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Intervista col maestro pasticciere Claudio Gatti

Maestro Pasticciere Claudio Gatti

Gli ingredienti fondamentali per lo studio del lievito madre si apprendono solo con la curiosità e la continua voglia di imparare.

- Claudio Gatti

La focaccia, dal latino focus che richiama il focolare domestico, è un lievitato di antica tradizione, le cui origini si perdono nel tempo. Tutti la conoscono e la apprezzano sia nella versione salata, quella originale, che nella versione dolce, nata successivamente, forse intorno al 1300. Con alterne fortune, la focaccia è arrivata fino ai giorni nostri, declinata in mille e più varianti regionali - solo in Puglia se ne contano oltre 40 – ma, quando si parla di Focaccia Dolce nell’alta pasticceria, l’associazione immediata è solo una: il maestro Claudio Gatti, che ha saputo far rinascere un dolce della tradizione attraverso un lavoro certosino sulle materie prime, che l’ha resa un prodotto unico e marchio di fabbrica di uno stile diverso nella pasticceria. Qual è la storia di Claudio Gatti? È una storia di grande sacrificio. Classe 1958, nasco a Tabiano in provincia di Parma in una famiglia semplice e di modeste possibilità: mia madre faceva la casalinga e papà lavorava nel settore termale, poiché la nostra cittadina si trova in una zona dove tutta l’economia è basata sulle terme. Ho frequentato un istituto tecnico meccanico, ma già a 15 anni ho cominciato a fare qualche lavoretto nei mesi estivi per dare una mano in casa. Quando ho conseguito il diploma, ho cercato un impiego nel settore meccanico ma, non trovandone, ho accettato la proposta di un pasticcere di Salsomaggiore, per il quale avevo lavorato d’estate, in modo da permettermi quelle cose che un ragazzo desidera, come la Vespa o le scarpe alla moda. Il lavoro mi piaceva e da lì è nata la passione. Ho cambiato un paio di pasticcerie, ma mi sono reso conto subito che il lavoro in laboratorio mi stava stretto. Leggendo riviste specializzate, ho scoperto che a Torino c’era un grande maestro dell’arte bianca, Renato Scalenghe, che faceva corsi di zucchero e di lievito madre. Allora, ho risparmiato un po’ di soldini, sono andato a fare il mio primo corso e ne sono rimasto entusiasta. Da lì è partito tutto: sono stato allievo del maestro Achille Zoia, ho seguito corsi di Morandin, di Massari e ancora di Zoia, con il quale nel frattempo è nata un’amicizia che continua tutt’ora, tanto che ad ogni corso che lui faceva, io c’ero, anche quando lui mi diceva “che vieni fare, ormai sai tutto!”. Ma io andavo ugualmente e lui, in fondo in fondo, mi aspettava, anche solo per un salutino o per assaggiare un panettone innovativo che avevo creato. Quando abbiamo aperto l’Accademia lui era in prima fila!

Cosa hai imparato dal maestro Zoia? In realtà lui faceva un panettone molto ricco, un panettone moderno carico di burro; io invece vedevo che la tendenza andava nella direzione con-

traria, propendeva per panettoni leggeri, più digeribili, che meglio rispondevano alla mia filosofia salutistica. Il mio percorso è stato più difficile, perché le persone volevano mangiare e mangiare bene, senza preoccuparsi di conservanti e anidride solforosa, o se gli zuccheri fossero trattati o integrali o ancora quale tipo di farina ci fosse dentro al loro panettone. Quindi, per me che seguivo un tipo di pasticceria più attenta al salutistico, è stato difficile farmi comprendere.

Il cambio di rotta è avvenuto quando è nata nei consumatori una nuova consapevolezza ri-

spetto all’alimentazione e con essa la richiesta di prodotti più sani. Questa è stata la mia fortuna.

Ma la sfida maggiore è stata quella di non chiamare il tuo prodotto “panettone”, bensì Panfrutto o Pandolce. È così? Indubbiamente! Ci sono miei colleghi che, pur apportando varianti sostanziali alla ricetta tradizionale del panettone, chiamano così le loro creazioni che, in fondo, panettone non sono. Io, invece, ho voluto lanciare una sfida a 360 gradi, utilizzando nomi diversi e più consoni alle mie ricette e questo non mi è stato certo di aiuto. Ho dovuto faticare non poco per far accettare le mie creazioni in un segmento della pasticceria in cui a un prodotto basta il solo nome panettone per essere accettato, al di là del fatto che la ricetta poi non rispetta al 100% i canoni della tradizione. Però, quando con il mio Pandolce, la mia Focaccia, la mia Veneziana ho raggiunto il successo, allora ho capito che qualcosa era cambiato nel gusto e nella visione dei consumatori rispetto ai dolci tradizionali.

