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R E GALA L ’ A R T E
R eg a la o r eg a l at i la m e m b e r s h i p c a r d d e l la C o l le z i o n e P e g g y G ug g en h e i m . F i n o a N a t a l e p e r t e u n a r i d u z i o n e s p e c i a l e d e l 2 0 %
R e g a l a n d o l ’ a r t e , s o s t i e n i l ’ a r t e !
C o n di v i d i c o n n oi la p as s i o n e p e r l ’ a r t e : → I n g r es s o g r a t u i t o a l la C o l le z i o n e P e g g y G u g g en h e i m e a l t ri m u s e i d ’ a r t e i n It a l i a → I n a u g u r a z i o n i e d e v e n t i r i s e r v a t i → V i s i t e g u i d a t e a m u s e o c h i u s o → A t t i v ità p e r l e f a m i g l i e m e m b e r sh i p @ g ugg e n h eim - v e n i c e .i t
ww w . g ugg e n h eim - v e n i c e .i t
december2022-january2023
CONTENTS
editoriale (p. 6) Un latte rigenerante incontri (p. 8) Anthony Delon, Dolce e crudele. La mia famiglia, la mia storia | Emma Ursich, The Human Safety Net tracce (p. 20) Nel bianco, reportage di Nico Zaramella christmasdiary (p. 29) Agenda | Intervista a Noa | Concerto di Natale e Capodanno | Coppelia | Gl’innamorati | Scarpette Rotte | Alex Britti | Claudio Baglioni | Elisa | Intervista a Matteo Concolato, Pasticceria Giotto | Christmas Screenings | Shopping&More | New Year Story | Christmas Book | Christmas Trekking arte (p. 64) Intervista a Didier Guillon, Fondation Valmont | Biennale – from Art to Architecture | Marlene Dumas | Lee Miller – Man Ray | Anselm Kiefer | Jacopo e Giovanni Bellini | Venini: Luce 1921–1985 | Kandinsky e le Avanguardie | Venice International Performance Art Week | Scatti sospesi | Graziano Arici | Monika Bulaj | Lo Schiller Building di Adler e Sullivan | Aqua e fogo/L’eau et le feu | lfabeti tra il magnetismo di Nicola Grassi e i graffiti di Stefano Jus | Galleries | Canova e Venezia | Io, Canova | I Bassano | Image Capital | Paris Bordon | Margherita di Savoia Regina d’Italia | I creatori dell’Egitto eterno | Bosch e un altro Rinascimento | Recycling Beauty | Arthur Jafa musica (p. 92) Intervista a Manuel Agnelli | Larry Grenadier & Rebecca Martin | Nduduzo Makhathini | Bryan Adams | Candiani Groove | Obradovic-Tixier Duo | Giovanni Dell’Olivo | Simply Red | Jack Savoretti | Rasta Snob classical (p. 102) Stagione Sinfonica Teatro La Fenice | Ex Novo Musica | Auditorium Lo Squero | Teatro Toniolo | Satyricon | Musikàmera theatro (p. 108) Intervista a Irina Brook, House of Us | Mio Padre | Il compleanno | Valzer di parole | Ezra in gabbia | Quasi amici | La signora del martedì | La dame aux camélias | L’amaca di domani | Comici cinema (p. 118) Carta Bianca | Intervista a Marco Franzoso | Sala o salotto? | Luso - Nuovo cinema portoghese a Venezia | Shiva Baby | La guerra in casa | Gotham Awards 2022 | Le vele scarlatte | Supervisioni etcc... (p. 128) Intervista a Carlo Giupponi, Venezia e i cambiamenti climatici | Intervista ad Andrea Molesini | M9Bookshop | Intervista a Delphine Trouillard | Sarmede | Parole: Ricorda menu (p. 140) Intervista a Elvira Maria Bortolomiol | Mandorlato | La Barrique | Alajmo Cortina | Associazione Piazza San Marco
ANTHONY DELON
Biopics are all the rage now, but whatever fashion dictates and whichever stories end up being the most interesting, what really hits home is the sincerity that writers, themselves the protagonists of the story, adopt when they tell us about their lives. In Entre chien et loup, Anthony Delon wrote of his family and his story. i ncontri p. 8
EMMA URSICH
The Human Safety Net is a global initiative of people helping people, active in 24 countries together with 62+ NGOs. Their mission is to free the potential of those who live in vulnerable conditions. Emma Ursich spoke to us about Generali’s latest challenges. i ncontri p. 14
CHRISTMAS IN VENICE
St. Mark’s Basilica and Fenice Theatre are the places of traditional, unmissable concerts: Noa, Marco Gemmani, and Daniel Harding will make Christmas music come to life, with amazing fireworks adding to a very special season. christmas diary p. 32
It’s no mystery, for those who know me, that my realm is a realm of ice. It is a world I will never abandon until we will all be abandoned. In this white, crystal-like world, an incredible, silent army of white beings live. They are perfectly adapted to the most inhospitable place on the planet. Their colour makes them blend effortlessly into the background, and only a few marks in china ink adorn their features. They have thick fur, and can live down to minus 70 degrees.
In the deepest south, the world of penguins – the birds that cannot fly. In the far north, a multitude of odd characters seemingly out of a Tolkien novel or a Chris Weitz film. Soft figures of white, sometimes furtive, sometimes imposing. For a long time, I felt like a curious intruder, but today, several years later, I feel drawn closer and closer to them...
Nico Zaramella tra c ce p. 20DIDIER GUILLON
Didier Guillon, former president of the Valmont Group, artist, and founder of the Valmont Foundation and Residences, shows us his personal vision of art. Exhibitions are temporary – like the art itself, dreams that use the present to see the future.
arte p. 65
6 5
IRINA BROOK
At Casa dei Tre Oci, Irina Brook opens the doors of House of Us and welcomes us into her personal world, an intimate diary made of lights, sounds, and objects. Her house is a metaphor dedicated to the figure of her mother. t heatro p. 109
ELVIRA MARIA BORTOLOMIOL
With the ideas of her visionary father, Elvira Maria Bortolomiol looks at the present and the future of a territory that has much to offer, for a Prosecco that is one of the Venetia’s ambassadors to the world.
menu p. 140
UN LATTE RIGENERANTE
di Massimo BranDella serie quando i numeri parlano chiaro. 800.000 visitatori in sette mesi per una grande mostra di arte contemporanea! Non stiamo parlando di mostre mainstream alla Impressionisti un anno sì e l’altro pure, con carovane di visitatori attratti dal consolidato appeal di movimenti codificati dalla storia. No. Qui si parla di arte di difficile lettura perché pensata, progettata, realizzata qui e ora, senza alcuna probabilità di bucare il grande pubblico se non suscitando emozione, curiosità, urgenza di esserci laddove si ha la sensazione di poter in qualche modo intellegere il tempo in divenire, quello che ci è dato di vivere. Impresa di rara difficoltà, diciamocelo. Certo, qui gioca il ruolo di un’istituzione iper-canonizzata dalla storia, un’entità unica al mondo nell’intrecciare pressoché tutti i linguaggi espressivi della contemporaneità ciascuno dei quali oggetto di settori distinti, di festival propri, ma all’interno di un unico, caleidoscopico edificio. Un’istituzione culturale, insomma, che per prima ha scommesso oltre cent’anni fa sull’urgenza vitale di restituire il presente, la creatività viva del tempo, in un contenitore costruito in campo largo, su una prospettiva di continuità vera. Certo, vi erano le grandi esposizioni universali, i grandi saloni, ma una struttura identitaria come quella della Biennale non era mai stata disegnata prima con una tale lucidità e insieme visionarietà future. Per cui, ecco, l’unanime, infinita soddisfazione per questo straordinario successo va certo anche letta attraverso la lente della storia ormai secolare di questo organismo pulsante del contemporaneo. Una storia, lei sì, canonizzata. Quindi, mi si passi l’ossimoro, il trionfo di una contemporaneità storica. Anche. Sì, perché va bene, la Biennale è la Biennale, certo, però non è che meramente riproducendo formule mandate nel tempo a memoria dai più di per sé assicuri una garanzia di imperituro, meccanico successo. Il mondo, la storia raccontano di una copiosa teoria di gloriose corrazzate progressivamente deperitesi per gap di innovazione. Essere riconosciuti internazionalmente è un’ottima rampa di lancio, ma poi bisogna saper volare leggendo bene i venti e le correnti in divenire.
La appena conclusasi mostra di Cecilia Alemani in quest’ottica è importante due volte poiché, senza troppo indugiare in enfatici peana, va considerata insieme come un progetto di consolidamento dell’identità secolare della
Biennale e come un lucido disegno delle forme e dei contenuti attraverso i quali il contemporaneo va e andrà a definirsi in un’epoca in cui barriere sociali, di genere, geografiche si stanno via via sgretolando, nonostante l’indefessa teoria di furiose attività difensive messe in atto un po’ ovunque nel mondo dalla più retriva reazione. La stessa struttura, lo stesso impianto curatoriale di fondo del Latte dei sogni appena finito di versare restituisce questa evidente disposizione, ossia quella di disegnare una visione della contemporaneità più vitale e difforme ancorandone le espressioni a delle capsule, proprio così l’Alemani le ha battezzate, storiche attraverso le quali comunicare in forma diretta e germinale le radici novecentesche ispiranti questa Biennale 2022. Ispirazioni decisamente surrealiste, con al centro l’opera, il percorso di vera rottura di una straordinaria protagonista delle avanguardie quale fu Leonora Carrington, da una preziosa raccolta di racconti e disegni per bambini della quale ha preso il titolo la grande collettiva dei Giardini e dell’Arsenale. Una mostra estremamente atomizzata, nel miglior senso del termine, ossia connotata da migliaia di frammenti provenienti da ogni angolo del globo, in cui però due tratti, per quanto inevitabilmente generica e sommaria non possa che apparire una così stringente schematizzazione, sono infine emersi più di ogni altro nella loro plastica e al contempo variegata evidenza: la predominanza dell’urgenza espressiva al femminile (per quanto la curatrice abbia desiderato in tutti i modi puntualizzare di non aver mai minimamente pensato programmaticamente, nel percorso di progettazione della mostra, a questioni di genere); la diffusa, vitale pervasività di un’arte proveniente da culture non certo epicentriche, lontane dall’egemone sistema produttivo ed espositivo occidentale, le cui espressioni, i cui lavori esposti tradiscono diffusamente un richiamo a temi, a radici ancestrali, tra ritualità ed esoterismi di matrice primordiale, naturalmente restituiti con la lingua del presente. Mille altri ancora sono poi i segni, le tracce curatoriali, contenutistiche disseminati negli estesi spazi espositivi di una collettiva così sconfinata naturalmente. Però, ecco, se proprio dovessimo fermare le tre direzioni preminenti del percorso di questa nodale mostra, una storica, due altre contemporanee, queste sono quelle che ci sentiremmo di individuare.
Forse siamo condizionati dal nostro persistente pensiero sulla radice di senso primo che vorremmo informasse l’idea di sé di questa cittàmondo finalmente oggi, chissà. Quindi potremmo anche da questo condizionamento ingigantire più del necessario quel che in effetti è, quel che si dovrebbe più semplicemente evincere da una mostra così frastagliata e inevitabilmente difforme nei suoi esiti. Insomma, potrebbe esserci un’invasione di campo interpretativo di un retropensiero troppo incalzante, incombente nei nostri giorni veneziani, ecco. Sarà. Eppure, errando o meno, ci piace proprio grazie anche a questo vitale condizionamento “territoriale” vedere queste tre linee, questi percorsi intrecciati tra radici imperituramente fertili e parti, creazioni che a queste radici si ispirano libere di urlare con voci proprie le proprie vitali tensioni, emozioni, visioni. Insomma, ci piacerebbe che questa libera, arbitraria nostra interpretazione del Latte dei sogni di Cecilia Alemani fosse di ispirazione per un altro presente e ancor più per un altro futuro di questa irripetibile, contradditoria città. Un’ispirazione in grado di connettere in maniera lucida e ambiziosa le profonde radici del suo percorso storico con la definizione di una identità propria presente che oggi come mai prima fatica nel suo complesso anche solo a intravedere. E che ci pare incredibile che pervicacemente non riesca, per sue non rade componenti, ancora nemmeno a intuire. La Biennale è lì a parlarci anche al di là della funzione cruciale stessa della Biennale come istituzione in sé, che è quella di assolvere al proprio compito di assicurare a questa città internazionale il compito che le compete sul terreno delle arti contemporanee, nonché quello di contribuire fattivamente – e questo chi non riesce ancora a vederlo…? – ad elevare il livello di bellezza, di qualità dell’offerta turistico-culturale di questo sistema-città che sistema non è. Questa mostra ci ingaggia a sfidare ogni forma di sterile fatalità, ogni sorta di disincanto, quella noiosa, irritante inerzia di chi sta seduto al calduccio in qualche meravigliosa alcova di questo magico luogo, incapace di andare concretamente oltre al proprio verboso dire insoddisfatto circa lo stato di salute di questo stesso luogo. Le radici avanguardiste per immaginare nuove sfide percorribili, ben più che possibili, nel solco di un passato connotato per vocazione costitutiva all’immaginazione, al coraggio e alla necessità di osare; il lato femminile, quello che dà del tu alla complessità rifuggendo da ricette facili e stentoree, quello che più è capace di liberare vividamente l’immaginazione regolandola con
la giusta marcia della concretezza razionale; le visioni, le urgenze vitali, creative, che questa città ha totale bisogno di accogliere dal di fuori, da ogni dove nel suo pensionato alveo, consapevole come dovrebbe farsi e già da tempo essere che i cittadini sono coloro i quali fanno pulsare il cuore, le vene del sangue urbano col proprio esistere, compiere, incontrarsi e mescolarsi umanamente ed esperienzialmente. Al diavolo le carte di identità! L’anno si chiude con queste note di prepotente vitalità che ancora pulsano a Biennale conclusa e che forse troppo rischiano di illuderci, inducendoci a disporci per l’ennesima volta positivi verso un futuro non così passivo e rassegnato, non così scritto in un declino ineluttabile di un’urbanità arresa alla monocultura turistica da villaggio museale, in fondo speranzosi in una sua recuperata capacità a definirsi e ridefinirsi in un moto di rigenerazione permanente giorno dopo giorno. Non siamo così ingenui e vacuamente illusi, per l’appunto, che simili, profonde tendenze incancrenitesi nei decenni possano rapidamente svoltare in direzioni virtuose opposte. Non è certo una mostra, per quanto straordinario sia il segno che ci lascia, che imprime nelle menti di noi tutti al di là della stretta emozione che il suo contenuto artistico suscita, che può da sola ridefinire il vissuto di un tessuto urbano e sociale così complesso e incagliato. Ci mancherebbe. Ma l’ispirazione, lo stimolo, il pungolo a pensare e ad agire in modalità più aperte, più votate a una complessità intesa come ricchezza di idee, di possibilità rigenerative concretamente realizzabili che vengono da una straordinaria esposizione globale come questa appena conclusasi davvero potrebbero e dovrebbero produrre uno scarto vivo nelle teste di chi questa città avrebbe il compito di altamente governare e, di fatto, riprogettare in termini innanzitutto di approccio mentale, culturale, nel segno di una totale apertura quotidiana verso il mondo. Ma questa, lo sappiamo, allo stato è una scommessa ai limiti della disperazione. È stato un anno fervido, elettrizzante, di autentica rinascita. Si poteva prevedere una ripartenza dopo il soffocante biennio pandemico, decisa, forte, ma credo che nessuno di noi si sarebbe immaginato uno stop and go di queste proporzioni. Davvero. Quindi chiudiamo questo 2022 con animo pienamente soddisfatto e con un frammento almeno di convinzione in più che qui sia forse ancora possibile disegnare un altro futuro. Auguri di cuore a tutti e grazie per essere sempre con noi in questo vivissimo viaggio.
I SEGRETI DELLE PAROLE
«Guarda com’è bello,
di Katia Amoroso e Mariachiara MarzariIl genere biopic ormai imperversa, ma al di là delle mode e delle storie più o meno avvincenti, ciò che colpisce, l’ingrediente che segna il tratto distintivo di questo genere nei suoi esiti migliori, è la sincerità con cui gli scrittori, protagonisti essi stessi del racconto, restituiscono il proprio vissuto. Esempio eloquente a riguardo il sorprendente e avvincente libro autobiografico scritto da Anthony Delon Dolce e crudele. La mia famiglia, la mia storia, titolo italiano della versione originale in francese Entre chien et loup. Figlio dell’intramontabile icona del cinema d’oltralpe Alain e dell’attrice Nathalie Delon, cresciuto da quando aveva quattro anni, a causa della separazione dei genitori, alternandosi tra papà e Mireille Darc, nuova compagna del grande attore fino agli anni Ottanta, e la madre, dedita però alla sua carriera di attrice, accudito dal padrino Georges Beaume, l’agente artistico che ha lanciato suo padre, e da Lolou, la tata franco-siculo-tedesca, Anthony si mostra a 58 anni ‘nudo’, senza reticenza alcuna, nelle pagine di questo suo personalissimo viaggio esistenziale, offrendo al lettore un partecipato racconto di vita, naturalmente in tutti i sensi extra-ordinaria, ribelle e pazza quanto basta, ma certamente non priva di sofferenze, abbandoni e perdite. Un velo di nostalgia ammanta i protagonisti, molti purtroppo non più in vita, ma nel vivere e nel continuare a vivere questo sentimento si trasforma in forza e consape -
volezza. Il suo sguardo e le sue parole si sostengono in un teso equilibrio tra curiosità e compassione, delusione e accettazione, rabbia e perdono, costruendo un mosaico narrativo che sorprende e commuove. Un libro da leggere tutto d’un fiato.
Per saperne un po’ di più abbiamo incontrato il Nostro per questa libera, vitale intervista
Quali le ragioni profonde che l’hanno indotta a scrivere questo libro?
Ho iniziato a scrivere perché era un momento della mia vita molto difficile. Eravamo con la mia famiglia in vacanza in Italia. Era agosto e mia madre era molto malata. Sapevo che le rimaneva solo qualche mese da vivere. Un anno prima mio padre aveva avuto un ictus. Il mio padrino era morto. La mia madrina pure. Mireille Darc, persona molto importante nella mia vita, era anche lei morta. Improvvisamente ho avuto paura; ho realizzato che tutte le persone che amavo mi stavano lasciando, soprattutto mia madre. Ho sentito quindi un forte bisogno di rendere omaggio a queste persone che sono state le mie guide esistenziali. Sentivo di dover incidere la nostra storia nel marmo. Quello che ha acceso la mia voglia di scrivere è stato proprio veder mia madre in procinto di morire
Entre chien et loup è un’espressione francese che un giorno mi disse il mio padrino. Eravamo in campagna e mentre stavamo guardando l’orizzonte mi sussurrò:
non sappiamo se è giorno o è già notte, ma sicuramente è un’ora magica»Anthony Delon Dolce e crudele. La mia famiglia, la mia storia 2022, Sperling & Kupfer
Biopics are all the rage now, but whatever fashion dictates and whichever stories end up being the most interesting, what really hits home is the sincerity that writers, themselves the protagonists of the story, adopt when they tell us about their lives. A prominent example is the extraordinary, engaging autobiography authored by Anthony Delon: Entre chien et loup
The son of French cinema icon Alain Delon and actress Nathalie Delon, since age four, Anthony spent time alternately with his father and new partner Mireille Darc and with his mother, godfather Georges Beaume (also the talent scout that launched Alain’s career), and Lolou, his French-Sicilian-German nanny. Now aged fifty-eight, Anthony Delon lays it all bare: no secret is spared in this very personal existential journey, which offers readers the heartfelt story of a life that is extra-ordinary in all possible meanings – rebellious, crazy when needed, not devoid of suffering, abandonment, and loss. Nostalgia veils the figures of the protagonists, many of whom are long gone, though life always finds a way to push forward, and Anthony’s words balance carefully curiosity, compassion, disappointment, acceptance, anger, forgiveness. A narrative mosaic that inspires and moves. A real page-turner, too. We wanted to know more, and we reached out to the author. This is our interview with Anthony Delon.
Why did you write this book?
I began writing because I was going through a rough patch in my life. I was vacationing in Italy with my family. It was August, and my mother was very ill –she had only a few months to live. A year before, my father had a stroke. My godfather passed earlier on, too, and so did my nanny. Mireille Darc, a very important person in my life – dead. All of a sudden, I was scared. I realized that all the people I loved were leaving me. I felt the need to pay homage to these people, who were my guides. I wanted to carve our stories into marble. What prompted me to write was seeing my mother dying, my father struggling, I just didn’t know what would happen the next day… I felt the urgency to work on my
ANTHONY DELON
e mio padre in una situazione difficile; non sapevo cosa sarebbe successo da lì a domani... Ho sentito un’incontenibile urgenza di dover lavorare sul ricordo. È stato un modo per me di ridare vita a chi se n’era andato e a chi volevo in qualche modo aggrapparmi.
Prima di entrare nella storia, quello che colpisce del libro è la scrittura fluida, quasi un fiume in piena che sgorga libero nelle pagine. Cosa le sta regalando la scrittura? Può avere delle proprietà terapeutiche? Credo che la scrittura abbia in qualche misura una sua proprietà terapeutica, sì. L’ho scoperto scrivendo questo libro. Il fatto di trovarmi solo di fronte a una pagina bianca mi ha indotto a fissare con partecipazione autentica le mie storie; al contempo mi ha aiutato a guardarle da lontano, con un salutare distacco. Disposizione quest’ultima quantomai necessaria per restituire e analizzare al meglio con uno sguardo lucido quanto successo in una vita intera.
Perché ha scelto come titolo originale Entre chien et loup? Entre chien et loup è un’espressione francese che un giorno mi disse il mio padrino. Eravamo in campagna e mentre stavamo guardando l’orizzonte mi sussurrò: «Guarda com’è bello, non sappiamo se è giorno o è già notte, ma sicuramente è un’ora magica». Non solo, ho scelto questo titolo anche perché ha multipli significati: il potere dominante dei lupi, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, il momento in cui gli uomini diventano potenti. C’è una forte valenza transitiva in questo titolo. Può anche essere il passaggio dall’amore all’odio: c’è un filo sottilissimo tra queste due emozioni, si può passare facilmente dall’una all’altra, come dal giorno alla notte.
Attraverso la storia di suo padre, Alain, e sua madre, Nathalie, e poi di Mireille Darc, si dipana la sua vita ed emerge la sua voglia di raccontarsi. Ci sono due temi ricorrenti: l’innocenza e la sua perdita. Quanto questi elementi sono stati determinanti nella creazione della sua identità di bambino prima e di uomo poi?
L’innocenza non si perde improvvisamente. E la si perde solo quando se ne diviene consapevoli. Il bambino subisce gli eventi, i genitori e tutto quello che gli succede attorno senza capire. E poi, un po’ alla volta, inizia ad analizzare le cose, a meglio comprenderle. Così il bambino inizia a non subire più ingenuamente gli accadimenti. Un po’ alla volta, progressivamente costruisce in senso più cognitivo ciò gli è stato dato di vivere, producendo le sue prime conclusioni: è proprio in questo preciso momento che probabilmente incomincia a crescere. E quindi a perdere l’innocenza. È molto complesso il tutto certo, non va così schematicamente il processo. Ma sinteticamente così si può concludere che maturino i percorsi di crescita.
Nel libro parlo del bambino che abbiamo dentro noi stessi. In quanto artista credo sia molto importante dare voce all’innocenza di questo bambino. Ma questa è la creazione artistica, non è la vita. La perdita dell’innocenza in qualche modo ti costruisce, ti definisce come persona in tutta la sua contraddittoria complessità. Il tema principale del libro tuttavia è l’abbandono e di conseguenza la sofferenza, il perdono, la resilienza e la ricostruzione, la consapevolezza e l’amore. L’amore è presente ovunque nel libro.
Due persone che si amano possono davvero farsi del male? Chi si ama con passione sì, può farsi del male. Quando due persone sono complementari e si amano con passione, l’amore si può trasformare in un sentimento più profondo, più altruista e generoso. Credo che quando si arrivi a questo livello non ci si possa fare del male. Ma quando c’è l’amore con passione e non si è complementari, anzi, ci si assomiglia, allora l’amore può diventare veramente doloroso. La passione esagera le paure, le debolezze, i traumi. Se si è sofferto di abbandono, allora si ha paura di essere abbandonati. Si risvegliano tutte le paure e tutti i dolori dell’infanzia. Si dice che la passione duri due anni; personalmente credo che possa durare più a lungo, ma in questo modo due persone possono distruggersi, amarsi alla follia e distruggersi nello stesso tempo.
L’assenza e la solitudine come formazione, il fatto che le cose della vita si imparino stando soli. Com’è stato invece per lei? Il sentimento dell’abbandono l’ho provato sia nei confronti di mio padre, che di mia madre, anzi, direi che l’ho sentito di più dal lato materno – quando si è piccoli si ha bisogno della mamma più di qualunque altra figura vicina a sé. Riguardo alla solitudine, che dire, siamo soli quando nasciamo e quando moriamo. Siamo sempre soli. Siamo soli di fronte alla gioia e ai dolori. Si può essere accompagnati, avere persone che ti supportano, amici e compagni che possono attenuare questa condizione. Tuttavia sono convinto di essere sempre stato solo davanti a me stesso. Ne parlo diffusamente nel libro; sono molti i momenti in cui ho sperimentato la solitudine, forse un po’ più di quanto succede correntemente. Ciò penso abbia contribuito alla costruzione della mia persona. Questa condizione esistenziale mi ha permesso di scrivere e di creare, perché mi ha indotto a vivere assai conchiuso nel mio mondo. Posso rimanere da solo molto tempo; non ho paura della solitudine, ho passato giornate intere a camminare nella foresta da solo. Credo che ci siano in ogni caso delle propensioni personali non solo date dalle circostanze del vissuto. Per esempio, mia mamma non era una persona solitaria, mentre invece mio padre e anche io abbiamo due nature solitarie. A mia madre faceva paura la solitudine; le ultime settimane della sua vita era preoccupata, mi diceva: «Non voglio che tu diventi troppo solitario, perché assomigli a tuo padre…». Le ho risposto di non preoccuparsi, perché sono un solitario ma, come lei, amo molto e penso che forse questa sarà la mia salvezza.
Diventato a sua volta lei padre, come si è modificato il suo ruolo di figlio verso suo padre?
Essere padre mi ha fatto crescere, mi ha davvero completato come persona. Una simile, straordinaria responsabilità mi ha cambiato e mi ha reso più tollerante. Tuttavia, allo stesso tempo, ho dovuto capire bene quello che stavo trasmettendo ai miei figli; si è trattato di un percorso lungo e difficile, frutto di un duro lavoro che ho fatto su me stesso, per non ripetere la mia storia a ruoli invertiti. Ho visto ancora più chiaramente cosa mi è mancato. Sicuramente mi ha fatto del bene.
Quali sono i ricordi più vividi della sua adolescenza che possono in qualche modo restituire e riassumere il rapporto con sua madre?
Io e mia mamma discutevamo molto. Lei discuteva un po’ con
memories. It was a way, for me, to give back some life to those who were gone and to those who I wanted to cling to.
Before we get into the story… what strikes about your book is how nicely your writing flows, a river that pours out freely from the pages. What does writing give you? Is it therapeutic?
I believe writing is, in some measure, therapeutic, yes. I found out myself as I was writing. The mere fact of facing a blank page forced me to put down my stories clearly, in black and white, and at the same time, it helped me to detach from them a bit, and I found that to be quite healthy. Going about that was necessary to best analyse what has happened throughout a lifetime.
Between dog and wolf.
It is a French idiom that my godfather once taught me. We were out in the countryside, looking far into the horizon, and he whispered to me: “Look, it’s so beautiful. We don’t know if this is night or day, all we know is that it’s magic.” It goes beyond that: the dominating power of the wolf, the passage between childhood and adolescence, the moment a man grows powerful. It is a transitive title. It may also mean the passage from love to hate – there is a very thin layer between those two feelings. It is easy to step from one to the other, just like from day to night.
You use the story of your father, Alain, and your mother, Nathalie, and later that of Mireille Darc, to tell us about yourself. Two themes seem to recur: innocence, and loss of innocence. How much have those elements been crucial in generating your identity of child, first, and man, later? Innocence is not something you lose quickly, and you only lose it once you realize it. A child is subject to events, to his parents, to everything that takes place around him, and he cannot make much sense of it all. At some point, little by little, he begins to question what happens, and to understand what happens. He is not a passive, naïve subject anymore. With time, he grows cognizant of his life and draws his own conclusions. That’s the moment when he grows up and lose innocence. Certainly, it is all far from simple, but in short, that’s what goes on in a child’s life.
In my book, I wrote about the child that we all have within. As an artist, I believe it is very important to voice the innocence of this child. Though this is artistic creation, it is not life. The loss of innocence can, in some way, define you as a person in all its contradictory complexity. The main theme of the book, however, is
abandonment and the cycle of suffering, forgiveness, resilience, reconstruction, awareness, love. Love is everywhere in my story.
Can two people who love each other hurt each other?
Those who love with a passion – yes, they can hurt one another. When two people are complementary, and love with passion, that’s when love can turn into a deeper feeling, more selfless and generous. At that point, you cannot hurt or get hurt. But when two people love with passion, and they’re not complementary, they’re too similar maybe, that’s when love can hurt. Passion amplifies fear, weakness, trauma. If you suffered from abandonment, then you fear being abandoned. The fear and pain of childhood resurface. They say passion lasts two years. Personally, I believe it can last longer, but in this case, two people will destroy each other. They will love and destroy each other, all at once.
Absence and loneliness as education. In life, you learn some things just by being alone. Was it any different for you?
I felt abandonment both in the case of my father and in the case of my mother. With my mother, it was maybe even stronger. As a child, you need your mother more than anything else. As far as loneliness goes, well, we are alone when we’re born and when we die. We are always alone. We are alone when facing joy and pain. We may be accompanied, we may have people supporting us, friends and partners may dull the feeling, but I have always thought I was standing alone before myself. It’s everywhere in my book. I have felt alone so often, more so than what usually happens. I think this influence my becoming who I am today. This existential condition allowed me to write, to create, because it forced me to live in a world of my own. I can stay on my own for a long time. Loneliness does not scare me. I spent days walking in forests alone. I must also add that up to a point, we are also born that way. It’s not all about life circumstances. For example, my mother was not a solitary person, whereas both my father and I are. my mother feared loneliness: in her last few weeks of life, she would tell me: “I don’t want you to stay too much on your own, you look so much like your father…” I told her not too worry because, loner as I am, I love strongly, and I believe this will be my salvation.
You have kids yourself. How did you grow from son to father?
Becoming a father made me grow. In fact, it completed who I am as a person. The responsibility is so strong and so overwhelming it changed me. It made me more tolerant. At the same time, I had to understand very well what I was teaching my kids. It is a long, difficult journey, and I worked on myself a lot. I didn’t want to repeat past mistakes. I saw clearly what I was lacking as a kid, and it healed me.
My mother and I talked a lot. She would talk with everyone. She was a generous person with a strong character. We clashed, too, but quickly forgave each other. Sometimes, days passed before we would speak again, but love always prevailed in the end. Generosity, clash, exchange, love – that’s how I would sum it up. When she fell ill, there was little conflict, too. Facing death changed her. She had been abandoned by her father, too, and her mother died very young. She had trauma, that’s why she sought, no, she initiated conflict. However, the last few years of our relationship have been quite serene.
What are the most vivid memories of your adolescence that may summarize your relationship with your mother?ANTHONY DELON
tutti, era una persona molto generosa ma con un carattere forte. Ci scontravamo ma ci perdonavamo. A volte passavamo giorni senza parlarci ma poi ritornava tutto come prima, perché l’amore era più forte di tutto. Ci parlavamo moltissimo. Per riassumere la relazione con mia madre userei tre parole, anzi, quattro: generosità, confronti-scontri, scambi e amore. Quando si è ammalata molti conflitti sono scemati, l’avvicinarsi alla morte l’ha cambiata. Anche lei era stata abbandonata dal padre e sua madre era morta molto giovane; dunque in lei c’erano dei traumi, per questo probabilmente cercava, o meglio, suscitava il conflitto. Negli ultimi momenti della sua esistenza la nostra relazione è stata più serena.
Figure femminili di notevole rilevanza hanno recitato una parte fondamentale nel film della sua vita fin dalla sua prima infanzia. Che ruolo e che influenza effettivi hanno avuto nel suo percorso esistenziale?
Mia mamma, quando c’era, ha esercitato una presenza decisamente forte nei miei giorni. Poi, assieme a lei, sicuramente Lolou e Mireille. Ho dentro di me una parte femminile molto sviluppata, una sensibilità assai spiccata in questo senso. Sono cresciuto tra donne, riesco a comunicare più profondamente con loro, in modo più intenso. Le donne sono più intuitive e affascinanti; non mi riferisco qui alla seduzione fisica, ma all’essenza prima del loro essere femminile. Le donne hanno avuto, ed hanno ancora, un ruolo molto importante nella mia vita. Ho due figlie che vivono con me da sette anni. Mi sono occupato di loro da solo, quando la loro madre è partita per gli Stati Uniti. Erano piccole, ma nonostante le difficoltà ci sono riuscito e loro mi hanno reso un uomo migliore, mi hanno fatto capire alcune cose che non avevo mai ben compreso prima. E non è un caso, nulla succede per caso. Sono convinto che le donne sono le eroine dei giorni nostri.
Che effetto collaterale ha avuto su di lei il successo di questo libro?
Mi ha fatto molto bene. Averlo scritto da solo è stato un enorme piacere per me, ne vado davvero fiero. Ma ciò più mi ha fatto più bene, la parte del successo che più mi affascina e mi fortifica, sono state le persone. I temi del libro sono universali: l’abbandono, la famiglia, l’infanzia, la crescita, le ferite che ci impediscono di far vivere il bambino che è in noi, la ricerca dell’equilibrio nella propria vita. Nel libro racconto la mia storia. Tante persone, in ambienti diversi, dal cinema al quotidiano, dalle fiere agli incontri, mi hanno detto che il libro aveva dato loro delle chiavi di comprensione di alcuni lati meno chiari delle proprie vite, facendoli stare bene, insomma. Tutto questo è più forte del successo editoriale, perché mi infonde la consapevolezza di aver fatto qualcosa di buono, qualcosa di utile per me certamente, ma in qualche misura anche per gli altri, perlomeno per quelli che mi leggono. Quando vedi, quando cogli con pienezza questo attimo, questa sensazione, in quel preciso momento il libro ti supera, diventa più forte di te, perché parla alle persone aiutandole in qualche modo ad aprire gli occhi, dando loro almeno alcune risposte a molti dei quesiti irrisolti dell’esistenza in questo mondo complicato. Questo è davvero meraviglioso, un’emozione fortissima che mai potrò dimenticare.
Qual è il suo rapporto con il passato e con il trascorrere del tempo?
Ho un animo molto nostalgico, il che non è per forza di cose una disposizione deprimente. Sento il tempo che passa e me lo porto dietro, un po’ triste, un po’ nostalgico per l’appunto. Sento la nostalgia del tempo passato e delle persone eccezionali che ho conosciuto e incontrato nella vita e che ora non ci sono più.
Rispetto invece al tempo che mi rimane…, beh, detesto perdere tempo. Più vado avanti e meno sono disposto a perdere tempo. Oggi se vado al cinema e dopo mezz’ora mi annoio, me ne vado. Non lo faccio in teatro per il rispetto degli attori. Non è impazienza; non ho semplicemente più voglia di annoiarmi. Il tempo passa veloce e non ne voglio perdere più molto, tutto qui. È così.
Il suo libro è di fatto una sceneggiatura, che abbiamo appreso diventerà una serie tv. Quale il suo apporto creativo a questo adattamento filmico?
All’inizio non avevo pensato a un libro, bensì proprio a un film o a una serie. Vedevo immagini non parole. I diritti cinematografici erano stati acquisiti infatti prima della pubblicazione del libro, che mi avevano comunque chiesto di scrivere. All’inizio avevo rifiutato, ma poi mi sono reso conto che sarebbe stato interessante scrivere un libro prima del suo sviluppo cinematografico; avrebbe potuto nutrire corposamente gli sceneggiatori aiutandoli a sviluppare meglio il progetto.
Ora c’è il libro e io sarò un consulente della serie televisiva che verrà tratta da esso. Cercherò di contribuire al meglio ad alimentare il corpo narrativo del soggetto, ma non interverrò direttamente sulla sceneggiatura e sulla selezione del casting, questo no. La casa di produzione è Media One con Dominique Besnehard, il noto produttore della serie Call My Agent. La serie sarà in inglese.
Important feminine figures influenced the story of your life since childhood. How do you remember said influence?
My mother, when she was around, influenced me greatly. Lolou and Mireille, too. Within me, there’s a feminine side that is very developed. A sensitivity. I have been raised by women and I can communicate with them more effectively. Women are more intuitive, more charming, and I don’t mean physical seductiveness, but their inner essence of their femininity. Women have absolutely had an important role in my life. I have two daughters who have been living with me for the last seven years. I took care of them on my own since their mother left for America. They were quite young, but I managed, and they made me a better man in return. They made me understand things I never quite understood before. Everything happens for a reason. Truly, women are the heroes of our days.
How did your book’s success change you?
It benefitted me. It was such a pleasure to write it on my own, I am so proud of it. Though what gave me the most, the part of success that most fascinates and strengthens me, are people. The themes of my book are universal: abandonment, family, childhood, adolescence, the hurt that keeps our inner child from living, the look for balance in our lives. This is my story. Many people, in many different settings, told me how the book gave them the key to understand some of the more obscure sides of their lives. They made them feel better. This feels better than commercial success ever might, for it makes me realize that I did something good, something useful for me certainly, but in some sense for other, as well, for my readers. When you seize the moment, the feeling, so fully, that’s when the book becomes
stronger than you are, because it speaks to people and help them open their eyes. It gives answers to many unresolved questions of existence in this complicated world. This is really wonderful, a feeling so strong that I’ll never forget.
Your relationship with the past and the passing of time I am a very nostalgic person, which is not to say it is a depressive demeanour. I feel time passing, I feel like carrying a bit of it with me… it is a bit sad, a bit nostalgic. I feel nostalgic for a time that is not there anymore, and for amazing people that I met and who are not there anymore, either. As for the time that is left, well, I hate wasting it. The more I walk on, the more I hate wasting it. If I go see a movie and grow bored after half an hour, I just leave. At theatre, no, out of respect for the performers. I mean, it’s not impatience, I just don’t want to get bored. Time goes by so fast that I don’t want to lose any of it. That’s it.
Your book is, indeed, a screenplay, which will soon become a TV series. What will your creativity add to the upcoming adaptation?
At first, I didn’t want to write a book, but make a movie or a series. I wanted images, not words. In fact, film adaptation rights had been bought before I published the boo, which I was asked to write, anyway. I refused at first, but later I realized how interesting it would be to write a book before making a film out of it. It would have been useful to feed scriptwriting and help develop the project. Now the book is there, and I will be a consultant in the production of the series. I will give my best to give ideas, but I won’t work directly on the writing or on casting, that I won’t do. The series is a production of Media One, with Dominique Besnehard, who also produced Call My Agent ! It will be filmed in English.
THE HUMAN SAFETY NET PROCURATIE VECCHIE
La direzione del futuro
Intervista Emma UrsichThe Human Safety Net è un movimento globale di persone che aiutano altre persone, attivo in 24 Paesi al fianco di oltre 62 ONG. La sua missione è liberare il potenziale delle persone che vivono in condizioni di vulnerabilità affinché possano migliorare le condizioni di vita delle proprie famiglie e comunità. I programmi della Fondazione, iniziata dal Gruppo Generali nel 2017, sostengono le famiglie vulnerabili con figli piccoli (0-6 anni) e l’integrazione dei rifugiati attraverso il lavoro e l’imprenditorialità. La Casa di The Human Safety Net è da poco più di nove mesi alle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco, che Generali ha aperto al pubblico per la prima volta in 500 anni di storia dopo il radicale e bellissimo restauro ad opera di David Chipperfield Architects Milan. All’interno è aperta al pubblico l’esposizione interattiva permanente A World of Potential, che conduce i visitatori in un viaggio alla scoperta dei propri punti di forza, perseguendo l’obiettivo di lavorare su impatto sociale e sostenibilità. Nella Casa di The Human Safety Net, al terzo piano, trovano spazio anche il Café Illy, un’accogliente area di co-working con un’incredibile vista su Piazza San Marco attraverso gli storici oculi, e un modernissimo auditorium. Abbiamo incontrato Emma Ursich, Segretario Generale della Fondazione The Human Safety Net e Responsabile della Corporate Identity del Gruppo Generali, che ci ha guidato nel cuore della mostra e della Fondazione stessa, proponendoci uno sguardo particolare ed attento verso il futuro. Un invito a essere più inclusivi verso noi stessi e gli altri in un momento storico complesso.
Come nasce l’idea della Fondazione The Human Safety Net e quale funzione svolge nell’ambito delle attività del Gruppo Generali?
Generali accompagna le persone nei loro progetti con l’obiettivo di essere “partner di vita”. La Fondazione The Human Safety Net è nata in sintonia con questa idea, ponendosi come priorità il raggiungere e accompagnare i soggetti più vulnerabili, in particolare coloro i quali vivono al di fuori di qualsiasi rete di protezione, per consentire loro di sviluppare un progetto di vita altrimenti difficilmente realizzabile. Il tutto ben restituito da un assunto che abbiamo voluto riproporre quale componente identitaria del nostro progetto anche nel percorso espositivo A World of Potential, che si sviluppa qui alle Procuratie
Vecchie, la nostra nuova “Casa”: «Tutti hanno un potenziale, ma non tutti sono in grado di esprimerlo». I nostri programmi per i rifugiati e per le famiglie che vivono in contesti più vulnerabili cercano di guidare le persone per un periodo determinato della loro vita apportandovi un effetto trasformativo, in modo che quando ci congediamo da loro, dopo un anno o diciotto mesi di percorso insieme, non siano più nella stessa situazione in cui li avevamo incontrati. Questo è l’obiettivo principale che ci poniamo, la nostra missione.
Può spiegarci più nel dettaglio come opera The Human Safety Net?
La Fondazione è operativa da cinque anni, durante i quali sono state già raggiunte e seguite oltre duecentomila persone tra bambini, genitori e rifugiati. Il programma dei rifugiati è nato così: eravamo nel pieno del conflitto siriano, un momento di straordinaria crisi umanitaria con milioni di profughi in fuga. Ci siamo chiesti immediatamente che cosa avrebbe potuto fare Generali davanti a una situazione di tali proporzioni attraverso The Human Safety Net. In quel momento l’attenzione era focalizzata sull’aspetto emergenziale, quindi riparo, cibo e altre necessità primarie; tuttavia, abbiamo riflettuto su come dopo la grande attenzione iniziale la tensione spesso vada progressivamente spegnendosi. Ci siamo così concentrati sull’impegno a promuovere un’integrazione sostenibile nel tempo, offrendo loro la possibilità di inserirsi a pieno titolo nel contesto socio-economico della propria nuova comunità di riferimento, attraverso il lavoro, autonomo o dipendente, per poter provvedere a sé stessi e alle proprie famiglie.
Quindi il lavoro come obiettivo primario, sia favorendo chi aveva già un’esperienza pregressa o una qualche idea di business, accompagnandolo nella creazione di una microimpresa, sia affiancando altri nel trovare un impiego, anche attraverso corsi di formazione. Questo è il primo nostro progetto per i rifugiati attivo in quattro Paesi: Italia, Francia, Germania e Svizzera. Così abbiamo accompagnato più di
3.000 persone nella ricerca di una ritrovata autonomia e favorito la creazione di 300 microimprese. L’altro progetto, ad oggi quello più esteso e attivo in 24 Paesi, si focalizza sulle famiglie a rischio esclusione sociale o che vivono in contesti di vulnerabilità con bambini da zero a sei anni, e si concretizza nell’affiancare i genitori nel periodo in cui i bambini non sono ancora scolarizzati. Per sostenere i bambini nel loro sviluppo, lavoriamo con i genitori cercando di fornire una rete, un sostegno che consenta loro di svolgere al meglio il mestiere non certo facile di genitore nelle situazioni di grande stress e difficoltà in cui vivono. Interveniamo in questo senso perché è nei primi anni di vita che il cervello dei bambini si sviluppa per il 90%, si gettano le basi per il futuro sviluppo del potenziale umano. Nei primi anni di vita infatti è fondamentale sostenere il ruolo di quello che definiamo “caregiver”, ovvero la persona di riferimento più importante per il bambino, che solitamente è la mamma, ma non sempre. Un buon inizio vita può fare la differenza in termini di futura scolarità, opportunità di impiego e di salute mentale e fisica della persona: lo dimostrano le ricerche scientifiche.
In questo percorso veramente impegnativo, che va oltre le manifestazioni di solidarietà, come strutturate la vostra attività sul campo?
Lavorando assieme ai colleghi nei vari Paesi identifichiamo i migliori specialisti e comunità dove opera Generali, organizzazioni non governative o imprese sociali già attive in questo settore, costruendo con loro partnership pluriennali. Siamo andati oltre l’approccio della filantropia classica, quello di un puro contributo finanziario, per offrire invece un accompagnamento a tutto tondo, un reale e concreto sostegno alle persone e alle strutture per sostenerle nell’aumentare l’impatto attraverso le competenze, le persone, gli spazi, la creazione di una comunità aperta e di confronto, anche in chiave di partnership e creazione di reti tra diverse organizzazioni che condividono gli stessi obiettivi.
Futureward ENG
The Human Safety Net is a global movement of people helping people. It is active in twenty-four countries and partner with sixty-two NGOs. Its mission is to free the potential of people living in vulnerable conditions, so that they could improve their life conditions and those of their families and communities. The programmes of the Foundation, initiated by the Generali Group in 2017, support vulnerable families (with children aged 0 to six) and the integration of refugees by work and entrepreneurship. The Human Safety Net has had a home in Venice since just over nine months, in Piazza San Marco. The building has been opened to the public for the first time in over 500 years, after a beautiful restoration designed by David Chipperfield Architects Milan. Inside it, the interactive exhibition A World of Potential guides visitors to discover their own strengths, thus making an impact on society and sustainability. In the same spaces are the Café managed by Illy, a co-working space with an amazing view on the Piazza, and an event area with the auditorium. We met Emma Ursich, Executive officer of The Human Safety Net Foundation. She guided us into the heart of the exhibition and the Foundation itself and offered a peculiar, attentive outlook on the future as well as an invitation to be a bit more inclusive of ourselves and other in such a complex historical moment.
The Human Safety Net and its function within Generali Group.
