personaggio d’altri tempi che ostinatamente e incurante di chi lo critica non in senso artistico, ma ideologico, prosegue il suo viaggio
nella nostra storia più recente, racconta tabù della Seconda Guerra Mondiale, e lo fa in una città duramente provata e offesa dai bombardamenti, ferita nella sua lunga tradizione di cultura e offesa nei suoi monumenti. La sua non è mai presa di parte, ma constatazione: in fondo le dittature sono tutte uguali. Il Teatro Politeama Garibaldi non è mero, muto contenitore delle grandi tele e installazioni montesaniane, ma soggetto attivo, parte di un unicum, di un progetto che per Montesano non si chiuderà mai perché troppe sono le storie da raccontare, e ancora di più i falsi miti da dissacrare. Quella struttura, il teatro appunto, c’era quando finiva l’Europa, arsa e devastata, ma il suo Mito, il suo trascorso di millenni gli ha dato la forza di rialzarsi, e come la fenice risorgere dalle proprie ceneri. Cosa c’entra Pino Pinelli a Lipari? Cosa c’entra il Mito Contemporaneo con le sue opere? Tre sono le cose che quando sono sbarcato per la prima volta a Lipari mi hanno colpito: i luoghi, la natura e l’isola stessa nel suo complesso. Tre sono gli elementi fondanti del lavoro di Pinelli: lo spazio (il Castello e la Chiesa di Santa Caterina), il colore (la rocca, le piante, il mare) e la pittura (Lipari). Come ben dice Marco Meneguzzo «Non si tratta di elementi alla pari, ma al contrario essi sono gerarchicamente collocati secondo priorità che l’artista non hai mai mutato: prima lo spazio, poi – “a cascata” – il colore e la pittura. Il primo – lo spazio – è l’elemento originario, il secondo – il colore – è l’elemento necessario all’emersione del primo, il terzo – la pittura – è lo strumento scelto dall’artista come il più efficace al proprio scopo e contemporaneamente costituisce la contestualizzazione storica degli altri due». La sua “pittura disseminata”, i suoi frammenti di geometria e colore si armonizzano con i profumi e i colori mediterranei. Pittura concettuale sì, ma così lontana dall’algidità dei pittori concettuali e minimalisti americani. La sua arte è carica di una cultura millenaria che con forza ci rivela le sue origini siciliane immerse nel Mito della Magna Grecia.
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Massimiliano Simoni
UNA STAGIONE DI LUCE. ATTORNO ALLA PITTURA, PINO PINELLI.
Art Director
L’intorno della pittura, questo il titolo di una sua mostra del 2010 nella Villa La Versiliana, e Prima della pittura il titolo del testo critico redatto da Meneguzzo. Ecco, è da questi due titoli che è necessario partire per capire quello che oggi, nel fare, vogliamo dire. Per chi, come me, non ha l’onere di redarre un’accademica storia dell’arte, ma cerca di veicolare il messaggio dell’artista, è fondamentale renderlo comprensibile e fruibile anche a coloro che con l’arte non hanno un approccio quotidiano. Non è facile dare una collocazione geografica a una mostra di Pinelli. Quel che per lui conta è lo spazio inteso come luogo espositivo. Uno spazio decontaminato da contaminare con il colore, luce della sua arte, della sua pittura. Oggi a Lipari, nella Chiesa di Santa Caterina all’interno del Castello, abbiamo infranto un tacito accordo. L’ambiente storico-archeologico-geologico, il mare, gli odori, diventano un unicum che si armonizza con la sua storia di artista, intesa come perenne ricerca intorno alla pittura. Lui, catanese classe 1938, ci racconterà quarant’anni di lavoro, dei suoi tre elementi fondanti: lo spazio, il colore e la pittura. Come ben dice Marco Meneguzzo, «non si tratta di elementi alla pari, ma al contrario essi sono gerarchicamente collocati secondo priorità che l’artista non hai mai mutato: prima lo spazio, poi – “a cascata” – il colore e la pittura. Il primo – lo spazio – è l’elemento originario, il secondo – il colore – è l’elemento necessario all’emersione del primo, il terzo – la pittura – è lo strumento scelto dall’artista come il più efficace al proprio scopo e contemporaneamente costituisce la contestualizzazione storica degli altri due». I luoghi, in senso lato, diventano parte del tutto. Se è vero che per lui prima viene la forma materica e poi lo spazio che la contiene, è esaltante vedere come il suo progetto riesca a interfacciarsi, parlando un’unica lingua, e come la sua opera finita sia parte attiva di un luogo carico di storia e di cultura. La sua è una redefinizione della pittura, prima della pittura, che sfiora il “tutto tondo”. Come Fontana che con i suoi tagli aprì a tutti noi un mondo che stava al di là della tela e del colore stesso, e ci indicò la via dello spazio come soggetto attivo e fondante di un quadro, Pinelli fin dai primi anni ’70 ha detto chiaramente come sia riduttivo rinchiuderla in classici confini, che pur avendo raggiunto risultati altissimi, necessita di dilatarsi. Pittura concettuale, pittura materica, pittura totale in una parola. Entrando nella chiesa si resta abbagliati dalla forza del colore. Il suo rosso, il suo blu, la luce che inonda lo spazio, avvolgono i nostri sensi e ci proiettano in una dimensione percettiva, che anche il visitatore più distratto non può non avvertire. Non si può guardare le singole opere, come si fa solitamente nei musei, senza avere la visione dell’insieme, non sarebbe neppure possibile per la
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maggior parte di esse che si disseminano sulle grandi pareti degli allestimenti/ installazioni. Montare la mostra è stato costruirla insieme a lui. Nulla è stato lasciato al caso, ciascun “frammento” è dove doveva essere, e il risultato è sorprendente. Pinelli non è un alieno che è caduto nell’isola di Lipari! Nella sua arte, frutto di studio e di attenta sperimentazione, c’è un'antichissima tradizione che si perde nella notte dei tempi, ed oggi in un'area ricca di millenaria scienza e coscienza che partendo dall’arte rupestre è arrivata alle vette altissime della Magna Grecia, non c’è da stupirsi se si associa il blu al mare, che qui è vita e sconvolgente bellezza, e il rosso alla forza terribile e allo stesso tempo stupefacente della natura.
