Venezia News n. 242 - Marzo 2020

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Coco, Deauville, 1938, Photograph by Jacques Henri Lartigue © Ministère de la Culture (France), MAP-AAJHL Jacques Henri Lartigue. L’invenzione della felicità. Fotografie, Casa dei Tre Oci mensile di cultura e spettacolo - n° 242 - anno 24 - Marzo 2020 spedizione in A.P. 45% art.2 comma 20/B - legge 662/96 - DCI-VE

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MAR 2020

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:editoriale Lo stallo infinito

La sindrome

dell’8 settembre. La prima cosa che mi è venuta in mente è questa dopo la sconcertante, e purtroppo, ahinoi, niente affatto sorprendente, gestione delle prime ore, dei primi giorni di questo delirio virale, in tutti i sensi proprio. Non è un pensiero certo originale, eppure passano gli anni e in qualche modo cerchi di convincerti che almeno parti delle lezioni che la storia infligge ciclicamente a questo Paese-rebus siano state dal suo corpo metabolizzate maturamente, digerite, rinforzandone gli anticorpi. E invece niente. Il problema,

di Massimo Bran eterno, è sempre quello: il tratto anarcoide-individualista che connota da sempre, da troppo, l’identità dell’italiano medio fino a informare la natura, l’identità stessa della grammatica istituzionale della nazione su fino al suo vertice piramidale, fatte salve le immancabili, miracolistiche eccezioni. Un’identità, una mentalità che non riescono a evolvere riducendo almeno un po’, progressivamente, quella infinita divaricazione tra assoli liberi e sordi e trama orchestrale che da sempre rende distonica la musica del fare italiano. Con una tenace, inquietante relativizzazione della percezione della centralità prioritaria del concetto di responsabilità in una società civile. Insomma, la solita, inscalfibile asistematicità della nostra soggettività civica. Eppure esprimiamo una società complessa, nel cuore di quell’Occidente che, per quanto indebolito, esprime ancora il massimo dell’intensità del sapere in tutti i settori produttivi, nella ricerca, nella qualità progettuale, nei linguaggi artistici, architettonici, nella costruzione di sistemi giuridico-istituzionali evoluti. Siamo dentro a questo mondo pur con tutte le nostre arretratezze, il nostro crescere caotico e bruciante. Al netto di tutte le contraddizioni che costitutivamente ci contraddistinguono siamo pur sempre, insomma, ancor più oggi in un continente senza più frontiere nonostante l’indecente sforzo di chi le vorrebbe ri-erigere, nell’epicentro dell’evoluzione sistemica della parte di mondo nettamente più evoluta in termini di gestione di società ad alta complessità. Non è pensabile descriverci fuori da questa corrente, da questo

incedere progressivo comune. E quindi come, allora, non rimanere sgomenti al cospetto di un Paese che mentre evolve esprimendo pure eccellenze, veri primati industriali e civili, dai distretti manifatturieri dell’inarrivabile made in Italy a una sanità che non teme confronti con nessun’altra al mondo, da una scuola primaria di pura eccellenza a una qualità della vita e della convivialità che tutti ci invidiano, è del tutto incapace di assecondare questa oggettiva, qualitativa, irrefrenabile sua crescita in pochissimi decenni con una strategia connettiva adeguata? Il problema parte proprio dal non avere come riflesso immediato, prioritario, l’idea del vedersi, del pensarsi insieme, il dovere di seguire una linea coordinata di azione, seguendo linee di comando chiare e predefinite. L’idiosincrasia viscerale per un’idea minima di fare sistema. E più il mondo si fa complesso, mutevole, veloce, più questo stallo, quest’assenza di percezione di una priorità assoluta quale deve necessariamente essere la gestione coordinata di una società si fa gravissima. Il disarmante spettacolo della prima settimana dell’irrompere di questo virus nel nostro quotidiano lascia comunque sia, ossia sapendo bene quello che siamo e siamo sempre stati, sgomenti. Vedere alcune tra le più alte cariche istituzionali preposte a gestire territori, popolazioni, filiere produttive andare ognuna per conto suo, quindi meccanicamente convinte di poter dire qualsiasi cosa in autonomia ignorando allegramente l’iter gerarchico della comunicazione nel pieno di una crisi così gravida di conseguenze come questa, ripeto, lascia comunque sbalorditi. Il lombardo-veneto, probabilmente la macroregione più ricca e industrializzata d’Europa (!), attraversata e immersa quotidianamente in una teoria infinita di mondi, lingue, esperienze, che non riesce ai suoi vertici istituzionali a seguire un dettato strategico, una regia organica, coordinata. Che non riesce a prevedere le conseguenze immani che una comunicazione irresponsabile, a ruota libera, dilettantesca può produrre in sistemi socio-economici così articolati e, loro sì, connessi. Impressionante. Nell’età liquida, orizzontale, in cui la dimensione spaziotemporale è annullata dall’immediatezza delle reti, della comunicazione, in cui tutti sono immersi in un eterno, assordante presente, se tu Paese ai tuoi vertici non hai chi dà del tu a questa rivoluzione compiuta e ancora ben lontana dall’essere pienamente compresa, se non hai tra le tue fila chi ha piena consapevolezza e immediata percezione che comunicare è, piaccia o non piaccia, tutto, oggi più di sempre, finisci inevitabilmente per rimanere un soggetto senza occhi e senza orecchi. Non potrai produrre visioni, né conseguenti, meditate soluzioni a problemi che irrompono in diretta su milioni di tablet e smartphone in un caos dirompente che in quanto tale, più di sempre, chiede ai vertici di un sistema ordine, razionalità, rigore nei processi di gestione e trasmissione di dati e risposte. Ora siamo qui a leccarci le ferite, anzi, a tamponarle ancora. Eppure la sensazione è che questo dato basilare dello stare insieme, ossia vivere in uno spazio comune regolato e coordinato cedendo la giusta fetta di “sovranità” individuale al corpo collettivo, istituzionale di questo stesso spazio, non sia ancora al centro della riflessione su

come e dove intervenire per finalmente svoltare. Ma se non ora, quando? Se non si inizia subito a mettere mano per colmare in qualche modo questo gap civico saremo destinati a essere sempre più vulnerabili. Puoi inventare le cose più geniali e innovative, ma se non costruisci sistemi di tutela e valorizzazione di queste stesse eccellenze, il terreno che calpesterai sarà sempre scivoloso, smottante, fragile. Non si matura ripetendosi il mantra ossessivo della crescita del Pil senza contestualmente irrobustire le fondamenta che sostengono il tutto. Venezia in questa direzione è un esempio plastico di questa irrisolta, estesissima divaricazione tra eccellenza e fragilità, tra picchi attrattivi di pura virtuosità e spaventosa incapacità di valorizzarne le espressioni. Prima del virus, l’acqua grande, un uno-due da rimanere stesi. Eppure a livello di immagine, di comunicazione è afasia pressoché totale ai vertici del sistema (che non c’è). E di questo nessuno che chieda conto, nessuno che richiami alle proprie responsabilità chi ha il dovere di salvaguardare e valorizzare in primis l’immagine di una capitale culturale del mondo. Ma più che altro nessuno che denunci l’inconsapevolezza di una classe dirigente che crede di poter governare da sola, con le proprie stantie, provincialissime abitudini figlie una mentalità oggettivamente ristretta, un linguaggio come quello della comunicazione internazionale al servizio dell’immagine di una città epicentro culturale del globo. Nessuno che chieda al nostro Sindaco come sia possibile che non abbia ancora pensato di individuare un assessore alla cultura di respiro internazionale, uno che alzi il telefono e dia del tu a tutte le istituzioni culturali e a tutti i centri media del globo in un nanosecondo, anziché tenersi lui, addirittura!, la delega di un settore così nodale per la città. O che gli chieda che cosa aspetti a costruire un ufficio di relazioni internazionali di livello assoluto, con tra le sue fila un manager del settore turistico-culturale anche questo al top internazionale al fine di riqualificare un turismo sempre più massivo e invasivo che vive la città per una manciata di ore e via. Stiamo parlando dell’abc di partenza nella gestione dell’immagine di una città internazionale, che significa, gestendola correttamente, difesa e valorizzazione dell’economia della città stessa. Senza considerare tutto quello che poi dovrebbe seguire, in primis un grande, concreto progetto per una nuova residenzialità, aprendo davvero la città a nuove imprese del sapere con una politica di facilitazione fiscale e dei servizi nodale per far sì che questo luogo possa rappresentare una vera opportunità insediativa al di là della sua primaria attrattività immediata. Ma per fare questo ci vogliono strategia, cultura, visione, apertura a contributi esterni, da mondi più abituati ad agire in reti evolute. È su questo terreno, su quest’obbligo ad alzare decisamente l’asticella della qualità sistemica del nostro vivere che si gioca la partita vitale del nostro futuro. Ma non basta dire, denunciare, lamentarsi; bisogna raccogliere, connettere le centinaia di persone aperte, magari figlie di più esperienze nel mondo, costruendo un percorso che sappia ribaltare un abito mentale finito, autoreferenziale, ottuso. E questo non si fa in un giorno. Basterebbe però iniziare, ora. Quando altrimenti?


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:incontro

EMANUELA BASSETTI

Colta, pragmatica e poco incline a essere condizionata dalle morali correnti. Emanuela Bassetti, lombarda di nascita, ma profondamente veneziana, presiede la casa editrice Marsilio e Civita Tre Venezie. L’editoria, Venezia e il ruolo centrale della cultura per una società aperta, oltre le barriere delle appartenenze/ Knowledgeable, pragmatic, and not one to bend to bow to fleeting trends. Emanuela Bassetti owns publishing house Marsilio and Civita Tre Venezie. We talk publishing, Venice, and the central role of culture in an open society

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Considerata la presente emergenza sanitaria, con le informazioni in continuo aggiornamento, la Redazione non è responsabile degli eventuali stravolgimenti dei programmi inseriti nelle rubriche del Magazine. Abbiamo voluto lanciare un segnale di continuità ai nostri lettori uscendo regolarmente perché siamo convinti che Venezia possa e debba farcela!

50 ANNI DI FEMMINISMI

All’M9 una serie di incontri e di spettacoli con donne di tutte le generazioni: dalle protagoniste in prima linea della rivoluzione dei ‘70 alle loro figlie nate a rivoluzione avvenuta, impegnate sul fronte delle idee, della cultura, delle professioni, per misurare la temperatura effettiva, bilanciata, dell’essere donna nel 2020, a 50 anni dal ‘terremoto’/ At M9 Museum, a programme of meetings and shows with women of all generations: from the protagonists of the Revolution of the 1970s to their daughters, born after the revolution. Politically committed, cultured, professional women take stock what of it means to be a woman in 2020, fifty years after the ‘earthquake’

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OCEANS IN TRANSFORMATION

Daniela Zyman racconta il progetto Oceans in Transformation, uno degli studi più dettagliati sullo stato degli oceani promosso da TBA21 – Academy e Territorial Agency, nuova mostra di Ocean Space, nella ex Chiesa di San Lorenzo, dove scienza, politica, cultura e arte contemporanee si incontrano/ Daniela Zyman discusses with us project Ocean in Transformation, one of the most extensive research projects on the health of oceans promoted by TBA21-Academy and Territorial Agency. In this new exhibition, science, politics, culture, and modern art meet

:arte

PALAZZO GRASSI + PUNTA DELLA DOGANA

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Arriva la primavera e con essa la stagione delle mostre. Punta della Dogana diventa spazio libero dove manifestare le proprie visioni sull’arte e sul contemporaneo dando forma a Untitled, 2020. Palazzo Grassi si sdoppia e presenta Henri CartierBresson. Le Grand Jeu, cinque curatori per cinque storie, e la prima grande retrospettiva di Youssef Nabil. Once Upon a Dream. Due progetti inediti e sorprendenti/ Come spring, come the new exhibition season. Punta della Dogana becomes a free space to show visions of art and modernity in Untitled, 2020. Palazzo Grassi doubles down with Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu and the first large retrospective of Youssef Nabil. Once Upon a Dream – two amazing original productions


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:musica

08:incontro

Emanuela Bassetti Presidente Marsilio Editore e Civita Tre Venezie

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M9 – 50 anni di femminismi Generazioni a confronto

16:zoom2

TBA21– Academy, Ocean Space Territorial Agency: Oceans in Transformation

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URI CAINE

Miscelatore seriale di generi, il pianista di Filadelfia arriva allo Squero della Fondazione Cini in un concerto unico per repertorio e ambientazione. Al confine tra terra e acqua, oltre i confini del jazz contemporaneo/ A serial mixer of genres, the pianist from Philadelphia visits the Squero Auditorium at Fondazione Cini for a unique concert in repertoire and setting

Caffè Florian 300

24:arte

VARDUHI ABRAHAMYAN

Protagonista nella trasposizione rivoluzionaria firmata Calixto Bieito in scena alla Fenice, il soprano armeno ci svela tutti i segreti di un’opera immortale e di un’eroina leggendaria, la Carmen, capitolo di una carriera in costante ascesa/ A protagonist of the revolutionary adaptation signed by Calixto Bieito on stage at Fenice, the Armenian soprano reveals the secrets of an immortal opera and a legendary heroine, Carmen

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58:classical

:cinema

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Varduhi Abrahamyan – Carmen Palazzetto Bru Zane Musica con le Ali, Musikàmera Io Sono Musica 2019/2020 Auditorium Lo Squero Musica antica in Casa Cozzi 250° Ludwig van Beethoven Teatro Mario del Monaco Teatro Comunale di Vicenza

CLASSICI FUORI MOSTRA

70:theatro

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Cristiana Morganti Arlecchino/Balasso Teatro Ca’ Foscari Mattia Berto – Teatrino Groggia Macbeth, Bodytraffic Filo Filò, Mine Vaganti Teatro Goldoni Gigi e Ross, Debora Villa, Rocco Papaleo Con tutto il cuore, Le verità di Bakersfield Il giardino dei ciliegi Giorgio Panariello, Teatrino Zero Cenere Cenerentola, Io, Don Chisciotte Il pipistrello, Hollywood Burger Il Barbiere di Siviglia

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Danzatrice storica del Tanztheater di Pina Bausch con “l’altra italiana” Beatrice Libonati, Cristiana Morganti (ri)porta al Goldoni la leggenda della straordinaria danzatrice e coreografa tedesca/ A historical dancer of Pina Bausch’s Tanztheater, Cristiana Morganti brings (back) at Goldoni Theatre the legend of the extraordinary German dancer and choreographer

82:etcc...

Ornela Vorpsi – Verso Incroci Seminario della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri Libri del Mese

Mar

MOVING WITH PINA

65:cinema

Classici fuori Mostra Cinema Svizzero a Venezia Il cinema italiano scopre il colore Omaggio a Mario Bava, Paesaggi che cambiano Supervisioni, Film del Mese Favoloso Germano

La forza della tradizione rivive in pellicole indimenticabili, che superano i confini fisici e temporali della Mostra del Cinema per ripresentarsi al pubblico al Rossini in una restaurata veste grazie al preziosissimo lavoro delle più grandi cineteche mondiali/ Powerful titles of classical cinema that break the borders of the Venice Film Festival and call Cinema Rossini home in newly remastered versions thanks to the work of one of the largest cinema repositories worldwide

:theatro

51:musica

Uri Cane Jazz&, Etnoborders, New Echoes The Legend of Ennio Morricone Candiani Groove Peace Diouf Gass Ensemble IOSONOUNCANE Francesco De Gregori Dente, Marracash Vincent Herring Quintet Jazz Area Metropolitana Kampire, James Blunt Paolo Conte, Allevi

87:menu

Illy Caffe, Giardini Reali di Venezia Orientalbar Too Good To Go, La Corte al Fondaco Mercato Centrale Milano Faloria Mountain Spa Resort Veneziani a Tavola – Laura Scarpa

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Untitled, 2020 Henri Cartier-Bresson, Youssef Nabil Vivien Green – Migrating Objects Preview 13. Biennale Architettura Lo schermo dell’arte, Jacques Henri Lartigue Graziano Arici, Ezio Gribaudo Venice and American Studio Glass La Galleria del Cavallino, L’Angelo degli Artisti Didier Guillon, Aristide Najean, Silvano Rubino The Venice Club, Anthony Corner Gallerie, Mostre a Venezia Not Only Venice Les anomalies – agnes b.

n

:classical

22:tracce


Emanuela Bassetti Presidente Marsilio Editori e Civita Tre Venezie

:incontro Lessico famigliare

In una giornata invernale, in piena emergenza

da virus influenzale pernicioso, Emanuela Bassetti ci accoglie in Marsilio, nella bellissima e molto vitale sede presso i docks veneziani, con una vigorosa stretta di mano. Questo gesto, spontaneo e diretto, trasgressivo in questi tempi quasi da manzoniana “Storia della colonna infame”, denota il carattere forte e indomito della perso-

di Mariachiara Marzari e Fabio Marzari na: colta, pragmatica e poco incline a essere condizionata dalle morali correnti. Bassetti, lombarda di nascita, da famiglia di solida tradizione borghese, ma profondamente veneziana, presiede la casa editrice Marsilio dopo la morte del marito, il professore Cesare De Michelis, figura di intellettuale ed editore di stampo rinascimentale, una delle voci più autorevoli che Venezia e l’Italia abbia avuto

negli ultimi decenni. L’intervista che segue è una disamina ampia e appassionata che tocca i temi dell’editoria, di Venezia e oltre e del ruolo centrale della cultura per una società aperta. Le sue parole sono un inno alla concretezza razionale, al superamento dei problemi con l’impegno delle idee e della coesione, oltre le barriere limitate della singola appartenenza. Un monito importante per tutti, specie in questo momento di grande incertezza e dagli esiti ancora tutti da scrivere. Lei ha raccolto l’eredità del prof. De Michelis ricoprendo un ruolo apicale in Marsilio, una delle poche attività imprenditoriali rimaste in città non legate strettamente al turismo. Quali prospettive ha l’editoria nel nostro Paese e quale il ruolo di Marsilio nel panorama editoriale nazionale? Affermerei più precisamente che Cesare De Michelis ha

passato il testimone alla casa editrice, più che a me. Io ho poi deciso di assumere questa carica per una questione di buonsenso e continuità rispetto ai valori che Cesare voleva venissero trasmessi dopo la sua morte. Oltre a Marsilio a Venezia esistono, forse sarebbe il caso di dire resistono, delle piccole realtà che come noi non sono legate al turismo e che portano avanti un progetto collettivo di editoria o di settore o di ricerca, secondo dinamiche che ovviamente cambiano in base alla grandezza delle diverse realtà. La Marsilio non nasce a Venezia bensì a Padova, nel gennaio del 1961, su iniziativa di un gruppo di giovani universitari desiderosi di regalare alla città un punto di vista laico, in un’epoca e in un luogo che tanto laici non erano; il nome scelto per questa sfida editoriale non a caso prendeva come riferimento il filosofo e scrittore Marsilio da Padova. Cesare porta la casa editrice a Venezia nel ‘70, spostandosi in quella che era considerata la capitale europea dell’editoria, erede di quella realtà che Aldo Manuzio fece nascere nel ‘500 in una Serenissima al massimo del proprio fulgore. Ovviamente considerarci eredi di Manuzio avrebbe rappresentato un grave peccato di presunzione; è piuttosto alla tradizione editoriale della città che Cesare guardava e nella quale voleva inserirsi e portare il proprio punto di vista. Venezia sembrava il luogo ideale in cui far rinascere una civiltà del libro, punto di osservazione attraverso il quale allo stesso tempo radicarsi fortemente nel territorio e volgere lo sguardo verso il mondo, aprendosi alla conoscenza. Non c’è dubbio che questa sia stata e sia tutt’oggi una scelta di identità culturale molto forte, che nessuna delle difficoltà che abbiamo affrontato nel corso degli anni ha mai messo in discussione. L’editoria è oggi un’industria, su questo non ci sono dubbi. Un’industria che in questo periodo vive un momento tutto sommato positivo, nonostante l’emergenza presente del Coronavirus abbia fatto registrare un immediato forte calo nelle vendite, che nel prossimo futuro spero e penso possa ridimensionarsi, magari anche cambiando alcune abitudini della società nei confronti della lettura. Fino all’emergenza sanitaria di questi giorni l’editoria registrava numeri in aumento, lento ma tenace, rimanendo l’Italia fanalino di coda dell’Europa, ma con buone prospettive di crescita e allargamento, come testimoniano i numeri relativi al 2019, anno difficile per l’Italia sotto molti punti di vista. Venezia sta affrontando una pagina assai buia della sua storia. Dal tifone di novembre al virus di questi giorni, lo scenario è inquietante per una città e un territorio che ha basato la sua economia principalmente, se non esclusivamente, sul turismo. Da lombarda pragmatica, quale idea si è fatta sul futuro prossimo di questa città? Quanto siamo lontani da una “Venezia viva, produttiva e attrattiva”? In quanto città-porto, Venezia è per sua stessa natura una realtà aperta, in cui si registrano incroci di culture e identità. Ogni singola pagina della storia di Venezia si può interpretare attraverso questa chiave di lettura. Essere qui vuol dire voler guardare lontano, in un modo che altrove risulterebbe difficile, penso, ad esempio, alla Lombardia “Milanocentrica”.


:incontro 09

Ho vissuto in maniera davvero drammatica l’acqua alta eccezionale di novembre: abbiamo perso circa 6000 libri della biblioteca di Cesare. Ho ancora davanti agli occhi le immagini di tutti questi volumi che galleggiavano nella nostra casa, rimasti a mollo per tutta la notte e quindi irrimediabilmente perduti. Emotivamente l’impatto è stato davvero devastante per noi, come lo è stato per Venezia tutta, colpita profondamente anche nelle proprie infrastrutture. Penso che l’emergenza di novembre e questa diffusione di panico e paura portata dal Coronavirus possano rappresentare l’occasione per mettersi a ragionare seriamente sul modello veneziano, che non può e non deve dipendere totalmente dal turismo, che da questi recenti avvenimenti è stato colpito molto duramente, se non nell’immediato azzerato. In estate tutti si lamentavano di un turismo eccessivamente invadente, ora tutti ovviamente si lamentano della mancanza di turisti: mettiamo a lavorare i cervelli per trovare un compromesso tra eccesso e assenza, ovviamente tenendo conto di quanto alcuni avvenimenti sfuggano totalmente alla possibilità di previsione e controllo. Non vedo la cosa come troppo complicata, a patto di accettare l’idea di gestire il turismo in maniera programmatica, magari attraverso meccanismi di prenotazione gratuita, che preservino la città dai rischi di un sovraffollamento sregolato e deleterio. Non ci vedo nulla di scandaloso in un meccanismo del genere, che ovviamente non deve avere presupposti legati al censo o all’appartenenza a un ceto sociale rispetto ad un altro. In questa dinamica di non esclusiva sudditanza al turismo possono rivestire un ruolo importante aziende ‘leggere’ proprio come Marsilio, o realtà come le Università che producono cultura, o le Fondazioni già presenti o in arrivo, come buon ultima la Fondazione Kapoor, che ha di recente comprato Palazzo Manfrin al Ponte delle Guglie. La cosa che mi lascia perplessa è il pensiero diffuso che senza bed & breakfast i veneziani siano destinati a morire di fame, quando invece le risorse degli abitanti di questa città sono innumerevoli e capaci di sfociare in percorsi che nessuno deve precludersi, dal punto di vista imprenditoriale e soprattutto sociale e culturale. Il turismo non può e non deve essere considerato come unica ancora di salvezza di una città, soprattutto se da un turismo scellerato possono arrivare pericoli come l’illegalità, il lavoro nero o altri fattori che fanno ammalare una città, piuttosto che guarirla. Una politica forte e incisiva nella gestione del turismo comporterebbe di sicuro il dover pestare necessariamente i piedi a diverse categorie, scelta coraggiosa quanto rischiosa: ci sarebbe bisogno di incentivazioni per gli affitti, sforzi per creare nuove residenze come l’Università sta saggiamente facendo, iniziative che insomma possano favorire la creazione di un tessuto sociale ricettivo e dinamico. Ci sono diversi segnali in questo senso che fanno vedere come sia possibile farcela, volendo. Cultura, ricerca e innovazione possono e devono costituire il DNA di questa città. La zona del porto, dove siamo anche noi ora, presenta diversi magazzini che sono stati ristrutturati e recuperati dall’Università con un lavoro davvero eccezionale, per quantità e qualità. Se ad esempio si potesse pensare

di arretrare la Dogana, per creare una zona a misura di giovani, con locali che possano chiudere un po’ più tardi la sera, si cambierebbe il volto della città senza trasformazioni radicali, fuori dalla realtà. Si tratta di cambiamenti che stanno in parte già avvenendo e che hanno bisogno di una nostra piccola, ulteriore spinta. Con lo sforzo di tutti è possibile portare a casa il risultato. Le due Università cittadine in questo senso devono assolutamente essere prese come esempio virtuoso, grazie al loro sforzo massiccio e all’insegna della qualità. Lei è veneziana da molti anni e con Civita Tre Venezie il suo sguardo supera i confini della città d’acqua con un’incessante programmazione culturale in tutta l’area del Nord Est. Quale territorio ha riservato in lei la maggior positiva sorpresa e quanto è cambiato il rapporto tra la popolazione, la produzione e la fruizione culturale? Quali tra le prossime mostre in programma giudica con una marcia in più? Civita Tre Venezie nasce come progetto intimamente legato a Marsilio. La casa editrice produce da tempo cataloghi illustrati, quindi aveva una propria logica dotarsi di una società che si occupasse della gestione di spazi culturali e dell’organizzazione di mostre. I soci sono Civita Cultura, Fondazione di Venezia e, appunto, Marsilio Editori, che hanno trovato unità d’intenti nella volontà di dotarsi di un ‘braccio’ che potesse realizzare iniziative nel Triveneto. Sono diventata Presidente di Civita Tre Venezie in quanto Marsilio è il socio più presente e più legato alle discipline di cui Civita vuole occuparsi. I risultati sono stati davvero incoraggianti, con un importante aumento di fatturato registrato nei 12 anni circa di gestione dell’organizzazione, stringendo rapporti con realtà come Palazzo Leoni Montanari e il Museo del Gioiello a Vicenza, il Castello di Miramare a Trieste, il Museo Salce a Treviso, la Casa dei Tre Oci a Venezia, Palazzo Grimani sempre a Venezia, con progetti ad hoc anche su base pluriennale. Altro evento fondamentale per Civita Tre Venezie è stata la gara che abbiamo vinto per la gestione delle Gallerie dell’Accademia, di cui proprio Civita e Marsilio sono i soci operativi. Caratteristica di Civita e DNA di Marsilio è la volontà di realizzare una mostra come progetto culturale e scientifico originale, non prendendo format realizzati da altri e adattandoli all’occasione. Naturalmente una gestione di questo tipo è molto più faticosa, ma anche più gratificante nella raccolta dei risultati e più legata alla produzione del catalogo stesso, inteso come strumento scientifico e parte davvero integrante del processo realizzativo della mostra stessa. Marsilio riesce a lavorare nel territorio senza essere provinciale, con radici ben salde e rami ben protesi verso l’alto. Questo atteggiamento lo vogliamo poi trasmettere nelle mostre, per renderle progetti che valorizzino non solo le materie di cui parlano, ma i musei stessi che le ospitano. Non siamo capaci di creare sensazionalismo e non lo cerchiamo nemmeno. L’evento più esemplare è stato di certo la mostra dedicata a Manuzio alle Gallerie dell’Accademia; c’era ancora Cesare e siamo riusciti a far conoscere a tutti la figura del grande editore grazie anche alla curatela di Guido Beltramini.

Il ciclo quadriennale che stiamo mettendo in piedi ora a Treviso, a Santa Caterina, lo considero strepitoso: fino a maggio sarà protagonista la mostra NATURA IN POSA. Capolavori dal Kunsthistorisches Museum di Vienna in dialogo con la fotografia contemporanea; sarà poi il turno del maestro rinascimentale trevigiano Paris Bordon nella primavera del 2021, con la più grande esposizione a lui dedicata da trent’anni a questa parte; nel 2022 realizzeremo una mostra curata da Paola Marini dedicata a “Donne e potere”; nel 2023, infine, chiuderemo il quadriennio con una mostra dedicata alla nascita del paesaggio nel Rinascimento, curata da Guido Beltramini. In Italia non è di sicuro semplice ragionare su scala pluriennale; è quindi molto importante e confortante che il Comune di Treviso abbia sposato questa linea di lavoro incentrata su una forte programmazione prospettica. Penso che proprio il trevigiano possa rappresentare il territorio che ci ha positivamente colpito di più, mettendoci dentro ovviamente anche Palazzo Sarcinelli a Conegliano, altro gioiello a cui stiamo dedicando le nostre attenzioni. La mostra Il Racconto della Montagna nella pittura tra Ottocento e Novecento secondo me sarà un po’ la cartina tornasole, la chiave di volta a livello economico per capire come nel prossimo futuro il turismo debba essere collegato a doppia mandata alla cultura, di conseguenza al territorio, di cui, nel caso specifico, l’elemento montano è ovviamente fulcro. Penso anche ai Campionati del Mondo di Sci Alpino in programma a Cortina tra poco meno di un anno, a tutte queste dinamiche sociali, economiche e, appunto, culturali che vedranno nella montagna lo scenario di riferimento. Sentiamo il dovere, anche attraverso questa mostra, di fornire una programmazione culturale scientifica, studiata e approfondita che possa raccontare il territorio intercettandone gli stimoli più diversi, aprendosi alla possibilità di scrivere assieme le pagine future della storia della nostra Regione e del nostro Paese. Quale autore vorrebbe avere in Marsilio e quali sono, tra gli autori del periodo, quelli che secondo lei andrebbero assolutamente letti o riletti? L’autore che mi ha fatto più male non aver avuto con noi è di sicuro Gian Arturo Ferrari, persona splendida e autore del bellissimo Ragazzo italiano, che attraverso una storia minuscola riesce a ripercorrere le vicende del nostro Paese. Il suo libro lo avevamo letto in tre editori e poi è stato preso da Feltrinelli, cosa che ci ha reso la ‘sconfitta’ più dolce, visto che di Feltrinelli siamo comunque soci. In quanto ai consigli di lettura, sarebbero riferiti a tutti quei libri che portano avanti a modo proprio lo spirito del progetto Marsilio, ossia riuscire a raccontare punti di vista non scontati o omologati: penso a Mughini e al suo A Via della Mercede c’era un razzista, a Marcello Veneziani con Nostalgia degli dei, alla splendida biografia della Gawronska di Marina Valensise, al romanzo di Giuseppe Lupo, Storia del mio silenzio o a un’opera prima che uscirà tra poco di Marcello Domini intitolata Di guerra e di noi, libro che attraverso la storia di due fratelli racconta il Novecento. Rivolgendo lo sguardo ai classici, che ristampiamo, suggerisco di leggere il lavoro che Olivier Bivort dedica a Rimbaud e che Piperno in un recente articolo ha lodato



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come possibilità di capire quanto Rimbaud fosse un grande rivoluzionario capace di rompere gli schemi grazie alla sua innovazione esplosiva: un buon identikit della natura dei libri scelti da Marsilio. Quello che pubblichiamo è conferma della nostra libertà di pensiero: per anni si è pensato che Marsilio fosse una casa editrice socialista, in linea con la storia politica dei De Michelis, ma la realtà annovera tra i nostri titoli esponenti di ogni corrente di pensiero, democristiani come comunisti, di destra come di sinistra. Siamo piuttosto dei Gianburrasca dell’editoria, vogliosi di dare voce a chi non è così scontato ce l’abbia. Questo non vuol dire non voler affrontare il mercato proponendo libri che consideriamo di successo. Un motto di Cesare era: «Marsilio non deve pubblicare i libri che si vendono, ma vendere i libri che pubblica». Un concetto disarmante nella sua semplicità che ha sempre animato la nostra azione, visto che una casa editrice non economicamente indipendente è una casa editrice che chiude.

Da donna di cultura e imprenditrice, quanto manca ancora al nostro Paese per raggiungere la parità di genere o addirittura superarne i confini senza alcun turbamento? Manca moltissimo; resta ancora molto lavoro da fare per avvicinarsi alla parità di genere. Personalmente non ho subìto discriminazioni in questo senso, sono stata una donna fortunata e privilegiata. Era molto facile fare carriera negli anni ‘60 e ‘70 sotto questo punto di vista. Il lavoro quasi ti cercava anziché doverlo trovare. Oggi invece la donna si trova penalizzata in diverse direzioni, dall’occupazione di posti apicali alla questione salariale, in uno scenario che vede il Sud in una condizione ancora peggiore rispetto al Nord. C’è indubbiamente tanta, tantissima strada ancora da fare. Dal vostro punto di osservazione e monitoraggio del panorama culturale italiano e non, quanto gli under 30 incidono? È una storia relazionale strana quella tra Marsilio e i giovani. Siamo diventati famosi anche per aver scoperto dei nuovi talenti, penso alla Mazzantini, alla Tamaro o alla Gamberale. Ma siamo diventati poi famosi anche per la perdita di questi stessi talenti, che inevitabilmente venivano pubblicati poi da altre case editrici dopo aver raggiunto la notorietà con noi. Negli anni abbiamo perso questo ruolo di talent scout, o meglio, le opere prime sono divenute oggetto d’interesse anche di molti altri editori, facendoci inevitabilmente perdere la centralità che prima avevamo in questo ambito commerciale. Oggi, con l’entrata in Marsilio della scrittrice Chiara Valerio, ci stiamo un po’ riappropriando di questo ruolo particolare; il sopracitato Marcello Domini ne è un esempio. Riprendere al meglio il dragaggio del terreno relativo alle opere prime è di sicuro uno dei nostri presenti propositi. La Biennale post Baratta. Come mantenere il primato della produzione culturale nazionale? Ancora non ho conosciuto personalmente Roberto Cicutto. Le conferenze stampa saltate in questi giorni

sarebbero state delle buone occasioni per incontrarci, ma l’emergenza sanitaria non ha ancora reso possibile la cosa. Lo considero ad ogni modo una persona molto competente, colta e professionale e credo abbia tutte le possibilità, non tanto di continuare in senso stretto il lavoro svolto per un ventennio da Baratta, cosa che non credo sia neppure giusto e sensato chiedere, quanto di contribuire a consolidare a modo suo il ruolo di prestigio raggiunto dalla Biennale a livello mondiale. Si troverà di sicuro a dover effettuare delle scelte importanti, ma da persona intelligente quale è sono convinta che l’approccio sarà il migliore possibile. Sì, direi che sono assai fiduciosa sul futuro della Biennale con alla sua guida una persona tanto esperta nel campo della produzione culturale, anche nel settore editoriale tra l’altro. La Casa dei Tre Oci è quella che può essere considerata la vostra sede: quanto è stato difficile portare a termine il progetto alla Giudecca e quanta interazione c’è, se c’è, tra lo studio dell’universo fotografico e le vostre copertine? Fino a questo momento non ci sono state “collaborazioni ufficiali” tra chi si occupa del comparto fotografico e la grafica delle nostre copertine, nel senso che le copertine dei cataloghi dei Tre Oci sono decise dalla Marsilio. È vero tuttavia che il lavoro alla Casa dei Tre Oci ci ha fatto acquisire delle consapevolezze nel media fotografico che di sicuro tornano utili in sede di concezione e realizzazione delle copertine, che è uno degli aspetti più belli e creativi del nostro splendido lavoro. Quella dei Tre Oci è un’esperienza di sicuro interessante: si tratta di un edificio che la Fondazione di Venezia compra e restaura, prima di capire poi con noi che utilizzo farne, visto che la stessa Fondazione di Venezia ha una piccola partecipazione in Marsilio e una grossa partecipazione in Civita Tre Venezie. Ecco allora che nasce l’idea di rendere la Casa dei Tre Oci un grande polo della fotografia, soggetto che a Venezia per vari motivi mancava. È un progetto che sta funzionando bene, anche come

formula gestionale. Noi abbiamo le chiavi della Casa dei Tre Oci e corrispondiamo un affitto alla Fondazione di Venezia con totale rischio di impresa a carico nostro, con un pubblico affezionato ormai molto consolidato che ci rende molto orgogliosi. Si tratta di uno spazio strepitoso, capace di rendere bello tutto ciò che ospita. Una magia che pochi luoghi al mondo possiedono, guidato da un curatore ottimo e capace come Denis Curti e con mostre che acquisiscono ancora maggior senso se viste nell’ottica di altre esposizioni cittadine, come dimostrano la mostra su Lartigue e quella di Palazzo Grassi su CartierBresson, entrambe in apertura a marzo. Si tratta di un progetto che riesce allo stesso tempo a fidelizzare pubblico e crearne di nuovo, in un contesto come quello della Giudecca che anche grazie a noi sta davvero vivendo di impulsi nuovi, regalando nuove prospettive programmatiche e concrete, come la possibilità di vedere Venezia dall’altra parte del Bacino di San Marco mentre si è immersi in un’esperienza emozionale quale sempre è la visita di una mostra pensata e realizzata come si deve. Non scordiamo che il Vedutismo e Canaletto queste zone del resto le hanno frequentate, eccome! Per chiudere, a che punto è secondo lei la rivoluzione M9? A questo progetto Cesare ha lavorato tantissimo e per questo motivo si tratta di una realtà che difenderemo sempre con le unghie e con i denti. Come tutte le rivoluzioni, l’impatto iniziale dovrà essere assorbito e digerito in un certo tempo, mi riferisco in particolare allo squilibrio di bilancio che inevitabilmente si è generato e che era stato in ampi termini anche previsto. “Testa bassa e lavorare”, quindi, per rendere più facili le procedure di gestione, cercando di far quadrare al meglio i conti, trasmettendo la stratosferica massa di contenuti di cui il museo è portatore al meglio delle proprie possibilità. Per dire forte e chiaro alla città e al mondo: “il Museo c’è”. Mi auguro che il 2020 segni la svolta, in questo senso, proprio per far capire ai visitatori la vera identità di un progetto così ambizioso e rivoluzionario.


Arte dall’Africa, dall’Oceania e dalle Americhe nella Collezione Peggy Guggenheim

15.02 - 14.06.2020

Dorsoduro 701, 30123 Venezia guggenheim-venice.it

Con il supporto di Institutional Patrons EFG LAVAZZA SANLORENZO

La mostra è resa possibile grazie a

I programmi educativi sono realizzati con il sostegno di Fondazione Araldi Guinetti, Vaduz

Mobility Partner

Con il patrocinio di


l’evento del mese the event of the month

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50 anni di vitale accelerazione

Chi ha

vissuto gli anni ‘70 fosse pure solo da adolescente, anche i tardi ‘70 e i primi ‘80, si sarebbe probabilmente sorpreso se con il trito, irrealizzabile giochino della macchina del tempo fosse stato proiettato nel nuovo millennio con un siluro supersonico in una emeroteca, ovviamente digitale…, trovandosi al cospetto di prime pagine e copertine di quotidiani e periodici con titoli e speciali dedicati alla disparità persistente tra uomini e donne, il tutto naturalmente a restituire il detrimento strutturale della valorizzazione delle qualità delle seconde. Sì, perché

di Massimo Bran quando una rivoluzione prende corpo e si realizza lo fa con un salto triplo in avanti rispetto alle capacità digestive temporali di una società complessa con le sue abitudini e le sue secolari ordinarietà quotidiane, illudendo chi ne è stato partecipe attivo, ma anche chi lo è stato solo lateralmente, di aver contribuito a cambiare il mondo con un’onda, con una spallata dirompente. Sappiamo invece che inevitabilmente, sempre, ammesso e non concesso che tutte le rivoluzioni progressiste, chiamiamole così semplificando, siano portatrici di una teorica evoluzione valoriale dei costumi e dell’agire civico nelle società di cui sono peraltro figlie, dopo l’evoluzione a triplo salto in avanti segue fatalmente la caduta nella sabbia, qualche volta pure mobile, della restaurazione. È un moto eterno questo, con infinite variabili s’intende: dopo la presa del castello e l’eccitazione nuovista, immancabilmente prima o poi ritornano conti, marchesi e viceré a ristabilire l’ordine e le gerarchie. Ciò che conta è capire dove e quanto si è spostato in avanti il confine dietro il quale la restaurazione non potrà più riportarci. Lì si misura l’incisività, la cifra irreversibile di una vera rivoluzione civile. Il femminismo esploso in maniera fiera e creativa all’alba dei ‘70, cinquant’anni fa, il confine l’ha spostato in avanti come forse nessuna rivoluzione sociale prima ha saputo fare. In particolare da noi, società cattolica del

sud, mediterranea, dove le emancipazioni civili arrivano immancabilmente in ritardo per quindi poi esprimersi in maniera compressa e impetuosa, perché al loro accendersi, attorno e alle spalle hanno mondi di riferimento in cui tutto più o meno è già accaduto. Inutile ricordare che nel mondo calvinista, anglosassone del nordovest e centro Europa, le donne iniziarono a votare 50 anni prima che da noi, tanto per fermarci al primo, eloquente dato. Quindi, ecco, l’irrompere dei movimenti femministi post ’68 che da noi rappresentano davvero un pugno nello stomaco esiziale per una società patriarcale immutabile da sempre. Un’accelerazione spaventosa e felice. Naturale che con il riflusso, con la “normalizzazione”, dopo aver portato a casa divorzio, aborto (benedetti radicali!, mi si passi l’ossimoro…), soprattutto il coraggio di guardare dritte negli occhi l’altro sesso senza arretrare di un millimetro in ogni ambito della vita civile e sociale, dopo quindi aver nel lampo di un paio di lustri apparentemente azzerato millenni di disparità di genere, qualsiasi minimo, ma anche di meno, passo indietro non può davvero essere digerito. Eppure, 50 anni dopo, va anche detto che i due veri, clamorosi risultati ottenuti dalla più straordinaria rivoluzione del costume della società contemporanea del ventesimo secolo, il ‘68, sono alla fine i seguenti: l’emergere di un nuovo soggetto sociale con una propria, definita autonomia e identità, i giovani; l’irrompere nel proscenio sociale dell’egualitarismo tra i generi, con un altro soggetto pressoché nuovo nei panni di attore, ohpsss!, attrice protagonista. Andando all’essenza, quindi, questo è il lascito sostanziale che quel momento storico irripetibile ci ha regalato in maniera profonda e irrespingibile. Ecco, allora, che quando giustamente si insiste a ribadire che non vi è eguaglianza di genere finché non sarà piena, si fa assolutamente cosa giusta e dovuta, senza se e senza ma. Perché quando si ottiene un diritto sacrosanto da sempre ignorato, nel caso specifico il diritto di essere soggetto sociale con pari dignità e opportunità, poi non vi può più essere alcun distinguo contemplabile né tantome-

no giustificabile. Ciò detto, senza paura di finire nel rogo un po’ talebano del politically correct alla Me Too (intendiamoci, una doverosa ripartenza del protagonismo femminile irriducibilmente insoddisfatto per qualsiasi parzialità delle conquiste ottenute), capire da dove si è partiti e quanto si è ottenuto in cinquant’anni di storia, sommando e sottraendo passi avanti e passi indietro, credo sia importante e doveroso per misurare quanto in alto l’asticella sia oggi posizionata nell’asse dell’eguaglianza. A mio modestissimo parere a un’altezza impensabile solo fino a una manciata di decenni fa, ivi inclusi quelli durante i quali la rivoluzione si consumò. Oggi interi settori della vita sociale, culturale, economica sono tenuti in piedi dalle donne, in particolare quelli a più alta intensità intellettuale. Basta guardarsi intorno. Il vero passo che manca, fondamentale, è quello di prendersi definitivamente la parità, e anche di più, nei vertici delle catene di comando. Ovvio, chi per secoli ci è stato in forma esclusiva lassù, difficile che molli la presa. Disperatamente vi si aggrappa, spesso pateticamente, purtroppo altrettanto spesso violentemente. E non solo, ma anche in tutte le fasce gerarchiche del lavoro e della società più in generale la parità piena in termini di valorizzazione professionale ed economica è ancora di là da venire nella sua pienezza. E dici poco. Però il traguardo si vede, è lì; qualche volta tutto si annuvola e si nasconde, ma poi un acquazzone ce lo riporta, terso, più vicino. All’M9, luogo quanto mai congruo per fare il punto sul tema, una serie di incontri e di spettacoli, con naturalmente donne di tutte le generazioni, dalle protagoniste in prima linea della rivoluzione dei ‘70 alle loro figlie nate a rivoluzione avvenuta, impegnate sul fronte delle idee, della cultura, delle professioni, ci permetterà di misurare la temperatura effettiva, bilanciata, dell’essere donna nel 2020, a 50 anni dal terremoto. Niente di più utile, niente di più necessario. Non mancate. «50 anni di femminismi. Generazioni a confronto» 7, 8, 14, 15, 21, 28 marzo Auditorium Cesare de Michelis, M9 – Museo del ‘900 www.m9musem.it


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7 marzo

Auditorium M9 h. 11

IL PERSONALE È POLITICO La reinvenzione della politica

Elda Guerra, storica, studiosa di storia contempora-

nea, ha insegnato Didattica della storia presso l’Università di Bologna ed è responsabile scientifica dell’Archivio di Storia delle donne del Centro di documentazione, ricerca e iniziativa delle donne di Bologna. Ha pubblicato molti testi sulla storia delle donne, tra cui Storia e cultura politica delle donne (Archetipo Libri, 2008) e Il dilemma della pace. Femministe e pacifiste sulla scena internazionale (Viella, 2014).

Maria Luisa Boccia, filosofa e politica, è presidente

del Centro per la riforma dello Stato. Ha insegnato Filosofia politica presso l’Università di Siena. Ha contribuito alla nascita di diverse pubblicazioni femministe a partire dal 1974, quando entra nel Collettivo di donne Rosa di Firenze. È autrice di saggi sul rapporto tra donne e politica, sul “pensiero della differenza” di Luce Irigaray, e su grandi temi sociali connessi alle tematiche femminili. Tra le sue pubblicazioni più recenti, Le parole e i corpi. Scritti femministi (Ediesse, 2018) e La differenza politica. Donne e cittadinanza (Il Saggiatore, 2002).

Liliana Ellena, storica, ricercatrice presso l’Istituto

universitario europeo di Fiesole, si è occupata di studi postcoloniali e di storia delle donne. Ha collaborato alla costituzione dell’archivio on-line Memoria e cultura delle donne in Kosovo del Centro di documentazione delle Donne di Bologna. Ha curato per Einaudi la più recente traduzione italiana (2000) de I dannati della terra di Frantz Fanon e ha pubblicato World Wide Women. Globalizzazione, generi, linguaggi (CIRSDe, 2012) e Donne di mondo. Percorsi transnazionali dei femminismi («Zapruder», n. 13, 2007).

passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia (Bollati Boringhieri, 2001). È stata redattrice con lo psicanalista Elvio Fachinelli della rivista «L’erba Voglio», di cui ha curato un’antologia nel 1998.

Carola Susani, scrittrice e docente, ha pubblicato il

suo primo romanzo per Giunti nel 1995 Il libro di Teresa. Ha quindi pubblicato racconti di letteratura dell’infanzia e due radiodrammi. Nel 2006 ha pubblicato una raccolta di racconti Pecore vive (Minimum fax), selezione al Premio Strega 2007. Fa parte della redazione di «Nuovi Argomenti» e tiene laboratori di lettura scrittura con l’editore Minimum Fax. Gli ultimi due scritti sono L’infanzia è un terremoto (Laterza, 2008) e con Elena Stancanelli Mamma o non mamma (Feltrinelli, 2009).

8 marzo

Auditorium M9 h. 18.30

NORMAL

di Adele Tulli (2019) L’opera prima di Adele Tulli, Miglior documentario al Lovers Film Festival di Torino (2019), esplora la messa in scena collettiva dell’universo maschile e femminile, attraverso una lucida riflessione sull’impatto che ha sulle nostre vite la costruzione sociale dei generi e gli stereotipi che ne derivano. Osservando la realtà italiana a diverse latitudini, in una successione di scene di vita quotidiana, dall’infanzia all’età adulta, con Normal Adele Tulli presenta un quadro surreale dei riti sociali che compongono il vivere quotidiano. Uno sguardo disincantato ma molto ben articolato dentro il paese Italia, che produce sia straniamento che involontaria comicità sull’apparente ‘normalità’ dei nostri comportamenti, delle nostre aspettative sociali, delle nostre sovrastrutture culturali.

14 marzo

Auditorium M9 h. 11

IO SONO MIA

Corpi, sessualità, aborto Nadia Maria Filippini, storica, ha insegnato Storia

delle donne presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e ha fatto parte del direttivo e della redazione di «Genesis», rivista della Società Italiana delle Storiche (SIS) di cui è socia fondatrice. Tra le sue pubblicazioni, La nascita straordinaria. Tra madre e figlio: la rivoluzione del taglio cesareo (sec. XVIII-XIX) (FrancoAngeli, 1995), con Tiziana Plebani La scoperta dell’infanzia. Cura, educazione e rappresentazione, Venezia 1750-1930 (Marsilio, 1999) e con Plebani e Anna Scattigno Corpi e storia. Donne e uomini dal mondo antico all’età contemporanea (Viella, 2002). Nel suo ultimo lavoro ha approfondito il tema della fecondazione in una prospettiva di lungo periodo: Generare, partorire, nascere. Una storia dall’antichità alla provetta (Viella, 2017).

Lea Melandri, scrittrice e giornalista, è una delle

attiviste femministe italiane più note, grazie all’intensa attività a favore delle donne che ha condotto fin dai primi anni Settanta. Dal 2011 è presidente della Libera Università delle Donne. Sui temi delle battaglie femministe, la sessualità e le relazioni tra i sessi ha scritto molto. Tra le sue opere più recenti, Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà (Bollati Boringhieri, 2011) e Le

Lidia Ravera, scrittrice, diventa famosa fin dalla pubblicazione del suo primo romanzo, scritto con Marco Lombardo Radice, Porci con le ali (Savelli, 1976), un libro manifesto per una generazione che fece molto scandalo nella società perbenista degli anni ‘70. Da quel momento ha pubblicato molti racconti e collaborato alla scrittura di diversi sceneggiati televisivi. Tra gli ultimi lavori, Le seduzioni dell’inverno, finalista al Premio Strega 2008, e Piangi pure, vincitore al Premio Nazionale Letterario Pisa 2013. Attualmente dirige la collana «Terzo Tempo» per Giunti. Chiara Moscardelli, scrittrice, ha esordito nel

2011 con il romanzo Volevo essere una gatta morta (Giunti) che ha ottenuto un grandissimo successo di vendita e di critica. È responsabile editoriale della sezione narrativa per Baldini & Castoldi e collabora con numerose riviste tra cui «Tuttolibri», «Vanity Fair» e «Donna Moderna». Il suo ultimo romanzo si intitola Extravergine (Solferino, 2019).

15 marzo

Auditorium M9 h. 18.30

SUFFRAGETTA ANCH’IO Mind the gap

di Linda Collini e Laura Feltrin regia di Davide Stefanato In questa commedia per tutte le età, assistiamo all’inaspettato incontro tra due donne di epoche diverse, Giorgia, un’insegnante di oggi alle superiori volenterosa ed emotiva, e Sarah, una suffragetta dei primi del ‘900,


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valetteratura, le Accademie della Maestria femminile e la Fondazione Scuola di Alta Formazione per Donne di Governo. Dal 1997 al 2009, ha curato la realizzazione della rivista «ViaDogana» della Libreria delle Donne di Milano. È stata consulente editoriale per la saggistica filosofica delle edizioni Baldini, Castoldi e Dalai. Attualmente dirige le collane Corrispondenze di María Zambrano e Pensiero e pratiche di trasformazione per la casa editrice Moretti&Vitali.

28 marzo

Auditorium M9 h. 11

LE OPERAIE DELLA CASA Donne e Lavoro

Alessandra Pescarolo, storica e sociologa, ha insegnato Sociologia e storia della famiglia e Sociologia e storia del lavoro all’Università di Firenze e ha diretto l’area “Società” dell’Istituto di ricerche socioeconomiche della Regione Toscana (Irpet). Ha scritto Il lavoro delle donne nell’Italia contemporanea (Viella, 2019) ed è tra le curatrici della Storia sociale delle donne nell’Italia contemporanea (con A. Bravo, M. Pelaja e L. Scaraffia, Laterza 2001). Maria Rosa Dalla Costa, storica e sociologa, è

personaggio ambiguo ma stranamente buffo e tenace capitato nella sua vita di Giorgia non per caso. Nel confronto tra le due viene affrontato in maniera originale il tema delle differenze di genere e delle difficoltà che incontrano oggi le donne nella vita quotidiana, segnata da pregiudizi e gender gap. Riuscirà Sarah ad aiutare la giovane Giorgia ad affrontare le sue paure e a dare vita alla sua rivoluzione? Suffragetta anch’io è un racconto di sogni e ideali che attraversano la Storia ma che rimangono immutati, ma soprattutto una storia di coraggio al femminile che supera i confini del tempo.

21 marzo

Auditorium M9 h. 11

RIPRENDIAMOCI LA VITA

stata docente presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Padova. Agli inizi degli anni Settanta ha aperto il dibattito sul lavoro domestico e sulla donna come riproduttrice della forza lavoro, che ha dato avvio alla battaglia femminista sul «salario alle casalinghe». Ha dedicato il suo impegno teorico e pratico ai problemi concernenti la condizione femminile all’interno di una lettura sempre aggiornata dello sviluppo capitalistico. Ha pubblicato Famiglia, welfare e Stato tra progressismo e New Deal (FrancoAngeli, 1983).

Antonella Picchio, economista e storica, ha inse-

diritti sindacali e del lavoro. È avvocato di riferimento della CGIL di Venezia e collabora con l’Ufficio Vertenze della Camera del Lavoro. È consulente dello SPI (Sindacato pensionati Italiani) CGIL e dell’AIED (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica) di Mestre.

tà Orientale di Napoli, ha curato insieme a Simona Feci il volume edito da Viella nel 2017, La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (XV-XXI). I suoi studi e le sue pubblicazioni si focalizzano sulla storia sociale e culturale in età contemporanea, con particolare attenzione alla storia di genere, giudiziaria e della scienza. Dal 2012 al 2016 ha fatto parte del Direttivo della Società Italiana delle Storiche. Dal 2014 è redattrice del Dizionario biografico degli italiani dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani.

Caterina Peroni, dottoressa di ricerca in Sociologia del diritto, ricercatrice e docente all’Università di Padova e attivista di Non Una Di Meno, ha svolto attività di ricerca, insegnamento e studio sugli studi femministi nell’ambito della violenza di genere, della tratta e della prostituzione, della cittadinanza sessuale e riproduttiva, delle forme di discriminazione e controllo delle soggettività LGBTQI anche nel campo penale, e della produzione di discorsi e pratiche dei movimenti femministi e transfemministi. Negli ultimi anni collabora con il CAM – Centri di Ascolto per Uomini Maltrattanti di Ferrara come co-conduttrice dei gruppi di uomini che hanno commesso violenza.

Chiara Santi, avvocato giuslavorista, ha partecipato

Annarosa Buttarelli, filosofa, ha insegnato presso

Violenza sessuale e violenza di genere Laura Schettini, storica, assegnista presso l’Universi-

alle attività del Centro antiviolenza del Comune di Venezia a partire dalla sua istituzione nel 1994. Ha partecipato in qualità di docente a numerosi corsi di formazione per operatori di servizi antiviolenza, e a progetti di pari opportunità, di formazione e riqualificazione professionale delle donne, con particolare riferimento all’ambito dei

l’Università di Verona. Ha studiato diffusamente il pensiero della differenza e la figura di Carla Lonzi. Fa parte fin dal 1988 della comunità filosofica Diotima, dove entra su proposta di Luisa Muraro. Ha contribuito alla nascita e alla crescita come consulente scientifico della Scuola di Cultura Contemporanea di Mantova, il Festi-

gnato Storia del pensiero economico, Macro Economia, Economia di genere e Sviluppo umano presso la l’Università di Modena e Reggio Emilia. Ha anche insegnato presso le università di Roma Tre, Ferrara, Trento e alla New School of Social Research di New York. È stata vice presidente di IAFFE e nella redazione di «Feminist Economics» e negli ultimi anni ha lavorato sui Well-being Gender Budgets presso il Centre of Analysis of Public Policy (CAPP) e ora al Well-being, spin-off dell’Università di Modena. È nota a livello internazionale per i suoi studi su riproduzione sociale e lavoro femminile non pagato che hanno tratto forza e continua ispirazione dalla sua militanza all’interno di movimenti femministi dagli anni Settanta fino a oggi. È curatrice del volume Unpaid Work and the Economy: A Gender Analysis of the Standards of Living (Taylor & Francis Ltd, 2003).

Giulia Blasi, scrittrice, ha collaborato con riviste quali

«Donna Moderna», «Marie Claire» e «Vogue», ed è autrice di programmi radiotelevisivi, fra cui Hashtag, programma satirico di Rai Radio 1. È stata redattrice senior del periodico digitale «Il Tascabile», edito dall’Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani. Nel 2017 ha ideato la campagna #quellavoltache con lo scopo di raccogliere e rendere note le testimonianze vittime di molestie e abusi sessuali, raccontandone le conseguenze sulle loro vite e l’eventuale corso delle loro denunce. Ha pubblicato Manuale per ragazze rivoluzionarie (Rizzoli, 2018) dove affronta il tema del patriarcato nella società.


l’evento del mese the event of the month

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Modern imagination

Daniela Zyman

Ocean Space, View of San Lorenzo Campo and Church during high tide flood, November 13, 2019; Photo: Shaul Bassi

Territorial

Agency: Oceans in Transformation, curated by Daniela Zyman, is one of the most extensive research efforts ever conducted on the state of the oceans. It lasted three years and had been promoted by TBA21-Academy and Territorial Agency, who joined forces with a network of researchers and institutions to present their results in art exhibition format. Ocean in Transformation will open on March 22 and will make us understand the extraordinary transformations oceans underwent over the last several years, threatened as they are

di Mariachiara Marzari by human activities like overfishing, offshore mining, and other forms of pollution that have an effect on currents, energy, and ecology. One of the most obvious consequences of human activity in the oceans is rising sea levels, which we can observe in Venice. A light installation on the facade of the San Lorenzo Church will show what the sea level is projected to be in the late 21st century. By following six geographical paths, data have been elaborated into large-scale multimedia installations that will help visitors understand just how large the impact of human action on the oceans can be.

The Greek god Ocean, son of Uranus (the sky) and Gaia (the earth), was originally conceived as a river circling the earth. The word “Oceanus” then began to signify immensity, borderless extension, and limitless

multiplicity. This is where we would like to start – what role, real and ideal, does Ocean have for man, for history, for existence? There are many stories to be told about Gaia, Okeanos and the way humans have imagined and lived with the oceans. If there is one to be told today then it is the story of the intrusion of Gaia, our Gaia of today. In the 1970s the scientists James Lovelock and Lynn Margulis have developed the hypothesis that Earth is a living and self-regulating system that emerged from the reciprocal and entangled evolutions of organisms and their environment over deep time. They have called this revelation Gaia to break with notions of segmentation (Earth, Atmosphere, Water etc.) but also to avoid a holistic universalism. In their understanding of the planet, now scientifically ratified as the Earth System Theory, activities and changes in any one dimension of the system will eventually have an effect and impact on the system’s entirety. We cannot afford to ignore the “smaller scale” organisms, events or agencies. We cannot afford to believe in human exceptionalism or the ratio’s ability to fix things. Gaia is not fixable is the sense that we are made believe. Her intrusion, the word Isabelle Stengers uses to describe the eruptive manifestations of “natural forces”, are way beyond our command, control, and understanding. With all the modelling capacities and all the data and satellites we currently have deployed «Territorial Agency: Oceans in Transformation» TBA21–Academy, Ocean Space ex Chiesa di San Lorenzo, Castello www.tba21.org | www.ocean-space.org

to “observe” the planet, scientists were not even able to predict the magnitude of the Venetian Acqua Alta of November 12th The catastrophic convergences which occur when multi-chaotic events come together at a specific moment are too complex to accurately simulate. Also, what a model gives you, is the most predictable outcome in a given range of observable data. When thing start falling outside of what natural scientists call the spectrum of natural variability, then the entire model changes. Which means that we need to imagine a fundamentally different world, one where things start occurring in a different magnitude, intensity, frequency, or extremeness. This is how I understand the intrusion of Gaia. From all I said, it is clear that the Ocean plays an enormously important role for this planet. For a long time, it has conveniently be “forgotten” and conceived of as the invisible, silent world of the deep. We were fed incredible images from pristine marine ecosystems. But clearly, what has started happening in the area of neoliberal globalism– a time of extreme capitalism, interconnectivity and population growth–is that a great number of human activities have been moved from land to the oceans. Container transport, for instance, the elementary condition for global industrialization and consumerism, is now accounting for 90% of all transports of goods and components on the planet. Coastal urbanism, the growth of coastal “extreme cities” planted on estuaries within 100 km of the shoreline, in the “natural” defence systems of salt marches and coastal ecosystems are housing about 1,5 billion people


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in Asia alone (predicted to double by 2030). Most of this urbanization was built in the last 30 years. Its impact on the oceans and of course on human lives is huge. Overfishing, oil, gas and mineral extraction–mostly in the so-called Exclusive Economic Zones has moved into the oceans. If you then add to this the impact of climate heating caused mainly by anthropogenic greenhouse gas emissions, you have the condition that Territorial Agency calls “Oceans in Transformation”. The heating, acidified, and apoxic oceans have not only “changed”, it is a fundamentally different ocean from the Holocene ocean.

Why is oceanography so central in the scientific investigation of the evolution of climate? Through Earth System Science we have understood that we cannot rely on any single discipline to “explain” what is happening in the oceans. Indeed, the recognition of the Anthropocene around the year 2000 was only possible because scientific observations from all kinds of disciplines started coming together to recognize the fundamental rupture, the suddenness, severity, acceleration, and irreversibility of the Anthropocene. This concept, with all its flaws and restrictions, has been developed by various disciplines, including atmospheric chemistry, climatology, oceanography and geology. But also beyond the natural sciences, the contribution by historians, geographers, urbanists, the humanities, and social scientists have been extremely valuable to unravel the “gestalt shift” that calls for new thinking. As a curator of contemporary art, deeply involved with philosophy and epistemology, I urge for a new understanding of the relationships and intimacies we entertain with the world, its living and nonliving entities, a deeper understanding for injustices and violence waged against people and the earth’s others. I care about other forms of knowing, sensing and understanding which open a different spectrum of engagement with the oceans and the planet. Thanks to TBA21-Academy, art becomes a tool to communicate the results of scientific discovery and a catalyser for the dissemination of knowledge. How did your project Oceans in Transformation come about? Art doesn’t communicate scientific discovery. Art is a specific way of knowing different from science and other forms of intellectual engagements. It has its own ways of understanding the world and of telling stories. I think what is happening is that many artists (and thinkers, activists, cultural practionners) are deeply worried not just of climate change but of the disaggregation of social worlds, which is inseparable from the environmental collapse. The projects that TBA21–Academy follows, and “Oceans in Transformation” is a very good example for this, are concerned with the practices, the worlds and existences that have fallen prey to processes of injustice, exploitation, neo-colonialism, racism, isolationism, etc.… Human polities are unwilling to collaborate in order to imagine together a future for all. I don’t mean a social contract, where a small affluent and mostly white minority dictates the future social and environmental contract for the planet, but one that is concerned with multiple worlds and

the multiple ways in which different polities make worlds. The DNA of “Oceans in Transformation” is a political imaginary, a cosmopolitics, based on the notion of incommensurability–on the notion of the immense difference of knowledge, experiences, needs, and life conditions coexisting on this planet; a political imaginary which doesn’t pretend that “nature” is the background to human life, but that it is an incommensurably different life form.

How did John Palmesino and Ann-Sofy Rönnskog, a.k.a. Territorial Agency, contribute to researching and popularizing the Ocean issue and climate change? TA have been deeply involved with the Anthropocene Observatory at HKW in Berlin for many years and developed the project Museum of Oil. In both instances, they were many concerned with the entanglements leading to the new planetary conditions: the institutions, decision makers, scientific actors. The Museum of Oil argued for an immediate decarbonization of our worlds, fossil fuel being the most urgent driver and contributor to the climate emergency. Their new research on the oceans takes as a starting point the scientific literature compiled by the IPCC report. Territorial Agency composes images out of open access data that is mentioned in the report only to realize that there are very few globally available measurements and models. Most of the data is produced locally, in various formats, and is often difficult to access. Oceans in Transformation deals with perhaps 5% of the globally available open access data. The rest of the data, about 95%, is in the hands of scientists or governmental actors who don’t want to share it for multiple reasons. Scientific knowledge of the oceans is extremely fragmented and characterized by growing expert knowledge and expertise. This problematizes a general understanding of ocean literacy. There seems to be no communication between the researchers that study fishing and the ones that study bathymetry, between the research on transport and the research on the depletion of ecology on land. Hence, the importance and need to bring these datasets together in new ways to accelerate decision making to identify illegal fishing, detect animal migrations and habitats, improve vessel efficiency, and move to protect the most viable ecosystems. This aspect of the project indicates how a new series of collaborations can be established between different actors and agencies in order to achieve the necessary and urgent steps to safeguard the oceans. This ocean project finds in Venice its most emblematic facet. How can we contain rising sea levels and how can we protect the city? Venice occupies a very central position in this iteration of the project. It has been a maritime city for 1000 years and found a way to coexist with its ecologies. It has placed itself at the nexus of many crossroads, exchanges, and collaborations reaching to the North to Flanders, the powerful mercantile centers of the 16/7th c. but also all the way to the Gulf of Aden. Braudel, the main historian of the Mediterranean writes: «By 1450, the itineraries of the state galleys alone, that is Venice’s official shipping, would if drawn on a map look very like an octopus, with tentacles

reaching into the entire area penetrated by Italians outside the peninsula. (…) This map of the Venetian shipping routes gives a better idea than anything else could of the co-ordinated effort, the calculated penetration of space, and the superior command of the crucial transport sector that provided Italy for so long with its livelihood» (From: Fernand Braudel, Siân Reynolds, Out of Italy, Apple Books). We know that these relationships were primarily commercial and I am not commenting on the effects of the Venetian world system on others. It is rather an inspiration to remember that being a very small urbanity tucked away in an artificial ecosystem can also be a place from which to speak out with clarity. The recent acqua alta of October 29 and more so November 12 inspires us to remember that the rising waters are affecting worlds in every corner of the planet, lives of humans, animals, and massively impacting on fragile ecosystems. These events are unpredictable to a large degree, multi-causal, and dramatic. And there is only one solution to it: to listen to the oceans and to take all possible measures to slow down the otherwise rapid escalation of calamities. We must acknowledge very clearly that the difference between 1.5 and 2 degree C (and if we want to be realistic most likely 3.5 to 4 C) is exponential. It brings the eradication, extinction and wiping out of many Venices around the world. It means unimaginable loss and hardship to many, and very specifically to Venice. Venice can take a leading role in fighting climate escalation in a burning world, because Venice has in the past been an “octopus city” with tentacles reaching everywhere and it has everything to lose. There is no technical solution to the rising sea levels–no MOSE and no other defense systems will protect the city. Only we can protect it by understanding clearly the processes that lead to the rising sea level and demanding new forms of governance which will decrease CO2 emissions and be based on supra-national collaborations between citizens, scientists, activists, policy makers etc… to develop the capacity for new imaginaries for the future.