Generali accompanies people in their project with the goal of being ‘life partners’. The Human Safety Net has been created with this objective in mind, as a point of priority to reach out to the most vulnerable people, those who have no other safety net, for them to develop a life project they otherwise just couldn’t. Our identity can be summed up in the few words that accompany our exhibition A World of Potential: “We all have potential. Some of us just cannot express it yet.”
Our programmes for refugees and vulnerable families support people for a definite timeframe in their lives to change them for the better. When we will take our separate ways, after a year or eighteen months, neither must be in the same situation they were when we started. That’s our goal.
How does The Human Safety Net operate?
The Foundation has been operative for five years now, and over this time, it helped over 200,000 people – adults, children, refugees. For refugees, that’s how we help: at the height of the hostilities in Syria, we focused our attention on emergency, meaning shelter, food, and other primary needs. We then reflected on how, after months of conflict, attention would necessarily wane, which is why we decided to work on integration that would be sustainable long-term, helping people integrate within the social and economic context of their new home by means of salaried work or self-employment, so that refugees could provide for their families.
Work was the primary goal, whether it was about helping those who already had experience or a business idea, or helping others find employment, in some cases providing job training.
THE HUMAN SAFETY NET
EMMA URSICHCome questa azione della Fondazione The Human Safety Net dialoga con le molteplici realtà con cui viene in contatto? Stiamo sviluppando i nostri progetti in ben 24 Paesi. L’idea è quella di porsi in ascolto per comprendere al meglio necessità e bisogni delle persone, individuando al contempo organizzazioni che siano già presenti e attive sui territori per offrire loro il nostro sostegno, andando così a integrare e accelerare l’impatto. Questo significa per noi non andare a sovrapporsi o a replicare iniziative già attive, ma piuttosto coprire segmenti di intervento scoperti con specifiche azioni che permettano di unire delle attività che vanno avanti indipendentemente, rendendole più organiche e sostenibili. È fondamentale investire sulla preparazione dei formatori, che magari possono essere gli stessi assistenti sociali del paese interessato, dando loro, tramite queste organizzazioni partner, la possibilità di acquisire ulteriori competenze o servizi che oggi non fanno ancora parte dell’offerta. Altre volte, invece, abbracciamo progetti costruiti su forme di cofinanziamento tra privato e pubblico; in questi casi la nostra Fondazione assicura un contributo economico che va ad affiancarsi a quello pubblico, raddoppiando l’ammontare complessivo del finanziamento permettendo ai vari progetti di raggiungere, aiutandole, molte più persone. Ascoltiamo, impariamo e canalizziamo i nostri sforzi in quei luoghi e in quei momenti dove vi è la necessità di intervenire per migliorare sostanzialmente le condizioni di vita: questo è il nostro obiettivo, sempre.
Venezia al centro delle attività del Gruppo: prima il restauro dei Giardini Reali con Venice Gardens Foundation, poi la restituzione pubblica a seguito di uno spettacolare restauro delle Procuratie Vecchie dopo cinque secoli di ‘inaccessibilità’. Come questo recupero storico e architettonico diventa promotore di rinnovamento culturale, economico e sociale della città?
Venezia, città dal forte valore simbolico, è il fulcro dell’attività della Fondazione The Human Safety Net, il centro di gravità attorno al quale ruota tutto quello che poi si va a condividere nei diversi Paesi e comunità in cui ci troviamo ad operare, una piattaforma di dialogo e di scambio aperta al mondo.
Riguardo alle Procuratie Vecchie e al prezioso restauro realizzato da David Chipperfield Architects, Generali ha inteso non solo recuperare uno spazio storicamente iconico della città, ma anche dargli nuova vita con una missione – quella di The Human Safety Net – coerente anche con le attività che in origine qui venivano svolte, e dunque una missione contemporanea, internazionale e aperta sia alla città stessa che al resto del mondo, come è nella natura di Generali.
La sfida che abbiamo voluto affrontare è stata quella di mantenere la storicità del luogo e al contempo dare accessibilità e contemporaneità agli spazi e ai temi di cui qui stiamo discutendo. Temi di respiro internazionale, come per esempio quelli proposti dalle Nazioni Unite, accanto ad altri di carattere locale, legati al territorio. Per noi questo è uno spazio di discussione sui temi della sostenibilità e dell’inclusione sociale, in cui creare un programma di attività che coinvolga diversi tipi di pubblico, che mescoli persone diverse per età e provenienza, andando a creare un dialogo che promuova la conoscenza e stimoli una riflessione collettiva.
Sono trascorsi solo pochi mesi dall’apertura della Casa della Fondazione e siamo davvero molto contenti di come è stata accolta.
Tutti hanno un potenziale, ma non tutti sono in grado di esprimerlo
L’esposizione A World of Potential offre un nuovo approccio conoscitivo ai modelli di sviluppo propri di The Human Safety Net, incentrati sulla consapevolezza delle capacità individuali al servizio attivo delle comunità. Ci racconti questo percorso che mira a coinvolgere il pubblico per la creazione di una The Human Safety Net Community responsabile e molto attiva.
Il percorso è nato da un intenso e profondo ragionamento tra noi e i nostri partner su come si possa agevolare l’espressione di qualcosa di intangibile – quale è il potenziale umano – e di conseguenza di come si possa e si debba raccontare al pubblico la nostra attività di accompagnamento delle persone grazie ai nostri programmi. Volevamo evitare di proporre qualcosa di autoreferenziale, di mero racconto di dove siamo e cosa facciamo nel mondo, bensì cercare di portare le persone a scoprire il meglio in sé stessi e negli altri creando una riflessione virtuosa sulle potenzialità che ciascuno ha e di come la loro messa a fattor comune sia la chiave per una crescita di tutti. È nata così, allora, l’idea di realizzare questo percorso espositivo giocoso, che invita a riflettere nella misura in cui ognuno desidera farlo.
Per creare ciò abbiamo cercato persone specializzate in questo ambito. Abbiamo coinvolto l’impresa sociale tedesca Dialogue Social Enterprise e lavorato con i suoi fondatori, Andreas Heinecke e Orna Cohen. Da qui è nato un percorso espositivo la cui architettura narrativa poggia sulla metodologia della psicologia positiva per conoscere sé stessi e i propri punti di forza promossa dello psicologo americano Martin Seligman e applicata in tantissimi contesti culturali. Un metodo forte di un’ampissima casistica e caratterizzato da un approccio neutro rispetto all’appartenenza culturale, quindi veramente internazionale e aperto a qualsiasi tipologia di persona.
Siete già in grado di fare una prima stima di questi primi cinque anni della Fondazione e di questi otto mesi delle Procuratie?
Siamo un gruppo piccolo ma estremamente motivato e abbiamo avuto grande sostegno da parte di tutta la rete di partner e colleghi, che svolgono un altro lavoro ma che, nonostante ciò, trovano il tempo per dare una mano in tanti modi diversi. Così, grazie a questo sforzo collettivo, siamo riusciti a conseguire i nostri obiettivi in questi primi cinque anni di appassionante lavoro. Questo, unito al contesto sempre più difficile esterno, ci spinge a fare di più in futuro. Per quanto riguarda le Procuratie Vecchie, siamo contenti perché più di quarantamila visitatori, tra singoli, famiglie e gruppi, hanno già avuto modo di fare l’esperienza di A World of Potential. Registria-
This has been our project for refugees in four countries: Italy, France, Germany, and Switzerland. We helped 3,000 people stand on their own and helped establishing 300 small businesses. Our other project, which is more extended geographically and is active in twenty-four countries, focuses on families that risk social marginalization or that live in vulnerable contexts. We help parents at a time when their children are too young for schooling, and we give them resources to become better parents. Children’s brains develop by 90% in the first few years of their lives, and it is essential that their mothers (or, in a minority of cases, their caregivers) are supported in their role. A good start in life makes all the difference in terms of future education, employment opportunities, and physical and mental well-being. Science supports this.
Fieldwork
We have people in all countries we operate in, and we partner with local NGOs and social enterprises. We go beyond the approach of traditional philanthropy, often limited to money grants, and prefer an all-around approach: a real, tangible support for people. Our idea is to listen and understand what people needs. Then, we partner with local organizations to offer our support, so that we can integrate and accelerate their outreach. For us, this means not overlap or replicate what already exists, but intervene with specific actions and make them more comprehensive and sustainable. It is essential to invest in trainings for educators – these may be social workers in destination countries – and provide them with the opportunity to acquire knowledge and services that at present they cannot offer. Other times, we support co-financing projects of public and private actors. In the latter cases, we provide matching grants, which will allow the programme to scale and help more people. We listen, we learn, and we catalyse our efforts in those places and moments where we can make a difference. This has been our goal since inception.
Your work in Venice
Venice is a city of immense symbolic value. It is the centre of the foundation’s business and the centre of gravity for everything we do in the countries we help. A platform of exchange that is open to the world. The Procuratie Vecchie underwent an important restoration, designed by David Chipperfield Architects. Generali wanted to recuperate an iconic building of Venice as well as give it a new mission by means of The Human Safety Net, which is consistent with what historically was done here. A modern mission that opens up to Venice and to the world. This is the nature of the Generali Group.
The challenge we wanted to face was to maintain the building’s history and, at the same time, make it more modern and accessible to the themes we have been discussing. There are space for the global conversation as well as for local projects. For us, this place is a space for discussion on sustainability and social inclusion, a space where we can create programmes for everyone, that can mix people of different extraction and promote dialogue, stimulus, collective reflection. It’s been only a few months and we are ecstatic.
THE HUMAN SAFETY NET EMMA URSICH
mo una grande variabilità di reazioni e un’alta curiosità da parte della maggioranza dei visitatori. Noi rimaniamo costantemente in ascolto, ricercando un confronto continuo con chi entra in questi nuovi spazi. A tal scopo abbiamo scelto di avere dei mediatori culturali che interagiscono e accompagnano il pubblico dando loro qualche elemento di contesto in più. A fine visita è possibile rimanere in contatto per approfondire i temi più rilevanti di quanto visto e interiorizzato, oppure, nel caso di visitatori stranieri, per ricevere informazioni riguardo le attività della nostra Fondazione nei loro Paesi. Metà del prezzo biglietto di ingresso viene devoluto al progetto Rifugiati o a quello Famiglie: il visitatore può scegliere a quale dei due progetti destinare il proprio contributo entrando così direttamente a far parte della rete.
Avete avviato in questi mesi collaborazioni con diverse realtà locali, italiane e internazionali, al fine di organizzare e ospitare incontri e convegni che possano arricchire e allargare la consapevolezza del nostro presente e la definizione del nostro futuro prossimo. In quale direzione state procedendo a riguardo e quali sono i programmi che proporrete nei prossimi mesi?
Dopo i primi mesi che hanno inevitabilmente coinciso con una necessaria fase di apprendimento e di assestamento al fine di oliare al meglio tutti gli ingranaggi operativi della macchina, abbiamo lavorato al calendario degli eventi 2023 individuando una ricca proposta di opportunità che guardando in diverse direzioni anche geografiche, quindi rivolgendo la nostra attenzione sia agli scenari internazionali sia a quelli territoriali, più specificamente alla comunità di Venezia. L’obiettivo è di metterci in rete con altri spazi ed entità a noi prossimi in altre città, per sviluppare insieme la discussione sul tema della sostenibilità. Vorremmo consolidare questa tipologia di approccio e di visione inserendo Venezia e il nostro spazio in una rete di scambio e di confronto permanente. L’altro progetto di rilievo che ci vede qui coinvolti è la nuova Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità, nella quale siamo entrati come soci fondatori, che avrà sede a partire dal 2023 proprio nelle Procuratie Vecchie, al secondo piano. L’idea è di aprirci al mondo, portando, come è doveroso che sia, anche Venezia alla ribalta internazionale su questi temi, cooperando a tal fine con tutti gli altri attori della Piazza, con i Giardini Reali e Venice Gardens Foundation, con Fondazione Cini e in generale con chi sia aperto e interessato al confronto libero su questi stessi temi.
Di famiglia internazionale, studi orientali ad Oxford, una passione mai sopita per la lingua e la cultura cinesi. Come questo studio e questa passione hanno influenzato il suo percorso lavorativo e come vengono da lei declinati oggi nella sua attività all’interno della Fondazione?
Mio padre è originario di Trieste, mia madre inglese; si sono conosciuti in Australia, a cavallo fra due mondi, e da qui nasce forse la mia curiosità per l’altro, per ciò che è lontano da me. Credo che la passione per la cultura e la lingua cinesi siano una conseguenza di questo; la voglia di conoscere, di sapere e di costruire relazioni tra culture è una propensione che ho sempre avuto dentro. Penso che da qui provenga anche inconsciamente l’idea di questa Fondazione che crea una rete di persone che aiutano altre persone, aperta alle collaborazioni, dove ognuno può contribuire in modo originale. In questo progetto ho potuto mettere insieme questo mio sentire personale con la cultura e l’identità del Gruppo, con la storia e la realtà di Generali. Mariachiara Marzari
A World of Potential
It all came to life after our partners and us discussed how to facilitate access to what is intangible – the human capital –and, consequently, how we can and must show to the public how we help people through our social programmes. We wanted to avoid being self-referential, limiting ourselves to a show & tell approach. We, rather, wanted to make visitors find out their best, and how much better it is if we all put our potential into the game. This is why we chose to build this playful exhibition area, something that invites everyone to reflect. We hired specialized professionals: Dialogue Social Enterprise, from Germany, and its founders, Andreas Heinecke and Orna Cohen. The narrative of the exhibition was built upon the method of positive psychology, a tool to get to know ourselves and our strength developed by American psychologist Martin Seligman and employed in many different cultural contexts.
Taking stock of five years of work, and eight months in Venice
We are a small group, though strongly motivated, and we were supported by a large network of partners and colleagues. Thank to collective effort, we have been able to reach our goals within the first five years of work, which pushes us even more strongly to keep on doing what we do. Regarding our office in Venice, we are happy to have welcomed over 40,000 visitors to A World of Potential. Visitors reacted in many different ways and have been very curious. We kept our ears open and paid attention, trying to engage everyone who comes to see us. To this end, we hired cultural mediators to interact with the public and help them into the right frame of mind. At the end of the visit, people can keep in touch, too. Half of the ticket price is allocated to either the ‘Families’ or the ‘Refugees’ fund – the choice lies with the visitor.
Local cooperations
After the first few months, when we made the necessary adjustments to our work routine, we worked on our 2023 calendar for a rich offer of opportunities. Our goal is to network with other similar spaces in other cities and develop our discourse on sustainability. We also co-founded a Foundation for Venice as World Capital of Sustainability, which will be headquartered right here at the Procuratie Vecchie.
Your own life and work
I am the child of an Italian father and an English mother. They met in Australia, between two different worlds, and maybe that’s where my passion and curiosity for the Other was born. That’s probably why I am so interested in Chinese language and culture. I love to get to know other cultures, to build relationships between them. I believe that’s also why I worked so hard to get this Foundation started, to create a network where each of us can contribute in original ways. Thanks to this project, I have been able to put to good use my personal inclinations with the culture and identity of the Generali Group as well as with their story and their work.
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NEL BIANCO
Testo e foto di Nico Zaramella © worldwide reservedNEL BIANCO
La fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo rappresentano il momento del rendiconto e delle congetture. Il rendiconto sembra una faccenda semplice, essendo una visione realistica di una condizione passata e quindi cristallizzata, non suscettibile di interpretazione. In altri termini si fonda sull’analisi dei dati di fatto e quindi non è opinabile, a meno che i sistemi di misurazione o la catena di trasferimento (di informazione) e comunicazione non siano viziati. I conti si fanno sulla verità; si potrà poi discutere sulle cause ingeneranti i fatti accaduti, ma non sui fatti stessi. Diversamente ho usato il termine “congetture” e non “previsioni” per tutte le poste future, quindi non ancora reali, fatti ancora da registrare e quindi da verificare, sconosciuti, indipendenti dalla semplice volontà pragmatica o astratta, se non totalmente indipendenti dall’intervento umano. Il nostro oggi è un rendiconto gravoso, oneroso, fatto di pandemia, guerra, crisi economica e climatica: in altri termini i quattro cavalieri dell’apocalisse (novellati, ma comunque emuli biblici) che cavalcano ancor oggi insieme in una direzione che nessuno può prevedere ma che potevano essere previsti senza improbabili congetture e dannosi complottismi. Perché, in effetti, se in relazione al futuro si possono formulare solo mere congetture, è altrettanto vero che la corretta lettura del presente e del passato ci consente di ritenere gli eventi che accadranno probabili o improbabili e quindi, talora, prevedibili. Ebbene, conoscevamo benissimo, e per nome, i quattro cavalieri dell’apocalisse; per piena consapevolezza, per intuizione, perché “se ne parlava”: si parlava di storia ed eziologia di ciò che sarebbe accaduto. Forse non potevamo prevedere la rapida e cataclismatica convergenza di questa impetuosa cavalcata, ma sapevamo perfettamente che il sovrapporsi dell’ecosistema uomo a ecosistemi autonomi e diversi avrebbe indotto una irrefrenabile intrusione e una cascata di eventi difficili da controllare, poiché sarebbe stato impossibile prevedere non tanto l’evidente e spregiudicato intervento umano, quanto gli effetti “boomerang” di ogni sconsideratezza. Era ben noto che l’umanità avesse vissuto pochi e miseri giorni di pace, condizione quasi astratta definibile solo in senso negativo come “assenza di guerra”, giacché non mi sembra possibile darne una definizione autonoma positiva o esoterica. L’ultimo secolo è stato letteralmente scandito da continue guerre: mondiali, tribali, dall’estremo al medio Oriente, passando attraverso l’Europa balcanica, l’Africa centrale e del nord. La destrutturazione degli imperialismi, l’avvento delle dittature, o dei monoteismi politici, e delle oligarchie altro non consentiva di prevedere ciò che gli osservatori già prevedevano da una decina d’anni per effetto della crisi del Donbass. Era forse prevedibile che la più europea e occidentale delle ex repubbliche sovietiche, dopo la crisi transcaucasica, avrebbe costituito il più ambito desiderio del neoimperialismo russo, ma, forse, era difficile prevedere che si sarebbe trattato della possibile culla della terza guerra mondiale evidentemente combattuta per sfere di influenza e interposta persona.
Non era certo ignoto che il vero e proprio saccheggio delle fonti energetiche non rinnovabili avrebbe presto o tardi raggiunto il suo redde rationem, che il fulcro dell’esaurimento avrebbe attenzionato il pianeta per l’elevato rischio di inquinamento e sarebbe stata una delle armi più deflagranti di una ipotetica economia di guerra e che l’assoluta dipendenza avrebbe portato a una corsa affannosa agli approvvigionamenti, che rischia di rasentare il disastro ambientale ed economico.
I cambiamenti climatici del pianeta sono notoriamente in atto dalla fine del XIX – inizio del XX secolo. Il trend negativo, con ripercussioni sull’assetto dei ‘condizionatori’ del pianeta – i ghiacci artici e antartici e i più vicini e diffusi ghiacciai –, sulle correnti oceaniche e sui cambiamenti meteorologici, è l’osservato speciale di tutte le organizzazioni internazionali da troppo tempo per sperare in una lieta novella, ovvero l’irrazionale ipotesi che sia tutto uno scherzo. L’incalzare dell’incremento della temperatura del pianeta è direttamente proporzionale allo scriteriato e metodico intervento umano e, purtroppo, le prove a riguardo non sono nemmeno più necessarie. L’ipotesi di un provvedimento di controllo, verso la cui attuazione vede numerosi paesi emergenti e industriali totalmente noncuranti e resistenti, avvicina il drammatico giorno del punto di non ritorno. Purtroppo il comune denominatore del disastro planetario è e rimane, quindi, l’uomo, l’occupazione predatoria del pianeta, l’assenza di un controllo sulla moltiplicazione della popolazione. Una popolazione di otto miliardi di uomini e donne (in continua ascesa) ha invaso la Terra, ne ha sfruttato ogni risorsa per interesse privato o per necessità derivanti dalla sovrappopolazione, ha ucciso, consumato, lordato il mondo ed è inevitabile riconoscere mestamente che ciò è stato malamente giustificato da atteggiamenti fideistici, mistificazioni, cercando in tal modo di edulcorare goffamente il più grave delitto della storia che oggi osserviamo increduli come tanti pagliacci di Nietzsche. Ci perseguiterà la piena consapevolezza di avere distrutto la nostra casa e quella di mille e mille altri esseri viventi che hanno la medesima dignità e diritto di esistenza, ma che hanno saputo vivere adattandosi al pianeta. L’uomo è stato condizionato sin dagli albori da una presunzione di eternità che ha giustificato il florilegio di religioni e filosofie che attengono alla nostra vita tanto quanto la nostra incapacità di giustificare sofferenza e morte in quanto semplici animali. Fragilità e insicurezza umane hanno giustificato la presunzione di un inconsistente primato universale che si rivela oggi nostra prematura fine, logico epilogo di una obesità intellettuale autoreferenziale. Così viaggio attraverso i luoghi intoccati (o quasi) di questo miracolo universale ma il pensiero e le riflessioni rimangono dentro di me: spettatore consapevole di una imminente, cosmica tragedia e al contempo confidando che, se sarà fine, non lo sia anche per il Pianeta che ha saputo, nelle ere che si misurano solo attraverso la geologia, rigenerare più e più volte la vita. Mi rasserena il fatto di essere anche uno spettatore privilegiato, nel palco di prima fila, che gode, giorno dopo giorno, non solo della consapevolezza di cosa sia l’inestimabile ricchezza della Natura mai così a rischio come oggi, che cerco per quanto possibile di trasmettere a tutti coloro che ne hanno interesse, ma anche della egoistica gratificazione della bellezza, della incredibile avventura di una vita, della scoperta ogni giorno di qualcosa da cui lasciarmi sorprendere, dalla possibilità di scrivere nella mia mente, nel mio sentire e con le mie parole ciò che è negato alla stragrande maggioranza delle persone. Sono uno dei reporter della bellezza del pianeta e dei suoi abitanti innocenti e al tempo stesso il frammento di un archivio storico, per quanto evanescente, di qualcosa che sta per scomparire. Nel mio “qui ed ora” sono contornato da esseri uguali a me stesso, troppo vicini, a volte invadenti. Ma anche “nell’altrove” ho scoperto che la solitudine è una astrazione perché qualcuno mi ha sempre accompagnato, visto e non visto, visibile e invisibile, e mi è stato
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Ho appreso che essere ora un po’ orso, ora un po’ volpe, o un po’ lupo è veramente il più grande regalo che ho avuto dalla vita Nico Zaramella
BIANCO
vicino con occhi furtivi nascondendosi al tempo stesso tra i rami e le distese bianche, ma anche nella mia fantasia, nella mia percezione. Sono sempre stato un ospite osservato e accettato. Non c‘erano soltanto Frank, Ole, John, Brad e tanti altri di volta in volta. In realtà c’erano coloro che di diritto mi stavano silenziosamente accanto, coloro che mi osservavano, perché abitanti dei luoghi in cui io mi sono avventurato e in cui continuerò ad avventurarmi finché ciò sarà possibile o sarà nelle mie possibilità. Sono ospiti, nel vero e autentico senso di coloro che danno ospitalità, ora capaci di osservare silenziosamente, caute e invisibili presenze, ora immanenti, palesi e importanti, forse rischiosi in queste meravigliose città ora di alberi ora di ghiaccio. Non nego di avere avuto mille timori all’inizio della mia avventura, ma ho certamente imparato almeno tre cose: osservare, sentire, essere resiliente. Ho imparato a fare un passo indietro ogniqualvolta ciò si rendeva necessario per non disturbare o per non causare il rischio di un inutile scontro. Ho capito che molte volte avrei potuto fare un passo in avanti per cercare una relazione, un contatto, una conoscenza reciproca, ma che allora avrei dovuto farlo con una disposizione estremamente umile: non pensare mai a loro se non come “altro mio pari”.
Mille e più volte mi sono seduto sotto la neve, la pioggia o in condizioni infernali aspettando. Altre mi sono disteso, ho abbassato gli occhi, ho evitato di pensare se non all’altro cercando di intuire ogni più piccolo movimento delle vibrisse, degli occhi, delle orecchie. Così, un po’ alla volta, ho imparato una lingua straniera e non umana. Ho comunicato, ne sono certo, con piccoli movimenti o astenendomi da ogni movimento, con piccoli suoni, con lo sguardo, ma soprattutto ho imparato che un suono, uno sbadiglio, il movimento di una zampa è un segno e non è mai un caso. Io, come voi, io come loro assumiamo espressioni più o meno consapevoli, trasmettiamo segni di disagio o di felicità, di interesse, ansia, aggressività. Ma se questo appare quanto meno logico in un essere umano, la barriera che l’uomo erge con il mondo animale “non domestico” ha fondamenta deteriori radicate nella nostra presunzione: non esiste comunicazione che non sia verbale, non esiste il discorrere che non sia fatto con le nostre parole, né tanto meno intelligenza che non sia quella umana. Basterebbe avere il coraggio della controfattualità per correggere il pensiero e trovare risonanze della sapienza tutte nuove. Perché pensare ai grandi poeti e alla loro lirica espressione quale massima filologia e filosofia della vita quando ignoriamo le centinaia di migliaia di differenti suoni con cui i cetacei comunicano in continuazione? Qualche mese fa al largo della baia di Hudson, alla ricerca della balena bianca, “il beluga”, con un piccolo trasduttore sonoro (un microfono profondamente immerso nell’acqua e amplificato) a bordo di una scialuppa ho ascoltato incantato per ore una incessante comunicazione tra delfini, balene, beluga, orche e chissà quali altri mammiferi marini. Ho capito mai così bene come allora la loro propensione al gioco per puro piacere, quale espressione di felicità e consapevolezza, la loro necessità di comunicare e conoscere, quindi la loro capacità di essere senzienti almeno quanto lo siamo noi. Non potremo mai affermare una graduatoria della autorevolezza intellettuale finché non faremo nostra l’idea che se l’uomo è il più intelligente nella sua umanità, il lupo è il più intelligente nella sua “lupità”, come l’orso è il più intelligente nella sua “orsità”. Gli indiani dicono che se un ago di pino cade nella foresta l’aquila lo vede per prima, il lupo lo sente per primo e l’orso ne sente l’odore per primo.
Gli uomini dalla pelle rossa, nella loro innata empatia per l’ambiente, avevano già da molto tempo sancito il rispetto di una diversità che vede ogni essere senziente prevalere e primeggiare nelle sue inimitabili specificità. Nel mio mondo fatto di un incredibile parlamento di piccoli e grandi esseri di ogni colore, di città fatte di alberi o di ghiaccio, senza alcun negozio, la diversità è un valore incredibile e insostituibile, una attestazione di complementarietà irrinunciabile in un ecosistema perfetto. Il primato della diversità di tutti gli organismi, di tutte le entità che popolano questo meraviglioso pianeta determina la costruzione, con regole e leggi chiare, di una inimitabile democrazia. I nostri fratelli vivono in equilibrio perfetto con il pianeta, con le sue stagioni e la sua meteorologia in un processo evolutivo di adattamento che li ha resi interpreti eletti del loro essere integrati e non dannatamente dissociati e belligeranti. Ed è seguendo questo atavico equilibrio che ho imparato a interpretare non solo i segni della loro presenza, ma anche a tentare di trovare e rappresentare le loro relazioni con l’ambiente: una sorta di animalscape cercando di integrare “l’interprete” nel suo più appropriato “proscenio”, che a ben vedere è quella delicata, naturale integrazione che la nostra scarsa avvedutezza ha interrotto perché ogni essere vivente privato del suo pabulum naturale inevitabilmente si estingue. Non è un mistero, per coloro che mi conoscono, che il mio non facile regno è perso tra i ghiacci. Un mondo che non abbandonerò sino a che tutti noi non saremo abbandonati. In questo mondo cristallino e bianco vive uno straordinario e silenzioso esercito di bianchi e fantasmatici esseri perfettamente adattati alla massima espressione di inospitalità del pianeta. Colori che rendono perfetto il mimetismo con la concessione di pochi tratti di china cinese che ne abbelliscono infinitamente i connotati, foltissime pellicce, la capacità di resistere a temperature che spesso rasentano i 65-70 gradi al di sotto dello zero.
A sud un mondo fatto di pinguini, il regno degli uccelli che non volano. A nord una folla di strani abitanti protagonisti di un romanzo mai letto di Tolkien o di un film mai visto di Chris Weitz. Tenui figure nel bianco, anch’esse candide, ora furtive ora evidenti presenze, fuggevoli o imponenti. Per molto tempo mi sono sentito intruso e curioso, ma oggi, dopo molti anni di incursioni in questi straordinari spazi bianchi, il mio “male polare” mi attira tra loro. Mi percepisco parte di quel mondo e in armonia con quei bianchi fratelli nel bianco. Ho imparato a camminare con passo leggero. Ora so guardare e non solo vedere; ho imparato che l’immobilità e l’osservazione valgono più di ogni scatto fotografico. Ho appreso che essere ora un po’ orso, ora un po’ volpe, o un po’ lupo è veramente il più grande regalo che ho avuto dalla vita. Il mio più grande cruccio è e sarà quello di non poter trasmettere mai appieno la profondità di queste emozioni e sensazioni, la consapevolezza di che cosa davvero è dato vivere in simili contesti. Ma soprattutto, e ancor più grande, il senso di impotenza rispetto al futuro che verrà. Non rimpiangerò mai i giorni passati e quelli a venire nel mondo di ghiaccio, dove non solo l’acqua, ma anche il tempo si cristallizza in attesa di un futuro che spero sia solo figlio di “congetture” ed errate previsioni.
Mi fermo ora in questa bellezza naturale e spero di non vedere, domani, l’orso polare giacere impotente e triste su uno scoglio in mezzo al mare che fu città di ghiaccio.
christmasdiary pag. 30
christmasbest pag. 32
christmastaste pag. 46
shopping&more pag. 50
christmasscreenings pag. 52
newyearstory pag. 56
christmasbooks pag. 60
christmastrekking pag. 62
christmas diary
Il meglio delle feste natalizie Concerti, spettacoli, balletti, aperture straordinarie
christmas diary
08 dicembre December
JOSMIL NERIS
Soul Lovers Night
Fondaco dei Tedeschi h. 18 09 dicembre December
NDUDUZO MAKHATHINI
Live jazz Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 19.30
10 dicembre December
LA NOTTE DEI REGALI
Spettacolo per bambini Teatrino Groggia h. 16.30
ASHER FISCH direzione e piano Musiche di Mozart e Brahms Teatro La Fenice h. 20
BIG VOCAL ORCHESTRA
All I want for Christmas is… Teatro Goldoni h. 19 11 dicembre December
BIG VOCAL ORCHESTRA
All I want for Christmas is… Teatro Goldoni h. 16/19
CUOR
Spettacolo di Sandra Mangini con Eleonora Fuser Scuola Grande San Giovanni Evangelista h. 18
ASHER FISCH direzione e piano Musiche di Mozart e Brahms Teatro La Fenice h. 17 12 dicembre December
LO SCHIACCIANOCI
Conferenza con proiezioni
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 18 13 dicembre December
LEONORA SUONA DÉODAT
Leonora Armellini pianoforte Palazzetto Bru Zane h. 19.30
16 dicembre December
CLAUDIO BAGLIONI
Live concert Teatro Malibran h. 21 17 dicembre December
CHARLES DUTOIT direttore Musiche di Ravel, Mozart, Debussy, Stravinsky Teatro La Fenice h. 20
18
dicembre December
AVVENTO IN MUSICA
Roberto Bonetti organo Plamena Angelova soprano Chiesa di San Trovaso h. 16
GLI OMINI ROSSI E BABBO NATALE
Spettacolo per bambini Teatro Momo-Mestre h. 16.30
CONCERTO DI NATALE DEL CORO DEL TEATRO LA FENICE
Piazza Ferretto-Mestre h. 17/18
20
dicembre December
CONCERTO DI NATALE
Diretto da Marco Gemmani Basilica di San Marco h. 20
BEST OF NOA with GIL DOR & SOLIS STRING QUARTET
Live concert Teatro La Fenice h. 20
JERRY CALÀ LIVE SHOW
Piazza Ferretto-Mestre h. 18
21
dicembre December
CONCERTO DI NATALE
Diretto da Marco Gemmani Basilica di San Marco h. 20
22
dicembre December
AVVENTO IN MUSICA
Marco Ciferri organo Chiesa di San Trovaso h. 16
CONCERTO DI NATALE
Diretto da Marco Gemmani Basilica di San Marco h. 21
ALEX BRITTI Tour sul divano 2022 Teatro Toniolo-Mestre h. 21
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dicembre December
MAGICAL MYSTERY ORCHESTRA
The Beatles: Christmas time is here again!
Teatro Toniolo-Mestre h. 21
26
dicembre December
CORO PUERI CANTORES DEL VENETO
Piazza Ferretto-Mestre h. 15/16.30
28
dicembre December
GL’INNAMORATI
Regia di Andrea Chiodi Teatro Goldoni h. 19
BIG VOCAL ORCHESTRA
Live gospel Piazza Ferretto-Mestre h. 18
29
dicembre December
GL’INNAMORATI
Regia di Andrea Chiodi Teatro Goldoni h. 19
CONCERTO DI CAPODANNO
Diretto da Daniel Harding Teatro La Fenice h. 20
NERI PER CASO Natale per caso Piazza Ferretto-Mestre h. 18
30 dicembre December
CONCERTO DI CAPODANNO
Diretto da Daniel Harding Teatro La Fenice h. 17
GL’INNAMORATI Regia di Andrea Chiodi Teatro Goldoni h. 19
COPPÉLIA
Balletto di Amedeo Amodio Teatro Toniolo-Mestre h. 21
31 dicembre December
CONCERTO DI CAPODANNO
Diretto da Daniel Harding Teatro La Fenice h. 16
GL’INNAMORATI Regia di Andrea Chiodi Teatro Goldoni h. 21
SPETTACOLO PIROTECNICO
DI CAPODANNO Bacino San Marco h. 24
THE BLACK BLUES BROTHERS Spettacolo acrobatico di Capodanno Teatro Toniolo-Mestre h. 21.30
DJ RINGO PRESENTS: ROCKIN’ NEW YEAR Piazza Ferretto-Mestre h. 22
01 gennaioJanuary
CONCERTO DI CAPODANNO
Diretto da Daniel Harding Teatro La Fenice h. 11.15
THE BLACK BLUES BROTHERS Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
06 gennaioJanuary
REGATA DELLE BEFANE Canal Grande – Rialto h. 12
SCARPETTE ROTTE
di Emma Dante Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
christmas best
Intervista NoaLA SCELTA MIGLIORE
Per noi musicisti, la musica è tutto: è in testa, nel cuore, nel corpo, sempre. È come una radio che non puoi spegnere
Arriva al Teatro La Fenice l’inimitabile voce di Noa. La celebre cantante israeliana, paladina dei diritti di pace e straordinaria interprete della musica internazionale, è protagonista del concerto del 20 dicembre promosso da Veneto Jazz che anticipa le festività natalizie e porta sul palcoscenico vecchi amici ancora prima di musicisti, per una serata in compagnia del meglio del suo repertorio. Dalle sue parole traspare tutta l’impazienza di incontrare il pubblico in un luogo tanto magico.
Quali le emozioni per un ritorno alla tanto attesa dimensione live e quale il filo conduttore di questo suo tour in termini di selezione, di costruzione delle scalette dei pezzi proposti?
Sono molto contenta di poter suonare in questo teatro bellissimo, in una delle città più belle e culturalmente importanti del mondo. Un onore! Per me è anche un’occasione per ritrovare il quartetto Solis String, con cui avevo registrato due album e suonato dal vivo in molti concerti dieci anni fa. Negli ultimi tempi ci sono state davvero poche occasioni per rivedersi. Quale migliore occasione di Venezia per farlo? Nel concerto proporremo alcuni nuovi pezzi dei Solis e alcuni miei, sia in inglese che in ebraico, scelti tra i migliori, con arrangiamento dei Solis e di Gil Dor. Ci saranno alcune canzoni dal progetto Letters to Bach, alcune per voce e chitarra e alcune per voce e
archi. E poi due pezzi nuovi, uno scritto da Gil per archi, Folk, e uno scritto da me e Gil, una corale dal titolo I Sea You, che suoneremo per la prima volta dal vivo.
Che ruolo riveste la musica nel suo quotidiano e quale musica le capita di ascoltare quando non è lei stessa ad offrirla al proprio pubblico dal palco? Non le ha mai detto nessuno che i veri musicisti non ascoltano musica?! È una battuta, s’intende, ma neanche troppo. Perché per noi musicisti la musica è tutto: è in testa, nel cuore, nel corpo, sempre. È come una radio che non puoi spegnere, per questo preferisco il silenzio quando posso. A volte ho bisogno di un po’ di sollievo oppure di ispirazione, e allora torno ai miei vecchi album preferiti, le mie “isole deserte”: Paul Simon, Joni Mitchell, Leonard Cohen, Sting… O magari cerco cose nuove su Spotify o su Instagram. Se ne fanno sempre di scoperte eccellenti!
Venezia è sinonimo di cinema. Indimenticabile il suo sodalizio con Benigni e Piovani per La vita è bella : quali i ricordi di quella esperienza? Ci sono i presupposti per altre sue collaborazioni in ambito cinematografico in Italia o in altri Paesi? A Nicola Piovani devo uno dei più bei regali della mia vita, quando appunto mi ha chiesto di scrivere le parole per il tema principale di quel film stupendo, che poi
The inimitable voice of Noa will soon visit the Fenice Theatre. The famous Israeli performer, a champion of peace and extraordinary interpreter of international music, will be on stage on the next December 20 for a concert promoted by Veneto Jazz that will anticipate Christmas and bring together what, more than fellow musicians, are old friends. In Noa’s words, the joy of meeting her audience in such a magical place.
An important concert on the Fenice stage with a programme that draws from the best of your repertoire. How do you feel about such a meaningful return on stage and what guided you in choosing the playlist of your show?
I am thrilled to be able to perform in this amazing theatre in one of the most beautiful and culturally important cities in the world! what an honour! For me, it is a chance to re-unite with the Solis String Quartet, with whom I recorded two albums and did many, many concerts ten years ago. Over the past decade, I had very few opportunities to see them, which makes this reunion all the more exciting, and Venice is the perfect place for it to happen! The repertoire will consist of some original, beautiful compositions by Solis, a selection of my own compositions in English and Hebrew (a bit of a best of ) arranged for strings by Solis and Gil Dor, selections from my album Letters to Bach – some for guitar and voice and some with the Solis Quartet, and two new pieces, one written by Gil for strings, called Folk, and the other written by me and Gil, a new chorale called I Sea You. It will be the first time this latter song is performed live!
Hasn’t anyone ever told you that real musicians don’t listen to music?! A bit of a joke, but not quite! We musicians have music running through our head, our heart, our body, all the time! It’s crazy, like a radio you can never turn off! That’s why I prefer quiet. There are times that I need comfort or inspiration, and I go back to my favourite albums like Paul Simon, Joni Mitchell, Leonard Cohen, Sting, and more… I also search for new, interesting stuff on Spotify, or Instagram, and so on… I always discover beautiful new music this way.
Best of Noa 20 dicembre Teatro La Fenice www.venetojazz.com
What role does music have in your daily life, and what music do you listen to when you are not the one playing?Image by Ronen Akerman for Afterallogy
Christmas Art Installation
Surreal, dream-like installations curated by Studio Mary Lennox, one of the leading and sought after floral designers worldwide.
The St. Regis Venice, San Marco 2159, 30124, Venezia, Italia, +39 041 240 0001 - stregisvenice@stregis.com
christmasbest
NOA
sono diventate il contenuto testuale della canzone Beautiful that Way. Quel lavoro è stato un viaggio nel profondo dello spirito umano, per poi tornare in superficie e scrivere. Ho incontrato Roberto Benigni due o tre volte ed è sempre stato estremamente carino e divertente. Io lo adoro. Con Nicola c’è anche di più, un’amicizia molto profonda che si è sviluppata nel corso degli anni. La mia connessione col cinema? Tanto per cominciare diciamo semplicemente che mi piace molto! Ho scritto molti temi musicali e canzoni per il cinema, ad esempio il testo di My Heart Calling per Joan of Arc di Luc Besson. Sono anche presidente onoraria del Capri Hollywood International Film Festival, che si tiene ogni anno verso Capodanno.
Più di recente mi è stato chiesto di scrivere una canzone per un film d’animazione sulla vita di Gino Bartali; ovviamente ho accettato e non vedo l’ora di lavorarci sopra.
Impossibile ignorare quello che sta succedendo in Ucraina: una guerra che cambia forma e diventa presto routine, cosa a cui la coscienza assurdamente si abitua, notizia tra le tante di un loop mediatico senza fine. Cosa può fare concretamente il mondo dello spettacolo per rendere più significativa la visibilità mediatica di questo ennesimo conflitto?
Noi artisti possiamo fare molto, ma il nostro intervento è efficace solo quando ci sono i numeri. Quando facciamo gruppo e presentiamo un fronte unito per una causa rilevante allora possiamo promuovere dei cambiamenti importanti. Che sia l’Ucraina o il conflitto israelo-palestinese, la crisi climatica o ogni altro fronte critico, è insieme che dobbiamo lavorare, senza paura. Solo così potremo contribuire utilmente, a fare qualcosa di concreto.
Venice is synonymous with cinema. We never forgot your work with Benigni and Piovani for Life is Beautiful. What memories do you hold dear about that experience? Do you see further work with cinema in your future, whether in Italy or abroad?
Nicola Piovani gave me one of the great gifts of my life by approaching me to write the lyrics of the theme song for that amazing film and record it. Wow, what a trip into the depth of the human spirit was demanded of us to later come back the surface and write those lyrics. I met Roberto two or three times, and he was always so nice and funny – I adore him. With Nicola, it’s much more than that. A deep, deep friendship has developed over the years. As for my connection to Cinema, to begin with I’m a huge fan! In fact, I have written several theme songs to films, like the lyrics to My Heart Calling for Joan of Arc by Luc Besson. I am also the honorary president of the Capri Hollywood International Film Festival. Most recently, I have been asked to write a song for an animated film about the life of Gino Bartali, which is exciting.
One cannot ignore what is happening in Ukraine: a war that shapeshifted into routine, something you have to get used to, a piece of news among many. What can show business do, pragmatically, to make the mediatic visibility of the conflict more meaningful?
Artists can do a lot, but it is only effective when it’s in numbers. When we come together a group, as a united front, a powerful cause, we can make a better change. Whether it be Ukraine, the Israeli-Palestinian conflict, the Climate Crisis or any other important issue, we must work together, fearlessly, if we want to make an impact.
christmas diary
IN VENICE CONCERTS
Atto di nascita
Un concerto esclusivo alle porte della settimana di Natale. Il 20, 21 e 22 dicembre la Basilica di San Marco ospita l’esecuzione di una partitura che raramente avremo ancora modo di ascoltare, soprattutto nel luogo in cui e per cui è nata. Claudio Merulo fu infatti primo organista della Cappella Marciana nel periodo tra il 1565 e il 1584 formando con Andrea Gabrieli una formidabile coppia organistica, celebre all’epoca. Nell’incarico di compositore marciano, scrisse nel 1582 la Messa di Natale per il 25 dicembre di quell’anno. La Cappella Marciana era in quell’epoca fulcro mondiale della sperimentazione sui linguaggi musicali, sulle dinamiche sonore e sulla policoralità. A San Marco furono messi a punto i suggestivi “cori battenti”, modello compositivo che fu esportato successivamente in altri importanti centri musicali. Merulo, con la sua indefessa attività, curiosità e operatività portò un importante contributo all’evoluzione dei linguaggi musicali, all’epoca in forte fermento sulla scia delle evoluzioni della scuola fiamminga, proseguita in Italia da importanti compositori come Orlando di Lasso (1532-1594) e soprattutto, per la scuola veneziana, Adrian Willaert (1490-1562).
A dirigere i musici di questa antica istituzione, ininterrotta dal XIV secolo ad oggi, il Maestro di Cappella Marco Gemmani, insediatosi alla Cappella Musicale della Patriarcale Basilica di San Marco nel 2000 e autentico deus ex machina di importanti ed esclusive esecuzioni nonché ricercatore di vaglia, autore di trascrizioni e pubblicazioni varie. Per il concerto di Natale, accanto all’organico della Cappella Marciana troviamo quello di una delle più prestigiose istituzioni per la ricerca, la valorizzazione e l’esecuzione del patrimonio musicale antico, la svizzera Schola Cantorum Basiliensis. Andrea Oddone Martin
Birth ENG certificate
An exclusive concert, mere days before Christmas. On December 20, 21, and 22, St. Mark’s Basilica will host the performance of a piece of music that is seldom executed. Between 1565 and 1584, Claudio Merulo was the first organist at Cappella Marciana (the Basilica’s music performers) and in 1582, he wrote music for Christmas service. In those years, the Cappella Marciana was a centre of musical experimentation, visited by musicians from all over the continent, like the Flemish Orlande de Lassus and Adrian Willaert. Their innovations reverberated all over the main centres of musical production in Europe. They have been a thing since the fourteenth century and they are today directed by Marco Gemmani. For the upcoming concert, they will be joined by one of the most prestigious institutions for the research and execution of ancient music, the Schola Cantorum Basiliensis from Switzerland.
Concerto diretto da Marco Gemmani 20, 21, 22 dicembre Basilica di San Marco www.teatrolafenice.it
Il caldo abbraccio
I grandi classici del repertorio americano e italiano interpretati dalla voce scura e coinvolgente della cantante domenicana Josmil Neris. È il nuovo appuntamento del Fondaco dei Tedeschi, firmato in collaborazione con Veneto Jazz, in programma giovedì 8 dicembre.
Josmil Neris nasce in un contesto familiare dove predomina la musica ed è proprio lo zio, pastore protestante e chitarrista, che la incoraggia a cantare.
Ben presto definisce il proprio stile vocale espressivo e versatile strettamente influenzato dalla black music e comincia a interessarsi al jazz, soul, blues e R&B senza tralasciare le proprie origini legate alla musica latina e italiana.
Con il progetto del 2020, Quiero el sur, segna un ritorno alle origini, quelle che ci identificano e non ci abbandonano mai. La musica diventa veicolo per (ri) avvicinarsi a terre lontane attraverso un viaggio che vede come protagonisti i brani più belli della tradizione spagnola e latinoamericana riproposta in chiave jazz.