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Claudio Cerritelli
ARMONIA E DISSEMINAZIONE NELLA PITTURA DI PINO PINELLI I. L’aspetto fondamentale dell’arte di Pino Pinelli è legato all’indagine sulla ri-definizione della pittura che l’ha tenuto impegnato in un graduale processo di alterazione dei canoni pittorici dai primi anni Settanta fino al definitivo superamento del quadro avvenuto nel 1976. Analizzando l’immagine nei suoi elementi primari (colore, campo, linea, luce) Pinelli concepisce la pittura come emanazione luminosa che dilata lo spazio producendo continue tensioni espansive della forma geometrica. La fisicità del colore è esaltata con massima fermezza, le vibrazioni interne sono controllate in ogni spostamento, le cangianze di luce lasciano affiorare invisibili atomi di materia, impulsi cromatici oltre i perimetri. La pittura si offre come colore concentrato in se stesso, campo di pura sensibilità, preludio al nuovo modo di pensare la pittura che Pinelli concepisce come identità mentale e sensoriale della forma pura. Tale orientamento preliminare permette di deviare dalle modalità convenzionali del dipingere senza abbandonare il rapporto con la pittura, infatti è con l’uscita dal quadro che l’artista inventa una nuova procedura spaziale, capace di dar vita a tutto il suo percorso successivo. Il colore diventa un segno oggettualizzato, l’aspetto tecnico è basato sull’uso dell’acrilico su flanella, l’unità della superficie acquista possibilità di esistere nella pluralità, l’identità della pittura si configura in relazione allo spazio circostante. La modulazione dei corpi cromatici avviene tra riduzione ed espansione, il valore concettuale dell’immagine non pregiudica il livello della fisicità cromatica, la superficie monocroma diventa un campo sensoriale illimitato. Una delle immagini più radicali che stanno alla base dell’arte di Pinelli è quella composta da segmenti angolari che suggeriscono il perimetro tagliato di un rettangolo vuoto, inglobando la superficie della parete come parte dell’opera. La fissità del quadro è dunque spezzata, determinando il passaggio dall’interno all’esterno, come se lo spazio fosse dominato dall’alternanza di concentrazione ed estensione, meccanismi ambivalenti che evocano la dialettica tra l’aperto e il chiuso, tra il pieno e il vuoto. Il processo spaziale sviluppa in vari modi l’idea di disseminazione da cui Pinelli trae motivo per tutti i suoi interventi, come avviene nelle opere scelte per questa mostra, ricerca di equilibri attraverso molteplici ritmi di tensione dell’immagine, riferite alla dualità cromatica del blu e del rosso. L’unità della pittura è perseguita nella disposizione armonica di molteplici elementi secondo una linea costruttiva elementare, dove la dimensione tattile delle forme si coniuga alla fisicità della parete. Non a caso Pinelli – riflettendo sugli aspetti specifici del suo pensare e fare pittura – congiunge l’esperienza del vedere a quella del sentire e del toccare, perseguendo una dimensione sinestetica che amplifica il colore verso la tensione percettiva totale, oltre il limite dei mezzi che costituiscono l’opera. 31
Attraverso ripetute stratificazioni di pigmenti polverizzati viene raggiunta la massima intensità sensoriale di ogni singola superficie, la profondità del monocromo permette di illuminare lo spazio con vibrazioni radicali, ogni frammento è un punto di tensione che si articola in relazione agli altri. In questo modo, ogni istallazione gioca sulla veduta d’insieme e sull’unicità delle frammentazioni spaziali, sulla compresenza ambivalente di sguardi che oscillano dentro e fuori dai riferimenti architettonici che accolgono il respiro sospeso della pittura. II. L’avventura di Pinelli è inscindibile dai luoghi in cui progetta i suoi interventi, è commisurata volta per volta all’esigenza di calibrare gli equilibri ritmici in vibrazione coinvolgendo lo spettatore come parte attiva del significato dell’opera. L’esperienza percettiva è uno scambio di sensibilità tra l’artista e il lettore, sollecitato ad assimilare la dimensione totale dello spazio, punto d’incontro ideale tra l’identità formale dell’opera e libertà emozionale di guardare, scorgere, disvelare i significati strutturali. I segni pittorici s’irradiano sulla parete con modalità differenti, le variazioni si accrescono nel corso dei decenni diversificando gli orditi spaziali, le forme plastiche, le traiettorie ritmiche, i rapporti cromatici, la loro possibilità di variare con differenti aggregazioni sulla parete. Pinelli è consapevole che l’espansione della pittura nello spazio ambientale è questione ampiamente affrontata dalle avanguardie storiche, riconosce dunque i debiti culturali che vanno dalle radici costruttiviste fino alle ricerche spazialiste, minimaliste, esperienze ambientali che sono alla base delle installazioni plasticopittoriche dagli anni Settanta in poi. La coscienza di questi riferimenti (da Malevich a Fontana, da Manzoni a Castellani, da Reinhardt a Klein) è la premessa necessaria per immaginare diverse ipotesi che accompagnano il rapporto tra pittura e ambiente, stato ansioso del pensiero alla ricerca di una costante ridefinizione dello spazio. Dopo aver partecipato al clima culturale della cosiddetta Pittura-Pittura o Pittura Analitica o Nuova Pittura (da Olivieri a Griffa a Guarneri, da Verna a Morales, da Zappettini a Cacciola) Pinelli si confronta con analoghe esperienze della pittura europea (da Charlton a Geiger, da Dolla a Viallat, da Gaul a Rajlich) misurandosi in seguito con una concezione spaziale del colore legata alla disseminazione dei frammenti. Attraverso il sostegno critico di Filiberto Menna (1977) la sua opera viene messa a confronto con altri pittori italiani (Cotani, Gastini, Ortelli, Pozzi), con artisti francesi (Dezeuze e Joubert), e con alcuni autori americani (Shields e Umlauf), tutti accomunati dall’impiego di «unità disseminate nello spazio, dislocate in punti diversi e lontani, costituiti a volte da elementi disomogenei, per forma e grandezza». 32
Usando la strategia della disseminazione, gli artisti tengono aperto il sistema della pittura come ricerca di relazioni con la realtà esterna, in tal senso Pinelli è tra i più convinti assertori della necessità di stabilire un rapporto di simultanea corrispondenza tra l’opera e il suo luogo. Da questa scelta di campo si avvia un processo di costruzione dove le singole forme si armonizzano attraverso reciproci magnetismi, misure flessibili, calcolate distanze, progressioni spaziali, strategie parietali per rigenerare continuamente lo spazio dell’immaginario, senza mai considerarlo vincolato ad un’unica soluzione. III. Come avviene in alcune opere di questa mostra, Pinelli persegue la curvatura dello spazio, lo slancio a portarsi oltre la misura circoscritta delle forme, a sondare le energie cromatiche che si diffondono nella profondità del vuoto intorno. In ogni istallazione si avvertono slittamenti sempre diversi, composizioni centripete, ritmi ascensionali, articolazioni di segni irradianti, nuclei dislocati in prossimità ora del pavimento ora del soffitto. Molteplici sono i modi compositivi che contraddistinguono la pittura nell’evento del suo disvelarsi nell’ambiente: elementi angolari a distanza regolare, traiettorie curve con ritmi trasversali, forme incrociate e convergenti, sovrapposizioni di triangoli bicromatici, segni irradianti e dinamici, combinazioni con spigoli divergenti. I titoli di riferimento delle singole opere sono di per se stessi codici seriali senza alcuna traccia di riconoscimento, essi indicano – come da concezione astratto/ aniconica – sigle di connotazione cromatica, ma la vera individuazione sta nella spazialità