TBA21-Academy supports site-specific artistic projects. What is the current relationship between contemporary art and architecture? Can the practice of site-specific installations be seen as an approach of the visual arts to architecture? Art and architecture have different histories, practices, theories, archives, and yet both art and architecture have looked beyond their disciplines for a long time to think across and in-between. When reaching degrees of complexity, as discussed, thinking across and in-between and with each other becomes very urgent. It increases the capacity to multiply points of views. Oceans in Transformation is not art and not architecture per se. It is perhaps a semantic structure which exposes ambiguities and incommensurabilities. It works on what Karen Barad calls the onto-epistemologic dimension. What we know depends on how we know things and how we know things stems directly from the world, from matter, water, currents, etc… The questions are in the ocean and with the ocean – and this is not a metaphor – and Oceans in Transformation proposes one way to look at this powerful oceanic assemblage.


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Territorial Agency: Oceans in Transformation, curata da Daniela Zyman, che ci racconta

il progetto a seguire, è uno degli studi più dettagliati effettuati finora sullo stato degli oceani, ed è il risultato di un progetto di ricerca durato tre anni, promosso da TBA21-Academy e Territorial Agency, che hanno unito le forze con una rete di ricercatori e istituzioni, per presentare una mostra che basa le proprie conoscenze su scienza, politica, cultura e arte contemporanee. Con Oceans in Transformation, che inaugura il 22 marzo, si potrà comprendere chiaramente la straordinaria portata delle trasformazioni subite dagli oceani, minacciati costantemente dalle attività umane, come il sovrasfruttamento delle risorse ittiche, l’estrazione mineraria in alto mare e altre forme di estrazione e inquinamento, che ne modificano le correnti, le energie e l’ecologia. Una delle conseguenze più evidenti è l’innalzamento del livello del mare, come si può già vedere a Venezia. Un’installazione luminosa sulla facciata dell’ex Chiesa di San Lorenzo mostrerà la drammatica quota che sarà raggiunta a Venezia a fine secolo. Seguendo sei traiettorie geografiche, i dati sono stati elaborati in grandi installazioni multimediali e invitano i visitatori a prendere consapevolezza dell’impatto delle attività umane sul sistema oceanico.

La rapida urbanizzazione in Cina colpisce il pennacchio del fiume Yangtze vicino a Shanghai. Dati ESA Sentinel 2 © Territorial Agency

Il dio Oceano, figlio di Urano (il cielo) e di Gea (la terra), era considerato originariamente nel mondo greco come un fiume che circonda la terra. La parola “Oceano” ha poi assunto anche il concetto di immensità, di estensione o di molteplicità senza limiti. Partiamo proprio da qui, quale ruolo reale e ideale ha avuto e ha l’oceano per l’uomo, la sua storia, la sua esistenza? Ci sono molte storie da raccontare su Gaia, su Okeanos e sui modi in cui l’uomo ha immaginato e vissuto gli oceani. Se dovessi sceglierne una, sceglierei la storia The Intrusion of Gaia (di Isabelle Stengers), la nostra Gaia di oggi. Negli anni Settanta, gli scienziati James Lovelock e Lynn Margulis hanno sviluppato l’ipotesi che la Terra sia un sistema vivente e autoregolante, emerso dalle mutue e intrecciate evoluzioni degli organismi e del loro ambiente nel corso di un tempo lunghissimo. Lovelock e Margulis hanno chiamato questo sistema “Gaia” per superare la preceden-

te segmentazione teorica (terra, atmosfera, oceani), ma anche per evitare riferimenti a un universalismo olistico. Nella loro concezione del Pianeta, ora conosciuta scientificamente come Teoria del Sistema Terra, le attività e i cambiamenti in qualsiasi dimensione del sistema avranno un effetto e un impatto sull’intero sistema. Non possiamo permetterci di ignorare organismi, eventi o agenti cosiddetti “di piccola scala”. Non possiamo permetterci di credere nell’eccezionalismo umano o nella capacità della ragione di aggiustare le cose. Gaia non è “aggiustabile” – non nel senso che crediamo. La sua intrusione, che Isabelle Stengers definisce come la manifestazione prorompente delle forze naturali, è al di là del nostro potere di controllo e di comprensione. Con tutta la capacità di studiare modelli e tutti i dati che i satelliti ci forniscono possiamo sì osservare il Pianeta, ma gli scienziati non hanno comunque potuto prevedere la grandezza dell’acqua alta che ha colpito Venezia lo scorso 12 novembre. Le convergenze catastrofiche di eventi “multi-caotici” che accadono allo stesso momento sono troppo complesse per essere simulate precisamente. Inoltre, ciò che un modello può darci è l’esito più probabile in un intervallo di dati osservabile. Quando gli eventi vanno al di là di ciò che i naturalisti chiamano spettro della variabilità naturale, l’intero model-

Il rapido esaurimento degli ecosistemi costieri del delta del Mississippi, combinato con scenari di innalzamento del livello del mare © Territorial Agency

lo cambia. Il che significa che dobbiamo immaginare il mondo in modo fondamentalmente diverso, un mondo dove gli eventi accadono in diverse grandezze, intensità, frequenza, intervallo. Questa è, per come la vedo, l’intrusione di Gaia. Detto questo, mi sembra chiaro che l’oceano gioca un ruolo fondamentale in questo Pianeta. Per lungo tempo è stato convenientemente trascurato e visto come l’invisibile, silenzioso mondo dell’abisso. Abbiamo visto immagini bellissime di ecosistemi marini immacolati. Ma è ovvio che ciò che è cominciato ad accadere nel mondo del neoliberismo globale – in un periodo storico di capitalismo portato all’estremo, di connettività e di crescita della popolazione – è che un gran numero di attività umane sono state spostate dalla terra all’oceano. Il traporto via container, ad esempio, che è la condizione essenziale per l’industrializzazione globale e per il consumismo, rappresenta il 90% di tutto il trasporto di merci del mondo. L’urbanizzazione

delle coste, la crescita di mega città lungo gli estuari e fino a 100km dalla costa, proprio lì dove si trova il meccanismo di difesa naturale delle barene e degli ecosistemi costieri, ospitano un miliardo e mezzo di persone nella sola Asia ed è possibile che raddoppieranno entro il 2030. La maggior parte di questa urbanizzazione ha avuto luogo negli ultimi 30 anni. Il suo impatto sull’oceano e conseguentemente sull’uomo è enorme. La pesca eccessiva, l’estrazione di petrolio e derivati (soprattutto nelle zone economiche esclusive) avviene negli oceani. Se a questo si aggiunge l’impatto del riscaldamento globale antropogenico dovuto all’emissione di gas serra, abbiamo quella condizione che la Territorial Agency chiama Oceans in Transformation. Oceani più caldi, più acidi e apossici non sono solo cambiati, sono completamente diversi dall’oceano dell’Olocene. Perché l’oceanografia è così centrale nello studio scientifico dell’evoluzione del clima? La scienza del sistema terra ci spiega che non possiamo affidarci a una singola disciplina per spiegare cosa sta accadendo all’oceano. In effetti, il riconoscimento dell’Antropocene intorno all’anno 2000 è stato possibile solo grazie alle osservazioni scientifiche provenienti da discipline diverse, che hanno iniziato a riunirsi insieme per capire

Tracce antropogeniche di un uso intensificato del suolo in Scandinavia sono collegate alla fioritura di alghe nel Mar Baltico, luglio 2019. Dati ESA Sentinel 2 © Territorial Agency

quanto fondamentale sia stata la rottura, la subitaneità, la gravità, l’accelerazione e l’irreversibilità dell’Antropocene. Questo concetto, con tutti i suoi difetti e i suoi limiti, è stato sviluppato a partire da varie scienze: la chimica dell’atmosfera, la climatologia, l’oceanografia e la geologia. Contributi dalle scienze umane come la storia, la geografia, l’urbanistica, e le scienze sociali sono stati anch’essi importanti per sviluppare questo necessario cambiamento di mentalità. Come curatrice d’arte contemporanea con un interesse per la filosofia e l’epistemologia, penso sia importante una nuova comprensione delle relazioni più intime che noi abbiamo con il mondo, con le cose viventi e non viventi, una comprensione più profonda delle ingiustizie e della violenza condotte contro le persone e quanto è altro da noi qui sulla terra. Penso sia molto importante avere altre forme di conoscenza, sensibilità e comprensione per allargare lo spettro del nostro impegno nei confronti dell’oceano e del Pianeta.


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Grazie TBA21-Academy, l’arte diventa lo strumento per comunicare risultati emergenziali di ricerche scientifiche e un catalizzatore per la diffusione della conoscenza. Com’è nato il progetto espositivo Ocean in Trasformation? L’arte non comunica le scoperte scientifiche. L’arte è una modalità specifica di conoscenza, diversa dalla scienza e da altre forme di lavoro intellettuale. Ha il suo modo di capire il mondo e di raccontare storie. Penso che molti artisti (e pensatori e attivisti…) siano preoccupati non solo per i cambiamenti climatici ma per lo sfaldamento dei mondi sociali, che è un evento inseparabile dal collasso ambientale. I progetti seguiti da TBA21-Academy e Oceans in Transformation sono un esempio di tutto ciò, perché vertono sulle pratiche, sui mondi e sulle esistenze che sono cadute preda di ingiustizia, sfruttamento, neocolonialismo, razzismo, isolazionismo, etc. I gruppi umani paiono non voler collaborare per immaginare un futuro insieme, aperto a tutti. Non intendo un contratto sociale, dove una minoranza privilegiata detta la condizioni della società futura e un contratto ambientale per il Pianeta, ma qualcosa che abbia a che fare con mondi multipli e modalità multiple. Il DNA di Oceans in Transformation è un immaginario politico, una cosmopolitica, basata sull’idea di incommensurabilità, sull’idea di diversità estrema

Le piattaforme continentali europee sono tra le aree più sfruttate dell’oceano globale. Attività di trasporto aggregato e licenze petrolifere. Dati EMODnet © Territorial Agency

in conoscenze, esperienze, bisogni e condizioni di vita che esistono su questo Pianeta, un immaginario politico che non vede la natura come sfondo dell’azione umana ma come una forma di vita incommensurabilmente diversa. Quale l’azione svolta da John Palmesino e Ann-Sofi Rönnskog, ovvero Territorial Agency, nella ricerca e sensibilizzazione del problema degli oceani e più in generale sui cambiamenti climatici? Territorial Agency è stata coinvolta nel progetto Anthropocene Observatory all’HKW di Berlino per molti anni e ha partecipato al progetto del Museum of Oil. In entrambi i casi, erano in molti a preoccuparsi degli intrighi che portavano alle nuove condizioni planetarie: le istituzioni, i decisori, gli attori scientifici. Il Museum of Oil sostiene che il Pianeta debba essere immediatamente decarbonizzato dato che i combustibili fossili sono il fattore più importante nell’emergenza climatica. La loro nuova ricerca

sugli oceani parte dal IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) report. Territorial Agency ha composto delle immagini basate su dati liberamente accessibili riportati nell’inchiesta e ha constatato che ci sono pochissimi dati disponibili globalmente. La maggior parte dei dati è prodotta localmente in formati diversi ed è difficile accederci. Oceans in Transformation usa forse il 5% dei dati globalmente e liberamente accessibili. Il resto dei dati, circa il 95%, è custodito da ricercatori o amministrazioni che non vogliono condividerli, per le ragioni più diverse. La scienza degli oceani è frammentata, sebbene vi sia costante crescita del numero di esperti e di conoscenza. Questo rende problematico una conoscenza generale di quanto veramente è possibile sapere sugli oceani. Sembra che ci sia poca interazione tra ricercatori che si occupano di pesca e ricercatori che si occupano di batimetria, tra chi studia il trasporto e chi studia l’erosione dell’ecosistema della terraferma. Di qui l’importanza e il bisogno di unificare questi dati in modo da accelerare la presa di decisioni, ad esempio per circoscrivere la pesca illegale, tracciare le migrazioni e gli habitat, migliorare l’efficienza delle navi e proteggere gli ecosistemi. Questo aspetto del progetto indica come una nuova serie di collaborazioni può essere avviata tra diversi professionisti e amministrazioni per arrivare a prendere

Una vista sul fondo dell’oceano Pacifico, al largo delle coste delle Hawaii. Dati sonar multiraggio © Territorial Agency

le decisioni più necessarie e urgenti e salvare l’oceano. Il progetto sugli oceani trova in Venezia il manifesto più emblematico. Come poter arginare il progressivo innalzamento del livello dei mari e come in particolare salvaguardare la città? Venezia ha una posizione centrale nello sviluppo di questo progetto. È stata una città marinara per mille anni e ha trovato il modo di coesistere con le proprie ecologie. Venezia si è fatta nodo cruciale di scambi e collaborazioni, dal Nord Europa con le Fiandre nel Sedicesimo e Diciassettesimo secolo e via a est fino al Golfo di Aden. Fernand Braudel, il più importante storico del Mediterraneo, scrive: «Entro il 1450, gli itinerari delle sole galee della Serenissima, ovvero le spedizioni ufficiali di Venezia, se disegnati su una mappa, assomigliano molto a un polipo, con tentacoli che raggiungono l’intera area penetrata dagli italiani fuori dalla Penisola [...] Questa mappa

delle rotte marittime veneziane offre un’idea migliore di qualsiasi altra cosa dello sforzo coordinato, della penetrazione calcolata dello spazio e del comando superiore del settore dei trasporti cruciale che ha fornito all’Italia per così tanto tempo il proprio sostentamento» (Fernand Braudel, Siân Reynolds, Out of Italy, Apple Books). Sappiamo che questi rapporti erano principalmente commerciali e il mio non è un commento sull’effetto che ha avuto Venezia sul Mediterraneo. È invece uno stimolo a ricordare che una piccola città rintanata in un ecosistema artificiale può essere un luogo da cui parlare con più chiarezza. La recente acqua alta del 29 ottobre e ancora più quella del 12 novembre ci ricorda che l’innalzamento delle acque condiziona, in ogni angolo del Pianeta, le vite di persone, animali ed ecosistemi. Questi eventi sono perlopiù imprevedibili, hanno molte cause diverse, e sono drammatici. E c’è una sola soluzione per contrastarli: ascoltare l’oceano e prendere tutte le possibili misure per contrastare le calamità, che altrimenti aumenterebbero di intensità e frequenza. Dobbiamo ammettere chiaramente che una differenza di 1,5 o 2 gradi (e più realisticamente tra 3,5 e 4 gradi) è esponenziale. Implica lo sradicamento, l’estinzione e la scomparsa di molte altre Venezie in giro per il mondo. Perdite e difficoltà incredibili per molti, e anche per Venezia stessa. Venezia può assumere un ruolo di guida per combattere i cambiamenti climatici in un mondo che sta bruciando, perché questa città è stata, in passato, una “città-piovra” e raggiungeva luoghi lontanissimi con i suoi tentacoli. Inoltre, ha tutto da perdere. Non c’è una soluzione tecnica all’innalzamento delle acque, non c’è Mose o altro sistema di difesa che può proteggere la città. Solo noi possiamo proteggerla, comprendendo chiaramente i processi che portano all’innalzamento del livello del mare e pretendendo politiche che diminuiscano le emissioni di anidride carbonica basate su collaborazioni sovranazionali tra cittadini, scienziati, attivisti, politici… per sviluppare la capacità di immaginare futuri. TB-A21 supporta progetti artistici site-specific. Qual è l’attuale rapporto tra arte contemporanea e architettura? La pratica delle installazioni site specific può essere vista come un approccio delle arti visive all’architettura? Arte e architettura hanno storie, pratiche, teorie e archivi diversi, eppure entrambe hanno guardato al di là di se stesse per lungo tempo. A un certo livello di complessità, come abbiamo visto, il pensiero deve andare oltre, deve andare tra una cosa e l’altra. È necessario per moltiplicare i punti di vista. Oceans in Transformation, in sé, non è arte e non è architettura, è forse una struttura semantica che mostra le ambiguità e le incommensurabilità. Esiste in ciò che Karen Barad chiama “la dimensione onto-epistemologica”. Ciò che sappiamo dipende da come conosciamo le cose e come conosciamo le cose dipende dal mondo, dalla materia, dall’acqua, dalle correnti… le domande sono nell’oceano e con l’oceano e non è una metafora. Oceans in Transformation suggerisce un modo di vedere questo potente assemblaggio oceanico.




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Andemo da Florian!

Il vero

compleanno sarà a dicembre, precisamente il giorno 29, ricorreranno allora i 300 anni esatti di vita del Florian, il Caffè per eccellenza di Venezia. Nato col nome “Alla Venezia trionfante”, per volontà del fondatore Floriano Francesconi, fu rapidamente ribattezzato dagli avventori semplicemente “Florian”, dal nome in dialetto veneziano del proprietario, diventando la più famosa “bottega da caffè”, frequentata da personaggi illustri come Casanova, Goldoni, Canaletto e Guardi. Il traguardo dei 300 anni porta il Florian a essere il più vecchio

di Fabio Marzari Caffè in Italia e tra i primi tre più vecchi d’Europa, nati, cresciuti e rimasti dove furono aperti la prima volta. Questo anniversario cade in un periodo difficile per Venezia e rappresenta una sfida al futuro – necessario e parimenti possibile – della città. Innumerevoli accadimenti si sono svolti all’interno delle raffinate sale del Caffè, molte idee, spesso di stampo “progressista”, hanno accompagnato la crescita culturale della città con ricadute importanti anche dal punto di vista della cultura mondiale, una per tutte la Biennale, nata al Florian tra mille discussioni di intellettuali e politici di rango, capitanati dal sindaco di allora Riccardo Selvatico, che passarono dalle idee ai fatti il 19 aprile 1893, quando con una delibera dell’amministrazione comunale, venne formulata ufficialmente la proposta di “istituire un’esposizione biennale artistica nazionale” con l’obiettivo di stimolare l’attività artistica e il mercato dell’arte nella città di Venezia. Il Florian è ancora il vero salotto buono di piazza San Marco, rappresenta l’essenza stessa di Venezia, una piccola città – dal punto di vista della superficie – ma nel contempo grandissima e protesa al mondo, crocevia di genti e di culture differenti, richiamate dalla bellezza e dall’armonia che Venezia ha saputo creare e sa infondere anche in questi giorni così confusi e incerti. Il vanto di un locale che può crogiolarsi nella sua storia plurisecolare parte dalla capacità di riuscire a mantenere uno stile unico quasi atemporale nel servizio e contemporaneo nell’offerta. Nella storia più recente che parte dall’acqua granda del 1966 e si alimenta col tifone/marea eccezionale del 12 novembre scorso, fino al Coronavirus di questi giorni, il Florian è sempre rimasto in attività e anzi tutto il personale si è prodigato in maniera totale per garantire il regolare servizio, anche se i disagi e i danni provocati da una natura matrigna, grandemente favorita dall’insipienza umana, hanno lasciato cicatrici nelle strutture e fiaccato gli animi. Dall’«ondata di piena del turismo sciamannato e urlante», per dirla ancora con Alvise Zorzi, di cui pubblichiamo a seguire, per gentile concessione del Florian, quasi integralmente la sua mirabile introduzione scritta nel 2008 per un volume che racconta la storia del Caffè, al presente fatto di geremiadi e preoccupanti indici di presenze turistiche in crollo verticale causa emergenza sanitaria globale, il Florian è in bella mostra, vivo e vitale e non pateticamente imbellettato alla rincorsa di tempi andati. Correva l’anno 1720, tre secoli fa, 69 anni prima della Rivoluzione francese, 56 anni prima della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti, il Florian c’era ed è ancora lì, ad allietare i suoi ospiti ogni giorno.


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Per evidenti

ragioni cronologiche non ho potuto conoscere il Caffè Florian degli anni precedenti la Grande Guerra, quando, per andare in Piazza San Marco le sere in cui si esibiva la celebratissima Banda Municipale (quella che Richard Wagner non disdegnava di dirigere), i signori si mettevano lo smoking. Né ho sentito risuonare sotto le volte delle Procuratie la voce declamante di Gabriele D’Annunzio, ascoltata in estasi da dame e cavalieri, e nemmeno ho potuto vedere la divina marchesa Casati scendere in Piazza con un codazzo di

di Alvise Zorzi* ammiratori e il leopardo al guinzaglio. Ma un po’ della “leggenda aurea” del Florian l’ho vissuta anch’io, ho fatto in tempo a vedere sedute ai tavolini coppie famose come l’atletico Douglas Fairbanks e Mary Pickford, “la fidanzata d’America”, e Greta Garbo dal volto adombrato dall’ala di un feltro marrone, assieme all’inseparabile maestro Leopold Stokowski. E Charlie Chaplin, difeso da un cordone di polizia dall’aggressivo entusiasmo di centinaia di ammiratori. E un duca di Windsor dall’aria stranita, con la sua duchessa che gli era costata il trono di Gran Bretagna e Irlanda, nonché dell’impero delle Indie. Ma quelli erano personaggi mobili della scena che, nel lontano 1818, il principe Metternich aveva paragonato a una visione delle “Mille e una notte”. I personaggi fissi, elementi caratterizzanti di un folklore veneziano non ancora involgarito, erano altri. La celeberrima contessa Annina Morosini, che era stata bellissima quando il Kaiser Guglielmo II approdava al suo palazzo a bordo della lancia imperiale insieme al principe Bülow, cancelliere dell’Impero; e che fosse stata bella lo si capiva bene anche quarant’anni dopo: alta, la vita sottilissima fasciata nella giacca di un tailleur che arrivava quasi alle caviglie, mi par di rivederla veleggiare tra i tavolini come sospinta dall’enorme cappello di paglia di Firenze, visione d’altri tempi circondata dall’omaggio di amici e conoscenti autentici e presunti. Ai quali ultimi non risparmiava l’umiliazione della richiesta, formulata al diapason della sua voce stridula molto ancien régime: “Ma Lei chi è ?”, prima di sedere attorniata da amiche e amici e ammiratori per il caffè mattutino. O il conte Giuseppe Volpi di Misurata dal bianco pizzetto aguzzo che più veneziano non si poteva, gran finanziere, pioniere dell’industria idroelettrica, governatore della Libia e ministro delle Finanze, fondatore di Porto Marghera, ma soprattutto onnipotente presidente della Biennale d’Arte, estesa sotto i suoi auspici al cinema e al teatro: grazie alla sua protezione, il segretario generale Antonio Maraini (ma sì, il padre di Fosco, il nonno di Dacia) aveva potuto organizzare memorabili mostre di pittori tutt’altro che in linea con le direttive del Regime fascista come Amedeo Modigliani e Oskar Kokoschka. Con Kokoschka e sua moglie Olga mi sono seduto anch’io al Florian, dopo la bufera della Seconda guerra mondiale. E con i pittori Chagall e Rouault, e con il poeta Jean Cocteau e il suo inseparabile compagno, il bellissimo attore Jean Marais. E con l’affascinante primadonna Edwige Feuillère, e con il geniale regista e interprete teatrale Louis Jouvet, e con l’altro grande regista e indimenticabile

amico, Roberto Rossellini. Erano tempi in cui Venezia era ancora Venezia, popolata da centocinquantamila veneziani; tempi in cui la Piazza era il centro della vita di una grande città, e, per noi veneziani, il salotto familiare dove ci si dava appuntamento quando si doveva parlare di qualcosa di veramente importante. Là, nel rito quotidiano del listòn, la passeggiata prima di cena avanti e indietro (qualcosa di simile allo struscio delle città del Sud) ragazzi e ragazze si scambiavano sguardi che potevano trasformarsi in flirt a distanza, e nascevano amori e pene d’amore e invidie e gelosie, si esibivano i vestiti nuovi e si parlava di tutto e del contrario di tutto, ad alta voce, per farsi notare. Tempi passati, ma il Caffè Florian è sopravvissuto ai mutamenti epocali, allo spopolamento, alla scomparsa di riti e abitudini, agli stravolgimenti economici e sociali, simbolo e ricordo di quella società veneziana del Settecento che, tramontate le grandi imprese, il dominio del mare e della mercanzia e (come diceva il doge Tommaso Mocenigo) dell’oro della Cristianità, viveva una splendida fioritura delle arti, di tutte le arti, vero e proprio fuoco d’artificio finale di una civiltà; ma anche dell’arte raffinata e difficile del saper vivere e godere la vita. Di quell’età, il Florian è il monumento […] Due to evident chronological reasons, I did not have the opportunity to experience the atmosphere of the Caffè Florian of the halcyon years before the Great War, when gentlemen wore a dinner jacket on those evenings in which the celebrated Municipal Band – the very same one Richard Wagner did not disdain to conduct – performed in St. Mark’s Square. Nor did I get to hear the stentorian voice of Gabriele D’Annunzio booming under the arcades of the Procuratie, with ladies and men of breeding ecstatically drinking in his words, or see the divine Marchioness Casati stroll in the Square with her leopard on a leash and a throng of admirers in her wake. Yet some of the Caffè Florian’s “golden legend” is part of my life, too. I am old enough to remember famous couples like the athletic Douglas Fairbanks and Mary Pickford, America’s sweetheart, and Greta Garbo, her face shadowed by a brown wide-brimmed fedora, together with inseparable Maestro Leopold Stokowski. And Charlie Chaplin, protected by a cordon of police warding off the aggressive enthusiasm of hundreds of his fans. And a bewildered-looking Duke of Windsor with his Duchess, who had cost him the throne of Great Britain and Northern Ireland as well as the Indian Empire. But those were just the moving characters on a stage that, back in 1818, Prince Metternich had compared to a vision from “A Thousand and One Nights”. The fixed characters, the distinctive features of a Venetian folklore still untouched by tawdriness, were instead others. They were the famed Countess Annina Morosini, who had been a great beauty at the time when Kaiser Wilhelm II used to arrive at her palace by imperial launch with Prince von Bülow, the Chancellor of the Empire; her beauty still shone through forty years later: tall and striking, with a tiny waist hugged by the jacket of a suit that reached almost all

the way to her ankles. I can still see her floating between the tables, her huge straw hat almost propelling her like a sail – a vision of yesteryear, surrounded by the homage of real or presumed friends and acquaintances. The latter were not spared the humiliation of being addressed, in the Countess’ loud and strident voice, very ancien régime, with a curt “Who are you, anyway?” before she sat down to sip her morning coffee amid her lady friends, her admirers and assorted gentlemen. Or Count Giuseppe Volpi di Misurata, whose white goatee was as Venetian as they come. A great financier and a hydroelectric industry pioneer, he had been the governor of Libya and the Minister of Finance, the founder of the Porto Marghera first industrial estate, and, first and foremost, the all-powerful president of the Biennale d’Arte, which under his auspices had been extended to include the cinema and drama. Thanks to his protection, Secretary General Antonio Maraini (yes, that’s right, Fosco’s father and Dacia’s grandfather) was able to organize memorable exhibitions featuring painters totally out of line with the directives of the Fascist regime like Modigliani and Oskar Kokoschka. I myself sat at the Florian with Kokoschka and his wife Olga, in the aftermath of World War Two. And with painters Chagall and Rouault, the poet Jean Cocteau and his inseparable partner, the achingly handsome actor Jean Marais. And the fascinating diva Edwige Feuillère, and the brilliant director and stage actor Louis Jouvet, and the other great film director and unforgettable friend, Roberto Rossellini. Those were the days when Venice was still authentically Venice, peopled by fifteen hundred thousand true-born Venetians. Days when the Square was the hub of the life of a great city, and, for us Venetians, the family drawing room where we met when we had to talk about something really important. There, in the daily ritual of the listòn, the slow, aimless, pre-dinner walk back and forth in the square (similar to the struscio so popular in southern Italy), boys and girls exchanged glances that could sometimes turn into innocent flirting, or blossom into full-fledged love stories, with all their heartache, envy, and jealousy. New clothes were paraded, every issue was dissected publicly and discussed loudly – anything to stand out from the crowd. Those days are gone, but Caffè Florian has survived these epochal changes, the city’s progressive depopulation, the loss of rituals and customs, the shocks of economic and social upheavals, and is still the symbol and memento of the Venetian 18th century society that, after the great achievements of the past, the dominion over the sea, over trade, and – as doge Tommaso Mocenigo used to say – over the gold of Christianity, was now living a splendid age of art, of all the arts, in a sort of final firework display before civilization, such as they knew it, came to an end, and with it, the refined and difficult art of knowing how to live and enjoy life. Florian is the monument to that golden age […] *Tratto da Florian Venezia 1720 di Robert de Laroche © Caffè Florian 2008


mostre, musei, gallerie exhibition, museum, galleries

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L’istante comune

Philip Guston, Lamp, 1974 - Pinault Collection

A moment in common

Llyn Foulkes, Deliverance, 2007 - Pinault Collection © Llyn Foulkes

Caroline Bourgeois, Muna El Fituri e Thomas

Houseago, rispettivamente curatrice e conservatrice della Collezione Pinault, artista, fotografa, regista e storica dell’arte, e artista, hanno concepito una mostra corale, nata dalla condivisione e dal dialogo tra loro, legati da una relazione personale e professionale di lunga data. «Ci conosciamo da più di dieci anni e ogni volta che ci ritroviamo, intraprendiamo lunghissime conversazioni sull’arte. C’è stato un momento in cui era diventato inevitabile che dovessimo curare una mostra insieme e abbiamo rapidamente convenuto su diverse scelte curatoriali.

di Mariachiara Marzari Abbiamo lavorato come fossimo un’unica persona, come se le nostre menti e i nostri istinti si fossero fusi». Punta della Dogana diventa così il terreno comune ideale dei tre curatori, uno spazio libero, dove manifestare le proprie visioni sull’arte e sul contemporaneo attraverso la messa in dialogo tra artisti e opere diversissimi tra loro ma capaci di riflettere il processo della creazione stessa, dando forma alla mostra Untitled, 2020, che aprirà al pubblico dal 22 marzo fino al 13 dicembre. «Volevamo prenderci un rischio artistico e presentare al pubblico un approccio all’arte contemporanea più delicato e sensoriale, un’esperienza corporea». Nato da un approccio inedito, dunque, il percorso di Untitled, 2020 parte e si dipana intorno a un’installazione site-specific allestita nel Cubo di Tadao Ando. «Abbiamo deciso di allestire, proprio al centro di Punta della Dogana, lo studio di un artista, prendendo ispirazione da una delle stanze dello studio di Thomas Houseago, una stanza definita “drawing room”, sala da disegno, immaginata per potervi riflettere, scambiare idee, vivere un momento conviviale, pianificare... Analogamente, lo studio allestito nella mostra è uno spazio confortevole,

dove i visitatori sono invitati a soffermarsi, prendere del tempo per studiare, pensare, dare forma a idee e immagini, giocare. Volevamo far sì che sentissero dentro di sé lo spirito di un artista. Qui i visitatori possono comodamente leggere, ascoltare musica e vedere le immagini preparatorie della mostra». Dal Cubo, il percorso espositivo si sviluppa attraverso diciotto sale, ognuna dedicata a un tema (l’attivismo, l’utopia, la perdita...) per rappresentare genesi e sviluppo del processo creativo e le grandi questioni ricorrenti dell’arte contemporanea. Sessanta sono gli artisti contemporanei coinvolti, appartenenti a diverse generazioni (nati tra il 1840 e il 1995), le cui opere offrono un panorama dilatato dell’arte, coprendo un periodo di oltre 80 anni, dal 1940 a oggi. Un numero importante di questi artisti chiamati in mostra hanno i loro studi, si frequentano, incrociano le proprie pratiche e traggono ispirazione gli uni dagli altri a Los Angeles, la città in cui anche Thomas Houseago e Muna El Fituri vivono. «Eravamo particolarmente interessati a presentare artiste donne che sono storicamente poco rappresentate da musei ed esposizioni. Nella mostra Untitled, 2020, i visitatori avranno l’opportunità di vedere la grande portata delle loro opere che attraversano i decenni passati, e di comprendere quanto le artiste donne siano state pioniere sotto i più diversi aspetti, anche attraverso circostanze che le hanno viste spesso svantaggiate rispetto agli artisti uomini». Le opere in mostra provengono dalla Collezione Pinault e da musei internazionali e collezioni private. Alcune sono state create e prodotte appositamente per la mostra Untitled, 2020 e per Punta della Dogana, rispecchiando il profondo coinvolgimento che i tre curatori hanno voluto creare con gli artisti e le loro opere. «Untitled, 2020» 22 marzo-13 dicembre Punta della Dogana www.palazzograssi.it

Caroline Bourgeois, Muna El Fituri, and Thomas Houseago are the professionals behind a

choral art exhibition. “We know each other since over ten years and every time we meet, we talk extensively about art. There came a time when we just had to create an exhibition together and we soon agreed on curatorial choices. We worked as one, as if our minds and instincts fused together.” Punta della Dogana Museum is the territory where the three curators shaped their vision on art and on modernity in Untitled, 2020, the exhibition that will open on March 20 until December 13. “We felt ready to step up to the challenge and create, for our public, an approach to contemporary art that is more delicate and sensorial, almost a corporeal experience.” Untitles, 2020 revolves around a site-specific installation at the Cube, the Tadao Ando-design construct at the centre of the exhibition space. “We wanted to install an artist’s studio at Punta della Dogana, inspired by Thomas Houseago’s real-life studio, a studio where we can reflect, exchange ideas, enjoy communality, plan… this studio is a comfortable space, where visitors are invited to spend some time to study, think, imagine, and play.” Leaving the Cube, the exhibition develops in eighteen themed halls (activism, utopia, loss…) to show the origin and the development of the creative process and the recurrent issues of contemporary art. Pieces by sixty artists of different generations (born between 1840 and 1995) offer a wide-angle panorama on art, covering an eighty-year period. The art either belongs to the Pinault Foundation – who runs Punta della Dogana – or to international museums and private collectors. Some has been created specifically for Untitled, 2020 and for Punta della Dogana, exemplifying the involvement that the three curators wanted to foster with artists and their art.


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Punti di vista

Points of view

Cinque curatori per cinque storie dedicate alla “Master Collection” di Cartier-Bresson

Five curators for five stories on Cartier-Bresson

Henri Cartier-Bresson Simiane-la-Rotonde, France, 1969 © Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

Henri Cartier-Bresson è probabilmente il fotografo più influente del Novecento, definito “occhio del secolo” per le sue fotografie in bianco e nero, la sua estetica del “momento decisivo”, modello predominante per tutto il Secolo fino ai giorni nostri. Fotogiornalista e ritrattista, Henri Cartier- Bresson ha sempre considerato la fotografia come una forma d’arte, un’estensione della pittura, dove la sua Leica diviene un “album da disegno meccanico”. La “Master Collection” è una selezione di scatti operata da Cartier-Bresson nel 1973, su invito di due amici collezionisti, Dominique e John de Menil. Fu infatti lo stesso fotografo a scegliere, tra le proprie stampe a contatto, le 385 immagini che considerava migliori. Esistono solamente sei esemplari di questo prezioso nucleo dell’opera di Cartier-Bresson, custoditi rispettivamente presso il Victoria and Albert Museum di Londra, la University of Fine Arts di Osaka, la Bibliothèque nationale de France, la Menil Foundation di Houston, ma anche presso la Pinault Collection e naturalmente presso la Fondation Henri Cartier-Bresson. Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu, che inaugura a Palazzo Grassi il 22 marzo, co-organizzata con la Bibliothèque nationale de France e in collaborazione con la Fonda-

tion Henri Cartier-Bresson, è un progetto inedito che parte proprio dalla “Master Collection” sottoponendola allo sguardo di cinque curatori d’eccezione: il collezionista François Pinault, la fotografa Annie Leibovitz, lo scrittore Javier Cercas, il regista Wim Wenders e la conservatrice Sylvie Aubenas. Ognuno dei cinque curatori è stato invitato a selezionare una cinquantina di immagini dell’artista. Tale selezione è stata circoscritta agli scatti scelti dallo stesso Henri Cartier-Bresson contenuti nella “Master Collection”. Ogni curatore, inoltre, ha operato la propria selezione senza conoscere quella degli altri. Nello stesso modo l’allestimento, così come ogni elemento della mostra, è stato lasciato a discrezione di ciascun curatore. Il percorso risulta, quindi, essere composto da cinque esposizioni autonome e indipendenti tra loro. I cinque curatori raccontano in totale libertà la loro storia, le loro sensazioni e il ruolo che queste immagini possono aver rappresentato per il loro lavoro e la loro vita. Ciascuno di questi allestimenti della mostra conduce il visitatore ad arricchire lo sguardo sull’universo del fotografo e di ogni singolo curatore. M.M.

Henri Cartier-Bresson is arguably the most influential photographer of the 1900s. He has been called the ‘eye of the century’ for his black and white pictures and his aesthetics centred on the ‘decisive moment’ – a predominant model that perdures to the present day. The Master Collection is a selection that Cartier-Bresson chose in 1973, following the invitation of two collector friends of his, Dominique and John de Menil. There exist only six specimens of this precious nucleus of CartierBresson’s work, kept at the V & A in London, the University of Fine Arts in Osaka, the Bibliothèque Nationale in Paris, the Menil Foundation in Houston, the Pinault Collection, and the Fondation Henri Cartier-Bresson. Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu will open at Palazzo Grassi on March 22 and is a co-production with Bibliothèque Nationale de France in cooperation with Fondation Cartier-Bresson. The five curators (collector François Pinault, photographer Annie Leibovitz, author Javier Cercas, director Wim Wenders, and conservator Sylvie Aubenas) of the exhibition each produced a section, taking the utmost individual freedom in framing the sense and the role these images represented for their work and their lives. Each path takes visitors to a place of enrichment, as we will acquire new tools to understand the visual universe of the great photographer. «Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu» 22 marzo-10 gennaio 2021 Palazzo Grassi www.palazzograssi.it

Youssef Nabil - You Never Left # III, 2010 Courtesy of the Artist and Nathalie Obadia Gallery, Paris/Brussels

Diario privato Affascinato dal cinema sin da piccolo, Youssef Nabil (Il Cairo, 1972; vive e lavora attualmente a New York) si lascia appassionare dai grandi personaggi dei film egiziani e in seguito dalle star internazionali. Da allora decide di usare la fotografia come mezzo per immortalare, secondo una sua personale visione, le star di un suo pantheon ideale. Le sue fotografie in bianco e nero sono dipinte a mano per cancellare le imperfezioni della realtà, una tecnica fotografica tradizionale ampiamente utilizzata per i ritratti di famiglia e per le locandine dei film che coloravano le strade del Cairo. Ancora in voga in Egitto tra gli anni ‘70 e ‘80, questa tecnica viene perfezionata da Youssef Nabil grazie agli ultimi ritoccatori degli studi del Cairo e di Alessandria. Nabil sovverte i concetti prevalenti della fotografia a colori e della pittura, oltre alle supposizioni sulla sensibilità estetica associata all’arte e alla cultura pop. La tecnica della pittura a mano evoca un senso di forte desiderio e nostalgia che consente alle sue fotografie di spaziare tra il nostro tempo e un’altra era. Palazzo Grassi presenta la prima grande retrospettiva dedicata all’artista egiziano, curata da Matthieu Humery e Jean-Jacques Aillagon: più di 120 opere tra fotografia, pittura, video, installazioni e film – con la proiezione di Arabian Happy Ending, I Saved My Belly Dancer e You Never Left – che ripercorrono l’intera carriera di Youssef Nabil. Il titolo, Once Upon a Dream, evoca sia la trama narrativa della mostra sia il carattere onirico di un viaggio ispirato a una fuga fantastica. Vagamente nostalgiche, le immagini senza tempo di Youssef Nabil ci conducono verso una realtà lontana: le fotografie dipingono un Egitto leggendario che sta svanendo, evocando i problemi che oggi affronta il Medio Oriente. La sovrapposizione di diversi livelli di lettura e il gioco tra descrizione, simbolismo e astrazione rappresentano la ricchezza del lavoro di Youssef Nabil, che attraversa poeticamente la sua carriera come in un diario privato. Proposta come una narrazione, Once Upon a Dream è un racconto di iniziazione, tra fantasia e realtà, dove ciascuna tematica affrontata ha una valenza universale e allo stesso tempo individuale. M.M.

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The passion for cinema came at an early age for Youssef Nabil (Cairo, 1972; lives and works in New York). Young Youssef loved Egyptian cinema and later, international movie stars. His black and white photographs are a pantheon of stardom, ideally erasing the imperfections of reality thanks to touch-ups operated directly by hand on the film, a technique once extensively used in family pictures and in movie posters dotting the streets in Cairo. Said technique was still used in Egypt in the 1970s and 1980s and perfected by Nabil, together with retouch professionals in studios in Cairo and Alexandria. Nabil overturns the predominant concepts in colour photography and painting: hand painting means desire and nostalgia, which is why his pictures embrace a larger timeframe than the present and reach out to a different era. Palazzo Grassi presents the first large retrospective on Youssef Nabil, curated by Matthieu Humery and Jean-Jacques Aillagon: over 120 pieces (photographs, paintings, videos, installations, and film) and the screening of Arabian Happy Ending, I Saved My Belly Dancer and You Never Left make up exhibition Once Upon a Dream. «Youssef Nabil. Once Upon a Dream» 22 marzo-10 gennaio 2021 Palazzo Grassi www.palazzograssi.it


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Ritorno alle origini

Vivien Green e gli oggetti migranti della Collezione Guggenheim potesse distinguerne bene i dettagli e i contorni. La testa così incuteva ancora più timore perché doveva spaventare gli spiriti maligni. Sulla cima dell’elmo si nota una specie di contenitore che doveva custodire una ‘protezione’ per le persone, e viene saldamente stretto e conservato dal camaleonte e dalla figura umana. Lo scopo della mostra era studiare il contesto e il significato originale delle opere che è andato perdendosi nel corso della storia dell’arte. Lontane dall’ambiente usuale, al loro arrivo in Europa e negli Stati Uniti, sono state riconfigurate in modo drastico, mentre ne venivano dimenticate le origini e rimaneva per lo più ignorato lo scopo per cui erano state create.

Alla Collezione Peggy Guggenheim con Vivien Green, curatrice assieme a Christa Clarke, R. Tripp Evans, Ellen McBreen, Fanny Wonu Veys, della mostra Migrating Objects. Arte dall’Africa, dall’Oceania e dalle Americhe nella Collezione Peggy Guggenheim, fino al 14 giugno. Passata alla storia per aver sfidato le convenzioni come collezionista e mecenate, e da sempre celebrata per la sua collezione d’arte moderna europea e americana, nel corso degli anni ‘50 e ‘60 Peggy Guggenheim inizia a guardare oltre i confini dell’Europa e degli Stati Uniti interessandosi all’arte dell’Africa, dell’Oceania e delle culture indigene delle Americhe. Un nucleo della collezione della mecenate raramente visibile al grande pubblico diventa ora protagonista, trentacinque opere di arte non occidentale sono esposte per la prima volta insieme a Palazzo Venier dei Leoni. L’aspetto assolutamente inedito di questa mostra è la presentazione di questi oggetti in gruppi che privilegiano i contesti originari, oggetti straordinari, per lo più rituali, dei quali noi oggi forse abbiamo perso le tracce.

Come e perché queste sculture entrarono negli atelier degli artisti, nelle gallerie e nelle collezioni? Questo è un altro passaggio fondamentale della mostra, comprendere come questa arte e queste culture siano state fatte proprie dagli artisti del Novecento. A un pubblico occidentale trasmettevano un senso seducente di estraneità, un’aura idealizzata di esotismo, di sovrannaturale e di autenticità incontaminata dalle insidie della modernità. Già alla fine dell’Ottocento gli artisti d’avanguardia volgevano a proprio vantaggio gli oggetti non occidentali e i loro attributi reali o immaginari, appropriandosene in più sensi. Picasso, Ernst ed Henry Moore, insieme a molti altri, collezionano quella che all’inizio del Novecento è definita in modo imperfetto arte “primitiva”, ispirandosi ampiamente a questi modelli per sviluppare le proprie indagini sulla riduzione della forma, sulla rappresentazione astratta, e su fondamenti teoretici liberi da usi e costumi occidentali. In particolare, Picasso e la sua passione per l’Arte Africana, i surrealisti come Max Ernst per l’Arte dell’Oceania, ma anche alcuni oggetti delle Americhe indigene che vediamo comparire in opere di artisti come Henry Moore, che le ha potute studiare al British Museum di Londra.

Qual è l’idea alla base della mostra? L’idea della mostra è di tracciare la migrazione di queste opere. Ci siamo riferiti alle opere come “oggetti” perché nel loro contesto originale non erano state create come opere d’arte da appendere alla parete per ammirarne la bellezza, ma erano invece oggetti di uso cerimoniale molto importante, creati da artigiani bravissimi. La loro bellezza era considerata in ragione di rendere speciali le cerimonie e i riti durante i quali venivano utilizzati. Ne è un esempio, la maschera a elmo bifronte wanyugo dei Senufo (Costa d’Avorio), probabilmente della metà del XX secolo, che rappresenta una figura ibrida ma prende le proprie fattezze dal cinghiale, dal camaleonte e da altri animali. Era una maschera utilizzata durante un rituale che avveniva alla sera, in modo che con l’oscurità non si

E poi c’è Peggy... L’inizio della storia della mostra: siamo partiti da Peggy Guggenheim per riscoprire come si è formata questa raccolta, a volte con consapevolezza, altre volte affidandosi al suo istinto e occhio da collezionista, operando determinati paragoni visuali. Per esempio, le opere Senufo non erano ancora arrivate a Parigi o in Europa prima della metà del Secolo, verso gli anni Cinquanta, perciò quando Alberto Giacometti crea la Donna sgozzata, certamente non aveva visto l’opera Senufo, anche se Peggy Guggenheim l’aveva già ordinata. Nonostante infatti Peggy acquisti opere africane, oceaniche, mesoamericane, andine e amazzoniche a partire dal 1959 e per tutti gli anni Sessanta, esse sono rimaste a lungo in relativo oblio. Eppure, se si osservano le molte fotografie scattate a

Maschera bifronte a elmo (wanyugo) - Photo © manusardi.it

Venezia, a Palazzo Venier dei Leoni e nell’adiacente barchessa, si scopre come la collezionista esponesse sempre le sculture non occidentali tra le icone moderniste. La mostra dunque permette di scoprire anche come vengono reinterpretati gli oggetti. Un percorso di valorizzazione di queste opere. Speriamo di essere in un momento in cui possiamo capire che definire “primitivi” questi oggetti non è propriamente corretto, perché si tratta di opere molto raffinate, realizzate con tecniche particolari. Il termine “primitivo” veniva utilizzato dalle Avanguardie storiche per descrivere questi oggetti più che altro in riferimento al loro modo di vedere queste opere, ma anche perché parlando di “primitivo” si presupponeva che si trattasse di oggetti antichi e anche i galleristi ponevano l’accento su questo aspetto, forse ignorando la verità. In ogni caso quest’elmo dei Senufo probabilmente è stato realizzato dopo l’opera di Giacometti o forse in contemporanea, ma da un artigiano in Africa, ed è importante tenere presente questo concetto. Migrating Objects è una mostra complessa che offre la possibilità di comprendere tutti i diversi livelli di interpretazione delle opere. ML. Bidorini

Peggy Guggenheim nella barchessa di Palazzo Venier dei Leoni con copricapo (Ago Egungun) Photo Archivio Cameraphoto Epoche. Fondazione Solomon R. Guggenheim Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005

«Migrating Objects. Arte dall’Africa, dall’Oceania e dalle Americhe nella Collezione Peggy Guggenheim» Fino 14 giugno Collezione Peggy Guggenheim, Dorsoduro 701 - www.guggenheim-venice.it


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Architettura del vivere insieme

The architecture of togetherness

L’appello di Hashim Sarkis verso un rinnovato impegno collettivo

Hashim Sarkis’ appeal to commitment

Chiamata alle armi, impegno culturale e politico, contratto spaziale. Ciò che innanzitutto emerge dal programma del curatore Hashim Sarkis per la 17. Mostra Internazionale di Architettura è l’appello verso un rinnovato impegno collettivo e interdisciplinare: «In un contesto caratterizzato da divergenze politiche sempre più ampie e da disuguaglianze economiche sempre maggiori, chiediamo agli architetti di immaginare degli spazi nei quali vivere generosamente insieme». La questione del come realizzare la convivenza sociale ha interessato le generazioni di tutti i tempi ma oggi – per continuare con le parole del curatore – «le norme sociali in rapida evoluzione, la crescente polarizzazione politica, i cambiamenti climatici e le grandi disuguaglianze globali ci fanno porre questa domanda in maniera più urgente e su piani diversi rispetto al passato». How will we live together?, in che modo vivremo insieme? La domanda viene non solo estesa a livelli di diversa dimensione scalare (del corpo, della città, del pianeta), ma anche scomposta nei suoi elementi lessicali, a ognuno dei quali Sarkis assegna una pregnanza specifica: How introduce le soluzioni concrete e gli approcci pratici attraverso i quali l’architettura per sua specifica natura opera; will indica il potere dell’immaginario architettonico a cui attingere con uno sguardo proteso verso il futuro; we richiama a una dimensione empatica e inclusiva; live è l’obiettivo primario, non solo nel senso di “esistere”, ma anche in quello di “prosperare, fiorire, abitare ed esprimere la vita”; together racchiude l’appello all’azione collettiva e al bene comune, mentre il punto di domanda finale celebra l’apertura verso una pluralità di risposte. Dal punto di vista espositivo, la visione proposta da Sarkis

si esprime attraverso una struttura a cinque scale, tre all’Arsenale e due ai Giardini, corrispondenti ciascuna a uno specifico piano di riflessione e in cui confluiranno progetti che spaziano dall’analitico al concettuale, dallo sperimentale al collaudato, fino all’ampiamente diffuso. In tutto sono 114 gli architetti ed esperti di altre discipline chiamati da Sarkis per rappresentare il tema della 17. Biennale, provenienti da 46 Paesi. Alcuni nomi sono già noti alla platea Biennale, presenti in edizioni precedenti, quali i portoghesi Aires Mateus, Alison Brooks Architects (UK), Miralles Tagliabue EMBT (Spagna), Elemental (Cile), OMA e UNStudio (Paesi Bassi) e Studio Tomás Saraceno (Germania). Fra gli italiani, partecipano tra gli altri, Matilde Cassani, Paola Viganò e lo Studio Ossidiana di Giovanni Bellotti e Alessandra Covini. Grandi installazioni faranno da contrappunto alla Mostra nelle aree esterne dell’Arsenale e dei Giardini, mentre Forte Marghera ospiterà How will we play together?, una rilettura del tema principale dedicata all’architettura del giocare insieme. Spazio anche alla ricerca, con i progetti fuori concorso di Stations + Cohabitats, per i quali sono state chiamate in causa università di tutto il mondo. Marisa Santin

A call of duty, cultural and political commitment, spatial contract. This is what emerges from curator Hashim Sarkis’ manifesto for the 17th edition of the Venice Architecture Biennale. It is an appeal to renewed interdisciplinary, collective responsibility. How will we live together? The question is directed to all levels in the echeloned dimension of architecture (the body, the city, the planet) as well as broken up in its lexical constituents, each assigned its relevance by Sarkis. How means the concrete solutions and the practical approaches of architecture; will is the power of architectural imagination; we means an empathic, inclusive dimension; live is the primary goal – it means to thrive, to prosper, to embrace life; together is the appeal to collective action and common good; the question mark at the end celebrated openness and invites multiple possible answers. Sarkis’ will be a five-hall exhibition – three at Arsenale and two at Giardini – one for a specific plan of reflection. Projects will range from the analytical to the conceptual, from the experimental to the tried-and-true. At Forte Marghera, How will we play together? is a variation on the main theme dedicated to play. Stations + Cohabitats is a programme for research universities worldwide.

Photo Jacopo Salvi - Courtesy La Biennale di Venezia

[...] La Mostra di Hashim Sarkis coglie in uno sguardo ampio problemi strutturali della società contemporanea, egli osserva, e noi con lui, che in tutte le aree del mondo sono in corso fenomeni di intenso cambiamento, assai diversi tra loro ma accomunati dalla necessità di importanti “aggiustamenti” nelle condizioni dell’abitare. Lo sguardo del curatore e della Mostra è quindi ulteriormente dilatato. L’architettura diviene qui il riferimento di un vasto impegno interdisciplinare e di un vasto impegno culturale e politico. Una sorta di chiamata alle armi dell’Architettura, chiamata trasmessa da questa alle altre discipline. È necessario infatti trasmettere uno stato d’urgenza sia nel mondo sviluppato che in quello in via di sviluppo. I mutamenti in corso chiedono nuove visioni e progetti (per la casa individuale, per le città, le campagne, la natura e per interi territori). Si tratta di aggiustamenti che chiedono di considerare l’essere umano e sociale come un’esistenza “in relazione a...” (living together); e si conferma che da qui si deve partire per affrontare i mutamenti in modo appropriato. In un’epoca in cui può essere diffusa la sensazione non più di essere a cavallo di un progresso che continuamente si diffonde, ma di essere vittime dei cambiamenti che esso comporta e nella quale molti possono approfittare delle paure, dei timori, delle frustrazioni che ne derivano per sviluppare campagne ultra difensive, ci pare utile una Biennale che richiami a tutti che l’identità di una società o di una comunità sta nella qualità dei progetti che è capace di formulare per il suo futuro: per correggere storture e valorizzare risorse. E come dimostrano numerosi fenomeni che interessano il mondo proprio in questi giorni, i progetti non possono essere che frutto di una estesa consapevolezza e diffusa collaborazione. E noi ancora una volta ci chiediamo quale sia la finalità di una Mostra come la Biennale. A chi si rivolge? Abbiamo più volte detto che la Mostra vuole essere strumento di conoscenza e dialogo per gli addetti all’interno del mondo dell’architettura. Ma un’esposizione è anche una “chiamata” al pubblico, una chiamata a farsi visitatore, a farsi visitatore attento, a farsi testimone diretto, testimone oculare. Un’esposizione chiede al visitatore una disponibilità a dilatare lo sguardo, chiede al curatore di essere scienziato e drammaturgo a un tempo. Non basta diffondere conoscenza ma occorre contribuire alla consapevolezza, non basta rivelare problemi, occorre alimentare, con esempi di proposte di progetti e di realizzazioni, il desiderio di Architettura. Paolo Baratta, Presidente (uscente) della Biennale di Venezia

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[…] In its broad-ranging gaze, the Exhibition curated by Hashim Sarkis captures the structural problems of contemporary society. He observes – and we with him – that, in every corner of the world, phenomena of intense change are underway; they all differ but what they share is a need for important “adjustments” in living conditions. Thus, the gaze of the curator and the Exhibition ranges even further afield. Architecture becomes the reference point of a vast interdisciplinary commitment and of a vast cultural and political commitment. A sort of call to arms for Architecture, a call this discipline transmits to the others. We must transmit a state of urgency, in both the developed and the developing worlds. The ongoing changes call for new vision and projects (for individual homes, cities, the countryside, nature, and entire territories). These adjustments ask us to consider the human and the social being as an existence “in relation to...” (living together); confirmation that this must be the starting point in order to appropriately address the change […]

PREVIEW www.labiennale.org


Lo schermo è contemporaneo

:arte :incittà

Per il settimo anno consecutivo, Palazzo Grassi ospita al Teatrino dal 5 all’8 marzo Lo schermo dell’arte Film Festival, progetto unico dedicato alle molteplici interazioni tra cinema e arte contemporanea con un programma di dieci film, firmati da importanti video-artisti e registi internazionali, selezionati tra i video presentati nell’edizione 2019 del Festival fiorentino, nato nel 2008 e diretto da Silvia Lucchesi. Tutti i film sono a ingresso libero e sottotitolati in italiano. For the seventh consecutive year, a selection of the last edition of Lo schermo dell’arte Film Festival is presented at the Teatrino di Palazzo Grassi, with documentaries dedicated to major figures of the art world and with films by artists. Founded in 2008 in Florence, the Festival, directed by Silvia Lucchesi, is a project dedicated to exploring, analysing and promoting the complex relations between contemporary art and cinema. www.palazzograssi.it

5 marzoMarch

6 marzoMarch

h. 20.30

CHROMA KEYS performance by Motus

WELCOME PALERMO

di Jill Magid, USA, 2018, 82’

h. 18 | 20

Chroma Keys è una incursione dentro al cinema, nella meraviglia della finzione e dei suoi vecchi ‘trucchi’ stereoscopici. In Chroma Keys viene utilizzato il Green Screen, il semplice fondale fotografico verde/infinito, per accelerare il potere liberatorio e visionario che questa antica tecnica cinematografica presuppone, svelando il meccanismo in maniera performativa e ironica. Silvia Calderoni nel foyer del Teatrino precipita in un viaggio-trip allucinato dal clima apocalittico... Chroma Keys is dedicated to cinema, the wonders of fiction and of the old stereoscopic tricks. The Green Screen, the green backdrop, is used in Chroma Keys to underline this liberating and visionary technique and unveil the mechanism through performance and irony. Silvia Calderoni embarks on a hallucinatory journey in an apocalyptic atmosphere. h. 21

BARBARA RUBIN AND THE EXPLODING NY UNDERGROUND di Chuck Smith, USA, 2018, 78’

h. 18

di MASBEDO, Italia 2018-19, 75’

Alla presenza degli artisti Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni Evoluzione formale e narrativa del progetto Videomobile, l’articolata video installazione concepita per Manifesta 12 a Palermo. Fulcro del lungometraggio è il viaggio del Videomobile, un vecchio furgone merci OM degli anni Settanta, che gli artisti hanno trasformato in un “carro video”, mezzo di sperimentazione utilizzato per scandagliare il territorio e la storia del cinema siciliano, diventando così un vero e proprio palcoscenico, pronto a raccogliere testimonianze diverse, lungo il suo percorso nella città di Palermo. Il lungometraggio dà voce alla città e alla memoria che appartiene al Capoluogo siciliano, alternando interviste con indagini su materiali d’archivio e performance di artisti (writers, dj) e cittadini palermitani, che leggono sul palco del Videomobile le domande sulla sessualità tratte dai Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini. In 2018 artistic duo MASBEDO produced Videomobile for Manifesta 12, Palermo. They transformed an old van into “video wagon”, a mobile laboratory. This curious vehicle, equipped with a stage for performances and interviews, became a multi-channel interactive installation at the biennial. Welcome Palermo, dedicated to the relationship between that city and the cinema, covers the project’s evolution. Interviews with known and unknown personalities and archival material alternate with performances by writers, DJs and Palermo citizens who recite questions on sexuality asked by Pier Paolo Pasolini in his film Comizi d’amore. h. 19.45

AMERICA

di Garrett Bradley, USA, 2019, 30’

Figura eclettica e in anticipo sui tempi, donna ribelle in un mondo di uomini, la Rubin incarnò lo spirito artistico degli anni ‘60, presentò Andy Warhol ai Velvet Underground, introdusse Bob Dylan alla Cabala e stregò Allen Ginsberg. L’amico e cineasta Jonas Mekas ha conservato le sue lettere, un ricco archivio dal quale il regista Chuck Smith ha potuto attingere per realizzare questo affascinante ritratto di una grande artista a lungo dimenticata. An eclectic figure ahead of her time, a rebellious woman in a man’s world, Barbara Rubin embodied the artistic spirit of the 1960s. She introduced Andy Warhol to the Velvet Underground, turned Bob Dylan on to the Kabbalah, and bewitched Allen Ginsberg. Her friend and filmmaker Jonas Mekas kept her letters. Director Chuck Smith drew from Mekas’ archive to create this portrait of a forgotten artist.

THE PROPOSAL

In trenta minuti di magnifiche immagini in bianco e nero, la regista intreccia alcune scene dell’inedito film muto recentemente restaurato Lime Kiln Club Field Day di Bert Williams con dodici suoi brevi cortometraggi ispirati a eventi e persone della storia afroamericana che sono nel tempo diventati ‘invisibili’. In thirty minutes of black and white images, the director intertwines scenes from Bert Williams’s new silent film Lime Kiln Club Field Day with twelve of her short films inspired by African American historical figures who’ve become “invisible”.

Il film dell’artista americana Jill Magid ripercorre la complessa vicenda di un suo progetto che sarebbe dovuto confluire in una mostra ispirata all’opera del visionario architetto messicano Luis Barragàn. American artist Jill Magid’s film traces her project intended to merge into an exhibition inspired by the work of Mexican visionary architect Luis Barragàn.

7 marzoMarch h. 18

PUTIN’S HAPPY

di Jeremy Deller, UK, 2019, 40’ Courtesy l’artista e The Modern Institute, Toby Webster Ltd, Glasgow

La Brexit è un tema che ha spaccato in due il Regno Unito, sia nel suo Parlamento che nelle strade. Tra gennaio e marzo del 2019, Jeremy Deller ha filmato e intervistato numerosi manifestanti, sia “pro” che “anti” Brexit, riuniti nei pressi di Parliament Square a Londra. Isolando alcune immagini e analizzandole con delle didascalie, Deller decifra i simboli e, con la consueta acutezza, interpreta il linguaggio dei movimenti di stampo nazionalista che negli ultimi anni hanno preso piede non solo in Europa, ma nel mondo intero. Brexit has split the UK, in parliament and in the streets. Between January and March 2019, Jeremy Deller filmed and interviewed pro- and anti-Brexit subjects near London’s Parliament Square. By isolating images and adding captions, the director deciphers the symbols and interpret the language. h. 18.45

OLAFUR ELIASSON: MIRACLES OF RARE DEVICE

di John O’Rourke, UK, 2019, 61’ Il film segue Olafur Eliasson e il suo team durante la complessa fase di preparazione della mostra Real Life che la Tate Modern ha dedicato a fine 2019 all’artista danese. Il tema centrale di Real Life, che sta alla base della maggior parte dei lavori di Eliasson, è l’interazione tra elementi naturali come l’acqua e la luce con la percezione fisica che lo spettatore ha dello spazio.


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celebri casi legali, accomunati dal tema del suono. In the Funkhaus, a former East German radio station’s sound effects studio in Berlin, Jordanian artist and sound researcher Lawrence Abu Hamdan, the 2019 Turner Prize winner, tells in a video performance of three legal cases linked by sound.

8 marzoMarch h. 17

The film follows Danish artist Olafur Eliasson and his team through the complex preparation for the Real Life exhibition at the Tate Modern in late 2019. The central theme of Real Life, and the basis of most of Eliasson’s work, is the interaction between natural elements such as water and light with the viewer’s physical perception of space.

BEYOND THE VISIBLE. HILMA AF KLINT

di Halina Dyrschka, Germania, 2019, 93’

h. 20

TRIPLE-CHASER

di Forensic Architecture, UK, 2019, 11’

Il gruppo londinese candidato al Turner Prize nel 2018 torna con il progetto Triple Chaser, che prende il titolo dal nome di una granata di gas lacrimogeno. L’obiettivo della ricerca è quello di identificare le granate esaminando, attraverso una speciale tecnologia digitale, milioni di immagini condivise sul web così da conoscerne l’effettivo utilizzo contro la popolazione. The London-based 2018 Turner Prize candidate research group returns with the Triple Chaser project. The name derives from a tear gas grenade. The aim is to identify such grenades, in order to know their effective use against the population. Millions of images shared on the web via digital technology are examined.

Rimasta nell’ombra durante tutta la sua vita, oggi Hilma af Klint sconvolge il mondo dell’arte con la sua opera straordinaria. Il film di Halina Dyrschka è il primo sulla sua vita e sul suo lavoro, sul ruolo delle donne nell’arte e sulla scoperta sconvolgente di uno scandalo artistico. Stuck in shadows throughout her life, Hilma af Klint’s extraordinary work upsets today’s art world. Halina Dyrschka’s film is the first about af Klint’s life and work, the role of women in art and the shocking discovery of an art world scandal. h. 18.45

A MOSAIC OF STYLES & ARTS

ACH OF THE TEN ROOMS IS CHARACTERIZED BY A PRECISE IDENTITY. DURING THE RESTORATION, THE HISTORY AND TRADITIONS OF VENICE WERE CAREFULLY PRESERVED, AND ARE NOW ENHANCED BY THE MODERN DESIGN OF THE SELECTED FURNISHINGS AND FABRICS.

ETTORE SPALLETTI

di Alessandra Galletta, Italia, 2019, 89’

h. 20.15

WALLED UNWALLED

di Lawrence Abu Hamdan, Germania/Libano, 2018, 21’

Negli studi di effetti sonori Funkhaus di Berlino, ex stazione radio della Germania Est, l’artista giordano Lawrence Abu Hamdan, che ha vinto il Turner Prize nel 2019, analizza in una video-performance tre

L’autrice racconta con grande sensibilità una delle figure più influenti e riservate del panorama dell’arte contemporanea italiana e internazionale, il pittore e scultore Ettore Spalletti. Il film svela la figura di un artista lontano dai clamori del mainstream dell’arte internazionale, le cui opere nascono in stretta connessione con i luoghi della sua vita e con la storia, le forme e i colori del paesaggio abruzzese che lo circonda. The author tells the story of secretive and influential painter and sculptor Ettore Spalletti, an artist far removed from the international art mainstream whose works are closely connected with the Abruzzo landscape, history and colours.

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:arte :incittà

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Microcosmo parigino

A microcosm in Paris

Jacques Henri Lartigue e la fotografia che ferma il tempo

Photography freezing time

Una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle è il campo visivo del fotografo francese Jacques Henri Lartigue (1894–1986) che, anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due Guerre mondiali, continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare. «Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora» (Denis Curti). L’invenzione della felicità, titolo emblematico della retrospettiva dedicata a Jacques Henri Lartigue, che la Casa dei Tre Oci ospita fino al 12 giugno, restituisce in modo immediato l’essenza della ricerca artistica del fotografo. Centoventi immagini di cui 55 inedite, tutte provenienti da album fotografici personali, e molti materiali d’archivio raccontano la vita e l’arte di Lartigue, dagli esordi dei primi del ‘900 fino agli anni ‘80, in un percorso – curato da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, rispettivamente direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue, e da Denis Curti, direttore artistico della

Rich, gentrified Paris is the visual field of French photographer Jacques Henri Lartigue (1894-1986). Lartigue had been able to preserve the purity of his photography microcosm even through the horror of two world wars. Invention of Happiness is the exhibition dedicated to Lartigue’s photography that Casa dei Tre Oci opened on last February 29: 120 images (55 of which never exhibited before) and miscellaneous archive material to testify the photographer’s life and art from the early 1900s to the 1980s. 1963 was a crucial year as John Szarkowski, then the newly appointed head of the photography department at MoMA, produced an exhibition of Lartigue’s photography. The exhibition included images from before World War I, Lartigue’s main interest was the bourgeoisie of Paris: the Grand Prix, the horse races at Auteuil… The exhibition was a success and allowed Lartigue to enter the Gotha of contemporary photography at almost seventy years of age. At Casa dei Tre Oci, we will understand the photographer’s rediscovery with the last section, a collection of pictures from the 1970s and 1980s, when he worked in cinema and fashion. Lartigue’s eye never wandered off daily life much, though, and never failed to notice curious, ironic details in most frames. Also on exhibition are notes by Lartigue dating from the 1960s and 1970s, at the time when he was organizing his vast production into albums.