Quella del pasticcere è una professione o un mestiere? È tutt’e due! È una professione, un mestiere, è cultura, è qualcosa che senti dentro, una passione che non ti fa guardare l’orologio, anche se sei stanco, che ti fa desiderare che la giornata non finisca mai o almeno che non finisca, finché non vedi il risultato del lavoro che hai fatto in laboratorio.

Quanto ha inciso la formazione dei primi anni sulla tua attuale conoscenza del settore? Ha inciso solo su una cosa: lo spreco. Mi ricordo che al mio primo maestro non importava tanto che io fossi più preciso nello sviluppare la ricetta o nel dare al mio dolce un aspetto esteticamente perfetto. A lui interessava che non si sprecasse nulla e perciò mi aveva insegnato che ogni prodotto può essere recuperato e riciclato. Non è possibile quello che succede oggi con i giovani pasticceri, che non tengono conto di questo valore e buttano, buttano tanto. Una cosa che mi fa

stare davvero male è proprio l’enorme spreco

di materie che si fa oggi in pasticceria, un po’ come accade in altri settori. Quindi, questo è l’insegnamento che mi è rimasto dei primi anni. Per il resto, ho sempre cercato di apprendere da generazioni più giovani rispetto ai maestri di allora, perché più inclini all’innovazione, più attente alle nuove tendenze e quindi al mio modo di vedere il futuro della pasticceria. È chiaro che ognuno dei maestri della tradizione che ho avuto mi ha lasciato qualcosa, su cui io ho poi costruito la mia idea di pasticceria, ed è quello che spero di fare anch’io con i ragazzi che mi seguono. Sei presidente dell’Accademia dei Maestri del Lievito Madre. Ci racconti com’è nata e a quali principi si ispira?

È nata per tutelare e far conoscere la cultura

del Lievito Madre, per diffondere la tradizione del panettone italiano e farla conoscere anche alle nuove generazioni, che è molto importante. Abbiamo fatto di recente una convention in cui abbiamo discusso su come fare per ottenere una legislazione che tuteli artigiani, pasticceri e panificatori riguardo al panettone artigianale.

Noi vorremmo che ci fosse una precisa distinzione tra il panettone artigianale tradizionale e

quello industriale, senza fare la guerra a nessuno, lasciando al cliente finale la scelta, una volta che gli sia spiegato in maniera chiara la differenza tra il vero panettone tradizionale artigianale e la moltitudine di prodotti che si definiscono tali, ma che in realtà non lo sono.

Sei riconosciuto nel settore per l’originalità delle tue creazioni. Quali sono quelle di maggior successo? Faccio una premessa. Tutto nasce da una serie di ricerche che ho fatto negli anni. La prima è stata quella sui grassi che mi ha portato ad abbassar-

ne la quantità, introducendo nelle mie ricette un

burro naturale, se possibile italiano, che rende

tutto più leggero e digeribile. La seconda è stata sui canditi, la maggior parte dei quali sono trattati con anidride solforosa e quant’altro. Io ho voluto utilizzare dei canditi di ottima qualità, naturali e molto buoni. Poi ho approfondito il mondo delle farine, poiché sette/otto anni fa c’è stato un momento in cui le farine erano estremamente glutinate. Io ho cercato allora di trovare ed utilizzare farine di grani antichi, coltivate nelle mie vallate, cercando di calibrarle per inserirle nei miei panettoni. L’ultima ricerca, invece, ha riguardato gli zuccheri raffinati, l’ingrediente più dannoso per la salute, che ho cercato di sostituire con qualcosa di più sano. Dopo varie prove ho realizzato una

focaccia, utilizzando 10 zuccheri naturali inte-

grali tutti biologici. È stato un lavoro complicato, poiché non è facile creare un equilibrio mixando zuccheri naturali così diversi tra loro. Il risultato è stato molto apprezzato, ma credo che il consumatore abbia bisogno ancora di qualche tempo per comprendere appieno questa innovazione.

Riferendoci al principio che non c’è dolce senza zucchero, tu ritieni che si possa dolcificare in maniera diversa? Gli zuccheri sono indispensabili sia per la salute che nella pasticceria, ma sono del parere che se ne possa fare un uso diverso, nel senso che, come dicevo prima, ci sono zuccheri alternativi, inte-

grali, biologici, naturali che possono sostituire nel 99% dei nostri dolci gli zuccheri tradiziona-

li, rendendoli molto più salutari. Acero, agave, melassa, malto sono zuccheri che addolciscono in maniera più naturale, senza provocare i picchi glicemici dello zucchero bianco. Voglio però precisare che il saccarosio, se usato in maniera corretta, non è un veleno, anzi il nostro organismo ne ha bisogno per ricavarne energia. Però, va usato nelle giuste dosi o va alternato con zuccheri diversi, più naturali, magari biologici, per evitare danni alla salute.