Josmil è anche corista negli Hallelujah Gospel Singers della cantante americana Cheryl Porter assieme alla quale ha cantato per il tour di Zucchero in Piazza San Marco nel 2018 e con Marco Mengoni nel 2019 nella trasmissione E poi c’è Cattelan
Gli standard classici e irrinunciabili del Natale si vestono di freschezza e rinascono con una luce nuova grazie agli arrangiamenti accattivanti e la maestria dei musicisti che accompagnano la calda voce di Josmil Neris: Marco Ponchiroli al piano, Alvise Seggi al basso, Marco Carlesso alla batteria.
The warm ENG embrace
The classics of American and Italian repertoire performed by the dark, enthralling voice of Dominican singer Josmil Neris for a new appointment at Fondaco dei Tedeschi on December 8, produced in cooperation with Veneto Jazz. Josmil Neris was born in a musical family. Her uncle, a pastor and guitarist, encouraged her to sing, and soon she would define her expressive vocal style, influenced by black music, jazz, soul, blues, and R’n’B. Her 2020 project, Quiero el sur, is a return to basics, the things we identify with and that never leave us. Music is a vehicle to get (back) to faraway lands, in a journey constellated with the most beautiful songs of Spanish and Latin American tradition, arranged in jazz key. Josmil Neris is also a chorister in Cheryl Porter’s Hallelujah Gospel Singers. Porter and Neris sang with Zucchero in Venice in 2018 and with Marco Mengoni in 2019. Classic standards and Christmas music don fresh clothing thanks to interesting arrangements and the ability of the instrumentalists who accompany Josmil Neris: pianist Marco Ponchiroli, bassist Alvise Seggi, drummer Marco Carlesso.
Soul Lovers Night
8 dicembre Fondaco dei Tedeschi www.venetojazz.com
Make my wish come true
Al Teatro Goldoni il 10 e 11 dicembre la Big Vocal Orchestra diretta da Marco Toso Borella porta un concerto-spettacolo unico nel suo genere, con brani che spaziano attraverso tanti generi musicali diversi: dalle colonne sonore di film a celebri brani di musical, dagli spirituals al contemporary gospel, alla polifonia classica passando per alcuni capolavori del pop-rock internazionale fino a opere classiche, il tutto con arrangiamenti originali accompagnati da intense letture teatrali, coreografie, effetti video e luci. Dopo tre anni di assenza dal palco del Teatro Goldoni, la Big Vocal Orchestra è pronta per tornare a cantare in occasione di uno dei concerti di Natale più attesi in città.
Tre repliche consecutive per uno show che sa emozionare e sorprendere, con un repertorio originale e del tutto inaspettato, per stringere il pubblico in un enorme abbraccio musicale. Palcoscenico e platea saranno travolti dalle oltre 200 voci dell’orchestra vocale più numerosa d’Italia.
ENG At Goldoni Theatre, on December 10 and 11, Marco Toso Borella will conduct the Big Vocal Orchestra in a concert show that is one of a kind, with songs from many different genres, from film music, to musical theatre, to spirituals, gospel, classic polyphony, international pop rock, opera – all with original arrangements and accompanied by intense theatre pieces, choreography, and video effects. The Big Vocal Orchestra, counting 200 members and the largest in Italy, is back on stage at the Goldoni after three years.
All I Want for Christmas is… 10, 11 dicembre Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it
Il Palazzetto Bru Zane propone per il tradizionale concerto di Natale un invito alla scoperta di repertori pianistici inesplorati interpretati da Leonora Armellini, proseguendo lungo il solco della propria mission di riscoperta musicale. La giovane pianista padovana si esibisce per la prima volta sul palcoscenico della fondazione veneziana e affronta un programma che vede l’esecuzione di musiche del compositore Déodat de Séverac (1872–1921), formatosi al Conservatorio di Tolosa e poi alla Schola Cantorum di Parigi. Compositore che partecipa al rinnovamento della musica francese concentrandosi sulle musiche popolari del Sud-Ovest del suo Paese, come si ascolta nella suite proposta nel recital En languedoc. Ad affiancarlo nell’effervescente panorama della Belle Époque francese, vengono eseguite nel programma del concerto anche pagine di Claude Debussy, mentre la Champagne-Valse di Isaac Albéniz contribuisce a dimostrare i fecondi legami artistici che si allacciano tra i due versanti dei Pirenei alla svolta del nuovo secolo.
In anteprima esclusiva per gli spettatori del concerto sarà disponibile al bookshop del Palazzetto Bru Zane il CD Les Nuits de Paris, dedicato alle musiche da ballo dell’Ottocento francese, con François-Xavier Roth e l’orchestra Les Siècles.
ENG For their traditional Christams concert, Palazzetto Bru Zane invites you to listen their newest instalment in their musical rediscovery mission. Pianist Leonora Armellini will perform music by Déodat de Séverac (1872-1921). Séverac is a composer who participated to the renewal of French music by working on popular music of south-western France, as we can appreciate in the suite contained in recital En Languedoc. Aside from him, Armellini will perform music by Debussy and Albéniz. In a private pre-sale for the concert patrons, Palazzetto Bru Zane’s bookshop will offer CD Les Nuits de Paris, dedicated to nineteenth-century French ball music, performed by François-Xavier Roth and orchestra Les Siècles.
Leonora suona Déodat 13 dicembre Palazzetto Bru Zane bru-zane.com
christmas diary
IN VENICE
NEW YEAR’S EVE
Un
anno nuovo
Quattro date per il concerto di Capodanno 2023 alla Fenice: giovedì 29, venerdì 30, sabato 31 dicembre e domenica 1 gennaio con la consueta diretta televisiva su Rai1 a partire dalle ore 11.15. Il Concerto è divenuto nel corso degli anni un appuntamento sempre più atteso dal pubblico televisivo e teatrale, la prima esecuzione si tenne nel 2004 e fu diretta da Lorin Maazel, l’edizione di quest’anno vede Daniel Harding sul podio a dirigere l’Orchestra della Fenice, mentre il Coro del Teatro è diretto da Alfonso Caiani, con la partecipazione del soprano Federica Lombardi e del tenore Freddie De Tommaso.
Daniel Harding, inglese, nato a Oxford, enfant prodige della musica classica, ha iniziato appena diciannovenne una carriera sfolgorante sotto l’ala di Simon Rattle e poi di Claudio Abbado ed è oggi considerato uno dei massimi direttori viventi. Quello di Harding rappresenta un felice ritorno dopo le diverse apparizioni degli ultimi anni: nel 2010-2011, nel 2014-2015 e in quella, in piena pandemia, del 2020-2021, che si svolse senza pubblico in sala ed esclusivamente per la diretta televisiva di Rai 1. Come da tradizione, il programma musicale è diviso in due parti: una prima esclusivamente orchestrale e una seconda dedicata al melodramma con una carrellata di arie, duetti e passi corali. Di seguito il programma di sala: Felix Mendelssohn Bartholdy, Sinfonia n. 4 in la maggiore op. 90 ; Wolfgang Amadeus Mozart, Le nozze di Figaro ouverture ; Pëtr Il’ič ajkovskij, La bella addormentata Panorama ; Vincenzo Bellini, Norma «Casta diva»; Georges Bizet, Carmen «La fleur que tu m’avais jetée»; Wolfgang Amadeus Mozart,
La clemenza di Tito «Che del ciel che degli dei»; Pietro Mascagni, Cavalleria rusticana Intermezzo ; Giacomo Puccini, La bohème «Quando m’en vo’», Turandot «Nessun dorma»; Gioachino Rossini, Guglielmo Tell Allegro vivace dall’ouverture ; Giuseppe Verdi, Nabucco «Va, pensiero, sull’ali dorate»; Giacomo Puccini, Turandot «Padre augusto»; Giuseppe Verdi, La traviata «Libiam ne’ lieti calici»
Un concerto che rappresenta un momento di speranza e di apertura verso un nuovo anno di successi, segnando con un classico repertorio da belcanto l’allegra atmosfera che accompagna i giorni di fine e inizio anno. Venezia ha osato rivaleggiare con Vienna, capitale indiscussa del concerto di inizio anno – il Concerto di Capodanno di Vienna, Das Neujahrskonzert der Wiener Philharmoniker è il tradizionale concerto della Filarmonica di Vienna che si tiene dal 1939 a Capodanno nella sala dorata del Musikverein di Vienna – non era scontato che la Fenice potesse affermarsi con successo nel corso degli anni, invece i dati di ascolto televisivo e di gradimento da parte del pubblico a teatro dimostrano un dato incontrovertibile. Venezia e la Fenice rappresentano sempre più un punto fermo nel panorama musicale internazionale e anche per le festività di fine anno dalle parti di San Fantin si odono echi di applausi convinti. Libare nei lieti calici (di Murano, of course ) è il viatico migliore per affidare alla sorte benevola i destini di anni sempre meno certi.
Il richiamo della musica che insegue un ponte ideale tra Venezia e Vienna vorremmo potesse espandersi fino alla martoriata Ucraina, con un reale canto di libertà. Fabio Marzari
A New
Year
ENG
The New Year’s Concert at the Fenice Theatre is a fourfold: December 29, 30, 31, and January 1 are the dates. It’s become its own tradition over the years, since its first edition in 2004 with conductor Lorin Maazel. The upcoming concert will be conducted by Daniel Harding, with performances by the resident Fenice Orchestra, the Choir, soprano Federica Lombardi, and tenor Freddie De Tommaso. Englishman Daniel Harding was an enfant prodige of classical music, and his professional career began as early as in his late teens under the patronage of Simon Rattle first, and Claudio Abbado later. The concert’s programme lists arias, duets, and choruses from famous opera and symphony works. It always ends with a performance of Libiam ne’ lieti calici from Verdi’s Traviata. The Fenice Theatre took on no less than the Wiener Philharmoniker, whose Neujahrskonzert has been held every year since 1939. We can only hope that this ideal musical bridge from Venice to Vienna can extend all the way over to Ukraine in real song of freedom.
Concerto di Capodanno 29, 30, 31 dicembre; 1 gennaio 2023 www.teatrolafenice.it
Mezzanotte in punto
Inconfondibili profili architettonici illuminati a giorno, sagome che si stagliano imponenti nella notte, repentini nel cambiare tonalità per pochi secondi, istanti di passaggio attraverso la mezzanotte che restano impressi nella memoria come fotografie dell’album di ricordi che custodiamo per tutta la vita. Venezia non delude mai, del resto... come potrebbe?
Lo spettacolo di capodanno sull’acqua è un modo unico di salutare l’anno che se ne va e dare il benvenuto a quello in arrivo in un luogo magico, capace di donare l’impagabile sensazione di essere nel posto giusto al momento giusto per godersi l’attimo degli attimi, tutti col naso all’insù, in uno straordinario rito collettivo.
Riva degli Schiavoni, Riva Ca’ di Dio, Riva San Biagio, Riva Sette Martiri (i fuochi non sono visibili da Piazza e Piazzetta San Marco) sono la platea dove godere di uno spettacolo che è un’apoteosi di luci e colori, per una città che non può che ammirare sé stessa specchiandosi meravigliata nella Laguna. Che la notte di San Silvestro sia il momento in cui lasciarsi tutto alle spalle o conservare quante più cose possibili, il vero must è trascorrere la mezzanotte inondati dall’incanto dei mille colori e bagliori che illuminano il cielo veneziano.
Capodanno a Venezia 31 dicembre Bacino San Marco events.veneziaunica.it
The spell of ENG the first midnight
The amazing skyline of Venice shines bright under the midnight moon, its shapes standing out in the night and going through all shades and hues for a few instants. Burned in our eyes and our hearts, these are images we will cherish for a lifetime. Venice never disappoints us, and how could that even be possible? The fireworks show will accompany us to the end of the year and the beginning of a new one while standing in a place of magic, the priceless feeling of being in the right place and the right time to live the moment of all moments in the place of all places. A collective rite, heads upwards, with the long embankment of Riva degli Schiavoni, Riva Ca’ di Dio, Riva San Biagio, Riva Sette Martiri as the stage of the city admiring itself in the mirror of the lagoon waters. An image that cannot be replicated anywhere else in the world. May this midnight of December 31 be a moment to leave it all behind or to bring on to the new year however many good things last year gave you, starting with the myriad colours Venice dons tonight, just for you.
ICE SKATING
Chi non ha mai desiderato volteggiare sul ghiaccio sulle note delle più belle canzoni natalizie? Poche cose ‘fanno’ Natale come le lame dei pattini che sferzano il ghiaccio, un berretto di lana con il pon-pon e un paio di calde muffole tra cui stringere una bella tazza di cioccolata bollente. Anche quest’anno, per la gioia di grandi e piccini, sono state allestite le piste di pattinaggio su ghiaccio in Campo San Polo a Venezia e in Piazza Ferretto a Mestre, aperte tutti i giorni, rispettivamente fino al 21 febbraio la prima, e all’8 gennaio la seconda, con possibilità di noleggio pattini in loco. Musica, animazioni ed esibizioni artistiche di giovani professionisti intratterranno anche chi indugia a bordo pista temendo il famigerato ruzzolone... ma sennò che gusto c’è?!
ENG Few things say “Christmas” as loud as an after- noon at the ice skating rink with the notes of the most beautiful Christmas songs. Don your pom- pom hat and warm mittens, get high on a cup of chocolate, and off you go. Again this year, the rinks are in Campo San Polo Venice, and in Piazza Ferretto Mestre. They are open every day and you can rent skates on the remises. Athletes will occasionally show up to entertain the public nursing their warm beverage, but fear not, try your hand and take a tumble, that’s the fun part! fino 21 febbraio 2023, Campo San Polo fino 8 gennaio 2023, Piazza Ferretto-Mestre events.veneziaunica.it
REGATA DELLA BEFANE
Sono tante, tantissime, provengono da ogni latitudine. Imbacuccate, bardate da scialli dai colori improbabili e non proprio avvenenti nell’aspetto, le protagoniste di questa regata in Canal Grande brillano per spirito agonistico, ben determinate ad arrivare per prime al traguardo. Braccia poderose a tradire un fisico non proprio femminile –in realtà si tratta di veri e propri veterani del remo over 55 scelti attraverso accurate selezioni –, le Befane si lasciano abbracciare dall’accoglienza della folla che festante ne celebra l’arrivo tra cioccolata calda, vin brulè e caramelle, per salutare assieme il nuovo anno e la fine delle feste. ENG They’re many, so many, and they come from every latitude. Dressed in unlikely garments of questionable fashion, the other-than-stunning ladies known as Befane are the protagonist of a surprisingly competitive rowing race on the grand canal. Strong arms over an unfeminine build (have you realized they’re actually men over 55 in full drag?), the Befane give the crowd one more reason to celebrate with hot chocolate, mulled wine, and candy.
6 gennaio h. 12 Canal Grande, arrivo Ponte di Rialto events.veneziaunica.it
christmas diary
IN VENICE THEATRES
Noi siamo la città
Mattia Berto e The Human Safety Net uniti per Venezia
In una città come Venezia, incrocio di culture e di persone, che invece di accrescere la comunità residente la sta desertificando, azioni singole possono produrre reazioni multiple. L’esempio più significativo in questa direzione è rappresentato dal lavoro instancabile di Mattia Berto, attore, regista e direttore artistico, ma soprattutto cittadino di Venezia. È stato direttore artistico del Teatro Dario Fo di Camponogara e per dieci stagioni del Teatrino Groggia a Venezia. Quest’ultimo ha rappresentato, sul territorio, un’esperienza di rigenerazione urbana unica nel suo genere. La forte convinzione che il teatro debba essere uno strumento di indagine sociale e materia di comunità ha portato Mattia Berto a teorizzare il suo Teatro di Cittadinanza, che grazie alla sinergia con il Teatro Stabile del Veneto e altre istituzioni cittadine e del territorio, ha animato tanti luoghi della città. Cittadini di tutte le età e di tutti i vissuti sono i suoi attori, in un’idea di inclusione totale e condivisione. Forte di questa entusiasmante esperienza, Berto porta ora il suo Teatro di Cittadinanza in una nuova casa, quella di The Human Safety Net, alle Procuratie Vecchie di Piazza San Marco, creando lo spin-off Agorà Venezia : una serie di appuntamenti in dialogo con i temi della condivisione, della memoria storica collettiva e della sostenibilità. In una realtà culturale pronta ad accogliere nuovi progetti per ritornare a un’idea di Venezia aperta e inclusiva, il Teatro di Cittadinanza si è ispirato al
percorso della mostra interattiva A World of Potential ospitata al terzo piano delle Procuratie, ma anche alla storia di Piazza San Marco e ai momenti di festa che ne hanno caratterizzato la vita, per creare, in chiave contemporanea, un ponte tra Venezia e lo spazio pubblico delle Procuratie, interpretate come una vera e propria casa aperta a tutti, per ritrovare e celebrare la dimensione di comunità. Due gli appuntamenti che inaugurano questa nuova fase: un laboratorio teatrale, dal 2 al 4 dicembre, che invita 25 cittadini-performer ad attivare il proprio potenziale e a ricercare i propri punti di forza, come la curiosità, la gratitudine, la speranza, il lavoro di squadra, per stare bene con sé stessi e con gli altri e avere un impatto concreto e positivo sulla società. Il loro lavoro trova un’immediata restituzione alla città la sera del 4 dicembre nel Gran Ballo di Cittadinanza, quando tutta la comunità è invitata a partecipare a un’esperienza totalmente inedita e sorprendente, una performance finale ideata e diretta da Mattia Berto, con la drammaturgia di Arianna Novaga, impreziosita dal contributo di Aida Vainieri, danzatrice del Tanztheater di Pina Bausch. Siamo tutti invitati, naturalmente!
Katia Amoroso
Agorà Venezia. Gran Ballo di Cittadinanza 4 dicembre, h. 19/19.20/19.40 Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 105 thehumansafetynet.org
christmas diary
IN VENICE THEATRES
Bambole tra le stelle
Un racconto fantastico, L’uomo di sabbia di E.T.A. Hoffmann, l’incanto della danza e la magia del cinema sono gli ingredienti che rendono imperdibile l’appuntamento con Coppélia di Amedeo Amodio. Il coreografo recupera le tinte più fosche e sulfuree insite all’interno del capolavoro di Hoffmann e trasporta la vicenda negli Studios hollywoodiani. Le sue “parole d’ordine” sono archetipo e metateatro: «Lo spettacolo è come un set dove si provano diverse scene del film che poi saranno montate, e dove Olimpia, la donna-automa, contende il ruolo di protagonista a Clara. I miei protagonisti sono attori di cinema, registi, produttori, uomini devastati da insane passioni, stelle del cinema irraggiungibili. In scena entrano anche altre mitiche figure cinematografiche, Dracula, Frankenstein e Charlot oltre a suggestioni e atmosfere che arrivano da Ginger Rogers e Fred Astaire, Gary Cooper e Marlon Brando». 30 dicembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
LA NOTTE DEI REGALI
Nella tradizione popolare veneta “Gastaldo” è il vecchino che conduce il carretto dei regali di Santa Lucia e raccoglie i doni della Befana, a volte di San Nicola o Babbo Natale e perfino dei Re Magi. Ormai anziano, racconta la sua esperienza “centennale” a fianco dei portatori di regali nell’inverno di ogni anno rivivendola e condividendola con il pubblico.
Dalle storie mitiche del nord Europa fino alla Sicilia, passando dal centro Italia e alla suggestione biblica, i personaggi magici in scena diventano strumento per realizzare i sogni di migliaia di bambine e bambini.
Lo spettacolo portato in scena da Gianni Franceschini e La Piccionaia è raccontato attraverso figure, pitture dal vivo e semplici travestimenti che donano la suggestione dello straordinario e fantastico, permettendo così ai piccoli spettatori di immedesimarsi e immergersi nelle storie narrate.
10 dicembre Teatrino GroggiaGLI OMINI ROSSI
E BABBO NATALE
Olga è una buffa e pasticciona aspirante cantante che cercherà di narrare tra comicità e poesia da dove ha avuto origine la misteriosa leggenda di Babbo Natale.
Su un piccolo tavolo-palcoscenico Olga ricostruirà un paesaggio innevato: quello in cui vivono i famosi Omini rossi. Che relazione ci sarà tra Babbo Natale e i piccoli Omini rossi? Olga riuscirà a ricostruire la storia di un paese dove tutto è ghiaccio e neve, un paese di laghi, boschi, colline chiusi nella morsa del gelo invernale e raccontare la vita dei piccoli, rossi e divertenti personaggi? Riuscirà Olga a portarci a scoprire l’incredibile storia di Santa Claus? Speriamo!
Lo scopriremo insieme in attesa del Natale… di Babbo Natale.
18 dicembre Teatro Momo-Mestre
UN MAGICO DICEMBRE
Lo Spazio Creatività del Centro Culturale Candiani si veste a festa e diventa uno straordinario laboratorio per un dicembre davvero magico. Elfi che andranno a popolare le mensole di tanti camini da realizzare con la tecnica del decoupage (1 dic.), palle di neve 2D da appendere all’albero di Natale (9 dic.), speciali biglietti d’auguri (16 dic.), un gioco da salvare dal Grinch (19 dic.) e Rudolph la renna da trasformare in una decorazione con il collage. Inoltre, il 5, 13 e 28 dicembre, spazio al cinema con attività e giochi ispirati ai film al termine delle proiezioni. I laboratori sono dedicati a bambine e bambini dai 6 agli 11 anni, l’ingresso è gratuito su prenotazione, scrivendo a notonly.candiani@comune.venezia.it. 1-28 dicembre Ludomedialab Centro Culturale Candiani-Mestre www.comune.venezia.it
Non si sa come facessero a capirlo, ma quando sopraggiungeva una certa sera, gli Uomini Rossi avvertivano che Natale Piccolo stava per arrivare… E c’era fermento, eccitazione Pef, Gli uomini rossi
Giallo gelosia
«La pazza gelosia, è il flagello de’ cuori amanti, intorbida il bel sereno, e fa nascere le tempeste anche in mezzo alla calma», scrive Goldoni nelle note di regia de Gl’Innamorati, commedia in tre atti del 1759. Nove giovani sul palcoscenico, gelosia, tempesta, un’‘orgia’ di sentimenti in cui tutti amano tutti e tutti odiano tutti: Andrea Chiodi con gli attori e le attrici della Compagnia Giovani del Teatro Stabile del Veneto porta in scena la storia d’amore dei litigiosi Eugenia e Fulgenzio, esaltando l’attualità del classico goldoniano. Protagonista è una «gioventù sconsigliata […], un incrocio di umanità disperate e divertite dentro un decadimento dell’anima, un decadimento dei valori forse, ma che nasce dalle colpe dei grandi, una generazione che non sa amare ma invidiare, che vuole essere altro da quello che è e dove aleggia anche una strana confusione tra l’amore vero, il sesso e il desiderio di potere». 28-31 dicembre Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it
Cuore impavido
Eleonora Fuser porta in scena Cuor, una storia veneziana scritta e diretta da Sandra Mangini, che ha trasformato in spettacolo le parole e gli scritti di Clementina Cavalieri, la cui vicenda ha attraversato l’intero Novecento. Clementina, detta Rina, nasce nel 1914, è una lavoratrice di perle, aiutante in un laboratorio di scialli, lavora da operaia all’Arsenale durante la guerra e, dopo l’8 settembre, conduce azioni di soccorso dei prigionieri con la Resistenza. Forte e coraggiosa, donna estremamente vitale, intervistata tra il 1986 e il 1990, inventava ancora con spirito battagliero e tenace spazi di condivisione per sé e per gli altri. Con il suo talento d’artista e la sua intolleranza verso i soprusi del potere, Rina ci consegna una storia semplice e straordinaria, piena di voglia di vivere e di senso di comunità; un modo generoso e irruento di stare al mondo, un cuore libero, uno sguardo aperto che genera nuove possibilità. 11 dicembre Scuola Grande S. Giovanni Evangelista www.scuolasangiovanni.it
Flip, Flop and Fly
Un Capodanno che rievoca le mitiche atmosfere della swing era della Harlem anni Trenta, con il teatro che si trasforma in un elegante locale stile Cotton Club, dove, seguendo le bizze di una capricciosa radio d’epoca, il barman e gli inservienti si rivelano straordinari acrobati: ogni oggetto dalle sedie ai tavoli, dai vasi agli specchi, diventa strumento per evoluzioni mozzafiato con coinvolgimento costante del pubblico. Sulla travolgente colonna sonora del film di John Landis, i The Black Blues Brothers fanno rivivere uno dei più grandi miti pop dei nostri tempi a colpi di piramidi umane, limbo infuocati, salti e incredibili acrobazie, il tutto condito da una grande energia e verve comica. Reduci da un tour mondiale di oltre 750 date con più di 300 mila spettatori, tra i quali Papa Francesco e il Principe Alberto, i magnifici cinque performer provengono da Sarakasi, un trust di circo sociale keniota fondato a Nairobi. 31 dicembre; 1 gennaio 2023 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
Passi fatati
Regista e autrice siciliana tra le più creative e immaginifiche del nostro teatro, Emma Dante torna a parlare ai più piccoli, ispirandosi a una classica fiaba di Andersen per confezionare uno spettacolo tra varietà e clownerie da vedere vicini, bambini e adulti. Scarpette rotte è un apologo che, in un’esplosione di danze e colore, insegna quanto sono fondamentali i valori dell’altruismo e della gratitudine. Celine è una povera orfana a cui il destino sorride quando viene adottata da una ricca signora. Con tutti gli agi e i lussi a sua disposizione, la ragazza dimentica presto l’umiltà, la gratitudine e l’altruismo, ma saranno due scarpette rosse – che prima erano rotte, ed ora sono magiche! – ad insegnare alla giovane, e al pubblico tutto, una preziosissima lezione. «La felicità non ha a che fare con la superbia, né con la vanità – scrive Emma Dante in una nota – La felicità ha a che fare con il cammino di due scarpe bucate su una strada. Prima un passo e poi un altro, in un movimento armonioso e febbrile». 6 gennaio 2023 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
christmas diary
NOT ONLY VENICE CONCERTS
Oggi sono io
È partito il 2 dicembre dal Teatro Govi di Genova e si chiude il 22 dicembre al Toniolo di Mestre il nuovo tour di Alex Britti, intitolato Sul divano, con 11 tappe nei teatri più importanti d’Italia. Per coronare un 2022 ricco di concerti, Britti ha deciso di chiudere l’anno raccontando e raccontandosi senza tanti fronzoli, come piace a lui e al suo pubblico. Dopo la pubblicazione dello scorso anno della sua prima autobiografia intitolata Una vita con la chitarra in spalla e l’uscita del suo primo album interamente strumentale Mojo, Britti decide di riassumere tutti questi eventi che hanno segnato la sua carriera fin qui ricca di successi e soddisfazioni con un tour che lo vedrà come assoluto protagonista seduto comodamente su un divano, come a casa, con alcune delle sue inseparabili chitarre. Quella del One Man Show non è una formula nuova per Alex: nel 2003 e nel 2014 ha affrontato due tour teatrali chiamati Chitarra, voce e piede, apparentemente due sfide complicate che hanno invece decretato un grande successo di pubblico, registrando ovunque il tutto esaurito. Formula evidentemente molto gradita da una platea che può godere di un concerto in cui le doti funamboliche di chitarrista si fondono perfettamente con la profondità e l’intensità dei brani che lo hanno reso famoso, il tutto senza filtro alcuno, senza elementi di distrazione sul palcoscenico, senza scenografie sgargianti, senza effetti luci ma un solo focus: lui e il suo mondo.
Creando meraviglia
Dopo il grandissimo successo di Dodici Note Solo, Claudio Baglioni torna dal vivo con nuove date nei maggiori teatri d’Italia, arrivando al Malibran di Venezia il prossimo 16 dicembre. Spazio alle composizioni più preziose del suo repertorio, con l’autore romano desideroso di condividere con il pubblico la fresca vittoria del Premio Tenco 2022, riconoscimento assegnato dal 1974 alla carriera degli artisti che hanno apportato un contributo significativo alla canzone d’autore mondiale. «Di raffinata scrittura musicale – si legge nelle motivazioni per l’assegnazione del Premio – Claudio Baglioni, sin dalla fine degli anni Sessanta ricerca attraverso la canzone quell’attimo di eterno che tramite l’arte sappia descrivere la vita, per “battere il tempo a tempo di musica”. Ha cantato storie che sono di tutti e che toccano i grandi temi dell’uomo, quando con la sua Trilogia dei colori ha cercato risposte a domande universali. Suo il disco italiano più venduto di sempre ( La vita è adesso ), sua la canzone del secolo ( Questo piccolo grande amore ), e una ricerca continua nei live, fino all’evento totale al Teatro dell’Opera di Roma».
«Ho percorso 25.000 km in cento giorni cantando e suonando per sei sere a settimana –ha dichiarato Claudio Baglioni a maggio, al termine del tour Dodici Note Solo – senza mai provare un istante di noia o stanchezza. Senza mai cadere nella trappola della ripetitività. Teatri bellissimi e spettatori attenti ed entusiasti sono stati lo spettacolo per i miei occhi e le orecchie. Io ci ho messo la voce, le mani, il cuore. Gli altri le emozioni, le grida e gli applausi. Così che ogni concerto fosse speciale e si potesse ricordare. Sono alla fine di una lunga e fantastica avventura umana e professionale. Ma non termina qui. Se il pubblico chiama, l’artista torna in scena, ringrazia e concede il bis».
Oltre 50 anni vissuti in musica, 60 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Sono i numeri essenziali di una carriera unica e irripetibile: musicista, autore, interprete, che dalla fine degli anni Sessanta a oggi è riuscito a conquistare una generazione dopo l’altra, grazie a un repertorio pop, melodico e raffinato, nel quale ha saputo fondere canzone d’autore e rock, sonorità internazionali, world music e jazz, rivoluzionando il concetto stesso di performance live. Claudio Baglioni è stato il primo artista a inaugurare la stagione dei grandi raduni negli stadi e ancora il primo, nel 1996, a “far scomparire il palco” e portare la scena al centro delle Arene più importanti e prestigiose d’Italia.
Claudio Baglioni 16 dicembre Teatro Malibran www.teatrolafenice.it
Istinto naturale
Elisa mise le cose in chiaro fin da subito: Pipes & Flowers, suo disco d’esordio pubblicato nel 1997, ad appena 19 anni, prodotto da Caterina Caselli per Sugar Music, condensava in 50 minuti e 11 tracce in inglese un universo pop dalle infinite sotto-galassie: ricordo ancora benissimo lo stupore alla scoperta dell’italianità di questa cantante, in un periodo in cui il mio lettore cd alternava Radiohead a Muse, Blur a Red Hot Chilli Peppers.
La ragazza timida e schiva capace di trasformarsi sul palcoscenico in una travolgente onda sonora incontrò il grande pubblico italiano in occasione dell’evento che per definizione consegna alla storia i grandi nomi della musica italiana, ovvero il Festival di Sanremo, edizione 2001, dove la Nostra ventitreenne triestina porta Luce (tramonti a nord est): un pezzo non pensato per il Festival, scritto da Elisa con la collaborazione di Zucchero, che le fa chiudere la competizione al primo posto, con il presidente di giuria Gino Paoli che decise addirittura di introdurre un nuovo premio nel concorso, quello di Migliore interprete.
Capace di reinterpretare una vetta scivolosa della canzone italiana come Almeno tu nell’universo di Mia Martini, Elisa non può essere considerata una cantautrice come tutte le altre: ogni suo pezzo o intervento ha i contorni della “cosa pensata”, presentata al pubblico dopo un pesante lavorio
introspettivo, ogni parola è metabolizzata e digerita da Elisa per fare in modo che il pubblico ne colga le sfumature personali e irripetibili.
Solitamente non seguo il Festival di Sanremo, salvo essere investito come tutti dai tormentoni che la programmazione radiofonica ripete in loop: O forse sei tu, la canzone che l’ha fatta tornare sul palco dell’Ariston a vent’anni di distanza dall’ultima apparizione, sembra giocare semplicemente un altro campionato, sensazione che nasce dalle prime note e diventa certezza nel ritornello.
Cantante, polistrumentista e produttrice, artista amata a livello internazionale, Elisa Toffoli sarà la grande protagonista del Concerto di fine anno in programma il prossimo 31 dicembre al Palazzo del Turismo di Jesolo, strepitoso modo per celebrare l’arrivo del nuovo anno in compagnia di una star assoluta. Il live avrà inizio alle 22, per terminare con il brindisi di mezzanotte, con la meravigliosa Elisa sul palco a salutare, assieme al suo pubblico, l’arrivo del 2023. Ad accompagnare la cantautrice ci sarà la sua inseparabile band, con la quale presenterà una scaletta fatta di tutti i grandi successi di oltre 25 anni di carriera.
Davide CarboneElisa
31 dicembre Palazzo del Turismo-Jesolo www.azalea.it
MAGICAL MYSTERY ORCHESTRA
Concerto natalizio al Toniolo per la storica formazione che da più di 25 anni propone alcuni tra i più celebri e amati successi dei Beatles, oltre a quelle canzoni che i Fab Four non hanno mai eseguito dal vivo, ma solo in studio di registrazione. Per l’occasione sul palcoscenico a far loro compagnia troviamo il Coro Growin’ Up Singers, progetto musicale nato nel 2004 dall’idea di Paola Pascolo, attuale direttore, rivolto ai ragazzi dai 12 ai 22 anni messaggeri di un repertorio che affronta i più seguiti successi del momento pur non disdegnando affatto i grandi evergreen della tradizione jazz, rock e soul.
23 dicembre Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo
NERI PER CASO
Il collettivo a cappella più famoso d’Italia arriva in Piazza Ferretto per un concerto a forti tinte natalizie. Celebri per la vittoria nella categoria Nuove Proposte di Sanremo nel 1995, quando portarono sul palco il singolo Le ragazze, ancora oggi conosciutissimo, il gruppo formatosi a Salerno in quello stesso anno su idea del compositore Claudio Mattone ha raccolto in una carriera quasi trentennale collaborazioni con leggende della musica italiana come Lucio Dalla, Claudio Baglioni e Gino Paoli, grazie ad un repertorio unico nel suo genere e alle virtù camaleontiche delle voci dei suoi componenti. 29 dicembre Piazza Ferretto-Mestre www.veneziaunica.it
Tre giorni di lavoro, lievitazione naturale, manualità e cura: ogni panettone un pezzo unico
christmas taste
CONDANNATI ALL’ECCELLENZA
Abbiamo un solo Natale, trattiamolo bene
Pasticceria Giotto è un progetto sociale nato più di 15 anni fa all’interno del carcere Due Palazzi di Padova, una scommessa vinta in modo assoluto. Da tempo è divenuta una realtà importante e riconosciuta unanimemente nell’ambito della pasticceria d’alta gamma e il laboratorio professionale del carcere sforna dolci secondo i dettami della migliore tradizione. Loro punto di eccellenza è da sempre il panettone, che si colloca tra i migliori al mondo nelle classifiche gastronomiche. Rappresenta un’occasione ghiotta nel periodo natalizio la possibilità di parlare del loro prodotto iconico e di molto altro ancora con il maître pâtissier Matteo Concolato, responsabile della pasticceria Giotto al Due Palazzi.
Quali le specialità del vostro laboratorio? Ci occupiamo di pasticceria a 360 gradi, tuttavia nel corso degli anni i nostri prodotti di punta sono diventati i grandi lievitati da ricorrenza, come i panettoni a Natale e le colombe a Pasqua. Abbiamo in catalogo nove diversi panettoni, un ventaglio di gusti che spaziano dal classico tradizionale a quello al cioccolato, al gianduia-amarena e ancora a gusti un po’ più sperimentali come pescaalbicocca-lavanda o mandarino-zenzero-gelsomino. La lavorazione è interamente artigianale; per fare un panettone impieghiamo circa 72 ore di lavoro, tra lievitazione e tempi di riposo. C’è bisogno di almeno una notte di riposo, una volta sfornato, prima di essere confezionato. La produzione del panettone si inizia il primo giorno, intorno alle 10.30/11 col primo impasto di farina, lievito, tuorli d’uovo, burro. Va fatto lievitare una notte a temperature basse; la mattina seguente, alle 4, si prende il pre-impasto e lo si mette a lavorare aggiungendo i
caratterizzanti, uvetta, cedro, altro zucchero, burro, tuorli. Questo secondo impasto verrà pesato, pezzato e messo negli stampi e fatto lievitare una seconda volta fino a 7 ore e poi infine cotto per 1 ora in maniera dolce, a bassa temperatura, per poi essere sfornato e messo a testa in giù per altre 12 ore. Siamo orgogliosi di essere considerati tra i migliori e sappiamo bene che, al di là del lavoro artigianale e della passione, alla base di questa produzione di alta qualità c’è una ricerca, una selezione delle migliori materie prime quanto mai fondamentali per ottenere un buon risultato finale. Cerchiamo nel mercato il burro migliore, le uvette e i canditi in grado di aggiungere quel tocco unico al nostro panettone. Quando due anni fa abbiamo svolto una ricerca sulle qualità del burro da utilizzare per la nostra produzione, ne abbiamo trovati 12 potenzialmente adatti. Dopo aver fatto un primo test di ingresso se così si può dire di ingresso, siamo poi passati al test di produzione, fase in cui abbiamo individuato quello ritenuto migliore e più idoneo all’uso. L’artigianalità è un valore aggiunto importante, ma serve rigore scientifico per far rendere al meglio i vari ingredienti.
Tutta la vostra produzione avviene “dietro le sbarre”?
Il nostro laboratorio è situato all’interno del Due Palazzi. Attualmente sono occupati 48 detenuti; 12 di noi tutte le mattine entrano a lavorare in carcere, tra cui 4 maestri pasticcieri, un responsabile della logistica, uno degli acquisti, un addetto al controllo qualità, oltre al nostro ufficio sociale con una psicologa che si occupa di monitorare gli inserimenti dei detenuti. Siamo una squadra affiatata, anche se c’è un turn-over molto significativo per quel che riguarda i detenuti coinvolti nella produzione: da gennaio abbiamo inserito 29 persone nuove su 48
addetti complessivi, un numero rilevante. In più, da un anno a quello successivo la squadra può cambiare completamente, bisogna quindi formare ogni volta tutti gli addetti. Inoltre va detto che le persone coinvolte provengono davvero da tutto il mondo; lavoro qui da nove anni ormai, ho avuto modo di confrontarmi con persone di ogni nazionalità, con età che spaziano dai 22 ai 60 anni, davvero un campionario di varia umanità.
Torniamo ai panettoni...
Abbiamo iniziato a occuparci di panettoni nel 1990, quindi c’è una certa esperienza alle spalle. Tuttavia per un artigiano la difficoltà, se si lavora nell’alta pasticceria, è mantenere uno standard qualitativo elevato. Noi abbiamo portato un modello alto di processo produttivo, per cui dal primo panettone sfornato all’ultimo la qualità viene sempre garantita, ma una delle componenti più importanti è giocata dal lato umano, da chi lavora con noi.
La sfida più grande per noi è infatti quella di far appassionare le persone che entrano a far parte della produzione e lo facciamo con il nostro stesso esempio. Tutte le mattine entriamo in carcere e, prima di entrare in laboratorio, passiamo attraverso ben 14 cancelli, che non è proprio come strisciare un badge per aprire una porta. Magari una persona che si è fatta dieci anni di carcere e mi vede entrare ogni giorno potrebbe chiedersi chi me lo faccia fare; questo lo pensa però il primo giorno, il secondo, ma poi già al terzo forse inizia a capire che il nostro progetto è una scommessa valida, importante, e passo dopo passo si appassiona a questo mestiere anche grazie alla qualità che si invera in un prodotto fatto con le sue mani per finire nelle tavole imbandite delle Feste. Tanta roba!
Come è cambiato il gusto del pubblico? Il panettone classico è sempre quello che va per la maggiore, però si registra una crescita significativa verso i gusti più particolari. Molti clienti ad esempio amano e consigliano il panettone pesca-albicocca-lavanda. Ogni due anni sviluppiamo un panettone nuovo, un gusto nuovo. Ho appena finito di sperimentare due nuove ricette; quindi nel 2023 raddoppieremo le novità, che per ora non svelo.
CAPTURE
THE
GRITTI MAGIC
Immerse yourself in the warm and welcoming atmosphere of the festive season at The Gritti Palace, where the spirit of the holidays flows in every detail. From afternoon teas with the ladies to merry gatherings with close friends, to Christmas Eve Dinner and celebrations for the New Year, there’s nothing quite like a unique epicurean experience in true Gritti style to transform this time of the year.
christmastaste
MATTEO CONCOLATO
Perché Giotto ha deciso di puntare sul panettone?
Serve fare un salto temporale di 17 anni, all’inizio di questa avventura. Non avendo un negozio fisico, essendo nata l’idea all’interno del carcere, non c’era la possibilità di lavorare in maniera continuativa durante tutto l’anno, quindi si è scelto di iniziare a lavorare nei periodi legati alle ricorrenze natalizie e pasquali. La scelta, e direi la sfida, è caduta subito sul panettone e su come realizzarlo al meglio, sradicando il pregiudizio del pubblico dei consumatori che vedevano il carcere come un limite alla qualità. Abbiamo puntato da subito sull’eccellenza, trovando la collaborazione di importanti maestri pasticcieri con molti anni di esperienza alle spalle in ambiti importanti, come Lorenzo Chillon, responsabile dei grandi lievitati, che segue il progetto dalla nascita, o Ascanio Brozzetti, responsabile della pasticceria fresca, con dodici anni di esperienza nel gruppo Alajmo, alle Calandre. Si è così creato nel tempo un collaudato gruppo di lavoro.
E Matteo Concolato?
Lavoro con Giotto da nove anni, dopo un’esperienza nelle più importanti pasticcerie del centro storico di Padova: un anno da Graziati e dodici da Breda. Lavorare nelle pasticcerie storiche del centro mi ha formato, regalandomi un ventaglio di conoscenze importanti che ho messo a frutto in Giotto. Sono sicuro che prima o poi sbarcheremo anche a Milano, la “capitale del panettone”; intanto siamo fisicamente in corso Milano a Padova con una nostra esclusiva pasticceria, in cui dalla colazione del mattino alla sera si possono trovare tutte le nostre proposte fresche e di biscotteria. Abbiamo anche una gelateria in via Roma.
Come si creano i rapporti con i detenuti, persone che hanno comunque un vissuto complicato alle spalle?
Si interagisce con loro mettendo a disposizione le nostre competenze. Noi siamo ad operare fisicamente dentro una struttura di pena per contribuire ad aiutare i detenuti a rifarsi una vita attraverso il lavoro. Questo è il nostro modo di dare concretamente una mano a queste persone disagiate. Il lavoro implica tutta una serie di insegnamenti e di regole, a partire banalmente dal rispetto delle stesse. Il primo turno di lavoro inizia alle 4 del mattino, l’ultimo finisce alle 17. Prima delle Feste, con gli straordinari, arriviamo anche a lavorare fino alle 19. Il nostro lavoro è cadenzato dalle regole della vita carceraria; la nostra autonomia è necessariamente sottoposta alle esigenze della vita di un istituto di reclusione. Per intenderci, ci chiudono e ci aprono i cancelli gli assistenti di polizia.
Come scegliete i vostri collaboratori?
Tra coloro che hanno una condanna penale definitiva c’è la possibilità di fare domanda per poter lavorare con noi. I soggetti vengono sentiti da uno psicologo che ne traccia dei profili. Interviene poi anche uno psicologo della nostra cooperativa. I selezionati cominciano ad operare attraverso un tirocinio di sei mesi. Se tutto va bene dopo i sei mesi la persona viene assunta con un contratto di lavoro che rispetta i termini del Contratto Collettivo Nazionale, alla pari di come avviene per omologhi impieghi al di fuori del carcere. Questo perché serve dare un valore economico al lavoro per cercare di contribuire a dare piena attuazione anche alla funzione rieducativa della pena. Sono tutti regolarmente assunti i nostri lavoratori.
Ultima cosa, non si è mai nominato il pandoro...
Da bambino mi piaceva il pandoro, ma poi mi sono convertito al panettone, tutta la vita!
Panettone o pandoro, importante non farlo mancare nella tavola delle feste
Di seguito altri campioni della dolcezza in grado di esaltare il profumo del Natale moltiplicando il gusto della tradizione.
IGINIO MASSARI, il re dei pasticcieri italiani propone i suoi lievitati in versione tradizionale o con diverse varianti, tutte da acquolina in bocca. Perfetti negli ingredienti e buonissimi per il palato i suoi panettoni o i suoi pandori sono acquistabili online o nei pop-up store delle stazioni ferroviarie di Venezia Santa Lucia o Venezia Mestre. www.iginiomassari.it
BAGHI’S, il panettone tradizionale fatto lievitare e cotto in vaso di vetro Weck, con arancio candito e uvetta, prodotto artigianalmente con farina macinata a pietra da grano italiano, lievitazione con solo lievito madre vivo, burro ottenuto per centrifuga e uova fresche a guscio da allevamenti locali, rotte una ad una, separando tuorlo e albume manualmente. www.baghis.com
MARTESANA, l’autentica tradizione milanese di una bottega storica. Oltre alla versione tradizionale del panettone meneghino, assai originale è il Panetùn de l’Enzo, cioccolato e albicocca, in cui si incontrano due icone come il Panettone e la Sacher. Una glassa al cioccolato fondente racchiude una farcitura di albicocche in confettura e semi-candite, una vera e propria esplosione di gusto. www.martesanamilano.com
ALAJMO, una collezione di Natale che si arricchisce e cambia ogni anno con gusti e combinazioni studiati, sperimentati e assaggiati da Max e la sua squadra di pasticceri. Vengono realizzati a mano, uno ad uno, nel laboratorio Mamma Rita partendo da un impasto con lievito madre, una lievitazione in due fasi e l’utilizzo, in alcuni, di olio extravergine di oliva per renderli più leggeri. www.alajmo.it
PERBELLINI, l’Offella d’Oro è il capostipite dei dolci lievitati di Verona, la sua ricetta è datata 1 ottobre 1891. Giovanni Battista Perbellini modificò la ricetta di un dolce tradizionale veronese chiamato “Nadalin” arricchendo la pasta di burro e uova, rendendola quindi più soffice e morbida. www.perbellini.com
GHIGO, passando da Torino nel periodo natalizio da non perdere una delle più fantasmagoriche delizie che possano capitare al palato: la Nuvola, un ricco pandoro ricoperto di crema al burro e spolverato di zucchero a velo. Vale il viaggio! www.pasticceriaghigo.it
TRENDSETTER
FEEL CHRISTMAS
Per respirare la magia unica del Natale, un mix di tradizione, luci scintillanti, rosso e oro a perdita d’occhio, verde degli alberi addobbati e vetrine eleganti ricolme di magnifici regali, quell”atmosfera che si respira da Harrods a Londra, alle Galeries Lafayette a Parigi o da Saks e Macy’s a New York, il luogo perfetto a Venezia è il Fondaco dei Tedeschi e come ogni cosa in questa città è davvero unico. Ogni anno l’incanto del Natale si rinnova per proporre sorprese speciali: in linea con la sua architettura sapientemente in bilico tra antico e contemporaneo (restauro di Studio OMA/Rem Koolhaas), gli addobbi offrono un mix di tradizione e design minimal, le decorazioni sono in 3D, tuttavia non mancano tutti i tradizionali simboli delle festività. Nel segno dei tempi, tutti i materiali utilizzati per ricreare la calda veste natalizia del Fondaco sono sostenibili e le luci rigorosamente a basso impatto, illuminando in un abbraccio avvolgente tutti gli spazi e in particolare la corte e la sequenza di archi dell’edificio cinquecentesco. L’esperienza dello shopping è connotata dall’alta artigianalità, in equilibrio tra arte, design e tradizione. La proposta è ineguagliabile: dai migliori marchi della moda, della gioielleria, dell’orologeria e del beauty, con una esclusiva “galleria delle fragranze”, agli oggetti iconici di home decor e alla grande varietà e altissima qualità dell’offerta food, con panettoni di alta pasticceria, i vini più prestigiosi e molto altro.