«Coco, Deauville, 1938» Photograph by Jacques Henri Lartigue © Ministère de la Culture (France), MAP-AAJHL

Casa dei Tre Oci – che si articola intorno ai grandi momenti che segnarono la riscoperta e la conseguente affermazione dell’opera del fotografo francese. Primo fra tutti, l’anno cruciale, il 1963, quando John Szarkowski, da poco nominato direttore del dipartimento di fotografia del MoMa – il Museum of Modern Art di New York –, espone i lavori di Lartigue al Museo newyorkese: sono presentati i suoi scatti precedenti la Prima Guerra Mondiale, quando il fotografo, ispirato dai giornali e dalle riviste illustrate di quest’epoca, s’interessa alla ricca borghesia parigina che si ritrovava ai Grandi premi automobilistici, alle corse ippiche di Auteuil, oltre che agli uomini e alle donne eleganti che le frequentavano. La mostra è un successo e permette a Lartigue di raggiungere l’olimpo della fotografia ormai

«Richard Avedon, New York, 1966» Photograph by Jacques Henri Lartigue © Ministère de la Culture (France), MAP-AAJHL

quasi a settant’anni, ma anche di incontrare Richard Avedon e Hiro, due tra i più influenti fotografi di moda di allora, che si appassionano immediatamente alla sua arte. Avedon, in particolare, gli propone presto di realizzare un lavoro che prenda la forma di un “giornale fotografico”, mostrando un po’ di più degli archivi di Lartigue. Aiutato da Bea Feitler, l’allora direttrice artistica di «Harper’s Bazaar», pubblicano nel 1970 il Diary of a Century che lo consacra definitivamente tra i grandi della fotografia del XX secolo. Tuttavia, Lartigue non è più da tempo il fotografo amatoriale di inizio secolo. Dagli anni ‘40 pubblica le sue fotografie su riviste, combinando i suoi incontri mondani e le inquadrature ricercate. Dopo l’approfondimento del periodo della sua riscoperta, le ultime sezioni si concentrano sugli anni ‘70 e ‘80, segnati dalle collaborazioni con il mondo del cinema, dove lavora come fotografo di scena per numerosi film, e della moda. L’occhio di Lartigue, tuttavia, non riuscì mai ad allontanarsi dalla vita di tutti i giorni, immortalando sempre molti dettagli curiosi e carichi d’ironia. La mostra alla Casa dei Tre Oci oltre alle splendide immagini, offre anche un interessante focus dedicato alle memorie che Lartigue scrisse negli anni ‘60 e ‘70, quando inizia a ricomporre i suoi album nei quali aveva raccolto tutti i suoi scatti. M.M.

«Jacques Henri Lartigue. L’invenzione della felicità. Fotografie» 4 marzo-12 giugno Tre Oci, Zitelle, Giudecca - www.treoci.org

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Prima che sia tardi La memoria visiva di Venezia diventa forza per il suo futuro

Piazza S. Marco dopo l’alta marea, 1966.

Chi in questi giorni versa in uno stato di pessimismo e di tristezza, incapace di reagire e contrastare il destino che sembra ineluttabilmente avviato a compiersi e vede Venezia senza futuro, deve assolutamente andare a visitare la mostra alla Fondazione Querini Stampalia, Venezia 1860–2019. Fotografie dall’Archivio Graziano Arici, a cura di Graziano Arici e Cristina Celegon con Barbara Poli, saggiamente prorogata fino al 10 maggio. Raccontare la Venezia di questi ultimi centocinquanta anni è impresa ardua, ma di immagine in immagine emerge la consapevolezza della storia di una città oltre il tempo, che mutando nel mutare degli anni, modificando la realtà sociale, politica e culturale, rimane viva. Fotografie, originali ottocenteschi, lastre e stereoscopie, stampe digitali formano una memoria visiva della città, lasciti della memoria che Venezia ha impresso in ciascuno e in ciascuna epoca, ma che di fatto ne costituiscono un unico insieme: dalla città dell’immaginario delle prime fotografie, così vicina all’iconografia che il vedutismo pittorico lascia di lei, alla città dei suoi abitanti, con gli abiti e con i “mestieri di una volta” e quelli di oggi, dalla città del glamour con le passerelle della Mostra del Cinema, alla città intellettuale e creativa, infine la città “preda/ostaggio” dei milioni di turisti. M.M.


:arte 31

Before it’s too late

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The visual memory of Venice: strength and future

Whoever has a bleak outlook on life in these days and feels unable to react and contrast a vision of Venice with no future must go see the exhibition at Fondazione Querini Stampalia, Venezia 1860--2019. Fotografie dall’Archivio Graziano Arici, curated by Graziano Arici and Cristina Celegon with Barbara Poli. The exhibition closing day has been pushed back to May 10. To tell 150 years of Venetian stories is a daunting task, but image after image, we shall perceive the awareness of a city that managed to live beyond its time, a city that changed with the passing of the years, and with it its social, political, and cultural realities. Photographs, plates, stereoscopic images, digital prints create a visual memory of the city, the legacy that Venice left in each of us which is, in fact, one single corpus. The city of imagination in the early photographs, so close to the iconography left by veduta painters who came before, Venetians with vintage clothing doing vintage trade, Venetian of today, the city of glamour with the Venice Film Festival, the intellectual and creative city, and the city held hostage and prey of millions of tourists. «Venezia 1860-2019. Fotografie dall’Archivio Graziano Arici» Fino 10 maggio Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org

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Geografie laterali

Collateral geography

Ezio Gribaudo raccontato da Stefano Cecchetto

The story of an artist

Il senso di mettere insieme un corpus di opere di un autore per costruirne una storia che possa restituire al pubblico capitoli minori dell’arte è la sfida e la fortuna dei curatori. La loro abilità sta nel non sostituirsi all’artista e nel sapere far emerge attraverso le opere e la costruzione di un percorso espositivo tutte le sfumature della personalità, del vissuto, della sensibilità di un artista. Stefano Cecchetto aderisce perfettamente al ruolo di curatore/ricercatore e ci guida alla riappropriazione della sensibilità artistica di Ezio Gribaudo, nella mostra Itinerari: New York, Venezia, Torino in corso a Palazzo Contarini del Bovolo e attraverso il relativo catalogo, in un doppio binario visivo e testuale di grande

efficacia. Ezio Gribaudo rimane, nel panorama artistico del Novecento, una figura anomala: i suoi molteplici interessi nell’universo dell’arte – editore, collezionista, promotore culturale, artista e amico degli artisti – lo mettono in relazione con differenti linguaggi e geografie – si sposta da Torino a Venezia, da Parigi a New York, da Mosca a Londra, dalla Spagna a Cuba –, capaci di tradursi in una ricerca varia e personalissima. «Quanto più il nostro tempo si fa arido – dichiara Cecchetto – tanto più cresce l’ansia di riconsiderare e vezzeggiare il passato come un bene perduto; la curiosità di coloro che conoscono la storia dell’arte sarà sorpresa di ritrovare in questo cammino a ritroso, la poetica di un ‘punto di vista’ che

ha il dono di tradurre le immagini in emozioni e le percezioni in orizzonti culturali inesplorati. Ezio Gribaudo è una figura che possiede il dono di comunicare la sua marcata personalità e questa esposizione intende riaccendere la memoria su una vicenda culturale fatta di incontri e scontri, di lontananze e riavvicinamenti, fino a mettere in relazione il tempo con il suo ambito culturale di appartenenza». M.M. «Ezio Gribaudo. Itinerari: New York, Venezia, Torino» Fino 26 aprile Palazzo Contarini del Bovolo San Marco, 4299 - www.eziogribaudo.com

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The challenge, and the fortune, of art curators is the ability to take a corpus of art of a given author and turn it into a story. Their ability is to make apparent, using existing art and the construction of an itinerary in art, the nuances of the personality and the sensibility of an artist. Stefano Cecchetto meets the criteria perfectly. As a curator and researcher, he will guide us to the understanding of artist Ezio Gribaudo in exhibition Itinerari: New York, Venezia, Torino at Palazzo Contarini dal Bovolo. “Ezio Gribaudo – says Cecchetto – is a person who has a gift for communicating his amazing personality and this exhibition’s goal is to memorialize a cultural itinerary that shows the relation between the time of an artist and his eminent cultural environment.”

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Venezia/America e ritorno

Venice/America and back

L’arte del vetro e i legami indissolubili tra tradizione e innovazione

The art of glass between tradition and innovation

Con 155 eccezionali pezzi, tra cui vasi, sculture e installazioni in vetro create da 60 artisti, americani e veneziani, la nuova mostra de Le Stanze del Vetro, che aprirà il 26 aprile sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, è la prima a esaminare attentamente l’influenza che l’estetica e le tradizionali tecniche di lavorazione del vetro veneziano hanno avuto sullo Studio Glass americano dagli anni Sessanta a oggi. Curata da Tina Oldknow e William Warmus, già curatori di vetro moderno e contemporaneo al The Corning Museum of Glass di New York, Venice and American Studio Glass mette in mostra e rende tangibile l’eredità duratura e versatile della produzione di vetro

With over 155 extraordinary pieces of art by sixty American and Venetian artists, the new exhibition at Le Stanze del Vetro is the first to show the influence that aesthetics and traditional glassblowing techniques had on American Studio Glass current from the 1960s to today. Curated by Tina Oldknow and William Warmus, Venice and American Studio Glass shows the long-lasting heritage of Venetian-style glass art made in America and analyses the impact that Venice had on the American glass art industry overall. By the 1960s, glassblowing had been fully industrialized in America, manual labour skills had been largely lost and artists looked at Venice as a guide.

veneziano in America, analizzando l’impatto che Venezia ha avuto sull’arte vetraria americana contemporanea. La straordinaria selezione di opere create da artisti e designers – tra cui Dale Chihuly, Benjamin Moore, Richard Marquis, Dante Marioni, Nancy Callan, James Mongrain, William Morris, Martin Blank, Flora Mace, Joey Kirkpatrick, Josiah McElheny, Katherine Gray, Norwood Viviano, Lino Tagliapietra e Pino Signoretto – restituisce così non solo la tecnica ma proprio l’estetica di una tradizione millenaria che diventa a contatto con la modernità e il contemporaneo sublimazione della forma e della materia. Nel 1960 la soffiatura del vetro si era da tempo industrializzata

Nancy Callan, The Robber, 2016 - Pat and Doug Perry Collection, Norfolk, Virginia - Photo: Russell Johnson

negli Stati Uniti e molte abilità manuali erano andate perdute, così gli artisti dello Studio Glass avevano guardato all’Europa, e in particolare a Venezia e ai soffiatori di vetro di Murano, come guida. Ciò che ne seguì fu una “relazione amorosa” con la lavorazione del vetro veneziano che, alla fine degli anni Novanta, si era diffusa negli Stati Uniti e nel mondo. M.M. «Venice and American Studio Glass» 26 aprile-2 agosto Le Stanze del Vetro, Fondazione Giorgio Cini, Isola di San Giorgio Maggiore www.lestanzedelvetro.org | www.cini.it


:arte :incittà

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Era mio padre

Uomini nuovi

Paolo e Gabriella Cardazzo e gli “Artisti del Cavallino”

Carrain, Marchiori e il Fronte Nuovo delle Arti

Un passaggio di testimone è sempre un impegno e una responsabilità, se ciò avviene improvvisamente e chi lo passa è una figura chiave come Carlo Cardazzo che, con la sua Galleria del Cavallino a Venezia, fondata nel 1942 assieme a quella del Naviglio a Milano, ha segnato l’arte italiana e internazionale dal Secondo dopoguerra sino alla scomparsa nel 1963, l’impresa è sempre quasi impossibile. L’eredità viene raccolta da Paolo e Gabriella, i suoi figli, che si dimostrano capaci del compito. La loro straordinaria volontà di proseguire programmaticamente l’obiettivo di creare un’autentica “officina veneziana”, seguendo il solco tracciato dal padre, riesce a realizzarsi grazie alla loro capacità di adottare nuove strategie, mantenendo l’idea di promuovere a Venezia una comunità attiva di protagonisti, un centro di produzione artistico in grado di entrare nei processi rivoluzionari dell’arte degli ultimi trent’anni del Novecento, dal 1966 fino alla chiusura nel 2003. Una Galleria che si mostra capace di intercettare i nascenti linguaggi della video arte, le nuove ricerche e i giovani artisti dal Giappone agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, senza dimenticare i maestri e il panorama italiano, anche grazie al confronto/rapporto con la Biennale. Oltre ai grandi nomi ereditati dal padre: Campigli, Saetti, Tancredi, Morandis, Bacci, Deluigi e numerosi altri autori del

La storia del ristorante All’Angelo, trattoria popolare in fondo a calle Larga san Marco, a meno di due passi dalla Piazza, così come ricostruita sapientemente da Giandomenico Romanelli e Pascaline Vatin nella mostra in corso alla Fondazione Querini Stampalia, potrebbe tranquillamente trasformarsi in un film o in un romanzo dato il numero di protagonisti e di intrecci di storie. Dopo aver raccontato la Famiglia Carrain – Antonietta, Augusto, Anita, Renato, Roberto –, cardine di tutta la vicenda, e tutti coloro che a diverso titolo erano parte di questa community – si direbbe oggi –, definita proprio dal titolo della mostra, L’Angelo degli Artisti, vogliamo in questo articolo approfondire l’aspetto più prettamente artistico: come nell’autunno del 1946 in una serie di riunioni decisive, poi suggellate da una storica serata all’Angelo il 29 settembre per l’inaugurazione dei trittici di Pizzinato, Santomaso e Vedova, commissionati da Carrain stesso con l’avvallo e la complicità del critico Giuseppe Marchiori, si affermò il Fronte Nuovo delle Arti. La diffusione del Manifesto ufficiale del gruppo giunse di lì a poche ore, il primo di ottobre. La dichiarazione fu firmata dai pittori Renato Birolli, Bruno Cassinari, Renato Guttuso, Ennio Morlotti, Armando Pizzinato, Giuseppe Santomaso, Emilio Vedova e dagli scultori Leoncillo e Alberto Viani. Da quelle fatidiche giornate l’Angelo fu testimone di entusiasmi, delusioni, accordi e divisioni che resero effervescente la vita del Fronte: gli ambiziosi progetti di fine 1946, l’attesa per la prima mostra ufficiale alla milanese galleria della Spiga nell’estate dell’anno successivo, il conseguente sonoro insuccesso che rischiò di minare la tenuta del sodalizio, il riscatto pieno che

Novecento italiano e internazionale, Paolo e Gabriella Cardazzo mirano alla scoperta di nuovi artisti e alla proposta dei differenti linguaggi dell’arte. Sfilano dunque in galleria numerosi artisti tra i quali: Brian Eno, Marina Abramovic, Andy Warhol, David Hockney, Jim Dine, Ed Ruscha, Patrick Procktor, Joe Tilson, e gli italiani Giovanni Soccol, Paolo Patelli, Romano Perusini, Guido Sartorelli, Paolo Scheggi, Claudio Ambrosini, Michele Sambin, Pier Paolo Fassetta, Luciano Celli, Luigi Viola, Mauro Sambo, Maurizio Cosua e numerosi altri artisti, identificati come una compagine riconoscibile sotto l’etichetta di “Artisti del Cavallino”. Centro di produzione complesso, i due fratelli hanno saputo quindi creare un modello totale di azione: produzione di mostre, cataloghi, grafica editoriale, dischi, video. La mostra La Galleria del Cavallino. Vetrina e Officina 1966 – 2003, dal 4 marzo alla Fondazione Bevilacqua La Masa, Palazzetto Tito, restituisce l’importanza del lavoro di Paolo e Gabriella Cardazzo, che hanno saputo dare la svolta necessaria alla fondamentale eredità del padre e coniugare la tradizione con l’innovazione, consapevoli interpreti del loro tempo, capaci di rintracciare la loro contemporaneità. M.M. «La Galleria del Cavallino. Vetrina e Officina 1966 – 2003» 4-31 marzo Fondazione Bevilacqua la Masa, Palazzetto Tito, Dorsoduro 2826

Emilio Vedova, Armando Pizzinato e Giuseppe Santomaso fotografati a Venezia nel 1949

invece venne conseguito grazie alle due sale allestite per la XXIV Biennale di Venezia. Il Manifesto, malgrado le imprecisioni e le oscurità, assumeva un significato preciso: non si trattava di uno dei soliti “gruppi” definiti da un comune denominatore estetico, bensì di una unione tra i più rappresentativi artisti italiani delle generazioni venute dopo il “Novecento”, solidali nella richiesta di una fiducia da accordare al loro lavoro e nella volontà di opporsi con un atto di fede al pessimismo e allo smarrimento spirituale del tempo. Tuttavia proprio l’assenza di un’estetica condivisa da fattore rivendicato orgogliosamente divenne forza divisiva, sovrapposta e intrisa con le diverse posizioni che i singoli componenti stavano maturando rispetto al contesto sociale e politico che in quella stagione era tutt’altro che estraneo a vicende e orientamenti artistici. Non si recise completamente, anzi fu suggellato da un ulteriore momento di ufficialità: una sala del ristorante divenne la riconoscibile quinta scenica in cui furono immortalati Marchiori

e l’ala veneziana del Fronte (Pizzinato, Santomaso e Vedova) nei primi giorni del marzo 1950, nella foto che mestamente accompagnò l’annuncio alla stampa che l’esperienza del Movimento era di comune accordo ritenuta conclusa. «Malgrado le calunnie e le condanne degli avversari – scrive Marchiori –, il Fronte è stato davvero, come afferma Guttuso, il fatto della pittura italiana nel dopo guerra che contiene la paternità e la responsabilità di quel che avviene nel campo dell’arte dei giovani. Questo libero movimento, che ha riunito le forze migliori dell’arte italiana contemporanea, è stato riconosciuto all’estero prima che in Italia. Una secessione dal Novecento era pienamente giustificata e si rivela sempre più decisiva sulle differenti direzioni del puro astrattismo e del neo realismo. Nessun commento per ora: le opere di domani saranno il commento della onesta decisione di oggi». M.M. «L’Angelo degli Artisti» Fino 15 maggio Fondazione Querini Stampalia, Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.querinistampalia.org


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D’amore e d’altre forme

Aristide Najean, Didier Guillon e Silvano Rubino alla Fondazione Valmont © Francesco Allegretto

ARISTIDE NAJEAN

Didier Guillon, Janus © Francesco Allegretto

Venetian Love, nuova mostra della Fondazione Valmont – tra i protagonisti del panorama culturale e artistico veneziano che dissemina nel tessuto cittadino incredibili edifici recuperati solo grazie all’iniziativa privata e riaperti al pubblico come spazi d’arte e per l’arte –, esplora le differenti interpretazioni dell’estetica mostrate nella diversità delle forme di espressione scelte da un trio di artisti complementari che svelano al pubblico il loro dialogo interiore. Aristide Najean, Didier Guillon e Silvano Rubino lasciano che sia l’amore a trasformare la loro creatività in energia per dare vita a questa performance comune che contagia gli spazi di Palazzo Bonvicini a Santa Croce. «Progettare una mostra in un palazzo veneziano del XVI secolo che collegasse diverse interpretazioni della bellezza universale non è stato semplice. Ispirato dal principio dell’equilibrio, l’abbozzo di un’immagine cominciò a emergere, imponendosi in maniera lenta ma inesorabile come una scelta ovvia. Gli artisti e le opere selezionate hanno poi semplicemente perfezionato questo delicato equilibrio. Tra i lampadari impetuosi di Aristide Najean, espressione diretta della volontà dell’artista di rivelare le sue emozioni interiori, e le immense foto di Silvano Rubino con la sua architettura essenziale e inedita creatrice di un’atmosfera sospesa, mi sono infilato io, con le mie umili maschere segnate». Didier Guillon The newly opened exhibition at Fondazione Valmont, Venetian Love, explores the different interpretations of modern aesthetics and the diversity of modes of expressions in the art of three complementary creators, who reveal to the viewer the inner dialogue of their souls. Artists Aristide Najean, Didier Guillon, and Silvano Rubino let love be the power that takes their creativity and turns it into the energy of a collegial performance that lives in the spaces of Palazzo Bonvicini. “Designing an exhibition in a 16th century Venetian palace that connected different interpretations of universal beauty was no simple thing. A rather loose image inspired by the principle of balance began to emerge and slowly but surely became an obvious choice. The artists and works selected had only to perfect this delicate balance. Between Aristide Najean’s wild chandeliers pulled straight from the artist’s will to reveal inner emotions, and Silvano Rubino’s immense photos with his invented and essential architecture which create suspended atmosphere, I slipped in with my humble scarred masks.” Didier Guillon «VENETIAN LOVE. Didier Guillon, Aristide Najean, Silvano Rubino» 10 marzo-29 novembre Fondazione Valmont, Palazzo Bonvicini, Santa Croce 2161/A www.fondationvalmont.com

Nato e cresciuto a Parigi, Najean arriva a Murano nel 1986 per studiare le celebri e secolari tecniche di lavorazione del vetro dell’Isola veneziana. Pittore di formazione, Najean interpreta l’arte vetraria come un’estensione della pittura e ne fa il suo materiale d’elezione. I suoi lampadari traggono ispirazione tanto dalla pittura che dall’arte del vetro, in un’interazione portata fino al loro limite. Aperto a tutte le fonti di ispirazione, Najean osserva il mondo che lo circonda con grande curiosità. Padroneggiando la lavorazione del vetro, sa fino a che punto può spingere i suoi abbozzi e quali sono i limiti entro i quali il materiale manterrà la forma scolpita. Quello in cui vive è un mondo fatto di immagini, dove crea opere d’arte che non assomigliano ad altro che alla sua ispirazione e i cui schemi cromatici e le forme disobbedienti scuotono e seducono./ Born and bred in Paris, Aristide arrived in Murano (Italy) in 1986 to study the Venetian island’s renowned, century-old glassmaking techniques. Originally a painter, he saw glassmaking as an extension of this, and it became his preferred material. His chandeliers are inspired by both painting and glassmaking which mutually interact and are each pushed to their limits. Open to all inspiration, Najean observes the world around him with great curiosity. Mastering glass, he knows how far he can push his sketch and to which extension the material will retain the sculpted shape. He lives in a world of images, producing artworks that resemble no other but his inspiration… whose colour schemes and disobedient shapes strike or seduce.

© Francesco Allegretto

DIDIER GUILLON

Guillon discende da una lunga stirpe di importanti figure del mondo e nella storia dell’arte: mercanti come Charles Sedelmeyer, scultori e storici dell’arte come Stanislas Lami. È orgoglioso della sua parentela con l’emblematico scultore ed egittologo Alphonse Lami, figlio di François Lami, a sua volta figlio illegittimo di Francesco Borghese... Artista egli stesso, Guillon attinge da questa fenomenale genealogia la sua passione per l’arte, ma anche il suo profondo legame con l’Italia, e in particolare con Venezia. Fedele alla sua natura, Guillon si esalta nel lavorare incessantemente al perfezionamento delle sue ideazioni. La sua è una produzione artistica che spazia nella scelta del mezzo espressivo e delle dimensioni, combinando sapientemente una vasta gamma di materiali. Gli piace pensare a nuovi modi per avvicinarsi, discutere e apprezzare l’arte contemporanea./ Didier descends from a long lineage of major art contributors, throughout history: merchants such as Charles Sedelmeyer, sculptors and art historians as Stanislas Lami. He takes pride in his filiation with emblematic sculptor and Egyptologist Alphonse Lami, whose father François was the illegitimate son of Francesco Borghese… An artist himself, Didier Guillon draws from this phenomenal genealogy his passion for arts, as his profound bond with Italy… more specifically Venice. True to his nature, Didier Guillon exhilarates as he relentlessly works to fine-tune his ideas. He designed multiple works in various media, several dimensions, skilfully combining a wide array of materials. He likes to think of new ways to approach, discuss and appreciate contemporary art.

© Francesco Allegretto

SILVANO RUBINO

Rubino ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Vive e lavora a Venezia e Milano. La sua formazione include anche lo studio dell’iconografia rinascimentale, in particolare nella pittura, elemento che gli è stato di riferimento fondamentale per molti anni. È negli anni Novanta che l’installazione ambientale diventa uno degli aspetti più significativi della sua opera, con la sintesi formale che assume il ruolo dell’elemento che, unito a una caratteristica poeticoconcettuale, determina l’essenza stessa della creazione e la sua identità. Nel 1994 si interessa alla fotografia. Le sue foto sono racconti per immagini che costruisce partendo da scenografie realizzate in studio. Il vetro è uno dei suoi materiali preferiti dal 2001./ Silvano studied at the Academy of Fine Arts in Venice. He lives and works in Venice and Milan. His education included the study of Renaissance iconography, particularly in painting, and this was a fundamental reference for many years. As of the 1990s, the environmental installation became one of the most significant aspects of his work, in which formal synthesis became the element which, combined with a poetic-conceptual characteristic, would determine the very essence of the work and its identity. In 1994 he became interested in photography. His photos are stories told in images which he constructs starting with sets created in the studio. Since 2001 glass has been one of his preferred materials.


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The Venice Club, nuova casa vista futuro Fotografia, arte e buona cucina al servizio di un progetto vitale. La stimolante scommessa di Max Costa, Michele Alassio e Roberto Bernè

Photo Michele Alassio

C’era un tempo, in fondo non tanto tempo fa, l’altro ieri, in cui Venezia era insieme vetrina e fucina dei linguaggi artistici contemporanei. Una città con un corpo vivo in tutte le sue articolazioni, un luogo sublime in cui tracce storiche inarrivabili, nuove proposte contemporanee, corpi intermedi trasversali in tutti i settori della vita sociale, culturale, imprenditoriale creavano insieme, incrociandosi, un impasto di fertile vitalità, nessuno rassegnandosi, e tanto meno contemplandolo, che Venezia potesse essere una mera, per quanto alta, vetrina delle arti del Novecento senza alimentarsi anche di linfa propria. C’era un tempo, già. Eppure, per quanto sia una verità scolpita in ogni giorno del nostro vissuto qui, il mero ridursi oggi a denunciare il velocissimo, quasi irreversibile depauperamento dell’energia sociale di questa città è sempre di più mero esercizio sterile di una malsana nostalgia dei tempi che furono mista a vuota rassegnazione. Un atteggiamento che impedisce, nel suo ossessivo reiterarsi, di vedere anche le innegabili, forti tracce di resilienza culturale, ma ancor di più di nuove residenze culturali, con decine, centinaia di persone che da ogni dove continuano a scommettere sul futuro vitale di questa città. Non solo Fondazioni culturali internazionali, che anno

dopo anno si insediano qui permanentemente, non solo nuove gallerie, nuovi, sparuti progetti di turismo colto, ma anche semplici cittadini del mondo che “vedono” l’identità di pura socialità, di potenziale, alto, mi azzarderei a dire, umanesimo contemporaneo che questa città esprime su un terreno di puro futuro in un mondo che spasmodicamente cerca di uscire dalla soffocante dimensione spazio-temporale delle grandi conurbazioni globali. Un vedere che, purtroppo, molti veneziani-veneziani non hanno più come facoltà. Non tutti ovviamente, perché una minoranza che concretamente cerca di riconnettersi con questa vocazione verticale e stratificata del fare cultura, arte, vita sociale in ultima istanza, creando un ponte di collegamento tutt’altro che virtuale con questi nuovi veneziani, vera, ultima speranza per riaccendere le funzioni di questo corpo urbano esangue, c’è, eccome! Basta saperli vedere, valorizzare, connettere. A marzo, il 13, in pieno, speriamo, post-delirio virale, apre un nuovo progetto che a pieno titolo si iscrive potenThe Venice Club Dal 13 marzo Conca d’Oro (primo piano) Campo SS. Filippo e Giacomo, Castello 4338

zialmente, e auspichiamo di fatto concretamente, in questa minoranza vibrante, che vuole riportare la città a vivere, non solo a osservare passivamente, arte ed eventi culturali di vario registro nella maniera più integrale ed articolata possibile. Parliamo di The Venice Club, un nuovo club per l’appunto, ma mi piacerebbe ancor di più definirlo una nuova “casa”, in cui chi elabora, chi si appassiona, chi operativamente lavora nella cultura può trovare modo di incrociare esperienze, idee, progetti, visioni. Non è un caso che l’idea trovi casa nel piano alto di un locale storico della ristorazione veneziana, la Conca d’Oro in Campo SS. Filippo e Giacomo, tra le altre cose prima pizzeria veneziana dal lontano 1947. Uno di quei locali in cui nel Dopoguerra, quando rinasceva la Biennale e quando Peggy Guggenheim decideva che qui doveva disegnarsi l’epicentro del Contemporaneo, si ritrovavano convivialmente, in mezzo alla gente di tutti i giorni, i Picasso, gli Arp, i Twombly, i Calder, i Fontana (ma non dimentichiamo anche il cinema, con i vari Bogart, Fellini, ecc.), attorno ai quali crescevano proprio esperienzialmente, “live”, gli sconosciuti, futuri protagonisti dell’arte veneziana, italiana, internazionale. Abbiamo appena parlato il mese scorso con Giandomenico Romanelli della straordinaria stagione


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Photo Michele Alassio

del ristorante All’Angelo, da lui restituita in una imperdibile mostra alla Querini Stampalia, a cui seguirà presto sempre alla Querini la mostra su un’altra esperienza dello stesso, straordinario tenore, quella vissuta nel medesimo periodo dal ristorante Da Romano a Burano, dove tutto il cinema e l’arte del pieno Novecento si ritrovavano con i loro massimi interpreti regolarmente. La Conca d’Oro, tra questi, non era affatto da meno, iscrivendosi a pieno titolo tra quei corpi intermedi, quelle cinghie di trasmissione di cui all’inizio si parlava che permettevano di connettere con ordinaria autenticità i protagonisti delle arti internazionali con la città viva, con i suoi giovani, con chi qui costruiva il presente culturale. È bello, quindi, che in un luogo come questo, un ristorante peraltro da sempre fino a oggi importante e vivo, si tenti una ricucitura, una ritessitura con un clima certamente irripetibile per condizioni e momento storico, ma la cui vocazione a vivere il presente per il futuro in forme e declinazioni congrue, fuori da ogni scimmiottamento pateticamente nostalgico, può senza timori reverenziali essere rianimata, con idee e progetti concreti in linea con i nostri tempi. Il progetto nasce dalla congiunzione di tre teste con altrettante, proprie esperienze esistenziali e professionali, ma con il comune desiderio di costruire ora e qui nuovi contenuti del vivere arte e cultura oggi. Non si può non partire da Max Costa, erede di una grande famiglia di ristoratori oggi gestore della Conca d’Oro, da sempre con il chiodo fisso di aprire nel cuore di Venezia, a un passo da Piazza San Marco, una casa dei linguaggi contemporanei che unisca arte, buona cucina e convivialità glocal nel miglior respiro possibile del termine. Dalle sue varie esperienze in giro per il mondo porta una visione, un approccio di veneziano non fagocitato dal peso meccanico e ingombrante della classica, rituale venezianità, con un’urgenza di aprirsi concretamente al mondo offrendo a questo stesso mondo un’idea di essere qui a casa, accolto e coinvolto il più apertamente possibile. Con una tensione, quindi, a rideclinare giorno per giorno uno spazio storico della ristorazione veneziana in percorsi compositi, di confine. Accanto a lui non poteva mancare un altro veneziano di ritorno continuo dal mondo, uno di quelli che davvero non sanno rassegnarsi a vivere di mera rendita culturale cullandosi nella gloria, anche recente, che fu. Parliamo di Michele Alassio, grande fotografo protagonista di progetti editoriali, di mostre, direi anche di battaglie condotte con l’utilizzo sempre proprio e incisivo di un’arma penetrante quale è l’immagine scattata. A lui la direzione artistica di The Venice Club, che si inaugurerà con una sua personale dal titolo più che eloquente, Venice’s Autopsy, raccolta di un lungo reportage fotografico uscito a puntate sui quattro quotidiani locali del gruppo

Gedi, accompagnato per ogni singola uscita da un testo felicemente intonato all’immagine corrispondente scritto da Alberto Vitucci, storica firma della «Nuova Venezia». Un inizio quanto mai congruo, proprio temporalmente anche, con questo disperato e vitale atto d’amore per una città che troppo si è lasciata andare fino alle recenti, catastrofiche disavventure climatico-infettive. Quindi se firma programmatica doveva esserci per questo nuovo Club, non poteva essercene una più contestuale e sul pezzo. Naturalmente sarà ‘solo’ l’inizio, perché a seguire Alassio curerà ogni mese una nuova mostra coinvolgendo sia grandi protagonisti della fotografia internazionale, con l’ausilio della Barry Friedman Gallery di New York con cui da anni collabora, sia giovani e meno giovani emergenti di questo immortale linguaggio. In questo tris composito non poteva infine mancare una figura che sapesse con piena professionalità e grande tensione culturale restituire fisicamente il contenuto di questi progetti espositivi, una figura, in sostanza, laboratoriale nel senso più esteso e pieno del termine. Parliamo di Roberto Bernè, straordinario stampatore d’arte specializzato in fotografia. Quello dello stampatore è un compito delicato: deve essere in grado di tradurre in un oggetto fisico il pensiero dell’autore, realizzandolo nella maniera più chiara possibile per renderlo correttamente fruibile all’osservatore. In questa prospettiva, quindi, Bernè si trasforma necessariamente anche in vero e proprio co-curatore, il cui compito non può essere ‘ridotto’ a una semplice traduzione semantica della poetica artistica, ma a una traduzione che matericamente sappia restituire la poetica delle opere dei diversi autori presi in cura in superfici e contorni fisici di grande pregnanza visiva. Roberto Bernè è oggi considerato uno dei maggiori interpreti della tecnica di stampa. Il suo Studio si occupa anche di progetti allestitivi, di illumino-tecnica e di trasporti. Insomma, gli ingredienti per sperare in una costruzione di una vera casa della cultura contemporanea per chi la cultura la produce, la vive, la respira quotidianamente sembrano esserci proprio tutti. Uno spazio aperto certamente al pubblico in una finestra pomeridiana, dalle 15 alle 19, ma con un orario più esteso, comprendente le fasce di pranzo e cena, solo per i tesserati. Tesserati che verranno selezionati non nella solita, sterile chiave di esclusività da salotto elitario, bensì valutando il vero, potenziale contributo che essi potranno dare alla crescita di questo Club, vuoi per i progetti di cui sono protagonisti, vuoi per le idee di cui sono portatori, vuoi per la tensione mai doma verso il recupero della più stimolante vocazione che questa città ha da sempre saputo esprimere, ossia quella di porsi all’incrocio dei fermenti del presente di ogni dove. Massimo Bran

Photo Michele Alassio

Photo Michele Alassio

Photo Michele Alassio


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La mia ombra è tua

Anthony Corner, esperienza immersiva e ravvicinata con l’interiorità dell’artista Anthony Corner – laurea al Royal College of Art, residenza presso la Royal Opera House Covent Garden, ampiamente esposto, già a Venezia nel 2017 e l’anno successivo alla Royal Academy di Londra, dove vive e lavora –, ritorna in città con un nuovo consistente corpo di lavori che presenta nella mostra Lamentation, Flux and an Empty Bladder allo SPARC*– Spazio Arte Contemporanea. Il titolo manifesta subito il contesto emotivo e il modo personalissimo attraverso cui l’artista inglese fa l’esperienza della vita e dell’essere pittore. La sofferenza, l’angoscia, il tormento si sono imposti a lungo quali motori della sua ricerca di senso. Le oltre 100 opere, tra grandi dipinti e piccoli lavori, creano un vero e proprio ambiente pittorico unico, in cui lo spazio stesso diventa contenuto insieme all’opera, offrendo al visitatore un’esperienza immersiva e ravvicinata con l’interiorità dell’artista. La scelta di esporre a Venezia non è certo casuale. Nei suoi dipinti, così come in Laguna, si può passare velocemente dall’oscurità alla luce, dal sordido alla bellezza, in un continuo e perpetuo andirivieni da un estremo all’altro. Nella densa stratificazione del colore

cupo che oscura tutto, sotto una spessa coltre, trovano ora spazio ampi squarci di luce, intere porzioni di tela lasciate vuote e bianche. Dal fragore linguistico dei quadri precedenti, dove colore, parole, grafismi e materiali si condensano, contaminandosi l’uno con l’altro, in uno straziante lamento che emerge dalla tela, si fa strada ora uno spazio silenzioso, in cui la pittura diventa un sollievo dal dolore e una pausa dalla battaglia quotidiana. Come nasce il progetto Lamentation, Flux and an Empty Bladder e perché la scelta di questo titolo? È un progetto diviso in tre parti: The Boy in a Box, Filthy Worms and Curtain Walls e Lamentation, Flux and an Empty Bladder. Ci sono voluti quattro anni per sviluppare e completare questo ciclo e ne vediamo la parte finale ora in mostra allo spazio SPARC. Lo possiamo considerare il capitolo finale. Il titolo ha un’origine biblica e un riferimento morale; si conclude con la parola “bladder” (vescica) in quanto ciò porta un elemento di discordia. C’è una relazione di fondo con il suono e il mio interesse per la linguistica, quindi i titoli che utilizzo hanno

sempre un significato molto preciso e non formano semplicemente un contesto. Più di 100 opere di diverse dimensioni in mostra, quale significato ha questa stratificazione? Restituisce la complessità del tuo lavoro o/e la complessità del reale? La mostra è composta da tre distinti corpi di opere. La malinconia, la stratificazione e le trame delle tavole più grandi sono volutamente dense nella loro qualità e riflettono la necessità e la difficoltà di capire. Come pensieri che si accavallano l’uno sull’altro, le opere sono semplicemente attaccate alle pareti della galleria con del nastro di carta e rappresentano il processo psicologico dell’opera sottostante il pezzo di muro. Disporre una serie di piccoli pezzi in relazione l’uno con l’altro, piuttosto che un grande lavoro autonomo, è centrale per esprimere cosa penso del muro, che è sia inclusivo che escluso, questo è parte del suo scopo. Le opere appese si muovono, quindi, verso la luce e un tocco leggero aggiunge una voce più poetica, fino al punto in cui un alito di vento all’interno del-

la galleria le farà fisicamente allontanare dalla superficie piana della galleria stessa, causando così ombra. Tutto ha bisogno di contesto. Non c’è mai nulla di semplice nella condizione umana. Possediamo un’agilità intellettuale e una maturità emotiva con cui affrontare gli alti e bassi dell’essere umani. Essere un creativo significa, per me, avere una voce per esprimere ciò che capisco e percepisco. Nelle sue opere concorrono figurazione e astrazione. Dove finisce una e inizia l’altra? È la natura dell’istruzione a spronarmi. Sono sempre stato attratto dal libro e dalla parola come mezzo per capire come vivere la mia vita. Le storie e le esperienze di altre persone hanno aiutato me, da giovane, a sviluppare la mia moralità. Invece di pensare in termini di figurazione e astrazione preferisco usare prosa e poesia. La prosa è una storia forte, raccontata in modo strutturato: inizio, parte centrale e fine. La poesia è invece un senso meraviglioso, una cosa simile a una frase di un brano musicale che da sola può farti piangere e non capisci perché.

Venezia protagonista indiretta della mostra. Quali suggestioni suscita in lei e nei suoi lavori la città? Se Venezia fosse una persona, sarebbe una persona complessa e sapiente. In un certo senso, Venezia può spaventare nonostante la sua eleganza e la sua bellezza, come un poeta dall’abilità sconcertante che ci mostra ciò che è possibile ottenere. La superficie nera del Canal Grande visto di notte è qualcosa di dantesco, sembra quasi che se dovessimo caderci dentro affonderemmo giù all’infinito, eppure allo stesso tempo queste acque sono chiare durante il giorno e ci mostrano da dove ha avuto origine il vetro. Inoltre, l’abilità dei veneziani di giustapporre materiali diversi non è seconda a nessuno: pietra, mattoni, ferro, legno, smalto, tessuto, sono ovunque. Infine, adoro la funzionalità del ponte che ci permette di spostarci da una parte all’altra. Insomma, direi che Io e Venezia godiamo della reciproca compagnia! «Anthony Corner. Lamentation, Flux and an Empty Bladder» Fino 26 aprile SPARC* – Spazio Arte Contemporanea, San Marco 2828/A - www.veniceartfactory.org


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My shadow is your shadow An immersive experience of an artist’s inner self Anthony Corner graduated at the Royal College of Art, was admitted to a residency at the Royal Opera House at Covent Garden, and exhibited in Venice in 2017 and at the Royal Academy in London in 2018. He is back in Venice with a large new set of pieces to be presented at exhibition Lamentation, Flux and an Empty Bladder at SPARC – Spazio Arte Contemporanea at Biennale. The title shows the emotional context and the very personal way Corner experiences being a painter and living as a painter. The suffering, the angst, the torment dominate his research for meaning. These 100+ pieces, large and small, create a unique pictorial environment where space itself becomes content, on par with the art, and offers visitors an immersive, close-up experience with the artist’s inner self. The choice of Venice to produce the exhibition didn’t just come up by chance. In Corner’s art, just like in Venice, we see sudden transitions from dark to light, from filth to beauty, in a continuous, perennial coming and going from one extreme to the other. In the thick layers of deep colours that cast a shade on everything, there we find light mightily breaking in in form of large portions of canvas left blank. From the linguistic noise of Corner’s earlier work, where colour, words, graphisms, and materials congeal, to a silent space, where painting is a moment of relief, a pause from everyday battles.

How did project Lamentation, Flux and an Empty Bladder come about? And how did you choose this title? This is a three-part project – “The Boy in a Box”, “Filthy Worms and Curtain Walls” and “Lamentation, Flux and an Empty Bladder”. It has

taken four years to develop this project and to complete the cycle. The final part of this is what is now on show at the SPARC space. It is the final chapter of this series of works. The title comes with biblical and moral references. It concludes with the word bladder as this brings an element of discord. There is an underlying relationship with sound and my interest in linguistics so the titles that I use are always poignant and not simply forming a context.

Over a hundred pieces of different sizes make up the exhibition. What meaning can we find in these several layers? Is this the complexity of your art showing? or the complexity of reality? The exhibition is made up of three distinct bodies of work. The melancholy, layering and textures of the larger boards are purposefully dense in their quality and are reflective of the need and struggle to understand. Thoughts stacked one upon another simply attached to the surface of the gallery by masking tape, is the psychology behind the wall piece. By using a set of small pieces in relationship to each other, rather than one large stand-alone work, is central to my thoughts about a wall which is both inclusive and excluding – this is part of its purpose. The hangings then move towards the light and a lightness of touch and a more poetic voice. This is to the point, where a breeze in the gallery will physically make them move away from the flat gallery surface thereby causing shadow. Everything needs a context. In realty the human condition is never straightforward. We need an intellectual agility and emotional maturity to deal with the ebbing and flowing of being human. Being

a creative simply allows me a voice to articulate my particular perceptions and understandings.

In your art, figuration and abstraction take place concurrently. Where do one end and the other begin? The nature of education has always been a primary driver for me. I have always been drawn towards books and words as a vehicle to help me understand how to live a life. So other people’s stories and experiences enabled me, as a young man to find a moral compass. Rather than thinking of the terms figuration and abstraction I use prose and poetry. Prose equals strong story telling in a beginning, middle and end manner. Whilst poetry is a wonderful sense of something like a phrase in a piece of music that makes you weep yet we haven’t the ability to understand why. Venice is, indirectly, a protagonist of the exhibition. How does Venice influence your sensibility and your art? If Venice were a person that person would be multi-layered and knowing. In some ways Venice can be quite frightening despite its elegance and beauty- it would be a poet of staggering ability showing us what is possible. Look into the black surface of the Grand Canal at night – to me its Dantean and should we fall into the water we would continue downward forever. Yet the same surface is bright and reflective during the day making it clear where the Venetians love of glass comes from. Their ability to juxtapose materials is second to none so stone, brick, iron, wood, paint, fabric is everywhere. I love the functionality of the bridge, allowing us to move from one place to another. We enjoy each other’s company.

MENU DI PASQUA 2020 EASTER MENU 2020 Pancia di maialino gratinata su variazione di fave Pork belly au gratin on broad bean variation Ravioli d’anatra allo zafferano con gremolada (misto di agrumi) gratin su crema di vino (tipo di ravioli con coratella) Duck ravioli, mixed citrus au gratin and wine cream Coscia di agnello cotta a bassa temperatura con purè di zucca e piselli e demi-glace al frutti di bosco Leg of lamb cooked at low temperature, mashed pumpkin and peas and wild fruit demi glade Rocher di nocciola a modo nostro, frutti rossi e cioccolato Hazelnut Rocher, red fruits and chocolate Prezzo del menu € 90

(vini, acqua e coperto esclusi)

Menu price € 90

(wine, water and cover charge excluded)

RISTORANTE DO LEONI Hotel Londra Palace Riva degli Schiavoni 4171, Venezia Tel. 041.5200533 doleoni@londrapalace.com www.londrapalace.com


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MARINA BASTIANELLO GALLERY

RENOVATION

FinoUntil 21 marzoMarch

MARIGNANA ARTE

Arthur Duff, Serena Fineschi, Aldo Grazzi, Silvia Infranco, Giulio Malinverni, Maurizio Pellegrin, Quayola, Donatella Spaziani, Marco Maria Zanin I DREAMED A DREAM – Chapter 2

ALMA ZEVI

KATY STUBBS Price Choppers 14 marzoMarch-25 aprileApril

Nuovo corso per la galleria massimodeluca che diventa marina bastianello gallery. Questa inevitabile e dovuta evoluzione di uno spazio per l’arte molto caratterizzato dalla personalità visionaria e ottimista di Marina Bastianello, da molti anni alla guida della galleria e da sempre direttrice artistica di prima linea, decisa fino dall’inizio a sostenere l’arte giovane e a guardare verso un contemporaneo di ricerca, viene sancito da una mostra collettiva dal titolo emblematico Renovation. L’occasione ha spinto Marina Bastianello a invitare con una lettera aperta tutti gli artisti della sua scuderia e a proporre loro di celebrare il nuovo percorso della galleria con un’opera che possa rappresentare questo passaggio. «Da 2012 la galleria si è evoluta, siamo cresciuti, un anno fa ci siamo trasferiti in un nuovo spazio. I tempi sono ormai maturi per un cambio di nome, che corrisponde a un rinnovato impegno nel progetto. Con il nuovo anno è nata quindi marina bastianello gallery, che eredita il lavoro realizzato dalla galleria massimodeluca e ne porterà avanti la ricerca con nuova forza e nuovo entusiasmo. Celebriamo questo passaggio con la mostra Renovation, per la quale abbiamo chiesto agli artisti un’opera che racconti il tema del cambiamento, della novità». Un open call accolta con entusiasmo da Matteo Attruia, Agostino Bergamaschi, Paolo Brambilla, Orianne Castel, Nemanja Cvijanović, Nicola Facchini, Graziano Folata, Antonio Guiotto, Lalla Lussu, Margherita Mezzetti, Penzo+Fiore, Giusy Pirrotta, Barbara Prenka, Paolo Pretolani, Giovanni Sartori Braido, Regina Magdalena Sebald, VOID, Maria Giovanna Zanella./ A new beginning for massimodeluca gallery, now to be known as bastianello gallery. This inevitable and due evolution of a space for art, a display for the optimist, visionary personality of Marina Bastianello, is sanctioned by a collective exhibition aptly titled Renovation. For the occasion, Marina Bastianello sent an open letter to all the artists she represents to involve them in the celebration of the gallery’s new season by providing a piece of art that may best represent this moment of passage. The time is ripe for a name change, which is also a moment for stronger commitment to this project. With the new year, marina bastianello gallery was born. Bastianello’s open call has been answered by artists Matteo Attruia, Agostino Bergamaschi, Paolo Brambilla, and others.

I dreamed a dream è concepita come il contenuto di un determinato sogno mai rivelato in cui svariate immagini si avvicendano, come la riproduzione fantastica che si compie nella coscienza del contenuto di un’esperienza sensibile o la libera elaborazione di ciò che potrebbe essere il contenuto di tale esperienza. L’evanescenza di ogni singola opera rintracciabile anche tra gli elementi scultorei che rimandano alla matericità del reale sembra sussurrare racconti di sogni i quali insieme costituiscono un unico coro sognante. Arthur Duff utilizza combinazioni di parole accoppiate casualmente per creare manifestazioni verbali accidentali, potremmo dire quasi dadaiste, ponendo l’accento, in egual misura, su verbo e luce visti, elementi fondanti della sua intera ricerca artistica. Serena Fineschi indaga sull’importanza delle relazioni interpersonali e riflette, mediante l’utilizzo di diversi media, sulle trasformazioni che tali legami producono. Aldo Grazzi, principalmente influenzato da alcune tribù africane e dalla musica, si fa promotore di un fare estetico specifico che si traduce in una gestualità meticolosa e totalizzante. Silvia Infranco si concentra sull’avviluppamento di pittura e alchimia mediante la sua indubbia capacità di creare connessioni fra materiali organici e inorganici. Giulio Malinverni crea attraverso pennellate marmoree che risultano tuttavia instabili, vogliose di un metamorfismo di stampo prettamente kafkiano. Maurizio Pellegrin è da sempre interessato al mondo degli oggetti e all’energia emanata dagli stessi, visti come testimonianza della vita umana. Quayola utilizza la tecnologia come mezzo per esplorare i rapporti che intercorrono tra forze apparentemente opposte: il reale e l’artificiale, il figurativo e l’astratto, il vecchio e il nuovo. Donatella Spaziani attraverso il disegno e la fotografia mira ad approfondire il rapporto che intercorre tra lo spazio circostante e il corpo dell’artista in una forma di piena compenetrazione. Marco Maria Zanin sviluppa la questione filosofica eterna del binomio forma e materia./ I dreamed a dream is designed as the content of a certain dream, never revealed, where several images alternate, like the fantastic reproduction that occurs in the awareness of the content of a tangible experience or the free elaboration of what might be the content of said experience. The evanescence of each individual work, present even among the sculptural elements alluding to the materiality of reality, seems to murmur tales of dreams that together form a single dreaming chorus. A collective unconscious is thus decanted, but this is not the collective unconscious of Carl Gustav Jung’s theories that works backward seeking an ancient substratum, but instead a dreaming unconsciousness that pursues fleeting lines on undefined backgrounds. Thus, a dream raised to its utmost potency, a dream dreamed made of so many dreams and of the flexible substance arisen from their interconnections.

Prima mostra personale della giovane artista inglese di origini sudafricane, dopo la sua residenza svolta presso la Galleria a marzo 2019. Tutte le opere in mostra sono in ceramica, realizzate durante la sua residenza veneziana o direttamente ispirate a essa. Price Choppers narra una storia di amore, tradimento e perdita. Dodici creazioni in ceramica compongono un’esperienza collettiva simile a quella che può essere proposta da una soap opera o da una saga epica: l’amore tormentato tra Judy, una donna coinvolta in un matrimonio infelice, e Jim, il pescivendolo di un supermercato locale. Muovendosi all’interno di questo racconto, la ceramica diventa il mezzo utilizzato da Stubbs per sperimentare con le sue diverse possibilità narrative. Tutte le opere sono realizzate e dipinte a mano e pertanto mostrano tracce del processo artistico alla loro base, in un’unione di scultura e pittura. In mostra, Stubbs traccia un lessico delle emozioni umane “tragico” nel senso tradizionale del termine, eppure deliberatamente ordinario. Non c’è il momento di redenzione, o il lieto fine. Il suo lavoro si può interpretare secondo una tradizione inglese che combina black humour e volgare, ma affiancata a un’estetica pittorica e scultorea più ‘pop’, che allude a Roy Lichtenstein e al suo omaggio al fumetto melodrammatico./ First solo exhibition of the young South African-British artist. The exhibition follows Stubbs’ residency at the gallery, which took place in March 2019. All of the ceramic pieces on display are being shown for the first time, and were either made in the city during her residency or directly inspired by Stubbs’ experience of Venice. Price Choppers is a story of love, betrayal and loss. Twelve individual ceramic pieces form a collective experience akin to a soap opera or epic saga; the doomed love affair between Judy, an unhappily married woman, and Jim, a fishmonger at a local supermarket. Within this narrative, Stubbs explores the possibilities the ceramic medium has for storytelling. All the pieces are made and painted by hand and therefore retain traces of the artist’s process; merging together both sculpture and painting techniques. Within this exhibition, Stubbs presents a lexicon of human emotions; ‘tragic’ in the traditional Greek sense of the word, yet deliberately banal. There is no redemption or happy ending. Her work can be interpreted in a British tradition of bawdiness and black humour, yet also combines a ‘pop’ aesthetic of painting and sculpture which nods to Roy Lichtenstein’s homage to melodramatic comic strips. Rather fittingly, the artist herself says about her work: It’s about this blandness of life; the guilt and shame and the fallibility of humans.

Marina Bastianello Gallery M9 District, via Pascoli 9C, Mestre www.marinabastianellogallery.com

Marignana Arte Rio Terà dei Catecumeni, Dorsoduro 141 www.marignanaarte.it

Alma Zevi Salizada San Samuele, San Marco 3357 www.almazevi.com

A cura diCurated by Domenico De Chirico 21 marzoMarch-2 maggioMay


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MAGAZZINO 5

InPARADISO GALLERY

MUSEO EBRAICO

ITALO RONDINELLA Shipwreck Crime

ANTONY FACHIN Y la culpa no era mía

IGOR SKALETSKY Sogno e Surreale

A cura diCurated by Anna Lucia Colleo 7 marzoMarch-15 aprileApril

FinoUntil 30 marzoMarch

FinoUntil 17 maggioMay

In mostra 44 fotografie e 44 rispettivi oggetti appartenuti alle centinaia di persone che – nella speranza di raggiungere il territorio europeo – hanno tentato di attraversare il breve tratto di mare che separa la costa turca dall’isola greca di Lesbo. Molti di loro non ce l’hanno fatta. Gli oggetti – abiti, scarpe, biberon, salvagenti e molto altro – sono stati fotografati da Italo Rondinella, che rinvenuti sulla riva e successivamente raccolti per formare, insieme alle immagini, il corpus di questa mostra con lo scopo di restituire dignità alle storie anonime di coloro a cui sono appartenuti. Il progetto è stato realizzato a più di due anni di distanza da quando il flusso migratorio dalla Turchia all’Europa ha conosciuto il suo picco più alto. In quel tratto di costa turca tra Babakale e Ayvalık le spiagge frequentate dai vacanzieri si alternano a singhiozzo a tratti di costa vuoti, dove sono stati trovati gli oggetti dei naufraghi. Al fine di rappresentare queste due realtà parallele, l’autore ha incluso negli spazi di mostra il sonoro della spiaggia frequentata dai bagnanti, appositamente registrato dal vivo. Il solco emotivo che separa queste due realtà sul medesimo palcoscenico – la spiaggia – esprime secondo Rondinella una metafora della rappresentazione mediatica della vicenda umana dei migranti, che perde la sua naturale dimensione compassionevole per diventare mera descrizione di un fenomeno. Italo Rondinella è un fotografo e filmmaker italiano da anni residente in Turchia. Nel suo lavoro, alterna l’impegno giornalistico – attraverso la produzione di reportage fotografici e video documentari – a una ricerca più personale.
/ 44 photographs and the corresponding 44 items that belonged to hundreds of people who, dreaming of a future in Europe, tried to cross the short section of Mediterranean that separates Turkey from the Greek island of Lesbos. Many of them couldn’t make it. Their belongings – clothes, shoes, baby bottles, life vests, and more – show up in Italo Rondinella’s pictures. These photographs try to rebuild the dignity of nameless individuals who lost everything. The project has come into being two years after the inbound flow of migrants from Turkey peaked. There is a tract of Turkish coastline, between Babakale and Ayvalık, where places popular with beachgoers alternate with empty ones, dotted with what used to belong to shipwrecked migrants. To represent these two parallel worlds, the artist included in the exhibition sound recorded at the beach resort. The emotional wedge driven between the two worlds on the same stage – the beach – is, according to Rondinella, a metaphor of the media representation of migration.

È la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, quando un intenso e a tratti viscerale flash mob femminista invade la piazza di Santiago in Cile, mettendo in scena una danza espressiva e intonando voci potenti che riecheggiano nelle coscienze di tutti, rendendo la protesta un fenomeno globale riprodotto in altri paesi del mondo. Sono in migliaia a opporsi e a denunciare abusi e violenze da parte di uno Stato patriarcale e oppressore, che ancora oggi non valorizza e protegge le donne e i loro diritti. In questo contesto si colloca la mostra Y la culpa no era mía dell’eclettico artista Antony Fachin che propone una serie di opere connesse tra loro da un tema attuale, profondo e tagliente, quale la protesta contro la violenza sulle donne, sia essa di genere, razza, ceto sociale o religione. Gli sguardi inespressivi, spenti, fissati nel vuoto e i volti cupi che simboleggiano il terrore, la colpevolizzazione e l’umiliazione di una donna cui non è concesso parlare, si trovano in opposizione a corpi in cui viene esaltata la grazia dell’imperfezione e ai colori vivaci, violenti e luminosi degli arredi e dei vestiti che alludono al coraggio di individui che non si sottomettono all’imposizione dei ruoli sociali e lottano per l’accettazione della loro individualità. Le tecniche espressioniste utilizzate dal duttile artista vicentino, come la semplificazione delle forme, l’abolizione del chiaroscuro e i contorni marcati e netti, trasmettono una volontà comune di non soccombere alla brutalità della violenza e alla costrizione del violador e lanciano un messaggio di emancipazione e speranza a tutte le vittime a cui è stato negato il grido. C.F./ It was the International Day for the Elimination of Violence against Women when an intense, visceral feminist flash mob invaded Santiago, Chile. Their dancing and chanting echoed in our conscience and made the protest march a global phenomenon all over the world. Thousands opposed and denounced the abuses of an oppressive patriarchal state, that won’t still value and protect women and their rights. In this context, exhibition Y la culpa no era mía by eclectic artist Antony Fachin is a series of pieces on the topic. The expressionless, dim looks and the gloomy faces represent the terror, blame, and humiliation of a woman who is not allowed to speak. On the other side, the grace of imperfection alludes to the courage of people who won’t submit to the imposition of social roles and fight for the acceptance of their individualities. The expressionist style depicts the common intention to withstand the brutality of violence and promotes emancipation and hopes for all victims.

L’artista di origine russa Igor Skaletsky accosta tradizionali rappresentazioni della storia dell’arte a immagini tipiche del mondo della moda, il tutto in chiave ironica e giocosa. La sua opera scuote l’inconscio dello spettatore che si ritrova in balia di immagini che richiamano modelli archetipi della percezione e allo stesso tempo li annichilisce, lasciando spazio a interpretazioni e visioni camaleontiche e spregiudicate. Il suo lavoro è caratterizzato dall’utilizzo di forme accademiche pure e riconoscibili contrapposte a rappresentazioni moderne e contemporanee e dall’alternarsi di immagini pittoriche e fotografiche che risvegliano le percezioni del visitatore portandolo a mettere in discussione le proprie abitudini visive. Molto cara a Skaletsky è una tra le tecniche più emblematiche delle Avanguardie, ossia il collage, in quanto rende possibili accostamenti di immagini sacre e simboli pop, di arte olandese e rinascimentale, di animali e tatuaggi che scuotono con leggerezza l’interiorità di chi guarda, creando un effetto di incontro-scontro. Il giovane artista israeliano permette al visitatore di viaggiare in un mondo incantato, magico e surreale e appare chiaro il richiamo al Purim, festa ebraica incentrata sul gioco e sulla fantasia, che quest’anno si svolge tra il 9 e 10 marzo, periodo in cui il Museo ebraico di Venezia propone la mostra di Skaletsky. C.F./ Russian-born artist Igor Skaletsky pairs traditionally-inspired art to images coming from the world of fashion, all in ironic, playful key. His art shakes the subconscious of the viewers, who find themselves at the mercy of images of archetypal models of perception, leaving space to interpretations of all kinds. Skaletsky’s art features academical shapes, pure and recognizable, as well as modern, contemporary representations that question our viewing habits. Also dear to the artist is one of the most emblematic techniques of avantgardists, the collage, for its ability to juxtapose sacred symbols and pop images. The young Israeli artist takes visitors into an enchanted, magical, and surreal world that clearly recalls the Jewish holiday of Purim, a feast of play and fantasy, that in 2020 falls on March 9 and 10.

Magazzini del Sale / Magazzino 5 Reale Società Canottieri Bucintoro 1882 Dorsoduro 262

InParadiso 3030 Gallery Frari, San Polo 3030 www.concilioeuropeodellarte.org

Museo Ebraico di Venezia Campo di Ghetto Nuovo 2902b www.museoebraico.it



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EDWARD HOPPER at the Beyeler Foundation, near Basel Until May 17

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:mostreincittàA/Z GALLERY

da From 13 marzoMarch The Venice Club Conca d’Oro (primo piano) Campo SS. Filippo e Giacomo, Castello 4338

FinoUntil 30 marzoMarch InParadiso 3030 Gallery Frari, San Polo 3030 www.concilioeuropeodellarte.org

MICHELE ALASSIO Venice’s Autopsy

GLASS

VENICE AND AMERICAN STUDIO GLASS 26 aprile April -6 agosto August Le Stanze del Vetro Fondazione Giorgio Cini Isola di San Giorgio Maggiore www.lestanzedelvetro.org 20th CENTURY

L’ANGELO DEGLI ARTISTI L’Arte del Novecento e il ristorante All’Angelo a Venezia FinoUntil 10 maggioMay Fondazione Querini Stampalia Campo Santa Maria Formosa www.querinistampalia.org SOLO SHOW

CHRISTIANE BRANDT Racconti misteriosi... 14 marzoMarch -2 maggioMay Galleria d’arte Arké San Samuele, San Marco 3211 www.artearke.it PHOTOGRAPHY | opening

HENRI CARTIER-BRESSON Le Grand Jeu

22 marzoMarch -10 gennaio January 2021 Palazzo Grassi, San Samuele www.palazzograssi.it COLLECTIVE | opening

LA GALLERIA DEL CAVALLINO Vetrina e Officina 1966 – 2003 4-31 marzoMarch Fondazione Bevilacqua La Masa Palazzetto Tito, Dorsoduro 2826 www.bevilacqualamasa.it CONTEMPORARY

ANTHONY CORNER Lamentation, Flux and an Empty Bladder FinoUntil 26 aprile April SPARC* - Spazio Arte Contemporanea Campo Santo Stefano, San Marco 2828A www.veniceartfactory.org PHOTOGRAPHY

LA DOLCE VENEZIA

FinoUntil 20 aprile April Fondazione Wilmotte Fondaco degli Angeli Cannaregio 3560 www.fondationwilmotte.fr GALLERY | opening

I DREAMED A DREAM Chapter 2 Arthur Duff, Serena Fineschi, Aldo Grazzi, Silvia Infranco, Giulio Malinverni, Maurizio Pellegrin, Quayola, Donatella Spaziani, Marco Maria Zanin 21 marzoMarch -2 maggioMay Marignana Arte Rio Terà dei Catecumeni, Dorsoduro 141 www.marignanaarte.it

ANTONY FACHIN Y la culpa no era mía

SOLO SHOW

EZIO GRIBAUDO Itinerari: New York – Venezia – Torino FinoUntil 26 aprile April Palazzo Contarini del Bovolo San Marco 4303 www.eziogribaudo.com EXTRAORDINARY

DOMUS GRIMANI 1594 – 2019

FinoUntil 30 maggioMay 2021 Palazzo Grimani Ramo Grimani, Castello 4858 www.palazzogrimani.org

CONTEMPORARY

RENOVATION

FinoUntil 21 marzoMarch Marina Bastianello Gallery, Distretto M9 Via pascoli 9c-mestre www.massimodeluca.it PHOTOGRAPHY | opening

ITALO RONDINELLA Shipwreck Crime 7 marzoMarch -15 aprile April Magazzini del Sale / Magazzino 5 Reale Società Canottieri Bucintoro 1882 Dorsoduro 262 CONTEMPORARY

LIV SCHULMAN An international subconscious awareness of capitalism FinoUntil 18 marzoMarch A plus A Gallery Calle Malipiero, San Marco 3073 aplusa.it GLASS

DIALOGUE

OSPITI IN GALLERIA / INTERSEZIONI Sacra Famiglia con Santa Caterina d’Alessandria di Lorenzo Lotto FinoUntil 17 maggioMay Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, Cannaregio 3932 www.polomusealeveneto.beniculturali.it PHOTOGRAPHY

DOUGLAS KIRKLAND Freeze Frame, 60 anni dietro le quinte del Cinema FinoUntil 19 aprile April Centro Culturale Candiani-Mestre www.comune.venezia.it PHOTOGRAPHY

JACQUES HENRI LARTIGUE L’invenzione della felicità FinoUntil 12 giugno June Casa dei Tre Oci Fondamenta delle Zitelle 43, Giudecca www.treoci.org EXPERIENCE

LUNAR CITY

LIVIO SEGUSO In principio era la goccia

FinoUntil 31 marzoMarch Fondazione di Venezia Rio Novo, Dorsoduro 3488 /U www.fondazionedivenezia.org SOLO SHOW

IGOR SKALETSKY Sogno e Surreale FinoUntil 17 maggioMay Museo Ebraico di Venezia Campo di Ghetto Nuovo 2902b www.museoebraico.it SOLO SHOW | opening

KATY STUBBS Price Choppers

14 marzoMarch -25 aprile April Alma Zevi Venice Salizzada San Samuele, San Marco 3357 www.almazevi.com COLLECTIVE | opening

COLLECTIVE | opening

YOUSSEF NABIL Once Upon a Dream

22 marzoMarch -10 gennaio January 2021 Palazzo Grassi, San Samuele www.palazzograssi.it 20th CENTURY

UNTITLED, 2020

VENETIAN LOVE Didier Guillon, Aristide Najean, Silvano Rubino

10 marzoMarch -29 novembre November Fondazione Valmont, Palazzo Bonvicini Santa Croce 2161/A www.fondationvalmont.com PHOTOGRAPHY

VENEZIA 1860-2019 Fotografie dall'Archivio Graziano Arici

FinoUntil 10 maggioMay Fondazione Querini Stampalia Campo Santa Maria Formosa Castello 5252 www.querinistampalia.org

COLLECTIVE

IL NOVECENTO A PALAZZO FRANCHETTI

GLASS

FinoUntil 31 marzoMarch Spazio Silvio Pasqualini Rio Cà Foscari, Dorsoduro 3248 /B

FinoUntil 19 aprile April Palazzo Franchetti Campo Santo Stefano, San Marco 2847 www.acppalazzofranchetti.com

FinoUntil 10 maggioMay InGalleria / Punta Conterie Art Gallery Fondamenta Giustinian 1, Murano puntaconterie.com

ETERNO. CARO LEO...