concreta in cui sono state collocate, dove si sono inverate. L’espansività della visione spinge Pinelli a moltiplicare gli elementi creando ritmiche spaziali avvolgenti, articolazioni di grande impatto commisurate all’energetica vitalità che la disposizione dei frammenti determina. Nella sperimentazione delle aggregazioni spaziali l’artista tiene in bilico i percorsi profondi della ragione e il livello emozionale della percezione, la dimensione analitica e quella intuitiva, il pensiero concettuale e l’esigenza di fisicizzare grandi spazi, creando molteplici risonanze in una sola immagine. Il suo modo di sentire lo spazio appare spesso come una policromia diffusa, orchestrazione di ritmi penetranti, propagazione di colori e suoni, forme acute e svettanti verso ogni direzione. La dimensione spettacolare stimola intensi dinamismi percettivi, legati sia al compenetrarsi delle forme sia al mutevole vibrare dei colori, sia all’accentuazione policromatica come dialettica interna tra colori diversi. La particolare predisposizione per il rosso e il blu, persistente relazione dialettica che accompagna le diverse stagioni della sua ricerca, trova in questa mostra un momento di massima evidenza plastica. Affrontando l’idea bicromatica l’artista inventa nuovi percorsi dello sguardo, inedite traiettorie spaziali accompagnate da un trattamento della materia capace 33
di infondere lievi pulsazioni al corpo del colore, effusioni di luce che muovono la superficie con forme morbide e sinuose. Nella ricerca di differenti effetti plastici non v’è nulla che possa far pensare alla scultura, se non l’interesse per la modellazione degli spessori tesi a scavare la forma, a frastagliare la superficie non trascurando mai le qualità materiche di scaglie, solchi, sbalzi, difformità, slabbrature, fluidità dei profili lavorati anche sui lati. Questi caratteri si potenziano quando l’artista si misura con 2 o 3 elementi di maggior dimensione avvicinati fino a toccarsi, in questi casi la superficie non è solo modellata con rientranze e sporgenze ma anche letteralmente “arata” al suo interno, simile a un territorio dagli andamenti irregolari che s’addentrano per mostrare la vitalità generativa della forma. Nel corso degli anni Novanta gli alfabeti spaziali sono molteplici, alcune ricerche approfondiscono anche il senso della pittura “piegata”, con nuove implicazioni d’ombra e di luce: i bordi si sollevano fino a creare un argine tra il corpo dell’opera e la parete, icona non più frantumata, immagine solida con un’unica frattura centrale che sprofonda in se stessa. Ad accentuare l’energia condensata nella forma sta il fatto che anche una breve misura monocromatica sostiene il peso percettivo di un’intera parete, questa sfida è presente in diverse occasioni espositive come scelta minimale rispetto alle logiche complesse che – invece – mettono in scena sinfonie di elementi plurimi che si incrociano e si dilatano. IV. A voler descrivere le opere di questa fase di ricerca c’è da rimanere affascinati dalle invenzioni con cui Pinelli sollecita le forme plastiche nel continuum ambientale ogni volta diverso. Venti forme ellittiche rosse si disseminano nella lucentezza dello spazio instabile, sei grandi fasce rosse su tre livelli di lettura inquadrano lo sguardo nella misura simmetrica dell’orizzonte, quarantotto elementi disposti su quattro linee ascendenti diffondono l’energia del rosso nel miraggio di una divina proporzione. Si tratta di opere immaginate oltre i confini del possibile, ritmi del pensiero proiettati verso lontananze smisurate, astrazioni concrete al massimo della loro possibilità di percorrere le scale musicali del colore, pittura timbrica ricca di variazioni interne, senza mezzi toni, carica di luce assoluta. Parallelamente alle estensioni irregolari dei frammenti, Pinelli rimette in gioco un senso del comporre più lineare (rettangoli, inquadrature, combinazioni geometriche), rigoroso procedere per elementi metrici che si sviluppano per accordi luminosi e vibrazioni intermittenti. I fondamenti elementari del colore sono gli strumenti persistenti di questo viaggio verso la bellezza immaginativa delle forme pure, il configurarsi dinamico conferisce identità al senso sempre aperto dell’immagine che tutto accoglie e 34
tutto dissemina, sintesi di energie attraverso cui la pittura vuole essere guardata nella sua complessità. Unità del molteplice o – come ha indicato Giovanni Maria Accame – «l’unità diviene pluralità», infatti nella definizione di “pittura” si identificano tutte le operazioni plastico-cromatiche, le mutazioni formali, gli spostamenti di ottica che caratterizzano lo stile che Pinelli ha maturato con originalità nel panorama dell’arte degli ultimi quarant’anni. Pittura plastica, pittura parietale, pittura tattile, pittura totale: queste sono le definizioni preferite dall’artista in quanto lo spettatore deve essere coinvolto dall’insieme simultaneo dei frammenti cromatici, schegge che rivelano sensi nascosti tra il conscio e l’inconscio, tra le proporzioni stabilite dall’ordito progettuale e l’affiorare di sensazioni più profonde. Gli andamenti orizzontali o verticali sono proporzionati alla misura dei singoli frammenti, in modo da determinare anche gli spazi tra un elemento e l’altro, l’oggettualità delle forme, la sensazione che l’insieme dei frastagli sembra sollevarsi nell’atto di osservare l’opera. Per render la dimensione sempre più dilatata Pinelli tinteggia in alcuni casi la superficie del muro con lo stesso colore dei frammenti, per esempio in un’ambientazione completamente gialla i numerosi frammenti disseminati sulle pareti dialogano con piccole icone a croce giocate in negativo, segni contratti rispetto al tripudio arioso delle grandi istallazioni. Il senso dell’infinito si congiunge al movimento corpuscolare della luce che inonda l’ambiente con aggregazioni mutevoli, armonie dissimili, colori sonori, forme icastiche, «in quanto – ha dichiarato Pinelli – con il mio terzo occhio vorrei raggiungere la sostanza atomica della forma come elemento di forza e di costituzione di una diversa natura della pittura». Quando la scelta monocromatica privilegia il bianco l’espansione luminosa è rafforzata dal colore naturale del muro, in modo tale che il bianco dei frammenti sembra sorgere direttamente dalla parete. L’unica interferenza è dovuta alle ombre che si formano intorno ai margini delle scaglie ma anche in corrispondenza delle scanalature della superficie, nei dislivelli percettivi che esaltano la sensazione vellutata della materia, nonché la bellezza corrugata delle forme irregolari. Nelle differenti tipologie formali (croce, freccia, spina di pesce, U-T-L-O) si avverte il desiderio di comunicare le morfologie del linguaggio plastico come autonomo alfabeto compositivo basato sul quoziente materico di ogni elemento. V. Dal confronto delle diverse “ambientazioni” realizzate dopo il 2000, emerge un controllo dei coefficienti interni ed esterni alle superfici che si articolano in funzione della totalità del campo percettivo, vita del linguaggio pittorico sempre gravido di nuove idee e conseguenti ipotesi realizzative. 35