Fondaco dei Tedeschi, Rialto, Campo San Bortolomeo
CHRISTMAST M’ART
In linea con la filosofia di The Venice Venice Hotel, uno stile veneziano inedito e assolutamente contemporaneo con architettura, moda, arte e design che si fondono tra loro per raccontare la storia delle avanguardie più influenti nel panorama artistico internazionale del secolo scorso. Un nuovo hotel che diventa da subito attore principale in città per il suo carattere metropolitano e internazionale, per lo stile unico e una visione che è stata chiamata post-venezianità o stile post-veneziano, a raccontare la Venezia di domani. Diverso nella filosofia e nell’offerta ma al tempo stesso luogo aperto alla città, non solo agli ospiti, ha al suo interno un originalissimo shop con pezzi unici di moda e design che si è trasformato ora in un autentico Christmas M’Art. Oggetti, abiti, giocattoli, libri, profumi di produzione diretta Venice Venice, con una selezione di altre aziende e piccole produzioni principalmente di artigianato che offrono una versione originale e urbana dei mercatini natalizi, dove originalità e unicità sono ingredienti fondamentali. Questa prima edizione è un omaggio al pensiero laterale, alle visioni artistiche audaci, per divenire artigiani realizzatori di sogni (praticamente dei Babbo Natale contemporanei). Aperto tutti i giorni dalle 10.30 alle 19.30, fino all’8 gennaio 2023.
The Venice Venice Hotel, Cannaregio 5631 | venicevenice.com
MERRY FABRICA
Un Pop up Christmas market unico nel suo genere: solo per un giorno, sabato 17 dicembre, dalle 10 alle 22, Fabrica, centro di ricerca per la comunicazione di Benetton Group, apre le sue porte per Merry Fabrica, giornata all’insegna dello shopping, workshop per grandi e piccini, musica dal vivo, street food e tanta creatività. L’evento è un’occasione imperdibile per quanti vogliono andare alla ricerca di idee regalo letteralmente originali e uniche, circondati dalle atmosfere sospese della bellissima architettura di Tadao Ando. Qui non c’è niente di tradizionale, il Christmas market lo fanno i makers – secondo il gergo dei fabricanti – cioè coloro che sono stati selezionati per partecipare, tutti con un’attenzione particolare all’uso responsabile dei materiali e con il denominatore comune dell’originalità, dell’unicità e dell’artigianalità. Molto ampia l’offerta dei prodotti: abbigliamento, bijoux, accessori moda, arte floreale, articoli per bambini, oggetti di design e di arredo, stampe d’artista, illustrazioni, libri, prodotti biologici, semi per l’agricoltura urbana. Tra tutti il Fabrica Store, con produzioni numerate di artisti del network di Fabrica: Catarina Carreiras, Matteo Cibic, Mariana Fernandes, Nicola Ferrarese, Namiko Kitaura, Martina Zena, oltre alle creative Volcanic Dream e MVC – Maria Vera Ceramics. Merry Fabrica ha tutti gli ingredienti di un originalissimo Christmas Party: la musica, con il Live concert dei Liverpool Alligator Park alle 20.30, e lo street food con specialità veneto-piemontesi, fritture leggerissime e la pasticceria siciliana a bordo di un’Apecar colorata. Fabrica, Catena di Villorba (Tv) | www.fabrica.it/merry-fabrica-2022
In un anno in cui l’arte ha vinto tutto, con la Biennale di Cecilia Alemani a condurre una stagione straordinaria, le festività natalizie sono l’occasione ideale per continuare a regalare e regalarci una salvifica dose di arte e bellezza.
A Venezia le occasioni per festeggiare “ad arte” certo non mancano, con le aperture prolungate fino alle ore 21 di Palazzo Ducale e Museo Correr (9, 10, 23 dicembre e 6 gennaio), che per l’occasione offre Aperitivi con degustazioni e brindisi con vista mozzafiato su Piazza San Marco, e di Museo Fortuny e Ca’ Pesaro (13, 14 gennaio); aperture straordinarie di tutti i Musei Civici anche il giorno di Natale e Santo Stefano, il giorno di Capodanno e il 2 gennaio 2023.
Quale regalo migliore di un posto in prima fila per tutte le mostre ed eventi 2023?
Da non perdere la promozione Regala l’arte che offre la possibilità di acquistare a prezzo ridotto la Membership Card della Collezione Peggy Guggenheim (20% sulla prima iscrizione), che garantisce l’accesso gratuito al Museo per tutto l’anno e l’essere protagonista di tutte le attività ed eventi esclusivi organizzati. Anche Palazzo Grassi, aperto durante le festività fino all’8 gennaio 2023, e Punta della Dogana rinnovano l’invito a far parte della community della Pinault Collection, con una carta per tre musei. La Membership Card garantisce infatti l’accesso prioritario ai musei della Pinault Collection a Venezia e a Parigi (Bourse de Commerce) e alle esposizioni extra muros, inoltre inviti alle inaugurazioni e un programma esclusivo di visite guidate. Regalando l’arte, sostieni l’arte!
Film, serie, uscite in sala
christmas screenings
Guillermo Del ToroPINOCCHIO
di Guillermo Del Toro (USA, 2022)
Ambientato nell’Italia degli anni ‘30, mentre imperversava il fascismo di Benito Mussolini, il film segue la storia di Pinocchio, un burattino di legno che straordinariamente prende vita grazie al desiderio del padre, il vecchio falegname Geppetto. Quest’ultimo ha costruito la piccola marionetta di legno in ricordo del figlio perso, ma quando Pinocchio prende vita è desideroso di diventare un bambino in carne e ossa. Peccato che il burattino non sia affatto un ragazzo esemplare e combini ogni sorta di guaio, coinvolgendo il povero Geppetto.
Proprio per non causare più problemi al padre, Pinocchio insieme a Sebastian, un grillo parlante che viveva nel tronco da cui è stato ricavato, intraprende un viaggio per cercare il suo posto nel mondo...
Dal 4 dicembre al cinema | Dal 9 dicembre su Netflix
a cura di Marisa Santin
THE BAD GUY
Luigi Lo Cascio è Nino Scotellaro, integerrimo procuratore che ha dedicato la vita alla lotta contro le organizzazioni criminali. Quando però lui stesso viene invischiato in un processo che lo vede imputato come presunto mafioso, la sua fede nel sistema viene meno, tanto da indurlo a trasformarsi nel “cattivo ragazzo” nel quale tutti ormai lo riconoscono. Un Breaking Bad all’italiana intriso di umorismo nero, in cui i toni della crime story si mescolano a quelli della commedia.
Dall’8 dicembre | Prime Video
LA VITA BUGIARDA DEGLI ADULTI
Fedelissima all’omonimo romanzo di Elena Ferrante e diretta da Edoardo De Angelis ( Perez, Indivisibili ), la serie è ambientata nella Napoli degli anni ’90. Muovendosi attraverso le diverse anime della città, Giovanna (l’esordiente Giordana Marengo) affronta il passaggio dall’infanzia all’adolescenza confrontandosi con il padre Andrea (Alessandro Preziosi) e la mamma Nella (Pina Turco). L’incontro con la zia Vittoria (Valeria Golino) finirà per cambiare il corso della sua vita.
Dal 4 gennaio | Netflix
THE LAST OF US
La serie di HBO è l’attesissimo adattamento televisivo dell’omonimo gioco sviluppato dalla Naughty Dog, considerato uno dei migliori videogame di sempre. A distanza di vent’anni dall’inizio di una pandemia che ha trasformato profondamente il mondo, un sopravvissuto di nome Joel (Pedro Pascal, l’agente Javier Peña di Narcos ) verrà assoldato per fare uscire la quattordicenne Ellie (Bella Ramsey) da una zona di quarantena dalla quale è quasi impossibile fuggire.
Dal 16 gennaio | Sky Italia
Pinocchio vedeva il mondo come lo vedevo io. Mi infastidiva che le persone chiedessero obbedienza a questo burattino: volevo fare un film sulla disobbedienza come virtù, e sul fatto di non dover cambiare per essere amato
TRA LE ONDE
di Marco Amenta (Italia, 2021)
Storia di Salvo e Lea (Vincenzo Amato e Sveva Alviti), che intraprendono un viaggio nella notte, circondati da una natura scura e misteriosa. Durante questo cammino in un crepuscolo apparentemente senza fine, i due si confrontano sul loro passato, vivendo stati di rancore accompagnati dalla voglia di amare. La loro relazione pian piano si fa sempre più ambigua, enigmatica e oscura. Contemporaneamente un cadavere riemerge tra le onde di fronte Lampedusa, è il corpo di chi ha cercato, fallendo, di trovare in Italia una soluzione, una vita migliore. Nelle sue tasche grondanti è nascosto qualcosa: si tratta di frammenti di pensieri, indirizzati a una donna, a cui il morto dedicava il suo grande amore e con cui sperava di ricongiungersi. Ma chi è questa donna misteriosa? E, soprattutto, dov’è?
Dal 1° dicembre al cinema
LE OTTO MONTAGNE
Tratto dall’omonimo libro di Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega nel 2017, che vede al centro della storia l’amicizia decennale tra Pietro e Bruno (Luca Marinelli e Alessandro Borghi). Pietro è un ragazzo di città, che si reca in montagna solo per trascorrere le vacanze estive, mentre Bruno è un pastore e in mezzo ai monti ci vive tutto l’anno. I due si conoscono fin da bambini, quando passavano le giornate in mezzo alle montagne per lunghe passeggiate, stringendo una forte amicizia. Vent’anni dopo, Pietro ormai uomo, torna in alta quota per ritrovare se stesso e fare pace con il proprio passato.
Dal 22 dicembre al cinema
AVATAR – LA VIA DELL’ACQUA di James Cameron (USA, 2022)
Sequel in live action del film campione d’incassi del 2009, la storia è ambientata diversi anni dopo gli eventi visti nel primo Avatar. Ritroveremo i due protagonisti Jake Sully e Neytiri ancora insieme e con figli al seguito, pronti ad eplorare lo sconfinato mondo di Pandora e ad affrontare nuovi conflitti con l’umanità. La coppia si troverà inoltre a fare i conti con i problemi coniugali legati all’educazione dei propri figli.
Del cast fanno parte i nuovi arrivati Kate Winslet, Edie Falco, Michelle Yeoh e Vin Diesel: questo non sarà l’ultimo capitolo della serie, James Cameron infatti ha già pianificato la saga di Avatar attraverso altri quattro nuovi film.
Dal 14 dicembre al cinema
THE PALACE di Roman Polanski
(Italia, Svizzera, Polonia, Francia, 2023)
È il 31 dicembre 1999, Capodanno del nuovo millennio. Al Palace Hotel, sontuoso castello nelle Alpi Svizzere, convergono ospiti ricchi, viziosi e viziati, accolti da una schiera di camerieri, facchini, cuochi e receptionist. Le storie dei singoli personaggi danno vita ad una commedia assurda, nera, provocatoria.
La sceneggiatura è stata scritta dal regista insieme al grande Jerzy Skolimovski e a Ewa Pia˛skowska, con un cast che annovera Mickey Rourke, Fanny Ardant e John Cleese.
Prodotto da Eliseo Entertainment con Rai Cinema, in una coproduzione internazionale realizzata con Lucky BOB, CAB Productions e RP Productions: una nuova partnership produttiva che vede nuovamente Polanski e Barbareschi insieme dopo L’ufficiale e la spia, vincitore del Gran Premio della Critica al Festival di Venezia nel 2019.
Dal 14 gennaio 2023 al cinema
di Felix Van Groeningen, Charlotte Vandermeersch (Italia, Francia, Belgio 2022)Marlene Dumas open-end
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CINEFACTS
a cura di Marisa SantinLUCI SOFFUSE
Tisana alla cannella, scorze d’arancia sul termosifone, luci dell’albero, divano e coperta di lana. È quell’atmosfera lì, il Natale che deve arrivare, l’inverno che deve passare…
Sundown
di Michel Franco (2021)
In concorso alla 78. Mostra di Venezia e uscito da poco nelle sale italiane, il film del regista messicano, Leone d’Argento nel 2020 con il crudo e distopico Nuevo Orden, approda ora anche su MUBI. Tim Roth e Charlotte Gainsbourg sono Neil e Alice Bennet, coppia inglese in vacanza ad Acapulco con i figli. Qualcosa di inaspettato metterà in crisi le loro tranquille e consolidate dinamiche familiari. 2 dicembre (MUBI)
The Hanging Sun – Il sole di mezzanotte
di Francesco Carrozzini (2022)
Ispirato al romanzo Sole di mezzanotte di Jo Nesbø, il thriller noir che ha chiuso la scorsa Mostra del Cinema è ambientato nell’atmosfera rarefatta dell’estate norvegese. John (Alessandro Borghi), in fuga dopo aver tradito il padre, un potente signore del crimine, trova rifugio in un villaggio isolato. È un paese sospeso nel tempo, avvolto dalla luce tagliente di un sole che non tramonta mai, dove realtà e immaginazione si confondono e le ore sfumano nello straniamento.
12 dicembre (Sky Italia)
Bardo, la cronaca falsa di alcune verità
di Alejandro González Iñárritu (2022)
Nel rito buddista il termine “bardo” indica lo stato intermedio tra la morte e la reincarnazione, in cui si sperimentano visioni della vita appena trascorsa. In questa sorta di limbo sospeso si muove il protagonista Silverio, noto giornalista messicano che rientra dopo molti anni nel Paese natale per ritirare un prestigioso premio. Sette anni dopo The Revenant, Iñárritu torna con un film intimo e visionario, ricostruzione autentica anche se non veritiera della propria memoria personale. 16 dicembre (Netflix)
Animali fantastici: I segreti di Silente
di David Yates
La Warner Bros riunisce la squadra creativa dei primi Animali fantastici per questo terzo sequel tratto dal libro di J. K. Rowling. O meglio: tratto dal libro di testo scritto nel 1918 dal famoso magizoologo Newt Scamandro e richiesto fin dal primo anno di studi ad Hogwarts, contenente le note manoscritte originali di Harry, Ron e Hermione. Magico anche il cast: Jude Law, Eddie Redmayne, Mads Mikkelsen, Katherine Waterston, Dan Fogler, Ezra Miller, Alison Sudol, Callum Turner…
26 dicembre (Sky Italia)
Rumore Bianco
di Noah Baumbach (2022)
Basato sul romanzo omonimo di Don DeLillo, il film che ha aperto la 79. Mostra del Cinema di Venezia racconta la storia di una famiglia americana contemporanea alle prese con i grandi temi della vita, come la morte, la ricerca della felicità, l’approccio ai grandi misteri universali. Uno sguardo a volte ironico a volte terrificante, spesso impregnato di un certo gusto per l’assurdo, sulle dinamiche che sfuggono alla nostra comprensione e allo stesso tempo condizionano ogni momento del nostro quotidiano.
30 dicembre (Netflix)
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M’ILLUMINO DI MENO
Non vi è luogo più luminoso a Venezia di Palazzo Ducale – col che intendo dire che non vi è luogo che sia per metà così luminoso. Il sole rifrangendosi entra dalle grandi finestre salendo dalla laguna scintillante e splende e sfolgora sulle pareti e sui soffitti dorati. Tutta la storia di Venezia, tutto il suo passato maestoso, vi brillano intorno nella forte luce marina Henry James
Le vulnerabili strutture lignee che innervano il Palazzo Ducale, gli enormi “teleri” che ricoprono per intero le vaste pareti (1. Francesco Guardi, Sala del Collegio, Museo del Louvre), i fasci di carte che le magistrature della Serenissima producevano con continuità per il funzionamento dello Stato e della sua Giustizia, hanno costituito da sempre minacce reali e immanenti qualora il fuoco, usato per illuminare, cucinare e riscaldare, fosse sfuggito al controllo degli uomini. Le insidie maggiori si annidavano in quei locali all’interno della grande macchina architettonica destinati ad accogliere le attività di chi, come il doge con tutto il suo seguito, viveva la quotidianità del palazzo: dai lumini che ardevano davanti alle immagini sacre per la devozione religiosa, ai caminetti – in tutto il palazzo solo undici – per riscaldare gli ambienti durante le lunghe e rigide stagioni invernali, o le fiaccole per rischiarare i locali dove erano i Signori di notte al criminal – la polizia notturna della Serenissima – e gli uomini dei corpi di guardia. Bisognava, dunque, ridurre al massimo i rischi e concentrare nelle ore diurne tutte le attività istituzionali e celebrative all’interno dell’edificio per ricevere la luce che penetrava dai grandi finestroni esposti al giro del sole.
Quando la Repubblica abdicò al suo ruolo politico e di Stato, Palazzo Ducale, che ne era il suo simbolo, passò
da luogo esclusivo della nobiltà veneziana e splendida dimora del doge a ospitare funzionari e impiegati che impartivano una giustizia non più solenne e paludata, esercitando un’amministrazione corrente, lontana dalle leve del potere.
Nel dicembre del 1821 un nuovo principio d’incendio –l’ennesimo nella storia dell’edificio – minacciò l’esistenza stessa del palazzo, il che indusse l’Imperatore d’Austria Francesco II a decretare che lo Statuario Veneto e la Biblioteca Marciana, trasferitisi dalla vicina Libreria Sansoviniana alle Procuratie Nuove, potevano mantenere i locali che erano stati assegnati loro solo qualche anno prima. Così il palazzo si avviava a diventare il museo di sé stesso, frequentato da un pubblico colto che veniva accompagnato nella visita alle memorie dell’aulico passato da un custode o, nelle grandi occasioni, da un fine erudito di civiltà veneziana quale era Emmanuele Cicogna, che nel 1857 fu incaricato di guidare per le sale monumentali l’imperatore Francesco Giuseppe con il suo seguito ( 2. Die Kaiser Reise nach Italien in “Illustrirte Zeitung”, 1857). Anche allora non mancavano quelli che alle bellezze artistiche del palazzo preferivano visitare i locali delle Carceri, dove mai la luce del giorno poteva penetrare, affascinati dai luoghi esaltati dalla “leggenda nera” di una Venezia implacabile giustiziera e feroce vendicatrice
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PALAZZO DUCALE
( 3. Francesco Galimberti, Francesco De Pian, Pozzoprimo sotto l’ultima scala ove si imprigionavano li delinquenti per materia di Stato).
John Ruskin arriva a Venezia per preparare il suo The Stones of Venice subito dopo la fine della parentesi democratica del 1848-49, quando il cruento assedio austriaco si era infine placato al cospetto di una città oramai spenta e rassegnata. Non c’è da stupirsi che egli, nella proclamata passione per il gotico, trovasse deturpante l’illuminazione che dal 1844, su proposta di una Società francese, rischiarava nelle ore notturne Piazza San Marco con la fioca luce alimentata a gas di centoquarantaquattro lampioni, alcuni dei quali montati anche nei pressi della Porta della Carta e lungo il loggiato inferiore dell’edificio ( 4. Luigi Querena, La prima notte di bombardamento 29 luglio 1849 - 5. Dionisio Moretti, Piazza di S. Marco/veduta del Portico del Palazzo Ducale, metà sec. XIX).
Era questo il primo timido tentativo di dotare anche Venezia d’illuminazione pubblica stabile almeno nelle sue zone centrali, quando oramai questa era già in uso nelle più importanti città europee. Ai numerosi avventori che visitavano il nobile monumento, anche dopo l’introduzione di una tassa d’ingresso decisa nel 1873, rimanevano da scoprire i grandi spazi interni con il vantaggio della luce mutevole durante l’arco della giornata. Al mattino presto si preferiva ammirare le opere delle sale del Consiglio dei Dieci, della Bussola e del Senato; a mezzodì quelle del Maggior Consiglio e i marmi del cortile interno; si attendeva il pomeriggio, invece, per la sala dello Scrutinio, del Collegio e dell’Anticollegio. Di Henry James, un abituale frequentatore di Venezia, sono alcune acute osservazioni contenute nella Lettera al fratello Williams del 1869, tuttora valide anche per il turista moderno: «Fortunatamente, tuttavia possiamo recarci a Palazzo Ducale, dove tutto è un tale luminoso splendore che il povero fosco Tintoretto è innalzato suo malgrado nel concerto generale. Questo edificio profondamente particolare è naturalmente la cosa più bella che ci sia a Venezia e una visita mattutina è una illuminazione meravigliosa. Scegliete l’ora – la metà del godimento a Venezia è costituita dall’evitare la gente –ed entratevi sulle una, quando i turisti vanno in gregge a colazione e le eco nelle incantevoli stanze si sono assopite tra i raggi del sole. Non vi è luogo più luminoso a Venezia – col che intendo dire che non vi è luogo che sia per metà così luminoso. Il sole rifrangendosi entra dalle grandi finestre salendo dalla laguna scintillante e splende e sfolgora sulle pareti e sui soffitti dorati. Tutta la storia di Venezia, tutto il suo passato maestoso, vi brillano intorno nella forte luce marina. Ogni cosa qui è magnifica, ma il Veronese è il più magnifico di tutti» (trad. Rosella Mamoli Zorzi).
In quello stesso periodo anche alcuni pittori frequentavano il palazzo in cerca delle più favorevoli condizioni di luce per riprendere i suoi interni. John Wharlton Bunney, presente a Venezia tra il 1877 e il 1882, ci ha lasciato un assolato Interno della Sala del Senato ( 6. John Wharlton Bunney, Sala del Senato, 1882, Sheffield City Art Galleries) ripreso nella luce del mattino e John Sargent la splendente tela con la Sala del Maggior Consiglio del 1898, ( 7. Singer Sargent, Sala del Maggior Consiglio, 1898 collezione privata) dove la calda luce del primo pomeriggio irrompe dai grandi finestroni e dal balcone che affaccia sul bacino illuminando le dorature del soffitto con le tele del Veronese. Sullo sfondo prende luce anche il Paradiso del Tintoretto, smentendo la sua fama di “pittore tenebroso” acquisita grazie ai “teleri” della Scuola Grande di San Rocco, che non potevano godere
di altrettante generose condizioni di illuminazione naturale. Anche i fotografi d’arte cominciarono a studiare e a conoscere i segreti delle luci del palazzo per ottenere immagini, impressionate nelle lastre con tempi d’esposizione non differenti da quelli impiegati dal pennello dei pittori dell’epoca ( 8. Sala del Collegio illuminata al tramonto, foto all’albumina, sec. XIX - 9. Giovanni Battista Dalla Libera, Sala del Collegio a Palazzo Ducale ).
La storia continua. Nel 1886 il conte Francesco Donà propone in Consiglio Comunale che venga creato a Venezia un primo stabilimento per la produzione dell’energia elettrica. A questa richiesta risposero alcuni noti imprenditori legati all’industria del turismo: Carlo Walter e Alberto Treves costituirono la Società di Illuminazione Elettrica di Venezia con una prima officina in Corte Barozzi – a pochi passi da Piazza San Marco – destinata all’illuminazione esclusiva dell’Hotel Britannia, dell’Hotel Bauer, del Caffè del Giardinetto Reale e del lampadario della Fenice. Nel 1890 dagli stessi venne creata con la Società Edison una centrale a vapore per la produzione dell’energia elettrica in Corte Morosina, situata ove oggi si trova l’Hotel Bonvecchiati, che serviva l’intera zona di San Marco, il Teatro Malibran e dal 1893 il Teatro La Fenice. Palazzo Ducale restava fuori da questo primo programma di elettrificazione, anche se le nuove esigenze dovute al cambio d’uso di alcuni ambienti imponevano che almeno una parte del palazzo fosse illuminata artificialmente. In quegli stessi anni, inoltre, il prezioso monumento stava subendo radicali restauri, iniziati nel 1875, che si erano resi necessari per salvaguardare la sua stessa incolumità statica. Tra i tecnici che seguirono i delicati lavori di consolidamento prese parte Giacomo Boni, in seguito Direttore delle Antichità e Belle Arti presso il Ministero a Roma. Questi, in un suo libello del 1887 titolato Venezia imbellettata, con accorata preoccupazione denunciava la pericolosità d’incendi per Palazzo Ducale, anche perché nel frattempo vi si erano insediate alcune famiglie di custodi e addetti all’amministrazione e vi avevano trovato sistemazione la Stazione dei pompieri e l’Ufficio regionale per la conservazione dei Monumenti del Veneto – l’odierna Soprintendenza –, allora diretto da Federico Berchet.
«In origine i pericoli d’incendio in Palazzo Ducale erano inerenti alla sua attività di servizio, come abitazione del doge e della sua famiglia che avevano bisogno di focolari in cucina, di bracieri e di lumi negli appartamenti, lumi a olio, chiusi in fanali di lastre forse, ma che insomma ardevano. Se una parte veniva distrutta, bastava ricorrere all’arte contemporanea e ricostruire la parte distrutta con nuovi materiali forme.
Il Palazzo Monumento Nazionale serve ora anche la Biblioteca Marciana che vi aveva avuto nascimento nel secolo XV in Sala dello Scrutinio, ma che invase un po’ per volta quella del Maggior Consiglio, le Quarantie e i tribunali minori. Le sculture di un museo archeologico vennero fatte pesare su solai dell’appartamento del doge. L’Istituto Veneto, penetrando in Palazzo, trovò modo di dilatarsi dal Magistrato alle Acque al pianterreno fino alla Torricella del Consiglio dei X, coi suoi laboratori e un’esposizione industriale di cerini, carte da tappezzeria, occhiali, ecc… ».
Nel 1896 cominciarono finalmente i lavori di elettrificazione del palazzo, limitati ad alcune scale interne e alle aree della Stazione dei pompieri, della guardiania, degli uffici di Berchet, che fin dall’inizio suscitarono, tra la denuncia della profanazione dello storico edificio e il timore di nuovi disastrosi incendi, un’accanita reazione nelle pagi-
ne della stampa locale e in gran parte dell’opinione pubblica. Il 13 luglio di quell’anno, sulle colonne del quotidiano «L’Adriatico», compare un articolo titolato La luce elettrica nel Palazzo Ducale a firma di Antonio Vendrasco, il quale tuonava contro quella che agli occhi dell’autore era un’insensata innovazione: «Con un senso che più di meraviglia fu di disgusto abbiamo veduto in questi giorni un lavoro già abbastanza avanzato che a nostro avviso è un vero non senso poiché svisa la vera natura e toglie il carattere al più superbo edificio del mondo artistico, Palazzo Ducale. Intendiamo parlare della istallazione di luce elettrica che si sta ora con alacrità degna di causa migliore allestendo all’interno di Palazzo Ducale […] Si frenino i bollenti slanci di questi profanatori del tempio più bello dell’arte.»
Nel 1904 si arrivò alla prima inaugurazione ufficiale della rete elettrica di illuminazione pubblica con lampioni in ghisa a terra e bracciali a muro che popolarono inizialmente Piazza San Marco e illuminarono da fuori e all’interno Palazzo ducale (10. Carlo Naya, Piazzetta San Marco ).
Da allora, con la tragica interruzione delle due guerre, (11. Sala del Maggior Consiglio durante la Prima guerra mondiale, foto) l’articolazione di diversi percorsi espositivi, le nuove funzioni degli ambienti, l’ampliamento delle possibilità di visita oltre gli orari diurni, l’incremento di servizi necessari per accogliere masse di visitatori sempre più numerose, hanno richiesto alla complicata macchina del palazzo e a chi la dirige necessari adeguamenti per permettere che tutti i visitatori possano godere delle sue opere in ogni stagione e con ogni condizione di luce. Questa continua rincorsa all’innovazione tecnologica ha portato nel tempo soluzioni molto positive, come ad esempio la recente sostituzione delle lampadine ad incandescenza con i led – molto più economici – impiegati con mille attenzioni e altrettanta complessità in ambienti delicatissimi, di grandezza fuori misura ma utilizzati, a volte, nella moltiplicazione delle fonti luminose, con poco rispetto per il nobile monumento.
Nel frattempo è anche maturata una coscienza collettiva sulla sostenibilità ambientale dei processi di modernizzazione e, più di recente, una riduzione economica per lo strozzamento dovuto alla crisi energetica. Per il 16 di febbraio del 2023 è indetta la prima Giornata nazionale del Risparmio Energetico e degli Stili di vita, promossa fin dal 2005 da una nota trasmissione radiofonica di Rai 2 in ottemperanza al trattato di Kyoto. In quel giorno il Palazzo Ducale di Venezia, che si propone come la città guida della sostenibilità, e tanti altri monumenti italiani e del resto del mondo per qualche ora s’illumineranno un poco di meno.
SONIA AGGIO
Magnificat Fazi Editore
È il 1951. In un piccolo casolare nella campagna del Polesine vivono Norma e Nilde, due cugine cresciute come sorelle dopo che un bombardamento durante la guerra ha ucciso le loro madri. Nilde è una ragazza riservata e timorosa di tutto e la sua ansia aumenta quando Norma inizia a comportarsi in maniera strana. Da quando è caduta dalla bicicletta mentre raccoglieva le ciliegie, sua cugina non sembra più la stessa: scompare senza motivo ogni volta che scoppia un temporale, è scontrosa, non le parla, impedendole persino di avvicinarsi. Nilde prova a seguirla nei campi, ascolta le voci che circolano in paese, ma non riesce a capire perché la sua Norma, il suo punto di riferimento nella vita, bella come la Madonna del Magnificat che le loro madri tanto veneravano, le stia facendo questo...
GIACOMO STIPITIVICH
Per l’Amore per la Patria
Independently published
Negli anni ’40 dell’Ottocento l’Italia, divisa e impoverita, langue sotto il giogo dello straniero. A Venezia covano le braci della rivolta. Una nuova generazione fa il suo ingresso sul palcoscenico della storia pronta a sfidare l’Austria e a innalzare la bandiera della libertà. Nella Corfù britannica, il giovane Nane Zorzi è educato agli ideali mazziniani da una zia che ha preferito l’esilio a una vita sotto l’occupante. Spinto dalla sete di avventura prima, e dall’amore per una giovane patrizia ribelle poi, partecipa alle lotte per la libertà di quegli anni conoscendo amare sconfitte, momenti esaltanti e inebrianti vittorie. Attraverso le esperienze dei giovani protagonisti e di personaggi come Garibaldi e Daniele Manin, l’Autore ci accompagna in un viaggio che dai monti del Meridione, passando per i campi di battaglia del Risorgimento, raggiunge le calli e i campi di Venezia.
GIANDOMENICO ROMANELLI Dopo Napoleone. Venezia, la Restaurazione e il libro segreto di Chateaubriand Wetlands
François-René de Chateaubriand, uno dei grandi intellettuali europei dell’Ottocento, venne a Venezia tre volte, lasciando traccia delle sue visite nelle ‘Memorie dell’Oltretomba’. Questi scritti andarono poi a formare un libro, Séjour à Venise, uscito in Francia nel 1936 e mai pubblicato in Italia. Un racconto della società veneziana negli anni difficili del primo periodo asburgico. L’Autore ci accompagna attraverso le pagine di Chateaubriand, facendoci incontrare i grandi protagonisti che in quegli anni frequentavano Venezia e i suoi palazzi, da Antonio Canova a Leopoldo Cicognara, da Silvio Pellico a Ugo Foscolo, da Lord Byron a George Sand. Ne esce un affresco inedito e affascinante, che getta una luce nuova e inattesa su un periodo ancora poco conosciuto e poco studiato della storia veneziana.
PAOLO GIORDANO Tasmania Einaudi
Un romanzo sul futuro, il futuro che temiamo e desideriamo, quello che non avremo, che possiamo cambiare, che stiamo costruendo. La paura e la sorpresa di perdere il controllo sono il sentimento del nostro tempo, ognuno cerca la sua Tasmania, un luogo in cui sia possibile salvarsi. Protagonista è un giovane uomo attento e vibratile, pensava che la scienza gli avrebbe fornito tutte le risposte, ma si ritrova davanti un muro di domande. Con lui ci sono Lorenza che sa aspettare, Novelli che studia la forma delle nuvole, Karol che ha trovato Dio dove non lo stava cercando, Curzia che smania, Giulio che non sa come parlare a suo figlio. La crisi di cui racconta questo romanzo non è solo quella di una coppia, forse è quella di una generazione, sicuramente la crisi del mondo che conosciamo, e del nostro pianeta.
Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere
ALESSANDRA NECCI
La regina e l’imperatrice. Maria Antonietta e Maria Teresa. Due destini tra l’assolutismo e il dramma della Rivoluzione Marsilio
EditoriQuando Maria Teresa succede al padre Carlo VI d’Asburgo, l’ultimo erede maschio di un casato che aveva prosperato per secoli, molti temono che una donna avvenente, giovane e inesperta non riesca a sopportare il gravoso fardello della corona. Armata di umiltà e determinazione, si rivelerà invece una sovrana illuminata, una “madre della patria” amorevole e attenta alle esigenze dei suoi sudditi, un’imperatrice propensa alla mediazione, ma capace anche di fermezza e pragmatismo, che attuerà una serie di importanti riforme. Costretta in nome della ragion di Stato a dare in sposa l’appena quattordicenne Maria Antonietta al delfino di Francia per rinsaldare l’alleanza fra Vienna e Versailles, Maria Teresa non smetterà mai di preoccuparsi della condotta di questa sua giovane figlia dal carattere vivace, incline alla leggerezza e allo sfarzo. Un racconto appassionante che restituisce spessore alle due donne più influenti nell’Europa del Settecento.
ANTONIO SCURATI
M. Gli ultimi giorni dell’Europa Bompiani
Il 3 maggio 1938, nella nuova stazione Ostiense, Mussolini insieme a Vittorio Emanuele III e al ministro degli esteri Ciano attende il convoglio con il quale Hitler e i suoi gerarchi scendono in Italia per una visita che toccherà Roma, Napoli e Firenze. Da poche settimane Hitler ha proclamato l’Anschluss dell’Austria e Mussolini, dopo aver deciso l’uscita dell’Italia dalla Società delle Nazioni, si appresta a promulgare una legislazione razziale di inaudita durezza. Eppure sono ancora molti a sperare che il delirio di potenza dei due capi di Stato possa fermarsi. L’Autore ricostruisce con precisione lo spaventoso delirio di Mussolini, pateticamente illuso di poter influenzare le decisioni del Fuhrer, consapevole dell’impreparazione italiana, più che mai solo fino alla sera del giugno 1940 in cui dal balcone di Palazzo Venezia proclama “l’ora delle decisioni irrevocabili”.
BJARNE REUTER Hodder e la fata di poche parole Iperborea
Hodder non ha più la mamma e suo padre esce ogni notte per attaccare manifesti pubblicitari sui muri della città. Ma Hodder non si sente solo, anzi, quasi non ha il tempo per dormire con tutte le visite che riceve: dal pugile-poeta Big Mac Johnson, di cui conserva religiosamente un pelo del naso, alla seducente Lola dalle scarpe rosse, che fuma sigarette in strada sotto il lampione, al cane azzurro che lo attende sempre davanti a casa. Una notte arriva perfino una fata a dirgli che lui è il prescelto e che deve salvare il mondo. Salvare il mondo? La fata non avrà sbagliato indirizzo? Hodder non è proprio abituato a essere scelto. Ecco la soluzione: comincerà proprio da una minuscola isoletta africana sperduta nell’oceano di nome Guambilua. Non gli resta che comporre la squadra giusta per la sua formidabile missione...
AA. VV. Natale con i fantasmi Neri Pozza
C’è un uomo ossessionato dal gioco degli scacchi che decide di prendere in affitto una singolare casa bianca e nera, con un sobrio giardino all’italiana in cui, disposti su due file, vi sono alberi potati in forme legate al suo gioco favorito. Di giorno quel luogo è pervaso da una pacata quiete, di notte si trasforma nel più spaventoso degli incubi.Una donna in fuga da un marito violento sceglie, come rifugio per sé e suo figlio, la vecchia dimora di famiglia, ma fin dalla prima notte appare chiaro che qualcun altro abita in quelle stanze. Il giovane fotografo Walter Pemble si presenta nella residenza dei coniugi Wilt per il ritratto della defunta Lily, unica figlia di Rumold e Guinevere Wilt. La casa è sprofondata nel lutto, gli specchi oscurati, gli orologi fermi e le persiane alle finestre chiuse. Solo Lily Wilt, adagiata nel suo feretro, appare più viva che mai…
identifica in modo appropriato una importante collezione di sculture, fotografie, tessuti, dipinti e oggetti di design che si trova alle porte di AlUla, si riporta all’antica vocazione questo luogo, un centro storico di trasmissione culturale, che oggi trova nuovo slancio come un’oasi di arte e creatività. AlUla sin dai tempi antichi è stato una terra di passaggio, accogliendo commercianti, mercanti e pellegrini che hanno raccontato nei secoli attraverso la letteratura e l’arte le loro esperienze del passaggio in quel luogo incredibile. La collezione d’arte Safar continua questa eredità, collegando le narrazioni del passato attraverso le prospettive contemporanee di artisti del nostro tempo: un viaggio attraverso l’aeroporto che diventa un cammino attraverso il patrimonio passato e il futuro di AlUla. I lavori dei 10 artisti sauditi e dei 6 artisti regionali si affiancano a quelle degli artigiani di Madrasat AdDeera, il primo centro di Arte e Design di AlUla. Le opere di Safar dialogano con il paesaggio naturale e culturale unico di AlUla. Due sculture di Shaikha Al Mazrou fanno riferimento alle incisioni rupestri locali in una resina color arancio mattone, mentre due dittici di Dana Awartani proseguono la narrazione del patrimonio attraverso intricati motivi tradizionali ispirati alle vedute aeree dei famosi siti del patrimonio di AlUla. I tessuti ricamati di Farah Behbehani sono un’ode alla comunità di AlUla attraverso l’artigianato locale, mentre Conversations through time di Ranim Halaky è una installazione tipografica in acciaio grezzo creata in collaborazione con la comunità, che presenta così la sua voce in forma scultorea. Le opere di artisti emergenti come Stephanie Neville, Sandrah Boutros e Nidanin Woodwork sono presentate come wunderkammer contemporanee nella biblioteca del Terminal Executive. Tra queste, si trovano opere ispirate al ricco patrimonio tessile e artigianale di AlUla, insieme a fotografie dell’archivio della Royal Commission for AlUla che ritraggono i paesaggi circostanti. Beati i primi che potranno raccontare emozioni ancora non toccate dai grandi numeri... www.experiencealula.com
molti dei segreti della civiltà nabatea sviluppatasi nell’oasi di AlUla. Dadan, capitale dei regni di Dadan e Lihyan, fu costruita in pietra e ospita le straordinarie Tombe dei Leoni, una dozzina di monumenti funerari abilmente realizzati scavando nella roccia di arenaria rossa. Jabal Ikmah offre uno spaccato della vita e della cultura dell’epoca ed è una biblioteca a cielo aperto, con più di 450 iscrizioni dettagliate, arte rupestre e petroglifi disseminati in un incredibile canyon nel deserto. AlUla Old Town è un insediamento circondato da un’oasi di terre fertili con più di 900 case tradizionali in mattoni di fango, negozi, piazze, un Souq e un nuovo padiglione dell’artigianato, che è la testimonianza diretta delle arti e dei mestieri locali. La regione di AlUla ospita inoltre il Maraya Hall, un’avveniristica costruzione destinata ad accogliere eventi e come avviene sovente da quelle parti, riveste un carattere unico e spettacolare: è infatti interamente ricoperta di specchi che riflettendo tutto quanto ha intorno diventa, un’estensione mai uguale a sé del paesaggio stesso. Per smentire i detrattori che potrebbero pensare a un tentativo di creare una destinazione turistica violando la bellezza ancestrale del paesaggio unico, va sottolineato che sostenibilità e impegno per l’economia circolare sono al centro del progetto AlUla. Il Wadi of Hospitality, che attraversa l’antica oasi, è alla base dei piani per la rinaturalizzazione e la biodiversità. Una linea di tram a basse emissioni di carbonio lunga 46 km collegherà l’Aeroporto Internazionale di AlUla ai cinque distretti. Attualmente il 60% dell’oasi è abbandonato, a causa della mancanza di acqua e di anni di pratiche agricole non sostenibili. È in atto una strategia per riqualificare la terra e invertire il corso della desertificazione con una migliore gestione dell’acqua, sotto l’egida della Saudi Green Initiative. L’80% del territorio della regione è stato destinato a riserve naturali e molte specie di flora e fauna sono state reintrodotte. È stato citato l’Aeroporto internazionale di AlUla, dove sin dall’arrivo il viaggiatore è immerso nell’arte. Con il progetto artistico Safar , che in arabo significa “viaggio” e
Viaggiare è la nostra passione, incontrare nuova gente...», citazione molto pop tuttavia riassume al meglio un istinto naturale dell’uomo, almeno di chi vede le Colonne d’Ercole come un luogo da superare e non da temere. In questo tempo così complicato e colmo di differenze sociali e di contraddizioni chi può ancora permettersi di viaggiare con stile non può ignorare quelle mete che si sono affacciate al turismo internazionale e che sono destinate a diventare oggetto di desiderio da parte di molti. Una tra tutte, di cui si parla da qualche tempo, ma tra pandemia e crisi internazionali ancora non è fortunatamente esplosa al turismo di massa è AlUla, situata nella parte nord occidentale dell’Arabia Saudita, a 200 km dal Mar Rosso, lungo l’antica via dell’incenso, la rotta commerciale che un tempo collegava l’Arabia con la regione mediterranea. Per secoli AlUla è stata un crocevia geografico e culturale, luogo di incontro e di scambi che ha attirato viaggiatori da tutto il mondo, e da qualche tempo lo sta facendo di nuovo. Un ambizioso piano di rigenerazione mira ad attrarre due milioni di visitatori entro il 2035 trasformandola nel museo vivente più grande del mondo: una destinazione unica e globale per arte, cultura, tradizione e turismo naturale. Questa vasta area desertica, grande circa la metà della Danimarca, è attraversata da una valle lussureggiante e punteggiata da imponenti affioramenti di arenaria e monumenti risalenti a migliaia di anni fa. È possibile ritrovare e ripercorrere una storia dell’uomo vecchia di almeno 8000 anni nascosta tra canyon, dune di sabbia, montagne di arenaria e grandi formazioni di roccia rossa, il tutto disseminato nel panorama desertico che contrasta con il verde lussureggiante delle oasi, preziose e indispensabili fonti di vita e nutrimento per le numerose civiltà e regni antichi, che hanno transitato e abitato in questa regione. L’area di AlUla è incastonata in uno dei luoghi tra i più esclusivi e unici del pianeta e racchiude quattro siti storici principali: Hegra, Dadan, Jabal Ikmah e AlUla Old Town. Hegra, la città più meridionale del regno dei Nabatei, risale a oltre 2000 anni fa. Patrimonio mondiale dell’UNESCO, è considerata una sorta di museo a cielo aperto, vanta più di 110 tombe scavate nella roccia e custodisce
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CAMBI DI STAGIONE
Non è perché è complicato che non si osa, ma è perché non si osa che è complicato Seneca
Imprenditore, ma soprattutto artista, curatore non tradizionale e agitatore culturale. Didier Guillon, già Presidente del Gruppo Valmont, nome di riferimento nella cosmesi di lusso, è fondatore e animatore della Fondation Valmont, che ha scelto di stabilirsi non a caso a Venezia. Unisce una passione contagiosa per l’arte a una complessa visione sul presente allargato e rivolto verso il futuro. Non stiamo parlando di NFT o arte digitale, Didier Guillon ama opere e artisti legati alla tradizione, però aperti a esplorare nuovi campi di creazione. Le sue visioni e le sue idee prediligono metafore – una fra tutte l’immancabile gorilla – dalle radici solide e al contempo concepite per affrontare le sfide attuali, denunciando criticità del nostro tempo e cercando modi per “incantare” la realtà. Gli piace pensare a nuovi modi di avvicinare, elaborare e valorizzare l’arte contemporanea, ma soprattutto a come riuscire a traghettare tutto questo alle generazioni future attraverso la realizzazione di nuovi progetti ecoresponsabili. Invitati a visitare la nuova splendida Résidence Bonvicini nel sestiere di Santa Croce, all’ultimo piano di Palazzo Bonvicini, sede espositiva della Fondation dove è in corso la mostra Peter Pan. La nécessité du rêve, abbiamo con lui intavolato un fitto e intrigante dialogo sul contemporaneo e sul possibile ruolo dinamico di Venezia nel futuro che stiamo scrivendo. Ne siamo usciti molto carichi di energia.
La Fondation Valmont a Venezia presenta un nuovo assetto: sede espositiva temporanea e nuovi spazi dedicati alle residenze d’artista. Come si articolerà la nuova programmazione e come una parte si integra e si completa con l’altra? In modo semplice e logico: le mostre vengono realizzate in collaborazione con gli artisti venuti a lavorare direttamente nelle Résidences Valmont di Idra (Grecia), Verbier (Svizzera), Venezia (Italia) e prossimamente Barcellona (Spagna). La mostra Peter Pan. La nécessité du rêve è stata per esempio concepita e immaginata a Idra. Perché Idra e non Venezia? Ci è sembrato interessante creare un’idea, un concetto, una filosofia strategica nella culla della nostra civiltà per poi declinarla a Venezia, perpetuando attraverso l’arte contemporanea il legame strettissimo tra la perla lagunare e la Grecia. La mostra poi a Venezia è entrata nel circuito di pubblico della Biennale Arte, innescando nuove reti di contatto e collaborazione con altri artisti, gallerie, istituzioni, prodromo di nuovi progetti. Per il 2024, in occasione della prossima Biennale Arte, seguiremo il solco tracciato quest’anno. Non è mai solo arte ciò che proponiamo quindi, ma uno sguardo allargato sul contemporaneo.