Some 30 artworks by DanishIcelandic artist will put viewers at the centre of his inventive and transporting artistic practice. For In Real Life, Eliasson’s diverse sculptures, photographs, paintings, and installations will span a range of materials including moss, water, glacial ice, and fog.

SGUARDI SU VENEZIA

EXTRAORDINARY

SOLO SHOW | opening

Until June 21

20th CENTURY

22 marzoMarch -13 dicembre December Punta della Dogana, Dorsoduro 2 www.palazzograssi.it

FinoUntil 14giugno June Collezione Peggy Guggenheim Dorsoduro 701 www.guggenheim-venice.it

OLAFUR ELIASSON: IN REAL LIFE at the Guggenheim, Bilbao

FinoUntil 12 aprile April Museo del Vetro Fondamenta Giustinian 8, Murano museovetro.visitmuve.it

FinoUntil 3 maggioMay M9-Museo del Novecento Venezia-Mestre www.m9museum.it

MIGRATING OBJECTS Arte dall’Africa, dall’Oceania e dalle Americhe nella Collezione Peggy Guggenheim

The American artist is perhaps best known for his cityscapes, but he was also a prolific landscape artist. This exhibition focuses on rural paintings by Edward Hopper, who grew up in upstate New York on the Hudson River. And while he spent his heyday in Greenwich Village in the heart of Manhattan, he went on frequent road trips and would spend nearly every summer from the 1930s to the 1950s on Cape Cod. The filmmaker Wim Wenders has created a 3D film, Two or Three Things I Know About Hopper, specifically for the exhibition.

VETRO E DISEGNO

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PHOTOGRAPHY | opening

CHRISTO AND JEANNE-CLAUDE IN PARIS at the Centre Pompidou, Paris March 18-June 15

Christo wouldn’t be Christo without Paris. It’s the city where the young Bulgarian artist met his wife and artistic partner Jeanne-Claude, and where they lived between 1958 and 1964. It was in Paris that he turned from painting to wrapping everyday objects. Within three years, the pair were also realizing their first public interventions, albeit on a small scale initially but they always thought big. They first imagined wrapping the Arc de Triomphe in 1962. More than five decades later, that project – delayed by nesting birds this past spring – is finally due to be realized in the fall. It will debut in conjunction with an exhibition that explores the works the duo made in and about the city.


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Cime portentose

Sandro Bidasio Degli Imberti, detto Sabi, Dolomiti provincia di Belluno, 1950 ca Treviso, Museo nazionale Collezione Salce, Polo Museale del Veneto, su concessione del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo

A Palazzo Sarcinelli va ‘in onda’ il terzo capitolo sul paesaggio nella pittura veneta tra Ottocento e Novecento Come nelle serie televisive, l’attesa per la terza stagione è terminata e finalmente il nuovo capitolo espositivo di Palazzo Sarcinelli a Conegliano firmato da Giandomenico Romanelli e Franca Lugato è visibile. E in effetti proprio di serie si tratta perché l’indagine puntuale fatta dai due curatori sul filone del paesaggio nella pittura veneta tra Ottocento e Novecento permette a ogni nuova mostra di rintracciare il legame strettissimo tra gli artisti e le opere e di ampliare l’orizzonte della conoscenza. Dal 5 marzo, dunque, apre Il racconto della Montagna nella pittura tra Ottocento e Novecento, opere di pittori e artisti-esploratori che hanno rappresentato le Dolomiti venete e friulane, capitolo significativo della pittura italiana di veduta già a partire dalla metà dell’Ottocento, che acquista una sempre più decisa caratterizzazione tra la fine del Secolo e i primi decenni del successivo. Una vera e propria “escursione”, sottolineata anche percettivamente dall’accattivante allestimento, che fa rivivere la fascinazione italiana e europea per la montagna che esplode tra Ottocento e Novecento, come mostrano le straordinarie imprese delle prime scalate di alpinisti e alpiniste, la passione e gli interessi della pittura, della pubblicistica, della cartografia, la costituzione dei primi club alpini, nonché volumi e studi ancora oggi poco noti. Opere di celebri artisti italiani e stranieri si snodano lungo le sale di Palazzo Sarcinelli declinando i loro modi di rappresentare, guardare e ‘sentire’ la montagna: dal realismo e naturalismo di Edward Theodore Compton (1849–1921), Guglielmo Ciardi (1842–1917), Giovanni Salviati (1881–1951), al simbolismo e intimismo di Francesco Sartorelli (1856–1939), Traiano Chitarin (1864–1935),

Giovanni Napoleone Pellis, Il viatico in montagna, 1921-22 - Udine, Casa Cavazzini – Museo di Arte Moderna e Contemporanea

Teodoro Wolf Ferrari (1878–1945), Carlo Costantino Tagliabue (1880–1960), Millo Bortoluzzi (1905–1995), Marco Davanzo (1872–1955), Giovanni Napoleone Pellis (1888–1962), che sperimentano l’effetto luminoso e cangiante delle cime innevate tra il Veneto e il Friuli. E proprio il Carso è protagonista con scenografiche grotte, fiumi sotterranei, stalattiti, profonde acque increspate, soggetto di una serie incredibile e poco nota di Ugo Flumiani (1876–1938). Un effetto di silenziosa sospensione trapela, invece, dalle tele del bosnìaco-erzegòvino Gabriel Jurkić (1886–1974), che attribuisce nuovi valori simbolici e mistici al paesaggio alpino oltre il confine italiano. Questi racconti artistici si incrociano con approfondimenti storico-sociali: dal focus sulla trevigiana Irene Pigatti, tra le prime alpiniste donne delle Dolomiti, al ritratto di Giuseppe Mazzotti, instancabile promotore della qualità del turismo trevigiano e della scoperta della montagna, dai primi turisti (inglesi) delle

Napoleone Cozzi, dal taccuino Piccola Cima de Lavaredo Trieste, Società Alpina delle Giulie Sezione di Trieste del C.A.I

Giovanni Salviati, Cime di Lavaredo - Padova, Courtesy Galleria Nuova Arcadia di L. Franchi

Dolomiti con il libro The Dolomite Mountains al testo, vero e proprio viaggio tra le bellezze italiane, Il Bel Paese di Antonio Stoppani, fino ai preziosi taccuini illustrati dell’artista alpinista triestino Napoleone Cozzi. La selezione di manifesti della Collezione Salce di Treviso dei primi decenni del Novecento arricchisce il racconto con le pubblicità degli sport invernali, in particolare grazie ai lavori dell’austro-italiano Franz Lenhart incentrati sulle Dolomiti e Cortina. Perfetti nel taglio modernista, nella tipizzazione dei personaggi, nella essenzialità decorativa dei paesaggi, nell’anti naturalismo e nella vivacissima gamma cromatica, ci raccontano una montagna giovane, felice e dinamica con uno stile che richiama la grande tradizione cartellonistica italiana e francese del primo Novecento e un accenno al sintetismo elegante tipico delle riviste americane. Oltre che importante meta turistica, in linea con una tendenza diffusa in altri paesi europei come la Francia e la Gran Bretagna, la montagna ha rappresentato un segno identitario dell’Italia e del suo patrimonio culturale, parallelamente al compimento dell’unità nazionale. La mostra è promossa dal Comune di Conegliano e da Civita Tre Venezie, con il patrocinio della Regione del Veneto e della Fondazione Cortina 2021, la collaborazione della sezione del CAI di Conegliano e della Società Alpina delle Giulie di Trieste. Catalogo edito da Marsilio Editori. M.M. «Il Racconto della Montagna nella pittura tra Ottocento e Novecento» 6 marzo-5 luglio Palazzo Sarcinelli-Conegliano www.mostramontagna.it


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Un secolo in movimento

Quadri, amori, universi

Le espressioni artistiche del ‘900 italiano in mostra agli Eremitani

Palazzo Maffei, una casa-museo per la Collezione Luigi Carlon

Il Museo Eremitani a Padova propone una delle possibili letture del Novecento, un secolo che ha visto compiersi sulla scena artistica del nostro Paese il passaggio dalla straordinaria vitalità del Futurismo alla più intima riflessione scaturita dalla Prima guerra mondiale, fino ai nuovi linguaggi sperimentali del Secondo dopoguerra. Nelle intenzioni delle curatrici, Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti, le 90 opere della mostra ’900 italiano. Un secolo di arte non hanno la pretesa di essere esaustive (oltre all’assenza di Vedova, mancano ad esempio anche alcune importanti presenze femminili, come Maria Lai, Bice Lazzari e Carla Accardi); l’intento è semmai quello di tracciare un percorso cronologico che renda testimonianza del valore internazionale della creatività italiana del Novecento. Il racconto inizia con Giacomo Balla, artista già molto amato dalla società romana di inizio secolo. Il suo divisionismo connesso allo studio della luce si rivelerà – nelle parole di Maria Teresa Benedetti – una «esperienza feconda, destinata a enucleare un linguaggio capace di esprimere la poetica del movimento futurista». Di ritorno da un breve soggiorno a Parigi, Balla riunisce attorno a sé un gruppo di giovani allievi, fra cui Gino Severini e Umberto Boccioni. Insieme a loro e a Filippo Tommasi Marinetti, l’artista torinese firmerà nel 1910 i due Manifesti del movimento futurista. La fiducia nel

progresso e il mito del dinamismo prendono corpo in una delle opere di maggior impatto fra quelle presenti in mostra. La figura in bronzo di Boccioni (Forme uniche della continuità dello spazio, 1913) sembra già protesa verso il baratro dei totalitarismi che di lì a poco copriranno di un lugubre manto l’Europa e il mondo. La Prima guerra mondiale spegne ogni ottimismo, dando voce a risposte artistiche diverse: classicità calata in un tempo sospeso (Giorgio De Chirico), visioni ludiche al limite del surrealismo (Alberto Savinio), languidi paesaggi impressionisti (Filippo De Pisis). Ma già a partire dagli anni ‘20 si fa avanti la sperimentazione che traccia una linea, non priva di digressioni, dal figurativo all’astratto, un mutamento di sensibilità che si manifesta spesso anche nell’esperienza individuale degli artisti. È il caso di Giuseppe Capogrossi: le tre opere esposte una accanto all’altra (Il pescatore del 1932, Natura morta del 1948, Superficie 021 del 1949) evidenziano in modo esemplare tale passaggio. Arriva, infine, la celebrazione dirompente del segno: Burri, Fontana, Isgrò… In omaggio alla città che la ospita la mostra non manca di rendere merito alle provocazioni neodadaiste e anti-accademiche del Gruppo N, attivo a Padova nei primi anni ’60. Marisa Santin «’900 italiano. Un secolo di arte» Fino 10 maggio Museo degli Eremitani, Padova

Palazzo Maffei chiude con la sua magnifica facciata barocca il lato nord occidentale di Piazza delle Erbe, alla sua destra si apre via Sant’Anastasia, alla sinistra corso Porta Borsari. Siamo a Verona, nel cuore della città, l’edificio visto dalla piazza in un ardito scorcio dal basso verso l’alto mostra sei statue che poggiano sulla balaustra estrema della facciata – Ercole, Giove, Venere, Mercurio, Apollo e Minerva – dando un senso di vertigine per il loro particolare affaccio. Palazzo Maffei è un palinsesto di storia, il cui corpo più antico risale al tardo medioevo, tuttavia è la sua anima barocca a emergere con forza non solo nell’elegantissima facciata, che alterna motivi architettonici tardo rinascimentali a bizzarrie barocche, ma anche nella scala elicoidale che sfida le regole strutturali e pure negli ambienti interni, a partire da quella Sala degli Stucchi che accoglie ora il visitatore al suo ingresso con decori di cariatidi e telamoni. Palazzo Maffei, infatti, ha aperto dal 15 febbraio scorso le porte al pubblico, trasformando gli spazi in casa-museo: un percorso espositivo lungo 18 sale dalla “doppia anima”, tra antico e moderno, tra capolavori e curiosità, che attra-

versa oltre cinque secoli, con oltre 350 opere in dialogo tra le arti – pittura, scultura, arti applicate e architettura –, accomunati da una passione collezionistica. Iniziata più di cinquant’anni fa la Collezione Luigi Carlon, custodita a Palazzo Maffei, è una raccolta eclettica, cresciuta senza limiti cronologici e di genere, votata ad accogliere dipinti, sculture, incisioni, disegni, miniature, libri antichi ma anche maioliche, bronzi, avori, oggetti di vita quotidiana come mobilio e manufatti decorativi, dall’antichità ai giorni nostri. L’interesse per la storia artistica veronese rappresenta un elemento di forte valore identitario della raccolta d’arte antica che vanta una sorta di compendio di storia dell’arte del territorio scaligero, con opere tra gli altri di Altichiero e Liberale da Verona, Nicolò Giolfino, Zenone Veronese, Bonifacio de’ Pitati, Antonio e Giovanni Badile, Felice Brusasorci, Jacopo Ligozzi, Alessandro Turchi, Marc’Antonio Bassetti, Antonio Balestra, Giambettino Cignaroli. La ricchezza e la qualità della raccolta sono poi affidate ai nomi dei protagonisti più importanti delle avanguardie storiche, italiane e straniere: la passione per il Futurismo italiano e la Metafisica, oltre

ad autentici capolavori dell’arte moderna e contemporanea e i grandi Maestri del XX secolo, da Picasso a de Chirico, da Mirò a Kandinsky, da Magritte a Fontana, Burri e Manzoni. «La passione per l’arte – racconta Carlon – è stata una cosa naturale. […] Le opere che ho raccolto sono racconti di vita, gesti d’amore, testimonianze della sensibilità unica e singolare degli artisti incontrati negli anni […] La mia collezione conta oggi opere dai fondi d’oro al contemporaneo, in un percorso storico-culturale che attraversa i generi, le epoche e le tecniche. Il mio Palazzo Maffei è la casa di un collezionista che ha saputo spaziare in modo eclettico e che ancora oggi non ha abbandonato questo modo di agire». Il progetto espositivo, fortemente voluto e promosso da Luigi Carlon, è stato curato dallo studio Baldessari e Baldessari, per la parte architettonica, da Gabriella Belli, per la parte museografica, con i contributi scientifici di Valerio Terraroli e Enrico Maria Guzzo: dall’iniziale dialogo con gli ambienti del Palazzo a ricreare l’atmosfera di una dimora privata e un senso di wunderkammer, con nuclei tematici d’arte antica in cui irrompe all’improvviso la modernità, segue la parte dedicata al Novecento e all’arte contemporanea, volutamente pensata come una vera e propria galleria museale. M.M.

Palazzo Maffei Casa-museo Palazzo Maffei, Piazza delle Erbe-Verona palazzomaffeiverona.com


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Memorie di un esploratore

La classe operaia Sguardi, Architetture, va in mostra città

Arnold Henry Savage Landor, vita e arte in viaggio

La divisa e l’uniforme in 600 scatti

© Collezione Fusi

On air al MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino sino al 14 giugno, l’esposizione Dipingere l’Asia dal vero. Vita e opere di Arnold Henry Savage Landor, con la curatela di Francesco Morena, rappresenta un’occasione unica per scoprire una figura alquanto complessa, talentuosa, poliedrica e affascinate, per troppo tempo dimenticata. Infatti nonostante la fama in vita, dopo la morte si è persa memoria di questo eccezionale personaggio. Nato da padre inglese e madre italiana, Arnold Henry Savage Landor (1865–1924), pittore, esploratore, artista, avventuriero, fotografo, giornalista, inventore, scrittore e antropologo, visse a Firenze un’adolescenza serena in un ambiente colto, tra arte e letteratura. Tra i suoi maestri, Stefano Ussi (1822–1901) intuì le spiccate inclinazioni del giovane verso la pittura, convincendo così la sua famiglia a lasciarlo libero di viaggiare in lungo e in largo per il mondo: affrontando quei pericoli e quelle meraviglie in cui i viaggiatori di quei tempi fatalmente s’imbattevano. Savage Landor andò dall’Africa settentrionale all’America, per muoversi poi alla volta dell’Oriente, in Giappone, Corea, Cina, dove ebbe modo di dipingere numerose tele dal vero in uno stile “impressionisticomacchiaiolo” di rapida esecuzione. Da queste avventure trasse il materiale per i suoi undici libri,

tutti di gran successo, illustrati con le riproduzioni dei quadri che usava dipingere in viaggio, oppure con le sue fotografie. La mostra al MAO presenta circa 130 dipinti, 10 acquarelli e 5 disegni, provenienti da varie collezioni private, che l’artista realizzò durante i suoi numerosi viaggi in Asia. In un periodo in cui ci si affidava prevalentemente all’immediatezza della fotografia, Savage Landor continuò con insistenza e caparbietà a dipingere en-pleinair, con uno stile rapido e conciso, prendendo le distanze da visioni fantasiose e dalla pittura minuziosa di genere orientalista, per raffigurare invece il mondo reale, rappresentando con immediatezza luoghi e persone, quasi come in una fotografia. Savage Landor, infatti, coglie scorci ancora legati al passato, villaggi e paesaggi quasi cristallizzati nel tempo, la cui vita quotidiana si svolge in simbiosi con la natura, regolata dai suoi ritmi stagionali. E ancora, il suo occhio attento non manca di calarsi appieno nel sentire più poetico del popolo. La mostra è un piccolo ma affascinante viaggio indietro nel tempo, quando il viaggio era un qualcosa che celava misteri e riservava avventure. Daniela Paties Montagner «Dipingere l’Asia dal vero. Vita e opere di Arnold Henry Savage Landor» Fino 14 giugno MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino www.maotorino.it

Grandi fotografi internazionali scelti da Urs Stahel sono i protagonisti di UNIFORM Into the work/ Out of the work, oltre 600 scatti in mostra al MAST di Bologna fino al 3 maggio che raccontano le molteplici tipologie di abbigliamento indossate dai lavoratori in contesti storici, sociali e professionali differenti. Le parole “uniforme” e “divisa” rivelano, allo stesso tempo, inclusione ed esclusione. Il progetto UNIFORM comprende una mostra collettiva La divisa da lavoro nelle immagini di 44 fotografi, allestita nella PhotoGallery, che coinvolge celebri protagonisti della storia della fotografia tra cui, Manuel Alvarez Bravo, Walker Evans, Arno Fischer, Irving Penn, Herb Ritts, August Sander e fotografi contemporanei come Paola Agosti, Sonja Braas, Song Chao, Clegg & Guttmann, Roland Fischer, Helga Paris, Tobias Kaspar, Paolo Pellegrin, Oliver Sieber, Sebastião Salgado e otto video di Marianne Müeller, e un’esposizione monografica di Walead Beshty Ritratti Industriali, allestita nella Gallery/ Foyer, che raccoglie 364 ritratti di artisti, collezionisti, curatori, galleristi, tecnici, direttori e operatori di istituzioni museali per i quali l’abbigliamento professionale è segno distintivo, una sorta di tacito codice dell’anti-uniforme, con il rischio però che questa definizione in negativo si riveli nuovamente un atteggiamento uniformato e standardizzato. M.M.

© Song Chao | Courtesy of Photography of china.com

«UNIFORM Into the work / Out of the work» Fino 3 maggio MAST-Bologna www.mast.org

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Miresi, From La Biennale di Venezia & OPEN to Rome

From La Biennale di Venezia & OPEN to Rome. International Perspectives, promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali in collaborazione con PDG Arte Communications, a cura di Paolo De Grandis, Claudio Crescentini, Carlotta Scarpa, è un nuovo concept espositivo che favorisce esperienze di arte internazionale, che aprono visioni multiple sul contemporaneo, integrate a percorsi espositivi consolidati. È il caso della mostra MIRESI. Sguardi e Architetture. Berlino / Roma / Barcellona, dove gli “sguardi” e le “architetture” dell’artista italiana, che vive e lavora da oltre 20 anni a Berlino, si confrontano con le architetture e le archeologie industriali della Centrale Montemartini, un luogo davvero unico all’interno della rete dei Musei Capitolini, sede della prima centrale termoelettrica pubblica della Capitale, inaugurata il 30 giugno del 1912. Miresi è un’artista di incredibile versatilità i cui scatti di oggi raccontano il nostro ieri: le sue opere pongono in dialogo prospettive diverse, in un parallelo visivo continuo con alcune architetture significative di Berlino, Roma, Barcellona, testimoni della trasformazione ma soprattutto della visione del “tempo architettonico”. Miresi tratta gli oggetti delle sue esplorazioni fotografiche, siano essi parti di intonaco, lamiera, mattone e cemento, negandone un ordine sistematico e assumen-

do prospettive e angolature che sembrano casuali; così decodificate e scevre da un contesto invitano il pubblico a sperimentare un senso di vicinanza empatico verso ciò che è stato inequivocabilmente creato dalla mano dell’uomo. In parallelo, alla Galleria d’Arte Moderna, Miresi realizza un’installazione di fotografie di volti, di sguardi europei, a colloquio con gli ‘sguardi’ di marmo, bronzo e terracotta del chiostro delle sculture permanenti facenti parte della Collezione d’arte del Museo. Un senso di sospensione e attesa d’azione ne fa una ritrattistica sofisticata, in bilico tra rigore formale ed eclettismo, dove l’impianto solido reiterato nella posa non toglie ma enfatizza il senso di sospensione e apertura dei soggetti. La fotografia coglie qui le tensioni nascoste del tempo nelle posture, nei gesti e negli sguardi obliqui; le correzioni ottiche accrescono queste peculiarità sublimandone il potenziale. Un doppio binario visuale per una mostra unica nel suo genere, dove pittura, fotografia e musica conducono lo spettatore verso una diversa percezione estetica.

«MIRESI. Sguardi e architetture. Berlino / Roma / Barcellona» Fino 26 aprile Musei Capitolini, Centrale Montemartini | Fino 19 aprile Galleria d’Arte Moderna-Roma - www.museiincomuneroma.it


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Lezioni italiane

Lasciamo che la ragnatela ci guidi

La Moda e i suoi Memos secondo Maria Luisa Frisa

Tomás Saraceno invita il pubblico a Palazzo Strozzi

Oggi la moda non è solo stile, eleganza o abiti ma pura contemporaneità, una lingua globale che si nutre di storia ma anche di letteratura, musica, architettura, arte, design. Un’evoluzione ben sottolineata da tutti i grandi nomi della moda, che ognuno con la sua cifra stilistica, mostra o dimostra di interpretare un pezzo del nostro vivere sociale. Tutto corre anzi scorre e si consuma, quasi senza scandire divisioni nette tra primavera/estate e autunno/inverno, tuttavia in questo procedere fluido accanto a sfilate, presentazioni, eventi sempre più social, emerge l’esigenza di innescare una serie di riflessioni sulla moda contemporanea, sulle sue qualità e sui suoi attributi, di porsi la domanda: può la moda, nel suo essere industria culturale, sistema di comunicazione, territorio ricco, ibrido e problematico, essere considerata pratica scientifica e poetica, e quindi naturalmente letteraria? La risposta è Memos. A proposito della moda in questo millennio, un progetto in forma di mostra e di catalogo, ideato e curato da Maria Luisa Frisa, promosso dalla Camera Nazionale della Moda Italiana in collaborazione con il Museo Poldi Pezzoli. La mostra utilizza le parole di Calvino – che nell’autunno del 1985 all’Università di Harvard avrebbe dovuto tenere, nell’ambito delle Charles Eliot Norton Poetry Lectures, una lezione dal titolo

Six Memos for the Next Millenium (Calvino morì improvvisamente nel settembre dello stesso anno) –, come dispositivi per riflettere sulle trasformazioni e le permanenze della moda. Memos evoca anche le note dattiloscritte da Diana Vreeland ai tempi della sua direzione di «Vogue America». Appunti, rivolti alla redazione, che trattengono sinteticamente la rapidità immaginifica di Vreeland. Note, che funzionano come mood board fatti di parole. Memos si propone così di costruire, attraverso abiti, riviste ed ephemera che fanno parte delle storie della moda, un “discorso sul metodo”, ovvero una riflessione sulla curatela di moda e sulla sua capacità di gestire i diversi prodotti della moda stessa: non solo gli oggetti, ma anche le immagini e le parole. Maria Luisa Frisa riflette sulla pratica del fashion curating e concepisce la mostra coinvolgendo Judith Clark per l’exhibition making e Stefano Tonchi con un progetto visuale. La mostra è insieme opera aperta ed esercizio di ricerca e di progettazione, di scoperta e invenzione. Teatro di questo esercizio è il Museo Poldi Pezzoli: la casa-museo di via Manzoni, al centro del quadrilatero delle moda di Milano, tra via Monte Napoleone e via Spiga. M.M. «Memos. A Proposito della Moda in questo Millennio» Fino 4 maggio Museo Poldi Pezzoli-Milano museopoldipezzoli.it

Opere immersive ed esperienze partecipative. Tomás Saraceno invita il pubblico di Palazzo Strozzi a Firenze a cambiare punto di vista sulla realtà e a entrare in connessione con elementi non umani come polvere, ragni o piante che diventano protagonisti delle sue installazioni e metafore del cosmo. Il pubblico diviene così coautore stesso dell’opera, trasformandola attraverso i movimenti del proprio corpo nello spazio creato dall’Artista, trovando così insieme strade ibride e alternative per vivere sul nostro Pianeta. Argentino classe 1973, oggi vive e lavora a Berlino, Saraceno è un artista visionario e poliedrico, la sua ricerca creativa è fortemente connotata dalla unione di arte,

architettura – quella utopica degli anni ’60 – scienze naturali e sociali: «Mi piace unire cose che provengono da realtà diverse e coinvolgono diverse comunità, e l’arte ha questo potenziale inclusivo straordinario per abbracciare voci diverse e sperimentare diversi modi di pensare, di percepire e abitare lo spazio» afferma. La ricerca di soluzioni visive e progettuali strettamente relazionate allo spazio e al paesaggio entro cui vengono inserite assume nelle installazioni site-specific nel cortile e al Piano nobile di Palazzo Strozzi un valore universale, che esalta il contesto storico e simbolico del Palazzo stesso e di Firenze attraverso un profondo e originale dialogo tra Rinascimento e contemporaneità: dall’uomo

al centro del mondo, all’uomo come parte di un universo in cui ricercare una nuova armonia. Prodotta e organizzata da Palazzo Strozzi e dallo studio Tomás Saraceno, la mostra è curata da Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi, che ha dichiarato: «Con le sue opere, Saraceno ci introduce nell’Aerocene, un’epoca tutta incentrata all’aria, intesa come elemento di sviluppo dell’umanità». M.M. «Tomás Saraceno. Aria» Fino 19 luglio Palazzo Strozzi-Firenze palazzostrozzi.org

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Trilogia della solitudine Martin Kippenberger, omaggio a Kafka K, alla Fondazione Prada di Viale Isarco a Milano, presenta la celebre opera di Martin Kippenberger (1953–1997) The Happy End of Franz Kafka’s “Amerika” in dialogo con l’iconico film di Orson Welles The Trial e l’album di musica elettronica The Castle dei Tangerine Dream. Udo Kittelmann concepisce la mostra come una trilogia, rimandando la memoria ai tre romanzi incompiuti di Franz Kafka (1883–1924) Amerika (America), Der Prozess (Il processo) e Das Schloss (Il castello), pubblicati postumi tra il 1925 e il 1927. La natura incompleta di questi libri consente letture multiple e aperte e il loro adattamento in un progetto espositivo. Basata sul romanzo Amerika,

pubblicato nel 1927, l’opera di Kippenberger reinterpreta una sequenza del libro in cui il protagonista Karl Rossmann, dopo aver viaggiato attraverso l’America, si propone per un’occupazione al “teatro più grande del mondo”. Con lo scopo di ricreare un campo da calcio destinato a ospitare colloqui di massa, l’installazione raccoglie un’ampia varietà di oggetti e arredi di diversa provenienza. Il secondo elemento della trilogia è The Trial (Il processo, 1962) di Orson Welles – proiettato al Cinema di Fondazione Prada – basato sull’omonimo romanzo di Kafka: un film drammatico caratterizzato da un umorismo nero e da un’atmosfera onirica, considerato dalla critica come uno dei suoi capola-

Photo Andrea Rossetti

vori. Terzo elemento, l’album Franz Kafka - The Castle (2013) della band tedesca fondata nel 1967 da Edgar Froese (1944–2015), diffuso in loop all’interno della Cisterna. Come afferma Udo Kittelmann «Il progetto è strutturato come una tradizionale pala d’altare, in cui la grande tavola centrale è costituita da America, mentre Il processo e Il castello formano i due pannelli laterali. I tre elementi uniti compongono una metafora degli eventi dell’esistenza umana [...]». «K» Fino 27 luglio Fondazione Prada-Milano www.fondazioneprada.org


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Qual è il punto in comune tra François Hollande, Pulp Fiction e un cardigan con i bottoni a pressione? Una donna: Agnès Troublé, detta agnès b.

I

n scienza un’anomalia designa un fenomeno che si allontana da ciò che è considerato normale. Cos’è normale, cosa non lo è e chi sono io per dirlo? Infatti non sono nessuno, solo una francese residente in Italia che, se non riesce a definire la normalità, si stupisce di fronte a casi clamorosi di anormalità. Qualche esempio: come mai di Parigi si conosce la Torre Eiffel, l’Arco di Trionfo e il Pantheon ma sono rare le persone che sanno delle arene di Lutetia? Parlando di Lutetia, perché il libro eponimo di Pierre Assouline è stato tradotto nella lingua di Dante solo cinque anni fa quando riscontrava un successo nazionale da più di dieci anni? Perché Zaz è famosa in Italia e Camille non lo è? E perché i biscotti LU che deliziano i bambini francesi non sono mai riusciti a penetrare i supermercati a sud delle Alpi quando invece i Carrefour di tutto l’esagono traboccano di Mulino Bianco? Sono queste tutte anomalie agli occhi di una francese residente in Italia e che necessitano una correzione. Oggi il mio obiettivo è di portare oltralpe persone, libri e luoghi ingiustamente e stranamente sconosciuti dagli italiani.

Ma chi è? Madre a 18 anni, nonna a 40 con il quinto figlio in arrivo, è al contempo stilista di moda affermata, imprenditrice impegnata, collezionista di arte contemporanea e mecenate appassionata, produttrice negli universi della musica e del cinema, e molto altro ancora. Oggi, a 78 anni, agnès b. è a capo di un impero che ha costruito grazie alla sua personalità unica, modellata dalle rivolte del maggio ‘68, dalla moda underground, dalla politica e, soprattutto, dalla cultura. Da bambina, in seguito alla scoperta dei pittori del Rinascimento italiano durante un viaggio in Toscana, sognava di diventare una curatrice museale. Anche se le cose sono andate diversamente, per anni ha vissuto alla scoperta di musei, gallerie, studi di artisti. Si è confrontata con un mondo creativo effervescente, a volte cupo, spesso borderline, che l’ha nutrita ispirandola nella professione di stilista in cui si è spinta. Ha esercitato quindi il suo sguardo e affinato il suo pensiero e la sua curiosità fino al punto di avere un impatto duraturo sulla scena culturale francese a partire dalla metà degli anni ‘70. La collezione che agnès b. ha costruito nel tempo è un riflesso della sua inclinazione per l’arte e le pratiche contemporanee. Ciò che mancava era solo uno spazio commisurato alla sua collezione di oltre 5000 opere. Uno spazio per dare corpo alla nozione di condivisione che la guida in tutte le sue azioni, siano esse filantropiche, sociali, imprenditoriali o artistiche. Dal 02.02.2020, data palindroma, alla Galerie du Jour – la sua galleria da 30 anni – si aggiunge quindi La Fab – La Fondazione agnès b, anche sopranominata un “posto per tutti”, situato nel cuore del tredicesimo arrondissement di Parigi, un quartiere che ha scelto per dinamismo e esemplarità in termini di diversità sociale. Per l’opening La Fab ospita un’esposizione sul tema dell’arditezza che, per agnès b. significa “osare senza essere del tutto sicuro”. Così, osando e stando comunque in dubbio, ha selezionato 250 opere, prevalentemente fotografie ma anche disegni, sculture, installazioni, video e film. Sui 1400 metri quadri di spazio si alternano opere di Basquiat, Warhol, Nan Goldin, Pierre Klossowski, Martin Parr, Richard Prince, Gilbert & George, insieme a foto, dipinti o installazioni di giovani artisti “amici”.

a cura di Delphine Trouillard

La collezione si scopre salendo da un piano all’altro lungo la scala ricoperta di borchie antiscivolo che ricordano i bottoni a pressione del celebre cardigan che l’ha resa famosa e che ha appena celebrato il suo quarantesimo anniversario. La Fab trova sede in un nuovo edificio progettato dall’architetto Augustin Rosenstiehl, dell’agenzia SOA Architectes, che ospita anche degli alloggi sociali. Perché agnès b. è così: pioniere nell’applicazione di molte misure sociali all’interno della sua azienda, impegnata nella lotta contro l’AIDS, attivista contro il riscaldamento globale, da sempre sostenitrice di molte organizzazioni sociali o umanitarie, centri culturali e di creazione, convinta che il futuro delle nostre società dipenda dalla generosità di ognuno e dall’aiuto reciproco. Chi è quindi agnès b.? Una donna al contempo discreta e determinata, che trae ispirazione sia dall’universo della strada, dalle avanguardie moderniste, dalle arti plastiche contemporanee sia dall’attuale scena musicale, letteraria e cinematografica. Una donna che presiede un centro culturale Hip Hop mentre consiglia l’ex presidente François Hollande sulla sua immagine. Una donna che veste Madonna, John Travolta, gli attori dei film di David Lynch, Quentin Tarantino e Jim Jarmush e che, talvolta, passa dietro la cinepresa per realizzare un proprio lungometraggio. Una donna che non cede alle leggi del mercato. Non cercatela infatti su cartelloni o pagine di riviste, non la troverete. agnès b. è dunque la prova tangibile che si può essere parte delle 500 maggiori fortune francesi pur essendo una madre e una donna libera. La Fab. Place Jean-Michel Basquiat-Parigi la-fab.com


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:musica Limitless

Il nome di Uri Caine evoca subito il concetto

di libertà espressiva, la più grande libertà espressiva che si possa concepire. Lui appartiene certamente alla categoria dei grandi ibridatori di generi e stili, tipica del pianismo degli ultimi decenni e legata ad una formazione classica giovanile che poi curiosità e talento hanno declinato in mille modi: tuttavia, va detto che in lui questa capacità di rivestire tutte le maschere musicali possibili non si esercita solo con i generi, che in lui subiscono una

di F. D.S. dilatazione enorme che va dal jazz al funk, dall’elettronica all’hip hop, dalla musica classica all’avanguardia, da Bach, Mozart, Mahler e Wagner a Monk e Fats Waller. La caratteristica di Caine è quella di trovarsi a suo agio anche nella molteplicità delle ‘forme sonore’, dal pianismo solo ai piccoli combo in trio o quartetto, dalle grandi orchestre ai grandi quartetti di classica come il Quartetto Arditti fino agli ensemble più laterali (ricordiamo con piacere i dischi da lui registrati delle musiche di Wagner e Mahler con le orchestrine di piazza San Marco: il suono così datato, old-fashioned rivelava comunque un amore totale per la partitura, un grande rispetto filologico per la scrittura). Tecnica sopraffina mai esibita, al servizio di un gusto solido e onnivoro: ci sembrano queste le caratteristiche principali di questo musicista di Filadelfia, lontano insomma dal solipsismo talvolta svenevole di Jarrett o dall’approccio profetico di un Brad Mehldau. Nel 2014 Uri Caine ha realizzato un disco solo al piano, Callithump, registrato in un’unica seduta, senza nessuna

alterazione dell’ordine dei pezzi. Un vero e proprio recital, insomma, in cui conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, il suo stile fatto di rigore, sobrietà e solidità improvvisativa. Nessuna chiamata alle armi, nessun languore romantico, nessun delirio di potenza, ma un pianismo equilibrato nella scelta degli approcci stilistici. Si va dal piano stride di Everything is bullshit, alla vertiginosa velocità ritmica di Chanson de Johnson e alla ballad di Magic of her earness. Il disco termina con una vera perla, quella Dotted eyes fatta di echi, effetti armonici, riverberi, accordi stridenti che galleggiano nell’aria rilasciando tutto il loro fascino sonoro per poi spegnersi nella musica del silenzio. Un vero, piccolo capolavoro di sperimentazione. C’è, in questo disco, una luminosità estetica, una raffinata sensibilità tali da configurare la sintesi perfetta tra gusto e abilità, tra strategia espressiva e capacità tecnica: questo equilibrio, solido e trasparente nello stesso tempo, ci rende Uri Caine particolarmente caro, lontano com’è dall’hype mediatico e dalla religione dei culti di altri suoi colleghi, portatore tuttavia di una irrequietezza risolta in un continuo ricercare. E non è certo un caso che il suo maestro sia stato George Crumb, inguaribile sperimentatore di stili, suoni, strumenti. Uri Caine presenta il suo disco Callithump in un solo concert il 7 marzo all’Auditorium Lo Squero dell’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, prima data di una rassegna, Squero Jazz, organizzata da Asolo Musica. Uri Caine 7 marzo Auditorium Lo Squero www.cini.it

Uri Caine is synonym with creative freedom, the largest conceivable kind. Caine belongs to

the category of hybridizers of genres and styles, which is typical of piano performances of the last few decades and comes from his classical musical upbringing that curiosity and talent would later expand in a thousand ways. We should keep in mind that his ability to don every musical hat there is goes beyond that of switching from genre to genre. What is peculiar about Caine is how at ease he feels in the multiplicity of ‘sound forms’, from piano solo to small ensembles of three or four performers to largest orchestras, and ‘lateral’ formations as well. His superior technique is never showed off or boasted but is truly at the sole service of solid, omnivorous taste. This is how we see this Philadelphian, who is so different from the soppy solipsism of Jarrett or the prophetical ways of Brad Mehldau. In 2014, Uri Caine produced a piano record, Callithump, recorded in one sitting, with no alteration of the playlist. A true recital that proves, if we ever needed a proof, that his is a style of rigour, sobriety, and improvisational solidity. There is beautiful piano stride in Everything is Bullshit, vertiginous rhythm in Chanson de Johnson, and amazing echoes, harmony effects, and experimentation in the closing track, Dotted Eyes. There is, in this album, lightness and sensitiveness, paving the way for taste and technique to meet beautifully. This balance, solid and transparent at once, makes Uri Caine very dear to us, far as he is from mediatic hype and the cult-like parterre of some of his colleagues. Uri Caine will present his record, Callithump, at his concert at Auditorium Lo Squero on March 7, a production of Asolo Musica.


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Vite da film

Lo vedi anche tu?

Dialogo fitto tra sassofono e tromba

Ispirazioni collettive per New Echoes

Altri due importanti appuntamenti nel mese di marzo della rassegna Jazz & , organizzata da Veneto Jazz, fra musica da cinema e standards rivisitati. Il 14 marzo alle Sale Apollinee del Teatro La Fenice si presenta al grande pubblico il nuovo quartetto di Diego Borotti. Si tratta della più recente formazione creata dal leader, che aggiunge un sound originale alla grande tradizione del saxofono tenore in quartetto, evolvendo il lessico del bop contemporaneo ed ereditando da questo l’amore per la tradizione, insieme a uno stile innovativo. Lo affiancano, in questa produzione, in elegante equilibrio tra jazz acustico ed elettronica, musicisti italiani giovani e già affermati come Fabio Gorlier al piano e tastiere, Davide

Liberti contrabbasso e basso elettrico e Mattia Barbieri alla batteria ed elettronica. Sabato 28 a Palazzo Grimani sarà di scena Cicci Santucci & Luca Ruggero Jacovella quintet con lo spettacolo La leggenda del pianista sull’oceano. Il trombettista di Ennio Morricone, Cicci Santucci, al quale si devono memorabili interpretazioni di colonne sonore, fa rivivere le emozioni della memoria legate a temi immortali di film. Al suo fianco nella guida del gruppo, il pianista e compositore Luca Ruggero Jacovella. I due maestri, che hanno suonato recentemente

insieme a New York e Miami interpretando colonne sonore italiane, avranno al loro fianco, ospite in molti concerti, la straordinaria vocalist italo turca Yasemin Sannino, voce della colonna sonora del film Le fate ignoranti. A completare la formazione una ritmica d’eccezione: l’eclettico contrabbassista e compositore partenopeo Aldo Perris, e il giovane batterista Francesco De Rubeis, già molto apprezzato negli States. Massimo Zuin «Jazz&» 14, 28 marzo vari luoghi a Venezia www.venetojazz.com

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Le voci di dentro Le percussioni intime di Kouaté Penultimo appuntamento della terza edizione di Etnoborder, la rassegna firmata da Veneto Jazz che mette in scena la musica etnica contemporanea. Venerdì 20 marzo a Palazzo Grimani il percussionista e polistrumentista senegalese Dudù Kouaté, accompagnato al contrabbasso, violoncello, basso elettrico, oud arabo dal veneziano Alvise Seggi, presenta Africation, un viaggio introspettivo e intimo sul mondo e sull’Africa. Un concerto polifonico che crea atmosfere magiche: dal liuto berbero (xalam) alla canjeera dal djembè agli strumenti a fiato tradizionali africani al didgeridoo. Dudu Kuate è nato in Senegal nel 1963 da una famiglia di Griots, conosciuti come custodi della

tradizione culturale e della musica africana. Dopo gli studi umanistici nel suo paese si trasferisce in Europa, a Bergamo, dove da molti anni insegna percussioni africane. Tiene conferenze sulla storia degli strumenti africani tradizionali, cercando di tracciare i confini territoriali delle popolazioni. Riconosciuto esperto degli strumenti tradizionali, in particolare percussioni e idiofoni, è riuscito includerli in vari contesti musicali. Nel 2018 esce l’album Africation in cui Dudù interpreta il ruolo assegnatogli dalla tradizione e lo fa rivivere in chiave moderna e multiculturale: i brani infatti sono prevalentemente cantati nella sua lingua madre, Wolof, con qualche richiamo al Bambarà

e con frasi in francese ed in italiano, ed esprimono una intensa carica emozionale grazie anche all’utilizzo di sonorità inedite ed originali. Afferma l’artista senegalese: «Sono nato percussionista ma con il passare del tempo ho esplorato anche altri strumenti a corda e a fiato. Questo album nasce da un’esigenza di ripartire da me stesso, è una sorta di viaggio introspettivo che apre una nuova fase della mia vita». Massimo Zuin «Etnoborder» 20 marzo Palazzo Grimani www.venetojazz.com

Tra le caratteristiche del programma di questa nuova edizione di New Echoes, la quarta per la precisione, oltre alle ormai avviate declinazioni sul superamento dei confini dei linguaggi musicali e sulla fertile capacità della scena elvetica di sintetizzare bisogni e intuizioni di respiro globale, spicca certamente la ricerca di esperienze che mettano in discussione i luoghi comuni della contemporaneità. Proprio percorrendo questa strada maestra, una delle band più innovative e acclamate arriva al Teatrino di Palazzo Grassi. LIUN - The Science Fiction Band è l’incontro creativo tra Lucia Cadotsch e Wanja Slavin, punto dove il mondo analogico si incontra/scontra con quello digitale, esplodendo in mille schegge colorate di suono. Il risultato è un universo fantasmagorico che riflette le contraddizioni del nostro tempo, con fragili melodie che emergono da un magma di beats scuri e potenti, che raccontano in modo tagliente e creativo le trasformazioni della femminilità e dell’identità. Anticipato dal disco Time Rewind, il tour primaverile che si apre proprio a Venezia – in una formazione allargata – è una porta aperta su mondi sonori nuovi e incantati. Tutto è iniziato nel 2012 in una capanna isolata nelle foreste del Brandeburgo quando il mondo avrebbe dovuto finire e dove

il duo ha trascorso tre mesi a scrivere canzoni e guardare film splatter, in attesa dell’apocalisse. Purtroppo non è successo nulla di eccitante, ma le registrazioni fatte durante questo periodo li hanno spinti in nuovi territori che avrebbero accompagnato ogni artista mentre si evolvono negli anni seguenti. La variegata scena musicale di Berlino si è poi inserita in tutte queste suggestioni e ha contribuito con arpe, trombe, flauti e tromboni per aggiungere trame calde al panorama sonoro sintetico. In un doppio concerto imperdibile assieme al trio del pianista Aruán Ortiz nell’ambito di Jazz Area Metropolitana, il giovane quintetto Ikarus è protagonista di una coloratissima sorpresa per tutti il 27 marzo. Freschi del nuovo disco Mosaismic e forti di una coppia di cantanti assortita e imprevedibile, gli Ikarus invitano ad avventurarsi dentro un mosaico sempre in trasformazione, caratterizzato da poliritmi in perenne mutamento, groove fluttuanti e avvincente improvvisazione, una musica che oscilla tra l’oscurità dei Paesi del Nord e un’eccitazione tropicale, tra l’ipnosi di Morton Feldman e Steve Reich e la fisicità dei ritmi dell’Africa Occidentale. «New Echoes» 13, 27 marzo vari luoghi a Venezia e provincia palazzotrevisan.wordpress.com


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Un uomo solo al comando

Titoli di testa

Presentazione atipica

Dalle origini ad oggi

Ennio Morricone, tributo a una leggenda vivente

Eastwood, jazz alla celluloide

L’Ira di IOSONOUNCANE al Toniolo

De Gregori: il Folkstudio, i tour, passando per i club

Il Candiani Groove di Mestre ospita un artista di fama internazionale e, per gli amanti di jazz, un compositore di grande talento, Kyle Eastwood. Cresce in una famiglia in cui la musica ha un ruolo importante, infatti, supportato dal padre, il regista Clint Eastwood, grande appassionato di jazz, lascia l’Università per studiare con il bassista francese Bunny Brunel e comincia a suonare negli ambienti jazzistici di New York e Los Angeles. Ad oggi, Kyle è un virtuoso bassista e contrabbassista con un orecchio attento sia per i grandi pezzi della storia della musica, sia per il jazz contemporaneo. Negli anni ’90 inizia la sua produzione discografica e parallelamente realizza le colonne sonore dei film del padre: Mystic

Il nuovo album di IOSONOUNCANE intitolato Ira è presentato in anteprima in sette concerti, «prima dell’uscita e prima che sia ascoltabile altrove, lo suoneremo integralmente in sette concerti». L’autore bolognese inizia la sua carriera pubblicando sulla piattaforma MySpace alcune canzoni composte e suonate da lui, con lo pseudonimo di IOSONOUNCANE, fino alla creazione di La Macarena, un album narrativo ed epico, e DIE, affresco lirico che racconta di un uomo e una donna, archetipi immersi nella natura. Con quest’ultimo album viene consacrato come musicista di riferimento per il panorama indie italiano. Ira nasce in modo atipico, infatti l’autore decide di presentarlo direttamente sul palcoscenico, scardinando così le consuete modalità di fruizione discografica, in modo che il pubblico possa immergersi nelle sonorità e nei testi, prima che qualsiasi materiale sonoro sia accessibile. IOSONOUNCANE è l’autore dell’intero disco, cui hanno collaborato molti artisti che hanno suonato durante due anni di prove in studio. Il cantante segue il proprio gusto, senza farsi influenzare, e riesce a creare dischi apprezzati da una vasta fascia di pubblico. Non resta che attendere il primo aprile e lasciarsi trasportare dalla sua nuova musica e dalle emozioni annesse e connese. Claudia Frasson

500 colonne sonore, 70 milioni di dischi venduti nel mondo, sei nominations e due Oscar vinti, tre Grammy, quattro Golden Globe e un Leone d’Oro fanno di Ennio Morricone un gigante della musica di tutti i tempi. Da qui l’idea dell’Ensemble Symphony Orchestra, fiore all’occhiello del nostro Paese, di porre omaggio al Maestro. The legend of Ennio Morricone arriva al Goldoni il 17 marzo, organizzato da Veneto Jazz, in collaborazione con il Teatro Stabile del Veneto, nell’ambito della rassegna Dal Vivo – La Grande musica al Teatro Goldoni: un viaggio incredibile tra le melodie che sono rimaste nella memoria collettiva di generazioni, con la potenza evocativa di composizioni come Mission, La Leggenda Del Pianista Sull’oceano, C’era Una Volta Il West, Nuovo Cinema Paradiso, The Hateful Eight, C’era Una Volta In America, Per Qualche Dollaro In Più, Malena. In questo omaggio sul palco si alterneranno solisti, prime parti di importanti teatri e istituzioni sinfoniche italiane, come il violoncello del Maestro Ferdinando Vietti e la tromba del Maestro Stefano Benedetti. Ospiti speciali il soprano Anna Delfino, che farà rivivere l’emozione del Deborah’s Theme da C’era una volta in America e il violinista del Circle du Soleil Attila Simon. The legend of Ennio Morricone 17 marzo Teatro Goldoni www.venetojazz.com

River, Million Dollar Baby, Gran Torino e Invictus. Kyle Eastwood suona Cinematic, assieme al suo quintetto, venerdì 27 marzo, trasformando alcune tra le più famose atmosfere cinematografiche attraverso nuove orchestrazioni, affermando: «È stato come rileggere un film attraverso un filtro jazz. Reinventare questi brani attraverso il rigore, ma anche la libertà del contesto jazz, significa ridare improvvisamente una nuova identità a ciò che fino a quel momento poteva essere solo lo sfondo sonoro della pellicola». Claudia Frasson «Candiani Groove» 27 marzo Centro Culturale Candiani-Mestre www.culturavenezia.it/candiani

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Fatto a mano Stile classico in ridefinizione Prosegue la serie di appuntamenti al T Fondaco dei Tedeschi, per valorizzare gli intrecci di civiltà, lingue e arte di cui l’identità cittadina si è sempre costituita. Venezia è la città emblema della contaminazione tra persone e culture differenti, per questo il programma previsto fino a giungo cattura spettatori trasversali. Il 26 marzo, in occasione della settimana Venise pour la Francophonie, a salire sul palco è Peace Diouf, uno dei chitarristi più talentuosi del Senegal. Ha suonato con grandi artisti del suo paese e si è trasferito a Roma, facendosi conoscere per la capacità di incorporare la moderna musica occidentale senza compromettere le profonde e radicate tradizioni senegalesi. Il suo progetto musicale

nasce dall’unione artistica con il batterista e creatore di perle Moulaye Niang, il bassista elettrico Saliou Ba, e il cantante Malick. Il loro intento è quello di ridefinire lo stile classico jazz mescolandolo al sound tipico della tradizione senegalese, un repertorio originale, composto e arrangiato dallo stesso Diouf. Infatti Peace e Moulaye definiscono la loro musica Gass, che in wolof significa “scavare” ed è proprio questa l’intenzione dei due musicisti: scavare nella cultura africana per poter portare in superficie e condividere con il pubblico i ritmi più profondi ed antichi dell’Africa occidentale. Claudia Frasson Peace Diouf Gass Ensemble 26 marzo T Fondaco dei Tedeschi www.tfondaco.com

IOSONOUNCANE 1 aprile Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

Francesco De Gregori, oltre cinquant’anni di musica, un uomo dal carattere schivo, ermetico e poco incline a mettersi in mostra, ha conquistato il pubblico con testi rivoluzionari che abbracciano almeno tre generazioni. Dopo il successo ottenuto con il suo tour estivo nel 2019, l’artista torna a suonare nei club italiani ed europei, accompagnato dalla sua band, composta da Giudo Guglielmetti, Carlo Gaudiello, Parolo Giovenchi, Alessandro Valle e Simone Talone. De Gregori incarna lo spirito autentico del cantautore, anche se sappiamo quanto preferisca essere definito come “artista” e non come “poeta”. I suoi brani sono liriche lievi, come il capolavoro La donna cannone, che rimanda ad un mondo malinconico e povero, ma allo stesso tempo sprigiona il coraggio e la forza di una donna che non desidera solo inseguire l’amato, ma soprattutto riscattarsi dall’emarginazione e dallo sfruttamento, contraddistinguendosi così dalla banalità dei testi che iniziano con “cuore” e finiscono con “amore”. Un’espressione contro la guerra è Generale, dove De Gregori racconta l’esperienza del servizio militare e prende ispirazione da Ernest Hemingway in Addio alle armi. Per mezzo di passaggi di ispirazione intimista, letterario-poetica ed etico-politica, Francesco De Gregori tratta di storia e di attualità, continuando ad essere un faro nel buio per il pubblico. Claudia Frasson Francesco De Gregori 6 marzo Supersonic Music Arena-San Biagio di Callalta - www.azalea.it



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Specchio delle mie trame

Like a bird

Dente racconta Dente, nonostante tutto

Nel segno di Charlie Parker

Dopo il successo delle due speciali anteprime che hanno fatto registrare il tutto esaurito a Milano e Roma, Dente si presenta al pubblico con le prime date del nuovo tour 2020 che da marzo lo vedrà sui palchi dei migliori club del paese, con tappa al New Age il 14 del mese. L’artista presenta nei club le canzoni del nuovo album di inediti, intitolato semplicemente Dente, e ripercorrerà i brani più amati di oltre 10 anni di carriera Accompagnato dalla sua band, Dente porterà in scena il meglio del suo repertorio, brani come Invece tu, Chiuso dall’interno, Coniugati passeggiare, e tanti altri ancora. Canzoni essenziali, ricercate nei testi e negli arrangiamenti, che grazie alla sua

inconfondibile cifra pop semplice ma mai banale, l’hanno reso in oltre dieci anni di carriera uno dei più apprezzati cantautori del nostro panorama musicale. I concerti saranno soprattutto l’occasione per presentare dal vivo i brani del nuovo, attesissimo disco di inediti – come i singoli Anche se non voglio e Adieu che anticipano l’uscita dell’album – che sarà pubblicato nel 2020 da INRI e Artist First, a distanza di 4 anni dall’ultimo Canzoni per metà. Dopo un lungo tour con il poeta torinese Guido Catalano, Dente si è preso il tempo per scrivere canzoni e registrarle: «È un disco molto diverso dai precedenti ed è quello che ha avuto la gestazione più lunga, - racconta l’artista -

dopo aver chiuso il decennio di carriera con un album autoreferenziale, Canzoni per metà, un progetto primordiale fatto uscire nel momento sbagliato, sentivo il bisogno di fare un passo verso sonorità nuove. Ho abbandonato la mia “retromania” per lavorare su un disco che suonasse più contemporaneo. Ci ho messo un po’ per capire che direzione volevo per questo nuovo disco, perché volevo fare una cosa un po’ diversa. Ci ho messo un po’: ora sono pronte, sono fatte, sono finite e sono molto contento». Dente 14 marzo New Age Club-Roncade www.newageclub.it

Charlie Parker raccontò di avere accidentalmente creato il bebop mentre improvvisava suonando Cherokee, un brano di Ray Noble. Lo suonò così tante volte che alla fine ne aveva la nausea, ma si accorse che impiegando come linea melodica gli intervalli più alti degli accordi e mettendovi sotto armonie nuove, simili, stava suonando qualcosa di nuovo, una sorta di ritmo musicale insolito che aveva dentro di sé. «Non riuscivo più a sopportare le armonie stereotipate che allora venivano continuamente impiegate da tutti. Continuavo a pensare che doveva esserci qualcosa di diverso. A volte riuscivo a sentire qualcosa, ma non ero in grado di suonarlo. Quella notte improvvisai a lungo su Cherokee. Mentre lo

facevo mi accorsi che impiegando come linea melodica gli intervalli più alti degli accordi, mettendovi sotto armonie nuove, abbastanza affini, stavo suonando improvvisamente ciò che per tutto quel tempo avevo sentito dentro di me. Rinacqui a nuova vita». Il travolgente swing di Vincent Herring arriva a Chioggia il 22 marzo per rendere omaggio alla leggenda di Bird, con il suo fraseggio fluido esploso a seguito degli ingaggi nei gruppi di Art Blakey e Horace Silver, e consolidato con le ripetute esperienze a fianco di Cedar Walton, Freddie Hubbard e Wynton Marsalis. Vincent Herring Quintet 22 marzo Auditorium San Nicolò-Chioggia www.venetojazz.com

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Di persona

Fuori dal comune

Marracash torna a vincere puntando tutto su se stesso

Le magnifiche sette in jazz

Dopo il grande successo di Santeria, progetto nato dalla collaborazione tra Marracash e Guè Pequeno, The king of rap abbandona la scena per tre anni, durante i quali riflette sullo stile di vita condotto fino a quel momento e lavora su se stesso. Il rapper afferma «non avevo niente di bello e buono da condividere con nessuno», motivo per il quale decide di fare chiarezza sulla sua crisi depressiva ed esistenziale: Marracash realizza molto dal punto di vista professionale, ma prova un senso di smarrimento perché percepisce di aver costruito poco dal lato umano, così intraprende un percorso terapeutico uscendone vincitore, nonostante continui a combattere contro se stesso.

Ad oggi viene da pensare che sia proprio questa la sua forza: un uomo in continua evoluzione che non si accontenta del successo, ma ambisce a raggiungere anche un equilibrio interiore. Ad ognuno dei brani di Persona è dedicata una parte del corpo e l’artista riesce ad incarnare nei testi ogni aspetto della sua personalità, tenendo sempre un fil rouge. Si tratta di un viaggio denso di significati alla scoperta della sua identità, infatti egli trasmette idee politiche, pensieri personali e vicissitudini che hanno segnato particolarmente il suo percorso di formazione sia dal punto di vista artistico, sia personale. Se Status esprime la volontà di Marracash di dimostrare il suo ta-

lento e di sovrastare gli artisti della scena rap, Persona è un inno all’interiorità, alla ricerca di purezza e di verità dentro ad un sé in conflitto con l’apparenza e il consumismo che governa la società. Nonostante si possa pensare ad un album cupo, si percepisce chiaramente che l’intento dell’artista non sia quello di soccombere, ma al contrario di riscatto e finalmente Marra è tornato sotto ai riflettori istintivo, emotivo e arrabbiato al punto giusto. Claudia Frasson Marracash 28 marzo PalaInvent-Jesolo www.azalea.it

Andrà in scena nei fine settimana dal 15 marzo al 5 aprile la quarta edizione di Jazz Area Metropolitana, rassegna internazionale organizzata da nusica.org che porta i grandi nomi del jazz contemporaneo nelle province di Venezia e Padova. Il festival quest’anno coinvolgerà sette Comuni, messi in rete nel territorio della Riviera del Brenta e del Miranese: Dolo, Martellago, Santa Maria di Sala e Stra a cui si sono aggiunti i Comuni di Noale, Salzano e Vigonza, che porterà la rassegna fino alla provincia di Padova. Si parte domenica 15 marzo con una doppia data all’insegna di giovani artisti, capaci di mescolare linguaggi e suggestioni differenti, a dimostrazione di come il jazz

sia uno dei linguaggi musicali più eclettici e creativi dei nostri giorni. La rassegna inaugura con una new entry, il comune di Noale, che ospiterà due concerti nel cuore della città fortificata: si inizia con UNDERSee – Sara Simionato quartet, seguiti da Stefano Tamborrino Don Karate Trio, pseudonimo che riunisce il batterista Stefano Tamborrino, Pasquale Mirra e Francesco Ponticelli. Grandissima attesa per il concerto del 21 marzo che porterà Enrico Pieranunzi a stupire il pubblico di Vigonza con un misto di eleganza, classe e immaginazione. «Jazz Area Metropolitana» 15, 21, 22, 27, 29 marzo vari luoghi in Veneto www.jazzareametropolitana.com


Hakuna matata

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Nonostante la musica africana negli ultimi anni abbia ricevuto una crescente attenzione, la musica dell’Africa orientale in particolare è rimasta per lo più in penombra, ancora lontana dai riflettori, salvo rari e fortuiti casi. Tra questi, c’è sicuramente il caso dell’eccentrica dj ugandese Kampire Bahana, che con i suoi travolgenti set bass-heavy sta portando alla ribalta i suoni della propria terra, conquistando letteralmente le dancefloor dell’intero pianeta. Guest star della Noche Afrodelika di Argo16, il 23 marzo, Kampire è una degli artisti chiave del collettivo Nyege Nyege, la super etichetta ugandese promotrice dei suoni più visionari della regione, la cui attività artistica e culturale sta contribuendo al cambiamento delle idee obsolete di un Paese molto conservatore. Attivista impegnata nel femminismo, anche attraverso la propria attività giornalistica, Kampire si distingue soprattutto come una dj dal gusto unico, che spazia dall’eleganza dei ritmi africani a quelli contaminati della tropical bass. I suoi mix su Resident Advisor, Dekmantel e Fact Magazine e la sua residency del 2019 su Rinse FM le hanno permesso di portare alla luce altri artisti africani, tra cui Hibotep, Faizal Mostrixx e Catu Diosis. Il 2018 l’ha vista suonare all’Africa Showcase curato da Diplo al Sonar di Barcellona, nonché all’Over The Border di Tokyo e all’Unsound di Cracovia, mentre lo scorso anno si è vista contesa da molti altri festival europei e ha fatto il suo debutto statunitense al Red Bull Music Festival di New York. C.S. Noche Afrodelika: Kampire 23 marzo Argo 16-Marghera www.facebook.com /argo16venezia

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Il cerchio della vita

L’uomo della stella

James Blunt si racconta attraverso il suo disco più autobiografico

Allevi, dallo spazio a Treviso...

Raggiunto il successo internazionale con il singolo You’re beautiful nel 2004, il cantautore britannico James Blunt fa sognare il pubblico femminile e non, con brani in cui canta l’amore ed uno stile musicale che spazia tra il pop, ballad, folk e rock melodico. «Questo album è dedicato ai miei genitori, a mio padre» sostiene Blunt in riferimento al suo ultimo album Once upon a time, uscito il 25 ottobre, che lo conduce in tour anche in Italia. L’ex militare si è trovato nel campo tra morte, distruzione e violenza, per questo nei suoi brani si legge una volontà di comprensione dell’essere umano e del suo spirito. Dopo aver passato un periodo in cui non riesce ad essere onesto

Un nuovo grande protagonista nel già ricco cartellone della rassegna Dal Vivo firmata da Veneto Jazz in collaborazione con il Teatro Stabile del Veneto: Giovanni Allevi si esibirà in Piano Solo il 12 marzo al Teatro Del Monaco di Treviso. Jeans, T-shirt, scarpe da ginnastica. È così che il M° Allevi incontra il proprio pubblico nei teatri più prestigiosi del mondo, dalla Carnegie Hall di New York all’Auditorium della Città Proibita di Pechino. Compositore, direttore d’orchestra e pianista, ha stregato con le sue note milioni di giovani, che affascinati dal suo esempio si avvicinano alla musica colta e all’arte creativa della composizione.
 Il suo intento estetico è quello di gettare le basi di una nuova Musica Classica Contemporanea, dove le forme complesse della classicità inglobano contenuti appartenenti alla vita quotidiana del presente. Timidissimo e schivo, sembra perfettamente a suo agio davanti alle folle, con cui riesce a stabilire un dialogo profondo ed emozionale, sia alla guida di un’orchestra sinfonica che davanti al suo amato pianoforte. Il pubblico, trasversale, di tutte le età e nazionalità lo segue con instancabile entusiasmo nelle sue numerose tournée, trasformando i teatri in arene degne di una rockstar. Recentemente l’Agenzia Spaziale americana NASA gli ha intitolato un asteroide: giovanniallevi111561.

ed incisivo con il pubblico perché troppo incline a scrivere ciò che i fan vorrebbero ascoltare, oggi il cantautore sa perfettamente il significato del cerchio della vita: nel suo si trovano la famiglia, il padre che non sta bene, la moglie e i figli, e ciò rende questo album così vero, sincero, e a tratti malinconico. Monsters è la canzone che colpisce più di tutte, perché prevalgono la commozione e i sentimenti di un figlio consapevole che è arrivato il momento in cui tocca a lui prendersi cura del padre e cacciare i mosti che lo tormentano, The truth e Cold nascono dal senso di colpa nel trovarsi spesso lontano dalla moglie e dalla famiglia, o ancora I told you e The greatest, dedicate ai figli.