In Pittura BL/G o in Pittura BL (2004) Pinelli opera lo scollamento di un lato dei due elementi, con la sensazione che un lembo del corpo cromatico si sollevi sospinto da un moto invisibile, dal soffio imprevedibile dell’aria. Ovviamente, siamo di fronte a uno dei possibili esiti di un processo che proviene dalle forme degli anni Ottanta, quando l’artista staccava la pittura dalla superficie per farla respirare nello spazio con forme sfrangiate e carnali, trepidazioni cromatiche proiettate con leggerezza oltre se stesse. Questa libertà d’azione consente di fare mosse calcolate sullo scacchiere della sensibilità, praticando di nuovo le latitudini ambivalenti della geometria non euclidea (Pittura R, 2007) attraverso minimi spostamenti che invitano l’osservatore a soppesare il disvelamento tattile delle forme. Le composizioni parietali Pittura R e Pittura BL (2008) sono costituite da strutture di 12 e 18 elementi che agiscono a diverse altezze, accostati secondo intervalli studiati per assecondare l’evento emozionale delle forme, il loro consueto galleggiare nella sospensione della parete. Non v’è minimalismo di carattere concettuale, non si tratta di strutturalismo asettico e immodificabile ma di uno schema spaziale intuitivo, dove i frammenti agiscono secondo magnetismi stabiliti dall’occhio della pittura. Sul versante “blu” lo spazio si dilata sconfinando ai lati del perimetro virtuale della composizione, in modo quasi simmetrico, più di quanto non appaia nell’installazione “rossa”, sbilanciata verso sinistra per inglobare il vuoto. D’altro lato, nelle opere che potremmo definire “teoremi diagonali auto conclusi”, la linea di congiunzione di due elementi triangolari lascia scorgere uno spiraglio irregolare, svelamento delle qualità materiche della pittura, ulteriore modalità espressiva per verificare nuovi equilibri cromoplastici. Tutte le interpretazioni della critica (da Caramel a Cortenova a Lamarche Vadel, da Fagone a Mussa, da Bonomi a Meneguzzo, da Verzotti a Mango, da Corà a Barbero, da Tedeschi a Pola, oltre ai già citati Menna e Accame) hanno riconosciuto nella pittura di Pinelli valori imprescindibili dalle tensioni concettuali incentrate sul vitalismo dinamico del colore. I differenti percorsi di lettura rivelano il persistente oscillare dall’atto progettuale della scrittura parietale all’inquieto vibrare del colore in campo aperto, infinite declinazioni sono adottate per far sentire la fisicità profonda dell’epidermide, «pelle dai pori dilatati», l’ha definita Ingrid Mossinger. La fenomenologia delle soluzioni indica uno stato di permanente transizione del ritmo dei frammenti, riscontrabile nel costante dislocare le immagini da un punto all’altro delle vedute d’insieme. Modellare il corpo del colore e modulare le sue strutture nell’ambiente sono le polarità entro le quali si sviluppa il linguaggio costruttivo dell’emozione, al tempo stesso rigoroso e sensuale, limpido nel suo progetto formale e denso nelle accumulazioni stratificate. 36
La logica delle istallazioni prevede sempre che lo spettatore superi la fase iniziale del colpo d’occhio e prenda coscienza della materia con cui l’artista fa i conti, dal progetto concettuale alla fase artigianale, dagli archetipi della pura manualità ai processi percettivi dell’oggetto-plastico. Del resto, la pittura di Pinelli non è solo un percorso di idee spaziali ma ha uno slancio che si misura soprattutto con la passione del fare, eterno piacere che lo porta a seguire in prima persona tutte le fasi di lavoro. Intellettuale artefice del proprio universo in divenire, l’artista ha raggiunto un possesso interiore delle sue alchimie tale da trasmettere un senso di armonico mistero alle forme che escono dalle sue mani, ancora prima di essere disposte e contemplate sulla parete. Di nuovo, come sempre, la partita si gioca tra segni minimi e grandi costellazioni, opposte polarità entro le quali il flusso della ricerca trova approdi e andamenti diversi, affermazioni di spazio e ribaltamenti, solidità e frantumazioni. VI. Questa complessità comunicativa esclude ogni manierismo più o meno codificato, mettendo in scena una costante possibilità di relazione tra opere distanti nel tempo, in quanto ogni periodo di ricerca è sempre collegato alla matrice spaziale dell’armonia e della disseminazione che costituisce il fondamento generativo del pensiero della pittura. Pinelli ne è così consapevole che l’idea di allestire opere del passato per esposizioni del presente offre sempre un nuovo carico di esperienza, accrescendo l’identità dell’opera attraverso una somma di verifiche del suo potenziale immaginativo sempre intatto. Quest’aspetto non va mai trascurato in quanto significa tenere il campo aperto a nuove implicazioni spaziali che trasformano l’intonazione delle forme, designando con la stessa grammatica visiva nuovi sensi percettivi. L’interpretazione spaziale di questa esposizione a Lipari risponde al vivo desiderio dell’artista di allestire le mostre «soltanto dopo essersi impossessato fisicamente e psicologicamente dello spazio a sua disposizione». In questa specifica occasione si avverte la volontà di armonizzare le opere e l’ambiente per far cantare le forme nel ritmo architettonico, tenendo conto di alcuni fattori dominanti: la misura delle pareti, le fonti di luce, il rapporto con la tensione magnetica tra le diverse morfologie plastiche. Le opere sono disposte nella teatralità simbolica del percorso che dalla navata centrale si dirama verso i transetti laterali, nell’equilibrio armonico tra emozione corporea del colore e perfetta corrispondenza dei nuclei compositivi. Il rosso e il blu, colori eletti a protagonisti di quest’installazione, sono due dominanti cromatiche che Pinelli frequenta da sempre, polarità luminose che accompagnano le pulsazioni immaginative che sono la persistente ragione del suo linguaggio. Il pensiero di questi due colori corrisponde idealmente all’energia luminosa del luogo, dialogo tra il rosso incandescente della lava vulcanica e il blu 37
profondo del mare, tramiti visionari che l’artista sente come campo sensoriale nell’infinita vastità del paesaggio circostante. Nulla di naturalistico ma profonda coerenza nel volere incarnare un percorso simmetrico che produce nuove relazioni tra composizioni differenti, infatti l’insieme ambientale non è mai statico ma congiunge geometrie infrante e irradiazioni bicromatiche attraverso pause e distanze tra il rosso e il blu. Per rendere magica la spazialità perfettamente misurabile di questo percorso, l’artista sviluppa la tensione frontale di tre istallazioni poste nella navata centrale, completamente dedicata alle avventure del rosso. Sul doppio fronte dei transetti laterali sono collocate 6 opere (dal 1999 al 2003) che alternano tre combinazioni cromatiche (rosso totale, rosso-blu, blu totale), modalità costruttive che si fronteggiano con misurati equilibri tra i pieni e i vuoti, tra la memoria geometrica e la materia vellutata, tra il colore plasmato in punta di dita e la luce diffusa intorno. Dunque, all’inizio del percorso si avverte lo slancio trasversale di 2 grandi ritmologie spaziali che si dilatano sulle pareti parallele di quasi 9 metri, da un lato sta Pittura R con 24 elementi e, dall’altro, risponde Pittura R con 24 elementi (1999), scaglie sfrangiate nei contorni o racchiuse da bordi regolari. L’opera installata al centro dell’abside (Pittura R, 2000) è l’unica che si vede durante le due fasi del percorso, punto di convergenza di tutte le opere, linea di raccordo costituita da sei elementi in armonia con gli altri punti focali dello spazio. Pensare la pittura significa dinamizzare lo spazio in cui si articola la sintassi cromatica, essendo quella di Pinelli una delle espressioni più originali dell’arte degli ultimi quarant’anni, posizione difficile da definire se non attraverso il suo particolare “differire” dai modi convenzionali della pittura dipinta. Visione aniconica e concreta, pittura di pensiero che ogni volta si genera attingendo alle energie di una concezione plastico-cromatica illimitata, pittura che cerca il senso nascosto del vedere, il «grembo cosciente del proprio ignorare», infinita corporeità delle idee che nascono dal colore e sulla via della pittura accrescono il senso del proprio destino creativo.