Quali sono gli obiettivi prospettici di questo nuovo assetto della Fondazione? Vi è una idea futura che porta alla formazione di una Collezione permanente a Venezia e di conseguenza a una apertura “museale” di essa?
Il progetto di Fondation Valmont si inserisce in una prospettiva più ampia, in una visione futura di accompagnamento e sviluppo di azioni e comportamenti da adottare per essere partecipi del rinnovamento del nostro pianeta. Non si tratta, quindi, di esporre delle opere già fatte, ma delle opere che devono ancora essere fatte, in una dimensione differente e corresponsabile di sviluppo duraturo. Per me esporre la collezione che apparteneva a mio nonno non ha alcun interesse, perché significherebbe ingessarsi in una dimensione, per quanto alta, storica; noi invece vogliamo con i
An entrepreneur, though an artist above all, an unconventional curator and cultural agitator. Didier Guillon, formerly the president of luxury cosmetics company Valmont Group, is the founder and animator of Fondation Valmont, whose primary office is in Venice. Guillon paired his passion for art with a sophisticated vision on the present and the future. We are not talking digital art or NFTs – Didier Guillon loves traditional art and artists who are open to new fields of creation. He loves metaphors, too – see his beloved gorilla – and new ways to ‘enchant’ reality. We have been invited to visit the beautiful Résidence Bonvicini, where the Foundation and exhibition Peter Pan. La nécessité du rêve are.
A new structure for Fondation Valmont in Venice: temporary exhibition areas
and art residences
It’s simple and logical: exhibition will be produced in cooperation with the artists who did their residences with Valmont in Hydra (Greece), Verbier (Switzerland), Venice, and in the future, Barcelona. Exhibition Peter Pan. La nécessité du rêve has been created and imagined in Hydra. Why there, and not in Venice? We thought it would be interesting to conceive an idea, a philosophical strategy, in the cradle of our civilization, and later bring it to Venice, thus perpetuating the centuries-old relationship that exists between Greece and Venice. Our exhibition in Venice also took advantage of the extant art audience coming from the Art Biennale, facilitating networking between artists, galleries, institutions, etc. For 2024, the year of the next Art Biennale, we will plan something similar. Not just art, but a wide-open look on modernity.
The goals of the Foundation
The project of Fondation Valmont falls within a larger perspective, a vision for the future that will allow us to participate in the renewal of our planet. We won’t show pre-made art, but art that still has to be created. I don’t care about showing my grandfather’s art collection, because doing so would mean to stick to a historical dimension, however elevated it may be. We want to accompany our audience into the new generation of art, into the future. A Valmont Collection does exist, but showing it permanently makes no sense to me. I don’t want to build another museum.
The art that we commission for our exhibitions are site-specific projects, physical installations that will be dismantled at the end. The artist will take it home, wholly or partially, and we take apart the installation altogether. We don’t want to hold on to a piece of art outside of the context it has been created. We take it apart and recycle what can be.
The Valmont residences
The next residence, the last one of this cycle, will open in Barcelona. Each residence matches a season: Verbier winter, Venice spring, Hydra summer, Barcelona autumn, which is why our programmes also follow the same calendar. What is common to all, though, is sustainability. We are looking at plastic-free
Peter Pan. La nécessité du rêve Fino 26 febbraio 2023
Fondation Valmont, Palazzo Bonvicini, Calle Agnello San Polo 2161/A fondationvalmont.com
DIDIER GUILLON FONDATION VALMONT
nostri nuovi progetti accompagnare i visitatori, le nuove generazioni, nel futuro. Certo esiste una collezione Valmont, ma questa è in continuo movimento, distribuita nelle varie Maisons in giro per il mondo. Per me esporre le collezioni in maniera permanente non ha alcun senso, non voglio creare un mausoleo.
Le opere che commissioniamo per le mostre, essendo progetti sitespecific, installazioni fisiche, vengono alla fine smontate. L’artista si porta via l’opera o parti di essa, mentre noi distruggiamo l’installazione, perché non vogliamo conservare un lavoro fuori dal contesto per cui è stato creato. Distruggo e riuso quegli elementi dell’opera nella misura in cui è possibile riciclarli: cartone, carta, giornali… I miei disegni sono fatti sul «New York Times» per esempio; tutto si trasforma, niente rimane inalterato.
In che relazione si porranno le diverse Résidences Valmont e quale programmazione assumeranno le future mostre?
La prossima e ultima residenza aprirà i suoi battenti a Barcellona. Ciascuna di queste quattro Résidences corrisponde a una stagione: Verbier l’inverno, Venezia la primavera, Idra l’estate, Barcellona l’autunno, per cui i nostri programmi vengono organizzati con queste cadenze stagionali. Vi è però una comune attenzione verso un importante programma di eco-responsabilità, che coinvolge tutte le residenze e gli artisti. Il nostro impegno è di essere plastic-free, di non servirci più della plastica nelle nostre residenze. A Venezia, per esempio, non usiamo bottiglie di plastica per l’acqua, beviamo quella del rubinetto. A Idra è un po’ più complicato, perché l’acqua è desalinizzata, per cui abbiamo trovato una marca di acqua che usa il tetrapak. A Verbier abbiamo finanziato una piccola società che realizza una limitatissima serie di sci che possono essere personalizzati, naturalmente a impatto zero. Per quanto riguarda Venezia, stiamo lavorando a un progetto importante che non possiamo ancora comunicare, un progetto di finanziamento eco-responsabile. A Barcellona aiutiamo la Fondazione Artigas ad avere la propria autonomia energetica per l’alimentazione dei forni dove vengono prodotti magnifici vasi e dove Mirò stesso produceva le sue opere. Dunque quattro residenze, quattro stagioni, quattro impegni importanti, quattro progetti eco-responsabili. Si guarda al futuro non al passato, anche se abbiamo bisogno della nostra storia per costruire il nostro futuro.
Cosa significa per Fondation Valmont sostenere artisti e più in generale l’arte oggi?
Il ruolo della Fondazione è di mostrare, di coinvolgere tutte le persone che sono interessate ai nostri progetti verso il futuro. Cerchiamo artisti qui a Venezia, città universale e attrattiva delle arti per eccellenza. Luogo magico che si è sempre dimostrato capace di reinventarsi e che continuerà a reinventarsi. Noi desideriamo e dobbiamo attirare qui l’arte seguendo questa traccia identitaria in perpetuo movimento, reinventandoci quotidianamente quindi. È il modo migliore, riteniamo, per dare un nostro concreto e creativo contributo a questa grande e unica città. È questo quello che dobbiamo fare tutti assieme per alimentare la speranza di cambiamento per Venezia.
In che relazione si pone Fondation Valmont rispetto alla parte produttiva del marchio Valmont? In che misura l’arte garantisce un fronte creativo alla produzione?
Fondation Valmont non ha la vocazione di accompagnare la parte scientifica, questo lo lasciamo ai chimici. L’arte è sempre stata il nostro motto, il nostro elemento distintivo rispetto ai grandi marchi come per esempio L’Oréal, che hanno sempre usato modelle per commercializzare i loro prodotti. Noi invece abbiamo sempre utilizzato l’arte come supporto promozionale. I nostri design hanno sempre una dimensione artistica, sia essa digitale o fisica. L’arte è in seguito entrata nelle Maisons Valmont e ora con Fondation Valmont abbiamo pensato di darci un’ulteriore missione a partire proprio da Venezia, la quale, se tutte le componenti che ne caratterizzano l’esistenza seguiranno questa strada a dovere, può effettivamente diventare un punto di riferimento universale di città eco-responsabile, contribuendo, per quel che riguarda il nostro specifico, a stimolare e a spingere l’insieme delle équipe di Valmont di tutto il mondo verso l’eco-responsabilità. Presto vorremmo arrivare al punto di poter felici affermare: «Guardate Venezia, una città che ha sempre saputo reinventarsi e che ora si sta volgendo verso il futuro».
Dopo Alice in Doomedland (2021), Hansel & Gretel (2019) e Beauty and the Beast (2017), il quarto capitolo espositivo, Peter Pan. La nécessité du rêve, pone al centro il tema della fuga dalla realtà, offrendo una parentesi onirica, una pausa dall’insostenibilità del reale, restituendo attraverso le opere in mostra il bisogno di evasione e libertà sempre più compresso dall’inquietudine e dalle ossessioni performanti del contemporaneo. Come gli artisti coinvolti hanno restituito in maniera differente questa urgenza?
Le fiabe sono universalmente note come pretesti per parlare di questioni correnti. Io le considero come ponti culturali, basi letterarie con cui vedere, analizzare le cose da nuovi punti di vista. Questo è ciò che facciamo come artisti qui: lavoriamo per rendere più moderne, più contemporanee, queste storie senza tempo. Peter Pan è il racconto di un’evasione, di un sogno, tuttavia come artisti e, di conseguenza, come portavoce di messaggi e contenuti pubblici, non possiamo considerarlo solo in quanto tale; dobbiamo scavare in profondità, indagare sotto la superficie delle immagini e delle parole. La bellezza del nostro lavoro è racchiusa tutta lì.
Il cinema è sempre stato una componente dei suoi progetti. In questo caso, l’immagine in movimento diventa il medium unico della mostra. Quale in particolare le potenzialità di questo linguaggio e quali le difficoltà che ha riscontrato confrontandosi con esso?
L’immagine in movimento è stata la conditio sine qua non da seguire per completare questo ultimo progetto dedicato a Peter Pan. È fondamentale offrire diversi percorsi a chi visita Fondation Valmont, in modo che si possa vivere un’esperienza con (quasi) tutti i sensi attivi attraversando i più compositi linguaggi dell’arte. Gli artisti che hanno partecipato negli ultimi quattro anni ai diversi capitoli espositivi hanno dimostrato di essere capaci di creare concetti molto personali e originali. Silvano Rubino, per esempio, ha portato nelle diverse mostre da labirinti in scala 1:1 a immagini fotografiche digitali, alla videoarte; Isao ha spaziato dall’arte in ceramica all’enorme installazione di Alice, fino ai giochi d’ombre proiettati su un libro aperto. Per quanto riguarda me, reinventarsi è sempre stato parte del mio processo creativo: Sheherazade faceva lo stesso col suo re…
everything. No plastic bottles here in Venice. In Verbier, we financed a local skimaker that builds zero-impact gear. We are working on an important project – I cannot reveal much now – on eco-responsibility in Venice. In Barcelona, we support Artigas Foundation to reach energy autonomy in powering their kilns, where they make beautiful pottery and where Miró once worked. A total of four residences, four seasons, four eco-responsible projects. We are looking at the future, not the past, even though we do need history to build our future.
Supporting art today
The role of our Foundation is to show, to involve all who are interested in our projects on the future. We look for artists here in Venice, a universal city and a point of attraction for the arts. Venice is a magical place that has always proved it can reinvent itself. We want to draw art here following this ever-evolving identity. We must reinvent ourselves continuously. It is the best way to give some positive, real contribution to this amazing, unique city.
Valmont and the Valmont Foundation
Fondation Valmont has no interest in chemistry – that much we leave to actual chemists. Art is the word, here, the distinctive ele -
ment that distinguishes us from bigger brands like l’Oréal, which have always employed models to promote their products. We chose art. Our designs have always had an artistic flair to them, whether digital or physical. Art entered the Maison Valmont and today, with Fondation Valmont, we thought of accepting a further mission that starts in Venice. If all goes to plan, Venice will become a reference point for eco-responsibility and contribute to stimulate the whole of Valmont to the same set of values. We would want to soon be able to say. “Look at Venice, a city that has always known how to reinvent itself, and that is known looking forward to the future.”
Peter Pan. La nécessité du rêve – escape from reality, a dreamlike sequence, a pause from the unsustainability of the real Fairy tales are universally known as pretext to confront real problems. I consider them to be a sort of cultural bridge, literary bases that will help us see and analyse things from a different point of view. This is what we do, here, as artists: we work to make these timeless stories more modern. Peter Pan is a story of evasion, of dream. However, as artists and as heralds of public messages and contents, we cannot limit to that our considerations. We must dig deeper, investigate under the surface of images and words. The beauty of our work is all there.
Visite guidate gratuite Il Palazzetto Bru Zane offre ogni giovedì delle visite guidate gratuite con i seguenti orari: 14.30 italiano 15.00 francese 15.30 inglese
Speciale Carnevale di Venezia
Da giovedì 16 a martedì 21 febbraio, visite guidate gratuite tutti i giorni
DIDIER GUILLON FONDATION VALMONT
Quali sono gli insegnamenti e i riscontri che l’esperienza e il confronto con altri artisti offrono al suo personalissimo percorso artistico? Ognuno di noi (artisti) ha il proprio modo di creare, è questa la nostra forza. Il laboratorio-mostra attuato nelle residenze è uno spazio libero e sicuro dove esprimere le nostre emozioni senza paura del giudizio altrui. Il tutto completato da un tocco di sana competizione, così che ognuno sia spinto a dare il suo meglio.
L’opera Blessing in disguise l’ha vista collaborare con sua figlia Valentine. Come è nata questa idea, ma soprattutto come si è sviluppata? Nel 2021, Valentine era in Valmont per un tirocinio e ne ho approfittato per vedere se la sua creatività potesse essere lì sviluppata. Le ho mostrato la tavola di stile e le ho spiegato come lavorarci. Il risultato è stato molto buono, non solo a detta mia. Amici e collaboratori mi dicevano: «Hai visto cos’è riuscita a fare? È bellissimo!». In Blessing in disguise ha scelto Valentine il ritmo, i fotogrammi e in generale il dinamismo dell’installazione. Ho partorito un’idea che ho subito condiviso con lei e Valentine l’ha realizzata. Credo che sia stata capace di creare un film così bello perché non si è sentita limitata in alcun modo. Le era stato dato il leitmotiv da seguire, ma a parte quello poteva scegliere le immagini che meglio preferiva. Il risultato restituisce in maniera eloquente l’approccio progettuale che ha espresso affrontando questo lavoro: visione complessiva dell’opera e capacità di coniugare perfettamente le immagini con il suono, creando un equilibrio perfetto. Ne sono totalmente soddisfatto.
Una curiosità: perché ha scelto il gorilla come “firma” per le sue opere? Perché a partire dagli anni ‘90 la popolazione dei gorilla alla frontiera tra Uganda e Repubblica del Congo è tornata a crescere di numero. Perché le comunità hanno capito che non bisognava uccidere i gorilla, era stupido; bisognava invece proteggerli e mostrarli a un turismo che si interessa alla loro vita e grazie a ciò tutta la comunità ne ha tratto beneficio. Per cui il gorilla è per me uno straordinario simbolo di resilienza e comunità.
Cinema
Motion pictures are essential to complete our latest Peter Pan project. It is essential to offer different itineraries to all visitors, so that art can engage all their senses. The artists who, over the last four years, participated to the several instalments of our exhibitions proved they were able to create very personal and very original concepts. Silvano Rubino, for example, created labyrinths and photography and video art installations, Isao used ceramics and created the huge Alice installation… As far as I’m concerned, to reinvent myself has always been part of my creative process.
You and other artists
Each of us artists have their own way of going about creation – it’s our strength. The exhibitions/workshops that we see in the several residences is an open, safe space where we can show our feelings without fear of being judged. On top of it, there’s an element of healthy competition, which encourages each of us to give their best.
The gorilla
Since the 1990s, the gorilla population in the Uganda/ Congo area has been growing. People understood they shouldn’t kill gorillas, that’s a stupid thing to do. We should protect them, and show their habitat to tourists who are interested in their lives. The whole community benefited from this approach. Gorillas are a beautiful symbol of resilience and community.
arte
LA BIENNALE DI VENEZIA FROM ART TO ARCHITECTURE
Aspettando Lesley Letture sulla città generica, continua e futura
Lesley Lokko (Ghana/Scozia), architetta e docente di architettura, è un’affermata scrittrice che pubblica testi sui temi della razza, dell’identità, dell’architettura. Nel 2023 sarà l’attesa curatrice della 18. Biennale Architettura, intenzionata a puntare i riflettori sui talenti nuovi ed emergenti, a proporre un’opportunità unica, ma anche una responsabilità del tutto particolare. Il senso di questa opportunità/responsabilità sta forse già nel titolo della mostra, Il laboratorio del futuro.
Aspettando di scoprire come Lesley Lokko definirà il suo Laboratorio e quali saranno i protagonisti del dibattito internazionale chiamati a disegnare il futuro, vorremmo condividere delle riflessioni ispirate dalla lettura recente di due testi sulla città contemporanea, basi necessarie per comprendere il progetto di Lokko.
LA (NON PIÙ) CITTÀ, LA CITTÀ GENERICA
La nostra prima riflessione è ispirata a Testi sulla (non più) città di Rem Koolhaas, a cura e con saggio introduttivo di Manuel Orazi per Quodlibet, che sostiene: «la città non esiste più. Poiché l’idea di città è stata stravolta e ampliata come mai nel passato, ogni tipo di insistenza su una sua condizione primigenia – in termini visivi, normativi, costruttivi – ha come esito inevitabile, complice la nostalgia, quello dell’irrilevanza».
Atlanta, Singapore, Dubai, Parigi, Lilla, Berlino, Tokyo, New York, Rotterdam, Mosca, Londra…: la metropoli contemporanea, con il suo sviluppo disomogeneo e smodato, con la sua urbanistica apparentemente anarchica, disturba e mette in discussione i nostri valori più profondi, o almeno quelli più sentimentali. Come sono arrivati architetti, culture (europea, americana, asiatica), regimi politici completamente diversi tra loro, a configurazioni tanto simili? E perché «il trionfo della città è coinciso proprio con il venir meno
della riflessione su di essa»? È il declino dell’Occidente che va di pari passo con la crescita di modernità non-occidentali, soprattutto in Africa e in Asia, secondo la tesi di Koolhaas. L’idea di città di queste nuove modernità viene generata da sistemi politici differenti dal nostro, un’idea assai lontana dalla civitas sulla quale abbiamo fondato (quella che un tempo era) la città occidentale. Su Singapore in particolare Koolhaas scrisse “La città generica”, in cui restituisce la genesi di questa città-stato sorta da una tabula rasa e pianificata, pensata e imposta dall’alto. Un testo chiave sul destino della città occidentale e sull’emergere di una nuova città liberata dalla schiavitù del centro e dal chiodo fisso dell’identità; una città in cui la sfera pubblica ha abdicato, il trionfo di una terribile quiete. L’urbanistica, quindi, per Koolhaas è tornata a essere un nodo decisivo per la progettazione del futuro e questo implica che si abbia un’idea chiara di come si vorrebbe il mondo.
LA CITTÀ CONTINUA
La seconda lettura è It’s All One Song di Marco Zanta, con testi di Stefania Rössl, per Hartmann Books. Osservando la città contemporanea attraverso una straordinaria sequenza di fotografie appare chiaro come le logiche che guidano i processi di urbanizzazione siano sottoposte a strategie politiche poco lungimiranti e poco sensibili nei confronti della qualità dell’abitare. Esse sembrano rispondere unicamente a regole economiche imposte dall’alto, poco attente alle reali necessità dei luoghi e degli abitanti. Le trasformazioni urbane avvenute negli ultimi vent’anni sono le principali testimoni di fenomeni di espansione che, per sopperire ai flussi migratori via via più intensi, hanno portato all’omologazione di vaste aree edificate, per lo più delocalizzate e concentrate nelle zone periferiche delle città. Interi comparti di città che appaiono decontestualizzati, oltre
che poco rispettosi dei caratteri originari dei luoghi. «L’ipotesi che il mondo possa essere contenuto in una sola grande immagine – sostiene Stefania Rössl – tanto cara a Luigi Ghirri, ricorda quella descrizione della Terra vista dalla Luna che aveva il potere di racchiudere tutte le immagini del mondo. Per questo, in quell’inestricabile “geroglifico del reale”, il paesaggio rappresentava, e può rappresentare ancora, l’inizio di un percorso in divenire in cui dimensione reale e immaginaria realizzano nuove visioni».
IL LABORATORIO DEL FUTURO
E sono proprio le nuove visioni il contenuto su cui si concentra la promessa più esplicita di Lesley Lokko e del suo Laboratorio. «Oggi possiamo “vedere” il mondo come non mai. Le nuove tecnologie appaiono e scompaiono continuamente, offrendoci scorci non filtrati della vita in parti del mondo che probabilmente non visiteremo mai, tanto meno capiremo. Ma vedere contemporaneamente vicino e lontano è anche una forma di “doppia coscienza”, il conflitto interno di tutti i gruppi subordinati o colonizzati, che descrive la maggioranza del mondo, non solo “laggiù”, nei cosiddetti Paesi poveri, in via di sviluppo, ma anche “qui”, nelle metropoli e nei paesaggi del Nord globalizzato». In Europa si parla spesso di minoranze e diversità, ma la verità è che le minoranze dell’Occidente sono la maggioranza globale nel resto del mondo; la diversità in Africa è la norma.
Se c’è un luogo in cui tutte le questioni di equità, risorse, razza, speranza e paura convergono e si fondono, questa è l’Africa, il continente più giovane. L’Europa ora si confronta con le stesse domande sulla terra, sull’identità e sulla lingua che molte parti dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia non hanno mai visto sparire. Una prospettiva rovesciata ma non divisiva perché, ricorda Leslie Lokko, a livello antropologico «siamo tutti africani e ciò che accade in Africa accade a tutti noi».
Quindi il progetto si propone come il riconoscimento che l’architettura è una disciplina di trasformazione e di traduzione. Da questo viaggio continuo tra codici e spazi, «da questa facilità di traduzione e da questa elasticità possiamo imparare».
«Più che gli edifici, le forme, i materiali o le strutture, il dono più prezioso e potente dell’architettura è la capacità di influenzare il nostro modo di vedere il mondo. La lenta e attenta traduzione delle idee in forma materiale e, sempre più spesso, digitale richiede un cambiamento quasi costante della visione, restringendo e allargando contemporaneamente lo sguardo per adattarsi alle differenze di scala, di contesto, di cultura e di aspirazione, nonché alle molteplici altre esigenze che devono essere soddisfatte per portare nel mondo sia gli edifici che la conoscenza».
In quella che sarà la prima edizione della Biennale Architettura post-pandemia, per la quale Lesley ha scelto il titolo Il Laboratorio del Futuro, il focus sarà quindi questo: «rovesciare ciò che crediamo di sapere su dogmi e paradigmi dell’architettura per farle giocare davvero un ruolo nel costruire il domani».
Un privilegio ancora una volta per tutti noi appassionati inguaribili delle questioni della città e dell’architettura ricevere quel messaggio di opportunità/responsabilità che arriva da Lesley così intensamente dedicato a Venezia: «Ogni volta che arrivo in questa città penso al fatto che l’architettura ha lottato per essere qui, ingaggiando una battaglia con la gravità e con la logica. Venezia si presenta come illogica, e per questo motivo è il luogo ideale per fare una Biennale che sia una bottega che progetta il futuro. Questo luogo ti apre al nuovo e ti mostra che un altro modo di vivere e di costruire è possibile, e lo è già stato in passato. E poi è così esposta al cambiamento climatico: Venezia è il nostro barometro». Paolo Lucchetta
WELL DONE, CECILIA!
Ci uniamo al coro di congratulazioni alla curatrice Cecilia Alemani e alla Biennale di Venezia per il successo ottenuto da Il latte dei sogni. I sette mesi della 59. Biennale Arte hanno registrato un’affluenza mai raggiunta prima nella storia ultracentenaria dell’Istituzione. Sono stati più di 800mila i visitatori che – nelle parole di Alemani – «dimostrano che l’arte ha il potere di creare partecipazione e che, dopo tanti mesi di isolamento, vogliamo celebrare e vedere l’arte di persona, in un’esperienza gioiosa e comunitaria condivisa con tanti amici, famiglie, colleghi e amanti dell’arte».
213 artisti invitati, più di 1500 opere esposte, 80 Partecipazioni nazionali di cui 27 nel centro storico di Venezia, che insieme ai 30 Eventi collaterali ufficiali e alle oltre 100 mostre parallele hanno restituito alla città il potere di catalizzare su di sé l’attenzione internazionale durante i 197 giorni di apertura (gli 800mila erano per il 59% stranieri).
Ha vinto l’arte al femminile della curatrice e soprattutto delle artiste del passato e del presente, da Leonora Carrington, Leonor Fini, Remedios Varo a Simone Leigh, Cecilia Vicuña, Katarina Fritsch, Bronwyn Katz, Britta Marakatt-Labba, Raphaela Vogel fino all’outsider Nan Goldin, la cui battaglia contro i farmaci oppioidi quest’anno è stata premiata anche alla Mostra del Cinema con l’attribuzione del Leone d’Oro al documentario All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras.
Ha vinto la proposta di cambiare paradigma, di disfarci di concetti stantii che stanno intrappolando le nostre società e le nostre menti, di superare l’antropocentrismo e le idee preconfezionate su identità e corpo, di osare, di assumere nuove forme, di accogliere il diverso, di metterci in discussione, di rendere fertili le nostre visioni. Ha vinto naturalmente la Biennale di Venezia che con resistenza e resilienza ha “condotto la nave in porto” attraverso la tempesta, offrendo in questi due anni delle edizioni memorabili in tutti i settori in cui è coinvolta, un impegno ripagato da riconoscimenti internazionali come – per citare solo il più recente – il Tributo dei Gotham Awards 2022 alla Mostra e al direttore Alberto Barbera per il costante sostegno al cinema indipendente. Ha vinto la Biennale anche per il coraggio – tutt’altro che scontato – di prendere posizione nei confronti dell’aggressione russa, prodigandosi affinché l’Ucraina potesse presentare il proprio padiglione nonostante le difficoltà e creando, con Piazza Ucraina ai Giardini, uno spazio permanente di attenzione sul dramma che il Paese sta vivendo. Ha vinto infine la voglia di normalità e di condivisione anche fisica delle esperienze. Questa 59. Biennale Arte è stata davvero – come l’ha definita Cecilia Alemani – un’edizione gioiosa e condivisa, che dopo anni tremendamente difficili ci ha indicato una via, ci ha fatto guardare al futuro. Ci siamo ritrovati, in 800mila, di fronte alla potenza catartica, vitalizzante, rigeneratrice dell’ARTE. Marisa Santin
Finale aperto Marlene Dumas, l’identità come emblema creativo
Nata nel 1953 a Kuisl Rivier, in Sudafrica, Marlene Dumas è un’artista post-femminista bianca, non vittima in prima persona di discriminazioni, ma cresciuta in un sistema sbagliato, quello dell’apartheid. Influenzata da queste vicende e fortemente consapevole dei gravi rischi delle politiche identitarie, l’artista realizza opere che toccano temi socialmente impegnati e pongono al centro sempre le persone come individui. I corpi dominano la tela, ogni volto assume fisionomie proprie, spostando così l’attenzione sull’identità di ogni singolo individuo. Il suo è un Espressionismo concettuale capace di mettere in discussione con pennellate veloci gli stereotipi della società contemporanea. Open-end è la prima grande personale dell’artista in Italia, in corso fino all’8 gennaio 2023 a Palazzo Grassi. La mostra è curata da Caroline Bourgeois in collaborazione con l’artista stessa e presenta oltre 100 opere tra dipinti e disegni, alcuni dei quali inediti, realizzati tra il 1984 e gli ultimi anni, provenienti da collezioni private, musei internazionali e naturalmente dalla Collezione Pinault. Accoglie i visitatori il film realizzato da Rudolf Evenhuis, Myth and Muses of Marlene Dumas (38’), racconto intimo in cui l’artista in prima persona illustra alcuni dei lavori presenti in mostra e dove scopriamo come la sua famiglia – figlia, nipote, fratello e compagno di vita – sia tra le fonti di ispirazione di Dumas. L’allestimento estremamente minimalista, grandi superfici bianche spoglie in cui le opere campeggiano all’altezza dello sguardo del visitatore, sottolinea il modo “scarno” e diretto di dipingere di Dumas. Spostandosi di sala in sala, si rimane incantati e persuasi dalle figure che si susseguono: corpi femminili colti in pose diverse, dalle più seduttrici, che ricalcano le immagini pornografiche, alle più idilliache, ispirate dalla tradizione, come nel caso di Red Moon legata all’Ophelia di John Everett Millais. In ogni caso non sono mai rappresentazioni di sottomissione del corpo femminile, anzi, come spiega Dumas stessa: «tutti stanno cercando in un modo o nell’altro di sedurti. Uso qualsiasi trucco che possa attirare l’attenzione: gli occhi che ti guardano direttamente, zone sessuali esposte o deliberatamente coperte, la forza di attrazione primitiva che nasce dal riconoscimento, l’immagine che si prostituisce. Ti trovi obbligato a dire “sì” o “no”».
Il titolo della mostra, open-end, indica la condizione di apertura e indefinitezza dell’opera d’arte e invita lo spettatore alla libera interpretazione, evocando l’incertezza della nostra contemporaneità. Ma non solo, il titolo ha anche a che fare con lo scorrere del tempo, con l’instabilità della vita, con eventi accaduti di recente all’artista stessa, che afferma: «il mio lavoro potrà essere open-end, ma non so la mia vita». Volatilità dell’esistenza, seduzione, morte, angosce, discriminazioni sono i temi che compongono l’intreccio di fili dell’intensa tela umana di Marlene Dumas. Valentina Stefanachi
Open ENG finale
Born in Kuisl River, South Africa, in 1953, Marlene Dumas is a post-feminist white artist. While not a victim of discrimination herself, she did live in a distorted system, that of apartheid. Influenced by her country’s vicissitudes and aware of the risks of identity politics, Dumas created art that touched socially charged themes and focus on people as individuals. Her conceptual expressionism challenges the stereotypes of modern society. Open-end is the first large personal exhibition the artist holds in Italy, and will be open until January 8, 2023 at Palazzo Grassi. Curated by Caroline Bourgeois, it includes over 100 pieces made between 1984 and recent years, belonging to private collections, international museums, and obviously to the Pinault collection. Welcoming visitors is a film produced by Rudolf Evenhuis, Myth and Muses of Marlene Dumas (38’), the story of Dumas’ family and source of inspiration. Her art will enchant and entice us: female bodies portrayed in diverse poses, some verging on the obscene, some on the idyllic, though never on the submissive. Says Dumas: “All are trying to seduce you, in some way or other. I use every possible trick to get your attention: eyes staring at you, sexualized body parts either exhibited or deliberately concealed, the primal force of attraction that comes from recognition, from the prostituted image. You are forced to say either yes or no.”
Marlene Dumas. open-end Fino 8 gennaio 2023 Palazzo Grassi www.palazzograssi.it
Romanzo surrealista
Lee Miller – Man Ray: un viaggio tra emozioni e atmosfere artistiche irripetibili
Lee Miller, donna splendida, inizialmente prestata alla moda grazie proprio alla sua evidente bellezza, complice una grande determinazione e un incredibile talento, ha attraversato posizioni per così dire opposte tanto da essere allo stesso tempo protagonista di primo piano e personaggio defilato, esaltata e celata. Modella e soprattutto fotografa, fu lei a scoprire e a ispirare la tecnica fotografica della solarizzazione che Man Ray adottò come firma artistica e per la quale si contraddistinse.
Lee Miller – Man Ray. Fashion, Love, War, curata da Victoria Noel-Johnson e realizzata grazie a Lee Miller Archives e Fondazione Marconi, a Palazzo Franchetti fino al 10 aprile 2023, attraverso 140 fotografie, diversi oggetti d’arte e svariati documenti video, offre un iconico e imperdibile viaggio tra gli anni ‘20 e ‘40 del Novecento tra emozioni e atmosfere artistiche irripetibili. Protagonista Lee Miller e il tormentato rapporto con Man Ray, sodalizio amoroso ma soprattutto artistico, che ha influenzano ampiamente entrambi e che continuerà a lungo ben oltre la loro separazione.
La mostra apre con l’esplosione della carriera di Miller come modella negli anni ‘20, quando incontra il famoso editore Conde Nast che la ingaggia per «Vogue»; anni parigini in cui lavora con il celebre fotografo di moda George Hoyningen-Huene rendendo immortali alcuni suoi scatti (esposti in mostra), che richiamano platealmente l’attenzione sulle avanguardie dell’epoca. Proprio questo elemento pone le basi per il passaggio successivo, il vero focus della mostra, ovvero quel clima irripetibile d’avanguardia quando Miller diventa musa e amica di Max Ernst, Pablo Picasso, Salvador Dalì e Jean Cocteau, che la coinvolge nel suo
film surrealista Le sang d’un poète, e nasce il già citato rapporto con Man Ray. Dal 1929 al 1932, breve ma intenso, l’incontro porterà i due artisti a legarsi indissolubilmente per il resto della vita. In mostra le creazioni surrealiste di Lee Miller fino agli scatti delle famose “vacanze surrealiste” dell’estate del 1937 tra la Cornovaglia e il sud della Francia insieme a Ernst, E.L.T. Mesens, Man Ray e Leonora Carrington oltre a Pablo Picasso, Dora Maar, Eileen Agar e il suo futuro secondo marito, l’artista britannico surrealista Roland Penrose. È il momento successivo alla relazione con Man Ray, quando Miller torna a New York e apre un suo studio fotografico di successo, periodo in cui Man Ray, accecato dall’ira per la separazione da Lee, nell’intento di cancellarne il ricordo, sostituisce nel 1933 l’occhio sul braccio del suo celeberrimo metronomo Perpetual Motif (Moto perpetuo) con quello dell’amata.
Infine, il trasferimento a Londra, dove lavora come fotografa per «British Vogue», per poi divenire fotoreporter di guerra durante il Secondo Conflitto mondiale, accreditata presso l’esercito americano. Dalle immagini scattate durante il blitz di Londra alla liberazione di Parigi, passando per le atrocità dei campi di concentramento di Buchenwald e Dachau, che la destabilizzeranno per tutta la vita, fino al 1945 quando realizza l’iconico scatto nella vasca da bagno del Führer nella sua casa a Monaco di Baviera, per cercare idealmente di lavare via l’orrore del Nazismo.
La mostra è un affascinante romanzo: fatti, emozioni, ricordi e avanguardie, celebri volti e un amore autentico e vivido quasi quanto una fotografia. Aurora Sartori
A surrealist ENG novel
Lee Miller is an amazing woman. She started her career in fashion –she was that gorgeous – and with her immense talent and determination, she worked in all avenues in the industry, both on stage and behind the scenes. As a photographer, she developed solarization, the technique that granted Man Ray his fame. Lee Miller – Man Ray. Fashion, Love, War, curated by Victoria Noel-Johnson with support from Lee Miller Archives and Fondazione Marconi, will be open at Palazzo Franchetti until April 10, 2023. It includes 140 photographs, art objects, videos to create an iconic, beautiful journey between the 1920s and 1940s.
The exhibition opens with a celebration of Miller’s modelling career in the 1920s, when Conde Nast hired her for Vogue. In those years, she worked in Paris with fashion photographer George Hoyningen-Huene, who authored some of her most famous portraits, explicitly referring to contemporary avant-gardes. This element is the base for the next, the real focus of the exhibition, the unique avant-garde milieu that saw Lee Miller become the friend and muse of Max Ernst, Pablo Picasso, Salvador Dalí, and Jean Cocteau. The latter involved her in his surrealist film Le sang d’un poète, which in turn contributed to her budding relationship with Man Ray. Short-lived (1929 to 1932) though strong, the romance will tie the two for life. The exhibition includes Lee Miller’s surrealist creations and pictures of her famous ‘surrealist holidays’ in Cornwall and southern France. Lastly, a section on her work for British Vogue and her Second World War features, when she was an accredited photographer for the American Army: the London Blitz, the Liberation of Paris, Buchenwald, Dachau, and an unusual portrait of Hitler.
Lee Miller - Man Ray. Fashion, Love, War Fino 10 aprile 2023, Palazzo Franchetti leemillermanray.it
The fire ENG of history
Il
fuoco della storia Kiefer ed Emo, l’ardore del passato monito e forza per il presente
Un viaggio che lambisce diverse latitudini emotive. Questo è in estrema sintesi il grandioso intervento di Anselm Kiefer all’interno della Sala dello Scrutinio a Palazzo Ducale, curato da Gabriella Belli e Janne Sirèn, da visitare assolutamente fino al 6 gennaio 2023. Fortemente impattanti a livello visivo, le monumentali otto tele sono dominate da colori dorati e argentei, che le illuminano, legandole idealmente alle sfumature della laguna, richiamate da Kiefer per narrare la storia della Serenissima e la sua inesorabile evoluzione. Il ciclo viene introdotto nella saletta di passaggio della Quarantia, che precede la Sala dello Scrutinio, da una scritta enigmatica che campeggia al centro della prima opera: «Questi scritti quando verranno bruciati daranno finalmente un po’ di luce». L’artista tedesco ha deciso di citare e in qualche modo di basare l’intera sua opera sulle parole dello scrittore e filosofo italiano, il veneto Andrea Emo (Battaglia 1901–Roma 1983). È interessante notare come il fuoco sia un elemento peculiare dei grandi capolavori esposti a Palazzo Ducale, più volte nella storia divorati dalle fiamme. L’ardore di queste fiamme si è impresso nella memoria collettiva della storia di Venezia e risplende attraverso il pensiero soggiacente alla mostra. Lo stesso Emo, a cui Kiefer si è voluto ispirare, ha incentrato gli studi di una vita sulle riflessioni inerenti all’essere e alla morte, sviluppando tra le varie ramificazioni una corrente di pensiero nichilista che sembra quasi anticipare la filosofia di Martin Heidegger. Il trasporto negativo che permane all’interno della ormai celebre frase, porta tuttavia con sé un risvolto positivo orientato verso un futuro che si intravede brillare, perché anche se il presente può essere talvolta ombroso, verranno sicuramente tempi più luminosi. Una luce che si farà a sua volta veicolo dei vecchi fasti e dei perduti virtuosismi di un passato che, in ottica “emiana” e heideggeriana, sono destinati a riproporsi. Questa concezione appare sia come monito verso un presente complesso, che come auspicio di ritrovata fortuna e riavvenuto splendore che l’artista tedesco ha saputo perfettamente adattare alla figura di Venezia e ai vecchi bagliori della Serenissima. Anselm Kiefe racconta la città sospesa tra acqua e terra, sia quella che fu ai primordi, sia quella che sta diventando. Emerge il ritratto di una città imbottigliata in una realtà che non le rende adeguata giustizia, all’interno di un processo di rinnovamento che tuttavia sembra perdere lo scintillio antico. Venezia appare come una sorta di Faust, stanca e ingrigita, decisa a pattuire uno scambio (pensiamo al turismo di massa che sta invadendo, da ormai parecchi anni, le calli di una città così fragile) per rivivere il passato tanto decantato. Così, quasi fosse una rivisitazione dell’opera di Goethe, l’immagine della Serenissima, adornata dal color dell’oro e da una ricca simbologia che rappresenta le sue grandi e inestimabili ricchezze, torna a riaffacciarsi alla vita. L’auspicio di una nuova brillante rinascita, tuttavia, si contrappone a quell’odioso patto che in qualche modo ne pregiudica l’anima e che ammanta l’esposizione di un sentimento nostalgico e di non ritorno, in perfetta armonia con il pensiero di Andrea Emo che rimanda a una forte inquietudine moderna e a un soggiacente pessimismo, lo stesso che ci accompagna alla scoperta dei fasti e delle tenebre del vessillo di Venezia. Aurora Sartori
A journey that touches emotions at different latitudes – this, in brief, is Anselm Kiefer’s far-reaching intervention at the Sala dello Scrutinio, Palazzo Ducale. The art exhibition, curated by Gabriella Belli and Janne Sirén, is one you wouldn’t want to miss. There’s time until January 6, 2023. Eight visually imposing canvases dominate with their gold and silver tones, ideally connecting them with the nuances of the Venetian Lagoon, which the artist uses to narrate the history of Venice. The cycle is briefly interrupted by an enigmatic writing at the centre of the first piece: “These writings, when burned, will finally give some light.” Anselm Kiefer quoted, and in a way based his art on, the words of Italian author and philosopher Andrea Emo (1901—1983). It is interesting to notice how fire is a peculiar element of all grand masterpieces at Palazzo Ducale, themselves subject to devastating fires over the course of history. The burning of these flames left a deep scar in the collective memory of Venice: Emo, for example, dedicated his studies on being and death, developing a form of nihilist thought that seemed to anticipate Heidegger. The negativity that is all about the famous quote might be positively reinterpreted: brighter times lie ahead. This concept appears as a warning on our complex present as well as an auspice of good fortune to come and renewed splendour. Venice appears as a sort of Faust, set out to negotiate an exchange (mass tourism?) to be able to live again its once glorious past.
Anselm Kiefer
Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce (Andrea Emo)
Fino 6 gennaio 2023
Sala dello Scrutinio, Palazzo Ducale palazzoducale.visitmuve.it
Nel nome del padre La versione di Jacopo e Giovanni Bellini
Nella quattrocentesca bottega veneziana che faceva capo a Jacopo Bellini (1400 ca–1471 ca) è credibile che avvenisse, per motivi pratici oltre che per seguire inclinazioni e attitudini individuali, una sorta di distribuzione degli incarichi tra i suoi due figli pittori. Se a Gentile (1429–1507) venivano affidate prevalentemente la ritrattistica e i dipinti narrativi di grande formato, al più giovane Giovanni (1430 ca–1516) spettava invece dedicarsi per lo più alle opere di tematica sacra, filone quest’ultimo che diverrà nel corso degli anni preponderante nella sua produzione artistica raggiungendo, come sappiamo, esiti originali e superbi. Anche se le innovative e monumentali composizioni, elaborate nel corso degli anni per gli altari delle chiese veneziane, diventeranno una fonte di riferimento imprescindibile per le future generazioni di artisti, saranno soprattutto le invenzioni per immagini di devozione privata, un genere più intimo, spirituale e contemplativo, a trovare in Giovanni uno dei più straordinari e singolari creatori e interpreti. In particolare, le sue “Madonne con il Bambino”, così innovative nello stile, anche se così tradizionali nel soggetto e nel significato, dalla straordinaria bellezza e dalle innumerevoli varianti, diverranno i soggetti replicati da una folta schiera di scolari, seguaci, emuli ed epigoni. La presenza di una Madonna in quasi ogni stanza delle case veneziane era divenuta, come rivela la lettura degli inventari coevi, una consuetudine fortemente osservata e voluta, e quindi l’offerta di questi prodotti pittorici sul mercato dell’arte veneziano era molto consistente. Dal sapore intimo, familiare e molto coinvolgente emotivamente, le Madonne belliniane si caricano di una valenza simbolica allusiva al destino del Salvatore. Il parapetto sul quale il Bambin Gesù viene adagiato anticipa sia il sepolcro che l’altare, evidenziando così metaforicamente la funzione salvifica ed eucaristica di Cristo.
La storia e l’evoluzione delle Madonne belliniane si può ben cogliere nelle ricche raccolte delle Gallerie dell’Accademia, ma in questo periodo abbiamo un motivo in più per visitarle, la presenza per qualche mese della Madonna Trivulzio (1560 circa), proveniente dal Castello Sforzesco di Milano, sicuramente tra i capolavori di Giovanni ancora legati all’incisività grafica di matrice padovana e mantegnesca, che verrà progressivamente abbandonata nella stagione seguente e più matura delle sue Madonne. Il confronto con la Madonna col Bambino benedicente e cherubini (1455 circa) del padre Jacopo, restaurata di recente facendone apprezzare la brillantezza degli azzurri, dei rossi e delle lumeggiature in oro, mostra palesemente come in un brevissimo arco di tempo sia così ampio lo scarto stilistico tra i due: oramai il figlio si è smarcato dal padre, abbandonando la matrice tardo gotica della sua formazione per lanciarsi verso quel Rinascimento emergente che vedrà in Giovanni uno dei suoi massimi esponenti. Le sue Madonne acquisteranno quel sapore di intimità e familiarità e quel coinvolgimento emotivo per chi le guarda. Movenze, sguardi e attitudini trasmetteranno una composta e umana dolcezza dell’amore materno e filiale attraverso quel “intenerimento atmosferico e cromatico” che sarà alla base della maturità del grande Giambellino. Franca Lugato
In the name ENG of the father
In the 1400s, Jacopo Bellini’s art shop likely employed Jacopo’s own two sons – if anything, to help out according to their inclinations. A sort of division of labour. Gentile Bellini (1429–1507) worked mainly on portraits and large-scale narrative art, while younger Giovanni (ca. 1430–1516) dedicated mostly to sacred art. Over time, Giovanni’s relationship with sacred art grew to unparalleled, original, superb proportions. And while certainly, his innovative, monumental compositions for Venetian churches will become an essential reference for generations of younger artists, Giovanni Bellini was one of the most extraordinary, peculiar interpreters of a more intimate, spiritual, contemplative genre: art for private devotion. In particular, his Madonnas with child – so innovative in style, yet so traditional in subject and meaning. The presence of a Madonna in basically every room in Venetian houses made for a healthy market, too. The history and evolution of Bellini’s Madonnas is all there at the Gallerie dell’Accademia, and currently, there’s an extra reason to visit: the Madonna Trivulzio (ca. 1560), on loan from the Castello Sforzesco in Milan, will be on display for a few further months. The comparison with Bellini Sr’s Madonna and Child Blessing (ca. 1455) shows just how much the two grew apart in a short period. The son is his own man, now, and abandoned the father’s late Gothic art to pledge allegiance to the coming Renaissance.
Il Rinascimento in famiglia Jacopo e Giovanni Bellini, capolavori a confronto Fino 12 marzo 2023 Gallerie dell’Accademia www.gallerieaccademia.it
Modernità perduta
Arte, architettura, design, artigianalità sono le linee guida di una nuova visione del creare contemporaneo che affonda le radici in un’Italia incredibilmente all’Avanguardia. Emerge con forza la consapevolezza che negli anni 1921–1985 un’azienda vetraria muranese ha conquistato le vette a livello internazionale nel campo dell’illuminazione. Venini Luce, nuovo capitolo di indagine de Le Stanze del Vetro, all’Isola di San Giorgio fino all’8 gennaio 2023, lascia letteralmente stupiti nel constatare la tecnica coniugata al design e all’architettura raggiunta in vari edifici pubblici come teatri, alberghi, sedi istituzionali, ma anche banche, negozi e navi, in tutto il mondo, tutto rigorosamente in vetro di Murano.