Once upon a mind testimonia la maturità e l’esperienza acquisita da James Blunt nel corso degli anni che intraprende un viaggio introspettivo, alla ricerca di un “io” più autentico e sincero, apre il suo cuore e si mette a nudo, come l’emblematica immagine dell’album che lo ritrae immerso nell’acqua da cui spiccano due occhi azzurro limpido, senza maschere e sovrastrutture. Claudia Frasson James Blunt 27 marzo Kioene Arena-Padova www.zedlive.com

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Di toni e di suoni Tutti i colori di Paolo Conte Il bianco e nero non passa mai di moda. Soprattutto perché non si interessa minimamente di esserlo, alla moda. Semplicemente, non ne ha bisogno. Il bianco e nero va dritto per la propria strada, senza preoccuparsi di sbiadire, magari con un bianco più brillante e un nero più profondo a distanza di anni, guadagnandone in bellezza e in fascino. Paolo Conte, però, è un bianco e nero capace di infinite sfumature. Mai alla moda nel senso sgradevole del termine, sempre dritto per la sua strada, che magari dritta non è mai, ma capace di infinite giravolte e capriole. Cinquant’anni fa nasceva Azzurro, canzone che Conte scriveva e Adriano Celentano portava al successo contro tutto e tutti,

con un testo rivoluzionario e un ritmo ancora più insolito, come lo stesso Conte ricorda: «Quando uscì Azzurro ci fu una levata di scudi perché andava controcorrente rispetto ai ritmi dell’epoca. Sogghignarono in molti, ma io me ne infischiavo perché avevo applicato a quella canzone degli echi poetici che fanno parte della nostra sensibilità. Fui capito dal pubblico: Azzurro ebbe un grande successo. Tutte le mie canzoni nascono con questo spirito: scrivere una musica un po’ fuori moda, un po’ segreta, che vada a cercare in fondo a noi le risonanze della nostra identità...». Primatista di Targhe Tenco e particolarmente amato dai cugini d’oltralpe, l’avvocato di Asti sul

palco svela semplicemente la propria vocazione, quella cioè di raccontare storie al proprio pubblico, piuttosto che arringhe in tribunale, proprio come per Jannacci il destino era quello di parlare al cuore delle persone, anziché auscultarle. Il 21 marzo al Gran Teatro Geox Paolo Conte porta il fedele pianoforte e il sax contralto, l’immancabile marimba e la sognante fisarmonica, il clarinetto e le irrinunciabili percussioni: tutti indispensabili componenti di una tavolozza di sgargiante bianco e nero. Davide Carbone Paolo Conte 21 marzo Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com

Giovanni Allevi 12 marzo Teatro Mario Del Monaco-Treviso www.venetojazz.com


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venfri

JENNIFER GENTLE UNIVERSAL SEX ARENA Rock

13 LIUN + THE SCIENCE FICTION BAND Electro pop “New Echoes”

ZABRISKY Pop rock

Al Vapore -Marghera h. 21

p.53

Supersonic Music Arena-S. B. Callalta h. 21

07 URI CAINE Jazz “Squero Jazz”

sabsat

p.51

Auditorium Lo Squero h. 17

venfri

p.52

ROBERTO GATTO PERFECTRIO Jazz Al Vapore -Marghera h. 21

14 DIEGO BOROTTI NU4TET Jazz “Jazz&”

sabsat

p.52

Teatro Corso-Mestre h. 17.30/21

DENTE Musica d’autore

BANDA CLANDESTINA Bertè tribute Al Vapore -Marghera h. 21

giothu

TEHO TEARDO Musica elettroacustica Argo 16-Marghera h. 21.30

UNDERSEE SARA SIMIONATO 4TET STEFANO TAMBORRINO Jazz “Jazz Area Metropolitana”

p.55 domsun

p.55

MOONDUST David Bowie tribute

Al Vapore -Marghera h. 21

PAOLO CONTE Musica d’autore

sabsat

p.56

martue

p.53

ALMA SWING BIRELI LAGRENE Gypsy jazz Teatro Filarmonico-Piove di Sacco h. 21

KAMPIRE Dj-set

27 domsun

p.56

KYLE EASTWOOD Jazz “Candiani Groove”

IKARUS ARUÀN ORTIZ HIDDEN VOICES Jazz “New Echoes”

Cinema Teatro Italia-Dolo h. 21

p.56

JAMES BLUNT Pop

Kioene Arena-Padova h. 21

sabsat

28 CICCI SANTUCCI Ennio Morricone tribute “EtnoBorder”

Museo di Palazzo Grimani h. 17

p.55

MARRACASH Rap

PalaInvent-Jesolo h. 21

venfri

p.53

Centro Culturale Candiani-Mestre h. 21

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domsun

MATTEO ALFONSO GLAUCO VENIER Jazz “Jazz Area Metropolitana” Villa Loredan-Stra h. 18

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martue

ROCK OPERA Rock tribute

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

:indirizzi

Argo 16-Marghera h. 21.30

Al Vapore -Marghera h. 21

p.55

Auditorium San Nicolò-Chioggia h. 21.15

MIRKO CISILINO 5TET Jazz “Jazz Area Metropolitana”

Filanda Romanin Jacur-Salzano h. 18

ANASTASIO Rap New Age Club-Roncade h. 21

Il quartetto di gypsy jazz più longevo del Veneto incontra una leggenda della chitarra: Bireli Lagrene. Nato in Alsazia nel 1966 da una famiglia di musicisti, viene iniziato alla musica dal padre, sorprendendo per il suo talento precoce. In breve tempo Bireli costruisce uno stile abbagliante, dimostrando incredibili capacità tecniche e un talento nell’improvvisazione che lo porta ad essere tra i più grandi chitarristi di tutti i tempi. Oggi, dopo avere indagato tutti i vari fronti della chitarra moderna e collaborato con i migliori jazzmen del globo, Bireli torna alla musica da cui tutto è iniziato, a Django Reinhardt, confermandosi uno dei più grandi eredi del Maestro,

lunmon

T Fondaco dei Tedeschi h. 19

CAMILLA BATTAGLIA ROSA BRUNELLO Jazz

VINCENT HERRING QUINTET Charlie Parker tribute

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giothu 26 PEACE DIOUF GASS ENSEMBLE Afro folk p.53 “Incroci di culture”

ENRICO PIERANUNZI Jazz “Jazz Area Metropolitana”

ROLLING CARPETS Alternative rock

merwed

tidue anni e l’incisività della sua vena poetica con exploit nel cantautorato. Il 29 novembre 2019 ha pubblicato la release speciale, Il fattaccio del vicolo del Moro, contenuta nel nuovo album e che lo ha riportato a cimentarsi con la trasposizione in forma rap di grandi opere della tradizione italiana. Il fattaccio del vicolo del Moro è liberamente ispirato al celebre monologo del 1911 del poeta romano Amerigo Giuliani (l’originale si intitola Er fattaccio), portato in precedenza al successo nella versione di Gigi Proietti. È la confessione in prima persona di un assassino, che Anastasio interpreta con grande delicatezza e intensità; oltre che del testo, è autore anche della linea melodica, mentre la produzione artistica è stata curata da due pesi massimi del rap come Slait e Stabber oltre che da Alessandro Treglia.

Argo 16-Marghera h. 21.30

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

22

Teatro Goldoni h. 21

Teho Teardo, in seguito ai tour di Music for the Wilder Man accompagnato da un trio d’archi e di Fall in collaborazione con Blixa Bargeld (Nick Cave & The Bad Seeds, Einstürzende Neubauten), pubblica Ellipses dans l’harmonie, lavoro ispirato all’Encyclopédie, testo di riferimento illuminista del XVIII secolo curato da Diderot e D’Alembert. Il concept alla base di Ellipses va al di là delle nozioni musicali presenti nel testo di riferimento, stilate da Rousseau, volendosi affiancare piuttosto all’ideale dell’intera cultura illuminista, atta a vincere l’ignoranza e l’odio che corrompe la mente umana. Attivo anche come compositore per il cinema (da Gabriele Salvatores a Paolo Sorrentino) e in ambito teatrale e performativo (con Motus, Enda Walsh ed Elio Germano, tra i tanti) Teho Teardo si è contraddistinto per il suo stile che riprende la scuola musicale contemporanea del secolo scorso, fatta di suoni rarefatti e ripetizioni ossessive, unendole a ricerche sonore tipiche delle avanguardie elettroacustiche.

21

Hall-Padova h. 21

Al Vapore -Marghera h. 21

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ANTONELLO VENDITTI Musica d’autore

SHIVA Rap

SLIDING DOORS Rock

ENSEMBLE SYMPHONY ORCHESTRA Ennio Morricone tribute

Museo di Palazzo Grimani h. 17

Teatro De Giorgio-Vigonza h. 21

Piazza Castello-Noale h. 18

17

venfri 20 DUDÙ KOUATÉ p.52 ALVISE SEGGI Musica etnica contemporanea “EtnoBorder”

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

New Age Club-Roncade h. 21

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giothu

MODENA CITY RAMBLERS Kombat folk

Al Vapore -Marghera h. 21

domsun BROADWAY CELEBRATION Musica contemporanea

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19 ANTIGENE Rock

PalaInvent-Jesolo h. 21

MAISON BAS NOIR Smooth jazz

Al Vapore -Marghera h. 21

pur dimostrando di aver creato un proprio linguaggio musicale, colto, libero e raffinato. Il concerto è organizzato dal festival Jazz for Anna.

Al Vapore -Marghera h. 21

Teatrino di Palazzo Grassi h. 21

Teatro La Fenice h. 19.30

PENELOPE & I DIABOLICI TOUPÈ Repertorio anni ‘60

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Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.45

Argo 16-Marghera h. 21.30

FRANCESCO DE GREGORI Musica d’autore

GIOVANNI ALLEVI Piano solo

Atto Zero, suo primo album la cui produzione artistica è curata da Slait e Stabber oltre che da Alessandro Treglia e in uscita per Sony Music Italia è uscito il 7 febbraio. Un progetto che contiene tutte le diverse anime e sfaccettature che da sempre contraddistinguono un artista che rappresenta un unicum della scena italiana: l’energia del rap puro e semplice, la freschezza dei suoi ven-

AL VAPORE Via Fratelli Bandiera 8-Marghera www.alvapore.it

NEW AGE CLUB Via Tintoretto 14-Roncade www.newageclub.it

ARGO 16 Via delle Industrie 27/5-Marghera Fb: Argo 16

PALAINVENT Piazza Brescia 11-Jesolo www.azalea.it

AUDITORIUM LO SQUERO Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it

SUPERSONIC MUSIC ARENA Via Postumia Centro 35-S. B. Callalta www.azalea.it

AUDITORIUM SAN NICOLÒ Calle San Nicolò-Chioggia www.venetojazz.com

T FONDACO DEI TEDESCHI Calle del Fontego www.tfondaco.com

CENTRO CULTURALE CANDIANI Piazzale Candiani-Mestre www.culturavenezia.it

TEATRINO DI PALAZZO GRASSI Campo San Samuele 3231 palazzotrevisan.wordpress.com

CINEMA TEATRO ITALIA Via Comunetto 12-Dolo palazzotrevisan.wordpress.com

TEATRO CORSO Corso del Popolo 30-Mestre www.dalvivoeventi.it

GRAN TEATRO GEOX Via Tassinari 1-Padova www.zedlive.com

TEATRO FILARMONICO Piazza Matteotti 5/7-Piove di Sacco www.venetojazz.com

HALL Via Nona Strada 11/b-Padova www.zedlive.com

TEATRO GOLDONI San Marco 4560/b www.teatrostabileveneto.it

JAZZ AREA METROPOLITANA Vari luoghi in Veneto www.jazzareametropolitana.com

TEATRO LA FENICE Campo San Fantin 1965 www.venetojazz.com

KIOENE ARENA Via San Marco-Padova www.zedlive.com

TEATRO MARIO DEL MONACO Corso del Popolo 31-Treviso www.venetojazz.com

MUSEO DI PALAZZO GRIMANI Ramo Grimani 4858 www.venetojazz.com


opera, classica, contemporanea opera, classical and contemporary music

:classical La voce della libertà

The voice of freedom

Armenian mezzosoprano Varduhi Abrahamyan, born in Yerevan into a musical family, will play

Carmen at Fenice Theatre from March 25 to April 5. Abrahamyan loves Carmen – she played her in prestigious theatres all over the world. Carmen is a play of seduction, only with opposite roles. Carmen is a nonconformist in a society that is still hostile to women’s emancipation, which was the dominant mentality in the nineteenth century. She is an untamed freedom fighter and freedom is the key to understand the opera.

Carmen. I’ve always dreamed of playing Carmen, and the dream came true six years ago at the Toulon Opera in France. It is a role that defines my career: I played Carmen at the Opéra National in Paris, at Teatro Massimo in Palermo, in Atlanta, Hong Kong, Zurich, Oviedo, Turin, Moscow, and Munich. Carmen is amazing – she is such an interesting, complex woman, of clear mind, and a deep-rooted sense for freedom.

La cantante mezzosoprano armena

Varduhi Abrahamyan, nata a Yerevan in una famiglia di musicisti, veste i panni di Carmen, nella famosissima opera di Georges Bizet, in scena alla Fenice dal 25 marzo al 5 aprile, con la regia di Calixto Bieito, ripresa da Albert Estany e diretta dal maestro Myung-Whun Chung. Varduhi Abrahamyan è perfettamente a suo agio nei panni di Carmen, che ha portato in scena con grande successo in

di Fabio Marzari e Davide Carbone numerosi e prestigiosi teatri. Carmen è opera della seduzione a parti invertite, quasi un Don Giovanni al femminile, capolavoro di Bizet che trascende ogni distinzione di genere in un meccanismo teatrale perfetto, con situazioni che incarnano conflitti profondi e universali, come quello tra libertà e destino. In una società ostile all’emancipazione femminile come quella ottocentesca, Carmen è una donna controcorrente, indomita nel suo anelito alla libertà, insofferente a pressioni e pregiudizi e disposta a pagare con la vita la propria scelta («Jamais Carmen ne cédera! / libre elle est née et libre elle mourra!»). La libertà è la parola chiave dell’opera, è il motore che innesca i re-

agenti che ruotano attorno alla bella sigaraia e che trova espressione nella danza. Varduhi racconta la sua Carmen. Carmen è uno dei personaggi più iconici dell’opera lirica. Come si è avvicinata al personaggio e come sarà la sua Carmen dal punto di vista teatrale? Ho sempre considerato un sogno poter interpretare il personaggio di Carmen, e il sogno è diventato realtà sei anni fa, all’Opera di Tolone in Francia. Da allora è un ruolo che mi ha costantemente accompagnato nella mia carriera e che ho avuto la fortuna di cantare in teatri importanti come l’Opéra National di Parigi, il Teatro Massimo di Palermo, l’Opera di Atlanta, l’Opera di Hong Kong, l’Opera di Zurigo, l’Opera di Oviedo, il Teatro Regio di Torino, il Teatro Bolshoi di Mosca e la Bayerische Staatsoper di Monaco. Quindi mi sento davvero molto fortunata! Il personaggio è meraviglioso da ogni punto di vista; è una donna interessante e complessa, che fin dalla sua prima aria, la famosa Habanera, dimostra di avere le idee molto chiare e un ideale di libertà ben radicato in lei. Vive al di fuori Carmen 25 marzo-5 aprile Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it

Staging the Carmen. I must confess that I loved Bieito’s version ever since our work in Palermo and in Paris. It’s full of violence, fatality, and eroticism. A brave, modern direction, full of clever ideas that doesn’t betray Carmen’s feelings and respect the libretto and Bizet’s notes. This is what happens with timeless character like Carmen: they adapt to changing environments because they belong in all cultures and all ages. Director Myung-Whun Chung. This is my first time working on the Carmen with MyungWhung Chung, but I did work with him on Verdi’s Requiem. He is a talented director and excellent musician. I am very happy to be able to work with him in Venice. The Carmen at the Metropolitan. I am looking forward to my debut at the Metropolitan, another dream coming true! And not only to play Carmen. I will be playing Fenena in the Nabucco as well. Also, I am so lucky to have more than the Metropolitan in my future: Barcelona, Zurich, Japan, Australia… For the time being, I am sticking to French opera, but I also think there will be more Verdi further down the line. I think that’s where my voice will be going.


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L’allestimento - controverso secondo i puristi - di Calixto Bieito è caratterizzato da una recitazione assai dispendiosa per gli interpreti. Quali le difficoltà e le opportunità che un tale coinvolgimento comporta? Devo confessare che la versione di Bieito mi è piaciuta moltissimo, fin da quando l’ho interpretata prima a Palermo e poi Parigi La Bastille. È carica di violenza, fatalità ed erotismo, la regia è coraggiosa e moderna, piena di idee intelligenti e non tradisce l’essenza delle emozioni di Carmen, rispettando al contempo il libretto e le linee musicali di Bizet. Questo è ciò che succede con personaggi universali come questo: sono atemporali e si adattano senza grossi problemi ai cambiamenti di ambientazione perché appartengono a tutte le culture e tutte le età. Come artista mi piace sentire e vivere i personaggi, quindi interpretare Carmen è per me un piacere che mi gusto e che mi diverte ad ogni recita. Ho avuto l’opportunità di cantare il ruolo in diverse produzioni e questo mi ha permesso di conoscere il personaggio a fondo e renderlo mio, al di là delle differenze nelle indicazioni di regia che ovviamente rispetto sempre. Ha mai lavorato con il direttore Myung-Whun Chung? Se ha già lavorato con lui, quali sono le sfumature del personaggio che la direzione secondo Lei ha esaltato? Se non ha mai lavorato con lui, visto che Lei ha cantato Carmen in tantissimi teatri internazionali, che direttori musicali le hanno regalato le emozioni più indimenticabili e perché? Con il Maestro Myung-Whun Chung non ho ancora

lavorato in nessuna produzione di Carmen; lo farò per la prima volta a Venezia, ma ho avuto l’opportunità di cantare il Requiem di Verdi sotto la sua direzione. È un grande direttore e un musicista raffinato, quindi sono felicissima di poter lavorare di nuovo con lui a Venezia. Per quanto riguarda gli altri direttori con cui ho collaborato interpretando Carmen, recentemente ho cantato il personaggio a Monaco di Baviera con la direzione di Asher Fisch, con cui si è creata una connessione musicale molto speciale e con il quale spero di cantare di nuovo. Carmen segnerà il suo debutto nella prossima stagione al Metropolitan di New York. Ci racconti i suoi progetti futuri e quale personaggio, tra tutte le eroine del panorama operistico, sogna di interpretare e non ha ancora affrontato, la favorita tra tutte? Finalmente debutterò al Metropolitan di New York, un altro sogno che diventa realtà. Sarò nella Grande Mela prima con la zingara di Bizet e poi con il ruolo di Fenena nel Nabucco. Per quanto riguarda altri progetti futuri, questa stagione è piena di impegni che mi entusiasmano: tornerò al Gran Teatre del Liceu di Barcellona e all’Opera di Zurigo con Carmen, ad agosto tornerò in Giappone portando sempre Carmen e poi debutterò in Australia con Lucrezia Borgia. Per quanto riguarda i ruoli che vorrei cantare, al momento rimango nel bel canto e nell’opera francese, ma sono sicura che in futuro ci sarà più Verdi nella mia carriera. La scorsa stagione ho debuttato col ruolo di Eboli nel Don Carlo ed è stata una bellissima esperienza. Con l’evoluzione naturale della mia voce credo che mi sentirò sempre più a mio agio in quel repertorio.

©FondoMelBonis

L’identità di genere Più ancora di quella dei loro colleghi maschi, la memoria delle compositrici francesi del XIX secolo si è perduta, ed è solo grazie a ricerche e a progetti discografici recenti che le si sta a poco a poco riscoprendo. Queste iniziative hanno permesso di evidenziare come, nonostante le pressioni sociali esercitate sulle donne a quell’epoca (in primo luogo il matrimonio e la maternità), esista un corpus “femminile” quantitativamente e qualitativamente importante che merita di essere riscoperto, anzitutto per ragioni artistiche. Tenute per lo più a distanza dalle scene della lirica, la cui conquista, allora, era considerata il culmine della carriera (con poche rare eccezioni, tra cui Augusta Holmès), le compositrici si sono dedicate maggiormente ai generi della musica per pianoforte o della musica da camera. Qualcuna ha tentato la strada della musica sacra, come Clémence de Grandval. E anche se le donne sono state ben rappresentate nelle classi di armonia, di contrappunto e di composizione al Conservatorio di Parigi per tutto l’Ottocento, si è dovuto attendere fino al 1913 perché a una di loro, Lili Boulanger, fosse assegnato per la prima volta un Premier prix de Rome, seppure ex aequo con il compositore Claude Delvincourt. In occasione della rassegna La rivelazione delle donne compositrici dal 28 marzo al 25 aprile, il Palazzetto Bru Zane collabora con il Centro Veneto Donne in musica, nato nel 2006 per divulgare la storia delle compositrici che vissero in questa regione e per promuovere la creatività femminile di tutti i tempi, luoghi e generi musicali. A tale scopo, il Centro si propone di far riscoprire i punti chiave che hanno segnato il passaggio delle donne musiciste nella città di Venezia, a partire dalla nascita delle prime orchestre femminili negli ospedali, fino a luoghi che, come il Teatro Malibran, hanno marcato il passaggio di figure come Maria Malibran e Pauline Viardot, sua sorella. La quantità e la qualità delle opere di compositrici da riscoprire è tale da offrire un’ampia scelta per la rassegna firmata Bru Zane. Oltre a lavori di Mel Bonis, figura centrale della stagione, nel corso del festival composto da sette concerti a Venezia saranno eseguiti brani di Louise Farrenc, Hélène de Montgeroult, Marie Jaëll o Rita Strohl. Sul palcoscenico a ritmo incalzante ecco artisti come Guillaume Bellom (9/4), Gloria Campaner (29/3), Claire Désert (25/4), Cyrille Dubois (28/3), Luca Fiorentini (19/3), Anne Gastinel (25/4), I Giardini (4/4), Ismaël Margain (9/4), il Quatuor Zaïde (29/3), Tristan Raës (28/3), Blanche Stromboni (29/3), Jakub Tchorzewski (19/3), il Trio Sōra (16/4) e Marie Vermeulin (21/4).

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:bruzane

delle norme stabilite e non è disposta a rinunciare ai suoi ideali per niente, al punto di sacrificarsi e morire.

Until recently, we believed that the story of female composers of the nineteenth century had been lost. In fact, new research and projects are coming up and allow us to rediscover what has been guiltily neglected. Kept at a distance from what was considered, for a composer, the peak of career – opera – these women dedicated themselves mostly to piano pieces or chamber music. Some took the path of sacred music, like Clémence de Grandval. Women have also had a place in harmony, counterpoint, and composition classes at the Paris Conservatory in the nineteenth century, but it was only in 1913 that one of them, Lili Boulanger, was assigned a Premier prix de Rome. At Palazzetto Bru Zane, programme Discovering Women Composers tells the story of the key points in the history of female musicians in Venice. The quantity and quality of music makes for a rich musical season. The seven concerts will take place between March 28 and April 25. Photo J Henry Fair

«La rivelazione delle compositrici» 28 marzo-25 aprile vari luoghi a Venezia www.bru-zane.com


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Se la musica ha un colore

Canzoni per un amico

Se io ti accompagno

Repertorio da camera alle Sale Apollinee

Si suona in riva all’acqua

Brunello, Bach e il Quartetto Venezia

Musikàmera di marzo alle Sale Apollinee della Fenice di Venezia apre giocando “in casa” con l’Ottetto K803 di Franz Schubert. Sono I Solisti della Fenice, infatti, ad eseguire quest’opera dove il modello beethoveniano trascolora nella melodia intimamente romantica di Schubert. Nel concerto successivo (lunedì 9) è di scena il Quartetto Van Kuijk: viene significato musicalmente il Neoclassicismo di Mozart (Divertimento K138), il Novecento di Béla Bartók (Quartetto n. 4 Sz 91) e il Romanticismo di Schumann (Quartetto Op. 41 n. 3). Raffinati ascolti vengono proposti dal soprano Valentina Coladonato accompagnata dal pianoforte di Claudio Proietti: Histoire Naturelle di Maurice Ravel, Liriche minime

di Ivan Fedele, una selezione dai Shakespeare Sonnets di Mario Castelnuovo-Tedesco per finire con Le Fraîcheur et le Feu e Le travail du Peintre di Francis Poulenc (venerdì 13). Sabato 21 è la volta del primo Novecento italiano, i fratelli Armellini (Leonora e Ludovico) con il flautista Tommaso Benciolini eseguiranno le Musiche per tre strumenti di Giorgio F. Ghedini, il Notturno e Danza del padovano Silvio Omizzolo, il Romanzo e Allegretto scherzoso di Guido A. Fano e di Alfredo Casella Sicilienne et Burlesque. Il 250° della nascita di Beethoven viene celebrato dal tenore Mark Padmore accompagnato dal pianoforte di Imogen Cooper nel concerto di domenica 29. Una selezione tratta dal corpus di circa settanta Lieder

Photo Nikolaj Lund

composti da Beethoven durante la sua vita: Maigesang Op. 52, Neue Liebe, neues Leben Op. 75 entrambi su testo di Goethe, Adelaide Op. 46 e la raccolta An die Ferne Geliebte Op. 98 articolata in vari episodi senza soluzione di continuità, nella quale Beethoven si accomiata senza pietismi dalla giovinezza, dai progetti matrimoniali, dalla romantica grandiosità epica. Andrea Oddone Martin «Musikàmera» 9, 10, 13, 21, 29, 30 marzo Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it

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Le note dei giovani Werther Ogni concerto è un’opportunità Musica con le Ali permette al pubblico e anche ai giovani musicisti di poter affiancare interpreti importanti con gruppi emergenti, un confronto che è uno scambio di esperienze e di tecnica artistica e musicale per un’offerta sempre più vasta che il Teatro La Fenice propone al suo pubblico numeroso, e volta ad allargare l’audience coinvolgendo anche i più giovani, avvicinandoli al Teatro e alle sue proposte culturali ad ampio spettro. Come ha detto Carlo Hruby, Presidente dell’Associazione Musica con le Ali, tale ciclo di concerti rappresenta «un’opportunità di crescita professionale e un’occasione di visibilità di livello impareggiabile, resa tale dal prestigio di questo Teatro unico al

mondo e dagli interpreti di fama internazionale che affiancano i nostri giovani talenti e costituiscono per loro un modello di eccellenza. Desidero inoltre sottolineare che una delle linee guida della nostra stagione al Teatro La Fenice e più in generale di tutta l’attività dell’Associazione Musica con le Ali è l’attenzione, oltre che ai giovani interpreti, ai giovani ascoltatori, nella consapevolezza che la musica classica rappresenta uno dei patrimoni culturali più importanti del nostro Paese e uno strumento di crescita personale e collettiva di eccezionale valore». L’appuntamento di marzo è fissato il giorno 12 con il violinista padovano Federico Guglielmo, un autentico virtuoso cui la critica

All’Auditorium Lo Squero, affascinante sala da concerti sorta nel luogo di un’antica officina per la riparazione delle gondole sull’Isola di S. Giorgio Maggiore a Venezia, ha preso le mosse a febbraio, fino al 12 dicembre 2020, la quinta Stagione musicale realizzata da Asolo Musica in collaborazione con Fondazione Giorgio Cini, il sostegno di MiBACT e Regione Veneto e la partecipazione di Pro-Gest, occasione straordinaria per godere della suggestione del luogo e per ascoltare alcuni dei migliori musicisti veneti in attività, oltre ad alcuni attesissimi ospiti stranieri. Ad aprire la rassegna è stato il Quartetto di Venezia, formazione apprezzata in tutto il mondo e presente allo Squero fin dall’inaugurazione nel 2016. Dopo il percorso della stagione passata, tra Mozart e Haydn, quest’anno il Quartetto chiude il cerchio della scuola viennese e approda a Beethoven, di cui eseguirà l’integrale dei Quartetti nel corso di sei diversi appuntamenti in rassegna. Il ciclo è dedicato, a 100 anni dalla sua nascita, a Piero Farulli. violista per oltre trent’anni del celebre Quartetto Italiano e ideatore, fondatore e direttore della Scuola di Musica di Fiesole.

internazionale riconosce “una versatilità straordinaria” ed “una matura autorevolezza interpretativa”, insieme al Quartetto Werther, fondato nel 2016 e presente in moltissime rassegne di primo piano non solo in Italia, ma in tutta Europa. In programma musiche di Gustav Mahler, Quartettsatz in la minore per pianoforte e archi e Johannes Brahms, Quintetto in fa minore op. 34 per pianoforte e archi. F.M. «Musica con le Ali» 12 marzo Teatro La Fenice www.musicaconleali.it

«Stagione 2019/2020» 28 marzo Auditorium Lo Squero www.cini.it

In occasione del prossimo concerto della XXXIV Stagione di musica da camera e sinfonica di Mestre, mercoledì 18 marzo salirà sul palco del Teatro Toniolo un insolito organico: Mario Brunello, al violoncello e violoncello piccolo, insieme al Coro del Friuli Venezia Giulia, con la direzione di Cristiano Dell’Oste. Per questo programma musicale, stratificato nei generi e ricco di suggestioni, gli strumenti di Mario Brunello (il preziosissimo violoncello grande Maggini appartenuto a Franco Rossi e quello piccolo) dialogheranno con una trentina di voci del Coro, con le percussioni di Gabriele Rampogna e, per i sei canti di Achmatova songs di John Taverner, con la voce del soprano Karina Oganjan. I brani scelti stimolano riflessioni su alcuni grandi temi come la fratellanza (Fratres di Arvo Pär, dall’avvolgente spiritualità), il rapporto con il divino (il Mottetto BWV 225 di Johann Sebastian Bach), il desiderio di libertà (Muss es sein di Leo Ferrè), il trascorrere inesorabile e talvolta caotico della nostra esistenza (Flows di Valter Sivilotti). Il 22 marzo ancora l’incontro tra musica e voce al centro, precisamente con il Quartetto Venezia e la contralto Sara Mingardo. «Io Sono Musica 2019/2020» 18, 22 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo


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Ouverture in stile

Il profumo di un libro

Furor di pubblico

Val più la lirica della grammatica

Pagine passate, inchiostro ancora fresco

A Vicenza due date con grandi interpreti

Il Teatro Comunale Mario del Monaco di Treviso, antico e prestigioso edificio situato nel centro storico della città, propone la messa in scena di due opere, rispettivamente una teatrale e una sinfonica, in data 4 e 25 marzo. Il primo spettacolo presentato è Disastri all’opera, pièce liricocomico-teatrale dell’Ensemble da Camera dell’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta. Il direttore è Marco Titotto, con la partecipazione dei tenori/attori Antonio Feltracco e Filippo Pina Castiglioni, del soprano Eleonora Gennusa, del mezzosoprano Silvia Alice Giannola, del tenore Orfeo Zanetti e del baritono Omar Kamata. L’opera tratta i racconti, gli aneddoti, le storie a volte ridicole delle opere interpretate di due artisti

e altre a loro raccontate. Quattro cantanti interpretano le arie, i duetti, gli ensemble delle opere narrate fino alla conclusione dello spettacolo che altro non è che l’inizio della storia. L’Orchestra di Padova e del Veneto è accompagnata dal direttore musicale e artistico Marco Angius nell’esecuzione di Rendering, opera di Franz Schubert, reinterpretata da Luciano Berio; successivamente Ouverture in do maggiore in stile italiano di Schubert e la Sinfonia K 183 di Wolfgang Amadeus Mozart, due lavori strumentali che in epoche diverse e in modo del tutto personale affrontano i modelli della musica sinfonica italiana. Nonostante oggigiorno alcuni tipi di intrattenimento sembrano

essere considerati obsoleti da una grande percentuale di individui, in particolare quelli della fascia giovanile, il teatro rimane un luogo in cui il tempo scorre in maniera differente. La magia del teatro si fa più vivida quando l’orchestra guidata dal suo direttore inizia a suonare l’ouverture e i sensi continuano ad essere sollecitati quando entrano in scena gli attori: la vista viene colpita dalla sfarzosità dei costumi e dai colori delle scenografie. Claudia Frasson «Stagione 2019/2020» 4, 25 marzo Teatro Mario Del Monaco-Treviso www.teatrostabileveneto.it

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Inno a Beethoven Fondazione Levi celebra i 250 anni del Maestro Quest’anno ricorre l’anniversario dei 250 anni dalla nascita di Beethoven e Fondazione Levi propone una serie di concerti per celebrare l’immortale compositore. Ludwig van Beethoven è uno dei casi più complessi della storia della musica: collocato cronologicamente in piena epoca classica, infatti, le sue opere seguono forme tradizionali come sinfonie, sonate e quartetti, ma al contempo sono imbastite di spirito di libertà espressiva tipica romantica, per questo Beethoven è considerato un grande visionario. Per questo importante anniversario Fondazione Levi propone dal 6 al 24 marzo un variegato programma che include sei concerti, una masterclass di pianoforte e

una conferenza di alto livello. Il 9 marzo a Palazzo Giustinian Lolin è attesissima l’esibizione dell’artista napoletano Michele Campanella, pianista di professione, ma preferisce essere definito come musicista, in quanto «con il primo termine si pensa alle mani, con il secondo al cuore e al cervello». Alla costante ricerca del Suono, si esibisce eseguendo le Ultime tre sonate di Ludwig van Beethoven seguite da una masterclass per gli allievi del Conservatorio sulla composizione sonatistica del compositore di Bonn. Il 6 marzo alle 17 alla Fondazione Levi, Enzo Carioli e Anna Martignon si esibiscono ne Il flauto di Ludwig van Beethoven, mentre il 17 alla stessa ora due

giovani allievi del Conservatorio saranno accompagnati dal maestro Giovanni Battista Rigon. Due i momenti dedicati alle Sonate per violino e pianoforte, il primo con Duna Ilić e Andrea Rinaldi (19 marzo) e il secondo il con Giovanni Agazzi e Giuseppe Grippi (24). In questa nostra epoca, così proiettata verso il futuro, si sente più che mai il desiderio di fermarsi un attimo per assaporare con gioia la grande musica del passato. Claudia Frasson «La Fondazione Levi per i 250° di Ludwig van Beethoven» 6-24 marzo Palazzo Giustinian Lolin - www.fondazionelevi.it

Nell’ambito della stagione concertistica di musica antica, dedicata a Venezia, e promossa dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche e dall’associazione almamusica433, il 22 marzo sono in programma, nell’auditorium di Santa Caterina di Treviso, una conferenza con Mario Infelise e un concerto con l’Ensemble Kalicantus, dedicati al volume Hypnerotomachia Poliphili. Nel 1499 lo stampatore Aldo Manuzio pubblicava l’Hypnerotomachia Poliphili, considerato per secoli il più bel libro mai stampato al mondo. La conferenza–concerto racconta il volume scritto da Francesco Colonna, di cui la Biblioteca Civica di Treviso conserva una prima edizione. Treviso è il luogo geografico in cui si svolge il romanzo, una metafora della vita che suscita ancora ai tempi nostri numerose riflessioni. Le musiche degli autori stampati a Venezia, nelle famose stamperie dei maestri veneziani, saranno la cornice perfetta per far rivivere le parole e i suoni di un capolavoro antico. Grazie alla collaborazione del Comune di Treviso e di Civita Tre Venezie, gli spettatori della conferenza–concerto, al termine dell’evento, potranno visitare gratuitamente la mostra Natura in posa. Capolavori dal Kunsthistorisches Museum di Vienna in dialogo con la fotografia contemporanea, aperta nel Museo di Santa Caterina.

© Fabio Fuser

«Musica Antica in casa Cozzi» 22 marzo Auditorium Santa Caterina-Treviso www.fbsr.it

Il Teatro Comunale Città di Vicenza prosegue la sua intensa stagione anche nel mese di marzo, alternando generi differenti. Il 13 marzo ecco il Montrose Trio, il cui nome trae ispirazione da un importante vino francese, lo Château Montrose che i tre musicisti del gruppo amano degustare al termine dei loro concerti. Nel 2015 il «Washington Post» ha scritto di loro che offrono “esecuzioni al massimo, e sono decisamente tra i principali trii al mondo”. Il trio musicale composto dal violinista Martin Beaver e dal violoncellista Clive Greensmith con il pianista Jackie Parker propone al pubblico berico un concerto con musiche di Schubert e Dvořák, autori divenuti tra i loro cavalli di battaglia, eseguiti alla perfezione. Il 27 marzo è la volta della star del pianoforte, la virtuosa Yuja Wang, definita all’inizio della sua carriera “dita volanti” per le sue funamboliche capacità di compiere delle scorribande sulla tastiera. Una star internazionale della musica, molto amata e ammirata dal pubblico di tutte le età, apprezzata anche per i suoi look arditi, poco convenzionali con cui si presenta ai concerti. Il programma prevede musiche di Galuppi, Bach, Brahms, Chopin, Scriabin, Ravel, Berg, Mompou. «Stagione 2019/2020» 13, 27 marzo Teatro Comunale di Vicenza www.tcvi.it


:classical :agenda

merwed 04 I SOLISTI DELLA FENICE Alessandro Cappelletto violino Gianaldo Tatone violino p.60 Pëtr Pavlov viola Nicola Boscaro violoncello Stefano Pratissoli contrabbasso Vincenzo Paci clarinetto Marco Giani fagotto Konstantin Becker corno Musiche di Schubert “Musikamera”

10

martue

QUARTETTO VAN KUIJK (vedi lunedì 8 marzo) “Musikamera” Ingresso/Ticket € 25 Teatro La Fenice h. 20

merwed 11 DAVIDE TEODORO clarinetto CARLO TEODORO violoncello Musiche di Miani, Montalbetti “Ex Novo Musica”

Ingresso/Ticket € 25 Teatro La Fenice h. 20

sabsat

07

RUDOLF BUCHBINDER direttore Musiche di Beethoven Orchestra del Teatro La Fenice “Stagione Sinfonica 2019/2020” Ingresso/Ticket € 110/75 Teatro La Fenice h. 20

08

domsun

ANNA MALVASIO soprano ROBERTO MENEGAZZO tenore ANTONELLO MERIDDA soprano ANDREA LIA RIGOTTI soprano CLAUDIO M. MORETTI pianoforte Musiche di Satie, Ravel, Weill “Musica e Aperitivo” Ingresso/Ticket € 25/5 Teatro La Fenice h. 11.30

RUDOLF BUCHBINDER direttore (vedi sabato 7 marzo) “Stagione Sinfonica 2019/2020” Ingresso/Ticket € 110/75 Teatro La Fenice h. 17

Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 17

09

lunmon

QUARTETTO VAN KUIJK Nicolas Van Kuijk violino Sylvain Favre-Bulle violino Emmanuel Francois viola Francois Robin violoncello Musiche di Mozart, Schumann “Musikamera” Ingresso/Ticket € 25 Teatro La Fenice h. 20

MICHELE CAMPANELLA pianoforte Musiche di Beethoven “Fondazione Levi per Beethoven” Ingresso libero/Free entry Fondazione Levi h. 20.30

p.60

Ingresso/Ticket € 35/10 Teatro Toniolo-Mestre h. 20.30

giothu

19

DUNJA ILIC violino ANDREA RINALDI pianoforte Musiche di Beethoven “Fondazione Levi per Beethoven”

domsun 22 SARA MINGARDO contralto QUARTETTO DI VENEZIA Andrea Vio violino Alberto Battiston violino Mario Paladini viola Angelo Zanin violoncello Musiche di Bach, Pärt “Io Sono Musica 2019/2020” Ingresso/Ticket € 35/10 Teatro Toniolo-Mestre h. 20.30

ENSEMBLE KALICANTUS p.61 Musiche del repertorio antico “Musica antica in casa Cozzi” Ingresso/Ticket € 10 Auditorium Santa Caterina-Treviso h. 16

martue

24

GIOVANNI AGAZZI violino GIUSEPPE GRIPPO pianoforte Musiche di Beethoven “Fondazione Levi per Beethoven”

Ingresso libero/Free entry Fondazione Levi h. 17

12

giothu

FEDERICO GUGLIELMO violino QUARTETTO WERTHER Misia Iannoni Sebastianini violino Martina Santarone viola Simone Chiominto violoncello Antonino Fiumara pianoforte Musiche di Mahler, Brahms “Musica con le Ali” p.60 Ingresso/Ticket € 20 Teatro La Fenice h. 18

venfri 13 ALLIEVI DEL CONSERVATORIO BENEDETTO MARCELLO Musiche di Beethoven “Fondazione Levi per Beethoven” Ingresso libero/Free entry Fondazione Levi h. 17

VALENTINA COLADONATO soprano CLAUDIO PROIETTI pianoforte Musiche di Ravel, Fedele “Musikamera” Ingresso/Ticket € 25 Teatro La Fenice h. 20

Musiche di Farrenc, Bonis, Jaëll “La rivelazione delle compositrici”

p.59

EX NOVO ENSEMBLE Davide Teodoro clarinetto Carlo Lazari violino Carlo Teodoro violoncello Aldo Orvieto pianoforte Musiche di Bloch, Juon “Ex Novo Musica”

21

sabsat

Ingresso/Ticket € 240/110 Teatro La Fenice h. 19

26

giothu

CARMEN (vedi mercoledì 25 marzo) “Stagione Lirica e Balletto 2019/2020”

27 sabsat

venfri

28

Teatro Malibran h. 15.30

TATJANA VASSILYEVA violoncello ANNA GOURARI pianoforte Musiche di Schumann, Schubert “Musicaè”

sabsat

CARMEN (vedi mercoledì 25 marzo) “Stagione Lirica e Balletto 2019/2020”

domsun Ingresso/Ticket € 30/10 Auditorium Lo Squero h. 17

FORTEPIANO TRIO Tommaso Benciolini flauto Ludovico Armellini violoncello Leonora Armellini pianoforte Musiche di Omizzolo, Fano “Concerti Archivio Fano” Ingresso/Ticket € 25 Teatro La Fenice h. 20

Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30

29

domsun

CARMEN (vedi mercoledì 25 marzo) “Stagione Lirica e Balletto 2019/2020” Ingresso/Ticket € 240/110 Teatro La Fenice h. 15.30

QUATUOR ZAÏDE Intorno al pianoforte

Gloria Campaner pianoforte Blanche Stromboni contrabbasso Musiche di Farrenc, Bonis “La rivelazione delle compositrici”

Ingresso/Ticket € 15/5 Scuola Grande San Giovanni Evangelista h. 17

MARK PADMORE tenore IMOGEN COOPER pianoforte Musiche di Beethoven, Schubert “Musikamera”

Ingresso/Ticket € 30/10 Auditorium Lo Squero h. 17

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martue

CARMEN (vedi mercoledì 25 marzo) “Stagione Lirica e Balletto 2019/2020” Ingresso/Ticket € 240/110 Teatro La Fenice h. 19

:indirizzi AUDITORIUM LO SQUERO Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it

FONDAZIONE LEVI San Marco 2893 www.fondazionelevi.its

SCUOLA GRANDE SAN GIOVANNI EVANGELISTA San Polo 2454 www.bru-zane.com TEATRO LA FENICE Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it www.musicaconleali.it

Ingresso/Ticket € 240/110 Teatro La Fenice h. 19

QUARTETTO DI VENEZIA Andrea Vio violino Alberto Battiston violino Mario Paladini viola Angelo Zanin violoncello Musiche di Beethoven “Stagione 2020”

Ingresso/Ticket € 25 Teatro La Fenice h. 20

PALAZZETTO BRU ZANE San Polo 2368 www.bru-zane.com

Ingresso/Ticket € 240/110 Teatro La Fenice h. 19

PINOCCHIO (vedi sabato 14 marzo) “Stagione Lirica e Balletto 2019/2020”

Musiche di Chaminade, Bonis, Jaëll “La rivelazione delle compositrici”

AUDITORIUM SANTA CATERINA Piazzetta Botter-Treviso www.fbsr.it

Ingresso/Ticket € 240/110 Teatro La Fenice h. 19

CARMEN (vedi mercoledì 25 marzo) “Stagione Lirica e Balletto 2019/2020”

Teatro Malibran h. 15.30

Ingresso/Ticket € 10 Teatro La Fenice h. 20

merwed

CARMEN p.58 Opéra-comique in quattro atti Musiche di Bizet Myung-Whun Chung direttore Calixto Bieito regia “Stagione Lirica e Balletto 2019/2020”

IGOR ANDREEV pianoforte QUARTETTO NOUS Tiziano Baviera violino Alberto Franchin violino Sara Dambruoso viola Tommaso Tesini violoncello Musiche di Mendelssohn, Skrjabin “Stagione 2020”

PINOCCHIO Opera in due atti Musiche di Valtinoni Gianmaria Aliverta regia Enrico Calesso direttore “Stagione Lirica e Balletto 2019/2020”

15

Ingresso libero/Free entry Fondazione Levi h. 17

25

Ingresso/Ticket € 20 Teatro La Fenice h. 20

Le ore chiare

lunmon 30 MARK PADMORE tenore IMOGEN COOPER pianoforte (vdi domenica 29 marzo) “Musikamera”

Presentazione del Festival

Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 18

CYRILLE DUBOIS tenore TRISTAN RAËS pianoforte

Ingresso/Ticket € 25 Teatro La Fenice h. 20

LUCA FIORENTINI violoncello JAKUB TCHORZEWSKI pianoforte

Ingresso/Ticket € 20 Teatro La Fenice h. 20

14

LA POMME DE TURQUIE Musiche romantiche francesi “Stagione 2019/2020”

merwed 18 MARIO BRUNELLO violoncello KARINA OGANJAN soprano CORO DEL FRIULI VENEZIA GIULIA CRISTIANO DELL’OSTE Musiche di Bach, Pärt “Io Sono Musica 2019/2020”

Ingresso/Ticket € 32/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.45

Ingresso libero/Free entry Fondazione Levi h. 17

Ingresso libero/Free entry Fondazione Levi h. 17

direttore

ENSEMBLE DA CAMERA DELL’ORCHESTRA REGIONALE FILARMONIA VENETA p.61 QUARTETTO WERTHER Marco Titotto direttore Musiche del repertorio lirico “Stagione 2019/2020”

venfri 06 ENZO CAROLI flauto p.61 ANNA MARTIGNON pianoforte Musiche di Beethoven “Fondazione Levi per Beethoven”

martue 17 NABILA DANDARA soprano TIANHONG XI tenore GIOVAN B. RIGON pianoforte Musiche di Beethoven “Fondazione Levi per Beethoven”

p.60

TEATRO MALIBRAN Campiello del Teatro 5873 www.teatrolafenice.it TEATRO MARIO DEL MONACO Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it TEATRO TONIOLO Piazzetta C. Battisti 1-Mestre www.comune.venezia.it



25-28 Marzo 2020 Venezia, Auditorium Santa Margherita info: cafoscarishort.unive.it

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MUNICIPALITÀ DI VENEZIA MURANO-BURANO


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:cinema

Classico vs algoritmico Classical vs algorithmic

E poi

ci sono i classici. Sì, i classici, gli intramontabili, i film su cui si torna sempre. Per capire il cinema, tutto il cinema. Il suo linguaggio, il senso del suo e del nostro esistere: la diffusa, pervasiva narrazione transmediale in cui siamo immersi massivamente tutti noi, abitanti quasi inconsapevoli, spesso miopi, se non ciechi, della mediasfera. Sarà per questo che alla Mostra del Cinema la sezione Venezia Classici sta avendo crescente successo. Perché, forse, questo ricorrere ossessivo al vintage da parte delle generazione dei nuovi icononauti

di Riccardo Triolo ipertecnologizzati, l’idolatria dell’analogico, il feticismo del supporto, nasconde il bisogno profondo di scavare, di trovare l’originale della copia, l’archetipo, il prototipo. E così quel bisogno di stabilità, di fissità inalterabile, fa da contraltare a una cultura dominante volatile, governata dal vento indomabile della tecnica, dall’impero del simulacro, che tutto assoggetta e infine parifica in un’indistinta profusione di segni vuoti. Questa rassegna della Biennale, Classici fuori Mostra, un’iniziativa che fa vivere il settore cinema oltre il tempo rituale del tradizionale festival veneziano, ha un grande potenziale: quello dichiarato di diventare un vero e proprio festival permanente del cinema restaurato – ottima idea – e quello implicito di diventare bagaglio culturale per le nuove generazioni, assetate di linguaggi originari. Nobilissima intenzione che la Biennale ha trasformato in competizione, assegnando in primis agli studenti il compito di votare il miglior classico per assegnare il premio Best Biennale Classic a fine rassegna. Un premio popolare che ricorda il referendum proposto alla seconda edizione della Mostra, nel 1934, perciò perfettamente in linea con una delle funzioni originarie dei festival cinematografici. Ma c’è di più. Non solo il coinvol-

gimento di critici e autori, fatto che recupera di per sé la visione in sala (al Rossini) come esperienza live action, ma anche la naturale tensione di questa nuova iniziativa della Biennale a sforare tempi e spazi assegnati all’evento madre (la Mostra del Lido) per seminare e germogliare finalmente di nuovo in città e presto, ci auguriamo, nell’intera città metropolitana di Venezia. Questo traghetterebbe la Mostra verso una dimensione più moderna e aperta. Che potrebbe crescere ulteriormente, fino a diventare circuito, piattaforma, mondo. Come Netflix o Disney Plus, ma radicata in laguna, fedele alla sua storia e al suo mandato. Dodici i titoli proposti in rassegna, tutti in lingua originale, sottotitolati e restaurati dalle principali cineteche e società di produzione del mondo (grande opportunità anche di mercato!). Classici “pop” come Alien di Ridley Scott, presentato da Adriano De Grandis, si alternano a classici “B” come l’allucinato noir Deviazione per l’inferno di Edgar G. Ulmer, presentato da Carmelo Marabello; classici ritrovati del cinema americano, come l’amaro, disilluso, sordido e poetico Fat City di John Huston, presentato da Gianni Amelio si mescolano a opere dissacranti e feroci, come L’ape regina di Marco Ferreri, presentato da Roberta Novielli. E ancora Nicholas Roeg (Don’t Look Now, presentato da Luca Guadagnino); Andrzej Wajda (I condannati di Varsavia, presentato da Marco Dalla Gassa) o Elio Petri (A ciascuno il suo, presentato da Marco Bertozzi) e altri, tutti bellissimi e fulgidi come eroi anarchici. Titoli che non troverete sulle piattaforme streaming o negli ormai obsoleti DVD. Titoli che vivono oltre il loro supporto, di un’esistenza rinnovata e urgente, di un’aura speciale che riconsegna al cinema la propria statura, oltre ogni abitudine al consumo algoritmico. «Classici fuori Mostra» 5 marzo-28 maggio Cinema Rossini www.labiennale.org

Ah, the

classics, the movies you always go back to. They are there to understand cinema – all of it: its language and the meaning of its (and our) existence. We are, in fact, always immersed into a pervasive trans-medial narration, however little we understand of it. Is this the reason why the Venice Classics section at the Venice Film Festival is so popular? This obsessive going back to vintage on part of the hyper-technologized generations reveals a need for digging deeper into the media, for finding what is original, archetypal, prototypical. This is the counterweight to the dominant culture of the fleeting and the simulacrum and what is, in the end, a profusion of signs devoid of meaning. This Biennale programme, Classici Fuori Mostra, is an initiative that extends the attention Venice has for cinema beyond the calendar of the film festival, a noble intention that Biennale turned into a competition. Students will vote for the best classic. This beautiful initiative will make passion for cinema grow in Venice and can take the Film Festival to a new level, make it more open and modern. Twelve titles, all in their original version with subtitles, will be screened: Alien by Ridley Scott presented by Adriano De Grandis, Detour by Edgar G. Ulmer presented by Carmelo Marabello, Fat City by John Huston presented by Gianni Amelio, L’ape regina by Marco Ferreri presented by Roberta Novielli, Don’t Look Now by Nicholas Roeg presented by Luca Guadagnino, Kanał by Andrzej Wajda presented by Marco Dalla Gassa, A ciascuno il suo by Elio Petri presented by Marco Bertozzi, and others – all beautiful and radiant like anarchist heroes. These films are hard to find on streaming platforms and even in the now obsolete DVDs, and yet they live beyond the media they’re recorded on, beyond the urgency. They are special and they are part of the reason cinema is what it is, reasons that algorithms cannot explain.


Brothers in Arts

I gemelli D’Innocenzo si uniscono a Elio Germano per una Berlinale che ha premiato il cinema italiano. I due vincono infatti l’Orso d’argento per la sceneggiatura di Favolacce, favola nera che racconta senza filtri le dinamiche umane all’interno di una comunità di famiglie di villette a schiera di una periferia del Lazio: tra proletariato e aspirazioni piccolo borghesi sta un mondo apparentemente normale, dove in realtà rabbia e disperazione sono pronte a esplodere.

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Stampo elvetico

Pilota automatico

Cineclub a Palazzo Trevisan

Dieci anni di Ca’ Foscari Short

Torna per la nona volta Cinema Svizzero a Venezia, confermandosi come un appuntamento centrale nel panorama culturale della città e offrendo la cornice unica e prestigiosa di Palazzo Trevisan degli Ulivi come una delle pochissime vetrine dedicate al cinema svizzero in Italia. La manifestazione, lanciata ormai verso il traguardo della decima edizione, la prima in doppia cifra, nel 2021, proporrà come di consueto anteprime, omaggi e proiezioni speciali di “classici” restaurati, e incontri con gli autori dei film in programma. Proseguono le attività didattiche e formative promosse dalla manifestazione: la Critics Academy accoglierà un gruppo di circa 10 studenti, non solo veneziani, coin-

volti in conversazioni con critici, esperti di cinema e nuovi media, e con gli ospiti della manifestazione; spazio anche al workshop Cinema a “Zero Budget”, realizzato in collaborazione con l’Associazione Cine Club Venezia e finalizzato alla realizzazione di un cortometraggio in soli 6 giorni di lavoro con la guida esperta di registi e professionisti delle immagini in movimento. Il programma si articola, come ormai consuetudine, nell’arco di 6 giorni + 1, con un vernissage speciale lunedì 30 marzo a fare da apripista all’apertura vera e

propria del festival il 31, per proseguire con altri 8 appuntamenti fino a domenica 5 aprile. Film d’apertura è Love Me Tender, della regista di origini peruviane Klaudia Reynicke, che nel ritrarre il personaggio di Seconda (una straordinaria interpretazione di Barbara Giordano), dà vita a un’antieroina fragile ma forte, vulnerabile ma al tempo stesso determinata a uscire dalla sua malattia, in un inno universale alla libertà e alla rottura di tutti gli stereotipi. «Cinema Svizzero a Venezia» 31 marzo-5 aprile Palazzo Trevisan degli Ulivi palazzotrevisan.wordpress.com

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Scuola cromatica Il cinema italiano in technicolor L’introduzione del colore nel mondo del cinema ha una storia tortuosa, costellata da una miriade di invenzioni, brevetti e tentativi artigianali, tutti finalizzati a mostrare allo spettatore delle immagini realistiche. Se già nel periodo del muto la pellicola veniva colorata con vari espedienti (imbibizione, viraggio, mordenzatura, colorazione a mano e pochoir), con il passare degli anni vennero usati procedimenti sempre più sofisticati. Si è passati dalla sintesi additiva in bicromia, ad esempio l’inglese Kinemacolor, usato dall’italiano Luca Comerio, a quella in tricromia e con supporti ad elementi lenticolari o a reticolo colorato, come il Dufaycolor, a procedimenti a

sintesi sottrattiva a due o tre colori. In Italia la sperimentazione sul colore inizia soprattutto sui cortometraggi: proiettati assieme ai lungometraggi, avevano diritto al 3% dell’incasso. Dopo la legge del 1947 che attribuiva un ulteriore 2% per meriti artistici si impose il colore come ‘valenza artistica’ per meri fini economici e non come scelta stilistica. Quindi vi fu un proliferare di cortometraggi a colori a partire da Ceramiche umbre di Glauco Pellegrini girato con pellicola Ferraniacolor e presentato alla Mostra di Venezia del 1949: vi fu un tentativo di colorazione già in un documentario del 1940 L’ebbrezza del cielo di Giorgio Ferroni dove il finale venne girato

con il sistema inglese Dufaycolor. Molti registi, che non apprezzavano i colori troppo saturi della pellicola della Ferrania, optavano per la belga Gevaert G. 30 che tendeva, però, al pastello. È del 1950 il primo lungometraggio 16mm a colori, Mater Dei, girato con il sistema Ansco Color: due anni dopo uscirà Totò a colori in Ferraniacolor. A marzo una rassegna alla Casa del Cinema si focalizza su questo interessante argomento cinematografico. Andrea Zennaro «Il cinema italiano scopre il colore» 3, 6, 10, 17, 24, 31 marzo Videoteca Pasinetti

È Lorenzo Mattotti l’autore del manifesto della decima edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival, in programma dal 25-28 marzo. Lo Short prosegue così la sua collaborazione con i più grandi illustratori e fumettisti italiani contemporanei e, dopo Igort e Giorgio Carpinteri, si avvale delle creatività di Mattotti, reduce dal successo del suo primo lungometraggio da regista - ovviamente d’animazione - La famosa invasione degli orsi in Sicilia, presentato a Cannes e a Locarno. Mattotti sarà inoltre ospite del festival per un programma speciale a lui dedicato, durante il quale parlerà delle sue opere ripercorrendo una carriera quarantennale e svelando alcuni dei segreti dietro la sua arte. Da sempre a stretto contatto con il cinema, ha realizzato i bellissimi disegni che collegano gli episodi del film collettivo Eros, diretto da Michelangelo Antonioni, Steven Soderbergh e Wong Kar-wai, per poi contribuire con il suo tratto inconfondibile al Pinocchio (2012) di Enzo D’Alo. Inizia dunque con l’annuncio di un nome di caratura internazionale quella che si preannuncia una grande edizione per festeggiare i dieci anni del Ca’ Foscari Short Film Festival, progetto nato nel 2011 dalla sfida del direttore artistico e organizzativo Roberta Novielli di creare il primo festival in Europa interamente concepito, organizzato e gestito dall’Univer-

sità Ca’ Foscari. Nei suoi dieci anni di vita il festival è inoltre diventato un’importante vetrina internazionale per giovani registi. A testimonianza di ciò, ci sono i ben 3017 cortometraggi giunti per la preselezione e provenienti dalle migliori scuole di cinema di 111 paesi differenti. Tra questi saranno scelti i 30 titoli che andranno a formare il Concorso Internazionale, a cui si affiancheranno come di consueto programmi speciali, masterclass, omaggi e incontri con gli autori. Confermati anche quest’anno i due concorsi paralleli entrati di diritto tra gli appuntamenti fissi del festival: il Music Video International Competition giunge alla sua quarta edizione e raccoglierà i dieci migliori videoclip musicali realizzati da studenti di università o scuole di cinema italiane e internazionali. Si rinnova anche l’ormai storica collaborazione con la Fondazione Ugo e Olga Levi per la settima edizione del Premio “Olga Brunner Levi”. Rivolto agli studenti liceali di tutto il mondo, ha anch’esso come tema la musica, nella forma però di cortometraggi che mettano in risalto una prospettiva femminile, in onore della grande mecenate veneziana alla quale è intitolato il premio. Otto i titoli in gara, provenienti da altrettanti paesi. «10. Ca’ Foscari Short Film Festival» 25-28 marzo Auditorium Santa Margherita cafoscarishort.unive.it


:cinema

a cura di Loris Casadei

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Madre indifferente

Unlimited edition

Prosegue il secondo ciclo di proiezioni organizzato dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche, che propone una riflessione sulle conseguenze delle azioni umane sul sistema Terra. I film saranno introdotti e commentati da Luciano Morbiato, curatore della rassegna con Simonetta Zanon. Mercoledì 11 marzo ecco Snowpiercer, regia di Bong Joonho, freschissimo trionfatore agli Oscar con Parasite, vincitore anche del festival di Cannes 2019: siamo nel 2031 (il 2013 rovesciato?) in piena era glaciale, causata da esperimenti per fermare il riscaldamento globale, ovviamente falliti. Un treno in perpetuo movimento accoglie i sopravvissuti, che formano un microcosmo diviso in classi, occupando vagoni

diversi e creando una situazione che non può che portare alla lotta di classe e a una rivolta. Senza lasciare traccia, regia di Debra Granik, il titolo in programma il 25 marzo. Dopo Un gelido inverno (2010), di nuovo in collaborazione con la sceneggiatrice Anne Rosellini, la regista torna alla storia (da un romanzo di Peter Rock) di un’adolescente che affronta con determinazione le gravi difficoltà di crescere in una famiglia disastrata: la tredicenne Tom (dal nome della giovanissima interprete Thomasin McKenzie, una rivelazione!) vive letteralmente alla macchia, in un parco dell’Oregon,

con il padre Will, un veterano della guerra in Iraq con disturbi posttraumatici, che rifiuta la società. L’esperienza di documentarista permette alla regista di trasmettere allo spettatore la sensazione dell’isolamento nella natura, né benefica né ostile, ma indifferente ai drammi umani, esaltando in questo modo la sofferta maturazione di Tom. La critica anglo–americana ha giudicato il film, presentato al Sundance Film Festival e a Cannes, tra i 10 migliori del 2018. «Paesaggi che cambiano» 11, 25 marzo Auditorium Spazi Bomben-Treviso www.fbsr.it

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Se puoi sognarlo, puoi farlo Mario Bava, genio e sregolatezza Sottovalutato, a volte ridicolizzato nel suo paese, ma osannato e idolatrato all’estero, Mario Bava ha lasciato un profondo segno nel cinema di genere, tanto da elevarsi al grado di autore tout court. Il padre Eugenio è uno scultore e, soprattutto, operatore cinematografico nel periodo del muto (Quo vadis?, Cenere, Cabiria). Mario si trova così immerso in un mondo magico ed assorbe come una spugna i trucchi dell’artigianato cinematografico. Dopo una lunga gavetta da operatore e direttore della fotografia passa poi alla co-regia e alla realizzazione degli effetti speciali in film che già mostrano la sua impronta autoriale: I vampiri (1957) di Riccardo Freda con

Gianna Maria Canale e Caltiki, il mostro immortale (1959), sempre di Freda, dove Bava realizza una creatura informe con della trippa di vitello. Ma è il suo esordio alla regia del 1960 con La maschera del demonio a colpire un’intera generazione di cineasti (Scorsese, Dante, Burton, Tarantino) e critici, francesi e statunitensi in primis. La sua mise en scène è sopraffina in un contesto gotico tratto dal racconto Vij di Nikolaj Gogol. Ritorna al gotico tre anni dopo con I tre volti della paura e La frusta e il corpo introducendo un meccanismo a lui caro: il sabotare dall’interno il genere cinematografico con una forma che travalica la trama stessa, a volte evanescente, approdando

al fantastico puro con l’allucinato ed onirico Operazione paura (1966) dove l’orrore viene meno ostentato in favore di un’atmosfera sospesa. Lo stesso fa con il thriller e, addirittura, inventa il sottogenere slasher con Ecologia del delitto del 1971. Il regista si tuffa anche nella fantascienza con Terrore nello spazio (1965), tratto da un racconto del veneziano Renato Pestriniero e nel pop iperbolico con Diabolik (1968), opera fumettistica, ripulita di ogni possibile critica sociologica. Andrea Zennaro Omaggio a Mario Bava a 40 anni dalla morte 27 marzo Videoteca Pasinetti

È appena terminata la 31esima edizione del Trieste Film Festival, una volta Alpe Adria, da sempre ponte e osservatorio attento delle realtà cinematografiche dell’Est europeo. Quest’anno più che mai vetrina di giovani cineasti. Segnaliamo Ivana la terribile di, appunto, Ivana Miadenovic. Una giovane donna, celebrità locale in crisi sulle rive del Danubio. Giovane e divertente, che esemplifica per tutti gli autori la voglia di raccontare e di raccontarsi. Fuori dagli schemi l’ironico Perfect Strangers. Il quarantenne Tadeus Sliwa riporta in scena la versione polacca dell’omonimo film di Paolo Genovese del 2016. Pellicola di successo che, credo, ha avuto il record di remake nella storia del cinema. Registi greci, spagnoli, turchi, indiani in versione Bollywood, francesi, sudcoreani, ungheresi, messicani, cinesi, russi si sono cimentati su questo soggetto nell’arco di soli tre anni e seguiranno, già annunciati, quello svedese, arabo e hollywoodiano. La sceneggiatura è per tutti quasi identica e il caso è interessante perché permette di esplorare la capacità degli interpreti, del regista e sopratutto, nelle differenze, vedere come la sensibilità nazionale affronta alcune tematiche. La storia è semplice: un gruppo di amici sposati si ritrova per una delle tante cene che settimanalmente li riuniscono. Ma questa volta sono attirati in un gioco pericoloso: metteranno il telefonino sul tavolo e tutti messaggi o le telefonate saranno pubbliche. La versione polacca è accomunata a quella italiana dalla presenza della stessa attrice nel ruolo di Ewa, la bella e brava Kasia Smutniak, che sul palco triestino racconta di essersi accertata di variazioni del menu della cena in Polonia, dopo essere stata costretta da Genovese a ingerire la stessa portata per un’infinità di volte. Analizziamo alcune versioni iniziando da quella italiana. Immancabili le scene di famiglia, bambini, nonni e rapporti molto forti con i figli. Una possibile felicità coniugale viene esemplificata da due anziani che si abbracciano amorevolmente nel balcone di fronte. Nel menu non potevano ovviamente mancare gli gnocchi e grande attenzione viene dedicata al cibo, alla sua preparazione. I regali degli ospiti sono le inevitabili bottiglie di vino. Durante le cena la suspence dovuta al temuto squillo del telefonino è spesso interrotta da scherzi e battute. Un finale addolcito o per altri versi reso amaro per la magia della eclissi di luna. Terminata la notte e l’eclissi tutto torna nella norma, ovvero nei tradimenti e nelle reciproche bugie coniugali come se nulla fosse accaduto. Un sogno? O forse una sorta di messaggio sull’impossibilità di redimersi, di cambiare. Tadeus Sliwa ambienta la sua opera tutta in interni, la tavola imbandita non è enfatizzata ma ad esempio più grave è il giudizio sociale sulla omosessualità. Il finale si presenta aperto, nessun incanto, ma la disgregazione delle coppie e delle amicizie con una possibile difficile riconciliazione. La versione russa si intitola Gromkaya Svyaz ovvero A viva voce, diretta dal regista Aleksey Nuzhnyy. I vestiti dei protagonisti diventano più ordinari, siamo infatti in una tipica dacia fuori città. Traspare anche la voglia di distinguersi: «Di pickup così, c’è solo il mio in tutta Mosca», dialoghi e preparazione della cena vengono svolti all’esterno, con molta attenzione ai paesaggi urbani e rurali. Regali agli ospiti oggetti inusitati, una pianta di mandarini o, da amica ad amica, un vibratore o un grande melone dal Tagikistan. Qui il finale è più vicino a quello di Genovese. Termina la notte, inizia una splendida alba nordica e tutto ciò che è avvenuto a tavola si dissolve nel nulla. Ma con un dubbio: gli orecchini, prova di infedeltà, vengono chiusi in un cassetto, mutandine che un corteggiatore virtuale aveva chiesto di non indossare vengono rimesse. Forse qualcuno si ravvederà.

:supervisioni

Riflessioni di ‘natura’ umana


Venezia 1860-2019 Fotografie dall’Archivio Graziano Arici Photographs from the Archivio Graziano Arici 5.2020 0 . 0 1 L 29 novembre 2019 – 1Amarzo 2020 ATA G O R O R P a cura di | curated by Graziano Arici e Cristina Celegon con Barbara Poli

L’Angelo degli artisti L’arte del Novecento e il ristorante All’Angelo a Venezia 20 0.05.20 1 L A OGA–T1Amarzo 2020 7 dicembre PROR2019

a cura di | curated by Giandomenico Romanelli e Pascaline Vatin

Fondazione Querini Stampalia Santa Maria Formosa, Castello 5252, Venezia tel +39 041 2711411

www.querinistampalia.org fondazione@querinistampalia.org 10–18, chiuso lunedì | closed on Monday


UN AMICO STRAORDINARIO Regia di Marielle Heller Con Tom Hanks, Matthew Rhys, Enrico Colantoni, Chris Cooper, Wendy Makkena

:cinema

:cinema :filmdelmese

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a cura di Claudia Frasson

RITORNO AL CRIMINE

Regia di Massimiliano Bruno Con Alessandro Gassmann, Marco Giallini, Edoardo Leo, Gianmarco Tognazzi, Carlo Buccirosso

Fred Rogers conduce un programma televisivo molto seguito e apprezzato dal pubblico americano medio. Quando al giornalista Lloyd Vogel viene commissionato un articolo su questo personaggio accattivante, i due entrano in contatto e Vogel mette in discussione i suoi rapporti personali e l’esistenza che ha condotto fino a quel momento. Dal 5 marzo

Con il sequel di Non ci resta che il crimine, ritorna in scena il gruppo di criminali dilettanti, chiamati ad affrontare prove avvincenti come il rinvenimento di Sabrina, fuggita rubando il loro denaro, lo sfrontato mercante d’arte, una figlia contesa e un altro personaggio che porta scompiglio… Dal 12 marzo

IL TALENTO DEL CALABRONE

Regia di Tyler Nilson e Michael Schwartz Con Shia LaBoeuf, Dakota Johnson, Zack Gottsagen, John Hawkes, Bruce Dern

Regia di Giacomo Cimini Con Sergio Castellitto, Lorenzo Richelmy, Anna Foglietta, Marina Occhionero

THE PEANUT BUTTER FALCON

BOMBSHELL

Regia di Jay Roach Con Nicole Kidman, Charlize Theron, Magot Robbie, Kate McKinnon, Allison Janney

a cura di Marisa Santin

‘Favoloso’ Germano Che sia uno dei più bravi e versatili attori in Italia possiamo dirlo senza tema di smentita. I nostri complimenti a Elio Germano per il premio alla migliore interpretazione maschile in Volevo nascondermi. Nel film di Diritti dedicato alla figura di Antonio Ligabue, l’attore romano accompagna con straordinaria capacità mimica e interpretativa diverse fasi della vita di uno degli artisti più tormentati e controversi del nostro Paese, lasciando emergere tutta la fragilità e la profonda sofferenza interiore di un uomo che ha vissuto ai limiti dell’emarginazione e della follia. Dopo Alberto Sordi, Michele Placido e Gian Maria Volonté, Germano è il quarto italiano a ricevere l’ambito riconoscimento berlinese.