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Enrico Mattei
IL ROSSO E IL BLU Il lavoro di Pino Pinelli dagli inizi degli anni ’70 è un lungo processo di riflessione e di approfondimento sull’origine della pittura. Inizialmente attraverso una sorta di sottrazione, riducendo la pittura alla sua semplicità geometrica e alla monocromia. Verso le ragioni profonde del fare pittura, spogliata della sua narrazione esteriore, della rappresentazione tradizionale e ormai letteralmente fuori dalla cornice. La ricerca di Pino Pinelli è, appunto, figlia del suo tempo, e per questo rimette in discussione i tempi della storia dell’arte, tutti. Egli è a Milano negli anni Sessanta, ci sono Lucio Fontana che abbatte i limiti dello spazio e del tempo, che crea ambienti estendendo il concetto di opera, ci sono i suoi “figli spirituali”, tra i quali Bonalumi, Castellani, Scheggi che porteranno alla Pittura Oggettuale. Ci sono le ricerche programmate e cinetiche, arriva la Pop Art, e arriva Francis Bacon: è l’altra faccia della medaglia, l’altro riferimento, con la sua opera che martoria la figurazione e trasforma il senso dello spazio. Sono artisti che diventano, ancora in vita, miti, eroi titanici che abbattono le barriere e i pudori del linguaggio. Pino Pinelli, come i grandi artisti della sua generazione, al di là dei percorsi diversi, ha dimostrato il coraggio di non tremare di fronte alla possibilità, di fronte al nuovo ancora da dire, da creare, ma di affrontarlo, con la sua opera. Questa assenza del limite porta Pinelli verso una spinta creativa straordinaria, gli consente di esprimere la sua totalità di uomo e di pittore, che porta dentro l’esperienza della luce, del colore, delle arsure, delle scabrosità della sua identità mediterranea. Nel dipingere la pittura si auto genera, la pennellata si solidifica, si dà un corpo, amplia dall’interno le possibilità del dipingere. L’artista crea la pittura plasmando con le mani la materia e il colore, creando con gesto pittorico il suo corpo solido, facendo in modo che la pittura si auto significhi. Dei suoi canoni costitutivi ha abbandonato alcuni elementi rassicuranti, la tela e il telaio; ha mantenuto invece il legame con lo spazio non circoscritto, illimitato, con la forma e il colore. Tentare un viaggio verso lo spazio infinito, conservando il concetto della pittura e ampliandone i confini e le competenze. Se il mito è una narrazione sacrale relativa alle origini del mondo, il lavoro di Pinelli (lui etneo, nato in via del Teatro greco a Catania) può essere definito un riavvicinamento a questo momento sorgivo del mondo, i cui protagonisti non sono dei ed eroi, ma la loro stessa azione di interrogare il cosmo e la vita. Pino Pinelli deve “ridurre al minimo” il ruolo della pittura, il valore dell’opera in quanto fatta di disegno, di spazio, di superficie e di profondità, di colore, di tela, di materia, perché in lui arriva, a un certo punto, come una pugnalata lentamente attesa e salvifica, il confronto con la storia, il peso del passato, della ricerca artistica prima classica, poi tardo antica, poi rinascimentale, del nostro Paese. Un artista italiano fa i conti con i colori, con i linguaggi di un Piero della Francesca, di un Paolo Uccello. Ecco allora il quadro da fare a pezzi, da dimenticare, per poter ripartire dal colore, appunto. Dal suo Grado Zero. Dal suo esserci, semplicemente, nello spazio e nel tempo. Pinelli rompe il concetto di quadro, dal lontano 1976, lasciando che il quadro ridotto a frammento e a grumo di colore ritornasse tutt’uno con le pareti. Il muro
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entra così nell’opera o viceversa possiamo dire che il frammento viene ricomposto dal muro in un tutto integrale. Le opere di Pinelli sono frammenti di colore che vengono disseminati sulle pareti, gettati sul muro come fa il contadino durante la semina. Anche nell’antichità i rituali legati al mondo contadino e alle festività agresti venivano fissati sulle pareti delle case o dei templi, oppure sulla superficie dei vasi, attraverso la pittura o la scultura; così sugli scudi, le tappezzerie e gli oggetti quotidiani, acquistando un valore mitico nel corso del tempo. La tradizione da tutti condivisa doveva garantire la fertilità dei campi e la prosperità politica. Il tempo di quelle opere era il tempo ciclico del mondo rurale, in cui ogni anno, alla fine dell’inverno, gli dei morti risorgevano alla vita in primavera. La cultura era, nel mondo latino, un intervento tipicamente materiale-lavorativo, ancora oggi non possiamo alludere ad esso se non ricorrendo ai derivati di quella radice verbale. Si trattava della coltivazione dei campi, ovvero dell’agri-coltura, per cui è lecito dichiarare che una delle prime forme di cultura dell’umanità è stata l’agricoltura. La lingua italiana aiuta attuando una lieve modifica, passando da “cult” a “colt”, qualora si voglia designare propriamente gli interventi di natura pratico-materiale legati alla lavorazione della terra, e lasciando invece l’arcaizzante “cult” a indicare i processi traslati, metaforici, figurati che riguardano una “lavorazione” a livello di idee, di processi cognitivi distaccati dalle immediate occasioni materiali. Come un seme la pittura ha anche la funzione di portare alla luce qualcosa che nasce al buio, ancora inconoscibile, e renderla tattile, concreta. Le opere diventano metope, il rosso, il blu, le cui superfici sono vellutate o ricoperte di cristalli di roccia pungente come lava di vulcano. Una volta Pinelli ha scritto: «Come un guerriero cieco, cerco la luce». Si tratta di un’energia ctonia che nasce e prende corpo, acquista colore alla luce, e sensualità, tattilità sulle pareti delle stanze in cui ci interroghiamo sul senso della vita. “Il Rosso e il Blu”. Il colore è il protagonista assoluto della scena immacolata dovuta alla purezza del bianco e al completo svuotamento della Chiesa di Santa Caterina. La navata centrale con il suo transetto e l’abside sono i luoghi deputati dal Maestro Pino Pinelli per la sua mostra personale. L’opera che funziona da veicolo per l’intera esposizione è il dittico di colore rosso e blu che troviamo a destra dell’entrata; subito dopo inizia sulle pareti della navata una disseminazioneinvasione, che si esibisce in tutta la sua timbricità sonora, nella sua seduzione tattile, nel rimando da un elemento all’altro, nella continuità e infinità dello spazio. Il colore che predomina entrando è il rosso che stacca dal bianco immacolato e ricorda la lava di queste meravigliose isole vulcaniche, lo si trova in abbondanza in questi numerosi elementi che si differenziano solo per grandezza e forma. Le due parti del transetto, sinistra e destra, sono un susseguirsi ritmico del rosso e del blu: un articolarsi di forme contrarie e opposte che si differenziano proprio al variare del colore. Il blu rimanda senza dubbio all’immensità del mare da cui affiorano queste Isole e in particolare Lipari. 41