La mostra e il catalogo, entrambi imperdibili, non lasciano dubbi al livello di qualità, alle potenzialità infinite di una materia antica come il vetro, alla genialità del design e alla spettacolarità raggiunte da Venini e dalla incredibile squadra di professioni che in quegli anni operava per l’azienda. Tra gli interventi di grande rilievo, restituito anche in mostra con un’appendice off inaspettata, è il velario di Palazzo Grassi a Venezia che fu eseguito nel 1951 in occasione del restauro dell’edificio divenuto sede del Centro Internazionale delle Arti e del Costume. Una sorta di installazione (13x16 metri) pensata come schermo del lucernario vetrato del cortile che venne realizzato per poter usufruire di questo spazio durante gli eventi promossi dal Centro. La soluzione, ideata dagli architetti che si occuparono della risistemazione del Palazzo, si concretizzò grazie al confronto con Paolo Venini e con l’ufficio tecnico della vetreria. A filtrare la luce che proveniva dall’alto fu collocata una serie di “festoni” formati da cavi
di acciaio e sfere in vetro cristallo balloton di tre misure, disposte secondo una sequenza prestabilita. I festoni alla sommità erano agganciati a una piastra rettangolare in vetro a prismi e ricadendo verso il basso, fino al cornicione dell’ultimo piano, andavano a formare idealmente quattro pareti ricurve semitrasparenti. Il cortile si trasformava così in un “luminoso salotto dal soffitto a globi di vetro”. Una ulteriore riflessione sull’utilizzo di elementi modulari promossa dallo stesso Paolo Venini portò verso la fine degli anni Cinquanta alla definizione di un modulo, il poliedro, che si rivelò fondamentale tanto da diventare quasi una “cifra stilistica” della vetreria. Nel 1961, anche Carlo Scarpa scelse di adoperare i poliedri per il grande lampadario del Padiglione del Veneto, allestito dall’architetto alla manifestazione torinese Italia 61, organizzata per celebrare il centenario dell’Unità d’Italia, altra installazione spettacolare ora ricostruita in mostra. Collocata al centro dell’ambiente a pianta quadrata, sopra una vasca d’acqua della stessa forma, la struttura (base 5x5 e altezza 4,5 metri) era composta da un articolato volume a tronco di piramide rovesciato che si prolungava verso il basso. “Una enorme stalattite” realizzata con circa 3000 poliedri policromi dalle tenui colorazioni che la fecero apparire come una cascata di luce, colore e riflessi. Per queste due installazioni e per molto altro, Venini Luce è una mostra assolutamente da non perdere! Mariachiara Marzari
Venini: Luce 1921-1985
Fino 8 gennaio 2023
Le Stanze del Vetro, Isola di San Giorgio Maggiore lestanzedelvetro.org
Venini e l’incredibile sfida della luce
Le vibrazioni dell’anima Kandinsky, l’arte che supera i limiti e annuncia il futuro
Elisabetta Barisoni e Fondazione Musei Civici Veneziani ci invitano a viaggiare tra Punto, linea e superficie, in una rilettura sempre attuale e affascinante dell’arte di Kandinsky e delle Avanguardie del Novecento. Punto, linea e superficie è infatti il titolo di un celebre libro scritto da Wassily Kandinsky nel 1926, uno dei testi capitali della moderna teoria dell’arte. «Ho scavato nelle collezioni di Ca’ Pesaro, Galleria d’Arte Moderna (di cui è responsabile), arricchite dall’importante donazione di Paul Prast del 2020 – racconta Barisoni – costruendo un percorso articolato, composto da quaranta opere tra dipinti, sculture e opere su carta». L’incipit del viaggio, ricostruito negli spazi del Centro Culturale Candiani di Mestre, è un’immersione nel mondo dell’Astrattismo: nove opere di Kandinsky, tra le quali Zig zag bianchi (1922) e Tre triangoli (1938), definiscono chiaramente la ricerca del maestro russo e le sue teorie su una creazione non figurativa, insieme a un’emozionante sequenza di Piccoli mondi (1922), donazione di Paul Prast, manifesto avanguardista e al contempo evoluzione e transizione verso un tipo d’arte fortemente geometrica, che vira verso linee pulite e precise, colorate e non. Parallelamente Paul Klee, con sette opere quali, tra le altre, Mangia dalla mano (1920), Con il serpente (1924), Paesaggio con rocce ed abeti (1929) e Tre soggetti polifonici (1932), dimostra il suo percorso sperimentale e innovatore che farà da filo conduttore per tutto il Novecento. Il confronto tra l’arte del pittore tedesco, mai del tutto lasciatosi andare all’Astrattismo più crudo ed estremo, e quella geniale dell’amico Wassily Kandinsky emerge chiaro nella grande rivoluzione artistica manifestata nel gruppo Der Blaue Reiter (Il Cavaliere Azzurro), che oltre a Kandinsky e Franz Marc ha avuto appunto Klee e Lyonel Feininger tra i protagonisti. Artisti che passarono poi nella scuola del Bauhaus, luogo dove si svilupparono le ricerche delle avanguardie e dove queste vennero poi tradotte alle nuove generazioni che si stavano formando in Europa tra il 1920 e il 1933, data di chiusura della scuola tedesca a opera del potere nazista. Sulla linea tracciata da Klee e Kandinsky, durante gli anni Venti si inseriscono così le sperimentazioni del Surrealismo di Joan Miró, Yves Tanguy, Victor Brauner e Antoni Tàpies, la scultura astratta di Jean Arp, le analogie cosmiche di Enrico Prampolini e le forme musicali di Luigi Veronesi. Negli anni Quaranta la lezione di Kandinsky si declina nel mondo inglese con l’esperienza di Ben Nicholson, nelle esperienze internazionali dell’Espressionismo astratto, e in Italia del Fronte Nuovo delle Arti e dell’Astrattismo segnico. Da Emilio Vedova a Mario Deluigi, da Giuseppe Santomaso a Tancredi, da Roberto Matta a Karel Appel fino a Mark Tobey, le forme dell’astrazione nella seconda parte del Novecento si collocano a metà tra informale, suggestione lirica e gestuale. Una preziosa selezione di sculture con capolavori di Mirko Basaldella, Eduardo Chillida, Luciano Minguzzi e Bruno De Toffoli, testimonia la persistenza del dialogo tra astrazione e biomorfismo verso gli anni Cinquanta. La ripresa di un’astrazione radicale, quasi ascetica, si fa strada con le esperienze minimali di Richard Nonas e di Julia Mangold degli anni Settanta, segnando la ripresa di una nuova vita dell’arte e delle forme astratte.
Kandinsky e le Avanguardie. Punto, linea e superficie è un viaggio che offre la possibilità di riscoprire opere famose e potenti, capaci di far vibrare l’anima di chi le osserva, ancora e ancora, tasti emotivi, toccanti, sapienti che si trasmettono invariati da un secolo. Aurora Sartori
Kandinsky e le Avanguardie. Punto, linea e superficie
Fino 21 febbraio 2023 Centro Culturale Candiani-Mestre muvemestre.visitmuve.it
Un compleanno importante, VENICE INTERNATIONAL PERFORMANCE ART WEEK, ideata da VestAndPage (Verena Stenke e Andrea Pagnes), compie dieci anni e festeggia sabato 17 dicembre alle 19 a Palazzo Mora, sede dell’European Cultural Centre, con una nuova attesissima opera collettiva performativa dal titolo Under Scars (sotto le cicatrici). Artisti e performer di consolidata esperienza sfidano le proprie pratiche artistiche nel tentativo di proporre nuovi punti vista per guardare all’arte e alla società. Nel salone principale di Palazzo Mora e nelle sei stanze adiacenti, Under Scars si struttura attraverso installazioni performative e processi di co-creazione temporanei per proporre una riflessione sulle qualità dell’esistenza. Lo spazio si trasforma in un incubatore di narrazioni dove linguaggi performativi diversi dialogano tra loro, coagulando storie di vita e inclusione sociale. Come suggerisce il titolo, gli artisti e performer partecipanti ripercorrono esperienze di vulnerabilità, esitazioni, fragilità, speranza, il non detto che portano sotto le proprie cicatrici; ferite che si rimarginano attraverso la performance e memorie che si intrecciano e scontrano per rispondere poeticamente alle emergenze del presente.
Il giovane performer Nicola Fornoni riveste un ruolo centrale, affiancato da artisti e performer che hanno supportato fino a oggi i dieci anni di attività della VENICE INTERNATIONAL PERFORMANCE ART WEEK, un collettivo che offre arte dal vivo per creare riflessione e dialogo su determinate urgenze ed emergenze del presente.
VENICE INTERNATIONAL PERFORMANCE ART WEEK
Under Scars 17 dicembre h. 19 European Cultural Centre-Palazzo Mora veniceperformanceart.org
Cultura e diversità Quaranta scatti in bianco e nero ripercorrono il progetto teatrale Passi sospesi
Quaranta scatti in bianco e nero ripercorrono il progetto teatrale Passi sospesi realizzato negli istituti penitenziari di Venezia da Balamòs Teatro dal 2006 al 2022.
Sono gli Scatti sospesi di Andrea Casari, che compongono la mostra ospitata nella sede della Fondazione di Venezia in Rio Novo, fino al 31 gennaio 2023. La mostra è sostenuta da altre 436 immagini contenute in un contributo video a cura di Marco Valentini. Lo scopo dell’iniziativa è diffondere la conoscenza dell’attività ricreativa pensata per incentivare il benessere sociale all’interno dell’ambiente carcerario tra detenuti, guardie e personale di assistenza e operativo. Andrea Casari collabora dal 2006 con Balamòs Teatro seguendo i percorsi teatrali in svariate e differenti realtà: il Centro Teatro Universitario di Ferrara, gli Istituti Penitenziari di Venezia, le scuole di tutti i gradi, con i minori non accompagnati e nell’ambito del disagio fisico, psichico e neurologico.
Con discrezione, delicatezza, umiltà Casari è in grado di cogliere un processo di trasformazione, per immortalare il momento esatto in cui nasce l’immagine, trattenere l’immediatezza di un’emozione, offrire agli altrui occhi i segni del dolore che si fanno comunque sfida, impegno, fatica, conquista, speranza.
«Fotografare in carcere non è mai un’operazione solamente estetica, ma è anche e soprattutto etica, per la possibilità di riconsegnare a chi guarda, attraverso gli scatti, i vissuti che esulano dai reati e dalle
colpe e permettono una diversa rappresentazione di sé, restituendo racconti di persone, che hanno un passato, si arrabattano nel presente e immaginano futuri, magari diversi. Come tutti. La foto diventa il modo di sentire e di lasciarsi attraversare dagli echi e dai rimandi degli altri», attraverso queste parole il direttore del progetto teatrale, Michalis Traitsis, descrive il lavoro di Casari. La fotografia diventa un contributo di memorie, nel qui e ora di ciò che avviene e nelle tracce che restano nel tempo. Traitsis sceglie di utilizzare la lente della cultura per indagare con il suo progetto teatrale il tema della reclusione e le dinamiche di esclusione che purtroppo ne derivano. Cultura, dunque, come informazione, come confronto, memoria, rete nei e dei territori, tutela delle fasce più deboli; cultura della diversità e dell’inclusione sociale. Dal desiderio umano di ascoltare, conoscere e comprendere, superando i pregiudizi, nasce questo progetto, con l’obbiettivo di restituire dignità agli ambienti carcerari e ai detenuti, spesso emarginati, senza la possibilità di un vero riscatto sociale, che per gli errori commessi si vedono negata l’opportunità di ricominciare.
Valentina StefanachiFin dall’inizio della sua carriera, nel 1979, parallelamente ai reportage realizzati per numerose agenzie fotografiche ed enti veneziani, Graziano Arici (Venezia, 1949; vive e lavora ad Arles) ha portato avanti una produzione personale, che dal 17 dicembre è presentata per la prima volta in Italia, alla Fondazione Querini Stampalia, dopo il grande successo ottenuto ad Arles, al Museo Réattu nel 2021. «Ogni sua immagine è un’opera fotografica a pieno titolo, sia plasticamente che emotivamente», afferma Daniel Rouvier, direttore del Museo Réattu e curatore, assieme a Ariane Carmignac, della mostra Graziano Arici. Oltre Venezia ‘Now is the Winter of our Discontent’. «L’inverno del nostro Scontento» (frase iniziale del monologo del Riccardo III di Shakespeare, Atto I, scena 1) presenta un archivio del mondo (Albania, Germania, Inghilterra, Bosnia-Erzegovina, Spagna, Stati Uniti, Francia, Georgia, Italia, Kazakistan, Russia, Slovacchia, Svizzera), uno “stato delle cose”. Seguendo le orme dell’americano Walker Evans (1903–1975), che prediligeva una fotografia istantanea, fatta di soggetti ‘poveri’, una fotografia sociale, vernacolare, Arici riprende questa fotografia storica e a essa applica le tecnologie in uso nel XXI secolo (cellulare, scanner, reflex digitale), in particolare nelle sue serie in bianco e nero. In questo modo dà vita a opere che, al di là della rappresentazione, per il loro rigore compositivo, per lo studio sulla luce e per i contrasti lo fanno considerare l’erede naturale del fotografo americano. L’artista rivolge uno sguardo talvolta ironico (serie Carnival), spesso aspro e persino turbato, sullo stato del mondo (The State of Things, Lost Objects, Heart of Darkness ), senza alcun compiacimento ( Le Grand Tour ), plastico ( Angels, Polaroids, The Winter of our Discontent). Ripercorre il passato, il suo stesso passato ( Als das Kind Kind war ), ma anche la sua produzione, at-
tingendo alle proprie immagini, in alcuni casi scattate più di qualche decina di anni fa, per conferire loro un senso nuovo all’interno di una serie. Graziano Arici opera il ‘ripescaggio’, portando avanti un lavoro di raccolta di immagini (lastre fotografiche in vetro, vecchi negativi, immagini trasmesse alla televisione) che fa sue ( Angels, The Winter of our Discontent, Heart of Darkness ).
Il progetto espositivo, introdotto dal documentario Recycling Graziano. Une lecture possible des images de Graziano Arici (2015) del giovane videomaker Sébastien Spicher, si sviluppa in 9 serie per un totale di 400 fotografie, realizzate tra il 1979 e il 2020, e amplia i contenuti della mostra di Arles rendendo omaggio a Venezia attraverso lavori realizzati dal 1971 a oggi, proposti in tre video in diversi luoghi della Fondazione, una selezione di immagini proveniente dall’Archivio che il fotografo ha donato nel 2017 alla Fondazione Querini Stampalia (più di un milione e mezzo di immagini).
«Non c’è fotografo – conclude Daniel Rouvier – senza “occhio”. Quello di Graziano Arici, formatosi alla lettura dell’arte contemporanea grazie al padre, che fin da piccolo lo porta con sé alla scoperta delle mostre della Biennale di Venezia, è estremamente acuto. È l’occhio che comanda lo scatto, che chiama il fotografo, che gli parla di composizione, luce, soggetto. L’occhio che determina una “maniera”. Quello stesso occhio che, nello spettatore, genera l’emozione provata davanti a un’immagine, e che interroga anche l’intelletto. Attingiamo dai nostri ricordi delle immagini “segno” che ci collegano a quella creata dal fotografo». M.M.
Graziano Arici. Oltre Venezia ‘Now is the Winter of our Discontent’ 17 dicembre-1 maggio 2023 Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org
Occhio per occhio Graziano Arici, una mostra non una retrospettiva, anzi un punto di partenza
La direzione del sole
Chilometri e chilometri percorsi attraverso l’Africa, una traversata per raggiungere la catena di ospedali di Emergency. Un intreccio di storie, di miserie e fatiche quotidiane, ma anche di speranza, che gli abitanti di Sudan, Sierra Leone, Uganda e molti altri, devono affrontare quotidianamente. Le conseguenze di conflitti, governi instabili, politicamente ed economicamente, sistemi sanitari fragili già messi a dura prova dalla pandemia ricadono inevitabilmente sulle vite delle persone che abitano questi Paesi.
Sono loro, insieme ai medici, chirurghi, tecnici, infermieri, anestesisti, radiologi, amministratori di Emergency, i protagonisti di All’Ombra del Baobab, racconto fotografico di Monika Bulaj, che la sede veneziana di Emergency ospita fino al 27 gennaio 2023.
Un viaggio attraverso i progetti dell’ANME ( African Network of Medical Excellence ), la rete sanitaria d’eccellenza di Emergency nata con l’obiettivo di costruire Centri medici gratuiti in tutta l’Africa, fondati sui principi di uguaglianza, qualità e responsabilità sociale.
Monika Bulaj, fotogiornalista pluripremiata di origini polacche, racconta tramite le sue immagini ciò che ha vissuto in prima persona durante la sua collaborazione con Emergency.
«Il mio obiettivo è quello di mostrare le luci nascoste dietro il sipario del grande gioco, i piccoli mondi ignorati dai media e dai profeti di un conflitto globale».
Nata nel 1966 a Varsavia, dal suo interesse per la questione ebraica ebbe inizio il suo interesse per le religioni e le culture del mondo, alimentato anche da un senso di ingiustizia nei confronti delle minoranze. Il suo è un lavoro antropologico che ha come punto di partenza lo studio della storia, da quella ufficiale a quella tramandata a voce. Le persone ritratte da Monika Bulaj le affidano le loro storie, caricando le sue fotografie di una responsabilità importante. Così gli scatti non sono solo immagini ma storie, identità, speranze, documenti, necessari a ricostruire un presente e ad aiutare a costruire un futuro. Monika Bulaj usa la forza dell’immagine, con la sua precisione e ferocia, per descrivere e immortalare la cultura e i popoli delle zone di confine dell’Asia, dell’Africa e dell’Est Europa, definendo ciò come «una grande sfida nell’epoca dell’immagine onnipresente, nauseante, volgare, banale, brutale, sporca e invasiva». Valentina Stefananchi
Monika Bulaj. All’Ombra del Baobab
Fino 27 gennaio 2023 Emergency Venezia, Fondamenta San Giacomo, Giudecca www.emergencyvenezia.org
Tempi moderni
«Alla fine dell’Ottocento – spiega Marco Pogacnik, il curatore della mostra La costruzione di un grattacielo. Lo Schiller Building di Adler e Sullivan – a Chicago, dopo il devastante incendio della città del 1871, prende forma una delle rivoluzioni più affascinanti dell’epoca moderna: l’invenzione di un nuovo tipo edilizio, il grattacielo. L’immagine delle nostre città ne verrà profondamente mutata, non solo in America, ma anche in Europa come nel resto del mondo. La costruzione del grattacielo condizionerà lo sviluppo delle più avanzate tecnologie nel campo dell’architettura e dell’ingegneria, progressi che poi avranno le loro ricadute in tutti gli altri campi del costruire».
Lo Schiller Building fu realizzato dallo studio Adler & Sullivan nel 1891 per conto della numerosa e influente comunità tedesca di Chicago. Volevano erigere un teatro dove poter presentare le opere della propria tradizione drammatica e musicale, da cui deriva l’intitolazione del teatro al poeta tedesco Schiller. Lo Schiller Building sorgeva su un lotto di 25 x 55 metri ed era suddiviso in tre elementi: una torre di 18 piani alta 62 metri sul fronte strada; un’ala centrale di 14 piani che comprendeva il volume del teatro di 6 piani; e una parte posteriore di 13 piani, che conteneva anche la torre panoramica. Mentre il teatro, per motivi di sicurezza, fu costruito in modo tradizionale con spesse murature, la torre e i volumi superiori furono invece realizzati con pilastri e travi in acciaio progettati dallo studio di ingegneria Binder & Seifert di Chicago. Dopo 70 anni, durante l’inverno del 1961, il primo grattacielo fu demolito.
La mostra, visitabile fino al 15 gennaio 2023 nelle due sedi di Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna e Iuav – Ca’ Tron, offre una puntuale ricostruzione dell’organismo architettonico concepito da Adler & Sullivan, indagandone attraverso disegni di dettaglio e modelli digitali (BIM) gli elementi costitutivi: struttura metallica in acciaio, murature in laterizio e terracotta, sistemi di ancoraggio, struttura dei solai, rivestimento interno, progettazione impiantistica e decorazione. Il paziente lavoro di ricostruzione e ridisegno delle strutture e delle parti murarie e decorative dell’edificio è stato curato da un gruppo di studentesse e studenti della laurea magistrale dello Iuav, coordinati dai professori Mario De Miranda (strutture metalliche), Paolo Borin (modellazione BIM) e Marco Pogacnik (ricerca storica).
La costruzione di un grattacielo
Lo Schiller Building di Adler e Sullivan
Fino 15 gennaio 2023
Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Santa Croce 2076
Ca’ Tron – Università Iuav di Venezia, Santa Croce 1957 capesaro.visitmuve.it
L’arte dell’esperienza
«Il vetro è un materiale che risulta quasi magico [...] riflette, si modifica e modifica ciò che ci sta intorno». Il grande interesse dell’architetto francese Jean-Michel Wilmotte per il vetro viene reso manifesto nella mostra Aqua e fogo/L’eau et le feu, che Fondation Wilmotte ospita negli spazi veneziani dal 15 dicembre.
L’esposizione racconta la straordinaria collaborazione tra l’architetto e la realtà dell’isola di Murano nell’ambito del design, della produzione di oggetti e dell’illuminazione in vetro. Oggetti, ognuno frutto di un processo creativo e artigianale, scaturiti nella mente di Jean-Michel Wilmotte dal ricordo indelebile di quando bambino il padre per aiutarlo decise di metterlo a studiare accanto alla sua scrivania, nel laboratorio dietro la farmacia, dove faceva analisi del sangue e diverse preparazioni. «Rimanevo per ore affascinato a guardare le provette e le ampolle di forme diverse, in vetro trasparente o scuro». Questi oggetti “personali” vengono accostati, in un allestimento originale, alle fotografie di Luigi
“Gigi” Ferrigno, noto per la sua costante attenzione per il vetro. Quattordici fotografie in bianco e nero, scattate a cavallo degli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso (anni segnati dal boom economico), all’interno di alcune fornaci muranesi, che documentano, le condizioni di lavoro e di vita di uomini, donne e ragazzi impegnati nella produzione del vetro. Le immagini testimoniano anche le tecniche in uso, mettendo in primo piano la soffiatura e il taglio della pasta vitrea. Un
mondo abitato da forni e fuochi sempre accesi, segnato dalla grande intensità e dal profondo silenzio che avvolge, dal maestro al praticante, tutte le figure dei lavoratori che il fotografo – allora giovanissimo – coglie in gesti antichi, tra realtà e visione, testimonianza e simbolo. M.M.
Aqua e fogo/L’eau et le feu 15 dicembre-9 aprile 2023 Fondazione Wilmotte Fondamenta dell’Abbazia, Cannaregio 3560 www.wilmotte.com
Nuovi immaginari
«Guardare al passato per scrutare il futuro e mostrare con consapevolezza il presente». Parte da questo assunto il processo di ricerca di Stefano Jus, maestro/artista friulano, le cui opere compongono la mostra …del coraggio quotidiano. Alfabeti tra il magnetismo di Nicola Grassi e i graffiti di Stefano Jus, curata da Enrico Lucchese e Alessandra Santin e ospitata nelle Sale del Tintoretto di Palazzo Contarini del Bovolo dal 7 dicembre al 5 febbraio 2023. I lavori esposti sono frutto di un fecondo dialogo tra le opere dell’artista del Settecento Nicola Grassi, presenti nella Collezione IPAV, e la ricerca contemporanea di Stefano Jus, il quale dà un’interpretazione originale dei canoni dell’artista settecentesco riuscendo a esaltare le qualità luministiche-costruttive di un linguaggio figurativo che di solito colpisce innanzitutto per le tinte brillanti. La luce di Jus forma invece corpi-ombra consistenti, composti da graffiti e asportazione materiche, da vuoti solidi le cui dimensioni formali appaiono enigmatiche e creano
presenze senza tempo e senza luogo. Una revisione monocroma la sua, di forme che escono da fondi di bitume o dai grigi densi del cemento, steso con gesti larghi e decisi. I colori di Stefano Jus sono il nero profondo e i grigi materici che si stemperano in tocchi celesti, ventosi e vibranti, a sottolineare il divenire della vita, la circolarità degli eventi (in ipotetiche cupole contemporanee). In mostra, tra le sculture e le opere a parete, entro tavoli/bacheche che emulano il laboratorio dell’artista sono raccolti i progetti e gli schizzi che documentano, in stratigrafia, il processo di lavoro di Jus, il carattere
fabbrile della sua ricerca che si muove con grande padronanza tra diversi generi, tecniche, formati e materie. Forme visive e sonore, grazie al progetto musicale èrebos del compositore Paolo Jus, si fondono in mostra, trasformando i percorsi di lettura, coniando un nuovo immaginario fatto di movimenti armonici e di silenzi, cambiando il modo di sentire il mondo.
…del coraggio quotidiano. Alfabeti tra il magnetismo di Nicola Grassi e i graffiti di Stefano Jus 7 dicembre-5 febbraio 2023 Scala Contarini del Bovolo, San Marco 4303 www.fondazioneveneziaservizi.it
IN THE CITY GALLERIES
LUCE – BUGNO – DEMARCO
ARTE IN CAMPO
Rosso Veneziano
14 dicembre December-30 gennaio January, 2023
ARTE IN CAMPO nasce da un progetto comune, seppur con le rispettive specificità, l’idea di una mostra itinerante nei tre spazi che gravitano attorno al Teatro La Fenice: alla Galleria Bugno Omaggio a Tramontin, alla Galleria De Marco Collettiva anni ‘50, alla Galleria Luce Rosso Veneziano Entra prorompente nei quadri e diviene protagonista sulla tela, oppure semplicemente attraverso un solo dettaglio o una semplice pennellata in un mare di altri colori, catalizza immediatamente lo sguardo. È il Rosso Veneziano, emblema di forza, di mistero, di bellezza, legato alla città e alla sua arte. Da Carpaccio a Bellini a Lorenzo Lotto, da Tiziano a Tintoretto, da Canaletto seppur con qualche rapido tocco nelle sue vedute, per evidenziare una vela o una veste, fino ai più vicini Spazialisti, Bacci, con le esplosioni dei suoi Avvenimenti, Morandi, e Santomaso che non a caso intitolò Rosso veneziano un suo quadro nel 1959, da Finzi che squarciò di rosso le sue vibrazioni cromatiche a Eulisse che tinse di scarlatto i suoi guerrieri. Galleria Luce sceglie come filo conduttore di una speciale indagine sull’arte a Venezia nel Novecento il Rosso Veneziano e le sue diverse declinazioni, valenze estetiche e significati offerti dalle opere di Bacci, Bianco, Colanzi, Eulisse, Finzi, Gambino, Guidi, Licata, Loyola, Marrocco, Palasgo, Perilli, Ricci, Saetti, Sansavini, Santomaso, Stefanoni, Vedova. ENG ARTE IN CAMPO has been born of a common project, the idea of an itinerating art exhibition in three spaces around the Fenice Theatre: the Bugno, De Marco, and Luce art galleries. Rosso Veneziano, housed at Luce Gallery, is all about red, an emblem of strength, mystery, beauty that bursts into the paintings and seizes the role of protagonist, or otherwise appears in a single detail, or within a sea of different colours, nevertheless catalysing your gaze. From historical Venetian painters like Carpaccio, Bellini, Lotto, Titian, Tintoretto, Canaletto to the more recent Spatialists, Bacci, Morandi, Santomaso, Finzi, Luce Gallery conducted an investigation on Venetian art, Rosso Veneziano (Venetian Red) in its many forms, aesthetical qualities, and meanings.
Galleria Luce Campiello della Fenice, San Marco 1922/A www.gallerialuce.com
MARIGNANA ARTE ALDO GRAZZI Illusioni
17 dicembre December-18 febbraio February, 2023
Aldo Grazzi, artista dal percorso eclettico e avvincente, ha affrontato le sfide degli ultimi decenni con lo slancio di un ribelle capace di mettere al centro della propria poetica la complessa relazione tra realtà, sogno e ricerca di libertà. Se partiamo da questo presupposto – quello della libertà e del sogno – il titolo Illusioni, che l’artista ha definito per questa mostra non è di certo un invito all’ozioso vagheggiare del sognatore, ma al contrario riflette uno slancio consapevole verso l’autenticità del vivere. Rimasto affascinato dall’arte di intrecciare perline, l’artista si è fatto interprete dei monili dell’arte Masai, creando una serie di opere che celebrano l’illusione come mezzo per scorgere il divenire.
ENG Throughout his eclectic, interesting career, Aldo Grazzi faced the challenges of recent decades with rebellious elan and put focused his art on the complex relationship between reality, dream, and the search for freedom. Given this assumption, the title of the exhibition – Illusioni – is certainly no invitation to idleness, but a reflection on a conscious impulse towards the authenticity of life. The artist is an interpreter of Masai bead art, and created a series of pieces that celebrate illusion as a means to see the future.
Galleria Marignana Arte Rio Terà dei Catecumeni, Dorsoduro 141 www.marignanaarte.it
MYRA FIORI
A Decorated Woman
Fino Until 15 gennaio January, 2023
Ritratti costruiti con centinaia di strati digitali sovrapposti di immagini di gioielli, provenienti dalla collezione personale dell’artista statunitense Myra Fiori, che danno forma a illustrazioni fotografiche di donne, complesse e perseveranti, provenienti da background ed epoche disparate. Donne che hanno infranto miti, confini, norme sociali e ruoli di genere trasmettendo i loro punti di forza e le debolezze, cambiando il corso della storia, facendo progredire la società, stabilendo dei primati. Sono autrici della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, premi Nobel, regine, imperatrici. Ma sono anche storie di chi ha subito torture, stupri, furti, oppressioni, soprusi e ingiustizie di ogni genere. La serie intende onorare e decorare, attraverso l’arte e l’ispirazione, tutte loro.
ENG These portraits have been constructed with digital layers superimposed on images of jewels coming from the personal collection of the artist, Myra Fiori. Images and illustrations of women, complex and perseverant, coming from different backgrounds and eras. These women shattered myth, borders, social norms, and gender roles to show their strength and their weakness. They changed the course of history, made society progress, and broke records. They are the authors of the Universal Declaration of Human Rights, Nobel Prize laurates, queens, empresses. More: there are stories of those who have been tortured, raped, robbed, oppressed, taken advantage of, and denied justice. The series uses art and décor to honour all of them.
D3082 – Woman Art Venice San Polo 3082 www.d3082.org
GALLERIA ALBERTA PANE JOJO GRONOSTAY DAVID HORVITZ LUCIANA LAMOTHE EVA L’HOEST NICOLA PECORAROENRIQUE RAMÍREZ
Be Water, My Friend
Fino Until 23 dicembre December
Il lavoro di sei artisti internazionali viene messo in relazione creando una tensione operativa comune. In Plan di Luciana Lamothe è la dinamica delle fibre di legno di un’impalcatura inusualmente appesa a parete a farsi sensibile. Sospese attraverso lo spazio come gocce d’acqua, ampolle di vetro di duchampiana memoria, realizzate da David Horvitz, contengono l’aria di Los Angeles ( Air de L.A.). Nel film Pareidolia di Eva L’Hoest, lo sguardo della macchina da presa si espande e contrae su una soglia mobile, tesa tra l’acqua e il paesaggio roccioso, minerale e inorganico di un’isola deserta. Un’ambiguità della materia e del peso caratterizza le sculture di Nicola Pecoraro, la cui sostanza pare un metallo sconosciuto venuto da uno spazio lontano. È un’ambivalenza visiva e semantica a caratterizzare la cosmicità poetica e politica de La Gravedad di Enrique Ramírez. Le sculture di Jojo Gronostay ( Kreaturen. V Forest), create a partire da bottiglie di profumo, abitano una fluttuazione di senso tra la rappresentazione dell’alterità e una forma appena inventata. ENG Curated by Chiara Vecchiarelli, the group show features the work of six international artists, Luciana Lamothe, David Horvitz, Jojo Gronostay, Eva L’Hoest, Nicola Pecoraro, and Enrique Ramírez, joined together in the operative tension that inhabits their art. Wood fibres, Los Angeles air, a desert island’s rocky landscape, sculptures carved out of a mysterious material, visual and semantic ambiguity in political poetry, and objet-trouvé installations inhabit a fluctuating space between otherness and newly invented shapes.
Calle dei Guardiani, Dorsoduro 2403/h albertapane.com
GALLERIA DELLE CORNICI STEFANO STIPITIVICH Shoe Show
Quattro esse: Stefano, Stipitivich, Shoe, Show cui andrebbe aggiunta la quinta per lo Stupore che i lavori riescono a suscitare. L’ineffabile Stipitivich sorprende con le sue calzature-sculture; non lo diresti un fashion addicted, invece le sue scarpe sono il pretesto per un campionario di mirabili oggetti il cui significato, nei materiali e nelle fogge usate, rappresenta un coltissimo riferimento alla amatissima Venezia e alla sua Laguna con le innumerevoli storie e citazioni che si nascondono tra le pieghe, pardon “pelli” delle sue creature. Ecco un fiorire di bizzarre creature che si inerpicano in un percorso immaginifico tra suggestioni varie e brani di memoria, lanciando lo sguardo oltre la siepe, lontani da ogni banalità.
ENG Stefano Stipitivich Shoe Show – if we were to add a fifth S-word, splendour would be it. The art is just amazing. You wouldn’t picture Stipitivich as a fashionista, in fact, his shoe designs are the pretext to show an array of beautiful items whose meanings, materials, and shapes represent an educated reference to his beloved city of Venice and its lagoon, with numerous stories and quotes hiding within the pages of his creations. Odd creatures go all about diverse suggestions and pieces of memory, throwing their heart beyond the hedge, and making no compromise with the trivial.
Via Sandro Gallo 49/c, Lido di VeneziaNOT ONLY VENICE
Sublime Canova
A Venezia il prezioso lascito artistico di Antonio Canova all’umanità spicca soprattutto dalle luminose sale del Museo Correr che conservano le sue opere; quelle stesse opere che tanti veneziani – a iniziare da quei patrizi che per primi favorirono il genio e la fortuna del giovane venuto in laguna dalla pedemontana trevigiana all’età di 9 anni – hanno prima avuto per sé, ma poi trovato generosamente la via per farle giungere alla Città, nel luogo del suo Museo. Opere riallestite con fascinosa ambientazione nel 2015 dalla Fondazione Musei Civici Veneziani grazie al generoso mecenatismo di Venice International Foundation. Per celebrare il bicentenario della morte dell’artista – che proprio a pochi metri dal Correr lasciò, il 13 ottobre 1822, la sua Venezia e il mondo, onore e riconoscenza –, il Museo offre una rilettura inedita delle sue opere, una mostra a cura di Andrea Bellieni e Camilla Grimaldi che interpretata le opere del Maestro attraverso lo sguardo di un fotografo, posto a confronto diretto con i capolavori originali. L’arte sublime di Canova viene mediata dalla fedele, rispettosa, eppure personale e fascinosissima interpretazione visuale del fotografo Fabio Zonta (Bassano del Grappa, 1958). Attraverso le immagini catturate dall’obiettivo di Zonta, immerse in una conturbante luce rivelatrice, il Maestro ritorna a emanare l’universale bellezza salvatrice. M.M.
Canova e Venezia 1822-2022
Fotografie di Fabio Zonta
Fino 5 febbraio 2023 Museo Correr, San Marco 52 correr.visitmuve.it
Intimità pubblica L’uomo, il collezionista, il protettore delle arti
La grandezza del Maestro della scultura Neoclassica, universalmente riconosciuto, Antonio Canova (1757–1822), cultore della bellezza assoluta, pura, eterna, tanto da risultare per certi versi fredda, timidamente palpitante di vita, si mostra in occasione dei 200 anni della sua morte oltre l’artista stesso, oltre il geniale scultore acclamato dai contemporanei come il nuovo Fidia, oltre il Maestro che, senza rinunciare a essere moderno, fece risorgere l’antico in scultura.
Io, Canova. Genio Europeo, a cura di Giuseppe Pavanello e Mario Guderzo, con la direzione scientifica di Barbara Guidi, organizzata e ospitata dai Musei Civici di Bassano del Grappa, in collaborazione con Villaggio Globale International, restituisce un’immagine inedita del grande scultore, affascinante e attualissima, svelando l’uomo, il collezionista, il diplomatico, il protettore delle arti: una tra le personalità più significative del mondo culturale e politico a cavallo tra XVIII e XIX secolo. Aspetti mai affrontati prima in una mostra, tra cui la formazione, le passioni di collezionista, la partecipazione alla storia europea di questo straordinario artista che fu capace di orientare il gusto di un’intera epoca. Protagonista di un periodo di grandi stravolgimenti storici e politici, tra guerre e rivoluzioni che cambiarono il volto dell’Europa, Canova regalò al mondo la speranza nel futuro attraverso la creazione di un’arte in perfetto equilibrio tra reale e ideale, avvicinando l’uomo al mito e ispirando azioni e sentimenti di armonia e di pace. Oltre 140 opere tra sculture, dipinti, disegni e documenti preziosi, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private italiane ed europee – Uffizi di Firenze, Museo Correr di Venezia, i Musei Vaticani, la Malmaison di Parigi, l’Albertina e il Kunsthistorisches di Vienna, l’Alte Pinakothek di Monaco, per citarne alcuni – compongono
l’universo creativo del Maestro, sulle orme del “viaggiatore” Canova dall’Italia alle grandi corti d’Europa. Un percorso che amplia l’orizzonte di conoscenza di questo Maestro “oltre” l’universo estetico canoviano, che invece di esserne schiacciato emerge ancora più potente, sublime, quasi pacificatore. Il visitatore è inviato a perdersi tra un bosco di statue dalla bellezza e perfezione incredibile, con mirabili capolavori che dialogano silenti tra loro. Tra questi, vero colpo di teatro, appare in mostra la Maddalena giacente, l’ultimo capolavoro di Canova, ritrovato dopo quasi due secoli in Inghilterra. Realizzata poco prima di morire per Robert Jenckins, secondo conte di Liverpool e Primo Ministro inglese, la splendida figura distesa è stata riconosciuta dopo molti anni di oblio. Canova, come ha spiegato Giuseppe Pavanello, quando passa dalla figura in piedi alla figura distesa opera una sua interiore rivoluzione. La figura di Maddalena è di una struggente bellezza, distesa in terra e svenuta quasi per eccesso di dolore e di sua penitenza, sembra quasi percepire il debole battito del cuore che pulsa sotto il marmo levigato, denunciando tracce premature di romanticismo. In una lettera dello stesso Canova inviata da Roma al suo amico Antoine Quatremère de Quincy (1755–1849), il 25 novembre 1819, lo scultore sembra sottolineare quello che oggi accade in mostra: «Esposi un altro modello di una seconda Maddalena [...], soggetto che piace moltissimo, e che mi ha procurato molto compatimento, ed elogi assai lusinghieri». Mariachiara Marzari
Io, Canova. Genio Europeo Fino 26 febbraio 2023 Museo Civico-Bassano del Grappa www.museibassano.it
Diario di una Bottega
Dinastia dei Bassano, protagonisti indiscussi del Rinascimento veneto
Il genius loci di Bassano non poteva rimanere nei depositi, nemmeno per un breve periodo! Questo pensiero ha accompagnato la volitiva Barbara Guidi, direttrice del Museo di Bassano, coadiuvata da un’amministrazione comunale altrettanto determinata nel progetto di riproporre, in una mostra temporanea, una selezione di capolavori della ricchissima collezione dapontiana – i dipinti di Jacopo da Ponte e della sua famiglia. Il temporaneo disallestimento del Museo dovuto alla bellissima mostra dedicata a Antonio Canova, nelle sale monumentali del piano superiore, ha creato un’opportunità e cioè quella di segnare un momento di discontinuità dal consueto percorso espositivo per offrire una palestra di prova e sperimentazione prima del nuovo riallestimento, previsto a conclusione della mostra canoviana. Il risultato è stupefacente! Una lettura intima e ravvicinata grazie alla giusta illuminazione dei dipinti che vengono proposti, finalmente, con giustapposizioni e accostamenti rinnovati e di grande efficacia. Il desiderio di andare oltre le discipline più propriamente legate alla storia dell’arte ha fatto sì che venisse coinvolta in questa operazione Melania Mazzucco, una delle più talentuose e sensibili autrici del panorama italiano, che ha saputo negli ultimi anni innovare la lettura dell’opera d’arte oltrepassando barriere e rigidi confini, nella convinzione che dietro alle opere ci sono gli artisti che le hanno create con le loro personalità, vicissitudini, e con le loro passioni. Ne esce un raffinato libro a tiratura limitata che accompagna il percorso espositivo con un racconto evocativo dal ritmo cadenzato. La narrazione ci consente di entrare nell’universo di questa famiglia, che discesa dall’altopiano, avrebbe legato indissolubilmente la propria esistenza alla città di Bassano «divenendo un tutt’uno con essa e contribuendo a diffonderne il nome nel mondo grazie all’altissima reputazione della loro pittura» (Guidi). Dal capostipite Jacopo di Berto “pellizaro” di Gallio, sceso per lavorare a Bassano, al figlio Francesco il Vecchio, artigiano, pittore e fondatore della bottega nella seconda decade del Cinquecento, autore di pale d’altare per confraternite e parrocchiali, dove si coglie già l’amore per il paesaggio in una felice e minuta resa descrittiva. Al sommo Jacopo, il più dotato e talentuoso dei figli di Francesco, spetterà il compito di succedere al padre e continuare quell’incessante laboriosità che contraddistingue la bottega dapontiana, documentata nel Libro secondo dei conti (1522–1555) con opere pittoriche per molteplici committenze, anche prestigiose, e in parallelo con numerosissimi manufatti di piccolo artigianato. Quattro dei figli di Jacopo si appresteranno a affiancare il padre nella bottega, ma i due più dotati, Francesco il Giovane e Leandro, tenteranno anche la scalata a Venezia che offrirà loro delle eccellenti opportunità. La dinastia si estinguerà nel Seicento con il nipote Jacopo Apollonio, al quale il nonno aveva lasciato in eredità i propri disegni e modelli con la speranza di prolungare il più possibile l’esistenza della prestigiosa e celebre bottega. Franca Lugato
Bassano. Storia
INFORMAZIONE CAPITALE
Oltre quattro anni di lavoro e racconta necessari per restituire al pubblico una storia della fotografia diversa, quella dei suoi innumerevoli utilizzi pratici e della sua funzione come tecnologia dell’informazione. La mostra IMAGE CAPITAL, curata da Francesco Zanot, al Mast di Bologna fino all’8 gennaio 2023, è un ambizioso progetto artistico che investiga la fotografia come sistema di creazione, elaborazione, archiviazione, protezione e scambio di informazioni visive: un vero e proprio capitale il cui possesso corrisponde a un autentico vantaggio strategico. Il fotografo Armin Linke e la storica della fotografia Estelle Blaschke, ricercatrice dell’Università di Basilea, hanno esplorato attraverso immagini, testi e altri materiali, le diverse modalità attraverso cui la fotografia viene utilizzata all’interno di differenti tipologie di processi di produzione, in particolare in ambito scientifico, culturale e industriale: grazie alla fotografia, infatti, i sistemi di comunicazione e di accesso alle informazioni sono migliorati esponenzialmente.
La mostra è suddivisa in sei sezioni: Memory, Access, Protection, Mining, Imaging, Currency. Tutti questi materiali – interviste, video, immagini d’archivio, pubblicazioni e altri oggetti originali –, sono disposti negli spazi espositivi del MAST su uno stesso piano, senza gerarchie né priorità, con l’obiettivo di offrire una narrazione-esperienza tanto immersiva quanto stratificata.
IMAGE CAPITAL
La fotografia come tecnologia dell’informazione Fino 8 gennaio 2023 Fondazione Mast-Bologna www.mast.org
arte
NOT ONLY VENICE
L’OPERA
La Consegna dell’anello al doge segna un profondo spartiacque nella carriera di Paris Bordon. Finalmente è chiamato da una prestigiosa confraternita veneziana per l’esecuzione di un’opera pubblica, da collocare nell’Albergo della Scuola Grande di San Marco. Non un telero qualsiasi ma l’ultimo di una serie che comprendeva opere di Vittore Carpaccio, Gentile e Giovanni Bellini, Giovanni Mansueti e Jacopo Palma il Vecchio. [...]
Il contesto in cui ha preso forma il coinvolgimento di Paris è piuttosto chiaro, meno i tempi di realizzazione dell’impresa. Alvise da Noale – una vecchia conoscenza del pittore – aveva ricoperto il ruolo di guardiano della Scuola Grande di San Marco negli anni immediatamente precedenti alla commissione. Nella stessa carica gli era succeduto, nel 1533, Zuan Alvise Bonrizzo, parente acquisito di Paris, in quanto zio della moglie Cinzia Spada. [...] Per dare una parvenza di legalità alla commissione della Consegna dell’anello al doge venne allestito un concorso. Lo deduciamo dall’esistenza di due disegni che trattano lo stesso tema, uno riconducibile a Pordenone e l’altro a Lorenzo Lotto. Il disegno di progetto di Paris è andato perduto, conosciamo solamente un foglio con lo studio del giovane pescatore disteso in primissimo piano dell’Ashmolean Museum a Oxford.
Tratto da Vita e opere di Paris Bordon (1500-1571)
Simone Facchinetti e Arturo Galansino, curatori della mostra Estratto dal catalogo Marsilio Arte
Il piacere di essere Altro
Il sofisticato manierismo di Paris Bordon
È sufficiente ammirare la sezione dei ritratti presenti in mostra per capire e confermare la grandezza della statura artistica di Paris Bordon (1500–1571). Trevigiano di origine, giunto a Venezia giovanissimo, ma soprattutto aperto a esperienze che vanno oltre la pittura veneta della sua prima formazione (Tiziano, Giorgione e Palma il Vecchio), Bordon si misura con un sofisticato manierismo memore dei suoi rapporti internazionali – dal 1538 approda in Francia, a Fontainebleau, alla Corte di Francesco I – e con un cromatismo che strizza l’occhio alla tradizione toscana.
La mostra Paris Bordon. Pittore Divino in corso al Museo Santa Caterina di Treviso, propone una quarantina tra dipinti, disegni e opere a stampa che attestano la fortuna critica di questo straordinario esponente di una delle più strepitose e innovative stagioni dell’Arte Veneta. Un artista che ha lavorato molto sul territorio, con committenze pubbliche e private e con importanti cicli di affreschi spesso andati perduti, ma è stato costretto anche a spaziare geograficamente per intercettare nuovi committenti e spedire opere fino in fondo allo stivale, visto la presenza a volte ingombrante di Tiziano, per altro il suo primo maestro.