Mio fratello è figlio unico

Daniele Luchetti (2007) Nell’Italia dei turbolenti anni ’60-’70, due fratelli di opposti schieramenti politici Accio (Elio Germano) e Manrico (Riccardo Scamarcio) - si contendono il titolo di ‘figlio unico’ all’interno di una famiglia proletaria. Il film è stato presentato nella sezione Un certain regard del 60. Festival di Cannes e ha vinto cinque David di Donatello, fra cui il premio come miglior attore a Elio Germano.

Il film ricostruisce il caso Roger Ailes del 2016, presidente della Fox News, licenziato per lo scandalo che lo vede protagonista di soprusi sessisti e misoginia. Nel dramma, Gretchen Carlson denuncia l’ex capo creando un effetto domino che porterà altre donne a reagire come Megyn Kelly, giornalista, e Kyla Pospisil, giovane donna con il sogno di fare carriera. Dal 26 marzo

Il passato è una terra straniera

BLOODSHOT

Daniele Luchetti (2010) Germano illumina l’unico film italiano al 63. Festival di Cannes con una prova che gli vale un premio per la migliore interpretazione maschile sulla Croisette, oltre a un David di Donatello e un Nastro d’Argento. È la storia di Carlo, operaio edile rimasto solo a crescere tre figli piccoli dopo la tragica morte della moglie per parto.

Regia di Dave Wilson Con Vin Diesel, Eiza Gonzalez, Toby Kebbell, Sam Heughan, Guy Pearce

Daniele Vicari (2008) Giorgio (Germano) è un impeccabile studente di legge, fino a quando incontra l’oscuro Francesco (Michele Riondino), giocatore d’azzardo e baro di professione, che lo trascina dalle aule studio alle sale del casinò. Dall’omonimo bestseller di Gianrico Carofiglio.

La nostra vita

Magnifica presenza Zack, un ragazzo con la sindrome di Down, scappa dall’Istituto per realizzare il suo sogno: diventare un wrestler. Tyler, criminale in fuga, si improvvisa suo allenatore, così i due instaurano un rapporto di profonda amicizia. Lungo il cammino incontrano anche Eleonor, un’impiegata con un passato difficile… Dal 19 marzo

Tratto dall’omonimo fumetto del 1992. Rymond Garrison ha poteri sovrannaturali grazie a dei nanodroidi inseriti nel corpo. Nonostante la sua memoria venga cancellata, sa di aver amato Gina, donna morta a causa di un omicidio. Per questo, il supereroe ha sete di vendetta… Dal 26 marzo

Ferzan Özpetek (2011) Una scombinata compagnia di personaggi di un’altra epoca invade la vita di Pietro Ponte, un aspirante attore trasferitosi a Roma per realizzare il proprio sogno. Da fantasmi ingombranti, le ‘magnifiche presenze’ si trasformano per Pietro in una vera e propria famiglia. Per la prima volta Germano entra nel disincantato e variopinto mondo del regista italo-turco.

TORNARE

ANDRÀ TUTTO BENE

MULAN

Faccia d’angelo

Regia di Cristina Comencini Con Giovanna Mezzogiorno, Vincenzo Amato, Beatrice Grannò, Clelia Rossi Marcelli

Il percorso psicoanalitico nella memoria di Alice ha inizio durante il suo ritorno, per il funerale del padre, alla casa al mare di Napoli, dove ha trascorso l’infanzia. Attraverso il dialogo con una ragazza, la protagonista è portata a riflettere sui suoi traumi passati... Dal 12 marzo

Regia di Francesco Bruni Con Kim Rossi Stuart, Lorenza Indovina, Barbara Ronchi, Giuseppe Pambieri, Raffaella Lebboroni

Bruno Salvati è in una fase calante della sua vita, in termini di lavoro, vita privata, in seguito alla separazione con sua moglie e rapporto con i figli per i quali non riesce ad essere un padre presente. Gli viene diagnosticata una forma di leucemia ed intraprende un percorso ad ostacoli verso la sua rinascita. Dal 19 marzo

Regia di Niki Caro Con Yifei Liu, Donnie Yen, Jet Li, Li Gong, Jason Scott Lee

Andrea Porporati (2012) «Mama, ma ti ga capio chi che son diventà?». Germano impara (bene) il dialetto veneto per entrare dei panni di Felice Maniero detto “faccia d’angelo”, nella sua metamorfosi da ragazzo della bassa periferia padovana a spietato boss della Mala del Brenta. Basterebbe questa mini-serie Tv per capire quanto è bravo.

Il giovane favoloso Mulan prende il posto del padre malato arruolandosi nell’Armata Imperiale, travestendosi da uomo e cambiando nome. La protagonista dell’universo Disney diventa una guerriera stimata, si guadagna il rispetto della nazione e diventa motivo d’orgoglio per il padre. Dal 26 marzo

:cinefacts

Steph, conduttore di un programma radiofonico, si ritrova a sostenere un duello psicologico con un ascoltatore, Carlo, il quale dichiara di volersi suicidare facendosi saltare in aria di lì a poco. Il Tenente Colonnello capisce che l’intento del terrorista è molto più complesso di ciò che sembra… Dal 5 marzo

Mario Martone (2014) Il poeta dell’infinito, salute cagionevole e animo vulnerabile, esce dai libri di scuola per presentarsi ai contemporanei con il volto e il corpo piegato di un ‘favoloso’ Germano, dalla giovinezza trascorsa a Recanati agli anni di Firenze, dove incontra l’amata Fanny, fino alla morte in giovane età. Immortale Leopardi.


prosa, danza, cabaret drama, ballet, cabaret

:theatro Quello che ci muove

What moves

Photo Sabrina Cirillo

Cristiana Morganti la ricordo ancora nel

2012, a Londra in Der Fensterputzer, sopra un danzatore steso a terra con un gesto per lei tipico: braccia in avanti leggermente curva e il viso quasi supplice o ingenuo verso un ignoto che non rassicura. Danzatrice storica del Tanztheater di Pina Bausch con “l’altra italiana” Beatrice Libonati, Cristiana inizia con una solida pratica di danza classica, ma con dubbi che la tormentano sino all’incontro decisivo con Pina Bausch in occasione di un suo spettacolo milanese. Nel 1987 la prima audizione.

di Loris Casadei In un’intervista veneziana del 2012 Cristiana ricorda: «Vidi durante le prove comparire un sorriso che Pina mi chiarì subito dopo esser dovuto alla somiglianza con una sua precedente danzatrice molto stimata. Io non mi imbarazzai e risposi che anche lei mi piaceva molto perché assomigliava alla mia prima tata». Un imprinting che non ha più abbandonato Cristiana. Ritroviamo la sete di nuove narrazioni, dopo la distruzione dei grandi racconti del balletto operata dalle Avanguardie del primo e secondo Novecento. I racconti diventano brevi, frammentari, talvolta semplici sguardi, ma rimangono percepibili e forti nel trasmettere emozioni. Poi la voglia di comunicare con il pubblico. In altra intervista Cristiana sottolinea come la danza sia un potente strumento per trasmettere emozioni «a patto che chi lo fa abbia coscienza del proprio corpo e dei suoi movimenti». L’anno scorso abbiamo visto il suo Fury Tale sul palco del Goldoni, ora Moving with Pina del 2018, che nasce direttamente dalla pièce madre di tutto il suo lavoro, la Conferenza danzata del

2013. Testimonianza e trasmissione dell’insegnamento coreutico di Pina, ma anche capolavoro espressivo di Cristiana, capace di trascinare con sé tutto il pubblico, ad esempio nella deliziosa scenetta: «ho incontrato un amico a Parigi... vi dovete concentrare sulla storia», mentre furbescamente mima il cambio di un reggiseno. Ma lo spettacolo può anche essere visto come l’insegnamento di Pina, la sua costruzione dei movimenti, la sua capacità di distinguere la bontà di una corsa dal soffio d’aria che può sentire sul viso, permette di creare quest’amore per la danza, che è ciò che consente al pubblico di immedesimarsi con la scena. E ricorda Cristiana, con il suo sorriso, uno dei più maliziosi, ingenui e attraenti nella storia della danza, che spesso Pina Bausch correggeva i suoi interlocutori ricordando che il suo Tanztheater era soprattutto Tanz, “danza”. Cristiana potrebbe vigorosamente smentire Roman Jakobson e il suo modello di funzione emotiva. Il linguaggio della danza di Cristiana non è una funzione debole, il suo codice colpisce immediatamente il cuore dello spettatore e trasmette le sue emozioni, i suoi messaggi in modo chiaro, e se qualche passaggio, nei suoi rimandi storici e culturali, sfugge, ricordiamoci di Bruno Munari nel suo Arte come mestiere: «sono consapevole che ognuno vede ciò che sa e quindi sono spesso cieco di fronte agli spettacoli di danza, allora mi consola che il non conosciuto, se ci colpisce emotivamente o ci stupisce e si è sufficientemente curiosi o aperti per tentare di capire, è l’avvio di una nuova ricerca». Moving with Pina 31 marzo Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

ILondon, remember Cristiana Morganti in the year was 2012. She was starring in Der Fen-

sterputzer. A dancer lay on the ground as she curved her arms forward, her face almost supplicating towards an unknown, discomforting presence before her. A historical dancer in Pina Bausch’s Tanztheater, Morganti was trained in ballet until she auditioned for Bausch in Milan in 1987. The two liked each other since day one. The dancer worked through the destruction of classical ballet by the avantgardes and maintained how dance is an essential tool to convey emotions only as long as those who practice it are conscious of their own bodies and motion. Last year, we saw her Fury Tale at Goldoni Theatre; this year, we shall see her starring in Moving with Pina, a show of 2018, which elaborated on the mother piece of her repertoire, the Danced Conference of 2013. A testimony of Pina Bausch’s lesson and an expressive masterpiece of Cristiana Morganti. Says Cristiana – whose smile is the most malicious, naïve, and attractive in the history of dance – that Pina Bausch often reminded how her Tanztheater was first Tanz – dance. Morganti’s language of dance is no weak formulation: her code hits us hard in our hearts and readily conveys her feelings and her message in clear fashion. And if there is any doubt that some historical or cultural reference eludes us, we will remember Bruno Munari’s words: “I am aware that each of us sees what he knows and I am often blind before dance shows, so I console myself with the fact that seeing what is unknown to us, if it strikes us emotionally or bewilders us or if we are curious enough to try and understand, will be the start of new research.”


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La commedia della stravaganza

L’ultimo luogo dei vivi

Valerio Binasco porta in scena uno strepitoso Arlecchino/Balasso

Carrozzeria Orfeo sulla strada verso l’annientamento

Come mai ancora Arlecchino? Legittimo chiederselo, quando sono in moltissimi ad aver messo in scena Il servitore di due padroni, e soprattutto dovendo fare inevitabilmente i conti con la pesante eredità della versione di Strehler, ancora in scena ad ogni stagione al Piccolo di Milano. La risposta di Valerio Binasco, cinque volte Premio Ubu, regista di questa nuova produzione per lo Stabile di Torino, di cui è anche Direttore artistico, è che «i classici sono carichi di una forza inesauribile e l’antico teatro è ancora il teatro della festa e della favola». Ed effettivamente il suo stile cinematografico, fatto di sintesi, unità di azione e suspense, si mette perfettamente al servizio del testo di Goldoni, un congegno che dal 1745 non smette di funzionare e incantare il pubblico. Rompendo con la tradizione che lega Arlecchino alla Commedia dell’Arte, Binasco toglie le buffonate e ne fa una commedia corale, all’italiana, con il proposito di dare al testo un sapore moderno, e di restituire realismo e credibilità ai personaggi, più profondi e sfaccettati, aiutato in questo dalla modernità stupefacente di Goldoni, che emerge ancora più netta rispetto al solito in questa pièce, piena di rapporti sbagliati:

tra servi e padroni, padri e figli, uomini e donne, vecchi e giovani. Seguendo questa nuova strada, Arlecchino è un goffo depresso che cerca di fare due lavori per mangiare di più, un poveraccio che sugli equivoci costruisce una specie di misero riscatto sociale. A dargli corpo non può esserci interprete migliore di Natalino Balasso, che, insieme a un intero cast di attori straordinari tra cui Fabrizio Contri e Michele Di Mauro, rappresenta magnificamente quell’umanità vecchio stampo, paesana e arcaica, «che ha abitato il nostro mondo in bianco e nero, si è seduta ai tavoli di vecchie osterie, ha indossato gli ultimi cappelli, ha assistito al trionfo della modernità con comico sussiego, ci ha fatto ridere e piangere a teatro e al cinema con le ‘nuove maschere’ dei grandi comici del Novecento, e poi è svanita per sempre, nel nulla del nuovo secolo televisivo» che è quella che Binasco sceglie di portare in scena. La “commedia della stravaganza” diventa così un gioioso viaggio nel tempo, alle origini del teatro italiano e della sua grande tradizione comica. Livia Sartori di Borgoricco Arlecchino servitore di due padroni 11-15 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

«Sono passati ormai nove anni da quando l’acqua è stata completamente privatizzata in tutto il mondo. I dati ci dicono che ogni giorno circa cinque mila persone muoiono di sete sul nostro Pianeta». Una allarmante voce off conduce il pubblico nel distopico futuro immaginato da Carrozzeria Orfeo. Cous Cous Klan racconta una realtà in apparenza spinta all’assurdo che tuttavia non è difficile da immaginare: fiumi, laghi e sorgenti sono sorvegliati da guardie armate; i ricchi vivono all’interno di città fortificate, mentre i poveri tentano di sopravvivere al di fuori, lottando ogni giorno contro la mancanza di cibo e acqua. In un parcheggio abbandonato dietro a un cimitero periferico, tra roulotte fatiscenti e carcasse di automobili, sorge una micro comunità di senzatetto. Qui condividono le loro tragicomiche esistenze tre fratelli: Caio, ex prete nichilista e depresso, Achille, sordomuto e irrequieto, e Olga, sorella maggiore, obesa e guercia, che si accompagna a Mezzaluna, immigrato musulmano. Alla comunità, logorata da continui conflitti razziali e interpersonali per la sopravvivenza, si aggiunge il borghese ed elegante Aldo, che la sventura ha condotto in strada. Un pugno di personaggi eccessivi e provocatori, seppur estremamente umani che, più di tutto, hanno in comune una lacerante mancanza d’amore… Perché quando vediamo la sofferenza le corriamo sempre incontro? C.S.

Cous Cous Klan 3 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

Non sono una signora La programmazione di marzo del Teatro Ca’ Foscari sembra un dichiarato omaggio al mondo femminile, nelle sue interpreti, nei suoi ruoli e nel loro incontro. Tre grandi signore del teatro come Giuliana Musso, Antonella Questa e Imma Villa danno corpo e voce non tanto a dei personaggi, alcuni reali e plausibili come le donne della Questa, altri immaginati come la scimmia della Musso, quanto piuttosto, in senso più universale, ai mille modi in cui si può essere donna – giovane, anziana, appagata, insoddisfatta, ambigua, inquieta, soffocata, ingegnosa. Si comincia il 4 marzo con Giuliana Musso, attrice, ricercatrice, autrice, Premio Hystrio alla Drammaturgia nel 2017, tra le maggiori esponenti del teatro di narrazione e d’indagine. A tre anni di distanza da Mio eroe, torna sul palco di Santa Marta nei panni di un essere per metà scimmia e per metà uomo. Un vero fenomeno, un animale che parla, canta e balla, perché dopo la cattura in una battuta di caccia ha capito di dover diventare simile ai suoi carcerieri, imitarli, dimenticare ciò che era per poter sopravvivere. La Scimmia è il racconto di questa strategia di sopravvivenza che prevede la perdita di se stessi e del proprio sentire nel corpo. È la descrizione di un’iniziazione inevitabile alle solite vecchie regole del gioco del patriarcato, che impone la rinuncia all’intelligenza del corpo, al sapere dell’esperienza e dell’emozione. La Stagione prosegue poi con un doppio appuntamento con Antonella Questa, attrice, autrice, regista, da 15 anni in tournée in Italia e in Francia con i suoi spettacoli, storie appassionanti in cui il corpo è una seconda lingua. Il 10 marzo va in scena Vecchia sarai tu! un monologo in cui la Questa si fa in tre, nonna, nuora e nipote, raccontando il rapporto con il tempo che passa attraverso la storia di un’ottantenne che, dopo una caduta, complice l’assenza del figlio e la presenza di una nuora avida e di una nipote che non ha tempo, si ritrova in un ospizio. Come tornare a casa, per vivere il tempo che le resta davanti al mare, con le amiche di sempre? Semplice (forse): si scappa. Stessa interprete ma una nuova storia invece l’11 marzo, Svergognata, sulla continua, tipicamente femminile ricerca di approvazione. Come quella di Chicca, donna per bene dalla vita perfetta, casa-figli-maritofilippina, almeno finché non scopre sul cellulare del marito scambi di foto e messaggi con varie “svergognate”. E ora che si fa? Faccio finta di niente? Divento svergognata pure io? Partita con l’idea di riprendersi il marito, quello che Chicca conquisterà sarà un nuovo sguardo su di sé. Ultimo appuntamento di marzo il 17, quando Imma Villa ci porta nei bassi dei Quartieri Spagnoli di Napoli all’indomani del terremoto del 1980: è “o femminiello” di Scannasurice (il monologo che nel 1982 segnò il debutto ufficiale di Enzo Moscato come autore e interprete), un personaggio dalla identità androgina, che vive tra elementi arcani, in compagnia dei topi e dei fantasmi delle leggende metropolitane, tra spazzatura e oggetti simbolo della sua condizione, alla ricerca di un’identità smarrita dentro le macerie della storia e della sua quotidianità terremotata, fisicamente e metafisicamente. Livia Sartori di Borgoricco «La via maestra: ricomporre il presente» 4, 10, 11, 17 marzo Teatro Ca’ Foscari, Santa Marta www.unive.it

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Cristiana Morganti

Moving with Pina di e con Cristiana Morganti direttore tecnico Simone Mancini produzione il Funaro - Pistoia distribuzione in Italia Roberta Righi con l’appoggio e il sostegno della Pina Bausch Foundation - Wuppertal

martedì ore 20.30

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marzo

Teatro Goldoni Venezia


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Uno spazio infinito

Mattia Berto e il suo teatro in ‘missione’ per Venezia Sul palcoscenico fin da bambino, Mattia Berto è oggi una delle personalità più poliedriche del panorama culturale veneziano: attore, regista, illustratore, fondatore e direttore artistico di mpg. cultura e del Teatrino Groggia di Sant’Alvise, che dal 2011 ha portato a nuova vita strappandolo all’abbandono. La missione di Mattia è «irrorare di nuova linfa vitale capillarmente ogni angolo della città», attraverso progetti originali che vanno dal Teatro Ragazzi al Teatro di Cittadinanza, coinvolgendo adulti e bambini nel magico sortilegio di un sogno che si realizza nel tempo di una performance, di una battuta, di un’incursione teatrale capace di rompere gli schemi e risvegliare le coscienze.

Ancóra Groggia è il titolo della stagione 2019/20 del Teatrino di Sant’Alvise, cosa si ‘nasconde’ dietro questo tema? C’è un fil rouge che percorre il cartellone? Ancóra Groggia racconta la crescita del nostro teatro nel territorio, nel ripetersi delle stagioni, da piccola entità emergente a porto sicuro per le realtà off, il teatro di ricerca e le compagnie capaci di raccogliere i temi difficili del presente. Basta spostare l’accento e il titolo si fa metafora cara alle città d’acqua. L’àncora che permette la tenuta a chi naviga in mare aperto. L’àncora che tiene insieme i tanti pezzi di città, gli abitanti rimasti e i nuovi residenti, le diverse generazioni. Un teatro di comunità agile, versatile e coraggioso. Il fil rouge è l’offerta di un cartellone originale, opere scelte che rappresentano una moltitudine di linguaggi contemporanei, un viaggio di esplorazione che i teatri stabili nelle vesti istituzionali difficilmente possono permettersi.

Insieme si concorre così a dare vita a Venezia a un’offerta più completa e articolata, diversificata nei generi ma sempre di ottimo profilo. Per la sezione Adulti, venerdì 20 marzo al Teatrino va in scena il collettivo L’Amalgama con lo spettacolo T.O.M. Tales of Me. Senza darci allo spoiler, cosa può anticiparci dello spettacolo e dei suoi protagonisti? Si tratta di uno spettacolo proposto da un collettivo di dieci attori e attrici diplomati all’Accademia di arte drammatica Nico Pepe di Udine. In questi anni più volte abbiamo ospitato spettacoli di giovani attori emergenti conosciuti attraverso le nostre collaborazioni con le tante accademie d’arte drammatica del nostro Paese. Nel caso specifico, T.OM. Tales of Me vede in scena il veneto Stefano Pettenella, in un solo corpo e danza al crocevia tra le poesie di Wladimir Majakovskij, Federico Tavan e Tom Waits. Questo mese termina la stagione dedicata ai Piccoli, cui la programmazione del Groggia rivolge sempre particolare attenzione. Da dove nasce la sua personale passione per il teatro ragazzi, e quale ruolo gioca l’esperienza teatrale durante la prima infanzia e la giovinezza? Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia intellettualmente stimolante, figlio amatissimo di un ingegnoso commerciante, mio padre, e di una madre la cui famiglia di origine, i Cadorin, ha sempre dato particolare spazio e supporto alle vocazioni artistiche e accoglienza alle professioni culturali. A dieci anni già facevo teatro, aiutato e incoraggiato come raramente accadeva a quell’età. È stato fondamentale, e poiché non tutti godono della stessa for-

Foto: Giorgia Chinellato - Stilista: Roberto Piffer

tuna ho creduto prezioso aprire gli spazi a tutti i bambini, dare vita a un teatro che condivide la buona sorte. I bambini e poi i ragazzi nel teatro possono conoscersi in modo giocoso, scavare dentro se stessi con leggerezza. È uno spazio finito che apre orizzonti sconfinati. Il corpo, la voce e il gesto, costruiscono paesaggi fantastici. Ogni workshop è studiato con attenzione per incontrare le diverse età senza forzare i tempi di crescita. In cartellone proponiamo esperienze e spettacoli dedicati di volta in volta a bambini del nido, delle elementari, a famiglie nel loro insieme, a preadolescenti e adulti indipendenti. Tra il pubblico, gente di ogni genere. Lo scorso ottobre ha preso il via il suo nuovo progetto di teatro di cittadinanza promosso dal Teatro Goldoni, un percorso che nelle edizioni passate ha riscosso grande successo con partecipanti di ogni età. Questa vita è un’Odissea. Venezia apre le sue case al teatro. Da dove ha avuto origine questo viaggio e soprattutto quale sarà la sua meta? Siamo partiti nel 2017 allo Stabile con Goldoni metropolitano, trasformando il palco del più importante teatro cittadino in una SPA, metafora ideale per una città che ritrova se stessa, nella cura dei suoi abitanti, nell’attenzione rivolta agli spazi urbani. Negli anni a seguire con Tempesta la resa dei conti, abbiamo varcato la soglia del teatro e conquistato la città. La prima azione di Tempesta ha preso vita tra i banchi del mercato di Rialto per poi scatenarsi in tanti altri campi. L’anno scorso con Sherazade. La mia vita appesa

a una storia ho chiesto ai veneziani di raccontare le loro storie ai foresti ospiti negli alberghi in città. Con Questa vita è un’odissea chiedo agli abitanti di mettersi in gioco su più fronti. Dai quindici ai cent’anni possono partecipare ai laboratori e poi divenire interpreti delle diverse performance che avranno luogo nelle case private di altri veneziani che con generosità ospiteranno le azioni teatrali. La meta di questo nostro teatro di cittadinanza e di irrorare di nuova linfa vitale capillarmente ogni angolo della città, di metterne in risalto la potenza creativa che ancora la abita profondamente. Con gli spettacoli, i laboratori e i numerosi progetti, dal Teatro in Bottega al Teatro di Cittadinanza, lei è in grado di coinvolgere davvero tutti in maniera trasversale… vuole svelarci la sua vera missione? Le persone, tutte le persone, sono sempre molto più di quel che sembrano. La casalinga ha voglia di respirare dell’aria fresca, l’aviatore di una poltrona comoda, il saltimbanco di un po’ riservatezza, l’impiegato di qualcosa di straordinario, il dirigente di essere uno sconosciuto tra la folla, al pari degli altri. La mia mission è cercare di dischiudere porte che non si sono mai osate aprire prima, forse per paura, per timidezza, per convenzione sociale. Ci sono sogni che si credono lontani e a volte magari anche solo per un istante sono possibili. In queste mutate vesti cresce spontaneo un dialogo onesto che arricchisce gli uni e gli altri. Si può essere e divenire insieme qualcosa di più della somma delle parti. Una comunità che cresce e si trasforma.

Oltre a essere una città in eterna crisi di identità, Venezia quest’anno ha dovuto far fronte a circostanze straordinarie, come l’acqua granda dello scorso novembre che ha avuto nefaste ripercussioni sull’immagine della città e sulle sue economie. Da “veneziano innamorato di Venezia”, come lei stesso si definisce, le chiediamo di condividere con noi una riflessione schietta sulla città e su chi ogni giorno la vive e la attraversa. L’acqua granda del 12 novembre ha trovato una città capace di reagire ma ha anche consolidato l’idea che avanti così non si può andare. Venezia sta attraversando un momento difficile che mette a rischio il suo futuro. Sarebbe disonesto non parlarne. I problemi ci sono, dalle botteghe che chiudono agli abitanti che si vedono costretti a lasciarla per mancanza di prospettive lavorative e per l’esigua disponibilità di case in affitto. Tuttavia è la città più amata del mondo, pur con molte contraddizioni, dai suoi abitanti, dagli esuli, da chi torna a distanza di anni e da chi la sceglie per viverla tra mille. Il cambiamento climatico, un eccesso di pressione turistica, il passaggio dall’uso al consumo sfrenato gravano sulle sue fondamenta. Ognuno di noi con i propri mezzi, nel proprio ruolo è chiamato a intervenire. La mia missione è questa, una continua dichiarazione d’amore per la mia città e i suoi abitanti, dal palcoscenico dei teatri, dai banchi del mercato, da dietro le sbarre del carcere, nelle hall degli hotel. La mia considerazione? È infinita. Chiara Sciascia «Ancóra Groggia» 7, 8, 20, 29 marzo Teatrino Groggia www.mpgcultura.it


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A che punto è la notte?

Broadway road

La lotta degli umili

Il Macbeth di Serena Sinigaglia tra umanità e tragedia

L’irresistibile energia della Bodytraffic Dance Company

Franco Branciaroli a capo de I miserabili di Victor Hugo

Il testo del Macbeth che conosciamo proviene dalla raccolta ufficiale detta Folio del 1623, diciassette anni dopo la sua prima rappresentazione, ed è probabilmente tratto da un copione a uso degli attori. Questo anche aiuta a capire la potenza del testo e la sua relativa brevità. È forse la pièce teatrale più rappresentata sia in scena che in pellicola. Da Verdi nel 1847 ad Adelaide Ristori, sino ai recenti, per limitarsi all’Italia, Bellocchio in un improbabile Cile governato da Pinochet, Branciaroli, tutto magia e barocco, De Fusco nel 2017, onirico e sospeso tra realtà e sogno, o Macbettu di Alessandro Serra dove centrale è il linguaggio del corpo. Anche le traduzioni sono numerose, quelle pubblicate ancora in commercio sono almeno 21, tra cui quelle di Salvatore Quasimodo (Einaudi, 1952) e Vittorio Gassman (Mondadori, 1983), che la fece in occasione di una delle sue ultime memorabili messe in scena. Il cinema se ne impadronì subito, già dal 1908 la prima versione cinematografica di James Stuart Blackton, poi Orson Welles nel 1948 e la contesta opera di Polanski del 1971 con le sue scene molto macabre. Il lavoro di traduzione di Letizia Russo alla base della regia di Serena Sinigaglia è stato definito in occasione del Premio della critica 2019 “puntuale acribia interpretativa”, per l’intenso

scavo nel significato delle parole e delle frasi. D’altronde Letizia nasce come traduttrice. Il suo Il Maestro e Margherita è un vero «andare a fondo nella parola di Bulgakov, superare la crosta del tempo, scandagliare i significati». Ella afferma:«Scrivere per me è un modo di comprendere le cose – afferma Letizia –, soprattutto per quel che riguarda le dinamiche tra gli esseri umani. I grandi e piccoli fiumi di potere che scorrono e nelle vite delle persone». Serena Sinigaglia, non nuova a Shakespeare, impegnata dal 1997 nell’Associazione Teatro Innovazione per la Ricerca e nel suo Teatro Ringhiera, sovverte le caratteristiche esclusivamente negative dei personaggi, profondamente umani, Macbeth e la sua Lady sembrano divenire anche essi schiavi del destino e soli nell’affrontare il proprio dramma, quasi a ricalcare le parole della tragedia «tutto ciò che appare non è mai ciò che sembra». Nella rappresentazione il sangue non è esibito, così come fa Shakespeare in una sorta di pudore da tragedia greca. La violenza è compiuta in modo goffo e i personaggi si muovono insicuri su questo terreno. La discesa verso il buio è consapevole e temuta. «A che punto è la notte» è la frase ricorrente in attesa del loro destino. Loris Casadei Macbeth 25-29 marzo Teatro Goldoni www.teatrostabilveneto.it

Direttamente da Los Angeles, arriva in scena al Toniolo il 17 marzo, l’acclamata compagnia di danza di Lilian Barbeito e Tina Finkelman Berkett. Nata nel 2007, Bodytraffic è una compagnia ‘giovane’ che in pochi anni però ha saputo imporsi all’attenzione dei critici e del pubblico ed è attualmente fra le più apprezzate nella danza contemporanea americana. Definita dagli osservatori statunitensi “the company of the future” (il primo a chiamarla così è stato il direttore del prestigioso Joyce Theatre di New York), la Compagnia si caratterizza per una forte componente di danza urbana, per il magnetismo dei suoi interpreti e la tensione verso il coinvolgimento emotivo del pubblico. Il suo repertorio, che comprende opere dei maggiori coreografi, spazia da Kyle Abraham a Lillian Barbeito, Sidra Bell, Stijn Celis, Sarah Elgart, Alex Ketley, Loni Landon, Barak Marshall, Andrea Miller, Laura Gorenstein Miller, Joshua Peugh, Miguel Perez, Victor Quijada, Zoe Scofield, Hofesh Shechter, Richard Siegal e Guy Weizman & Roni Haver. Lo spettacolo presentato da Bodytraffic è composto dal susseguirsi di cinque coreografie che spaziano dal genere contemporaneo, all’hip hop, al moderno, accompagnate da musiche jazz e swing, portando lo spettatore a immergersi nelle suggestive atmosfere dei grandi musical americani.

Bodytraffic 17 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

«C’è un punto in cui gli infami e gli sfortunati si confondono e convergono in un’unica parola: i miserabili ». Lo dichiara Victor Hugo nel 1862 dopo la pubblicazione del romanzo intitolato appunto I miserabili che, fino a oggi, continua a riscuotere un grande successo popolare. Nonostante la storia sia radicata nel contesto politico ed economico della Francia del ‘800, trova forti risonanze nell’Europa contemporanea. Più di un’arringa sociale, l’epico romanzo è un vero e proprio inno all’amore, al coraggio e alla redenzione. Dialoghista senza paragoni, Hugo ha saputo conferire verità e autenticità ai suoi personaggi in costante lotta contro l’ingiustizia ispirandosi a La Comédie humaine di Honoré de Balzac, in particolare per Javert e Jean Valjean, ma anche ai Mystères de Paris, di Eugène Sue, per descrivere i quartieri malfamati della Capitale. Il capolavoro di Hugo è stato oggetto di numerosi adattamenti per il teatro – tradotta in 22 lingue e vista da 70 milioni di spettatori in 45 Paesi – per il musical e anche per il cinema nel 2012, con la memorabile pellicola che valse ad Anne Hathaway l’Oscar come Migliore Attrice per l’interpretazione di Fantine. Dal 19 al 22 marzo al Teatro Goldoni va in scena la versione firmata dal regista Franco Però e dallo scrittore Luca Doninelli, con un cast composto da dodici attori di diverse generazioni, chiamati a

evocare il groviglio di sentimenti tratteggiati con maestria da Hugo. A guidarli Franco Branciaroli, artista fuori dalle regole e fuori dagli schemi che mette tutta il suo talento al servizio di Jean Valjean: un personaggio “monstre”, uno strano santo, una figura angelico-faustiana, il ritratto di un’umanità che forse deve ancora venire. Per due ore e quaranta minuti, si affrontano sul palco, in un affresco al contempo grottesco e illustre, i diversi personaggi alle prese con le proprie crisi personali e con quella ‘totale’ che colpisce la Francia, raccontando attraverso il percorso individuale di ognuno il destino di una Nazione. Adattando questo capolavoro della letteratura francese, Però e Doninelli risvegliano le coscienze morali. «Finché esisterà, per colpa delle leggi e dei costumi, una condanna sociale che, in piena civiltà, crea artificialmente degli inferni […]; finché i tre problemi del secolo, la degradazione dell’uomo per causa del proletariato, l’avvilimento della donna per causa della fame, l’atrofia del fanciullo per causa delle tenebre, non saranno risolti […]; in altre parole da un punto di vista ancor più esteso, finché esisteranno sulla terra ignoranza e miseria, libri di questa specie potranno non essere inutili». Parola di Victor Hugo (1862). D.T. I miserabili 19-22 marzo Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it


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Per non perdere il filo Il passatempo ‘sperimentale’ di Paolini in scena al Villa dei Leoni Immaginiamo di poter parlare ai nostri antenati di come è il mondo oggi. Globalizzazione, internet, intelligenza artificiale. Ne sarebbero sorpresi? Affascinati? Spaventati? Dopo Le avventure di Numero Primo e #Antropocene, con Filo Filò Marco Paolini torna a parlare della pervasività della tecnologia nelle nostre vite, usando il teatro come una sorta di esperimento di cui il pubblico è parte attiva. Filo è un uomo di questo millennio, ormai completamente dipendente dalla rete, che si interroga sul proprio futuro con un misto di apprensione e speranza. I dubbi e i ragionamenti di Filo sono gli stessi che Paolini lascia scorrere tra sé e gli spettatori, cercando di intrecciare una rete, non tecnologica ma ugualmente potente, formata

dall’onda di emozioni che il teatro può generare. In questa sua nuova riflessione, l’attore bellunese introduce anche i temi sostenuti da Friday for Future, il movimento studentesco nato sulla scia degli appelli rivolti da Greta Thunberg alla comunità internazionale. Nei ragionamenti di Filo confluiscono così le domande e le preoccupazioni sui cambiamenti climatici che centinaia di studenti hanno condiviso con Paolini rispondendo a una lettera che l’attore ha inviato ad alcune scuole superiori. Nel passaggio da un tempo all’altro – in senso drammaturgico ma anche letterale – il filo che unisce passato e presente si trasforma in Filò, una “forma più magra di racconto dialogante” che si ispira alle antiche veglie invernali, quan-

Una famiglia a Teatro Photo Gianluca Moretto

do le comunità contadine, per far passare il tempo, si stringevano attorno al fuoco a raccontare storie. Non manca un riferimento al poeta Andrea Zanzotto, che al Filò dedicò un’intera raccolta di liriche in dialetto veneto. Scienza e tecnologia, dunque, ma anche memoria e tradizione in un passatempo teatrale che non è mai semplice evasione e che scorre lungo il filo delle visioni – comiche, surreali, venete e universali – di Marco Paolini. Marisa Santin Filo Filò 20 marzo Teatro Villa dei Leoni-Mira www.arteven.it

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Tra ciak e sipario Al Toniolo Ferzan Özpetek e le sue Mine Vaganti Vincitore di due David di Donatello, del Premio speciale della Giuria al Tribeca Film Festival e di cinque Nastri d’Argento, Mine Vaganti è uno tra i film più famosi di Ferzan Özpetek. E ora proprio questo film, co-sceneggiato insieme a Ivan Cotroneo, diventa una pièce teatrale, presentata al Teatro Toniolo dal 24 al 29 marzo. È lo stesso Özpetek a trasportare a teatro sia l’umorismo che l’emozione di Mine Vaganti, catturando tutto lo spirito del film nella sua prima regia teatrale. La disfunzionale famiglia Cantone rivive attraverso i volti di Francesco Pannofino, Paola Minaccioni, Arturo Muselli, Giorgio Marchesi e Caterina Vertova, insieme a Roberta Astuti, Sarah Falanga,

Mimma Lovoi, Francesco Maggi, Luca Pantini, Edoardo Purgatori. Come nel film, la storia si focalizza sul coming out di uno dei figli di una famiglia salentina, proprietaria di un pastificio. Il giovane Tommaso torna nella grande casa di famiglia a Lecce con l’intenzione di comunicare al variegato clan dei parenti chi veramente è: un omosessuale con ambizioni letterarie e non un bravo studente di economia fuori sede come tutti credono. Ma la sua rivelazione viene bruciata sul tempo da una notizia ancora più inattesa e scioccante del fratello Antonio. Tommaso è costretto a fermarsi a Lecce, rivedere i suoi piani e lottare per la verità, contro un mondo famigliare pieno di

Photo Romolo Eucalitto

contraddizioni e segreti. La famiglia, apparentemente quieta, viene trascinata in una serie di eventi tragicomici degni di una vera e propria Commedia dell’arte. Se cambia la scenografia, il messaggio di Mine Vaganti rimane sempre lo stesso: la presa di coscienza, la voglia di vivere l’amore alla luce del sole e i legami familiari e di coppia, tutti temi cari al celebre regista italo-turco, che li affronta qui con una vena comica di grande impatto e un pizzico di drammaticità. Delphine Trouillard Mine Vaganti 24-29 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

Un teatro è un luogo di scena, di racconti, di emozioni, di cultura, ma anche e soprattutto di persone fuori e dentro il palcoscenico. E per una volta i protagonisti non sono gli attori, ma tutti i dipendenti del Teatro Goldoni, che come una vera famiglia si sono presi cura della loro casa. «Il Goldoni ha una storia antichissima e quando ci siamo resi conto che la nostra casa aveva bisogno di manutenzione, come accade in ogni famiglia, abbiamo voluto prendercene cura – racconta il Presidente del Teatro Stabile del Veneto, Giampiero Beltotto – Sono grato ai dipendenti del Goldoni che hanno voluto festeggiare i quarant’anni di questa storica sala donando, in maniera totalmente volontaria e con forte abnegazione, il proprio tempo e la propria manodopera per riportare il teatro allo splendore originario». Affetto e professionalità, passione e dedizione hanno spinto infatti i dipendenti del Teatro a organizzare un regalo speciale per il 40esimo anniversario dalla sua riapertura. Dalla necessità di cambiare le tendine è nato, infatti, un progetto minuzioso a cui hanno preso parte tutte le maestranze del Goldoni: palchetto per palchetto, sono state smontate tutte le tendine della sala, recuperato ogni singolo pendaglio di vetro, cuciti i nuovi tessuti, interamente composti di materiale ignifugo, e rimontati nei palchi. 130 tendine, 5 mila pendagli per 250 ore di manodopera divise tra il lavoro delle sarte e di chi pazientemente ha smontato, ricercato nuovi tessuti, lavato e rimontato per donare al teatro un rinnovato splendore. Un intervento che non sarebbe stato possibile senza il sostegno di tre storiche aziende veneziane, Alessandro Vianello Arredo Tessile, che ha donato i nuovi tessuti ignifughi e il materiale per le nuove tendine, Elve Materiale Elettrico e Rizzi Trasporti Lagunari, che invece hanno offerto il proprio impegno per coprire le spese. Questo intervento forse semplice ma significativo, si inserisce in un programma più ampio e generale di interventi in corso, che dovranno concludersi per l’inizio della stagione 2020/2021 e che renderanno il Teatro Goldoni più confortevole, tecnologico e sostenibile, aspirando a diventare «il più importante avamposto tecnologico che una capitale culturale possa avere» (Beltotto), grazie all’impegno del Comune di Venezia e del Teatro Stabile del Veneto. Un’operazione che segna il passo verso un teatro sempre più sicuro e accogliente con l’adeguamento dell’impianto elettrico e la messa a norma e sicurezza della struttura e il restyling della sala, con la sostituzione della moquette della platea e di tutte le 330 poltrone con un nuovo modello “Goldoni”, appositamente studiato, dal design più moderno, con materiali più resistenti e durevoli, un facile sistema di montaggio e una struttura più comoda e confortevole che presenta la possibilità di sedile riscaldato. Un Teatro sempre più accessibile grazie all’app per la traduzione simultanea degli spettacoli – i cellulari in sala non saranno più un problema perché l’applicazione azzera la luminosità dei display di tutti i dispositivi –, che aprirà definitivamente le porte a una stagione estiva internazionale. Ma anche e soprattutto un teatro più green, a partire dall’illuminazione, con lampade alogene a Led dimmerabili di ultimissima generazione per un totale di 1480 lampadine, che ridurranno i consumi e le emissioni con oltre 150mila kWh risparmiati e 62 tonnellate di CO2 in meno. M.M. www.teatrostabilveneto.it


GIGI E ROSS Andy e Norman Il duo comico Gigi e Ross debutta a teatro con lo spettacolo Andy e Norman, raccogliendo un’eredità importante, perché commedia di Neil Simon nella versione interpretata da Gaspare e Zuzzurro fu tra le più apprezzate e oggi ricordate con maggior nostalgia. Con lo stesso adattamento e per la regia di Alessandro Benvenuti, che curò anche la storica edizione del 1986, Gigi e Ross mettono in scena le peripezie di due scapoli giornalisti che dividono lo stesso appartamento, mentre con grandi difficoltà economiche dirigono e producono una rivista alternativa. Ad alterare il già precario equilibrio tra i due, la bella Sophie, giovane americana trasferitasi da poco nell’abitazione accanto, che farà girar la testa e stravolgerà la vita di entrambi. Si intreccia, quindi, un rapporto a tre, in cui i personaggi si muovono tra le maglie di una trama ricca di situazioni esilaranti sulla scia delle nevrosi dell’uomo contemporaneo. 6 marzo | Teatro Toniolo-Mestre h. 21 www.culturavenezia.it/toniolo

DEBORA VILLA Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere Mattatrice irresistibile, Debora Villa concentra tutta la sua travolgente vis comica nell’adattamento teatrale del celebre testo dello psicologo John Gray. Inanellando aneddoti esilaranti e battute fulminanti, il monologo indaga le differenze tra uomini e donne, in una sorta di terapia di gruppo che coinvolge il pubblico in prima persona con conseguenze inaspettate. Perfetta nei tempi comici, grazie a una mimica impareggiabile, Villa si rivela una eccezionale guru che con straordinaria empatia riesce a mediare la visione del mondo e dell’altro sesso, dei Marziani, ma anche a ridere delle ansie e delle incongruenze delle Veneri, spesso ipercritiche e complicate, elargendo loro spassionati consigli. Tirando le somme, Debora Villa suggerisce la soluzione per una convivenza felice e proficua tra i due sessi: conoscersi, ridere delle differenze tra Marziani e Venusiane, ma al tempo stesso rispettare le reciproche diversità e vivere serenamente l’amore. 12 marzo | Teatro Goldoni h. 20.30 www.teatrostabileveneto.it

ROCCO PAPALEO Coast to Coast

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Rocco Papaleo, in questi giorni al cinema con il film di Carlo Verdone, Si vive una volta sola, non si nega al pubblico del teatro, che accoglie la tournée del nuovo spettacolo Coast to Coast. Il titolo suggerisce l’idea di un viaggio; un viaggio lungo 25 anni nell’esperienza del teatro canzone che ha formato in Papaleo la convinzione che «la strada della vita vera è la mia risorsa principale, lo spostamento la mia cifra esistenziale, il dinamismo la mia salvezza». Il nuovo show aggiunge, trattenendo i momenti salienti del percorso già compiuto, l’osservazione del momento, il racconto del presente. «Coast to coast è l’impossibilità di fermarsi, sapere di essere transitori, comprendere che tutto è provvisorio, e per questo meravigliarsi sempre; che più o meno, è il senso del viaggio che compiamo ogni giorno, tutti i giorni, finché ci è concesso di guardare fuori dal finestrino». 20, 21 marzo | Teatro Toniolo-Mestre h. 21 www.culturavenezia.it/toniolo

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Al cuor non si comanda

Vincenzo Salemme mattatore al Verdi di Padova Il popolare attore napoletano Vincenzo Salemme delizia il pubblico dei teatri italiani, da Sud a Nord, con le commedie di cui è autore. Nei suoi testi la comicità sfiora sempre il confine con il tragico e nel suo ultimo lavoro Con tutto il cuore è sempre evidente quanto sia sottile il confine tra riso e pianto. Nella nuova commedia Salemme affronta il tema di come sia quasi impossibile definire l’identità umana. Chi può stabilire chi siamo: noi stessi? Gli altri? Interrogativi non risolti che finiscono per attanagliare lo stesso personaggio attorno a cui tutta la vicenda ruota: Ottavio Camaldoli, un mite professore di lettere antiche. Egli deve subire un delicato trapianto di cuore, ignorando che l’organo che gli è

stato donato apparteneva a un feroce delinquente, che aveva espresso l’ultima volontà di essere vendicato da colui il quale avrebbe ricevuto il suo cuore. Il professor Camaldoli non ha affatto intenzione di trasformarsi in uno spietato assassino, ma questa situazione lo metterà di fronte alla necessità di compiere delle scelte, rivelando la natura umana più profonda. Tutti, dai suoi familiari alla madre dell’uomo assassinato, sostengono che nel suo petto batte un cuore diverso, Ottavio non è più lui, ma un altro; inoltre vendicando la morte del suo donatore potrebbe finalmente guadagnarsi quel rispetto e quella considerazione di cui non ha mai potuto godere. Salemme, come la tradizione del grande

Photo Federico Riva

teatro napoletano dei De Filippo, tratta tale tema – altamente tragico – facendone emergere gli aspetti più ridicoli e grotteschi. Le situazioni che inscena e che fanno sbellicare dalle risa il pubblico, rendono l’animo triste a ripensarci. La bravura di Salemme consiste nel non ammantare mai la commedia con un velo, seppur minimo, di mestizia. Egli predilige la risata, costruita su battute e situazioni senza mai cedere alla volgarità. F.M. Con tutto il cuore 11-15 marzo Teatro Verdi-Padova www.teatrostabilveneto.it

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Il tesoro nascosto Massironi e Citran, gli opposti che si attraggono Si chiude in grande stile la stagione del Teatro di Mirano, il 26 marzo, con due attori molto amati dal pubblico teatrale, Marina Massironi e Roberto Citran, interpreti magistrali del dramma comico di Stephen Sachs, Le verità di Bakersfield, portato in scena dalla regista Veronica Cruciani. Al centro della brillante commedia del drammaturgo statunitense, ispirata a fatti realmente accaduti, troviamo due destini, due vicende umane lontanissime che s’incrociano sullo sfondo di un’America spaccata da forti divari sociali. Maude, barman cinquantenne disoccupata, ormai vinta da una vita che non le ha risparmiato delusioni e sofferenze, vive emarginata in una roulotte e incarna

perfettamente lo stereotipo del “white trash”. Lionel, invece, è un newyorchese, esperto d’arte di livello mondiale, abituato a frequentare l’alta società, i ricchi e i potenti. Un giorno, nel disordine della sua caotica casa-roulotte Maude, scova un possibile tesoro: un presunto quadro di Jackson Pollock, e sarà proprio Lionel a volare a Bakersfield per fare l’expertise dell’opera che, in caso di autenticazione, potrebbe cambiare completamente la vita della donna. Ma se Maude, alla ricerca di un proprio riscatto tenta di dimostrare attraverso una disperata vitalità l’autenticità dell’opera, dall’altra Lionel, che si definisce un “cacciatore di falsi”, afferma convintamente che il quadro non

Photo Marina Alessi

è un Pollock autentico. Il dialogo, che si svolge interamente tra le cianfrusaglie della roulotte, marca molto le differenze tra i due personaggi ma, battuta dopo battuta, accade che Maude si riveli assai meno sprovveduta di quanto appare, mentre la posizione di Lionel diventa via via sempre più fragile in una sorta di ribaltamento di ruoli, che mette in discussione la verità o la falsità dei loro rapporti sociali, fino a cambiare radicalmente il loro punto di vista sul mondo. Le verità di Bakersfield 26 marzo Teatro di Mirano www.arteven.it


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Tra dei e burattini

L’insostenibile leggerezza del Giardino

I Sacchi di Sabbia e Gigio Brunello al Teatrino Zero

L’ultimo capolavoro di Čechov fiorisce tra le mani di Alessandro Serra

Volge a conclusione la Rassegna Artistica 2019/20 del Teatrino Zero con due spettacoli off in grado di offrire uno spaccato teatrale assolutamente originale che va dalla tragedia greca al teatro di figura contemporaneo. Sabato 7 marzo, l’irriverente compagnia I Sacchi di Sabbia di Massimiliano Civica, invita il pubblico a ridere delle ostilità tramutando la tragedia di Euripide, Andromaca, in una farsa dai tratti surreali. Dopo il precedente lavoro, Dialoghi degli dei, I Sacchi di Sabbia tornano in scena con i personaggi satireschi e l’umorismo disincantato che ne hanno decretato il successo. Andromaca è una tragedia stralunata, che in questa rilettura assume i tempi e gli aspetti della commedia, strizzando l’occhio al

cabaret con una comicità sorniona che costringe lo spettatore a riflettere su cristallizzazioni ed evoluzioni della società, e a ridere di sé, per meglio conoscerci e analizzarci. Un invito alla riflessione arriva anche dallo spettacolo del 2014 di Gigio Brunello (21 marzo), Lumi dall’alto. Corse clandestine in città, ultimo capito della trilogia scaturita da un percorso di sperimentazione sul teatro di figura che trova spunto nelle storie della città di Mestre. Nonostante i sei anni trascorsi dal debutto, Lumi dall’alto rimane uno spettacolo di un’attualità bruciante che senza retorica alcuna rivive l’epopea della comunità albanese di Mestre, attraverso la storia vera di una sedicenne arrivata via mare in Italia con il

fratellino e le proprie cose ben avvolte e sigillate nel nylon per preservarle dall’acqua. Per mezzo di un teatro poverissimo, dove gli oggetti prendono vita grazie all’immaginazione del pubblico, Brunello e il regista e autore ungherese Gyula Molnar riescono a creare uno spettacolo di rara potenza poetica ed evocativa, in cui la storia personale di Kira diventa universale. «Rassegna Artistica 2019/20» 7, 21 marzo Teatrino Zero, Crea-Spinea www.facebook.com/teatrinozero

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I mille volti di Giorgio One man show di Panariello al Corso Reduce dall’incedibile successo dello show con gli amici “toscanacci” di sempre Carlo Conti e Leonardo Pieraccioni, che ha conquistato le platee di tutta Italia, oltre al grande pubblico televisivo con la messa in onda dello scorso 14 febbraio su Rai 1, Giorgio Panariello è nuovamente in tournée con La favola mia, un one man show che racchiude tutta l’essenza comica dell’attore fiorentino. Il 2020 è infatti un anno speciale per Giorgio Panariello che compie 60 anni e festeggia i vent’anni di carriera dal grandissimo successo di Torno sabato, varietà Rai che lo consacrò beniamino del piccolo schermo. «Ho preso in prestito il titolo di

una celebre canzone di un artista che è stato, possiamo dire, il più rappresentativo della mia vita: Renato Zero. Io ho cominciato tutto facendo la sua imitazione: “Renatone”, se vogliamo, è stato il mio portafortuna. La favola mia rappresentava al meglio quello che volevo raccontare – dichiara Panariello in una recente intervista –, la favola che mi ha portato ad essere su quel palcoscenico, i vari elementi che hanno caratterizzato questo cammino, il fuoco dell’arte, la mia infanzia difficile. Cerco di ripercorrere questi miei trent’anni di carriera, raccontando al pubblico la favola di questo ragazzo della Versilia che piano piano, con un po’ di fantasia e tanta buona volontà, è riuscito a

conquistarsi la possibilità di avere attenzione e affetto da molti italiani». Nel nuovo spettacolo Panariello racconta anche e soprattutto “Giorgio”, attraverso aneddoti di vita vissuta che, tra risate, un pizzico di irriverenza e attualità, riportano ai suoi esordi, al primo agente e alle prime serate, passando per una carrellata di tutti suoi personaggi più celebri di cui è pronto a svelare ogni segreto… La favola mia 24 marzo Teatro Corso-Mestre www.dalvivoeventi.it

Per anni critici teatrali e accademici hanno indicato Alessandro Serra come “maestro della luce”. Ora questa definizione è tutta da rivedere. Così come Macbettu (Premio Ubu 2017), ora anche Il giardino dei ciliegi ci presenta un artista che sa padroneggiare ogni elemento scenico. Ad iniziare dal libretto, per la capacità di cogliere gli elementi ironici del testo nella affermazione di Čechov e, contemporaneamente, anche il senso del tragico, che Stanislavskij aveva voluto enfatizzare in scena al Teatro d’Arte di Mosca nel 1917, suscitando l’ira dello scrittore. Il vecchio servitore Firs, rimasto senza paga, nella tenuta dei padroni per quaranta anni, anche se nel 1861 era stata promulgata la legge sulla emancipazione dei servi della gleba, si richiude in armadio per fuggire il mondo nuovo che avanza, la ancora bella Ljubov’ si rifugia in un amore che sa essere malsano, lo studente Gricha sempre si ritira nelle sue utopie perdenti, forse dubitando che il nuovo capitalismo trionfante, in America ferrovie e petrolio, qui disboscamento per speculazione immobiliare ovvero dacie vacanziere al posto dei romantici alberi di amarene, costituisca un mondo migliore. Ogni personaggio ha una sua gestualità ripetuta e immutabile. Sempre un poco infantile, forse memore della regia di Strehler.

Anche qui il sipario si apre su una stanza dei giochi, quella ove i protagonisti, ora cresciuti, avevano trascorso la loro età più dolce. In un incontro padovano Alessandro Serra aveva ricordato la sua ossessione per l’infanzia, «la domanda che ponevo ai miei attori era: se all’uscita avessero incontrato un se stesso bambino, sarebbero riusciti a sostenerne lo sguardo? Perché in ogni infanzia esiste una ferita». La prossemica è studiata meticolosamente sino a sembrare “una danza melanconica”. Ovviamente il colore e le luci, anche se le variazioni cromatiche sono delicate, contribuiscono a creare un effetto magico. «Mi piacciono i passaggi di luce lenti ove lo spettatore quasi non se ne accorga, così come nei gesti, vi deve essere un vuoto che permetta allo spettatore una forma di riconoscimento. I suoni, apparentemente naturali, colpi di tosse, starnuti, pianti, risate, ronfi contribuiscono a una partitura sonora che sembra sostituire i monologhi o i dialoghi». Tutti gli spettatori riconosceranno un grande classico ma trattato con un’intelligenza fine e un lavoro meticoloso e incessante. Quasi ogni serata non è la stessa per l’attenzione continua ai dettagli espressivi e comunicativi. Loris Casadei Il giardino dei ciliegi 25-29 marzo Teatro Verdi-Padova www.teatrostabileveneto.it


a cura di Chiara Sciascia

NATURALIS LABOR Cenere Cenerentola

Photo Giuseppe Distefano

Un graduale susseguirsi di immaginari fiabeschi, costantemente interrotti e squartati da spaccati di vita terrena, lavoro, realtà. Sul palco coperto di cenere, Cenerentola è un personaggio ambivalente fragile e tenace, sognante e deluso, innalzato e lasciato ricadere su quel soffice manto di polvere nera che eleva le anime al contempo sporca la carne di dieci danzatori. Cenerentola è una donna, di ieri, di oggi e di domani, in cerca di un ruolo da far proprio, di un personaggio da interpretare, di un luogo in cui sentirsi se stessa; il principe c’è ma non c’è davvero, non si può davvero dire se ci sarà. Nella nuova creazione di Naturalis Labor, Cenerentola non è altro che un racconto di vita quotidiana, la leggerezza di una fiaba che decide di riscoprire le proprie radici e affondarle saldamente nella realtà, sporca, ma pur sempre vera. In un continuo impasto tra sogno, virtualità e sospensione del desiderio, si attraversano guerre, illusioni, piaceri, solitudini, forze e liberazioni quasi ancestrali. Un muro difficile da scalare, che separa ma allo stesso tempo unisce, i luoghi si confondono… di questa fiaba restano solo le ceneri, per una redenzione verso la verità dei suoi personaggi. 14 marzo | Teatro Goldoni h. 20.45 www.teatrostabilveneto.it

BALLETTO DI ROMA Io, Don Chisciotte

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A passo di valzer

L’uomo perfetto

Corrado Abbati rivisita Il pipistrello di Strauss

La ‘danza’ di Figaro secondo Monica Casadei

Nel 1874 Johann Strauss jr. impiegò solo 43 giorni per musicare la partitura del Pipistrello, capolavoro non solo suo, ma di un genere considerato minore come l’operetta. Una decina d’anni prima Offenbach, infatti, gli aveva detto che sarebbe stato un buon compositore di operette: mettere un valzer sotto le parole era il suo mestiere. Strauss ci aveva provato, ma la fortuna sarebbe venuta solo con Il pipistrello (Die Fledermaus) che debuttò al Theater An der Wien, di Vienna, il 5 aprile 1874 senza troppo successo. I critici non accettarono il libretto e trovarono banali alcuni brani, ma il pubblico ne decretò il successo pieno e duraturo. Oggi è insieme a La vedova allegra l’operetta più applaudita nel mondo.

Una contaminazione fra danza e lirica, dove i diversi linguaggi dei corpi si fondono in un avveniristico “balletto d’azione”, caratterizza l’allestimento de Il Barbiere di Siviglia, la più celebre opera di Giochino Rossini, che la coreografa ferrarese Monica Casadei porta in scena il 6 marzo al Teatro Mario del Monaco di Treviso, per la stagione di danza Evoluzioni. Nella rilettura firmata da Casadei, che cura anche scene e luci, Figaro è il prototipo dell’uomo di successo nel mondo di oggi: vestito in rigorosi abiti manageriali, l’eroe rossiniano diventa l’emblema di chi riesce a soddisfare le aspettative di una società che impone ogni giorno di raggiungere obiettivi sempre più alti ottimizzando tempi ed energie. La vivacità delle situazioni e il susseguirsi sciolto e divertente degli eventi, moltiplica, sul piano coreografico, il personaggio di Figaro nei corpi tonici e grintosi dell’intera compagnia. In una performance d’azione, caratterizzata da un’atmosfera sospesa tra un passato-ombra e un presente frenetico, i quattordici danzatori di Artemis Danza sono impegnati a manovrare il tempo e lo spazio senza tregua, tessendo e disfacendo in continuazione una rete infinita di cambi di direzioni, incroci di traiettorie e intarsi di movimenti. R.A.

Corrado Abbati e la sua compagnia, insieme al Balletto di Parma e con la direzione musicale del Maestro Marco Fiorini, riportano in scena Il pipistrello al Teatro Mario del Monaco di Treviso dal 27 al 29 marzo, mantenendone intatti il fascino e la vitalità. Il risultato è una commedia degli equivoci, un gioco di evasione e di scambi, dove vecchio e nuovo, apparenza e realtà sembrano confondersi in un elegante festa in maschera in cui possiamo riconoscere, riconoscerci e divertirci al ritmo delle irresistibili danze e delle meravigliose musiche di Strauss. Il pipistrello 27-29 marzo Teatro Mario del Monaco-Treviso www.teatrostabileveneto.it

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Il Balletto di Roma celebra il grande e auspicato ritorno di Fabrizio Monteverde, coreografo tra i più applauditi d’Italia, che si riaffaccia sulla scena dopo l’ultimo lavoro realizzato per la storica compagnia romana nel 2014, Il Lago dei Cigni ovvero il Canto. Autore da sempre sensibile alle suggestioni teatrali, dopo capolavori come Giulietta e Romeo (1988), in scena per oltre 400 recite, e molti altri come Otello, Bolero e Cenerentola, per festeggiare i 60 anni del Balletto di Roma (1960–2020), Monteverde rilegge in chiave coreografica il capolavoro del Siglo de oro di Cervantes. Io, Don Chisciotte rappresenta la rivincita del senso individuale contro il dominio dell’astratta universalità delle leggi umane. Don Chisciotte, con il suo sguardo strabico sul mondo, conquista la gloria attraverso avventure sconnesse e poco calcolate, imponendo la propria illusione sulla realtà con eroico sprezzo del ridicolo: elemento disturbante e artefice del caos, in fondo ci dimostra che ogni cosa, ogni persona è sempre altro da quello che dice di essere. Una lotta contro i mulini a vento che diventa metafora della ricerca dell’identità, di quella persa da un uomo fuori dal tempo, guerriero che combatte una guerra già finita e che si è smarrito nella pazzia dell’hidalgo o nell’ignoranza di Sancho Panza. Quel che la danza testimonia come imprescindibile è che l’azione dell’uomo non trova mai “un fine” e neppure “una fine” in senso assoluto, perché «in fondo il bello – dice Don Chisciotte – sta nell’impazzire senza motivo!». 21 marzo | Teatro Verdi-Padova h. 21 www.teatrostabilveneto.it

Briciole di felicità Enzo Iacchetti e Pino Quartullo, sognando Hollywood Nella mensa per artisti degli Studios di Hollywood due attori mitomani, Burt e Leon, assolutamente alla deriva ma tenacemente aggrappati al sogno del cinema, si ritrovano a pranzo, in realtà sperando di intercettare qualche star di passaggio. I due disgraziati, mentre spalmano sui loro hamburger senape, maionese, ketchup, con fare convulso e ingordo, si raccontano la loro surreale ‘carriera’ cinematografica, tra parti memorabili di cui però tutti ignorano l’esistenza perché tagliate al montaggio, o ruoli entrati nell’Olimpo di Hollywood, ma non riconducibili a nessuno dei due. In un crescendo di battute esilaranti, situazioni imbarazzanti, ed episodi di vita narrati in maniera tragicomica, si delineano due personaggi

incredibili, che man mano che la storia procede riveleranno retroscena altrettanto incredibili della loro grama esistenza. La commedia di Roberto Cavosi, con protagonisti Enzo Iacchetti e Pino Quartullo, svela un mondo che ti lusinga per tradirti e dal quale è bene rubare anche le più piccole briciole di felicità, perché è solo su quelle che si può costruire, come ci insegnano Leon e Burt, la propria vita e la propria dignità. Non esistono piccole o grandi parti, piccoli o grandi attori sullo “schermo” del mondo, esistono solo piccoli o grandi uomini. Hollywood Burger 5 marzo Teatro Vivaldi-Jesolo www.arteven.it

Il Barbiere di Siviglia 6 marzo Teatro Mario del Monaco-Treviso www.teatrostabileveneto.it



:theatro :agenda

martue 03 COUS COUS KLAN Drammaturgia di Gabriele Di Luca Carrozzeria Orfeo “Io Sono Teatro 2019/20” p.71 Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

ALICE Momix Coreografie di Moses Pendleton Evento speciale in occasione dei 40 anni della Compagnia Ingresso/Ticket € 39,5/24,5 Teatro Astra-San Donà di Piave h. 21

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merwed

LA SCIMMIA Liberamente ispirato al racconto da Una relazione per un’Accademia di Franz Kafka p.71 di e con Giuliana Musso La Corte Ospitale “Stagione 2019/20 – La via maestra” Ingresso/Ticket € 14/8 Teatro Ca’ Foscari, Santa Marta h. 20.30

ALICE (vedi martedì 3 marzo)

Ingresso/Ticket € 39,5/24,5 Teatro Astra-San Donà di Piave h. 21

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giothu

LA DONNA LEOPARDO di Alberto Moravia Adattamento drammaturgico di Michela Cescon e Lorenzo Pavolini Con Valentina Banci, Olivia Magnani, Daniele Natali, Danilo Nigrelli Regia di Michela Cescon “Stagione di Prosa 2019/20” Ingresso/Ticket € 32/12 Teatro Goldoni h. h. 20.30

OPERA XXX di Benoit Roland e Roberto Zamengo Teatroimmagine “La Città a Teatro 2019/20” Ingresso/Ticket € 18/10 Teatro di Mirano h. 21

HOLLYWOOD BURGER p.78 di Roberto Cavosi Con Enzo Iacchetti e Pino Quartullo Regia di Pino Quartullo “Verso nuove stagioni 2019/20” Ingresso/Ticket € 18/16 Teatro Vivaldi-Jesolo h. 21

Ingresso/Ticket € 39,5/24,5 Teatro Astra-San Donà di Piave h. 21

THE LIVING PAPER CARTOON di e con Ennio Marchetto “Divertiamoci a Teatro 2019/20” Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Verdi-Padova h. 16

venfri

LA DONNA LEOPARDO (vedi giovedì 5 marzo) Ingresso/Ticket € 32/12 Teatro Goldoni h. h. 19.30

GIGI E ROSS Andy e Norman

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Ingresso/Ticket € 35/8 Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 20.45

domsun MERAVIGLIA/WONDER ME Con Ketty Grunchi, Valentina Dal Mas e Iuri Pevere/Ombre Rosse “Ancòra Groggia – Piccoli” Ingresso/Ticket € 7 Teatrino Groggia h. 16

SOGNO AMERICANO CHAPTER1# dalle opere di Raymond Carver Drammaturgia di Giulia Lombezzi Teatro del Simposio “Next 2020” Ingresso/Ticket € 10/8 Teatro Verdi, Sala del Ridotto-Padova h. 21

Ingresso/Ticket € 32/12 Teatro Goldoni h. h. 19

Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 20.45

sabsat

S-CONCERTO Bidonville Bazar “Ancòra Groggia – Piccoli”

Ingresso/Ticket € 10/8 Teatro Momo-Mestre h. 16.30

Drammaturgia di Paola Brolati Performer: Marianna Andrigo, Valentina Milan, Pippo Gentile, Angela Graziani Ullallà Teatro “Famiglie a Teatro 2019/20” Ingresso/Ticket € 7 Teatro Verdi-Padova h. 16

Ingresso/Ticket € 25/8 Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 17

martue

VECCHIA SARAI TU di Antonella Questa e Francesco Brandi Con Antonella Questa p.71 Regia di Francesco Brandi Compagnia LaQ-Prod “Stagione 2019/20 – La via maestra”

LA DONNA LEOPARDO (vedi giovedì 5 marzo)

ASSOCERÒ SEMPRE LA TUA FACCIA ALLE COSE CHE ESPLODONO di Emanuele Aldrovandi Regia di Vittorio Borsari CHRONOS3 “Next 2020”

Andy e Norman

“Io Sono Comico 2019/20” Ingresso/Ticket € 30/25 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

ANDROMACA p.77 da Euripide di Massimiliano Civica e I Sacchi di Sabbia “Rassegna Artistica 2019/20” Ingresso/Ticket € 6/8 Teatrino Zero-Crea, Spinea h. 21

SI NOTA ALL’IMBRUNIRE di Lucia Calamaro Con Sivlio Orlando Regia di Lucia Calamaro “Stagione Teatrale 2019/20”

Ingresso/Ticket € 28/23 Teatro Astra-San Donà di Piave h. 21

Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

12 DEBORA VILLA

giothu

p.76

Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere

“Divertiamoci a Teatro 2019/20” Ingresso/Ticket € 32/20 Teatro Goldoni h. 20.30

Ingresso/Ticket € 10/8 Teatro Verdi, Sala del Ridotto-Padova h. 21

merwed 11 SVERGOGNATA p.71 Drammaturgia di Antonella Questa Regia di Francesco Brandi Compagnia LaQ-Prod “Stagione 2019/20 – La via maestra” Ingresso/Ticket € 14/8 Teatro Ca’ Foscari, Santa Marta h. 20.30

Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

venfri

ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI (vedi mercoledì 11 marzo) Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

LA CLASSE

Un docupuppets per marionette e uomini

di Fabiana Iacozzilli “Mira – Il Teatro fa Centro 2019/20”

ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI p.71 di Carlo Goldoni Con Natalino Balasso, Michele Di Mauro, Fabrizio Conti Regia Valerio Binasco

ALICE IN WONDERLAND dall’opera di Lewis Carroll Coreografie Julia Sakharova Circus - Theatre Elysium Light Can Dance – Light Eventi srl “Stagione Teatrale 2019/20” Ingresso/Ticket € 28/23 Teatro Astra-San Donà di Piave h. 21

CON TUTTO IL CUORE (vedi mercoledì 11 marzo) Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

ROMEO & GIULIETTA Nati sotto contraria stella

da William Shakespeare Con Ale e Franz Drammaturgia e regia di Leo Muscato “Stagione di Prosa 2019/20” Ingresso/Ticket € 35/5 Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 20.45

sabsat 14 CENERE CENERENTOLA p.78 Coreografie e regia di Luciano Padovani Compagnia Naturalis Labor “Evoluzioni – Rassegna di Danza”

ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI (vedi mercoledì 11 marzo) Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

CON TUTTO IL CUORE (vedi mercoledì 11 marzo) Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

GHOST Il Musical dall’omonimo film di da Jerry Zucker Libretto e testi di Bruce Joel Rubin Musiche e liriche di Glenn Ballard e Dave Stewart Con Mirko Ranù e Giulia Sol Regia di Federico Bellone Ingresso/Ticket € 59/31 Gran Teatro Geox-Padova h. 21.15

15

domsun

FA-VOLA

Quando le storie mettono le ali

Drammaturgia di Paola Brolati Performer: Marianna Andrigo, Valentina Milan, Pippo Gentile, Angela Graziani Ullallà Teatro “Famiglie a Teatro 2019/20” ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI (vedi mercoledì 11 marzo)

CON TUTTO IL CUORE (vedi mercoledì 11 marzo)

Ingresso/Ticket € 25/15 Teatro Goldoni h. 20.30

Ingresso/Ticket € 35/5 Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 16/20.45

Ingresso/Ticket € 7 Teatro Goldoni h. 16

Ingresso/Ticket € 16/14 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21

L’ILLUSIONISTA di e con Luca Bono Regia di Arturo Brachetti “Famiglie a Teatro 2019/20”

Ingresso/Ticket € 14/8 Teatro Ca’ Foscari, Santa Marta h. 20.30

GIGI E ROSS

(vedi venerdì 13 marzo)

CON TUTTO IL CUORE p.76 Scritto, diretto e interpretato da Vincenzo Salemme e con Domenico Aria, Vincenzo Borrino, Antonella Cioli, Teresa Del Vecchio “Stagione di Prosa 2019/2020”

13

Ingresso/Ticket € 7 Teatrino Groggia h. 17

Ingresso/Ticket € 32/12 Teatro Goldoni h. h. 19

Nati sotto contraria stella

Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

SPIRITO ALLEGRO di Noel Coward Arte Povera Compagnia Teatrale “Divertiamoci a Teatro 2019/20”

10

ROMEO & GIULIETTA

Teatro Stabile di Torino “Io Sono Teatro 2019/20”

ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI (vedi mercoledì 11 marzo)

LA DONNA LEOPARDO (vedi giovedì 5 marzo)

Quando le storie mettono le ali

Ingresso/Ticket € 30/25 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

IL BARBIERE DI SIVIGLIA Coreografia, scene e luci p.78 di Monica Casadei Compagnia Artemis Danza “Evoluzioni – Stagione di danza”

Per la sua prima regia teatrale Michela Cescon, attrice pluripremiata dotata di una rara intelligenza scenica, sceglie di indagare la scrittura di Alberto Moravia concentrandosi sul suo ultimo romanzo: La donna leopardo. Diventa questa l’occasione per portare alla luce la forte impronta drammaturgica dell’opera, e per portare in scena una femminilità prorompente, forte, libera, pura, autonoma e molto moderna impersonata dai corpi e dalle voci di due attrici di grande fascino come Valentina Banci e Olivia Magnani. La storia segue le vicende di due coppie mentre ingaggiano un corpo a corpo elegante e brutale. I quattro si sfidano allo scambio e alla disgregazione, alla guerriglia mondana e al compromesso di poteri e ruoli, spingendosi nei territori d’ombra inesplorata, fino a restare nudi di fronte a se stessi. Moravia muove i suoi personaggi dalla scena del salotto romano alle rive estreme dell’Africa, dove il gioco di specchi dell’amore coniugale si fa definitivo e accecante come la luce dei tropici.