Nicola Micieli
SEGNI DI INTERLOCUZIONE NEL SISTEMA AGIBILE DELLO SPAZIO Ha senso affermare che i variabili “segni” o morfemi, i reperti di materia geologica o particole del corpo plastico – e vorrei dirlo mistico – della scultura e della pelle sua dichiarata come pittura, siano luoghi di misura e di ri-velazione dello spazio nel quale si insediano in evidenza segnaletica e capacità di animazione del contesto? Certamente sì. Anzi, perderebbero molta parte del loro significato e della loro funzione d’uso estetico, se non interloquissero con lo spazio d’intorno, essi stessi portatori di spazio incluso e generatori di quello indotto per dinamica percettiva. Anonimo e indeterminato che sia quanto a struttura e figura formale, dunque “costretto” a polarizzarsi su quell’inserto o segno monocromatico e grumo materico che vi si accampa; oppure, al contrario, precisamente delineato all’intersezioni dei piani nelle tre dimensioni, e conformato con una propria identità estetica, lo spazio che accoglie gli oggetti pittoscultorei di Pinelli si ridefinisce e riassesta nel suo insieme. Ciò accade per la retroazione che si verifica nei sistemi, quando muti posizione o ingombro o peso o altra fisica proprietà un loro elemento costitutivo, oppure siano visitati da corpi estranei che pretendano accoglienza e circolazione contestuale. I sistemi sono insiemi “aperti” per definizione, sempre mirati all’equilibrio. Il sistema relazionale di tipo percettivo determinato dalla collocazione nello spazio dato di uno o più oggetti pittoscultorei, si ridefinisce verso un nuovo equilibrio a ogni spostamento dell’osservatore, il cui occhio è l’altra componente del triangolo coinvolto nell’esperienza estetica. A ogni diversa angolatura, lo sguardo coglie una gestalt in mutazione sincrona con il movimento dell’occhio. Come succede nel caso dei “meccanismi” retinico-dinamici innescati dagli impianti optical e cinetici propri di un’arte analitica ed esatta. Ai fini dell’equilibrio aperto del sistema spaziale cui danno luogo le installazioni di Pinelli, conta l’esattezza vorrei dire cartesiana con cui si dislocano gli oggetti nello spazio. Che non può essere considerato una superficie o una volumetria neutra, idonea a mostrare l’opera con sufficiente decoro e il minimo possibile di interferenza o disturbo visivo, ma senza particolare distinzione per la sua natura e appartenenza concettuale. Le opere di Pinelli non chiedono la contemplazione ma la partecipazione. Per quanto molte siano fatalmente destinate a essere appese in modo convenzionale, esse non sono sic et simpliciter sculture o dipinti aniconici da “esporre”. Sono segni pittorici e corpi plastici concepiti per abitare lo spazio e rivelarlo, pena la riduzione del loro potenziale estetico-percettivo e psicodinamico. Del resto, appartenendo alla generazione post-spazialista ed essendo tra i più significativi eredi e prosecutori italiani della lezione di Fontana, per il quale l’opera è ricerca dello spazio oltre il piano-superficie e animazione dello spazio-ambiente, Pinelli ha abbandonato sia l’idea della rappresentazione – anche solo di patterns e strutture astratte, tanto più di immagini referenziali con i loro corollari narrativi – sia lo statuto fisico dell’opera in termini di supporti, superfici di intervento, limiti di campo e “recinzioni” dello schermo o della volumetria visualizzata. L’opera-oggetto è stata il frutto della riduzione delle componenti formali ai fondamenti del fare scul-
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tura e pittura: la materia, che sta per l’originaria “argilla” da plasmare, e il colore monovalente che si manifesta integro e pieno a “vestire” l’orografia dello spaccato plastico. A ben guardare, si tratta d’un recupero del primario: per ricominciare il percorso della pittura con spirito creativo e intenzione espressiva rinnovati, mirando a fare dell’esperienza artistica un atto di coinvolgimento e di comunicazione, per il quale è decisivo lo spazio agibile investito e chiamato a una risposta attiva. Pur nella raggiunta autonomia e compiutezza formali – di una bellezza risalente alla scaturigine del gesto che modella la materia, dello sguardo che desume il colore dalla natura e lo trasforma in segno –, senza la compresenza attiva dello spazio l’opera di Pinelli sarebbe una sorta di macchina celibe autoreferente o comunque dal funzionamento sigillato, forse ermetico: un’entità incompiuta, deprivata della propria alterità dialettica, del dinamico suo doppio spaziale che raccoglie la pulsione dal profondo della materia-colore e ne estende l’azione. Per questa ragione poco sopra parlavo di “installazione”, modalità espositiva che meglio si addice all’esattezza e all’organicità degli inserimenti di queste opere. Non a caso Pinelli provvede con grande concentrazione e una puntualità da sezione aurea in proiezione cosmografica, al “montaggio” delle sue mostre. Egli calibra il rapporto quantitativo e visivo oltre che spaziale e ambientale dei valori in gioco, perché la posizione dell’opera non sia inerte e meramente decorativa, pur raccordando coordinate spaziali, ma occupi punti nevralgici nella circolazione vitale dell’energia psicoattiva dell’insieme. Penso dunque alla scelta puntuale delle grammature del colore, delle masse ed estensioni della materia variamente formata, delle increspature dei bordi e del corpo plastico inciso o se vogliamo “arato” dall’artista, che lo percorre e lo “penetra” con le dita per depositarvi i segni del suo passaggio. E ogni passaggio dà vita a un unicum, un’opera distinta pur nella corrispondenza del profilo somatico che la assegna a una delle tipologie morfologiche create da Pinelli, quali sintesi di figure o loro parti vuoi della geometria vuoi della natura. L’opera generata dalla fisica manipolazione e