Un racconto suddiviso in otto sezioni tematiche ripercorre la vicenda artistica e l’evoluzione dello stile di Bordon: dalle giovanili Sacre Conversazioni, ancora nell’orbita del maestro cadorino, a quelle successive, più emancipate, che risentono delle suggestioni di Palma il Vecchio. Prove magistrali sono evidenti nella ricca sezione dei Ritratti, da quello giovanile del Gentiluomo del 1523, conservato a Monaco di Baviera, intriso di giorgionismo per i modi intimi e introspettivi, ai ritratti maschili di trequarti, cronologicamente più maturi, celebrativi e in linea con la ritrattistica dell’epoca tra Lotto e Moretto. Concludono
questa sezione due straordinarie prove di Ritratti femminili (provenienti da Londra e da Vienna), dove l’artista si confronta con un tema in voga nella Venezia del tempo ovvero quello del ritratto idealizzato, raggiungendo dei vertici altissimi e del tutto personali. Le tematiche profane per committenti privati, anche europei, si sviluppano nella sezione Eros e mitologie dove Paris prende ispirazione dai grandi modelli veneziani: figure femminili ingioiellate dalle maestose acconciature mostrano una sensualità dirompente nel languido pallore delle carni, che contrastano con la resa dettagliata dei ricchi broccati, una lettura erudita del mito che si dipana grazie alla ricchezza di rimandi simbolici. La sezione dedicata alle tematiche sacre con opere di devozione privata e grandi pale d’altare conclude la mostra. Nell’Annunciazione di Caen è evidente l’interesse del pittore per le architetture di Sebastiano Serlio, la dilatata costruzione prospettica dello sfondo con una selva di colonne rimanda subito al capolavoro realizzato dall’artista per la sala dell’Albergo della Scuola Grande di San Marco, oggi alle Gallerie dell’Accademia, la Consegna dell’anello al Doge
Citazioni dotte dai trattati di architettura che fanno di Bordon un artista colto oltre che squisitamente godibile per la resa delle forme e la forza del colore.
La mostra trova un’interessante estensione del percorso nel Museo di Santa Caterina, dove sono conservate alcune importanti opere autografe dell’artista, e nell’itinerario in città, a Treviso, dal Duomo all’urbs picta, alla ricerca delle tracce di affresco che completano e valorizzano il rapporto del “divin pittore” con la sua terra natia. Franca Lugato
Paris Bordon 1500–1571. Pittore Divino Fino 15 gennaio 2023 Museo Santa Caterina-Treviso mostraparisbordon.it
Eterno femminino regale Margherita
prima regina dell’Italia unita
«A che varrebbe essere principi se non si potesse fare il bene che si vuole?». Troneggia questa frase, nell’accurata esposizione di Maria Paola Ruffino, dedicata alla statuaria figura di Margherita di Savoia (1851–1926), a Palazzo Madama di Torino, che consta di più di settanta opere fra dipinti, sculture, mobili e tappezzerie, manoscritti e oggetti. Una ideale sintesi di quell’indomito e al contempo morigerato, spirito interiore che mosse colei che da principessa piemontese, divenne la prima regina di tutto il Popolo italiano, dedita con tutta sé stessa alla Nazione. Margherita sposa a Torino nel 1868 il cugino Umberto di Savoia e sale al trono nel 1878, con l’intento di consolidare attorno alla sua persona l’immagine di una monarchia unitaria. Icona femminile di grazia ed eleganza, compare in mostra in più ritratti, da quello del 1870 del Castello di Racconigi di Cuneo, opera realista del ritrattista milanese Giuseppe Bertini, in cui appare giovane e bella principessa in uno splendido abito di raso azzurro e bianco con al collo l’immancabile collana di perle a sette giri (che aumenteranno con gli anni del suo Regno), al ritratto più celebrativo datato 1890 della Fondazione Musei Civici di Venezia, di Francesco Paolo Michetti, artista attivo tra l’Abruzzo, sua terra natale, e Napoli, che la vede a figura intera, in abito bianco con la gran collana e il diadema regale di diamanti e perle in testa. Sono esposti anche dieci abiti di sartoria della collezione di Mara Bertoli, a testimoniare l’evoluzione del gusto dell’epoca, nella sezione curata da Massimiliano Capella. Madre premurosa, Margherita si occupa del figlio dalla salute malferma, il futuro erede al trono Vittorio Emanuele III, ritratto da bambino dal pittore fiorentino Michele Gordigiani, la cui culla dal Palazzo Reale di Caserta, in legno intarsiato con inserti in tartaruga, madreperla, conchiglia, corallo, seta, raso e lamina d’oro è un vero gioiello con il suo Angelo reggicortina e il “lazzariello” che la sorregge, disegnata da Domenico Morelli e realizzata da noti ebanisti partenopei. Da Regina, impone il gusto umbertino in raffinati arredi, mobili e suppellettili, nelle sue residenze di Villa Reale a Monza e a Palazzo del Quirinale. Notevole la scrivania in legno di noce ed ebano intagliati, argento cesellato, agate di Sicilia e velluto di seta, di Salvatore Coco, proveniente dal parigino Musée d’Orsay. La Regina ama inoltre le porcellane delle manifatture di Meissen e di Vincennes-Sèvres, dai colori brillanti. Sensibile a istanze legate al progresso nazionale, si fa promotrice di opere pubbliche per contrastare la miseria e le malattie: esemplare il grande dipinto La cerimonia inaugurale della Prima pietra del Risanamento nella piazza di porto (1889, Napoli, Accademia di Belle Arti) del capuano Francesco Sagliano, che immortala l’inizio dei lavori alla presenza dei Reali, dopo l’epidemia di colera che aveva colpito la città di Napoli nel 1884. Come Benefattrice Margherita visita ospedali, elargisce sussidi e fa donazioni a congregazioni religiose e associazioni caritatevoli, istituzioni laiche, asili e scuole. Istituisce a Firenze la prima Biblioteca italiana di testi in Braille fondando a Roma l’Ospizio Margherita per i Poveri Ciechi cui dona la scultura in marmo di Salvatore Grita, La cieca leggitrice (1869-72). Promuove l’istruzione e la formazione professionale di mestieri femminili e le arti applicate: in particolare, sostiene la Scuola del merletto di Burano (si veda il noto dipinto Merlettaie a Burano del 1905 di Pieretto
Bianco) o la Scuola per la lavorazione del Corallo di Torre del Greco e quella Professionale Margherita di Savoia di Roma. Le produzioni manifatturiere, artistico e industriali italiane vengono celebrate a esposizioni nazionali e internazionali. Infine, da Musa animatrice del suo salotto al Quirinale, Margherita ama diffondere l’arte e la musica attraverso letture, concerti e visite con acquisti a esposizioni come la Biennale di Venezia. Giosuè Carducci, immortalato alla sua scrivania dal pittore veneziano Alessandro Milesi nel 1906 (Venezia, Fondazione Musei Civici), gode della sua ammirazione e amicizia, tanto che il poeta compone per lei l’Ode alla Regina. A seguito dell’assassinio del consorte Umberto a Monza il 29 luglio del 1900 per mano dell’anarchico Gaetano Bresci (in mostra la rivoltella utilizzata dal Museo Criminologico di Roma) l’itinerario nella vita della Regina, dopo un breve excursus nella quiete delle montagne da lei amate ( Gressoney-La Trinité di Demetrio Cosola, 1893), si chiude nel vento del colore di un Paese “figurato” nella tela di Giacomo Balla, che altro non è che il sentimento futurista di un acceso interventismo monarchico e delle folle, di Forme Grido Viva l’Italia (1915), espressione di un nazionalismo crescente dall’ignaro destino.
Luisa TurchiMargherita di Savoia Regina d’Italia Fino al 30 gennaio 2023, Palazzo Madama-Torino www.palazzomadamatorino.it
NOT ONLY VENICE
Vite eterne
Una mostra curata dal Museo Egizio di Torino, autentica istituzione a livello mondiale quando ci si riferisce a questo straordinario periodo storico, nasce già con la miglior legittimazione possibile, a garantirne l’accuratezza e la serietà.
Statue colossali, tombe e sarcofagi decorati, bassorilievi e stele dipinti, rotoli di papiro e reperti millenari: sono gli ingredienti de I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone, mostra che attraverso circa 200 reperti provenienti dal Museo Egizio, trasporta nella Basilica Palladiana di Vicenza la comunità di Deir el-Medina, antico villaggio che ospitava gli artefici delle monumentali tombe dei faraoni nella Valle dei Re e delle Regine. Sotto il coordinamento del direttore del Museo piemontese, Christian Greco, hanno lavorato Corinna Rossi, i curatori Cédric Gobeil e Paolo Marini, con l’organizzazione di Marsilio Arte, per confezionare una mostra che non si veste di orpelli tecnologici vuoti e incoerenti (ogni riferimento ad eventi cittadini è puramente casuale…) per concentrarsi sull’unico riferimento a cui una mostra di questo tipo dovrebbe tendere: la Storia, quella con la S maiuscola. Il percorso conduce i visitatori alla scoperta dell’antico Egitto e del suo immaginario attraverso le espressioni materiali di un mondo complesso e articolato, dagli strumenti d’uso quotidiano allo sfarzo e alla sacralità dei faraoni. Nel corso dei secoli le loro tombe hanno conservato gli oggetti, la memoria e lo splendore di questa antica civiltà millenaria, di cui subiamo ancora oggi il fascino. La posizione esatta delle sepolture reali era segreta, nota solo ai sacerdoti, per custodire e proteggere le spoglie e le grandi ricchezze dei sovrani durante il loro viaggio nell’aldilà. Per questo motivo, gli operai e le loro famiglie vivevano isolati dal resto della società in un piccolo villaggio, oggi noto come Deir el-Medina, annidato tra le colline rocciose a poca distanza dalla necropoli reale, sulla sponda opposta del Nilo rispetto a Tebe. Grazie all’ingegno e all’opera degli abitanti di Deir el-Medina si è plasmata l’idea stessa che abbiamo dell’antico Egitto.
Il suggestivo spazio sotto la volta della Basilica Palladiana si divide in due ampie sezioni: una prima parte che illustra la vita terrena e la creazione di questi capolavori millenari, una seconda dedicato alla vita dopo la morte.
La mostra racconta nel dettaglio il processo costruttivo della tomba del faraone, la cui realizzazione, lunga e impegnativa, combinava competenze e ambiti diversi, aspetti simbolici e questioni tecniche, culto religioso e organizzazione del lavoro. Oltre agli strumenti e agli attrezzi, si possono ammirare i papiri che trasmettevano la sapienza di questi uomini, con piante e descrizioni di edifici e studi di disegno. D.C.
I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone 22 dicembre-7 maggio 2023 Basilica Palladiana-Vicenza www.mostreinbasilica.it/it/egitto
Magnifiche creature
Jheronimus Bosch e un altro Rinascimento, in corso a Palazzo Reale a Milano fino al prossimo 12 marzo, non si propone come la classica mostra monografica. Vengono qui messe a confronto le opere del famoso pittore con quelle di altri maestri fiamminghi, italiani e spagnoli, costruendo un dialogo che intende spiegare al visitatore quanto questo “altro” Rinascimento, pur non essendo considerato quello “ufficiale”, abbia rivestito grande importanza per l’evoluzione dell’arte europea. Il percorso espositivo si dipana attraverso un centinaio di opere d’arte tra dipinti, sculture, arazzi, incisioni, bronzetti e volumi antichi, inclusi una trentina di oggetti rari e preziosi. Il nome di Jheronimus Bosch (1453–1516) evoca visioni oniriche e mondi curiosi, scene caotiche, spesso infernali, popolate da creature mostruose e figure fantastiche, illuminate da incendi, ricche di dettagli grotteschi tra lo spaventoso e il ridicolo: un bestiario unico che già nel Cinquecento gli valse la definizione di “pittore di mostri e incubi”. Nelle sue caotiche tele riusciva a offrire un’immagine molto diversa, “altra” –appunto, rispetto a quella dell’equilibrato classicismo che tradizionalmente si associa al Rinascimento. In mostra tra gli altri, alcuni capolavori mai visti in Italia come il Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio, giunto dal Portogallo, o l’opera monumentale, il Trittico del Giudizio Finale, da Bruges, che in origine era parte della collezione del cardinale veneziano Marino Grimani. E ancora, il Trittico degli Eremiti delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, proveniente dalla collezione dell’altro cardinale Grimani, Domenico. Così a Venezia l’unicità espressiva di Bosch venne prontamente colta, ben tre sue opere facevano parte della collezione Grimani, ora nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, le uniche che l’Italia può vantare.
La fama di Bosch non iniziò nelle Fiandre, dove l’artista era nato, ma in Europa meridionale: il “fenomeno Bosch” trovò un terreno fertile nel mondo mediterraneo, nella Spagna e nell’Italia del Cinquecento. In Italia il linguaggio fantastico e onirico di Bosch e dei suoi seguaci ha potuto crescere e diventare modello figurativo e culturale per quel tempo e per molte delle generazioni di artisti successive, anche a distanza di secoli. Le incisioni contribuirono in maniera decisiva alla diffusione del gusto per le immagini di incendi notturni, scene di stregoneria, visioni oniriche e magiche. Lo confermano opere come lo Stregozzo di Marcantonio Raimondi/Agostino Veneziano, il Mostro marino di Albrecht Dürer, il capolavoro letterarioeditoriale di Aldo Manuzio, la Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, e anche l’Allegoria della vita umana di Giorgio Ghisi. La proliferazione di oggetti rari, bizzarri e preziosi che caratterizza la moda delle collezioni eclettiche tipiche del gusto internazionale cinquecentesco viene evocata in mostra con una originale Wunderkammer, una “camera delle meraviglie” che riporta a un confronto immediato e diretto con la rappresentazione caotica e irrealistica di uno dei capolavori più impegnativi di Bosch: Il giardino delle delizie del Museo del Prado di Madrid. F.M.
Bosch e un altro Rinascimento
Fino 12 marzo 2023 Palazzo Reale-Milano www.palazzorealemilano.it
La seconda vita della bellezza
Recycling Beauty, a Fondazione Prada a Milano fino al 27 febbraio, rappresenta un punto di osservazione non convenzionale dedicato al riuso di antichità greche e romane in contesti post-antichi dal Medioevo al Barocco. Curata da Salvatore Settis e Anna Anguissola con Denise La Monica, con progetto allestitivo di Rem Koolhaas/OMA, Recycling Beauty ricostituisce il binomio che già aveva caratterizzato le due precedenti esperienze espositive, di cui la nuova mostra rappresenta il terzo capitolo nella ricerca sulla contemporaneità del classico, dopo Serial Classic, che inaugurò la nuova sede milanese nel 2015, e Portable Classic, allestita nello stesso anno a Venezia. Le prime due esposizioni erano dedicate a illustrare le analogie del ruolo delle copie e delle riproduzioni tra arte classica e contemporanea, questa mostra si concentra invece su uno dei fenomeni più conosciuti del nostro rapporto con l’antico: il reimpiego e il riutilizzo dei materiali del passato in nuovi contesti di luogo e di significato. Evidenziando l’importanza dei frammenti, del riuso e dell’interpretazione, Recycling Beauty contribuisce a considerare il passato come un fenomeno instabile in costante evoluzione. Premessa fondamentale è considerare il classico non solo come eredità del passato, ma come un elemento vitale che può incidere sul nostro presente e futuro. Attraverso un innovativo approccio interpretativo e una modalità espositiva sperimentale, il patrimonio antico, e in particolare quello greco-romano, diventa secondo Settis «una chiave di accesso alla molteplicità delle culture del mondo contemporaneo». Solo recentemente gli studi archeologici si sono occupati del reimpiego di materiali antichi, approfondendo il dato essenziale di questo fenomeno, ovvero la relazione visuale e concettuale fra gli elementi antichi riusati e il contesto post-antico, lontano da quello di origine, in cui sono stati inclusi. Recycling Beauty vuole finalizzare quel momento in cui il pezzo antico abbandona la propria condizione iniziale o di rovina e viene riattivato, acquistando nuovo senso e valore grazie al gesto del riuso. Il progetto espositivo si sviluppa in due edifici della Fondazione, il Podium e la Cisterna, con un percorso di analisi storica, scoperta e immaginazione. Nel Podium, un paesaggio di piedistalli bassi permette di percepire i pezzi esposti come un insieme, mentre postazioni di lavoro con tanto di scrivanie e sedie permettono una visione più ravvicinata degli oggetti. Nella Cisterna, i visitatori incontrano i pezzi esposti in una sorta di percorso graduale di conoscenza, due sale sono dedicate alla colossale statua di Costantino (IV sec. d.C.), una delle opere più importanti della scultura romana tardo-antica.
Fabio MarzariRecycling Beauty
Fino 27 febbraio 2023 Fondazione Prada-Milano fondazioneprada.org
NOT ONLY VENICE
Magma vitale ai confini del dolore L’installazione
multimediale
di Arthur Jafa a OGR Torino
È sempre più difficile trovare la giusta chiave sia espressiva, per chi crea, elabora progetti artistici contemporanei, sia interpretativa, per chi si approccia a questi stessi progetti in veste critica, o anche da semplice appassionato, quando ci si trova ad affrontare la cultura afroamericana, le mai pacificate vibrazioni della cosiddetta blackness, di quel complesso, caleidoscopico vortice di immaginazione e fisicità che questo universo espressivo continua ad alimentare con viva forza quotidiana. È davvero complesso, sì, poiché oggi approcciandosi a questa cultura più che mai ci si ritrova al cospetto di una forbice apertissima, di fatto una divaricazione lontana da una qualsivoglia sua equilibrata ricomposizione, con le due lame ciascuna diretta verso una delle due componenti compresenti e connotanti oggi più di altre questa cultura: la rabbia, l’urgenza di non togliere il piede dall’acceleratore nel rivendicare una vissuta, adulta eguaglianza oltre ogni rituale, giurisprudenziale enunciato; la disposizione stucchevolmente correct verso una così eclettica e vitale minoranza sino a farne oggetto di un sin troppo affettato, edulcorato rispetto, con lo straniante esito di un rovesciamento di superficie delle egemonie culturali addirittura nel mainstream. Cancel culture, woke, chiamatela come meglio vi pare, ma quella cosa lì, insomma.
Una forbice aperta che da un lato rischia di produrre stiracchiata noia, abitudine verso le denunce dure e pure che inevitabilmente nel tempo reiterandosi formalmente uguali, o quasi, non possono che produrre abitudine, facendosi tristemente “genere”, e da un altro lato rischia a sua volta, elevando lo status della “giusta causa” fin quasi a farne un totem radical-chic delle lobbies liberal, di erodere le radici vive di questa cultura, promuovendo un assorbimento sacralizzato dell’identità black conformisticamente elevandola a ideaguida di una società libera, all’insegna di un’eguaglianza finalmente compiuta, di fatto viceversa quanto mai lontana dal suo effettivo realizzarsi.
Insomma, in questo impasto diffuso di adulatoria retorica, di dissimulata, ma neanche troppo, ipocrisia, di autentica partecipazione anche, risulta sempre più raro su questo terreno incontrare un qualche sprazzo di autenticità elaborata concettualmente e visivamente in un’opera d’arte riuscita, immune da ogni prevedibile cliché. Ebbene, non può che essere in questo senso allora epifanica nella sua alterità verso qualsiasi accomodante, corretta disposizione verso la blackness l’immersione nel nuovo, a dir poco viscerale progetto di Arthur Jafa esposto al Binario 1 di OGR Torino, ormai epicentro assoluto del contemporaneo italiano capace nei suoi meravigliosi, enormi spazi di archeologia industriale di attraversare tutti i confini, tutti i margini più contaminati dei linguaggi del nostro tempo. RHAMESJAFACOSEYJAFADRAYTON il titolo del progetto, che riporta in sequenza il nome stesso dell’artista preceduto e seguito da quelli di tre grandi chitarristi che hanno segnato la storia della black music, vale a dire Arthur Rhames (1957–1989),
Arthur Jafa | RHAMESJAFACOSEYJAFADRAYTON FinoPete Cosey (1943–2012) e Ronny Drayton (1953–2020). Programmaticamente, quindi, dalla musica non si scappa, non si può con Arthur Jafa. La prima impressione è quella di trovarsi immersi in una sorta di tempio laico disegnato da suoni e immagini giustapposti in una prospettiva sensoriale tridimensionale. Vi si entra attraversando un iconico tunnel le cui pareti restituiscono istantanee indelebili della cultura antagonista black alternate a fermi immagine di storie comuni, marginali, estratti di quei Picture Books nelle pagine dei quali il Nostro da sempre dispiega le sue pratiche d’archivio. Storie da copertina e storie di ultimi, capaci di restituire nel loro insieme in pochi metri dolori e conquiste di una comunità che come nessun’altra ha vissuto sulla sua pelle il conflitto culturale di un’epoca, quella dell’opulenza e insieme della diseguaglianza. Immagini tra le quali si inseriscono installazioni scultoree in metallo laccato di chiaro segno politico, le cui difformi forme producono corporeo disagio, disturbo emozionale.
15
gennaio 2023 OGR-Torino ogrtorino.itA “fine tunnel”, una distesa, digitale fluidità prende il posto delle ispide, vertiginose pareti appena attraversate: AGHDRA, 85 minuti filmici realizzati in CGI, un viaggio straniante nella sua apparente fissità ondulativa. Una superficie di frammenti di pietra galleggianti che incombono verso di noi seduti adagiati in una duna nera, ipnotizzati da questo ammorbante ondeggiare di materia oscura. Una materia che è ossessivamente in procinto di sommergerci e inghiottirci in un magma indistinto ma che all’ultimo, regolarmente, cambia direzione, ridirigendosi verso il largo. Rimaniamo così orfani di riferimenti spaziali, difficilmente comprendendo dove ci si trovi collocati. Su una barca, forse, o meglio ancora su una zolla nera come le altre intorno, galleggiando non si sa bene su quale superficie, sia essa una sorta di magma vulcanico o invece acque di un oceano tenebroso. O forse ancora su una sorta di epidermide di un organismo vivente ridotto a brandelli pronto a risvegliarsi telluricamente, mandandoci all’aria tutti una volta e per sempre. In questa materica astrazione,
mi si passi l’ossimoro, la tentazione di riconoscere una tensione corporea verso l’inesausta ricerca del Nostro attorno alle radici e al divenire dell’identità nera è, va da sé, ineludibile. E credo servibile, sì. Questo ondeggiare magmatico non può non rimandare alla schiavitù stivata, incatenata nelle sordide pance di vascelli solcanti le criminogene tratte oceaniche che furono, ma al contempo più estesamente questa distesa di acque ricoperte di zolle nere non può a sua volta non echeggiare un’imminente catastrofe ecologica, anch’essa espressione di una naturale, primordiale ribellione verso un’altra forma di sfruttamento ottuso e brutale, quello della crosta terrestre. Tra queste due forse prevedibili letture altre e altre ancora sono naturalmente plausibili in questo visionario progetto che rifugge schematiche asserzioni, acritiche e granitiche dichiarazioni di appartenenza, per volgersi con sguardo critico e complesso al tempo in divenire, naturalmente col dolore alle spalle e a fianco, mai sedato da comode ammende di una società che presto si autoassolve in improbabili narrazioni ecumeniche senza davvero fare i conti vivi col compiuto, unica azione sensata e dovuta che certo pretenderebbe non a torto di svolgersi al di fuori di sentieri ideologicamente militarizzati. Dolore, ferite, eppure amore, soul, quello che solo la black music sa far pulsare con ineguagliabile maestria. Sì, perché è la musica qui a far vibrare in positivo le corde del cuore attraverso apicali brani soul, blues e R&B incisi fra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Un amore tutt’altro che consolatorio, politico, espressione di una viscerale non-accettazione dell’umiliazione, ma declinata, espressa con quella straripante gioia di vivere insopprimibile di questa musica. Una mostra verrebbe da dire necessaria, se non fosse che così assertivi si rischierebbe di interpretare pure noi la parte correttissima di tracciare la sicura via di un percorso compiuto. Che è esattamente la direzione opposta di quella ostinata e contraria verso la complessità della convivenza collettiva che Arthur Jafa sembra voler instancabilmente percorrere. Massimo Bran
Who am I? Who am I / Who can’t face the words “good bye”? / Who am I? Who am I / To think a man should never, never, never cry? / I should’ve paid more attention, oh, to what she said / I just wouldn’t listen, I had a very hard head
music a
Intervista Manuel AgnelliLA VERSIONE DI MANUEL
Il 30 settembre per Universal è uscito il primo album da solista di Manuel Agnelli, Ama il prossimo tuo come te stesso, caratterizzato da un’identità molto forte, con arrangiamenti insoliti, nuovi rispetto al percorso fin qui da lui compiuto con gli Afterhours. Insomma, un progetto nato dalla libertà dell’artista di andare verso direzioni inaspettate. L’album è disponibile su tutte le piattaforme digitali ed è acquistabile nei formati esclusivi: CD autografato, LP autografato, LP colorato.
Manuel Agnelli è un cantautore, musicista, autore conosciuto soprattutto come frontman degli Afterhours, gruppo storico nonché nodale della scena indie rock italiana, da lui fondati nel 1985, il cui nome omaggia i Velvet Underground. Con gli Afterhours ha realizzato una decina di album portati in tournée in tutta Europa e in America. Il gruppo è stato insignito della Targa Tenco, mentre la prestigiosa rivista americana «Spin Magazine» li ha inseriti nella lista delle The 100 Greatest Bands You’ve Never Heard Of, selezione delle migliori band meno note al pubblico mainstream che meritano di essere ascoltate. Manuel è anche un produttore discografico, ha fondato la casa Vox Pop, ha collaborato come produttore artistico con grandissimi nomi del panorama musicale italiano, persino con Mina, con cui ha anche duettato in Adesso è facile. Nel 2001 all’Italian Music Award è stato premiato come miglior produttore italiano per l’album dei Verdena. Si è cimentato anche come scrittore, ha infatti pubblicato I racconti del tubetto, edito da Ultrasuoni e poi ristampato da Mondadori; nel 2011 è uscito per la collana Caratteri Sette giorni, un libro-intervista con illustrazioni di Marco Klefisch. Non potevano mancare le esperienze televisive, come il programma Ossigeno di Rai3, oltre alla sua partecipazione in veste di giudice al talent X Factor nelle edizioni 2016, 2017, 2018, 2020 e 2021, ruolo
che gli ha regalato un successo enorme da parte di un’audience enormemente più estesa di quella che segue normalmente la scena alternativa.
Per il film Diabolik nel 2021 ha composto La profondità degli abissi, con cui ha vinto il David di Donatello e il Nastro d’Argento come migliore canzone originale.
Un talento poliedrico, dunque. Con i suoi look particolarissimi e i suoi lunghi capelli iconici è il re della scena underground, tuttavia colpisce il suo star fuori dal coro, il non farsi schiavo della dittatura del consenso in un’epoca in cui tutti rincorrono i like Ora con il suo nuovo album ha in programma una lunga tournée in tutt’Italia che lo porterà nei club indie, nei teatri e in spazi del contemporaneo di grande presa quale l’OGR di Torino, passando anche per Venezia, o meglio per Marghera, al Centro Sociale Rivolta, il 7 dicembre. Lo incontriamo in partenza per le prime date live.
Ama il prossimo tuo come te stesso è il suo primo album da solista. Da cosa parte l’esigenza di esordire da solo?
In realtà non è stata un’esigenza programmata. Durante il lockdown mi sono ritrovato come i più con moltissimo tempo a disposizione e nell’impossibilità di incontrare i miei amici musicisti. È stato come tornare ragazzo, quando non avevo progettualità, né scadenze, per cui in quel periodo di isolamento ho composto molto e ho scelto di tenere le cose fatte da me, solo per me, perché avevano un suono personale, diverso.
Manuel Agnelli 7 dicembre C.S. Rivolta-Marghera www.facebook.com/rivoltamargheraÈ stato come tornare ragazzo, quando non avevo progettualità, né scadenze. Nel periodo di isolamento ho composto molto e ho scelto di tenere le cose fatte da me, solo per me, perché avevano un suono personale, diverso
musica
MANUEL AGNELLIÈ appena partito per una lunga tournée che toccherà i migliori club italiani, ma anche teatri e spazi polivalenti del contemporaneo. Il 7 dicembre si esibirà anche qui da noi, al Rivolta di Marghera, location storica della scena indipendente italiana da oltre trent’anni. Cosa la lega a questa città, a questo territorio?
Sono molto felice di suonare a Marghera, di tornare a Venezia. Negli anni passati il Veneto era una tappa obbligata; ho bellissimi ricordi, era una scena molto fertile. Le cose ora sono cambiate, non è più così facile organizzare concerti, forse alcuni cicli finiscono. Qui ho comunque sempre incontrato un pubblico curioso, molto aperto, addirittura itinerante che ci seguiva in varie città d’Italia. Il pubblico di qualche tempo fa aveva grande fiducia negli organizzatori, a volte andavano ai concerti solo per la curiosità di vedere e vivere i locali in cui si suonava e per l’estrema fiducia nelle scelte di chi li organizzava.
Quali a suo avviso le ragioni di una scelta da parte dei curatori di un programma pop come X Factor di avere tra i suoi giudici una figura del suo profilo, musicista alternativo, di nicchia, molto amato da chi ascolta musica ‘colta’? Più che per ispessire la credibilità del programma in sé, la scelta di coinvolgermi credo si debba al semplice fatto che cercassero un personaggio che avesse un ruolo ben definito, aderente a un mondo visceralmente connotato da una dimensione live altra. Rappresentavo in qualche modo il personaggio del musicista “sufficientemente colto”; il ruolo che serviva, insomma, per dare maggiore completezza e pienezza al format.
Si è sempre battuto molto per ottenere dalla SIAE una divisione più equa dei diritti d’autore, per non far pagare la quota di iscrizione agli under 30 e per ottenere di poter scontare la cifra prevista sulle esibizioni. Cos’altro vorrebbe si facesse in più, e meglio, in questa direzione? Come vede in questo momento la situazione della musica dal vivo?
Il discorso è davvero complesso. Le cose da fare sono ancora moltissime; a livello burocratico bisognerebbe riuscire a cambiare tante regole. Le istituzioni devono trattare i musicisti come veri lavoratori, dovrebbero prenderci sul serio come professionisti e in quanto tali dovremmo essere considerati. Ci vorrebbero regolamentazioni ad hoc per ogni tipo di ambito; non un approccio generico, indistinto per ogni scena musicale, bensì un’idea, una visione concreta e specifica per ciascun singolo settore, sia che si tratti di jazz, classica, rock, pop, ecc... Universi musicali ciascuno con un suo tratto proprio e con proprie, specifiche esigenze. Più degli aiuti una tantum da parte del governo, ci vorrebbero degli aiuti consistenti agli imprenditori, mi riferisco in particolare qui ora al mio settore, quello della musica pop e rock, un mondo fatto da più di un milione di lavoratori. Servono più imprenditori del settore che aprano di nuovo luoghi dove si suona. Io sono stato fortunato perché quando ho iniziato e quando poi mi esibivo la situazione era ancora molto fertile, viva, aperta.
Dopo il successo della sua colonna sonora per i Manetti Bros ha intenzione di lavorare ancora per il cinema? La vedremmo benissimo anche come attore… La attrae, la stimola quel mondo?
Scrivere canzoni per il cinema mi è piaciuto molto e lo rifarei, ma non in questo momento. Sono comunque attratto da quel mondo, sì. Ho già recitato in alcune piccole parti e poi ho un ruolo in Django, una produzione internazionale con la regia della bravissima Francesca Comencini, con cui mi sono trovato molto bene. Ho recitato in inglese; la cosa buffa è che ora mi dovrò doppiare in italiano. Più avanti sarò a teatro con il musical Lazarus, spettacolo con testi e musiche di David Bowie.
Nel video per Lo sposo sulla torta, quinto singolo estratto dal suo nuovo album, la voce femminile è quella di sua figlia Emma, in arte Vaselyn Kandinsky. Si riconoscerebbe nei panni di una sorta di “ribelle pater familias rock”?
Non mi sono mai considerato un ribelle; ho sempre cercato semplicemente di fare quello che volevo. In questo caso avevo scritto un pezzo per un duetto e sinceramente in quel momento non mi piaceva nessuno con cui condividere il progetto, così ho chiesto consiglio a mia figlia e lei, così per gioco, mi ha risposto: «Sono io la più cool di tutti». Scherzava, non pensava accettassi, invece io l’ho spinta a provare e alla fine ha fatto una performance egregia. La sua leggerezza è perfetta; Emma è stata davvero fondamentale nella riuscita de Lo sposo sulla torta. Era la scelta da fare. Il brano ha un grande successo, tutte le radio lo trasmettono, è nella top ten di Radio Deejay e il video è seguitissimo.
È sempre stato molto attento al linguaggio. Ha mai pensato di collaborare con qualche scrittore per i testi delle sue canzoni?
La collaborazione con scrittori mi attrae molto, tuttavia non per i testi delle canzoni. Mi piacerebbe collaborare con scrittori per progetti terzi; potrebbe trattarsi di uno spettacolo, di una sceneggiatura o forse anche di un libro, perché no? Ci sono molti autori che stimo nell’attuale panorama della letteratura italiana, a partire da Michele Mari o dal mio amico Paolo Giordano. Tuttavia le canzoni sono un territorio tutto mio, voglio ancora scrivere da solo. La scrittura dei testi è così intima…; il carattere artistico è fondamentale, venire ‘contaminato’ mi risulterebbe difficile.
a
Prospettiva doppia
Un duo sul palco e una coppia nella vita. Lei è Rebecca Martin, cantante e songwriter; lui è Larry Grenadier, uno dei più stimati contrabbassisti della scena del jazz contemporaneo.
Rebecca Martin è una cantante di culto dalla voce sofisticata ed espressiva, che scava in profondità nei testi e che associa a questo talento anche una spiccata sensibilità compositiva, di sicuro fuori dal comune sulla scena di New York, con all’attivo registrazioni memorabili con artisti come Kurt Rosenwinkel, Jeff Ballard, Paul Motian, Gretchen Parlato.
Marito e moglie dal 1997, Rebecca e Larry si esibiscono insieme da un quarto di secolo influenzando generazioni di musicisti. Le performance in duo mostrano la speciale chimica tra i due artisti attraverso composizioni esaltate dalla voce indelebile di Martin e dal poetico e fantasioso contrabbasso di Grenadier.
Grenadier incontra lo strumento a cui consacrerà il proprio talento ad appena dieci anni fondando con i fratelli maggiori Steve e Phil una band, The Juveniles, e arrivando a collezionare negli anni collaborazioni con Brad Mehldau, Joshua Redman, Pat Metheny e tantissimi altri, a testimonianza di una carriera eccezionale. Il concerto del 16 dicembre al Laguna Libre è impreziosito da un workshop il giorno successivo, al Conservatorio Benedetto Marcello.
ENG A duo both on stage and in life, singer-songwriter Rebecca Martin and renowned jazz double bassist Larry Grenadier have been performing together for a quarter century. Martin’s sophisticated, expressive voice digs deep into the lyrics and pairs exceptionally well with her compositional sensitivity, accompanied by her husband’s fantastic, poetic double bass. Grenadier began playing the instrument at age ten, together with his older brothers. The three, performing as The Juveniles, played with Brad Mehldau, Joshua Redman, and Pat Metheny.
Larry Grenadier & Rebecca MartinVoglio essere salvato Alla Fenice il jazz mistico di Makhathini
Il visionario pianista, compositore e improvvisatore sudafricano Nduduzo Makhathini presenta In the Spirit of Ntu (Blue Note Records), il suo decimo album in studio, una musica originale nella sua arcana bellezza che riassume i principi di una poetica che è unione di mistica contemporaneità e tradizioni ancestrali. Figura centrale della vibrante scena jazz del proprio Paese, Makhathini ha riunito una band composta da alcuni dei giovani musicisti più interessanti del Sudafrica.
«Attraverso la musica noi evochiamo i nostri spiriti, ed è quello che cerco di fare anch’io quando suono e scrivo», ha dichiarato Makhathini, alfiere di un’espressività che supera i confini di genere per lasciare libero spazio all’ispirazione, da qualunque registro essa provenga e soprattutto qualunque esito produca, a livello sonoro quanto emotivo.
Nel concerto del 9 dicembre alla Fenice, data compresa nel palinsesto del Venezia Jazz Festival – Fall Edition, il pubblico si trova di fronte un jazz anticonvenzionale: il concetto di “Ntu” che compare nel titolo dell’album è legato a quello dell’Essere e soprattutto ad un’idea più estesa di “Unità dell’Essere”, in cui ogni individuo è in stretta comunione con la Natura e quindi parte integrante della realtà cosmica, in un sotterraneo legame.
Dieci tracce per un album che oltre alle influenze di Makhathini come John Coltrane, Bheki Mseleku, McCoy Tyner e Abdullah Ibrahim, affonda le sue radici culturali più fondamentali in uno spazio in cui i suoni del paesaggio sudafricano sono posti al centro dell’evoluzione sonora.
ENG The visionary South African composer, pianist, and improv musician Nduduzo Makhathini presents In the Spirit of Ntu, his tenth studio album. Original music of arcane beauty reflects the tenets of poetry that mixes modern mysticism and ancestral tradition. A key figure in the vibrant South African jazz scene, Makhathini has the best of the younger generation of his country’s musicians play with him. At the December 9 concert at Genice, part of the Venezia Jazz Festival – Fall Edition, we will find non-conventional jazz: the concept of Ntu refers to the Unity of Being, a mindset where every individual is communal with Nature and integral part of cosmic reality.
Nduduzo Makhathini 9 dicembre Sale Apollinee, Teatro La Fenice www.venetojazz.com
musica CONCERTI
Bryan d’annata Un’istituzione rock alla Zoppas Arena
«Sono grato di poter essere ancora qui a fare musica. Alla veneranda età di 62 anni forse sento anche di avere un po’ di più il controllo di quello che mi succede. Magari è naturale, invecchiando, sentirsi così. Forse perché adesso ho una famiglia, lavoro per una nuova etichetta, non lo so. C’è qualcosa che però rende lo scrivere la mia musica più semplice e divertente. Perché la scrittura non è una cosa che si può forzare, bisogna aspettare che arrivi un’ispirazione. Sono felice di essere ancora in pista e cavarmela piuttosto bene, nonostante tutte le difficoltà».
Parole di Bryan Adams, che pur avendo superato il ragguardevole traguardo di 40 anni di rock’n’roll non sembra davvero avere nessuna voglia di adagiarsi sugli allori: il suo So Happy It Hurts è uscito lo scorso 11 marzo per BMG, quindicesimo album di studio da lui stesso prodotto assieme a Mutt Lange, 12 tracce e 40 minuti circa di puro distillato rock in cui il cantautore canadese ha messo tanto di sé stesso e delle cose successe a lui e al mondo negli ultimi tre anni.
Il 5 dicembre, a Conegliano, Adams rinsalda un legame con il pubblico che in questi anni di privazioni non è mai venuto meno, anzi: un destino che lo lega all’Italia da sempre e che non ha fatto eccezione nemmeno in tempo di Covid, con una quarantena affrontata proprio a Milano nel novembre 2021, dopo aver scoperto appena atterrato in Italia di aver contratto il virus, per fortuna senza conseguenze gravi, grazie anche alle due dosi di vaccino a cui si era sottoposto.
Nato il 5 novembre 1959 a Kingston, in Ontario, muove i primi passi nel mondo musicale fin da giovanissimo. Membro degli Sweeney Todd, band di Vancouver con discreto successo in patria, si dedica poi alla carriera solista. Reckless del 1984 è il grande successo commerciale che gli regala la notorietà internazionale grazie a singoli come Run to You, Somebody, It’s only Love, Summer of ‘69 e soprattutto la ballata Heaven Dopo alcuni anni di collaborazioni con altri artisti, Adams ritorna nel 1991 con un altro successo, il singolo (Everything I Do) I Do It for You, colonna sonora del film Robin Hood – Principe dei ladri con Kevin Costner, Alan Rickman, Morgan Freeman, Mary Elizabeth Mastrantonio e Sean Connery. Fanno seguito altre importanti creazioni per il grande schermo come All for Love (1993) per I tre moschettieri, e Have You Really Loved a Woman (1995) per Don Juan De Marco con Johnny Depp, Marlon Brando e Faye Dunaway.
Bryan Adams 5 dicembre Zoppas Arena-Conegliano www.duepuntieventi.comUN PALCO NON BASTA
Candiani Groove il prossimo 11 dicembre, produce un suono contemporaneo ed elegante che unisce strumenti acustici ed elettronici, Moog, Fender Rhodes, glockenspiel, mbira e altri giocattoli. Una morbida ma sorprendente performance in cui le sofisticate armonie e il dramma lirico di David si intrecciano con la poliritmia di Lada, intessendo un racconto accattivante in cui una melodia di pianoforte infarcita di suoni digitali viene piacevolmente stravolta da una raffica di piatti, che ci portano via come trasportati da ali che ci innalzano nell’aria. Non siate sorpresi di vedere alcuni cavi sparsi sul palco. Pianoforte e batteria, ovviamente, ma anche Rhodes, sintetizzatori, loop, qualche effetto, un glockenspiel e una kalimba. Il tutto con due musicisti trentenni, ben ancorati al proprio tempo. La forza d’attacco di Obradovic è una delizia. È incisiva, precisa, nitida, groovy. Contrasta magnificamente con il tocco arrotondato di David Tixier, le cui armonie scorrevoli delineano lo spazio. Qua e là, a cavallo di un’improvvisazione scandita da un motivo ipnotico di un bass synth ben loopato, ascolteremo il fantasma di Bach. Il gioco è anche completamente visivo, diretto, lontano da ogni astrazione. Il duo si evolve con disinvoltura nel mezzo di strumenti che distribuiscono e padroneggiano con classe, l’effetto è gestito con sottigliezza, in modo ponderato. Il gruppo ha già al suo attivo tre uscite discografiche, tra il 2017 e il 2019, ed ha vinto dieci premi in pochi anni. Lada Obradovic lavora anche per una serie Netflix dedicata al jazz, mentre i video del gruppo postati su YouTube simboleggiano fedelmente la sua musica, con riprese multiple, in time-lapse, che rivelano l’arte delle loro composizioni originali.
Candiani Groove 11 dicembre Centro Culturale Candiani-Mestre www.venetojazz.com
musica
Sì, io mi ricordo
Un racconto è la storia un po’ particolare di un amore forsennato che si è poi, come quasi sempre accade, dissolto per colpa del tempo e dell’usura. Gli undici brani che compongono l’album in uscita il 9 dicembre ritraggono gli attori di questa storia dagli inizi sbalorditivi e poi virata, progressivamente, in una fatale e irrimediabile chiusura dei cuori. Le note di Giovanni Dell’Olivo rispecchiano il principio di quella vicenda amorosa, così come in qualche modo ne ricalcano i rimpianti. Esattamente come le quattro canzoni di Moreno Andreatta intersecano il racconto tra il prima e il poi, siglando con l’ultima traccia il suggello definitivo.
Alberto D’Este entra a descrivere i primi inceppi per poi dedicarsi all’atto conclusivo e, se vogliamo tirare in ballo l’antichità, anche la catarsi e il rinnovamento degli occhi, grazie al frutto di quell’amore così grande. Sua è anche l’orchestrazione e la direzione artistica di tutto il progetto, che lui stesso definisce “costellato di figli suoi”. Le parole le ha scritte Leonardo Mello, che ha vissuto quella tempesta straordinaria in prima persona.
Un racconto che si vorrebbe fosse universale, per coinvolgere nel riso o nel pianto anche tante persone sconosciute. Chissà se sarà possibile. Le voci che danno vita alla narrazione sono quelle intime e sublimi di Sandra Mangini e Maria Bergamo, protagoniste assolute dell’intero album, cui si aggiunge quella di Anna Ave a puntellare le diverse fasi del percorso. Altri amori si sono intrecciati in questo lungo girovagare tra parole e note, anche questi naturalmente si sono dissolti, come evaporati nell’aria. Ma il lascito, come una specie di sedimento, è tutto nelle pieghe di queste melodie parlate.
Favourite color La Kioene Arena si tinge di… rosso!
Una cosa è certa, Mick Hucknall non vede l’ora di tornare sul palco. Un pensiero condiviso e sottoscritto dallo stuolo di fan che hanno cerchiato in rosso la data fatidica: 15 dicembre 2022. «Ho passato gran parte della mia vita a cantare per la gente, quindi è stato strano non farlo – ha spiegato – Mi manca essere in grado di esprimermi. Sarà meravigliosamente stimolante quando le persone potranno andare a vedere di nuovo una band. Non vedo l’ora». Acclamata come una delle band dal vivo di maggior successo provenienti dall’Inghilterra, i Simply Red alla Kioene Arena di Padova regaleranno ai loro fan successi senza tempo, che hanno segnato la loro carriera stellare, come Holding Back The Years, Stars, Fairground e Money’s Too Tight To Mention.
Tra le portate principali del succulento menù di Zed Live imbastito per dicembre, i Simply Red tornano in Italia e anzi, già rilanciano diverse tappe del tour estivo 2023 nel nostro Paese, a testimonianza di un amore verso la nostra terra che supera i confini della musica, con il frontman Hucknall che negli anni passati ha preso casa in Sicilia e Toscana cimentandosi anche nelle vesti di produttore di vino.
«La programmazione di eventi internazionali – afferma Valeria Arzenton di Zed Live –, caratterizzati da procedure logistiche che coinvolgono realtà di tutto il mondo, ha un significato ancora più importante ed è un segnale concreto di ripartenza. Anche con le strutture chiuse non abbiamo mai smesso di lavorare e stiamo per annunciare nuovi importanti progetti».
Per i Simply Red si tratta di un grande ritorno dopo il successo del 2016 a Piazzola sul Brenta, per una band amatissima sul territorio. La band vanta 27 album (tra studio, live e raccolte) e in 25 anni di carriera ha venduto oltre 55 milioni di dischi, a dimostrazione di un’ispirazione che ha saputo sempre alimentarsi e trasformarsi, facendo i conti con i cambiamenti rivoluzionari che hanno investito l’universo musicale attraverso le epoche.
L’ultimo album, Blue Eyed Soul del 2019 è stato definito dalla stampa italiana «un godibile viaggio musicale di 35 minuti da ascoltare dall’inizio alla fine, senza neanche un brano da ‘skippare’: sicuramente uno dei loro lavori più riusciti degli ultimi vent’anni». Dieci tracce confezionate con la produzione di Andy Wright di puro omaggio al funk e al soul, per il dodicesimo album in studio della band britannica, capace negli anni di mantenere quasi inalterata la propria formazione, altro tratto non comune nella storia della musica. «Volevo spingere un po’ più in là la mia voce – spiegava Hucknall – sfidarla un po’. Avrei potuto fare uno di quegli album oscuri e riflessivi che ripercorrono la mia vita e tutto quel genere di cose che le persone tendono a fare ad una certa età. Ma volevo fare qualcosa di incisivo. Ho voglia di divertirmi!».