NINO FRASSICA & LOS PLAGGERS “Divertiamoci a Teatro 2019/20”

FA-VOLA

“Io Sono Comico 2019/20”

07

Ingresso/Ticket € 25/5 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

08

ALICE (vedi martedì 3 marzo)

06

PETRUŠKA Coreografia e spazio, Virgilio Sieni Musiche di Giacinto Scelsi e Igor Stravinskij Compagnia Virgilio Sieni “Evoluzioni – Rassegna di danza”

Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

CLARABELLA E LE RABBIASTORIE Febo Teatro “Domenica a Teatro 2019/20” Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30

L’AUMENTO Atto unico di Georges Perec Regia di Franco Demaestri Seirios Teatro

Ingresso/Ticket € 8 Cinema Teatro Kolbe-Mestre h. 17

COSE SELVAGGE

Viaggi scombinati per bambini scompigliati

di Terracrea teatro “Rassegna Ragazzi 2019/20” Ingresso/Ticket € 6 Teatrino Zero-Crea, Spinea h. 16

CON TUTTO IL CUORE (vedi mercoledì 11 marzo) Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Verdi-Padova h. 16

martue 17 SCANNASURICE p.71 di Enzo Moscato Con Imma Villa Regia Carlo Cerciello “Stagione 2019/20 – La via maestra” Ingresso/Ticket € 14/8 Teatro Ca’ Foscari, Santa Marta h. 20.30

BODYTRAFFIC Los Angeles Contemporary Dance Company “Io Sono Teatro 2019/20”

p.74

Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

LA VEDOVA ALLEGRA Musica Franz Lèhar Regia di Flavio Trevisan Compagnia Italiana delle Operette “Verso nuove stagioni 2019/20” Ingresso/Ticket € 18/16 Teatro Vivaldi-Jesolo h. 21

LA PROVA Drammaturgia e regia di Bruno Fornasari Teatro Filodrammatici di Milano “Stagione Teatrale 2019/20”

Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro delle Maddalene-Padova h. 19.30


:theatro 81

18

merwed

LA PROVA (vedi martedì 17 marzo)

Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro delle Maddalene-Padova h. 20.45

19

giothu

I MISERABILI p.74 di Victor Hugo Adattamento di Luca Doninelli Con Franco Branciaroli Regia di Franco Però “Stagione di Prosa 2019/2020”

Ingresso/Ticket € 32/12 Teatro Goldoni h. 19.30

T.O.M TALES OF ME Ideazione e interpretazione Stefano Pettenella Collettivo L’Amalgama “Ancòra Groggia – Grandi” ROCCO PAPALEO

MOMENTI DI TRASCURABILE (IN)FELICITÀ di e con Francesco Piccolo e la partecipazione speciale di Pif “Eventi Speciali”

“Io Sono Comico 2019/20”

Coast to Coast

p.73

p.76

FILO FILÒ p.75 di e con Marco Paolini Assistenza alla regia Silvia Busato Jole Film “Mira – Il Teatro fa Centro 2019/20” UNA GIORNATA QUALUNQUE DEL DANZATORE GREGORIO SAMSA Con Lorenzo Gleijeses Regia e drammaturgia di Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses, Julia Varley “Stagione Teatrale 2019/20” Ingresso/Ticket € 20/18 Teatro Dario Fo-Camponogara h. 21

LA PROVA (vedi martedì 17 marzo)

Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro delle Maddalene-Padova h. 20.45

CENERE CENERENTOLA Coreografia e regia di Luciano Padovani Compagnia Naturalis Labor “Evoluzioni – Stagione di danza” Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 20.45

LA PROVA (vedi martedì 17 marzo)

Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro delle Maddalene-Padova h. 20.45

sabsat

I MISERABILI (vedi giovedì 19 marzo)

martue 24 MINE VAGANTI p.75 Regia di Ferzan Ozpetek Con Francesco Pannofino, Paola Minaccioni, Arturo Muselli “Io Sono Teatro 2019/20” Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

GIORGIO PANARIELLO La favola mia

p.77

“Teatro in Corso 2019/2020” Ingresso/Ticket € 46/34,5 Teatro Corso-Mestre h. 21.14

NON UN’OPERA BUONA Drammaturgia e regia di Michele Segreto Con Sara Drago, Roberto Marinelli Michele Mariniello, Marco Rizzo ServomutoTeatro “Next 2020”

Ingresso/Ticket € 10/8 Teatro Verdi, Sala del Ridotto-Padova h. 21

25

LE VERITÀ DI BAKERSFIELD di Stephen Sachs traduzione Massimiliano Farau Con Marina Massironi, Roberto Citran Regia di Veronica Cruciani p.76 “La Città a Teatro 2019/20” Ingresso/Ticket € 18/10 Teatro di Mirano h. 21

IL GIARDINO DEI CILIEGI (vedi mercoledì 25 marzo)

merwed

Ingresso/Ticket € 32/12 Teatro Goldoni h. 20.30

MINE VAGANTI (vedi martedì 24 marzo)

Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

IL PIPISTRELLO p.78 dall’operetta di Johann Strauss jr. Adattamento e regia di Corrado Abbati Balletto di Parma “Stagione di Prosa 2019/20” Ingresso/Ticket € 35/5 Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 20.45

Ingresso/Ticket € 32/12 Teatro Goldoni h. 19

MINE VAGANTI (vedi martedì 24 marzo)

Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

“Io Sono Comico 2019/20”

LE VERITÀ DI BAKERSFIELD di Stephen Sachs traduzione Massimiliano Farau Con Marina Massironi, Roberto Citran Regia di Veronica Cruciani “Stagione Teatrale 2019/20”

Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

Coast to Coast

Ingresso/Ticket € 30/25 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

LUMI DALL’ALTO

Corse clandestine in città

p.77

di e con Gigio Brunello Regia di Gyula Molnar “Rassegna Artistica 2019/20” Ingresso/Ticket € 6/8 Teatrino Zero-Crea, Spinea h. 21

IO, DON CHISCIOTTE p.78 Coreografia, scene e regia di Fabrizio Monteverde Musiche di Ludwig Minkus e AA.VV. Balletto di Roma “Evoluzioni – Rassegna di danza” Ingresso/Ticket € 25/5 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro delle Maddalene-Padova h. 20.45

OBLIVION

La Bibbia riveduta e scorretta

“Divertiamoci a Teatro 2019/20”

Ingresso/Ticket € 35/8 Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 20.45

22 I MISERABILI (vedi giovedì 19 marzo) Ingresso/Ticket € 32/12 Teatro Goldoni h. 16

domsun

IL GIARDINO DEI CILIEGI (vedi mercoledì 25 marzo)

Ingresso/Ticket € 20/18 Teatro Dario Fo-Camponogara h. 21

IL GIARDINO DEI CILIEGI p.77 di Anton Cechov Drammaturgia, scene, suoni, luci, costumi e regia di Alessandro Serra Con Arianna Aloi, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Marta Cortellazzo Wiel, Massimiliano Donato “Stagione di Prosa 2019/2020” Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

26

LA PROVA (vedi martedì 17 marzo)

giothu

MACBETH p.74 di William Shakespeare Adattamento di Letizia Russo Con Fausto Russo Alesi e Arianna Scommegna Regia di Serena Sinigaglia “Stagione di Prosa 2019/2020” Ingresso/Ticket € 32/12 Teatro Goldoni h. 20.30

MINE VAGANTI (vedi martedì 24 marzo)

Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

sabsat

MACBETH (vedi giovedì 26 marzo)

ROCCO PAPALEO

PENSIONE LISBONA Massimo Carlotto, voce narrante Maurizio Camardi, sassofoni e duduk Sergio Marchesini, fisarmonica “Il Suono e la Parola 2020” Ingresso/Ticket € 10 Teatro delle Maddalene-Padova h. 21.15

IL PIPISTRELLO (vedi venerdì 27 marzo)

Ingresso/Ticket € 35/5 Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 20.45

domsun LA STAMBERGA DELLE SCARPE Febo Teatro “Ancòra Groggia – Piccoli”

29

Ingresso/Ticket € 7 Teatrino Groggia h. 15.30/17

MACBETH (vedi giovedì 26 marzo) Ingresso/Ticket € 32/12 Teatro Goldoni h. 16

MINE VAGANTI (vedi martedì 24 marzo)

Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

IL GIARDINO DEI CILIEGI (vedi mercoledì 25 marzo) Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Verdi-Padova h. 16

31

martue

MOVING WITH PINA p.70 di e con: Cristiana Morganti “Evoluzioni – Rassegna di Danza”

INTIMITÀ Uno spettacolo di Amor Vacui Ideazione e regia di Lorenzo Maragoni in collaborazione con: Armunia Centro Residenze Artistiche Castiglioncello – Festival Inequilibrio “Stagione Teatrale 2019/20”

:indirizzi

IL GIARDINO DEI CILIEGI (vedi mercoledì 25 marzo)

Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

Ingresso/Ticket € 35/5 Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 16

Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro delle Maddalene-Padova h. 19.30

Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

MINE VAGANTI (vedi martedì 24 marzo)

Ingresso/Ticket € 32/12 Teatro Goldoni h. 19

venfri

MACBETH (vedi giovedì 26 marzo)

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IL PIPISTRELLO (vedi venerdì 27 marzo)

Ingresso/Ticket € 25/10 Teatro Goldoni h. 20.30

Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

27

LA PROVA (vedi martedì 17 marzo)

Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro delle Maddalene-Padova h. 16

Ingresso/Ticket € 30/25 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

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RAPERONZOLO Testo e regia di Michele Mori Con Sara Allevi, Giulio Canestrelli Stivalaccio Teatro “Famiglie a Teatro 2019/20” Ingresso/Ticket € 7 Teatro Verdi-Padova h. 16

Ingresso/Ticket € 16/14 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21

Attimi di esistenza che fanno parte della vita di ognuno di noi e sui quali, spesso, superficialmente non ci soffermiamo: sono i Momenti di trascurabile (in)felicità, raccontati da Francesco Piccolo con Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif. Premio Strega nel 2014 con Il desiderio di essere come tutti, scrittore, sceneggiatore per il cinema, Piccolo sfoglia le nevrosi, i vezzi, le consuetudini, le manie e i segreti racchiusi nei suoi due libri di successo, Momenti di trascurabile felicità e Momenti di trascurabile infelicità (Einaudi). Pif, già protagonista dell’omonimo film diretto da Daniele Luchetti, prende parte allo spettacolo in maniera sorprendente. Francesco Piccolo dà vita a un “catalogo” di eventi trascurabili ma piantati nella vita di ognuno, che fanno esclamare a chi sta in platea: .. vero, è successo anche a me!.. Piccole abitudini, positive o negative, che scatenano un costante e ininterrotto riconoscersi. Lo spettacolo è il resoconto della nostra esistenza quotidiana; un racconto frastagliato, discontinuo e reale, di attimi felici e piccole infelicità su cui sorvoliamo, ironico, cinico, spietatamente veritiero e capace di accomunarci tutti in un sorriso, amaro o scrosciante. Perchè i veri protagonisti in effetti, siamo noi...

TREDICI A TAVOLA di Marc Gilbert Sauvajon Teatro Altobello “Divertiamoci a Teatro 2019/20” Ingresso/Ticket € 10/8 Teatro Momo-Mestre h. 16.30

Ingresso/Ticket € 10 Teatrino Groggia h. 21

Ingresso/Ticket € 32/12 Teatro Goldoni h. 20.30

Ingresso/Ticket € 25/5 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

venfri

20 I MISERABILI (vedi giovedì 19 marzo)

CINEMA TEATRO KOLBE Via Aleardi 156-Mestre www.centrokolbemestre.it GRAN TEATRO GEOX Via Tassinari 1-Padova www.granteatrogeox.com TEATRINO GROGGIA Cannaregio 3161 www.mpgcultura.it TEATRINO ZERO Via Don E. Carraro 4, Crea-Spinea www.teatrinozero.com TEATRO CORSO Corso del Popolo-Mestre www.dalvivoeventi.it TEATRO DARIO FO Piazza Castellaro-Camponogara www.arteven.it TEATRO GOLDONI Rialto, San Marco www.teatrostabileveneto.it TEATRO DELLE MADDALENE Via San Giovanni di Verdara-Padova www.teatrostabileveneto.it TEATRO MARIO DEL MONACO Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it TEATRO METROPOLITANO ASTRA Via Giannino Ancillotto 16 San Donà di Piave www.teatrometropolitanoastra.it TEATRO DI MIRANO Via Vittoria 75-Mirano www.miranoteatro.it TEATRO MOMO Via Dante 81-Mestre www.culturavenezia.it/momo TEATRO TONIOLO Piazzetta Cesare Battisti www.culturavenezia.it/toniolo TEATRO VERDI Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it TEATRO VILLA DEI LEONI Riviera Silvio Trentin 3-Mira www.teatrovilladeileonimira.it TEATRO VIVALDI Via del Bersagliere 1-Jesolo www.arteven.it


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In viaggio con la nostra storia

Verso Incroci è un prologo, o meglio un vero e proprio antefatto del Festival Internazionale di Letteratura Incroci di Civiltà, diretto da Pia Masiero e promosso dall’Università Ca’ Foscari e dal Comune di Venezia, con il sostegno della Fondazione di Venezia, in programma dall’1 al 4 aprile 2020. Verso Incroci ne costituisce il presupposto, un percorso di avvicinamento ai temi e agli autori del Festival, sviluppato in tre appuntamenti – il 5, il 10 e il 17 marzo (vedi box a lato) – con scrittori internazionalmente affermati, ognuno dei quali

di Mariachiara Marzari fortemente connotato, punto di partenza per viaggi in mondi letterari diversi, a volte vicini, a volte lontanissimi. Il primo appuntamento, in collaborazione con T Fondaco dei Tedeschi e il ciclo Writers in Conversation, giovedì 5 marzo alle ore 19 presso l’Event Pavilion del Fondaco dei Tedeschi, vede protagonista la scrittrice Ornela Vorpsi, segnalata tra i 35 migliori scrittori europei nell’antologia «Best European Fiction» (Dalkey Achive Press, 2010), in conversazione con Giuseppina Turano, docente a Ca’ Foscari. L’incontro, in lingua italiana, fa parte di un ciclo tematico incentrato sulla scrittura in una lingua seconda rispetto alla propria lingua madre. Ornela Vorpsi è nata infatti

a Tirana nel 1968, ma ha scelto l’italiano e il francese come lingue di scrittura. In Il paese dove non si muore mai (Einaudi, 2005; Premio Grinzane Cavour opera prima, Premio Viareggio Culture europee, Premio Vigevano, Premio Rapallo opera prima, Premio Elio Vittorini opera prima) la scrittrice rievoca con ironia e malinconia i fatti e i misfatti della sua infanzia e della sua giovinezza nell’Albania degli anni Settanta e Ottanta, fino alla decisione di sua madre di imbarcarsi con lei per l’Italia. Il personale tributo nei confronti delle sue radici e del suo popolo emerge in ogni suo racconto e la sua nuova vita in Italia, e poi in Francia, sono parte di un tutto, di un fluire continuo inarrestabile di pensieri, idee, ricordi che scorrono nelle pagine dei suoi libri. Il suo è uno sguardo obliquo, che gioca a ribaltare le ovvietà della lingua e dell’esistenza. Lo spaesamento, quello di essere “perfetta straniera”, viene raccontato da Ornela Vorpsi in La mano che non mordi (Einaudi, 2007, Premio per la letteratura di viaggio l’Albatros città di Palestrina, Premio letterario nazionale città di Tropea); un romanzo vivo, caustico, una scrittura apolide leggera e penetrante come le emozioni di cui si nutre. Vetri rosa (Nottetempo, 2006), pezzetti di vetro attraverso cui guardare la propria vita da dietro la morte, è un racconto di racconti che si muove intorno all’infanzia e all’adolescenza albanese, alle amiche, ai giochi sessuali, alla solitudine infantile, all’amore, alla rivalità, alla morte.

In Bevete cacao Van Houten! (Einaudi, 2010), complice un tempo che sembra eterno, l’Albania smette di essere prigione per diventare limbo, uno stato transitorio nel quale si sopravvive coltivando «promesse d’altrove», fino al giorno in cui si parte davvero. Una scrittura spietata e intrisa di ironia, animata da una lingua unica, ricca di potenza simbolica. Con la stessa scrittura, che sembra nominare ogni cosa per la prima volta, Ornela Vorpsi disegna in Fuorimondo (Einaudi, 2012) le infinite declinazioni della nostra fame, il «fiore carnivoro» che ci divora e non è mai sazio di bellezza, di amore, di assoluto. Viaggio intorno alla madre (Nottetempo, 2015) è un’indagine sulle emozioni, un romanzo scandaloso e struggente dove ogni parola scopre verità difficili da affrontare. La scrittrice esplora i paradossi dell’amore materno, della passione e della tentazione con un’intensità grave, quasi religiosa, e con una scrittura essenziale e tagliente. I suoi libri sono tradotti in diciotto lingue. Pittrice, fotografa e scrittrice. Come definirebbe sé stessa e le sue passioni? Un regalo di questo fenomeno strabiliante chiamato vita. Fino a che punto scegliamo? Je n’y suis pour rien – lo tradurrei “non ho gran merito”. Le mie passioni le ho subite e le subisco. Come si potrebbe altrimenti? Ciononostante non utilizzo il verbo ‘subire’ in


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VERSO INCROCI

5 marzo h. 19 ORNELA VORPSI

in conversation with Giuseppina Turano In collaborazione con T Fondaco dei Tedeschi

83

T Fondaco dei Tedeschi Ponte di Rialto Incontro in lingua italiana

modo peggiorativo. Lo utilizzo nel senso che appartenevo loro totalmente (fatto proprio della passione). Non solo le meraviglie dove sa catapultarti, ma anche i tradimenti, il disamore. Parlo della pittura, scrittura, fotografia. Non sono mai stati cammini ‘dati’ con certezza. E nemmeno felici. Spesso mi sono stati tolti – come una terra che si disfa sotto i piedi. Ogni volta ho creduto di non poter uscire dal nero che sanno lasciare. Quindi le vivo come si possono vivere le passioni, con il timore che esse creano e con l’avidità e la stoltezza di cercarle come una dannata. Le sere, poi, non so quali dimensioni della furbetta vita vogliono prendermi in giro, perché mi trovo costantemente a divorare gli stoici. Come definirei me stessa? Cerco di essere buona, generosa come posso perché ho bisogno dell’Altro. Dico cerco. E poi certo, non lo nego, reazione dovuta all’egoismo: bisogno dell’Altro. Sono anche una errante nel mio interno. Possibile che tutti lo siamo. La sua scrittura viene definita unica, il suo stile assolutamente personale. Come si è scoperta scrittrice? Ho dovuto scavare nella mia memoria per poter vedere a quando risale la mia avventura con la scrittura. Perché il mio amore era la pittura. Mi sono ricordata che scrivevo già a sette anni delle poesie per il Partito, la Patria, il sangue dei partigiani (era un mio grande sogno vederne una goccia), perché inghiottita letteralmente dalla metafora dei racconti scolari: “il sangue rossissimo dei partigiani”. Come se quelli che non lo erano mancassero di pigmento rosso nel loro sangue. Volevo incontrare un partigiano, pungergli il dito per vedere il rosso di questo sangue particolare. Questi scritti avevo il coraggio di spedirli al giornale «Pionieri» per vedermeli poi pubblicati. Vedermi sulla pagina del giornaletto era una vera gioia. Nel frattempo mio padre era prigioniero politico in Spaç1. Ho cominciato ‘seriamente’ a scrivere a ventinove anni, già a Parigi e sofferente del paesaggio dell’arte contemporanea, mi piaceva poco. La scrittura mi è venuta in salvo. Albania, Italia e Francia. In questi giorni particolarmente sensibili per l’idea di Europa, la sua esperienza diventa emblematica e allo stesso tempo normale. Radici, cultura, lingua: come questi elementi identitari ed esistenziali hanno segnato il suo percorso letterario? Non posso negare che il viaggio fuori dell’Albania abbia fatto crollare delle mura di una educazione, di una morale, di una forma di stato e altro ancora. Mi sono immersa nella lingua italiana nella cultura immensa dell’Italia, per poi vivere la stessa cosa con la Francia. Sento scorrere questo sangue misto in me. Di almeno tre nazioni. Certo, culture diverse, storie diverse mi hanno fatta e disfatta a loro piacimento. Hanno spalancato le sintassi delle lingue, contaminandole, mettendole in discussione. Terremotandole. Processi che mi hanno segnata, plasmandomi in

in conversation with Shaul Bassi In collaborazione con Dedica Festival Pordenone

quella che oggi sono. Ho il tesoro (che spesso si ritorce contro me) di poter scavare in quattro lingue diverse, compreso l’inglese. Come ha scelto la lingua principale in cui scrivere e perché l’italiano? Ripeterò che non ho scelto. Mi ricordo di essermi seduta dolorosa in un bar di rue Montorgueil. La pittura si considerava morta, nessuna galleria voleva dare un’occhiata a questo squisito cadavere. Quel pomeriggio la scrittura mi è venuta incontro vestita di italiano. Sono stata scelta. A distanza direi che avevo bisogno di una lingua straniera. L’albanese porta un vissuto dove sarei naufragata. Inconsciamente mi sono aggrappata all’italiano. Bisogno (valido anche per oggi) di una lingua svestita d’infanzia. Mi è salutare. Come nasce l’idea di un romanzo? Per quanto mi riguarda è sempre stata una sorpresa. Tutti i libri che ho scritto sono nati da fonti diverse; un’immagine, il desiderio di una piccola infima cosa, scavare una riflessione, perseguire un pensiero. A volte mi è stato dato solo la fine (di un probabile libro). Poi, attorno a queste briciole, per amore nei loro confronti, mi metto in viaggio nello scrivere. Quanto di personale vi è nelle sue storie? Difficile sottrarre la mia vita “reale” da quello che scrivo. Perché diventa un magma indissolvibile. Sono e non sono io. Quello che dò si sottomette a luci, contrasti, composizioni, desiderio di dare o incontrare l’Altro in una certa maniera. Perché «Je est un autre»2, afferma Rimbaud, «Il mio nome è Nessuno», grida Ulisse. «Qu’est-ce que c’est que le moi3 ?», Pascal. Cosa vuol dire Io? Vasto programma. I personaggi femminili sono protagonisti indiscussi dei suoi romanzi, universali e potenti, fragili e personalissimi. Come definirebbe questo suo mondo? Lo definirei un desiderio d’incontro con l’Altro. Quello che scrivo, dipingo o fotografo lo voglio terra d’incontro. Di un abbraccio tinto di consolazione perché vivere non sempre è ovvio. Mi considero prima un essere umano senza genere. E solo in un secondo tempo donna. A volte è la donna in me che porta delle donne nelle mie creazioni. Prossimi progetti. Un libro a venire. Una esposizione personale (dipinti, disegni, fotografia) a Parigi. Ed educarmi. Sempre. La prigione più terribile dell’Albania del nord Je est un autre – L’Io è un altro Rimbaud in una lettera a Paul Demeny 3 Qu’est-ce que c’est que le moi – Cos’é l’Io ? Pascal 1 2

10 marzo h. 11 HISHAM MATAR

Aula Baratto – Ca’ Foscari (sede centrale), Dorsoduro

Hisham Matar nasce a New York nel 1970 da genitori libici. Tornata a Tripoli nel 1973, la famiglia Matar è costretta a fuggire in Egitto a causa delle persecuzioni politiche del regime di Gheddafi contro il padre Jaballa. Trasferitosi a Londra, Hisham completa gli studi in architettura. Nel 1990 l’autore vive il dramma del rapimento del padre, di cui si sono perse le tracce da allora. Nel 2007 la sua prima opera, Nessuno al mondo, vince il Commonwealth Writers’ Prize Best First Book Award, oltre a molti altri premi, e viene tradotto in 28 Paesi. Nel 2013 pubblica Anatomia di una scomparsa, ottenendo un grande successo di pubblico e di critica. Entrambi i suoi romanzi sono banditi in Libia. Il ritorno, tradotto in Italia da Anna Nadotti (Einaudi), ha ottenuto uno straordinario riscontro dalla stampa internazionale. La sua scrittura appassionata ed elegante è caratterizzata da un tratto poetico e da tematiche impegnative come l’esilio, la perdita, il dolore, la separazione, l’assenza, l’effetto terapeutico della bellezza. Il suo è uno stile pacato e coinvolgente che emoziona e fa riflettere su come l’arte di raccontare non sia solo fonte di incanto, ma anche uno dei luoghi più sicuri in cui trovare consolazione. Hisham Matar è il protagonista dell’edizione 2020 di Dedica a Pordenone, una vera immersione nel mondo dell’autore, attorno al quale il Festival costruisce il proprio specifico itinerario. Incontro in lingua inglese con traduzione consecutiva

17 marzo h. 17.30 CATHERINE LACEY in conversation with Pia Masiero

Aula Baratto – Ca’ Foscari (sede centrale), Dorsoduro

Catherine Lacey è nata a Tupelo, nel Mississippi, nel 1985, e vive a New York. È stata scelta dalla rivista «Granta» come una delle migliori nuove voci del 2014, ed è stata finalista allo Young Lions Award, il premio della New York Public Library per i migliori autori under 35. Nessuno scompare davvero, il suo romanzo d’esordio, è stato incluso fra i migliori libri dell’anno dal «New Yorker», dall’«Huffington Post», da «Vanity Fair» e da «Time Out». Il «Los Angeles Rewiew of Books» ha scritto di Catherine Lacey: «Per abbracciare appieno l’eccezionale talento della Lacey avremmo bisogno di un nuovo genere letterario sotto il quale classificare la sua scrittura». Incontro in lingua inglese con traduzione consecutiva


a cura di Renato Jona

ESIBIZIONISMO

:parole

Da qualche tempo, si è notato, le persone non si accontentano del proprio stato, necessitano di distinguersi, sentirsi differenti, di apparire “più”, di essere riconosciute più forti, di possedere più doti, di essere superiori agli altri. Questa esigenza, raramente involontaria, caratterialmente naturale, più spesso coscientemente voluta e curata, finisce con ispirare le azioni di tante persone modellandole a questa finalità. E, prestando la dovuta attenzione, facilmente si rileva quanto tali comportamenti, dal sapore artificiale, siano frequenti, si diffondano molto rapidamente e spesso addirittura gareggino tra loro per superarsi a vicenda. Tuttavia semplici osservazioni consentono facilmente di rilevare queste forzature: ad esempio, perché viene utilizzato il tono di voce particolarmente elevato, concitato, quasi gridato, quando l’oratore si trova davanti a più persone? Soltanto per superare le voci degli altri presenti? Certamente no. Viene invece scelto per dimostrare sicurezza, autorità, capacità di comando, attitudine a individuare rapidamente altrui errori (veri o inesistenti) e di reperire con facilità e determinazione gli opportuni ‘logici’, semplici e rapidi rimedi. Molto importante, al fine di esibire la propria capacità, è la critica delle altrui opinioni; e questa viene utilizzata in modo continuo, ripetuto, martellante, spietato, indignato, allo scopo di ottenere una conseguente, inevitabile persuasione degli uditori. Ulteriore elemento che accompagna la critica esibizionista è la plateale assenza di ogni dubbio, la assoluta certezza, per quanto riguarda i propri convincimenti, esposti in modo possibilmente sintetico, ripetitivo, con frasi brevi, fruendo della tecnica pubblicitaria, perché possa essere recepita con immediatezza, intesa e ricordata, facilmente e contagiosamente utilizzata nelle eventuali successive discussioni. Ma chi sente impellente la pulsione di esibirsi spesso accompagna la ‘tecnica’ indicata con l’utilizzo dell’ironia, con il tono di voce dell’ovvio, con il mezzo sorriso di sufficienza, quasi a dileggiare il pensiero contrario che, in tal modo, dovrebbe risultare maggiormente inconsistente, non degno neppure di una critica profonda, in quanto dimostra con indiscutibile evidenza la propria elementare debolezza, anche senza necessità dell’apporto di alcuna argomentazione, soprattutto logica. Se poi ci si trova in un dibattito, in un confronto verbale, molto spesso viene usata la ‘tecnica’ aggressiva dell’interruzione, di non lasciare esporre completamente il pensiero altrui, perché il punto di vista degli altri non solo, per principio, è scorretto, inesatto e basato su argomentazioni inconsistenti, non logiche, ma anche perché poggia su elementi o presupposti erronei, fatui, inesistenti. E pertanto non merita neppure di esser ascoltato, perché evidentemente inutile! Per distinguersi ed emergere, stupire, mettersi in mostra inoltre spesso si è assistito allo sfoggio di frasari iperbolici, non sempre educati, spesso volgari, ritenuti di grande effetto, irrispettosi di gerarchie, offensivi di simboli, di autorità che viceversa meritano tutto il rispetto sia per la posizione occupata che per la dignità delle persone. Questa ‘capacità’ viene utilizzata per dimostrare che i soggetti veramente ‘superiori’ appartengono con certezza, ad una classe che può permettersi di collocarsi al di fuori della normale educazione e addirittura sopra le leggi. Questo modo di agire, va osservato, non può tuttavia essere utilizzato di continuo, perché l’uso troppo frequente di questi toni sopra le righe (sprezzanti e ineducati) mantenuto troppo a lungo rischia di attutire progressivamente l’interesse all’ascolto, abbassa la soglia d’attenzione per assuefazione, perde l’efficacia desiderata e finisce per autodistruggersi. Quindi va utilizzata con ‘dosi’ ben calibrate e controllate, elargite nei momenti considerati più opportuni, per evitare un eventuale, naturale rifiuto negli ascoltatori. Altri elementi meno importanti supportano e accompagnano questo particolare impegno: l’uso frequente ad esempio di braccialetti (unisex) vistosi, che attirano l’attenzione degli spettatori e caratterizzano gli oratori (talvolta sono destinati a suscitare tenerezza, presupponendo siano doni dei propri figli e quindi da indossarsi sempre, in ogni occasione, per mostrare la particolare attenzione e sensibilità verso teneri sentimenti familiari), e i tatuaggi più o meno estesi sul corpo che si ispirano a idee politiche, simboli, motivi sentimentali o semplicemente motivi estetici, cui il portatore… (sano?) intende comunicare di essere ‘eternamente’ fedele. Naturalmente quanto sopra descritto è tutt’altro che esaustivo: intende soltanto limitarsi a indicare gli elementi più comuni ed evidenti, legati al fenomeno in esame; che per taluno è da classificarsi quasi infantile, ma, a giudicare dai risultati, indubbiamente ancora assai efficace e producente. C’è chi considera questi comportamenti come una reazione al senso di debolezza e impotenza che taluni individui provano, specie in questo periodo, in quanto un po’ tanto disorientati dalla politica, forse anche disorientata da mezzi di comunicazione sempre più accelerati, che quasi non consentono più tempi di riflessione. A proposito di esibizionismo, Beppe Severgnini una volta ha saggiamente osservato che se date a un italiano un titolo, un grado e una divisa, lo fate felice! Dobbiamo concludere con una riflessione: in questo momento, considerata la diffusione del segnalato fenomeno, innegabilmente efficace, anche se a molti non gradito, mostriamo di essere una civiltà tanto superficiale, egoista, in via di… ostentazione!

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Svolte editoriali Quando il libro... fa scuola

«Procediamo nettamente verso un prevalere della comunicazione per immagini e suoni, ci stiamo affrancando gradualmente ma non lentamente dal logocentrismo che ha fondato la cultura occidentale fino ad ora. Questa vicenda prende l’avvio a Venezia, dalla pubblicazione dell’Hypnerotomachia Poliphili per i tipi di Aldo Manuzio». Così parlò Amitav Ghosh, scrittore, giornalista e antropologo indiano, illustre ospite dell’affollata e intensa giornata conclusiva del Seminario di Perfezionamento 2020 della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri giunto quest’anno alla sua XXXVII edizione, che si è svolta tra il 28 ed il 31 gennaio, con il titoloo Tradizione e innovazione in libreria. Quest’ultimo intervento, intitolato Imparare dal passato: i libri e il loro futuro in un’epoca di catastrofe, presenta una connotazione letteraria, ma lungo i quattro giorni i librai partecipanti hanno potuto, come di consueto all’ormai storico Seminario, incontrare personalità di rilievo internazionale, esponenti importanti di materie tecniche ed economiche di riferimento, oltre a testimonial d’eccezione con il portato emozionale dell’esperienza diretta. Così, ad esempio, l’intervento avvincente di Andrea Pontremoli, l’amministratore delegato di Dallara Automobili. Un altro esempio della varietà e importanza dei temi affrontati durante il Seminario è stato l’incontro con Sandro Ferri, Sandra Ozzola e la figlia Eva Ferri, titolari delle Edizioni E/O. In un dialogo vario, intessuto di aneddotica e di storia, si

è considerato il tema della transizione generazionale in una casa editrice che, oltre alla storica azienda italiana, si articola in altre due realtà estere: una negli Stati Uniti a New York e una nel Regno Unito a Londra. È stata un’occasione per ripercorrere i cambiamenti, anche ambientali, che il mondo dell’editoria si è trovato ad affrontare dagli anni ‘70 del Novecento (Edizioni E/O viene fondata nel 1979) ad oggi. La testimonianza famigliare di un’azienda editoriale di storia ormai quarantennale che si trova ad effettuare il passaggio generazionale. Un importantissimo tema che, oltre alla specifica libraria, riguarda la maggior parte delle aziende e richiederebbe larga attenzione da parte di tutto il mondo imprenditoriale. Un applaudito contributo di James Daunt, uomo d’affari britannico che ha salvato dal tracollo la rete di Waterstones, la più grande catena di librerie in Inghilterra, e fondatore di quella che è considerata oggi la più “cool” tra le catene di librerie, la Daunt Books. Oltre al prezioso contributo Editoria libraria: una visione per il futuro di Arnaud Nourry, a capo dell’autorevole gruppo editoriale francese Hachette. Molti altri importanti argomenti sono stati affrontati in quest’ultima edizione del Seminario: dalla competitività con l’e-commerce alla qualità dell’assortimento di una libreria, dal profilo del nuovo consumatore, in equilibrio tra modalità tradizionali e nuove, nuovissime tecnologie alle proiezioni di spesa delle famiglie italiane per l’anno che verrà. Andrea Oddone Martin


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BACK TO THE FUTURE Conoscere Venezia, il suo passato, il presente e futuro, attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie, imparando, divertendosi, nuove competenze digitali: ecco la ricetta dei laboratori per bambini dagli 8 agli 11 anni firmati H-FARM, Back to the Future - VENEZIA ospitati all’M9 - Museo del ‘900 di Mestre. IL LEONE DI SAN MARCO 7 marzo h. 14.30-18

Mescolando storia e leggenda i partecipanti progetteranno con il kit Lego WeDo 2.0 il loro animale robotico avvicinandosi al mondo della programmazione e lasciandosi ispirare dal leggendario leone di San Marco. I VIAGGI DI MARCO POLO 14 marzo h. 14.30-17.30

Come Marco Polo, i ragazzi intraprenderanno un viaggio nel mondo della narrazione di storie e creazione di fumetti con il supporto di iPad e Lego Storystarter. TEATRO LA FENICE 21 marzo h. 14.30-18

Nel 1792 viene inaugurato il Gran Teatro La Fenice, il principale teatro lirico di Venezia. Durante il laboratorio i partecipanti sperimenteranno l’elettronica creativa per costruire un innovativo strumento musicale utilizzando carta alluminio, cartone, colla e tanti altri materiali. Le parti dello strumento che conducono elettricità prenderanno vita e suoneranno grazie alla scheda elettronica Makey Makey. L’ARTE VENEZIANA DEL ‘500 28 marzo h. 14.30-18

Durante il dominio della Repubblica di Venezia, numerosi artisti apprendono il mestiere di pittore in città, tra questi Tiziano. Durante il laboratorio i partecipanti seguiranno le orme dei pittori veneziani del ‘500 e proveranno a disegnare la loro opera d’arte costruendo un’Art Machine attraverso l’uso non convenzionale del kit robotico LEGO We.Do 2.0. M9 – Museo del ‘900, via G. Pascoli 11-Mestre https://h-farm.link/backtothefutureVE

KIDS DAY! Laboratori didattici gratuiti in Museo, per bambini dai 4 ai 10 anni, ideati con lo scopo di introdurre i piccoli visitatori all’arte moderna e contemporanea in modo accessibile e continuativo. IL DRIPPING DI JACKSON POLLOCK 8 marzo h. 15

Laboratorio in lingua inglese. DOPPIO SENSO 15 marzo h. 15

Percorsi tattili (6-12 anni). I RITRATTI DI DUBUFFET 22 marzo h. 15

UN SEGNALE DA TAKIS 29 marzo h. 15 Collezione Peggy Guggenheim www.guggenheim-venice.it

CASA DELLE PAROLE 10 marzo h. 18

Per il ciclo mensile dedicato agli amanti della letteratura inglese, una serie di letture in lingua originale dedicate al tema Vento con traduzione in italiano.

Teatrino di Palazzo Grassi, Campo S. Samuele www.palazzograssi.it

MEMORIA

12 marzo h. 17.30

Per il ciclo Parole in viaggio – Lezioni per il bicentenario di Marietti Editore, la lezione Memoria di Anna-Vera Sullam Calimani. Sala Tommaseo, Ateneo Veneto www.ateneoveneto.org

PROGETTO RIALTO

Le lezioni della storia per la città

Al di là del mito, il ciclo di lezioni intende narrare la storia materiale dei luoghi, degli edifici mercantili, la geografia dei traffici e dei banchieri, la produzione di gioielli e tessuti, lo scambio di pietre preziose, di spezie, di beni e di conoscenze tecniche. In definitiva, si propone di far conoscere il ruolo e l’importanza che l’insula realtina ha assunto nei secoli per Venezia e per le sue relazioni con il mondo intero, e si proverà a riflettere su che cosa può essere oggi un importante mercato storico in una città turistica. GIAN MARIA VARANINI (Università di Verona) 12 marzo h. 17

Il mercato realtino: una risorsa o un ostacolo per i manufatti della Terraferma? WOLFGANG WOLTERS (Technische Universität di Berlino) 26 marzo h. 17

Capire il luogo. Strumenti e strategie. Ricordi di uno storico dell’arte. Gallerie dell’Accademia www.gallerieaccademia.it

GIORGIO NONVEILLER E IL PENSIERO VISIVO TRA INTUIZIONE E RAGIONE 16 marzo h. 16

Giornata di studio dedicata a Giorgio Nonveiller a dieci anni dalla scomparsa. Tavola rotonda: Riccardo Caldura, Luigi Caramia, Nicola Cisternino, Marco Dallari, Alessandro Di Chiara, Alberto Folin, Pino Goisis, Donatella Nonveiller, Paola Poggi, Nico Stringa, Giovanni Ravenna. Modera Luigi Viola In conclusione, concerto in collaborazione con il Dipartimento Tastiere del Conservatorio “B. Marcello” Venezia. Aula Magna, Ateneo Veneto www.ateneoveneto.org

BELLUM IN TERRIS. MANDARE, ANDARE, ESSERE IN GUERRA 18 marzo h. 17.30

Presentazione del volume Bellum in terris. Mandare, andare, essere in guerra di Mario Isnenghi (Roma, Salerno Editrice 2019). Paolo Coltro e Alfiero Boschiero conversano con l’autore. Sala Tommaseo, Ateneo Veneto www.ateneoveneto.org

GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA DI VENEZIA 21 marzo h. 17.30

Durante la mattinata la premiazione della seconda edizione del Premio Nazionale di Critica Poetica “Gino Pastrega”. Nel pomeriggio, celebrazioni poetiche e reading di poeti da tutto il Veneto e altre regioni. Scuola Grande di San Teodoro, San Marco www.ateneoveneto.org

XXVIII GIORNATE FAI DI PRIMAVERA 21, 22 marzo

Ogni anno, dal 1993, il primo weekend di Primavera i volontari del FAI organizzano una manifestazione nazionale dedicata alla riscoperta del patrimonio storico, artistico e culturale del nostro Paese. Una grande festa dei Beni Culturali aperta a tutti e alla quale in 27 anni di storia hanno partecipato più di 11 milioni di Italiani che hanno avuto l’opportunità di visitare oltre 13.000 luoghi spesso inaccessibili ed eccezionalmente visitabili in più di 5.000 città di tutta Italia. I luoghi aperti per la 28. edizione delle Giornate FAI di Primavera saranno annunciati dal 10 marzo sul sito del Fai. www.fondoambiente.it

VENISE POUR LA FRANCOPHONIE 23 marzo h. 15

Nell’ambito della seconda edizione della Settimana Internazionale della Francofonia (18-28 marzo) Ateneo Veneto presenta alle h. 15 la proeizione del film Kuessipan di Myriam Verreault (2019, 117’) tratto dal romanzo di Naomi Fontaine. Segue alle h. 17, l’incontro con Maya Cousineau-Mollen, scrittrice quebecchese, in dialogo con Myriam Vien, lettrice del Centro Interuniversitario degli Studi Quebecchesi, Universtià di Bologna. Conclude la giornata alle h. 18 la conferenza spettacolo Les mots de la francophonie con Bernard Cerquiligni, linguista, e Jacques Jouet, poeta dell’Oulipo. Aula Magna, Ateneo Veneto www.ateneoveneto.org

ARTE, FANTASIA E COLORE. L’ARCHIVIO SANTUZZA CALÌ ALLA FONDAZIONE CINI 25 marzo h. 11.30

L’Istituto per il Teatro e il Melodramma organizza una presentazione pubblica della donazione dell’archivio della scenografa e costumista Santuzza Calì (Pulfero, 28 marzo 1934). Artista raffinata e fantasiosa, Calì è stata assistente del pittore Oskar Kokoschka e preziosa collaboratrice di Emanuele Luzzati. Dall’inizio della sua carriera a oggi, Santuzza disegna i costumi e le scene per circa 400 spettacoli, collaborando con alcuni tra i più grandi registi del secondo Novecento. La presentazione costituisce l’occasione per ripercorrere la carriera dell’artista e per ammirare una selezione delle opere da lei realizzate, esposta nella Biblioteca del Longhena. Fondazione Giorgio Cini, Isola di San Giorgio www.cini.it

FASHION APERTURE 31 marzo; 1, 2 aprile

Fashion Aperture ritorna al Teatrino con un nuovo ciclo di proiezioni aperte al pubblico e un workshop dedicato agli studenti universitari che esplora le relazioni tra moda, cinema e arte. Il programma nasce in collaborazione con Università Iuav di Venezia e Central Saint Martins, University of the Arts London. Teatrino di Palazzo Grassi, Campo S. Samuele www.palazzograssi.it

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a cura di Fabio Marzari

Albert CAMUS La Peste (Bompiani) Orano è colpita da un’epidemia inesorabile e tremenda. Isolata, affamata, incapace di fermare la pestilenza, la città diventa il palcoscenico e il vetrino da laboratorio per le passioni di un’umanità al limite tra disgregazione e solidarietà. La fede religiosa, l’edonismo di chi non crede alle astrazioni né è capace di “essere felice da solo”, il semplice sentimento del proprio dovere sono i protagonisti della vicenda; l’indifferenza, il panico, lo spirito burocratico e l’egoismo gretto gli alleati del morbo. Ade ZENO L’incanto del pesce luna (Bollati Boringhieri) Gonzalo fa un mestiere insolito, è impiegato come cerimoniere presso la Società per la Cremazione di una grande città e si occupa di organizzare e presiedere funerali laici nella Sala del Commiato dell’antico Cimitero Monumentale. È sposato con Gloria e ha una figlia, l’adoratissima Inés, che all’età di otto anni cade in uno stato di coma profondo a causa di una misteriosa malattia. Gonzalo per garantire cure migliori alla figlia, accetta un nuovo lavoro presso un’anziana e raccapricciante padrona che una volta alla settimana diventa cannibale. Lorena SPAMPINATO Il silenzio dell’acciuga (Nutrimenti) Tresa è stata educata dal padre al silenzio e al rigore. In tutto lei deve assomigliare a Gero, il suo fratello gemello: stessi abiti e stessa compostezza. Del suo essere femmina a nessuno sembra importare, fino al giorno in cui suo padre parte per lavoro e lascia i gemelli da una zia. Da quel momento il rapporto con Gero si fa turbolento: la zia infatti riconosce in Tresa il suo essere futura donna creando distacco tra le loro immagini e i loro corpi. Gero non sembra accettare questo mondo di femmine e si sottrae con rabbia all’abbandono del padre… Nickolas BUTLER Uomini di poca fede (Marsilio) “Adorare” è sempre sembrata una parola forte a Lyle Hovde, ma è quella che più rappresenta il suo sentimento verso certe giornate di primavera, in cui prende il pick-up e guida lungo il Mississippi per raggiungere il frutteto dove lavora, il nipotino Isaac di cinque anni a fargli compagnia e la natura del Wisconsin a guarire i mali dell’anima. Isaac è il bimbo di Shiloh, la figlia adottiva di Lyle e della moglie Peg. Quando viene a sapere che la ragazza è diventata seguace di una Chiesa radicale e intende trasferirsi con il piccolo Isaac a vivere assieme al pastore che la guida, vorrebbe fare il possibile per impedirglielo. Tanto più che i due sembrano avere strane convinzioni legate ai poteri sovrannaturali del bambino... Gian Arturo FERRARI Ragazzo italiano (Feltrinelli) La vita di Ninni, figlio del dopoguerra, attraversa le durezze da prima rivoluzione industriale della provincia lombarda, il tramonto della civiltà rurale emiliana, l’esplosione di vita della Milano riformista. E insieme, Ninni impara a conoscere le insidie degli affetti, la sofferenza, persino il dolore che si cela anche nei legami più prossimi. Da ragazzino, grazie alla nonna, scopre di poter fare leva sull’immenso continente di esperienze e di emozioni che i libri gli spalancano di fronte agli occhi. Divenuto consapevole di sé e della sua faticosa autonomia, il ragazzo si scava, all’insegna della curiosità e della volontà di sapere, quello che sarà il proprio posto nel mondo. Ross WELFORD Il ragazzo di 1000 anni (HarperCollins) Alfie Monk sembra un normalissimo adolescente. Solo che ha mille anni e ricorda perfettamente l’ultima invasione dei vichinghi in Inghilterra. Quando un incendio distrugge tutto ciò che ama e conosce, Alfie è costretto a chiedere aiuto a due suoi coetanei. O meglio, a due veri undicenni. Grazie a loro il ragazzo millenario scoprirà un modo di vivere diverso, un modo di vivere che non dura per sempre.



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All we need is coffee

Photo Martino Lombezzi

Al momento

non sappiamo quali altre piaghe potranno affliggere Venezia e l’Italia. La città che si offre ai rari viandanti in questi giorni sospesi tra mille incertezze è surreale. La mancanza di visitatori riporta alla reale situazione circa il numero talmente esiguo di abitanti rispetto alla conformazione urbanistica della città. Non sono solo i passanti a mancare, ma la vita all’interno di troppi edifici e questo silenzio è assordante, per quanto noi stessi cerchiamo di cogliere gli aspetti estetici completamente inediti di spazi deserti, in cui le pietre da un lato sembrano un po’ respirare, ma anche

di Fabio Marzari soffrire per questa mancanza di contatti continui. Poiché la soluzione del problema prescinde dalle strette volontà dei singoli, conviene salomonicamente approfittare della Venezia presente per elevare lo sguardo e incamerare per il futuro prossimo ricordi di angoli affollati di pura bellezza architettonica, passeggiate in cui l’armonia delle forme accompagna i nostri pensieri e il nostro sguardo incrocia luci e riflessi in una rincorsa infinita tra seduzione e angoscia. Una sorta di Ferragosto fuori stagione in cui poter camminare liberi senza il disagio di afa e solleone... Tra i luoghi dove poter trovare rifugio, conforto, serenità e tracce di vita, una menzione d’onore va fatta senza dubbio ai Giardini Reali, restituiti alla città il 17 dicembre scorso e mantenuti aperti da Venice Gardens Foundation anche in questo periodo. Poter camminare nei vialetti o sedersi in una panchina con un libro o un giornale o anche solamente posare lo sguardo dove si preferisce, tanto la garanzia è quella di un vista mozzafiato ovunque si volgano gli occhi, diventa un esercizio consolatorio, di

sicura efficacia, ascoltando e rimirando la natura in questa fase di vicino risveglio stagionale. A tutto questo si accompagna anche il piacere del palato, accomodandosi nell’adiacente Padiglione del Caffè, la struttura neoclassica realizzata dall’architetto Lorenzo Santi tra il 1816 e il 1817, che fungeva già in epoca asburgica da Cafehaus dei Giardini, e ora riportata all’antica funzione da Illy Caffè. Il riallestimento dello spazio a pianta circolare, all’interno della Serra, è stato curato dallo studio Locatelli Partners e propone una visione aggiornata degli stilemi tipici delle serre storiche, sottolineando l’eleganza di un volume reso luminoso e leggero dalle alte vetrate sui fronti e dalle aperture sul giardino. Illy Caffè si sviluppa su una superficie di 250 mq: al centro accoglie gli ospiti con un ampio bancone circolare che presenta dettagli in ottone, materiale ripreso, insieme all’immancabile colore rosso che contraddistingue il marchio aziendale, nei tavolini e nel grandissimo lampadario a quattro cerchi con anelli in vetro di Murano. Ogni momento della giornata trova la sua ragione in una sosta da Illy con un’offerta ricca e diversificata: dal caffè del mattino in tutte le varianti dell’autentica e suggestiva tradizione triestina, accompagnato dalla piccola pasticceria e dall’assortimento di brioches con varie farciture, fino alla pausa pranzo con una variegata offerta di piatti non banali e molto curati nella preparazione e nella presentazione, oppure la ricca offerta di cocktail per l’aperitivo, aspettando la sera. Non si parla di “tramonto” in questi giorni, esso è presente solo negli occhi di chi non sa sognare. Venezia è viva come lo sono i veneziani, di tutto il mondo. Illy Caffè Giardini Reali di Venezia, San Marco www.illy.com

Now

, what other misfortune is to befall on our weary shoulders? In these days, what Venice offers to the infrequent visitor is a surreal image of itself. The lack of visitors draws our attention to the real number of people who reside in Venice – so little, given the physical size of the city. Not only passers-by are scarce, so is life within those buildings, such a deafening silence! While we can, and do, enjoy the forgotten beauty of places we rarely see as empty as we see them now, we also suffer waning social contact. Since the solution of the problem does not depend on what we individually want, we might as well take advantage of the situation and frame memories of little corners of Venice of pure architectural beauty now devoid of human presence, of walks with the harmony of shapes accompanying our wandering thoughts. A place to find refuge, solace, and some serenity is the Giardini Reali, recently re-opened and kept up by Venice Gardens Foundation. Walk up and down the paths or sit on a bench – it is beautiful wherever you look. The small park lies behind the main buildings in Piazza San Marco and looks south to the San Marco Basin, the main body of water closest to the Piazza. The location is indeed amazing, and your stay will be made all the more pleasant at the neo-classical café designed by Lorenzo Santi in 1816-1817, where coffee manufacturer Illy now serves espresso. The circular building within the greenhouse has been renovated by Locatelli & Partners Architecture and decorated with brass details and an oversized chandelier in Murano glass. There’s a reason to visit Illy at any moment in the day: coffee in the morning, a lunch break with original menus and presentation, a before-dinner cocktail.


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Le mille e una notte e anche di giorno

Orientalbar Day and Night

Lo schermo goloso

La Corte squisita

Orientalbar, atmosfere social tra Venezia e l’Oriente

Social nights in Venice and the Levant

Una app e il cibo è accessibile e sostenibile

Il reparto food al T Fondaco

Metropole Hotel in Venice demonstrates how we can, and should, turn the page and try not to let the unhappy events of these months excessively condition our lives. The chameleonic iconic hotel in Riva degli Schiavoni knows hwo to shine bright and seduce its guests with new, interesting offers. Every day, from 11am to 1 am, the Orientalbar at Metropole welcomes its guests with the warmth of a mysterious, vintage atmosphere. The Orientalbar is a place of conversation and intimacy as well as a refined setting for a classy business lunch, with interesting, characteristic cuisine offers, like au gratin scallops with thyme and marjoram. Also, an intriguing selection of amuse-bouche of Oriental or Venetian inspiration, each paired with precious wine. 36-hour bread and focaccia are homemade. In this corner of Oriental inspiration, between Thai armours of the late 1800s and soft velour-upholstered sofas, bartender Bruno Iaconis operates under the motto A drink for each soul to give guests moments of pure happiness. Each sip is different from the next, much like our individualities and personalities. In the research for quality as the must-have feature of great hospitality, this space knows and understand the love we all have for the city of Venice, and welcomes local arts and crafts in its choice of décor as well as in its production of temporary exhibitions.

Lo spreco alimentare è uno dei tanti mali di questa nostra società colma di contraddizioni, un male grave e spesso invisibile, cui si sta cercando di porre in qualche modo rimedio. L’app “Too Good To Go” è nata nel 2015 in Danimarca, paese dalle abitudini molto civili e dai ristoranti molto blasonati, con l’obbiettivo di combattere lo spreco alimentare. Ora è presente in 14 Paesi europei e ha una platea di oltre 20 milioni di utenti. Tramite questa app, bar, ristoranti, forni, pasticcerie, supermercati e hotel possono recuperare e vendere online, a prezzi molto ribassati, il cibo invenduto “troppo buono per essere buttato”, contenuto nelle Magic Box, delle bag con una selezione a sorpresa di prodotti e piatti freschi che non possono essere rimessi in vendita il giorno successivo. Gli utenti dell’app non devono far altro che geo-localizzarsi e cercare i locali aderenti, ordinare la propria Magic Box, pagarla tramite l’app e andare a ritirarla nella fascia oraria specificata per scoprire cosa c’è dentro. Una scatola ricolma di bontà da consumare in fretta, che in Italia dallo scorso aprile si può utilizzare in 26 città, tra cui anche di recente nella nostra area e cioè a Venezia, Mestre, Verona, Treviso e Padova, con più di 3000 negozi aderenti e quasi 500mila magic box vendute per un bacino di circa un milione di utenti. F.M.

Il Metropole di Venezia dimostra ancora una volta come si possa e si debba voltare pagina senza essere condizionati in toto dalla sorte non benevola di questi mesi. L’iconico albergo di riva degli Schiavoni sa essere camaleontico, riuscendo sempre a risplendere e conquistare gli ospiti con nuove e allettanti proposte, frutto dell’attenzione e dell’esperienza della Proprietà, che vive il Metropole come una naturale estensione delle pareti domestiche, riservando attenzione verso ogni singolo elemento e osando senza timore nella piacevolezza delle offerte al pubblico. Tutti i giorni, dalle 11 del mattino all’una di notte l’Orientalbar avvolge i suoi ospiti con il calore di un’atmosfera un po’ misteriosa e dal fascino d’antan. Un luogo per conversazioni pigre e colte, ma anche per colazioni di lavoro riservate e di gran classe, con nuove proposte di cucina semplice, con un carattere molto spiccato. Basti solo citare la capasanta gratinata al timo e maggiorana per affermare: “mai più senza!”. Inoltre una selezione accurata di amuse-bouche di ispirazione orientale o di cucina tradizionale veneziana, accompagnati da una carta dei vini in cui le bollicine di qualità superiore dettano le regole del buon bere. Non mancano pizza e focaccia lievitata per 36 ore e il pane pre-

parato rigorosamente in casa. In questo angolo di ispirazione orientale, tra armature thailandesi di fine ‘800 e morbidi divani in velluto, Bruno Iaconis, forte del suo motto “un drink per ogni anima”, opera al meglio per regalare attimi di pura felicità ai suoi avventori, Bruno rifugge la serialità e la ripetitività dei drink. Ogni sorso deve essere differente, così come nella diversità di ciascuno emergono le personalità. Bruno è un punto di riferimento per i suoi ospiti, con lui non sono chiacchiere da bar, ma psicologia. Comprendere il carattere di chi si ha di fronte, interpretare i suoi gusti, solo dopo questo passaggio egli comincia a miscelare il drink che quindi riflette veramente l’anima del cliente. E poter avere un drink su misura rende unica la sosta all’Orientalbar, altro che catena di spritzaggio! Nella ricerca della qualità come connotato indispensabile della buona accoglienza, uno spazio importante, legato alla sensibilità e all’amore per Venezia da parte della proprietaria Gloria Beggiato, è rivestito dalla valorizzazione di figure artigianali e di designer di spicco in città, con esposizioni temporanee delle loro produzioni nelle vetrine dell’Orientalbar. F.M. Orientalbar Hotel Metropole Venezia, Riva degli Schiavoni hotelmetropole.com

www.toogoodtogo.it

In un momento indecifrabile come il presente per i veneziani e i rari foresti si offre l’opportunità di godere al meglio tutte le situazioni di privilegio che la città offre quotidianamente e di cui spesso non sappiamo trarre vantaggio, perché si pensa, sbagliando totalmente, siano soltanto a misura di turisti. Spesso citiamo con entusiasmo i reparti dedicati al cibo dei grandi magazzini del lusso a Londra, Parigi o New York e senza nulla togliere a questi favolosi templi della gastronomia, alla Corte presso il T Fondaco a Rialto si trova un reparto alimentare di livello eccelso in linea con le proposte dell’intero store. In uno spazio giusto, senza disperdersi troppo, con banchi di esposizione molto attenti nelle selezioni e nel modo di presentazione si possono trovare specialità incredibili dai tartufi ai vini, dagli aceti balsamici agli oli di varia provenienza geografica, dai dolci alle selezioni di caffè e tè e molto altro ancora. Qualità e autenticità – dalla provenienza agli ingredienti, dal processo produttivo alla confezione – sono i criteri principali che hanno guidato DFS nella scelta che viene proposta. La selezione comprende per lo più prodotti e marchi italiani storici e artigianali, che sono autorevoli punti di riferimento nel mondo nell’enogastronomia d’eccellenza e che spesso sono presenti anche nelle cucine dei grandi chef; molti tra i prodotti e i brand sono venduti in esclusiva a T Fondaco per Venezia e il Veneto. M.F.