Tornando alle tue ricerche. Su cosa sei concentrato ora? In questo periodo sto lavorando sulle creme, cercando di realizzare un prodotto naturale, privo di additivi e conservanti e con solo l’1% di grassi. Ho creato una piccola linea di focacce farcite con queste creme ed hanno avuto un discreto successo. Perciò penso che la novità che porterò quest’anno saranno proprio queste focacce in edizione limitata, un po’ come faccio tutti gli anni. Di solito, i 500 pezzi che preparo li vendo subito e velocemente e questa è una cosa che mi inorgoglisce, perché significa che le persone si fidano di me, visto che comprano i miei dolci senza neanche averli assaggiati.

Cos’altro ti rende orgoglioso del tuo lavoro? Mi inorgoglisce quando le persone, come anche i giornalisti, mi chiamano per sapere se ho creato qualcosa di nuovo, mi chiedono di parlargliene, di mandare foto. Evidentemente, hanno fiducia in me e questo è motivo di grande gioia. Sono contento anche quando mi definiscono il pasticcere salutista o il pasticcere degli sportivi.

Quali sono i tuoi ingredienti preferiti e quali sono le creazioni nate dai tuoi ingredienti preferiti? Quello che mi ha dato più soddisfazione, che mi ha più appagato, è stato quando sono stato invitato dagli Chef Stellati ad andare a Parigi, a presentare il buffet di Parma Città della Gastronomia. Mi hanno affidato il buffet dei dolci, chiedendomi di fare un dolce che rappresentasse il territorio. Allora ho usato un sacchetto di farina di grani antichi della mia zona, ho un po’ modificato gli impasti e ho creato la Focaccia di Grani Antichi della Food Valley e l’ho presentata a Parigi. È stato un vero successo, inventato nell’arco di pochi mesi, acclamato e oggetto di importanti riconoscimenti. Questa è stata per me una grande soddisfazione, ancora più grande di quella ricevuta nel 2003, quando Italia Oggi ha pubblicato la

notizia che Claudio Gatti era stato il creatore di

un panettone 100% olio extra vergine di oliva, un panettone che è rimasto nella mia gamma, poiché risponde all’esigenza di tutti coloro che sono intolleranti al lattosio.

Visto che ne sei esperto, ci spieghi quali sono gli aspetti valoriali delle farine di grani antichi? Io sono attirato da tutto quello che non è facile e le farine di grani antichi appartengono a quelle categorie di prodotto che necessitano di uno studio approfondito, affinché possano essere inserite in una ricetta. Vanno bene per fare del pane, pochi lievitati, una buona pasta frolla, ma non è facile utilizzarle nelle grandi lievitazioni, ovvero in quei dolci che hanno bisogno di tempi di lievitazione lunghi. Quindi, nell’impasto della mia focaccia, alla farina in purezza ho aggiunto una

percentuale di grani antichi, dopo averli fatti

tostare a vapore, il che le ha dato un profumo unico, diverso da quello che si ottiene utilizzando solo farine normali. Per dare questo valore aggiunto al mio dolce, ho lavorato molto, ho dovuto fare molte prove per trovare la giusta combinazione nel mix di farine che utilizzo ed individuare la corretta percentuale di grani antichi da inserire, affinché il risultato finale fosse il giusto impasto del mio panettone.

Sei stato uno dei primi pasticcieri ad aprire un ecommerce, riuscendo a portare i tuoi dolci in tutto il mondo. Credi che sia un canale in crescita? Secondo me, ci sarà uno sviluppo incredibile, come dimostrano le cifre sempre in crescita di questo canale di vendita, ma bisogna essere bravi e corretti. Bravi nei tempi di consegna e corretti nel far arrivare a casa delle persone un prodotto fresco e aderente a quello dell’immagine che hai messo nel tuo sito. Per questo motivo, ho deciso di dedicare all’e-commerce tre linee di prodotto,

costituite da dolci con scadenza medio/lunga,

che si possono trasportare facilmente e che rispecchiano la tradizione del mio territorio.

Se dovessi dare dei suggerimenti ai giovani che desiderano intraprendere questa carriera, cosa gli diresti?

Di credere in se stessi prima di tutto e in quello

che si fa. Se una nuova creazione, sulla quale si è lavorato tanto, non ha subito il riscontro sperato, perché magari è stata proposta in un momento sbagliato, ebbene io dico di non scoraggiarsi, di insistere, perché poi se ci si crede il successo arriva, come è capitato a me. L’importante è lavorare divertendosi, credendo in quello che si fa, perché prima o poi i risultati arrivano. Dedichi tante energie al tuo lavoro. Cosa fai nel poco tempo libero? Da un po’ di tempo ho scoperto la mountain bike. Faccio lunghe passeggiate per le colline per staccare per qualche ora e dedicare qualche minuto a me stesso, cercando ispirazione per nuove creazioni.

A questo proposito, ci anticipi le tue novità per il Natale? Farò una produzione limitata puntando sulle creme, accanto ai miei cavalli di battaglia, i grani antichi, la mia Zuppa Inglese del Cardinale, che lo scorso anno ha avuto tanto successo. Ci sarà una novità con le creme, ma sarà una sorpresa di cui non posso dire di più.

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