penetrazione dell’artista è spendibile nella sua compiuta unicità, appunto, in molteplici combinazioni binarie, che determinano figure primarie tendenzialmente simboliche, e in più o meno complesse aggregazioni, che possono assumere aspetto di costellazione (Pinelli parla di “disseminazione”) o di sequenza composta da analoghi tipologici distinti e graduati, non più dai moduli seriali minimalisti sui quali un tempo l’artista fondava la propria “colonizzazione” dello spazio-ambiente. Con l’attuale convergenza della materia plasmata e del monocromo in morfemi che sembrano, come dicevo, reperti geologici o particole del corpo plastico dell'arte, le opere di Pinelli recuperano anche una evocatività arcaica e una latente aura sacrale, rimandando ad archetipi fondativi della cultura della terra e degli elementi, che scattano per associazione quando incrociano i caratteri del luogo dove sono chiamate a insediarsi. Come nel caso dell’idea della mediterraneità suscitata dall’installazione qui documentata, da Pinelli realizzata nella nativa Sicilia. 43
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PINO PINELLI
IL ROSSO E IL BLU
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Pittura R, 2000 disseminazione di 6 elementi, tecnica mista, 40Ă—31 cm (ciascuno)
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Pittura BL R, 2003 tecnica mista, cm 56Ă—42
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Pittura R, 2002 Tecnica mista, 45Ă—28 cm
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Pittura BL, 1999 tecnica mista, 73Ă—52 cm
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Pittura R, 2000 tecnica mista, 62Ă—50 cm
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Pittura BL, 2002 tecnica mista, 45Ă—28 cm
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Pittura BL R, 1993 tecnica mista, 67Ă—52 cm
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SEZIONE OPERE ANTOLOGICHE
Veduta parziale della mostra: “Pino Pinelli. L’intorno della pittura”, 2010 Villa La Versiliana, Marina di Pietrasanta, (LU) Courtesy Galleria Claudio Poleschi Arte Contemporanea, Lucca
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Veduta parziale della mostra: “Pino Pinelli. Pittura spaziale�, 2008 alla Galleria Lara e Rino Costa, Valenza Po, (AL)
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Veduta parziale della mostra: “Pino Pinelli. La pittura tra frammento e tensione unitaria�, 2007 alla Galleria A arte Studio Invernizzi, Milano
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Veduta parziale della mostra: “Pino Pinelli. L’ombra della percezione”, 2003 alla Galleria A arte Studio Invernizzi, Milano
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Veduta parziale della mostra: “Pino Pinelli. Pittura�, 1996 alla Galleria APC, Colonia
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Veduta parziale della mostra: “Pino Pinelli. Pittura�, 2002 Schloss Lamberg Kunstverein, Steyr
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Principali mostre personali Pino Pinelli è nato nel 1938 a Catania. Vive e lavora a Milano.
1968 Pino Pinelli, Galleria Bergamini, Milano.
Pino Pinelli, Galleria Mathieu, Besançon.
1969 Pino Pinelli, Galleria d’Arte Gi3, Seregno. Pino Pinelli, Galleria Sicilia Arte, Catania.
1980 Galleria A.A.M., Roma. Galleria Chantal Crousel-Svennung, Paris.
1970 Pino Pinelli, Galleria Pianella, Cantù. Pino Pinelli, Galleria d’Arte Contemporanea Il Punto, Torino. Pino Pinelli, Galleria d’Arte L’Argentario, Trento. 1971 Pino Pinelli, Galleria d’Arte Vinciana, Milano. 1972 Pino Pinelli, Studio Nino Soldano, Milano. Pino Pinelli, Galleria Stefanoni, Lecco. 1974 Pino Pinelli, Galleria Gastaldelli Arte Contemporanea, Milano. Tempere di Pino Pinelli, Studio P.L., Milano. 1975 Pino Pinelli, Studio Nino Soldano, Milano. Pino Pinelli, Galleria Plurima, Udine. Pino Pinelli. Dipinti, Galleria Seconda Scala, Roma. Pino Pinelli, Galleria La Bertesca, Genova. 1976 Pino Pinelli. Bilder, Gallerie La Bertesca, Düsseldorf. 1978 Pino Pinelli, Studio Torelli, Ferrara. 1979 Pino Pinelli, Artra Studio, Milano. Pino Pinelli, Galleria d’Arte Plurima, Udine.
1982 Artra Studio, Milano. Pino Pinelli, Galleria d’Arte Plurima, Udine. Galleria Il Milione, Milano. Galleria Unimedia, Genova. 1983 Pino Pinelli, Centro la Cappella, Trieste. 1985 Artra Studio, Milano. Galleria Plurima, Udine. 1986 Pino Pinelli, Mèta Arte Contemporanea, Bolzano. 1988 Pino Pinelli, Artra Studio, Milano. Pino Pinelli. Pitture anni ’70 e progetti, Galleria Vismara Arte, Milano. 1989 Pino Pinelli, Gallerie Art Concept, Nice, France. Pino Pinelli. Opere Recenti, Galleria Nuova 2000, Bologna. Pino Pinelli. Pittura ’89, Galleria Il Milione, Milano. Pino Pinelli. Pittura, Galleria Gill Favre, Lyon, France. Pino Pinelli. Opere su carta, Palazzo Municipale, Morterone. 1990 Pino Pinelli. Opere 1974-1990, Galleria Plurima, Udine. Pino Pinelli. Mailand, Galleria Carinthia, Klagenfurt / Galleria Carinthia, Wien. 87
1991 Pino Pinelli. Pittura 1991, Galleria Il Milione, Milano; Pino Pinelli. Opere scelte 1975-1990, Galleria Turchetto Plurima, Milano. 1992 Trilogia, Centro Espositivo delle Rocca Paolina, Perugia (con Gianni Colombo e Lucilla Catania). Pino Pinelli, Galleria Totem il Canale, Venezia. Pino Pinelli. Pittura ’92, Galleria Manuela Allegrini, Brescia. 1993 Pino Pinelli, Galleria Lil’Orsay, Paris, France. Pino Pinelli, Galleria Zand Projects, New York. Pino Pinelli, Galleria Plurima, Udine. 1994 Pino Pinelli. Objekte im Raum, Gallery 44, Kaarst, Düsseldorf. Pino Pinelli. Lavori su carta 19751993, Palazzo Alborghetti, Osio Sotto, Bergamo. Pino Pinelli, Centro Polifunzionale G. Arpino, Bra. Pino Pinelli. Pittura, APC Galerie, Köln. Pino Pinelli. Pittura, Galleria Bassanese, Trieste. Una Pittura Plastica, Teatro Sociale, Bergamo Alta, Galleria Fumagalli, Bergamo. Pino Pinelli, Galleria Soave, Alessandria. 1995 Pino Pinelli. Pittura, Kunstverein, Villa Frank, Ludwigsburg. Pino Pinelli, Galerie Lil’Orsay, Paris. Pino Pinelli, Galleria Turchetto Plurima, Milano. Pino Pinelli, Galleria Ponte Pietra, Verona. Pino Pinelli. Corporale, A Arte Studio Invernizzi, Milano. 88
1996 Pino Pinelli. Nel vuoto la pittura, Salone Villa Romana, Firenze, Galleria Santo Ficara, Firenze. Galerie Nothburga (con Rudy Wach), Innsbruck. Pino Pinelli. Pittura, APC Galerie, Köln. Pino Pinelli. Pittura, Galleria Melesi, Lecco.