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Food at T Fondaco

In such an indecipherable moment as the present time is for Venetian and the occasional visitor, we take pleasure in the opportunity to enjoy the privileged situations Venice has to offer, and which we only rarely take full advantage of, mistakenly assuming them to be the appanage of tourists. We often write enthusiastically about the food corners of luxury malls in London, Paris, or New York and far be it from us to take anything away from these temples of gastronomy – but allow us to spend a word on the extraordinary food court at local luxury shopping centre T Fondaco, in Rialto. The offer of food is in line with the rest of this magical retail world. A very well-curated choice of beautifully presented food, from truffle to wine to balsamic vinegar to olive oil, sweets, coffee, tea, and more. Quality and authenticity are the selection criteria that guided retailer DFS in the choice. The selection includes mostly Italian historical and artisanal brands, often benchmarks in the world of gastronomy that are to be found in the pantry of the greatest international chefs. Some of the products are exclusively available at T Fondaco. La Corte al Fondaco T Fondaco dei Tedeschi, Rialto www.dfs.com

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Mercato, quartiere, città

Photo Andrés Otero

Stile libero

A Milano apre ad aprile la Centrale del gusto

Il Mercato Centrale Milano, la cui apertura è prevista per il prossimo mese di aprile, si svilupperà su due piani per una superficie totale di oltre 4.500 mq, con 200 mq di dehors esterni, e ospiterà oltre 25 botteghe del gusto con la migliore offerta gastronomica del territorio locale, regionale e nazionale. Previsto un investimento globale di oltre 7 milioni di euro e l’impiego di circa 350 addetti. Lo scorso 14 febbraio, il dibattito Il Mercato Centrale, il quartiere e la città, a cura di Umberto Montano, Presidente di Mercato Centrale, è stato l’occasione per raccontare il progetto attraverso gli interventi del Sindaco di Milano, Giuseppe Sala, dell’assessore all’Urbanistica, Verde e Agricoltura, Pierfrancesco Maran, dell’A.D. di Grandi Stazioni Retail Alberto Baldan e degli architetti Stefano Boeri e Alberto Torsello. Come dichiarato da Montano nel suo intervento: «È una bella emozione aprire ufficialmente questo nuovo capitolo della storia di Mercato Centrale. Anche qui a Milano il nostro progetto si fa luogo di incontro tra il cibo buono e la cultura. È del tutto casuale che nel giorno in cui si celebra l’amore universale venga festeggiato anche l’amore di Mercato Centrale per Milano, ma è proprio attraverso l’amore per la ricerca e la valorizzazione delle professionalità artigianali nel mondo del cibo che il Mercato esprime se stesso. Sono sicuro che la squadra che debutterà a Milano, di cui io

vado molto fiero, saprà sorprendere clienti, critici e appassionati». L’architetto Torsello ha evidenziato l’importanza del legame tra connessione, materia e rigenerazione: «Se l’essere connessi è condizione imprescindibile per ogni forma di vita, per ogni attività, le connessioni, fisiche, psicologiche, visive, sensoriali che l’architettura pone in essere, rappresentano i nodi attraverso i quali ogni attività trae e diffonde energia. Connessioni che trovano nella materia – formata, plasmata – l’elemento di coagulo e trasmissione per una rigenerazione degli spazi, dei luoghi». Nel corso dell’incontro è emersa la questione della funzione che il Mercato Centrale dovrà assumere all’interno del quartiere, la sua natura di spazio inclusivo e aperto al dialogo in relazione con il contesto urbano di riferimento e col territorio. Temi cardine del dibattito: riqualificazione, territorio e identità, nel contesto territoriale dentro e fuori la stazione, come ha ribadito Baldan: «Abbiamo lavorato e stiamo lavorando alla sua ristrutturazione e alla valorizzazione di particolari architettonici unici [...] Un ridisegno complessivo che, naturalmente, non poteva prescindere dall’esterno: con gli interventi ultimati nelle piazze, Stazione Centrale è diventata infatti anche una cerniera di collegamento con la città». Daniela Paties Montagner www.mercatocentrale.it

Poter passare qualche giorno in montagna d’inverno è un vero piacere per la mente e per il fisico. Anche se da qualche anno un ginocchio malandato non permette più di solcare liberamente le piste da sci, è possibile comunque trarre godimento dal soggiorno tra incredibili passeggiate e panorami mozzafiato, gustosissime colazioni, pranzi, aperitivi e cene, calorosissime partite di hockey e rilassanti immersioni in SPA. Se poi la meta è Cortina, fuori da qualsiasi retorica, l’equazione diventa perfetta. La perla delle Dolomiti è in pieno restyling per gli imminenti mondiali di sci del 2021 e le attesissime Olimpiadi invernali nella formula Milano/Cortina del 2026. L’offerta turistica, già di per sé la più ampia delle Dolomiti, sta ulteriormente migliorando, grazie alla volontà da parte di tutti di mostrare il meglio. Tra questi ovviamente non mancano le novità per quanto riguarda l’ospitalità, con strutture che si rinnovano tra modernità e tradizione. In questo breve break, mi è capitato di toccare con mano uno di questi nuovi modelli di soggiorno esclusivo in montagna: il Faloria Mountain Spa Resort a Cortina d’Ampezzo. Riaperto da poco meno di un anno, è stato ampliato e rinnovato su progetto dell’architetto Flaviano Capriotti, che ha disegnato un ambiente in armonia con il contesto paesaggistico, in cui la tradizione alpina incontra spunti contemporanei. L’architettura e il design infatti sono lineari, in sospeso tra atmosfere anni ‘60 alla Carlo Scarpa e materiali tipici del Nord Europa ben equilibrati tra loro e capaci di creare una loro nuova identità. L’ospite si trova inserito in un ambiente che sente naturale, esclusivo mai eccessivo, una sobrietà elegante e calda, dove la luce domina, ma non predomina, esaltando i particolari, siano essi i decori di charme delle camere, la maggior parte delle quali suite, o la proposta di alta cucina firmata dallo chef Antonio Cennamo, che propone un inedito connubio tra tradizione mediterranea e proposte locali, il cui fil rouge è l’eccellenza delle materie prime, servita all’interno di un suggestivo padiglione vetrato con scenografico panorama sul monte Croda da Lago da un lato e sul trampolino olimpionico del 1956 dall’altro. Immancabile la “Stube” – il centro della casa tradizionale ampezzana –, realizzata con boiserie antiche. Non è sul soggiorno, che mi riprometterò di fare, ma sulla SPA che voglio soffermarmi, un vero e proprio gioiello: oltre 1000mq di superficie, con piscina semi-olimpionica, sauna, fontana di ghiaccio, calidarium, vitality pool, aree relax e sale per trattamenti privati. La Spa offre un’esperienza sensoriale ed emotiva, dedicata a toccare tutti i livelli di percezione: visivi, tattili, olfattivi ed emotivi per un’azione rigenerante. Unica nel suo genere per dimensione e caratteristiche strutturali è la grande piscina. Lunga 25mt con tre corsie, presenta delle eleganti alcove a bordo vasca, angoli intimi e riservati dalle calde pareti in doghe di larice. Da qui si può godere la vista del Monte Faloria – grazie al lucernario e alla grande parete vetrata – e accedere al giardino esterno sul quale si sviluppa parte della vitality pool, che essendo climatizzata può essere utilizzata anche sotto la neve. Materiali e colori richiamano il legno dei boschi di larice, la pietra delle rocce dolomitiche e il verde dell’acqua dei laghi, così che gli ospiti possano sentirsi come immersi totalmente nella natura ampezzana. Assolutamente da provare! Mariachiara Marzari Faloria Mountain Spa Resort Località Zuel di Sopra – Cortina d’Ampezzo faloriasparesort.com

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The Court of Exquisite

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ricette dedicate di Pierangelo Federici

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ACIUGHETA ENOTECA

Castello 4357, Campo S. Filippo e Giacomo T. 041-5224292 h. 9.00_24.00 aperto tutti i giorni/open everyday www.aciugheta-hotelrio.it

Un mix tra un locale di design e il tradizionale bacaro veneziano. Ottima la qualità dei vini e dei cicheti, da non perdere le caratteristiche pizzette dell’aciugheta./ Popular with tourists and Venetians, a modern space with the atmosphere of a traditional bacaro where you can drink aperitif and have some snacks. Photo Settimo Cannatella

LAURA SCARPA Veneziana, è direttrice editoriale del web magazine «Venezia da vivere», si occupa da anni di relazioni pubbliche, comunicazione sui social media e organizzazione di eventi. Con il suo socio ha ideato e organizza Venice Fashion Week, evento che porta la moda e l’alto artigianato a Venezia due volte l’anno. Ha collaborato con la Biennale, il Teatro La Fenice, l’Azienda di Promozione Turistica, l’Università IUAV, l’Istituto Europeo di Design, il Carnevale di Venezia e la Venice International University.

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L’intervista Eccoci qui, Laura: questa breve intervista serve a tracciare il tuo profilo “psico-culinario”. Genererà una ricetta che dovrebbe rappresentarti, per restare in tema con la moda, un piatto come fosse un abito che ti calzi a pennello. Ogni tanto mi chiedo se la cucina, nella sua globalità di espressioni, dai contorni qualche volta poco definiti che si sovrappongono, la gastronomia, l’enologia, insomma il mondo del cibo, possa essere definito moda. In fin dei conti la cucina, così come il modo di vestirsi, rappresenta un mondo in continua evoluzione fatto di tendenze che cambiano, spariscono e ricompaiono periodicamente. Ormai da anni il cibo si è trasformato in fenomeno mediatico, questa trasformazione che qualcuno chiama “rivoluzione” sta facendo scomparire dal vocabolario gastronomico la parola tradizione. Non sono convinto che tutto ciò mi piaccia, ma è un fatto che ormai i piatti proposti dagli “chef al top” sono slegati da ogni legame con le ricette della nonna. Quindi oggi, per chi scrive di cucina come me, è vietato non prendere in considerazione il mood che sta intorno, il sentire degli stati d’animo prima ancora dei brontolii della pancia. Nel tuo web magazine racconti la Venezia che ami: i registi emergenti, le gallerie innovative, gli eventi, la moda, i ristoranti giusti, insomma tutto quello che rende unico vivere a Venezia… Sì, sono veneziana e adoro la mia città. Lo stile di vita veneziano è rilassato e vicino alla natura, vediamo l’acqua e camminiamo molto tutti giorni. In primavera prendiamo la barca e andiamo nelle isole in gita. I bambini sono liberi perché non ci sono pericoli per le strade, e sono continuamente stimolati da arte e cultura. Per esempio, organizziamo le feste di compleanno nei musei.

Hai creato e organizzi tutti gli anni con la tua struttura professionale alcuni eventi molto interessanti nel panorama veneziano. Tra questi la Venice Fashion Week , la cui “spring edition” si svolgerà ad aprile. Qualche anticipazione? Siamo molto orgogliosi: abbiamo previsto la presentazione della capsule collection di Tiziano Guardini, lo stilista sostenibile premiato al Green Carpet Fashion Award, realizzata da nove imprese venete con i preziosi tessuti Bevilacqua. Inoltre tutti gli eventi di Venice Fashion Week vogliono stimolare la riflessione sulla sostenibilità, sull’alto artigianato veneziano, sull’immagine di Venezia e sul rilancio del sistema moda veneto.

AGLI ASSASSINI

San Marco 3695, Rio Tera’ degli Assassini T. 041-5287986 h. 11.30_15.00/18.30_23.00 chiuso dom, sab a pranzo/closed on Sun and Sat lunch-time - www.osteriaaiassassini.it

Non prendete paura: gli assassini in questa strada c’erano solo nei tempi antichi. Tra tavoli in legno e pareti in cotto cicheti e ricette veneziane./ Don’t panic, murderers lived in this street only centuries ago; you can sit down with friends and taste typical Venetian snacks. AI 40 LADRONI

Cannaregio 3253, Fondamenta della Sensa T. 041-715736 h. 10.00_23.00 chiuso lun/closed on Mon

Bacaro doc, offre i piatti tipici della cucina veneziana, tra cui di venerdì il baccalà mantecato fatto in casa./ A Venetian bacaro serving typical Venetian dishes such as home-made Venetian stockfish on Friday. AL BACARETTO

S. Marco 3447, Calle delle Botteghe T. 041-5289336 - h. 7.30_23.00 chiuso sab sera e dom/closed on Sat evening and Sun www.osteriaalbacareto.com

Siete nei pressi di Palazzo Grassi? Ecco un posto giusto per un pasto piacevole e veloce./ Are you in the area of Palazzo Grassi? Here is the ideal place for a pleasant lunch. ALL’ARCO

San Polo 436 T. 041-5205666 - h. 8.00-14.30 chiuso dom/closed on Sun

A pochi passi dal mercato di Rialto, in calle dell’Arco, un angolo dove gustare i migliori cicheti della città: ingredienti originali, simpatia e ambiente famigliare. Molto frequentato dai veneziani./ Steps from the Rialto Market, in Calle dell’Arco, find a corner to taste the best of Venetian street food. Original ingredients and a fun atmosphere that is loved by the locals. ALLA PATATINA

San Polo 2742, ponte di S. Polo T. 041-5237238 - h. 9.30_14.30/18.00_22.00 chiuso dom/closed on Sun - www.lapatatina.it

Tra Rialto e i Frari è un locale amato da studenti e non che trovano polpette, verdure fritte e le immancabili patate al rosmarino./ Popular with students who want to eat meat-balls, fried vegetables and the inn’s must: potatoes with rosemary. ANTICA OSTERIA RUGA RIALTO

S. Polo 692, Calle del Sturion T. 041-5211243 h. 11.00_15.00/18.00_24.00 aperto tutti i giorni/open everyday

Antico Bacaro, amato dai giovani ideale per un pranzo veloce ed economico o per passare la serata con piatti tipici della cucina veneziana./ Loved by young people, ideal place for a quick, cheap lunch or for spending the night tasting the typical Venetian food. CANTINA DO MORI

S. Polo 429, Calle dei do Mori T. 041-5225401 h. 8.30_20.30 chiuso dom/closed on Sun

Il più antico bacaro della città, documentato dal 1464, offre oltre 600 etichette e una gran quantità di deliziosi cicheti./ The oldest ‘bacaro’ in town, on record from 1464, offering a great selection of delicious snacks and more then 600 wines. ENOITECA MASCARETA

Calle Lunga Santa Maria Formosa 5183 T./fax 041-5230744 - aperto tutti i giorni/ open everyday -www.ostemaurolorenzon.it

Mauro Lorenzon nel suo locale, aperto fino a tarda notte, propone piatti caldi ed una cucina fredda con trionfo di formaggi e salumi. Non mancano mai le migliori

ostriche. Il meglio in fatto di vini,oltre 100 etichette, bollicine italiane e francesi./ This is a true cult place, open until late at night, you can eat hot dishes as well as cold plates. You can taste a glass of the best wines, more than 100 Italian and French wines are available on the wine list. NARANZARIA

San Polo 130 - T. 041-7241035 h. 10.30_15.00/18.00_23.00 chiuso lun/closed on Mon - www.naranzaria.it

Locale ‘fusion’, sushi-bar, cicheti e i vini di Livio Feluga per un aperitivo cosmopolita o una cena assai gradevole./ A fusion-style osteria in Rialto. Excellent wine list such as the ones produced by Livio Feluga. You can choose between the sushi bar, the very original cichetti (local snacks) or a very pleasant dinner. OSTARIA BEA VITA

Fond. delle Cappuccine, Cannaregio 3082 T. 041-2759347 - h. 9.00_23.00 aperto tutti i giorni/open everyday

Imperdibile punto d’incontro per assaporare gustose rivisitazioni dei migliori piatti della cucina tipica veneziana./ A meeting point you cannot miss if you want to taste new interpretations of the best dishes of Venetian cuisine. OSTERIA AI OSTI

Cannaregio 3849, Corte dei Pali Testori T. 041-5207993 h. 8.30_22.00 chiuso dom/closed on Sun

Situato in un caratteristico campo veneziano il locale offre un’ottima cucina casalinga, carne e pesce, accompagnata da vini di qualità./ Ai Osti offers an exquisite home cooking in a characteristic Venetian campo (square); good wine selection. OSTERIA CA’ D’ORO ALLA VEDOVA

Cannaregio 3912, Ramo Ca’ d’Oro T. 041-5285324 - h. 1.30_14.30/18.30_22.30 chiuso dom mattina e gio/closed on Sun (lunch-time) and Thu

art were attracted by this small magic terrace on the canal. An intimate atmosphere on the Giudecca, recommended for its Venetian dishes. ANTICO DOLO

San Polo 778, Ruga Vecchia T. 041-5226546 - h. 12.00_23.00 chiuso mar/ closed on Tue - www.anticodolo.com

Antica osteria vicina a Rialto, celebre per la sua ‘tripa rissa’, l’ampia scelta di piatti tipici e la ricca selezione di vini veneti./ Typical old Venetian inn near Rialto’s market; famous for its ‘tripa rissa’ (tripe), typical dishes and a rich wine list. BANCOGIRO

Campo S. Giacometto, S. Polo 122 T. 041-5232061 - h. 10.30_24.00 chiuso lun/ closed on Mon - www.osteriabancogiro.it

Ricavato all’interno di uno degli antichi magazzini di Rialto, l’Osteria propone cucina tradizionale della Laguna e non solo./ In the past it was the interior of one of the ancient Rialto warehouses, now the inn proposes typical dishes of the lagoon, exploring products from other parts of Italy too. BENTIGODI

Cannaregio 1423, calle Sele T. 041-716269 h.10.00_15.00/18.00_1.00 chiuso lun/closed on Mon

Osteria di tradizione. Lo chef Domenico Iacuzio offre piatti tipici veneziani preparati secondo antiche ricette come sarde in cinta e in saor e altre specialità./ Typical Venetian dishes prepared according to the old recipes. Try their sarde in saor. CO.VINO

Calle del Pestrin, Castello 3829a-3829 T. 041-2412705 chiuso mer e gio/closed on Wed and Thu

Vicinissima a Ca’ d’Oro, è conosciuta da più di 100 anni come “La Vedova”. Presenta un banco pieno di pesce, verdure, una grande varietà di primi piatti e le mitiche polpette./ Known for more than 100 years as “La Vedova” (the widow) and popular with Venetians, near the Ca’ d’Oro, the restaurant offers fish dishes, a variety of pastas and risottos and meat-balls.

Un indirizzo da segnare per gli amanti della buona tavola, con tutte le delizie che un territorio ricco di storia e tradizione, come il Veneto, può offrire. Atmosfera elegantemente informale per un trionfo di sapori, tra cui molti a km zero, o circa./ An address food lovers should keep at hand, especially those who value the treasures of a territory rich in history and tradition can offer, such as the Venetia. Smart/casual atmosphere and plenty of taste, most of which from zero-mile produce, or almost.

PARADISO PERDUTO

OSTERIA DA CODROMA

Per chi ama tirar tardi, un bicchiere e un piatto di pesce “alla veneziana”: è il locale giusto!/ The ideal place for night-owls: sipping a glass of wine and eating some Venetian specialities.

Perfetto per un aperitivo o per una cena, il locale mantiene il fascino antico e autentico del bacaro con delle proposte gastronomiche semplici e ben realizzate con ingredienti sempre freschissimi./ Perfect for a before-dinner glass, Codroma will welcome you to stay for dinner to enjoy the authentic taste of the typical Venetian inn. Simple, fresh food.

Cannaregio 2540, fond.ta della Misericordia T. 041-720581 - h. 11.00_15.00/19.00_1.00 chiuso lun sera/closed on Mon evening

osterie&trattorie AL BACCO

Cannaregio 3054, Fondamenta Capuzine T. 041-721415 h. 18.30_24.00 (12.00_14.30 solo dom/only Sun) chiuso lun/closed on Mon

Nei pressi del Ghetto, un locale con il fascino del tempo perduto, dove gustare ricette di un tempo a base di pesce./ Near the Ghetto, a charming restaurant lost in time offering a traditional fish menu. AL MASCARON

Castello 5225, Calle lunga S. Maria Formosa T. 041-5225995 h. 12.00_15.00/19.00_23.00 chiuso dom/closed on Sun www.osteriamascaron.it

Frequentato da cittadini e “foresti” il locale offre ogni genere di mollusco, crostaceo o pesce/ Venetians and people from outside the city know the place it’s a must if you are looking for excellent fish.

Dorsoduro 2540, Fondamenta Briati chiuso dom e lun/closed on Sun and Mon T. 041-5246789 h. 10.00_16.00/18.00_23.30

DA POGGI

Cannaregio 2103, Rio tera’ Maddalena T. 041-721199 - h. 12.00_15.00/18.00_24.00 aperto tutti i giorni/open everyday www.ristorantedapoggi.it

L’indirizzo giusto per ottimi piatti tipici della città lagunare: tra gli altri, tagliolini ai tartufi di mare, gamberetti agli asparagi, branzino al pepe verde./ The right place for traditional Venetian dishes. Try tagliolini with warty venus, shrimps with asparagus or green pepper sea bass. DA RICCARDO – OSTERIA CONTEMPORANEA

Cannaregio 4426, calle de l’Oca T. 041-2412731 h. 12.00_14.30/19.00_22.00 chiuso lun/closed on Mon www.osteriadariccardo.com

Ideale per un’ombra di vino, folpeti, nerveti, sarde in saor, baccalà, oppure per risotti e altri primi./ Ideal place where you can sip a glass of wine tasting typical snacks, a risotto or a pasta.

Un piccolo ristorante in cui viene servito del cibo molto buono, preparato con ottimi ingredienti e con una selezione accurata di vini in gran parte proveniente da piccoli e attenti produttori. La soddisfazione del palato è garantita!/ Small restaurant, great food. The best ingredients and the right choice of wines, mostly from small farms, guarantee the diner’s satisfaction!

ALTANELLA

DALLA MARISA

AL PORTEGO

Osteria/Venetian restaurant Castello 6014, San Lio - T. 041-5229038 h. 10.00_15.00/18.00_22.00 chiuso dom/closed on Sun

Giudecca 268, calle delle Erbe T. 041-5227780 h. 11.30_14.30/19.30_21.30 chiuso lun e mar/closed on Mon and Tue

Una piccola incantata terrazza, che ha ospitato grandi protagonisti della cultura e dell’arte del Novecento, dove da quattro generazioni vengono offerti piatti tipici della cucina veneziana./ Many important characters of 19th century culture and

Cannaregio 652/b T. 041-720211 h. 12.00_14.00 e dalle 20.00, chiuso la sera di lun, mer e dom/closed Mon, Wed and Sun evening

Un’autentica istituzione e una perla di cucina popolare, dove gustare l’altra ‘faccia’ della Laguna: la cacciagione. Imperdibile! Prenotazione obbligatoria./ Near Tre Archi bridge, along Cannaregio


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canal, a real must for traditional simple food and game dishes.You cannot miss it! Book in advance. OSTARIA DA RIOBA

Fond. della Misericordia, Cannaregio 2553 T. 041-5244379 h. 12.30_14.30/19.30_23.00 chiuso lun/closed on Mon - www.rioba.it

In una zona di straordinaria suggestione l’Ostaria da Rioba offre i piatti della tradizionale cucina veneziana./ In the suggestive area of Fondamenta della Misericordia, the Ostaria da Rioba offers the traditional Venetian cuisine. OSTERIA ACQUASTANCA

Fondamenta Manin 48-Murano T. 041-3195125 chiuso lun/closed on Mon www.acquastanca.it

Dove c’era una storica bottega di fornaio, una nuova tappa obbligatoria per assaporare i piatti tipici della tradizione lagunare. Il menù varia secondo il mercato. La qualità del bere è data non solo dal contenuto, ma anche dalla forma: Nason&Moretti./ Where a baker’s shop used to be, an inn offers great Venetian food, a must of the season. Their offer depends on the market’s, the quality of their drinks on the content, true, but also on the vessel... read Nason&Moretti. OSTERIA ALLA FRASCA

Cannaregio 5176, corte della Carità T. 041-5285433 - h. 1.00_15.00/18.00_23.00 chiuso lun sera/closed on Mon evening

Vicino alla fermata F.te Nuove, le rinomate specialità di pesce con gli antipasti della Laguna, spaghetti di pesce e spettacolosi risotti./ A great place near the Fondamente Nuove vaporetto stop for a break on your way to or back from the islands. OSTERIA LA BITTA

Dorsoduro 2753/a, calle lunga San Barnaba T. 041-5230531 - h. 18.30_23.00 chiuso dom e a pranzo/closed on Sun and at noon

Antipasti, primi e secondi a base di verdura e carne in un’accogliente osteria per cene caratterizzate da una grande varietà di menù, diverso ogni giorno./ Starters, first and second courses with vegetables and meat. That’s the place for a dinner characterized by a very rich and varied menu, different each day of the week. OSTERIA TREFANTI

Rio Marin, Santa Croce 888 T. 041-5201789 – www.osteriatrefanti.it Chiuso dom sera e lun/closed Sun evening and Mon

Umberto in cucina propone le ricette, semplici e di territorio, esclusivamente a base di pesce, arricchite da un gran numero di spezie, come nella tradizione delle tavole nobili al tempo della Serenissima. Il risultato finale è di grande spessore, molto al di là delle solite banali ombre e cicheti./ Umberto in the kitchen offers simple, local fish food. As per the tradition of noble families’ dining at the time of the Venetian Republic, spices are a staple of their creations. The final result are exquisite bite-sized portions you won’t mistake for ‘just a quick snack’. RISTOTECA ONIGA

Campo San Barnaba, Dorsoduro 2852 T./Fax 041-5224410 chiuso mar/closed on Tue www.oniga.it

In campo San Barnaba, il locale offre svariati piatti a base di carne e pesce. Ampia e di alta qualità la scelta dei vini./ Near Campo Santa Margherita, the Oniga Ristoteca offers a wide variety of meat and fish dishes. Excellent wine list. TAVERNA SAN LIO

Salizada San Lio, Castello 5546/47 T. 041-2770669 chiuso gio/closed on Thu www.tavernasanlio.com

L’accoppiata design/buona cucina risulta la carta vincente di un nuovo modo di proporre i sapori della Serenissima./ In Salizada San Lio, a great little place, where both design and food are the winning characteristics of a new way to propose the flavours of the Serenissima. VINI DA ARTURO

San Marco 3656 T. 041-5286974 h. 12.00_14.30/19.00_22.30 chiuso dom/closed on Sun

Tra calle della Mandola e Rio Terà degli Assassini, si distingue dalla maggior parte dei locali veneziani per l’ampia proposta di filetti, bistecche, braciole e tante verdure./ Between Calle della Mandola and Rio Terà degli Assassini, ideal for those who love meat.

fusion&worldfood AFRICA EXPERIENCE

Dorsoduro 2722, Calle Lunga San Barnaba T. 041-4767865 h. 12.00-15.00/17.00-24.00 Chiuso lun/closed on Mon

Il ristorante offre un tuffo nel mondo della cucina africana per spezzare la monotonia dei soliti sapori. Gli chef sono anche abili ad adattare l’intensità delle spezie ai nostri palati, abituati a sapori più tenui./ Dip your toes in the world of African cuisine to break the monotony of your restaurant outings. And don’t worry, the chefs know how to use just the right amount of spice. ALLA ZUCCA

Santa Croce 1762, ponte del Megio T. 041-5241570 h. 12.30_14.30/19.00_22.30 chiuso dom/closed on Sun - www.lazucca.it

Un locale dal menù alternativo dove poter gustare anche piatti vegetariani con l’influsso orientale e macrobiotico./ Alternative menu and excellent vegetarian dishes; restaurant with a good atmosphere. BASARA MILANO

Campo San Gallo, San Marco 1089 T. 041-5225955 Mar/Tue – Dom/Sun h. 12-15 e 18.30-00.00 Lunedì chiuso/closed on Mon www.basaramilano.it

A due passi da piazza San Marco, una combinazione di ristorante giapponese (autentico) e pasticceria, con l’aggiunta di una terrazza magnifica dove poter vivere al meglio le suggestioni estetic he e legate al cibo. Inseguendo i momenti della giornata, il locale risulta sempre una scelta efficace./ A stone’s throw from Piazza San Marco, a combination of authentic Japanese sushi and pastry. Pair that with a wonderful terrace to enjoy the aesthetic suggestions of taste and sight. A great choice at any time of day. FRARY’S

Fondamenta dei Frari 2558 T. 041-720050 h. 10.00_24.00 chiuso mar/closed on Tue

Shish Kebab, falafel, ghiros, Kus-kus, dolmades, hummus, gelato arabo, piatti vegetariani. Ouzo, retzina e vini greci. Specialità mediorientali arabe e greche./ Choose from a variety of Middle-Eastern, Arabian & Greek specialities. GAM GAM

Cannaregio 1122, Sotoportego del Ghetto Vecchio - T. 041-715284 - h. 12.00_22.00 chiuso ven sera e sab/closed on Fri evening and Sat

ORIENT EXPERIENCE

Rio Terà Farsetti, Cannaregio 1847/b tel. 041/8226919 h. 11-23.30 aperto tutti i giorni/open everyday - Fb: Orient Experience

Non soltanto take away, ma anche piccolo ristorante con tavolini alti e bassi e atmosfera da caffè mediorientale. Ai fornelli italiani, bengalesi, palestinesi, siriani e afghani, per una cucina fusion. Da provare: Kofta (polpette di manzo con patate, prugne e noci) e il Sabzi Palak (spinaci, ceci e formaggio)./ Not only a take-away joing, but a small eatery with a Middle-Eastern atmosphere. Italians, Bengalis, Palestinians, Syrians, and Afghans take turns in the kitchen for a fusion experience.

nonsolopizza pizza and... AE OCHE

San Giacomo, S. Croce 1552 T. 041-5241161 Zattere, Dorsoduro 1414 T. 041-5206601 Santa Lucia, Cannaregio 158/a T. 041-717879 h. 12.00_15.00/19.00_24.00 aperto tutti i giorni/open everyday www.aeoche.com

Per chi ama poter scegliere tra un centinaio di pizze o tra molte insalate: molto amato dai giovani./ Ideal for those who love pizza: hundreds kind of pizzas and a wide range of salads. AL FARO

Cannaregio 1181/a - T. 041-2750794 h. 12.00_15.00/18.30_23.00 - aperto tutti i giorni/open everyday (nel periodo invernale chiuso mar/closed on Tue in winter) www.pizzeriaalfaro.com

Nel cuore del Ghetto di Venezia, dà la possibilità di scegliere tra piatti tipici veneziani, ma anche tirolesi e 40 tipi di pizze./ Right in the heart of the Ghetto, a wide choice of Venetian and Tyrolese specialities and 40 types of pizzas. AL NONO RISORTO

Santa Croce 2338 - Sotoportego della Siora Bettina T. 041-5241169 - h. 12.00_14.30/ 19.00_23.00 chiuso gio mattina e mer/ closed onThu (lunch-time) and Wed

Buone pizze e piatti tipici veneziani in un caratteristico locale con tavoli e rivestimenti in legno all’interno e un grande giardino all’esterno./ A menu with the best pizzas in town & classic Venetian dishes in a restaurant with a warm wooden interior and a large garden. AL PROFETA

Calle Lunga S. Barnaba 2669 - T. 041-5237466 h. 12_23.00 aperto tutti i giorni/open everyday

Vasta scelta di pizze, succulente grigliate di carne e pesce su ordinazione. Buonissimo anche il pane fatto in casa./ Al Profeta proposes a wide choice of pizzas, grilled meat or fish (only booking it in advance). Their bread is excellent. ALL’ANFORA

S. Croce 1223, Riva di Biasio - T. 041-5240325 www.pizzeriaallanfora.com

Ristorante Kosher, si trova all’ingresso del Ghetto. La cucina è di tradizione israelitica, italo-ebraica e ashkenazi./ Just at the entrance to the Ghetto, it serves traditional Israeli, Italian-Jewish and Ashkenazi specialities.

Per gustare un’ottima pizza e non solo, in un piacevole giardino interno, con un’atmosfera semplice ma sincera./ That’s the place if you are looking for an excellent pizza in a pleasant indoor garden with a simple but true atmosphere.

GHIMEL GARDEN

Campo SS. Filippo e Giacomo 4338 T. 041-5229293 www.concadorovenice.com

Cannaregio, 2873 Campo del Ghetto Nuovo T. 346-4735061

Cucina dai sapori ancestrali nel cuore del Ghetto più antico nella storia, un’esperienza assai appagante in un mondo dettato dal kasherut (le regole ebraiche sul cibo) in cui le assonanze tra i vari mondi sapranno stupire anche il più scettico dei commensali./ Ancestral tastes in the heart of the oldest ghetto in history. A pleasant kosher experience where harmonies beyween different universes will convince even the most skeptical patron. MIRAI CREATIVE SUSHI

Lista di Spagna, Cannaregio 227 c/o Hotel Amadeus - T. 041-2206517 h. 19.30–23.30 chiuso lun/closed on Mon

Ristorante dove gustare la tradizionale cucina giapponese, oltre a contaminazioni nipponico-latine. Un piacevole insieme di cibo, armonia, musica, colori e profumi./ Mirai Creative Sushi offers the Japanese traditional cuisine associated with Latin creations.

CONCA D’ORO

La più antica pizzeria di Venezia, con la qualità di sempre, in un locale al passo con i tempi e con differenti proposte gastronomiche./ The most ancient pizzeria in Venice, same good quality and various gastronomic specialities. DA SANDRO

S. Polo 1473 Campiello Meloni T. 041-5234894 h. 8.00_23.30 chiuso ven/closed on Fri

Due piccoli locali si affacciano nel campiello vicino al più grande Campo San Polo: da una parte ci si siede per la pizza, dall’altra per qualcos’altro./ Two small rooms on tow sides of a little square right behind Campo San Polo: you can sit down for a pizza on one side and for the trattoria specialities on the other. DAI TOSI

Castello 738, Seco Marina T. 041-5237102 - h. 2.00_14.00/17.00_21.30 chiuso mer/closed on Wed

Vicinissima ai padiglioni della Biennale è una buona scelta anche quando l’esposizione di arte contemporanea non c’è. Fermata vaporetto: Giardini./ Right next

Allora Venezia si può anche considerare “città della moda”? Certamente, perché lo è sempre stata! Basta osservare i quadri alle Gallerie dell’Accademia o a Palazzo Ducale: Venezia dettava la moda nel Medioevo, nel Rinascimento, nel Settecento, persino nei primi anni del Novecento e negli anni Cinquanta e Sessanta, e questo per il suo essere crocevia di culture, punto di riferimento per le arti, la tecnologia e le innovazioni, importantissimo centro di commerci internazionali e luogo di impareggiabile maestria artigianale. Se tu dovessi scegliere il meglio della cosiddetta ‘venezianità’, cosa salveresti e cosa butteresti? Di Venezia non si butta niente! Di certo sono da salvare le botteghe di merceria, che sono rimaste poche. Sono da sostenere e promuovere le stamperie e tipografie veneziane, che per fortuna vedo attive e in espansione, l’arte del Merletto di Burano, l’arte delle Impiraresse, cioè le creative che creano gioielli con le perle di vetro, e le sartorie e gli atelier di moda, che valorizziamo con Venice Fashion Week. E tu, te la cavi ai fornelli? Segui una tua strada, ti affidi alla tradizione o ti lasci trascinare da queste nuove legioni di esegeti che esaltano gli chefs televisivi? Sono molto connessa, ma non ho la tv. Amo fare risotti, quindi tradizione, ma tutto senza lattosio: ho eliminato per sempre tosse e raffreddore, e senza formaggio sento meglio i gusti. Adoro il pesce crudo e propongo spesso l’avocado tagliato a metà con una salsa di senape, olio e limone. Se ora aprissi il tuo frigorifero, cosa ci troverei dentro? Oltre all’avocado, al limone e alla senape: radicchio rosso, scarola, zucchine, aglio e cipolle, carciofi, patate. Per gioia e per amore, Prosecco! Bacaro tour oppure mise en place di lusso? Bacaro... chic! La ricetta RISOTO DE SPARESEE COL PROSECCO Con la primavera arrivano i sapori freschi! Facciamo un risotto con gli asparagi verdi e il Prosecco Brut. Monda con un pelapatate e taglia la parte finale dei gambi degli asparagi, tuffali in acqua bollente salata per un paio di minuti, quindi conserva l’acqua di cottura. Raffreddali velocemente in acqua e ghiaccio, così manterranno il loro bel colore, e metti da parte qualche punta di asparago che userai come guarnizione del piatto. Ripassa le punte in padella con un filo d’olio, mentre frulli i gambi tagliati a rotelle con un po’ della loro acqua di cottura. Trita finemente una cipolla bianca e fai imbiondire in olio evo, quindi aggiungi il riso Vialone Nano e fallo tostare. Sfuma mezzo bicchiere di prosecco, lascia evaporare e prosegui la cottura per circa 15 minuti, aggiungendo man mano l’acqua bollente di cottura degli asparagi. A fine cottura, si aggiungono i gambi frullati e si manteca senza burro ma con un poco di Parmigiano Reggiano DOP grattugiato (un formaggio che è naturalmente senza lattosio), quindi impiatta guarnendo con le punte degli asparagi. Per accompagnare il piatto, suggerisco di finire la bottiglia di prosecco.


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AFTE R NO O N TEA AT THE DA NIELI Enjoy an inviting mid-afternoon pause in the glamorous ambience of the Dandolo Palace. Surrounded by history and art, in the company friends or a good book, indulge in our selection of fresh pastries, canapés, and scones, and a variety of teas or sparkling bubbles.

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HOTEL DANIELI A LUXURY COLLECTION HOTEL, VENICE RIVA DEGLI SCHIAVONI, 4196 30122, VENICE


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:ristorantirestaurants

to the Biennale pavilions, this pizzeriatrattoria is an excellent choice even when the contemporary art exhibition is not on. Vaporetto stop: Giardini. DUE COLONNE

San Polo 2343, Campo Sant’Agostin T. 041-5240685 - h. 2.00_14.30/19.00_22.30 aperto tutti i giorni/open everyday www.pizzeriaduecolonne.com

Grande varietà di pizze da poter gustare nelle sale interne o nel vicino campo./ A huge variety of pizzas you can taste in the two rooms inside or in the square. MARCIANO PUB VENEZIA

Cannaregio 1863, Calle Loredan T. 041-4767255 aperto tutti i giorni/open everyday h. 18.00_1.00

Che sia per una birra, un hamburger o per una cena anche a tardo orario, la qualità e la vastità della scelta non deluderanno. Anche per i superalcolici la carta è generosa. Buon servizio e personale accogliente per un nuovo concetto di pub gourmand./ Whether it’s a good draft beer you’re after, a burger, or a late-night bite, quality and extent of choice won’t disappoint you. The list of spirit is also a lengthy one. Good service complements this new concept of gourmand pub.

ristorantirestaurants A BECCAFICO

Campo S. Stefano 2801 T. 041-5274879 - www.abeccafico.com

L’orgoglio della Sicilia nelle sue infinite varietà di sapori, un ristorante di buon livello che sa offrire, oltre ai piatti più conosciuti di pesce e di carne, alcune chicche come il prosciutto di maiale dei Monti Nebrodi e il sale di Mozia./Sicily’s pride in its infinite nuances of flavours, an upmarket restaurant offering, beyond famous fish and meat plates, rarities as Monti Nebrodi ham and Mozia sea salt. ACQUA PAZZA

San Marco 3808, Campo S. Angelo T. 041-2770688 - www.veniceacquapazza.com

L’ambasciata della repubblica marinara di Amalfi nel cuore di Venezia, con le sue eccellenze gastronomiche che evocano luoghi magnifici e sapori indimenticabili. Dalla bruschetta di benvenuto in poi è un crescendo di leccornie. Benvenuti al Sud!/ The Embassy of Amalfi Maritime Republic in Venice presents its gastronomical excellence that stirs up fantastic places and unforgettable tastes. From welcome bruschetta onwards, a crescendo of delicacies. AGLI ALBORETTI

Dorsoduro 882, Accademia -T. 041-5230058 chiuso mer e gio (pranzo)/closed on Wed and Thu (lunch-time) - www.aglialboretti.com

Il ristorante offre una vasta scelta di piatti della tradizione veneziana, con l’aggiunta di un servizio eccellente e di una cantina assai ben fornita. Appartiene di buon grado all’Associazione Ristoranti della Buona Accoglienza ed è un locale da provare./ Between Accademia and Zattere, Agli Alboretti offers the best typical Venetian dishes and an excellent wine list. AI DO FARAI

Dorsoduro 3278 - T. 041-2770369

Un ambiente rustico e molto accogliente, dall’atmosfera familiare, con un plateatico esterno nella bella stagione nel Campiello dei Squeini. La cucina è tipica della tradizione lagunare e propone piatti di pesce, che, per gli amanti del crudo, viene sfilettato direttamente al tavolo./ This restaurant, with its rustic interior and warm, welcoming atmosphere, has an external paved area in Campiello dei Squeini, where you can dine in fair weather. The cuisine here is typical Lagoon fare. There are many fish dishes; for those who “like it raw”, it can be filetted directly at your table. AI GONDOLIERI

Dorsoduro 366, Ponte del Formager T. 041-5286396 h. 12.00_15.00/19.00_22.00 aperto tutti i giorni/open everyday www.aigondolieri.com

In città, se cercate della carne e selvaggina memorabili, questo è l’indirizzo giusto! Eccellente la carta dei vini./ One of the most elegant restaurants in the area if you are looking for meat and game dishes. Excellent wine list.

AL COVO

Castello 3968, Campiello della Pescaria T. 041-5223812 h. 2.45_14.15/19.30_22.00 chiuso mer e gio/closed on Wed and Thu www.ristorantealcovo.com

Cesare Benelli, chef e proprietario, e la moglie americana Diane propongono ottimi piatti quasi sempre a base di pesce. Eccellente la carta dei vini. Aria condizionata, tavoli esterni, renotazione/ Chef Cesare Benelli and his wife Diane offer excellent fish dishes. Excellent wine list. AL GATTO NERO

Fond. Giudecca-Burano - T. 041-730120 h. 12.00_15.00/19.00_21.00 chiuso lun/ closed on Mon - www.gattonero.com

L’emozione del miglior pesce di Laguna e non solo, ottimamente preparato, immersi tra i colori dell’isola dei merletti. Eccellente la carta dei vini./ In colourful island of Burano try the best fish of the lagoon, wisely cooked. Excellent wine list. AL GIARDINETTO DA SEVERINO

Ruga Giuffa, Castello 4928 - T. 041-5285332 h. 12.00_15.00/19.00_22.00 chiuso gio/ closed on Thu - www.giardinetto.it

Nel quattrocentesco Palazzo Zorzi, tra gli altri piatti ricordiamo delle squisite sarde in saor e bigoli in salsa. Ottimi i vini di tradizione friulana./ Situated inside the 15th century building of Palazzo Zorzi, the restaurant offers the typical Venetian cuisine: sarde in saor, and Bigoli in salsa. Excellent wines from Friuli. ALLA MADONNA

San Polo 594, calle della Madonna T. 041-5223824 h. 12.00_15.00/19.00_22.30 chiuso mer/closed on Wed www.ristoranteallamadonna.com

Ai piedi del Ponte di Rialto, affollatissimo locale frequentato da veneziani e da turisti. Menu principale: pesce./ Near Rialto bridge, popular with Venetians and tourists; Main menu: fish. ALLE CORONE

Castello, Campo della Fava 5527 T. 041-5232222 - www.hotelaireali.com

ANTICA BESSETTA

S. Croce 1395, Salizada de Ca’ Zusto T. 041-721687 - h. 12.00_14.30/19.00_22.30 chiuso mar e mer a pranzo/closed on Tue and Wed (lunch-time) www.anticabessetta.it

Un nome che nasconde storie e leggende della Serenissima per un delizioso locale dall’eccellente cucina e dalla cantina ben fornita./ A well-known restaurant for its fish dishes & its wine-list. The name echoes stories and legends of the Serenissima Republic.

Il piacere di un silenzio quasi irreale sotto un bellissimo pergolato dove gustare la gioia di una cucina di tradizione. Se si gira per le belle e silenziose fondamenta di S. Trovaso, vicino alle Zattere, e ci si vuole fermare a mangiare all’aperto, il giardino di Montin può essere la soluzione./ If you are strolling around near the Zattere that’s the ideal place, have a break in the garden of the restaurant.

Il ristorante accoglie i suoi ospiti per una cena romantica o un pranzo sul Canal Grande declinati al massimo livello. Un ambiente accogliente e un’autentica cucina di classe rendono ogni esperienza culinaria indimenticabile./ The restaurant will welcome patrons looking forward to a romantic dinner or to a lunch by the Grand Canal – an experience like no other. Warm ambiance and authentic, classic cuisine will make for a lasting, beautiful memory.

ANTICHE CARAMPANE

S. Polo, Rio Terà Carampane 1911 T. 041-5240165 - h. 2.30_14.30/19.30_22.00 Chiuso dom e lun/closed on Sun and Mon www.antichecarampane.com

In un angolo nascosto e pieno di fascino, il locale offre tutto il pesce dell’Adriatico e un ottimo fritto misto./ A charming place away from the main tourist ways offering any kind of local fish and excellent mixed fry fish. ANTICO PIGNOLO SAN MARCO

C.lle Specchieri 451 - T. 041-5228123 h. 12.00_14.30/19.00_22.30 aperto tutti i giorni/open everyday www.anticopignolo.com

La migliore e più ricca cantina di tutta Venezia, unita ad una cucina di tradizione, sempre di livello per uno dei ristoranti più conosciuti. Servizio di catering e banchetti./ The best wine list in the whole city of Venice, together with a traditional excellent cuisine. Catering service.

ALLE TESTIERE

AVOGARIA

AMO

San Marco, 5556 (10-22) Aperto tutti i giorni/open everyday h. 12-15 e 19-22 T. 041-2412823 - www.alajmo.it/amo

Un nuovo imperdibile ristorante al T Fondaco ideato dai Fratelli Alajmo e da Philippe Starck. Un bistrot perfetto per un aperitivo, uno spuntino, un lunch o una cena più formale, sempre con la garanzia di eccellenza di casa Alajmo. Un indirizzo nel cuore di Venezia, luminoso e accogliente di giorno, più segreto e misterioso di notte, intimo e rilassato./ T Fondaco houses a new staple of fine dining. An idea by the Alajmo brothers and Philippe Starck, a bistrot for a drink, a snack, or a more formal appointment in the very heart of Venice. Light-filled and airy in the morning, secret and mysterious at night. ANICE STELLATO

Cannaregio 3272 - T. 041-720744 h. 12.30_14/19.30_22.00 - chiuso lun e mar/closed on Mon and Tue

Nei pressi di S. Alvise, la miglior espressione della cucina veneziana, tra cui spiccano gli antipasti e uno squisito risotto al nero./ Close to S. Alvise, the best expression of Venetian food. Try the excellent starters and the delicious risotto with cuttlefish ink.

In questa piccola corte tra San Marco e l’Arsenale, il pesce offerto è eccellente. Da non perdere la selezione di antipasti. Indispensabile prenotare./ Between Saint Mark’s and the Arsenal the fish is excellent. Booking essential. CLUB DEL DOGE

Dorsoduro 1147, F.ta delle Eremite T. 041-5227151 h. 12.30_14.30/17.30_22.00 chiuso mer/closed on Wed www.locandamontin.com

Affidato alla guida dell’executive chef Ivan Catenacci, il Ristorante del Molino Stucky Hilton ha suscitato da subito consensi unanimi di critica e pubblico. Cucina veneziana d’eccellenza e servizio impeccabile con bellissima vista sul canale della Giudecca./ Simply divine dining with Aromi Restaurant, thanks to Ivan Catenacci. A unique setting and excellent typical Venetian cuisine.

Pochi tavoli, per un tempio dell’ottimo pesce. Indispensabile prenotare/ Excellent choice if you are looking for a fish dinner. It’s necessary to reserve a table.

Castello 3886, Calle del Pestrin T. 041-5227024 - h. 2.30_14.30/19.15_22.00 chiuso dom, lun, in gen e da metà lug a metà ago/closed on Sun, Mon, in Jan, and from mid-July to mid-Aug

ANTICA LOCANDA MONTIN

Il ristorante del nuovissimo Hotel Ai Reali in un palazzo sapientemente restaurato. Ambiente elegante, con forte personalità, offre un interessante menù che parte dal territorio e dalla stagionalità per declinare al meglio i sapori autentici della tradizione veneziana e italiana, attualizzandoli./ The restaurant of the new Hotel Ai Reali is located in a beautifully restored building. Elegant, with a strong personality, it offers an interesting seasonal menu with local ingredients for the best authentic flavors of traditional Venetian and Italian cuisine. Castello 5801, Calle Mondo Novo T. 041-5227220 h. 12.00_14.30/19.00_22.30 chiuso dom e lun/closed on Sun and Mon www.osterialletestiere.it

CORTE SCONTA

AROMI RESTAURANT

Molino Stucky Hilton, Giudeccca 810 T. 041-2723311 aperto tutti i giorni/open everyday - www.molinostuckyhilton.com

Dorsoduro 1629, Calle dell’Avogaria T. 041-2960491 - h. 2.30_15.00/19.30_24.00 chiuso mar/closed on Tue www.avogaria.com

In un locale dall’accattivante design metropolitano, il ricco menu offre i piatti della cucina pugliese dai sapori semplici e genuini./ The menu offers the simple yet genuine tasting cuisine from Puglia. CAFFÈ FLORIAN

Piazza San Marco 56 - T. 041-5205641 h. 10.00_24.00 (nov-apr/Nov-Apr) www.caffeflorian.com

Nato nel 1720 con il nome “Venezia Trionfante”, è il caffè per eccellenza, dove gustare un lunch in un cotè indimenticabile./ Founded by Floriano Francesconi in 1720 as ‘Venezia Trionfante’, it is the caffé par excellence, where you will have an unforgettable lunch. CASA CAPPELLARI

San Polo 806, Calle della Donzella Campiello del Figher T. 334-6252374 chiuso lun/closed on Mon www.casacappellariristorante.it

Una cucina interamente a vista per dare al cliente la trasparenza del prodotto e del piatto. Pane e pasta fatti in casa, pesce freschissimo, verdure di stagione a km0 e carni di grande qualità in un locale ampio che si sviluppa su due piani perfettamente restaurati./ A full openview kitchen to guarantee transparency in food-making and service. Home-made bread and pasta, fresh seafood, zeromile season’s produce, and high-quality meat in a large locale on two floors in a recently renovated mansion.

The Gritti Palace, campo Santa Maria del Giglio, 2467 - T. 041-794611 h. 19_22.30 - www.clubdeldoge.com

DA FIORE

San Polo 2202, Calle del Scaleter T. 041-721308 h. 12.30_14.30/19.30_22.00 Chiuso dom e lun/closed on Sun and Mon www.dafiore.net

Siamo all’eccellenza in cucina. Da provare! Prenotazione indispensabile./ A real gastronomic temple. Don’t miss it. DA IGNAZIO

Calle Saoneri 2749 - T. 041-5234852 h. 8.30_24.00 chiuso sab, dal 20 lug al 15 ago e dal 24 dic al 6 gen/closed on Sat, from July 20 to Aug 15, and from Dec 24 to Jan 6 www.trattoriadaignazio.com

Locanda tipica veneziana con giardino: buona cucina tradizionale, non solo pesce, ma anche ottima carne./ Typical Venetian restaurant with garden. DA IVO

San Marco 1809 - T. 041-5285004/5205889 h. 12.00_14.30/19.00_22.30 chiuso dom/ closed on Sun - www.ristorantedaivo.com

Una chicca di Venezia; un piccolo, delizioso ristorante dove gustare le piacevoli contaminazioni toscane nella cucina veneziana./ A rarity in Venice, a small restaurant where you can taste Venetian and Tuscany specialities. DA NANE

S. Pietro in Volta T. 041-5279100 pranzo/lunch h. 12.00, cena/dinner h. 19.00 chiuso lun/closed on Mon

Pesce freschissimo portato ogni giorno direttamente da Chioggia, per una cucina tradizionale di alto livello./ The fish can’t be fresher, delivered everyday from Chioggia. Traditional excellent dishes. DA REMIGIO

Castello 3416, salizada dei Greci T. 041-5230089 - h. 2.30_14.30/19.30_22.00 chiuso lun sera e mar/closed on Mon evening and Tue

Seppie, canocie e ogni altro tipo di pesce, mollusco o crostaceo in una trattoria dall’aspetto autenticamente familiare. È indispensabile prenotare./ Try cuttlefish, and all other kinds of fish & seafood in this friendly and popular trattoria.You have to book in advance. DO FORNI

S. Marco 468, Calle Specchieri T. 041-5232148 - h. 2.00_15.00/19.00_23.00 aperto tutti i giorni/open everyday www.doforni.it

Dietro Piazza San Marco, lo storico ristorante universalmente conosciuto dove poter gustare la tradizionale cucina veneziana./ You can taste traditional Venetian dishes in an elegant atmosphere. THE GRITTI EPICUREAN SCHOOL The Gritti Palace, campo Santa Maria del Giglio, 2467 - T. 041-794611 lun-ven/Mon-Fri h. 9.30_20.30 www.thegrittiepicureanschool.com

La scuola di cucina del Gritti, aperta nel 1975,si presenta in versione rinnovata come un’accogliente cucina dal sapore antico, ma super tecnologica, dove gli ospiti possono toccare con mano la tradizione culinaria di Venezia e imparare i segreti per risotti, paste e dolci perfetti./ The culinary school, a legacy since 1975, is now a refined version of its iconic self. A warm, country-style kitchen where guests may immerse in Venetian culinary traditions and learn the secrets to pre-

paring perfect risottos, pasta dishes and delectable desserts. HARRY’S BAR

San Marco 1323, Calle Vallaresso T. 041-5285777 - h. 10.30_23.00 aperto tutti i giorni/open everyday www.harrysbarvenezia.com

Si entra nel mito, cucina eccellente, cocktail strepitosi. Vero luogo di culto, universale! Prenotazione essenziale./ A must, a myth. Try the famous culinary creations of the Cipriani family and the famous coctkail Bellini. Booking essential. HOSTARIA DA FRANZ

Castello Salizada San Antonin 3499 T. 041-5220861 - chiuso mar./closed on Tue www.hostariadafranz.com

Tutto il menù a base di pesce, preparato nel migliore dei modi, in uno dei locali più noti della città, dove ogni dettaglio è curato per far stare al meglio gli ospiti. Eccellente anche la cantina, ricercata e mai banale./ An all-fish menu, served in the best possible way, in one of the most famous restaurants in town. All details are for guests to enjoy the most out of their dinner. Wine list: excellent, exquisite, never banal. LA BOTTEGA AI PROMESSI SPOSI Cannaregio 4367, Calle dell’Oca T. 041-2412747

Storica osteria veneziana, recentemente restaurata, con cucina semplice e genuina a base di carne e pesce. Da provare i diversi tipi di pasta, tutti rigorosamente home made. Piacevole l’atmosfera conviviale./ A landmark Venetian pub, recently renovated, simple and genuine cooking, meat or fish at your choice. Also try different kinds of home-made pasta in this lovely and cozy joint. LAGUNA LIBRE

Fondamenta Cannaregio 969 T. 041-2440031 h. 17_24 chiuso lun/closed on Sat - www.lagunalibre.it

Nella fondamenta di Cannaregio in un palazzo che ospitò l’ambasciata di Francia di cui Rousseau fu primo segretario, un concetto evoluto di ingredienti a km0. Uno spazio polifunzionale pensato per la città, dove arte, musica dal vivo con un palcoscenico ragguardevole, e cucina si fondono nel modo migliore./ By the Cannaregio Quay, in a palace that used to house the French Embassy to the Republic of Venice, an evolved zero-mile concept for a multi-functional space tailored to the needs of the city where art, live music, and cuisine show their best. LE BISTROT DE VENISE

San Marco 4685, Calle dei Fabbri T. 041-5236651 - h. 12.00_1.00 aperto tutti i giorni/open everyday www.bistrotdevenise.com

Ristorante-bar attento alla tradizione della cucina antica e punto d’incontro artistico con un ricco programma di poesia e letteratura, pittura e musica acustica dal vivo./ An offer of dishes from the ancient Venetian tradition, well-studied recipes of ancient typical Venetian cuisine. LINEA D’OMBRA

Dorsoduro 19 - T. 041-2411881 h. 12.00_15.00/19.00_23.00 (bar h. 8.00_1.00) chiuso mer/closed on Wed

Alle Zattere, una terrazza fantastica per un ottimo cibo da condire con le emozioni di un luogo ‘emozionale’. Eccellente e vastissima la carta dei vini./ At Zattere, the restaurant blends traditional Venetian cooking with modern gastronomic innovation. Excellent price and fresh fish in a welcoming atmosphere. LOCAL

Salizzada dei Greci, 3303 T. 041-2411128

Aperto nel 2015, un nuovo concetto di ristorazione fresco e moderno. I fratelli Benedetta e Luca Fullin offrono esperienze gustative più informali a pranzo e più strutturate per cena. In ogni caso la qualità delle proposte è sempre eccellente, così come la cantina./ Opened in 2015, the Local is fresh and modern. Brothers Benedetta and Luca Fullin offer a relaxed atmosphere at lunch and a more structured food experience at dinner. Whatever your choice, the quality and the wine list are excellent.


:venews Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 242 - Anno XXIV Venezia, 1 Marzo 2020

:menu

Con il Patrocinio del Comune di Venezia Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996 Direzione editoriale Massimo Bran

:ristorantirestaurants

LOCANDA CIPRIANI

Torcello, Piazza Santa Fosca 29 Motonave Laguna Nord per Torcello T. 041-730150 - h. 12.00_15.00/19.00_22.00 chiuso mar/closed on Tue www.locandacipriani.com

Un luogo fantastico, una veranda spettacolare, non bastano le iperboli per parlare di un locale da provare almeno per una volta nella vita!/ You will feel as if you can see Hemingway smoking his cigar, under the veranda... LUNA SENTADA

Castello Campo San Severo 5018 T. 041-3097891 - www.lunasentada.it

Un autentico viaggio gastronomico che parte da Venezia e tocca, come nei leggendari viaggi di Marco Polo, tante tradizioni culinarie differenti con uno sguardo ad Oriente, ma con la tipicità veneziana nel DNA./ An authentic culinary journey that starts in Venice and reaches, as in the legendary travels of Marco Polo, many different traditions and an outlook on the East, Venice still residing in their DNA. MURO FRARI

San Polo 2604/B - T. 041-5245310 aperto tutti i giorni/open everyday - www.murovinoecucina.it

Locale piacevole anche dal punto di vista estetico, con un vasto plateatico assai vicino alla Basilica dei Frari. Carni eccellenti, pesce secondo le disponibilità del mercato e ottime pizze. Particolarmente apprezzato anche dai veneziani./ An aesthetically pleasing club, reaching out on a vast yard close to Frari Basilica. Excellent meat, fresh fish from local market, and good pizzas. Appreciated especially by locals. ORO RESTAURANT AT BELMOND HOTEL CIPRIANI

Giudecca 10 - T. 041-5207744 - chiuso nov-mar/ closed Nov-Mar - www.hotelcipriani.it

L’esclusivo ristorante dell’Hotel Cipriani affacciato sulla laguna veneziana è un’indimenticabile esperienza gastronomica, elegante e... trés chic./ The refined restaurant of Hotel Cipriani, facing the lagoon, will an unforgettable gastronomic experience. OSTARIA BOCCADORO

Cannaregio 5405/a, Campo Widmann T. 041-5211021 chiuso lun/closed on Mon www.boccadorovenezia.it

Un locale piccolo ed accogliente con dei tavoli all’esterno. Il pesce reso ai livelli più alti, sempre freschissimo e cucinato nel migliore dei modi. Ogni proposta del menù è degna di nota e merita un assaggio. Servizio discreto ed efficiente con un’interessante carta dei vini./ A small, cozy room with tables outside. The fish at the highest levels, always fresh and cooked in the best way. Efficient service with an interesting wine list. OSTERIA DEL CASON

San Polo 2925, Calle del Cristo T. 041-2440060 - www.osteriadelcason.it

Fratello minore di uno dei ristoranti icona per la cucina di pesce, famoso da generazioni in tutto il territorio e oltre: il Cason di via Gatta. Il locale veneziano si presenta accattivante nel look e molto appetitoso nelle proposte, con un assortimento della migliore tradizione gastronomica veneziana, offerta secondo la disponibilità quotidiana del mercato./ This is the “younger brother” of one of Venice’s finest seafood restaurants. For generations, it has been famous throughout the city and beyond: Osteria del Cason, via Gatta. The Venetian spot which has a most appealing look and proposes exquisite meals. Here you will find a wide variety of the best traditional Venetian gastronomical specialties, offered according to daily market availability. OSTERIA AL PONTE DEL DIAVOLO Torcello, Fondamenta Borgognoni h. 10.00_11.00 - T. 041-730250 www.osteriapontedeldiavolo.com

Una vecchia casa di pescatori trasformata in un’osteria-ristorante di livello assoluto, in cui il mix tra tradizione e internazionalità è risolto al top. Il giardino, semplicemente l’ottava meraviglia del mondo/ An old fisherman’s house became a top-level tavern-restaurant. The garden, just the eighth wonder of the world.

OSTERIA DI SANTA MARINA

RISTORANTE LA CARAVELLA

Un bel locale con una cucina rispettosa della tradizione e con un tocco sapiente di fantasia. Interessanti le proposte dei vini./ At Osteria di Santa Marina customers can taste an imaginative but traditional cuisine. Interesting wine proposals.

Per conoscere o riscoprire il grande spessore della cucina lagunare con la lunga tradizione culinaria veneziana./ The menu of our restaurant in Venice reflects the long culinary tradition of the lagoon city.

Castello, Campo Santa Marina 5911 T. 041-5285239 h. 12.30_14.30/19.30_21.30 chiuso dom e lun a pranzo/closed Sun and Mon (lunch-time) - www.osteriadisantamarina.it

PENSIONE WILDNER

Castello 4161 T. 041-5227463 www.hotelwildner.com

In riva degli Schiavoni un indirizzo da segnare per gustare l’autentica cucina veneziana declinata nel migliore dei modi. Ingredienti freschissimi con la garanzia del presidio Slow Food, rendono merito al palato. Notevole vista sul bacino di San Marco./ Authentic Venetian cuisine has its address at Pensione Wildner’s. The freshest produce, Slow Food presidium, and what a sight! PG PALAZZINA GRASSI

San Marco 3247 - T. 041-5284644 aperto tutti i giorni/open everyday - www.palazzinag.com

Una cucina tradizionale a vista, in versione light, aperta fino a tarda ora in un ambiente estremamente cool&chic, firmato Philippe Starck, dove sentirsi ospiti di un luogo veneziano, ma molto contemporaneo./ A real Venetian restaurant, with tradtional cuisine and a great ‘contemporary’ atmosphere. Guaranteed by Philippe Starck. POSTE VECIE

Rialto, Pescheria 1608 - T. 041-721822 h. 12.00_15.00/19.00_22.00 chiuso mar/closed on Tue - www.locandapostevecie.com

Nel cuore del mercato del pesce di Rialto, un ponticello di legno porta al locale, in vita dal XVI sec. Il meglio del mare ed un ottimo fegato alla veneziana./ In the heart of Rialto fish market, cross the bridge that leads you into this restaurant that housed a tavern as far back as the 16th century. An excellent liver cooked according to the typical Venetian tradition. QUADRI

San Marco 120, Piazza San Marco T. 041-5222105 chiuso lun/closed on Mon www.alajmo.it

Nell’unica piazza di Venezia un ristorante curato dalla famiglia Alajmo, una certezza assoluta nella ristorazione di altissimo lignaggio. Atmosfera curata, raffinata, senza eccessi per una cucina che è semplice contiguità al sublime. Il friulano Silvio Giavedoni ai fornelli, supervisione e regia dei fratelli stellati delle Calandre. Assolutamente da regalarsi!/ In the one Venice piazza lies Alajmo family’s restaurant. A certainty among the highest-level restaurants. A polished and refined, though sober, atmosphere meet an extraordinary cuisine. RISTORANTE CANOVA

Luna Hotel Baglioni, San Marco 1243 T. 041-5289840 - h. 2.30_14.30/19.30_22.30 www.baglionihotels.com

Il Ristorante Canova, vincitore dei premi “Fogher d’Oro” e “Gambero Rosso”, è uno dei più rinomati ristoranti della città, conosciuto per la sua squisita cucina veneziana e per la sua atmosfera romantica./ Canova Restaurant is one of the most famous restaurants in Venice. RISTORANTE CLUB DEL DOGE

The Gritti Palace, Campo Santa Maria del Giglio 2467 - T. 041-794611 - 12.30_15/19.30_23 Aperto tutti i giorni/open every day www.clubdeldoge.com

Il Ristorante Club del Doge accoglie i suoi ospiti per una cena romantica o un pranzo sul Canal Grande, dove un’autentica cucina di classe rende ogni esperienza culinaria indimenticabile./ Whether it is a romantic dinner for two or a gathering of the world most refined guests, Club del Doge Restaurant’s stunning location on the Grand Canal makes it the ultimate place to meet in Venice. RISTORANTE DE PISIS

Hotel Bauer, San Marco 1413/d T. 041-5207022 h. 12.00_16.00/19.00_22.30 aperto tutti i giorni/open everyday www.bauervenezia.com

Un ristorante ‘stellato’ in grado di coniugare il felice consenso dei critici e di un pubblico esigente. Atmosfera intima ed elegante con splendida vista sul Canal Grande./ Gourmet Restaurant De Pisis, recently rated as the best in Venice.

Via XXII Marzo 2399 T. 041-5208901 chiuso lun/closed on Mon www.restaurantlacaravella.com

RISTORANTE LA RIVISTA

Dorsoduro 879/A - T. 041-2401425 chiuso lun/closed on Mon www.restaurantlarivista.com

Il wine&cheese bar La Rivista offre un’eccellente selezione di affettati italiani al tagliere, accompagnato da ottimi formaggi. La selezione di vini spazia anch’essa in tutta Italia con prevalenza ad una selezione locale e quindi veneta./ The wine&cheese bar La Rivista offers Italian meat cuts and cheese boards. RISTORANTE TERRAZZA DANIELI

Hotel Danieli, Riva Schiavoni 4196 T. 041-5226480 - www.terrazzadanieli.com/it h. 12_15.30/19_22.30 aperto tutti i giorni/open everyday

Il ristorante Terrazza Danieli offre una magnifica vista sulla Laguna. Il ristorante propone deliziosi piatti regionali, specialità locali venete e cucina mediterranea./ The restaurant proposes savoury regional dishes, local Venetian specialties and Mediteranean cuisine. RIVIERA

Dorsoduro 1473, Zattere T. 041-5227621 - h. 2.30_14.30/19.30_22.00 chiuso lun/closed on Mon

Alle Zattere verso S. Basilio si può pranzare in maniera eccellente baciati dal sole o cenare a lume di candela godendo di un suggestivo panorama. Ottimi piatti di pesce e verdure di stagione./ At the San Basilio end of the Zattere you can have lunch in the sun or dinner by candlelight, enjoying the beautiful view of the Giudecca canal. SAN GIORGIO CAFÉ con FILIPPO LA MANTIA

Isola di San Giorgio Maggiore T. 041-2683332 lun/Mon – dom/Sun h. 10.00_19.00; sab/Sat – dom/Sun h. 10.00_22.00 chiuso mer/closed on Wed www.sangiorgio.cafe

Il celebre cuoco siciliano firma un locale che è un intreccio di passione per la cucina, amore per la cultura e piacere dell’ospitalità. Uno spazio accogliente e suggestivo con un dehors affacciato sul bacino di San Marco./ The famous Sicilian chef put his signature on a restaurant that is a mix of passion for food, love for culture, and pleasure in hospitality. A welcoming, charming space featuring a dehors on the San Marco Basin. VINI DA GIGIO

Cannaregio 3628/a, Fond.ta San Felice T. 041-5285140 - h. 2.00_14.30/19.00_22.30 chiuso lun e mar/closed on Mon and Tue www.vinidagigio.com

Cucina ad alti livelli per un menù di tradizione a base di pesce, ma anche piatti tipici a base di selvaggina e di carne. Ricchissima la carta dei vini./ The specialities of the restaurant are typical Venetian fish dishes, but it’s also possible to eat meat and game. Very rich wine list. VENISSA RISTORANTE OSTELLO F.ta Santa Caterina-Isola di Mazzorbo T. 041-5272281 - www.venissa.it

Da un’idea di Gianluca Bisol e della sua famiglia di storici vignaioli di Valdobbiadene è nata un’oasi gastronomica nel cuore della Laguna Nord, che applica l’autentico km zero nella creazione dei suoi menù. Quando l’iper-local diventa cool!/ An idea of Gianluca Bisol, a gastronomical oasis in the heart of the Northern Venetian Lagoon, with menus based on a rigorous local-produce approach. Hyper-local becomes cool!

Direzione organizzativa Paola Marchetti Relazioni esterne e coordinamento editoriale Mariachiara Marzari Redazione Chiara Sciascia, Davide Carbone Speciali Fabio Marzari Grafica Luca Zanatta Distribuzione Michele Negrisolo Hanno collaborato a questo numero Raffele Avella, Maria Laura Bidorini, Sara Bossi, Matilde G. Calà, Loris Casadei, Fabio Di Spirito, Pierangelo Federici, Claudia Frasson, Renato Jona, Andrea Oddone Martin, Daniela Paties Montagner, Marisa Santin, Livia Sartori di Borgoricco, Riccardo Triolo, Delphine Trouillard, Andrea Zennaro, Massimo Zuin Si ringraziano Emanuela Bassetti, Daniela Zyman, Ornela Vorpsi, Francesca Funger, Elena Casadoro, Cristiana Rivolta, Stefano Stipitivich, Mattia Berto, Francesca Giubilei, Valentina Secco Traduzioni Andrea Falco

:venews lo trovi qui: Bookshop di Palazzo Grassi e Punta della Dogana; Qshop (c/o Querini Stampalia, Santa Maria Formosa); Alef (c/o Museo Ebraico, zona Ghetto); Marco Polo International (Calle Teatro Malibran); Mare di Carta (Fondamenta dei Tolentini); Studium (zona S. Marco); Toletta, Toletta Cube e Toletta Studio (zona Campo San Barnaba)

Direttore responsabile Massimo Bran Guida spirituale “Il più grande”, Muhammad Alì Recapito redazionale Cannaregio 563/E - 30121Venezia tel. +39 041-2410133 fax +39 041-2417357 redazione@venezianews.it www.venezianews.it venezianews.magazine venews_magazine Stampa Tipografia Valentini di Valentini Silvano Via D. Gallani 17 Cadoneghe (Pd) Partner tecnologico sito internet e-terna - Soluzioni internet e marketing www.e-terna.net La redazione non è responsabile di eventuali variazioni delle programmazioni annunciate

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