Pinelli - Knubben (doppia personale Pino Pinelli e Jürgen Knubben), Galerie zur Grüner Tur, Uznach.
1997 Pino Pinelli. Horse Cadre, Nouveau Musée d’Art et d’Histoire, Langres, France.
2004 Galleria Rino Costa, Valenza Po.
1998 Pino Pinelli. Percorsi, Galleria Plurima, Udine. Pino Pinelli, Forumkunst Rottweil, Rottweil. Pino Pinelli, Galleria d’Arte Marchetti, Roma. 1999 Pino Pinelli. Rosso/Blu, Galleria Fumagalli, Bergamo. Pino Pinelli. La forma del colore, Civica Galleria d’Arte Moderna, Gallarate. Pino Pinelli, Art Cologne, Colonia (stand A Arte Studio Invernizzi, Milano). 2000 Pino Pinelli. Visioni senza titolo, del tutto rosse, A Arte Studio Invernizzi, Milano. Villa Michelangelo, Arcugnano. 2001 Pino Pinelli, APC Galerie, Köln. Pino Pinelli, Kunstverein Schloss Lamberg, Steyr. Pino Pinelli. Pittura, Andrea Pronto Arte Contemporanea, Crespano del Grappa. Pino Pinelli. One on One, Istituto Italiano di Cultura, London. 2002 Pino Pinelli. La sostanza del colore, Galleria Niccoli, Parma.
2003 Pino Pinelli. Pittura, Galleria Melesi, Lecco. Pino Pinelli. L’ombra della percezione, A Arte Studio Invernizzi, Milano.
2005 Pino Pinelli. Pittura R, Santo Ficara Arte Moderna e Contemporanea, Firenze. 2006 Pino Pinelli, Palazzo Strozzi, Firenze. Arte Fiera, Bologna (stand Galleria Melesi, Lecco). 2007 Griffa - Pinelli (doppia personale Pino Pinelli e Giorgio Griffa), Fondazione Zappettini, Milano. Pino Pinelli. Anni ’80, Galleria Melesi, Lecco. Pino Pinelli. La pittura tra frammento e tensione unitaria, A Arte Studio Invernizzi, Milano. 2008 Pino Pinelli. Pittura, Santo Ficara Arte Moderna e Contemporanea, Firenze. Pino Pinelli. Pittura Spaziale, Galleria Lara & Rino Costa, Valenza Po (AL). 2009 Pino Pinelli. Pittura 1974-2008, Cascina Roma, San Donato Milanese, Milano. Pino Pinelli. Pensare la pittura, Galleria Civica Enzo Mariani, Seregno, Milano. 2010 Liberi dinamismi della materia (doppia personale Pino Pinelli e Mario Nigro), Galleria Arsnow Seragiotto, Padova.
Principali mostre collettive Pino Pinelli. Pittura, Villa La Versiliana, Marina di Pietrasanta (LU). Pino Pinelli. Opere: 1980-2010, Galleria Plurima, Udine. 2011 Pino Pinelli. A partire dal colore, Galleria Colossi, Brescia. Pino Pinelli. La pittura disseminata, T.A.C. Arte Contemporanea, Perugia. 2012 BAG, installazione, Università Bocconi, Milano, 17 maggio Il Rosso, il Blu, Chiesa di Santa Caterina, Lipari.
1974 XXVIII Biennale Città di Milano, Milano.
L’Italie aujourd’hui, Centre National d’Art Contemporain Villa Arson, Nice.
1975 Empirica, Rimini- Verona. A proposito della pittura, Studio Soldano, Milano.
1986 Aspetti dell’Arte Italiana 1960/1985, Kunstverein, Frankfurt; Kunstverein Hannover; Haus am Waldsee, Berlin; Kunstverein, Bregenz; Hochschule für Angewandte Kunst, Wien. The Italian contribution to sixth Triennale - India, Triennale d’Arte Lalit Kala Akademi, New Delhi. Le geometrie del lirismo, Fondazione Dragan, Madrid. XI Quadriennale d’Arte, Roma. Una ragione inquieta, Palazzo Municipale, Morterone. XLII Biennale d’Arte, Venezia.
1976 Cronaca, Galleria Civica, Modena. I colori della Pittura, Roma. Tendenser i Europaeisk Kunst, Galerie Arnesen, Copenhagen. 1977 Arte in Italia 1960/1977, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino. 1978 1, 2, 3, N, Studio Ennesse, Milano. Fractures du Monochrome aujourd’hui en Europe, Musée d’Art Moderne, Paris. Disseminazione, Villa Mirabello, Varese, Museo Butti, Viggiù. 1981 Linee della ricerca artistica in Italia 1960/1980, Palazzo delle Esposizioni, Roma. Lombardia 20 anni dopo. Ricerche artistiche 1960/1980, Castello Visconteo, Pavia. Arte Critica 80, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma. 1982 La storia, il mito, la leggenda anni 80, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Verona. 1985 Esprit de Géométrie, Palazzetto dell’Arte, Foggia. Ultime posizioni della pittura italiana degli anni 80, Galleria Civica d’Arte Moderna, Gallarate. Intelligenza dell’effetto. La messa in scena dell’arte, Palazzo Dugnani, Milano.
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2011 Analytische Malerei. 4 Protagonisten aus Italien, Forumkunst, Rottweil. Spazialità ritmiche: Griffa e Pinelli, Galleria Luca Tommasi, Monza. 91
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Struttura di contatto presso l’Assessorato Regionale del Turismo Servizio Turistico Regionale di Palermo tel. +39 091 6398011 fax +39 091 6398023 www.turismopalermo.it strpalermo@regione.sicilia.it www.ilcircuitodelmito.it www.regione.sicilia.it/turismo
STAMPATO PER CONTO DI MA Service s.r.l. DA BANDECCHI & VIVALDI PONTEDERA
GIUGNO 2012
R A S S E G N A I N T E R N A Z I O N A L E D I S C U LT U R A E P I T T U R A I N S I C I L I A
II RASSEGNA INTERNAZIONALE DI SCULTURA E PITTURA IN SICILIA www.ilmitocontemporaneo.it
Evento promosso dall’Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo della Regione Siciliana PO FESR Sicilia 2007 - 2013 - Linea di intervento 3.3.1.1