Simply Red 15 dicembre Kioene Arena-Padova www.zedlive.comLe estati di Jack Savoretti e il suo album familiare
Concepito lo scorso anno nella sua casa nell’Oxfordshire in un clima di ritrovata unità familiare a causa del lockdown, Europiana di Jack Savoretti ricorda nei temi e nei suoni le estati da adolescente trascorse nella riviera ligure negli anni ‘80 e ’90, dopo che con il padre genovese e la mamma tedesca si era trasferito in Inghilterra negli anni ‘70, trascorrendo però tutte le estati tra spiagge e caruggi.
Un legame, quello con le radici paterne, che il cantautore sente scorrere forte nelle vene e che non perde occasione di rievocare nei propri lavori, dinamica a cui l’ultimo album di sicuro non si sottrae.
Il 5 dicembre Savoretti arriva al Gran Teatro Geox di Padova per una tappa del tour che proprio dall’album prende il nome: Europiana guarda alla propria infanzia, ai ricordi felici legati a una terra magica e lo fa fin dalla copertina, su cui campeggia una foto scattata a Portofino, luogo in cui Jack ha trascorso moltissime estati da bambino, formando un bagaglio di ricordi fatto di immagini vivide, bene impresse nella memoria del cantautore. «Per me Europiana è un album particolare – confessa Savoretti – perché è un album che non avrei realizzato se non ci fossero stati questi ultimi due anni, perché non mi sarei trovato chiuso qui in casa, come tutti, senza la possibilità di viaggiare e di dare ai miei figli la possibilità di vivere l’esperienza delle vacanze al mare, per tutto quello che significa per un europeo l’estate: il viaggio d’estate, l’esperienza del tuo primo amore, il tuo primo bacio, la prima volta che vai in motorino da solo, provare il tuo primo gusto di libertà. Io volevo fare un album che desse una colonna sonora a tutte le nostalgie che ho, proprio di quelle esperienze che in questi anni non ho potuto vivere e far vivere ai miei figli». Centrale nei testi l’elemento della famiglia (passata e presente) e del suo inestimabile valore, riscoperto una volta in più da Jack proprio nel periodo di pausa dopo i due anni più intensi della sua carriera. Un concetto che l’ascoltatore può ritrovare nella decisione di far registrare i cori di ben tre brani alla moglie e ai figli, che hanno preso così attivamente parte all’album, arrangiato dal violinista e grande amico Phil Granell. La produzione è stata affidata al celebre produttore Cam Blackwood, che aveva già lavorato alla realizzazione di Singing to Strangers
BACK TO THE ROOTS
È un traguardo importante quello che Rasta Snob taglia nel 2023: la gazzetta ufficiale della musica reggae in Italia compie 35 anni e festeggia con l’uscita del libro Rasta Snob. Storia del reggae in Italia, pubblicato da Officina di Hank, in vendita da dicembre in tutte le librerie e negli store online. Fondata nel 1988 da Steve Giant (nome d’arte di Stefano Garzara), reggae ambassador e figura di riferimento per la musica in levare in Italia, Rasta Snob non è solo un magazine unico nel suo genere, ma un vero ‘movimento’ che, grazie a un instancabile lavoro di promozione e organizzazione di eventi, ha portato a esibirsi nel Nordest e in tutta Italia alcuni dei maggiori esponenti della scena jamaicana, ma anche artisti emergenti che abbiamo avuto il privilegio di scoprire e veder crescere fino a conquistare la ribalta internazionale. Nel volume con prefazione di Alborosie, il giornalista e musicista Andrea Manzo ha raccolto in oltre duecento pagine storie, aneddoti, curiosità e testimonianze di chi ha vissuto con impegno e passione la musica in levare nel nostro paese. Il viaggio di Steve parte dagli albori del reggae in Italia, seguendo la carriera del fratello cantante King I-Roll con i gruppi veneziani come Puff Bong e Pitura Freska, per poi attraversare le decine, centinaia, di concerti e festival organizzati in oltre trent’anni, da Yellow Man a Steel Pulse, da Ziggy Marley al Marghereggae, passando dal Rototom Reggae Sunsplash ai programmi radiofonici condotti su Radio Base.
Da non perdere il book launch party il 15 dicembre dalle 17 al Bacarando in Corte dell’Orso, a due passi da Rialto: firmacopie, buffet jamaicano, ospiti speciali e tante, ma proprio tante positive vibrations ! Chiara Sciascia
classica
SENZA FRETTA, SENZA TREGUA
Nella Stagione della Fenice si deve
poter trovare tutto: il Seicento, il Settecento, l’Ottocento, il Novecento e la musica contemporanea. Alla Fenice spetta il compito di “fare la Fenice”, mantenendo uno standard produttivo e qualitativo di massimo livello
ldi Andrea Oddone MartinIl programma concertistico del Gran Teatro La Fenice conclude l’anno in corso con la direzione di Myung-Whun Chung, Asher Fish, Charles Dutoit. Il direttore sudcoreano, un amico affezionato de La Fenice, interpreta il 3 dicembre con l’Orchestra e Coro del Teatro il Vesperae Solenne de Confessore K. 339 di Mozart. Una delle più significative composizioni sacre che Mozart, ventiquattrenne all’epoca, scrive a Salisburgo. Probabilmente riferita a San Giuseppe, il misterioso Confessore, si presenta in tutta la sua imponenza e dottrina compositiva. L’organico impiegato è composito ed articolato da un contrappunto che, lungi da impaludarne gli effetti, dona alla musica una vitalità imponente, un incanto sonoro. Nel secondo tempo del concerto, la tonalità sale di mezzo tono e passa dal Do maggiore del Vesperae Solenne de Confessore al Do diesis della Trauermarsch posta all’inizio della Quinta Sinfonia di Gustav Mahler. Composta tra il 1901 e il 1903, fu il primo lavoro scritto nel famoso capanno nel bosco sul Wörthersee, in Carinzia.
Il 10 e 11 dicembre, oltre a dirigere l’Orchestra Asher Fish è al pianoforte per il Concerto per pianoforte e orchestra
KV 491 di Mozart, un concerto dai toni rassegnati ma sapienti, stimato da Franz Liszt e da Johannes Brahms. Infatti, al concerto di Mozart seguirà la seconda sinfonia proprio di Brahms. Lo stesso autore definì la sinfonia “gaia ed amabile” e, in effetti, il suo tono è luminoso, accattivante, seducente e comunicativo. La caratteristica sensibilità musicale d’Oltralpe definisce il
programma del concerto del 17 dicembre. Charles Dutoit guida l’Orchestra del teatro in un viaggio musicale tutto francese. Gabriel Fauré apre con la foresta misteriosa della suite Pelléas et Melisande, tragedia dai toni delicati e cameristici. Seguono i Nocturnes di Claude Debussy, tre episodi orchestrali dalle tinte pastello. Nuvole di suono iridescente e cangiante, il suono del mare amato dal compositore. Nocturne s’intitola anche il primo movimento della Suite n. 1 Daphnis et Chloé di Maurice Ravel. Composta per i Ballets russes di Sergej Djagilev, non sortì le soddisfazioni che invece raccolse quando fu eseguita in concerto, e divenne così una delle pagine più popolari della musica del primo Novecento. A seguire il “poema coreografico per orchestra” La Valse. Un esperto mondiale della musica barocca inaugura l’anno nuovo, Ton Koopman dirige l’Orchestra de La Fenice nel concerto del 7 gennaio 2023. Apre la Suite per orchestra n. 4 BWV 1069 di Joahnn Sebastian Bach, ultima composizione di quattro che il Maister scrisse per l’intrattenimento del principe e della corte di Köthen, dove risiedeva in quel periodo, fu dimenticata assieme alle sue ‘sorelle’ all’indomani della morte del compositore, venendo poi ritrovate da Felix Mendelssohn Bartholdy. Dopo l’intermezzo della sinfonia La Poule di Franz Joseph Haydn, è proprio Mendelssohn a chiudere il concerto con la Sinfonia n. 5, denominata Riforma
Stagione Sinfonica 2022-2023 3, 4, 10, 11, 17 dicembre; 7 gennaio 2023 Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
The concert
programme at the Fenice Theatre will accompany us to the end of 2022 with beautiful productions, such as Mozart’s Vesperae Solenne de Confessore K. 339 on December 3, conducted by Myung-Whun Chun. The Vesperae are one of the most meaningful products of Mozart’s mind, who wrote them in Salzburg at age twenty-four. The mysterious confessor is probably Saint Joseph, and the composition is grandiose and imposing. It is laid out in a composite, articulated counterpoint that, far from dragging down its power, gives it vitality and enchantment. The concert’s second act is raised by a semitone, from the C major of the Vesperae Solenne de Confessore to the C# of the Trauermarsch that initiates Gustav Mahler’s Fifth Symphony. Composed between 1901 and 1903, it is the first piece of music that Mahler authored in his cabin by Lake Wörthersee, in Carinthia.
On December 10 and 11, Asher Fish will both conduct the Orchestra and perform at the piano in a rendition of Mozart’s concert KV491 – a composition of resigned, somewhat wise tones, loved by Franz Liszt and Johannes Brahms. In fact, Mozart’s piece will be followed by Brahm’s Second Symphony. The same author described the symphony as “jolly and amiable” and its tone really is luminous, charming, captivating, and highly communicating.
French musical sensitivity defines the programme for December 17. Charles Dutoit guides the Fenice Orchestra in an all-French musical voyage. Gabriel Fauré opens with the mysterious piece Pelléas et Melisande, a tragedy of delicate, chamber-like tones. Claude Debussy’s Nocturnes will follow –three soft, pastel-like orchestral episodes. Nocturne is also the first movement of Maurice Ravel’s first movement from his Suite no. 1 Daphnis et Chloé. Composed for Sergey Dyagilev’s Ballets russes, it didn’t meet quite the same success then as it did as a concert piece, to later become one of the most beloved musical pieces of the early 1900s.
A world-renowned expert on Baroque music will open the new year: Ton Koopman will conduct the Fenice Orchestra on January 7, 2023 in their performance of Bach’s Orchestra suite no. 4 BWV 1069, the last piece Bach wrote for the court of Köthen, where he resided at the time. Following: Haydn’s La Poule and Mendelssohn’s fifth.
classical
CONCERTI
Nuove conferme
A Lucia Ronchetti, direttrice della Biennale Musica, è stato attribuito il Louis Spohr Musikpreis 2022 come “personalità artistica fra le più interessanti e impegnate tra i compositori contemporanei” e per la sua vasta opera “caratterizzata allo stesso tempo da un alto livello di riflessione intellettuale, grande originalità e un sintetico potere di immaginazione ed espressione”. Istituito per la prima volta dalla città tedesca di Braunschweig nel 1953, il prestigioso riconoscimento è stato attribuito in passato a compositori come Hans Werner Henze (1976), Olivier Messiaen (1991), Sofija Gubajdulina (1994), Salvatore Sciarrino (2007) e Adriana Hölszky (2019).
Nata a Roma nel 1963, Lucia Ronchetti ha studiato Composizione e Musica elettronica al Conservatorio Santa Cecilia di Roma e si è laureata in Storia della Musica all’Università La Sapienza di Roma. A Parigi, a partire dal 1994, ha studiato con Gérard Grisey, seguito il Corso annuale dell’IRCAM e discusso una tesi di dottorato in Musicologia all’École Pratique des Hautes Études en Sorbonne, sotto la direzione del Prof. François Lesure. Nel 2005 è stata Visiting Scholar (Fulbright fellow) alla Columbia University di New York, su invito di Tristan Murail.
Nel 2020-21 Lucia Ronchetti è docente di composizione ai Ferienkurse di Darmstadt e Professore di composizione invitato presso la Hochschule für Musik und Darstellende Kunst Frankfurt, attualmente in residenza al Wissenschaftskolleg di Berlino per il 2022/2023, quarta compositrice italiana a essere invitata nella storia dell’istituzione dopo Luigi Nono, Luca Lombardi e Marco Stroppa.
Oggetti di studio
La diciottesima edizione di Ex Novo Musica, iniziata a ottobre e sempre ospitata dalle Sale Apollinee della Fenice e dalla Sala concerti del Conservatorio Benedetto Marcello, si chiude con due appuntamenti a dicembre dal repertorio a forti tinte contemporanee, impreziosite da prime assolute che si fanno imperdibili occasioni d’ascolto.
Jean-Jacques Rousseau, famoso per il suo interesse per l’educazione infantile, è indiretto protagonista del concerto del 5 dicembre, intitolato Ripensare l’infanzia : impone agli adulti il rispetto per la natura spontanea, intoccabile e capace di costruirsi il migliore dei modi di vivere in quella “completezza degli istinti” che conservano la vera natura dell’uomo.
Nella storia della musica moltissimi sono stati i compositori che si sono riferiti alla purezza del mondo infantile, in molte diverse declinazioni. Solo nel programma di questa serata troviamo almeno tre di queste modalità. Nei brani di Kurtág si guarda alla scoperta del suonare come ad un gioco, senza trascurarne la potente fisicità.
I lavori di Rota e Busoni, scritti in un vocabolario della reminiscenza, inseguono i tortuosi percorsi della memoria umana. Giovanni Mancuso analizza il gioco come straordinario processo creativo in una prima esecuzione assoluta, fenomeno complesso, straordinaria sintesi di azione fisica e pensiero astratto, il brano di Solbiati (anche questo al debutto) muove dall’ambito del Mikrokosmos bartókiano (raccolta di 153 brani di difficoltà progressiva destinati allo studio dello strumento) inseguendo con grande potenza immaginativa l’idea platonica della capacità della musica di orientare lo sviluppo della personalità.
Il 20 dicembre appuntamento con il concerto Creazione di spazi acustici : terra, acqua, piante, sono alcuni soggetti di questo concerto in cui l’elettronica diventa una sorta di lente di ingrandimento per esplorare questi elementi della natura che, ascoltati da vicino, possono evocare fantasie, emozioni, ricordi e sensazioni talvolta imprevedibili. Diversi invece sono i materiali sonori dei Detriti di Filippo Perocco che si confrontano con quelli dell’ensemble: vibrazioni primordiali costruite elettronicamente con suoni puri sinusoidali, che si distendono modulati con leggeri battimenti instabili oppure scossi da fremiti granulari che si polarizzano in zone frequenziali risonanti anche estreme nel registro acuto.
Study
objects
ENG
The eighteenth edition of the Ex Novo Musica programme will end with two concerts, which will include world premieres. The indirect protagonist of the December 5 concert is famed pedagogue Jean-Jacques Rousseau: Ripensare l’infanzia (the concert’s title, lit. ‘re-thinking childhood’) will remind adults of the respect the truly spontaneous, untouchable nature of man deserves. Throughout the history of music, many composers took inspiration from the pure world of childhood. The upcoming concert shows at least three: in Kurtág’s music, we will look at the discovery of music as a game, never disregarding its powerful physical element. Rota’s and Busoni’s music, written with the words of remembrance, follow the meandering paths of human memory. Giovanni Mancuso analyses play as an amazing creative process as a complex phenomenon, an extraordinary synthesis of physical action and abstract thought. On December 20, electronic music programme Creazione di spazi acustici will magnify natural elements that, if listened to closely, will evoke fantasy, emotion, memories, and unpredictable feelings.
Ex Novo Musica 2022 5, 20 dicembre Teatro La Fenice www.exnovoensemble.it
Un timbro, nel tempo
Acclamato e riconosciuto nel contesto cameristico internazionale come “uno fra i pochissimi degni di coprire il ruolo dei grandi quartetti del passato”, il 10 dicembre il Quartetto di Venezia sonda l’intima bellezza delle composizioni per questa formazione cameristica con tre composizioni che riflettono altrettanti diversi momenti della produzione per quartetto: il Quartetto in sol maggiore op. 52 n. 3 di Luigi Boccherini, il Quartetto per archi n. 7 di Gian Francesco Malipiero e il Quartetto per archi in mi minore di Giuseppe Verdi. Un concerto dal programma insolito: da un omaggio alla grande letteratura quartettistica alla scoperta di lavori meno noti e unici. Il Quartetto di Venezia, formazione in residenza alla Fondazione Giorgio Cini dal 2017, torna con il quarto appuntamento in cartellone per la Stagione dei concerti 2022 di Asolo Musica all’Auditorium Lo Squero di Venezia. Sabato 17 dicembre il concerto di chiusura dell’anno ospita Mario Brunello al violoncello piccolo con la terza e ultima parte dell’integrale delle Sonate e Partite per violino solo di Johann Sebastian Bach. Mario Brunello in tutti e tre i concerti ha suonato uno strumento molto particolare che attirò la creatività di Bach: il “violoncello piccolo”, copia esatta di un Amati di inizio Seicento, il cui suono ricorda il timbro penetrante del controtenore. Si chiude così un percorso di tredici appuntamenti, con la direzione artistica di Federico Pupo, iniziato proprio con Mario Brunello il 4 giugno e che ha visto succedersi grandi interpreti della musica classica e del jazz, tra concerti solistici e di musica da camera. ENG Acclaimed and renowned in the international chamber music circles as “one of the few that compares to the great quartets of the past”, the Quartetto di Venezia will sound the intimate beauty of chamber music with compositions that reflect the several historical periods of chamber music on December 10. The programme includes Boccherini’s 52 no. 3, Malipiero’s no. 7, and Verdi’s string quartet in E minor. On December 17, the end-of-season concert will see Mario Brunello at the violoncello da spalla in a performance of Bach’s sonatas and partitas for solo violin. In all three concerts, Mario Brunello plays a very peculiar instrument that once fuelled Bach’s creativity: his cello da spalla (braced against the shoulder) is a copy of an early-1600s Amati instrument, whose sound reminds very strongly of a penetrating countertenor timbre.
Stagione 2022
10, 17 dicembre Auditorium Lo Squero, Isola di San Giorgio www.asolomusica.com
Questione di imprinting
Il duo Ettore Pagano, violoncello, e Maya Oganyan, pianoforte, nasce da un’intuizione del direttore artistico Mario Brunello. Ettore Pagano, nato a Roma nel 2003, ha ottenuto primi premi in una quarantina di concorsi nazionali e internazionali tra i quali spiccano il Concorso Internazionale Khachaturian di Yerevan (Armenia) 2022 e il Concorso Internazionale Johannes Brahms (Austria) 2020. Maya Oganyan, nata a Mosca nel 2005 da genitori armeni, ha iniziato gli studi pianistici all’età di 4 anni e dal 2011 vive e studia a Venezia. Attualmente prosegue i suoi studi sotto la guida di Roberto Prosseda all’Accademia di Prato. Già vincitrice di concorsi nazionali e internazionali, ha debuttato al Teatro Toniolo a ottobre 2021, in uno dei suoi primissimi concerti con orchestra. Li troviamo insieme al Toniolo il 20 dicembre, con un repertorio che comprende Grieg, Castelnuovo e Franck, rispettivamente con Sonata in la minore op.36 per violoncello e pianoforte, Toccata op.83 per violoncello e pianoforte e Sonata in la maggiore per violoncello e pianoforte Esposizione musicale e cultura mitteleuropea: il protagonista del concerto del 14 gennaio Alexander Gadjiev deve la prima alla sua famiglia, con madre e padre entrambi didatti e musicisti, e la seconda a Gorizia – sua città d’origine – naturale crocevia di popoli, culture, lingue. Fattori che hanno entrambi avuto un’influenza determinante sulla sua naturale capacità di assorbire, elaborare e rivisitare con gusto proprio stili e linguaggi musicali diversi, come testimoniano i brani di Chopin, Schumann e Debussy proposti al pubblico di Mestre.
ENG Cellist Ettore Pagano and pianist Maya Oganyan pair as a musical duo thanks to art director Mario Brunello. Pagano, born in Rome in 2003, has already won some forty awards in national and international competitions, such as the Khachaturian in Armenia and the Brahms in Austria. Maya Oganyan, born in Moscow in 2005 from Armenian parents, began studying the piano at age four and has been living in Venice since 2011. We will see the two together at the Toniolo Theatre on December 20, playing a repertoire of Grieg, Castelnuovo, and Franck. Musical upbringing and Middle-European culture: the protagonist of the January 14 concert, Alexander Gadjiev, owes his family the former, with both parents being musicians and teachers, and his hometown of Gorizia the latter, with it being a crossroads of peoples, cultures languages. Gadjiev will play Chopin, Schumann, and Debussy.
Stagione 2022-2023 20 dicembre; 14 gennaio 2023 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
classical CONCERTI
Il musicista civile Al Malibran il genio di Maderna
La settima stagione concertistica di Musikàmera al Teatro La Fenice si svolgerà dal 15 gennaio al 13 novembre 2023, costituita da due concerti in Sala Grande, uno al Teatro Malibran, dodici in doppio turno alle Sale Apollinee più altri nove in data singola, sempre alle Sale Apollinee. In totale sono programmati 36 concerti articolati in 24 differenti programmi e con interpreti di selezionatissimo livello artistico, pensati per esplorare il grande repertorio strumentale e vocale da camera dal Seicento al Novecento.
La Fondazione Teatro La Fenice produce un nuovo allestimento dell’opera Satyricon di Bruno Maderna, previsto il debutto in scena al Teatro Malibran il 25 gennaio 2023 e la continuazione in replica fino al 29. Curiosamente, il 27 gennaio ricorre il compleanno di Wolfgang Amadeus Mozart. Sono molti gli aspetti che accomunano Mozart e Maderna: entrambi enfant prodige, entrambi dotati contemporaneamente di una mente geniale, di un talento strepitoso e di una profonda umanità, entrambi scomparsi prematuramente, entrambi dimenticati dalla società (si dice che Mozart fosse stato tumulato in una fossa comune; Maderna, in un Paese fortemente condizionato dall’ideologia politica in tutte le sue fibre, fu semplicemente rimosso dalla memoria). Se ripercorriamo la via artistica di Maderna (a prescindere dal suo indefesso impegno nella direzione d’orchestra) ci accorgiamo che fu presente in tutti i passaggi chiave del pensiero musicale della ricostruzione, del rinnovamento, del distacco dalla vergognosa storia del primo Novecento che ha condotto all’ecatombe disumana. Il suo fondamentale ruolo nella prima Scuola di Darmstadt, che tanta importanza ebbe all’epoca nella confluenza del pensiero musicale internazionale, il suo impegno nella costruzione di linguaggi diversi e prospettive musicali inedite, sempre sostenuto da una profonda cognizione storica, lo studio di fonologia di Milano con Luciano Berio, l’elettronica, l’alea e la fiducia nella composizione seriale di derivazione dodecafonica in sostituzione del linguaggio tonale. La presenza di Bruno Maderna, fatta di immediatezza d’approccio, visione futura e consapevolezza culturale e storica, fu generosa. Senza peraltro rinunciare ai fondamenti di dottrina e scienza musicali, di cui Maderna era facoltoso portatore. Il costrutto della sua creatività musicale emerge in questo breve stralcio dal lascito epistolare:«[…] il principio seriale resta il principio fondamentale della musica attuale. È il solo a sostituirsi in modo fermamente convincente al principio tonale. È il solo capace di realizzare una sintesi linguistica completa. E noi lo manipoliamo con tanta naturalezza e libertà, e lo viviamo con così tanta forza come i Fiamminghi vivevano i loro propri principi d’espressione». Satyricon chiude la vicenda artistica di Maderna, e denuncia del Maestro la lucidità, la coscienza della ricorrente, ciclica e ineluttabile fase apocalittica nella storia delle civiltà umane, una profondità degna di tradizioni culturali sacre. Andrea Oddone Martin
Satyricon
25-29 gennaio 2023 Teatro Malibran www.teatrolafenice.it
Il 15 gennaio apre la stagione il romano Quartetto EOS, impegnato con Davide Alogna ed Enrico Pace nel raro Concerto per violino, pianoforte e quartetto di Chausson : tra i pezzi più lodati ed eseguiti del compositore francese, fu composto tra il 1889 e il 1891 e si fa rivelatore di un gusto elegante e raffinato, aperto ai richiami della tradizione francese e non estraneo all’influenza del cromatismo wagneriano.
«Temi e idee che guidano la programmazione artistica – spiega il direttore artistico Vitale Fano – sono in parte prosecuzione di progetti intrapresi negli anni precedenti. Confermata la presenza della sezione dedicata al Novecento storico italiano, organizzata in collaborazione con l’Archivio Musicale Guido Alberto Fano Onlus, con l’esecuzione di composizioni di Giuseppe Martucci, Ottorino Respighi, Gian Francesco Malipiero, Mario Pilati e Guido Alberto Fano; ricorderemo sia il centocinquantenario della nascita di Rachmaninov che il cinquantenario della morte di Malipiero».
Musikàmera 15 gennaio 2023 Sale Apollinee, Teatro La Fenice www.musikamera.org
eatro
BENVENUTI NELLA MIA CASA
Sono necessarie forme nuove. Nuove forme sono necessarie e, se queste mancano, allora è meglio che niente sia necessario
Alla Casa dei Tre Oci Irina Brook apre le porte di House of Us al pubblico e lo accoglie nel suo mondo personale. Le nove stanze allestite per la performance sono piene di oggetti e arredi provenienti dalla sua vera casa. La regista e il gruppo di allievi dell’Accademia teatrale “Carlo Goldoni” renderanno vivi gli spazi muovendosi come ombre di un sogno. Il pubblico è invitato a entrare per leggere le pagine di un diario intimo fatto di luci, suoni e oggetti, e per esplorare questa casa-metafora dedicata alla figura della madre, l’attrice inglese Natasha Parry, morta nel 2015 dopo aver vissuto gran parte della sua vita professionale all’ombra del marito, il grande drammaturgo Peter Brook, padre di Irina. La performance a Venezia, prodotta dal Teatro Stabile del Veneto, è la terza rappresentazione del progetto, dopo un primo nucleo che aveva preso la forma di un’esposizione allestita presso una galleria di Hastings in Inghilterra, dove la regista vive, e dopo una versione andata in scena nel settembre del 2021 a Palermo per il Teatro Biondo. In concomitanza con House of Us, alcune opere di Irina Brook ispirate alle ombre, uno dei temi centrali della performance, saranno inoltre esposte nell’Event Pavilion di Fondaco dei Tedeschi.
L’abbiamo incontrata ai Tre Oci durante le prove, a pochi giorni dalla prima di House of Us – The Mother
Hastings, Palermo, Venezia. Quali le differenze e quali invece i punti in comune tra le diverse esperienze?
Sono molto grata al Teatro Biondo di Palermo e in particolare alla sua direttrice Pamela Villarese per avermi da subito dimostrato sostegno, amicizia e fiducia. Le riconosco un grande coraggio nell’aver accettato un progetto che ancora non era ben chiaro nemmeno a me, un progetto sperimentale molto lontano dai canoni del teatro tradizionale. Rispetto a quello veneziano, l’allestimento di Palazzo Sant’Elia a Palermo era molto più semplice e minimalista, per il solo motivo che ancora non disponevamo di abbastanza fondi. Un’altra differenza è nell’approccio con il pubblico, libero di muoversi senza molte indicazioni a Venezia, guidato lungo tutto il percorso a Palermo. L’emozione è stata fortissima: era la prima volta che parlavo pubblicamente di mia madre, un’esperienza molto intensa che ho affrontato cercando di rendermi invisibile, quasi assente. Ma anch’io sono una madre e ho capito che per essere davvero autentica non potevo più nascondere me stessa: accanto alla storia di mia madre dovevo raccontare anche la mia storia di madre, e insieme alla mia storia di madre avrei raccontato la storia di tutte le madri.
Il nucleo originario di House of Us risale però ad un’esperienza precedente, ad una mostra realizzata negli spazi espositivi di Electro Studios di Hastings in Inghilterra, dove vivo. Anche in quel caso avevo trasferito oggetti e arredi personali per ricreare la mia casa, un lavoro immenso per tre soli giorni di esposizione. Un esperimento alquanto dispendioso in termini di energia. Sentivo però che mancava qualcosa. Mancava il teatro, la narrazione condivisa con il pubblico. Ed è così che è nata l’idea della performance.
At Casa dei Tre Oci, Irina Brook opens the doors of House of Us to welcome the public into her personal world. The nine halls that house the performance have been furnished with items coming from Brook’s actual home. The director, aided by students from the Carlo Goldoni Theatre Academy, will turn the place alive, moving about like shadows in a dream. We will be invited to enter the house/metaphor dedicated to the figure of Brook’s mother, English actress Natasha Parry, who died in 2015 after living through much of her life in the shadow of her husband, the great playwright Peter Brook. The performance in Venice will be produced by Teatro Stabile del Veneto and is the third such version of the project, after a first iteration at a gallery in Hastings, England, where Irina Brook lives, and a September 2021 representation at Palazzo Sant’Elia in Palermo, Sicily, in collaboration with the Biondo Theatre.
Hastings, Palermo, and Venice. What differences, and what points in common?
I am very grateful to the Biondo Theatre, and to director Pamela Villarese in particular, for their support, their friendship, and their trust. I recognize Pamela’s courage in accepting a project that wasn’t that clear to myself in the first place, an experimental project that had little in common with traditional theatre. The staging of the show at Palazzo Sant’Elia in Palermo was simpler and more minimalist than that in Venice – if anything, because there was smaller funding. Another difference is the relationship with the public, who will be free to roam around as they please in Venice, but were guided along an itinerary in Palermo. It was pretty emotional: it was the first time I spoke openly about my mother, and it was an intense experience that I prepared for by turning myself invisible, almost absent. Being a mother myself, I then understood that authenticity requires no more hiding. Beside the story of my mother, I had to tell the story of myself as a mother, and doing that, I could tell the story of all mothers.
The original core of House of Us dates back to an earlier experience, though, an exhibition produced at Electro Studios in Hastings, where I live. In that case, I also used personal belongings to recreate my home. It was immense work for a mere three days of exhibition. Quite an energy-intensive experiment. Still, I felt something was missing. Theatre was missing, a narration that is shared with your audience. That’s why I thought about making a performance out of it.
Nine halls over two storeys. How will the audience walk around it during the performance?
All furniture and objects come from my actual house: the kitchen table, cups, photographs, games, books, newspapers… it was like relocating in a very short time. We had to design the space and the staging, lights and sounds, and lastly, I had to think about how we’d move about the exhibition area. At times, especially at night, I feel I have it all under control. I feel confident that I will be able to direct very effectively spaces, sounds, lights, movements. But in this imaginary reconstruction, one thing is missing: the audience. To begin with, I don’t know whether I will have an
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HOUSE OF USCosa succederà alla Casa dei Tre Oci?
Questo è un progetto in cui niente segue un piano preciso; niente di quello che succederà qui è stato pensato con troppa precisione. Un aspetto che non avevo previsto, ad esempio, è l’effetto che fa ‘sentire’ i suoni provenienti dalle diverse stanze mentre i ragazzi dell’Accademia “Carlo Goldoni”, che insieme a me stanno dando vita a House of Us, finiscono di allestire e provare: il rumore proveniente dalla camera dei bambini, che prende spunto dal mondo pieno di immaginazione e fantasia di Peter Pan, lo strimpellare di musica elettronica dalla stanza dei ragazzi, la voce di Geoffrey Carey, che rappresenta il teatro e la saggezza del mondo tradizionale… Come una madre nella sua casa io mi muovo dalla cucina, la stanza della Madre per eccellenza, attraversando i diversi ambienti.
Nove stanze distribuite su due piani. Come si muoverà il pubblico durante la performance?
Non riesco ancora a immaginare cosa succederà con il pubblico. Allestire questi spazi è stato un lavoro molto complesso, come mettere insieme i pezzi di un enorme puzzle. Tutti gli arredi provengono dalla mia vera casa, il tavolo della cucina, le tazze, le fotografie, i giochi, i libri, i giornali… È stato come fare un vero trasloco in pochissimo tempo. Andavano inoltre ideati gli spazi espositivi e l’allestimento delle luci e dei suoni. Oltre a questo ho dovuto pensare a come ci muoveremo durante la performance. Non potendo essere in nove stanze contemporaneamente dovrò naturalmente capire come spostarmi insieme al pubblico e come far interagire gli spettatori con gli attori. In certi momenti, di notte, mi sembra di avere l’intero processo sotto controllo, mi sembra di poter dirigere molto lucidamente gli spazi, le luci, i suoni, gli spostamenti. Ma in questa mia ricostruzione virtuale manca sempre un elemento: il pubblico. Non so se ci saranno due o venti o trenta persone, tanto per cominciare. È un esercizio immaginativo folle. Posso ad esempio dire agli attori: quando entrano offri loro un prosecco, invitali ad accomodarsi, cose di questo genere, ma senza il pubblico vero è difficile immaginare lo step successivo. Cosa succederà dopo? Questo non vuol dire che tutto sarà improvvisato, tutt’altro. Ma è un po’ come nella vita vera: anche se prepari una festa nei minimi dettagli, non puoi comunque sapere come si comporteranno gli invitati. Sai solo di avercela messa tutta, di averci messo tutto il cuore e tutta la bellezza che potevi. Il resto non è prevedibile.
Pensa di fornire delle ‘istruzioni’ agli spettatori o potranno muoversi liberamente?
Non so ancora se saranno protagonisti o solo spettatori della performance. Può succede qualsiasi cosa perché è un teatro libero, molto lontano dalle formule tradizionali. Il mio approccio sperimentale non è però mai fine a sé stesso, ha sempre lo scopo di creare un momento di piacere e di interesse in chi partecipa. Tutto ciò che ho fatto in trent’anni di teatro l’ho fatto per il pubblico e per gli attori. House of Us è un esperimento forse più coraggioso e imprevedibile dei miei precedenti, ma l’attitudine rimane la stessa. In questo caso credo che qualche piccola indicazione sia tuttavia necessaria. Ho pensato perciò di accogliere il pubblico all’arrivo per dare qualche informazione pratica sugli spazi, in modo che possano gestire al meglio il tempo a disposizione, senza soffermarsi troppo in una stanza correndo il rischio di non riuscire a percorrerle tutte. Durante la
performance invece non parleremo molto con il pubblico perché ciò che può veramente rendere questa esperienza magica è il trovarsi immersi in una situazione onirica. Come succede ai protagonisti de La rosa purpurea del Cairo di Woody Allen quando oltrepassano il confine tra realtà e finzione, allo stesso modo il pubblico di House of Us incontrerà ombre e spiriti, entrerà nel sogno di qualcun altro.
Attraverso i molti oggetti presenti lei racconta la sua vita come in una sorta di biografia. Se dovesse sceglierne due in particolare quali sarebbero? Direi innanzitutto il tavolo della cucina. Quando avevo 16 anni rimasi affascinata da una foto che ritraeva C ˇ echov seduto ad un tavolo in una dacia insieme agli attori che avrebbero poi portato in scena la prima de Il gabbiano. Da allora per me il tavolo è diventato un simbolo di condivisione e di creatività. Il secondo oggetto è l’asciugatrice. Quando sono a casa passo il tempo a piegare i vestiti delle mie figlie. Piegare vestiti assomiglia alla vita, è un lavoro continuo. Appena pensi di aver finito e di aver piegato per bene tutti i vestiti, devi ricominciare da capo.
Come è stato lavorare con gli studenti dell’Accademia?
House of Us parla del trascorrere del tempo, di rapporti tra generazioni, di famiglia. Gli studenti sono una parte fondamentale del progetto e tutto quello che faccio è per loro. Io stessa sono stata un’attrice nella prima parte della mia carriera, ma ciò non mi rendeva felice. Ho trovato la mia vera strada solo con la regia. E proprio perché conosco quanto possa essere difficile e doloroso il lavoro recitativo, cerco di far sì che per loro sia invece un’esperienza positiva. Abbiamo passato dei bellissimi momenti insieme proprio perché siamo usciti dal convenzionale: abbiamo fatto meditazione in cucina, abbiamo letto testi teatrali, spirituali e filosofici, abbiamo bevuto molte tazze di tè… Un po’ alla volta questa cucina è diventata la loro cucina, la loro casa.
In un momento in cui i luoghi classici di rappresentazione teatrale attraversano un momento di forte crisi, la ricerca di nuovi linguaggi appare sempre più necessaria. Quale il teatro del futuro?
Riferendosi al teatro Konstantin, uno dei personaggi centrali de Il gabbiano (e figura fondamentale anche per la mia House of Us ) dice: «Sono necessarie forme nuove. Nuove forme sono necessarie e, se queste mancano, allora è meglio che niente sia necessario». Credo che oggi sia fondamentale mettere in discussione il teatro classico. Chi fa teatro oggi non si interroga a sufficienza su questa questione, convinto che tutto rimarrà così com’è. Ma presto ci sarà un ricambio generazionale e bisognerà capire come rendere attrattivo il teatro per il pubblico più giovane, abituato ai telefonini, alla velocità, all’accorciamento della capacità di attenzione. Vorranno ancora rimanere seduti due ore a guardare Molière? Non credo. Il teatro esisterà ancora tra cinquant’anni solo se saprà trasformarsi diventando un’esperienza immersiva. Oppure, all’estremo opposto, può succedere che si torni a fare teatro in modo intimo, in piccole stanze senza scenografia come succedeva all’inizio del secolo scorso, in tempo di guerra.
Questa prima parte di House of Us è dedicata alla madre. Nelle sue intenzioni seguiranno House of Us – The Son, il figlio, e House of Us – The Daughter, la figlia. Manca il padre, ce ne vuole parlare?
Penso sia doveroso da parte di una donna glorificare la vita di un’altra donna. In fondo House of Us è un progetto femminista ed è nato proprio con questo intento. Mio padre era una persona straordinaria che mi dato moltissimo affettivamente e professionalmente. Mia madre è sempre vissuta nella sua ombra e, soprattutto dal momento in cui sono diventata madre anch’io, ho sentito di dover restituire qualcosa a lei, di premiarla in qualche modo per il suo straordinario lavoro di madre, che è in fondo lo straordinario, difficile, monumentale lavoro di tutte le madri. Non sto dicendo niente di nuovo, ma credo vada comunque detto e ribadito.
audience of two, twenty, or thirty. I may instruct my actors to welcome guests and offer them a glass of wine, something like that, but how can I imagine what happens next? This doesn’t mean the show will be improvised – far from it. But it will be a bit like real life: you can plan a party down to the finest detail, but you don’t know what your guests will do. You just know you gave it your all, but you can’t predict the outcome.
Will you be giving any instructions at all?
House of Us might be a braver, more unpredictable experiment than anything I’ve ever done. In this case, I believe some instruction would be advisable. I thought about welcoming the public at the beginning and brief them on the several spaces, so that they can manage their time better and not linger in one room and miss the other. Throughout the performance, we won’t speak with the public much, because the goal of this experience is to feel something magical, something dreamlike.
Objects seem to write your biography. If you had to pick two, which ones would they be?
The kitchen table, first. When I was sixteen, I was fascinated by a picture of Chekhov sitting at the table in a dacha, together with the actors who would later perform in the Seagull’s premiere. Ever since, I thought of the table as the symbol of sharing and creativity. The second object is my clothes dryer. When I’m home, I’m the one who folds my children’s clothes. Folding clothes is a bit like life, it is work that has no apparent end. The minute you thought you’re done with it and folded all the clothes, that’s where you have to start again.
How did you like working with the students from the theatre academy?
I have been an actress myself back in the days, but the job was not making me happy. Precisely because I know how hard, even painful, acting can be, I strive to make it an enjoyable experience for them. We had very good times together because we didn’t follow convention: we meditated in the kitchen, read theatre, spiritual and philosophical texts, had tea quite often… little by little, this kitchen became also their kitchen, their home.
The crisis of theatre and the research for new languages…
As he was talking about theatre, Konstantin, one of the main characters in Chekhov’s The Seagull and an essential figure for my project, says: “We need new forms, and if we can’t have them, then we’re better off with no theatre at all”. I believe it is, indeed, essential to question classical theatre. Those who do theatre today doesn’t question it enough, convinced as they are that everything will stay as is forever. Soon, though, we will have to address new generations, who are used to consume content on their phones, to speed, to shorter attention spans. Will they spend two hours sitting through Molière? I’m not so sure they will. Theatre will still be there in fifty years if it can adapt and transform into an immersive experience or, on the other end, turn into intimate, small productions, in bare little rooms, the way it took place in the early twentieth century during the war.
MEMORIE RESISTENTI
Mio padre. Appunti sulla guerra civile è il nuovo spettacolo di Andrea Pennacchi, in scena al Teatro Toniolo il 6 e 7 dicembre, con le musiche di Giorgio Gobbo, Graziano Colella e Gianluca Segato.
L’attore padovano racconta la storia di suo padre Valerio, classe 1929, tipografo compositore e giovanissimo partigiano di una banda garibaldina. Nome di battaglia: Bepi. Valerio insieme ai compagni aveva diversi incarichi, dal recupero materiali dagli aviolanci alla produzione e diffusione di stampa clandestina, ma a causa di un tradimento l’intera banda fu rinchiusa nel campo di lavoro di Ebensee in Austria, lager nazista da cui fecero ritorno soltanto in tre.
La famiglia di Pennacchi si distinse nella lotta per la libertà, fin da bambino Andrea era circondato da partigiani: il fratello della madre aveva condotto azioni cruente e fatto saltare un ponte, il nonno materno era stato ucciso dai tedeschi in fuga, ed il padre era scampato al campo di concentramento. Solo dopo la sua morte, tuttavia, l’attore è riuscito a venire a patti con l’eroica storia del genitore, elaborandola sia a livello personale che professionale, fino a portarla sul palcoscenico. «Ho sentito che era arrivato il momento di raccontare quando, da un sano revisionismo storico, si è passati a sminuire, o addirittura demonizzare la lotta partigiana – ha dichiarato Pennacchi in un’intervista – I portatori di memorie stavano scomparendo, non si potevano più difendere, ho pensato allora che fosse arrivato il momento di ingaggiare una lotta con le mie resistenze e di provare a raccontare la Resistenza per come la conoscevo». C.S.
Mio padre 6-7 dicembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
Le forme del Male Peter Stein si misura con Pinter per un Compleanno d’orrore
Aveva 27 anni Harold Pinter quando, all’Arts Theatre di Cambridge, andò in scena Il compleanno. Era il 28 aprile 1958, la pièce sarebbe diventata una delle sue opere più apprezzate e rappresentate, gemma indiscutibile di quello che diventerà il marchio dell’opera di Pinter, il suo teatro della minaccia. Stanley Webber, pianista spiantato e in fuga da qualcosa che non conosciamo, viene accolto da una coppia di coniugi sessantenni, Meg e Peter Bowles, nella loro pensioncina malandata sulla costa (un topos della letteratura inglese, ci vengono subito in mente Tavole Separate di Terence Rattigan e la novella di McEwan Chesil Beach ). Arrivano due misteriosi personaggi, Goldberg e McCann (uno ebreo, l’altro irlandese), che cominciano a martirizzare Stanley e a interrogarlo in modo violento e insostenibile, ma non accennando mai al motivo del loro comportamento. I Bowles decidono di organizzare una festicciola per celebrare il compleanno di Stanley, cui viene invitata un’amica di Meg, Lulu. Mentre i partecipanti giocano a mosca cieca, Stanley prima aggredisce Meg, poi tenta di violentare Lulu. Il giorno dopo Goldberg e McCann riprendono la loro opera di controllo su Stanley, che non è più in grado di reagire, e lo conducono fuori dalla casa, dove li aspetta un’auto. Meg torna dalla spesa e si accorge che la macchina non c’è più, ma il marito rimane in silenzio, celando alla moglie quello che è accaduto. Una trama elementare, che raccontata così dice solo la realtà dei fatti, ma sotto questa “semplice” realtà Pinter, come una mina sotter-
ranea, o meglio, come un metaverso ante litteram negli anni in cui la pièce fu scritta, così ricchi di speranze di un progresso economico e sociale ma anche così pieni di paure e di rimossi, nasconde un mondo che sta nell’ombra e nel non detto, fatto di sensi di colpa, di violenza, di minacce, di dominio. Insomma, una rappresentazione delle innumerevoli forme sotto cui il Male si manifesta nel mondo. Stanley fugge dalla sua colpa, che non conosciamo, cerca di rifugiarsi in un presente di convenzioni e apparenze piccolo-borghesi, rappresentate dai coniugi Bowles, ma trova i suoi carnefici, Goldberg e McCann, che lo stanano e che lo porteranno a scontare una pena che non conosciamo. Certo, viene subito da pensare a Franz Kafka, al suo universo cui è sfuggito il senso della realtà sostituito da un rito inflessibile che porta al dominio sull’uomo da parte di un’entità riconosciuta da tutti ma che rimane oscura, nascosta, e le biografie ci dicono che Pinter aveva letto Il Processo prima di scrivere Il Compleanno. Ma c’è anche Beckett e il suo teatro dell’assurdo, dove è saltato ogni schema logico-consequenziale nell’agire dell’uomo e in cui la parola serve solo a collegare in modo del tutto passivo e ripetitivo la mancanza di senso dell’esistenza.
Il Compleanno è in scena al Teatro Goldoni di Venezia dal 15 al 18 dicembre.
La regia è di Peter Stein. F.D.S.
Il compleanno 15-18 dicembre Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it
Maestri e filosofi
A lezione di storia del teatro da Massimo Cacciari
Quale il filo conduttore che ha portato Massimo Cacciari a scegliere Hugo von Hofmannsthal (1874–1929), Robert Musil (1880–1942) e Arthur Schnitzler (1862–1931) come protagonisti delle sue conversazioni al Teatro Goldoni per la rassegna Valzer di parole? E, soprattutto, perché concentrarsi su tre opere specifiche di cui almeno una, I fanatici di Musil, è stata dimenticata per un secolo e soltanto ora sta tornando faticosamente alla luce? Conoscendo Cacciari, dubito che parlandoci di Girotondo di Schnitzler (27 gennaio) ci voglia illuminare su cosa fossero le Obersschaumbaisers (meringhe) nella Vienna di fine Ottocento o che quel Sechserl, che la prostituta chiede al soldato, fosse una moneta di rame in circolazione sino al 1892, il cui valore si dovrebbe oggi aggirare tra i dieci e i venti euro; dubito anche che la sua attenzione si focalizzerà sugli aspetti linguistici delle opere e degli autori presi in disamina, nonostante, ad esempio, il delizioso alternarsi di linguaggio colto e lingua popolare tra il marito conte e la giovane süße Mäde. Sono altresì convinto che Massimo Cacciari non ripeterà il ritornello della crisi dell’impero austroungarico per affrontare per analogia la nostra attuale società. Troppo banale. Allora la crisi del linguaggio? Vero, utile, ma forse troppo accademico. Vediamo Hugo von Hofmannsthal e il suo Der Schwierige (7 dicembre), 1921, ovvero Un uomo difficile. Lo scenario è quello della vecchia società minacciata nelle sue fondamenta: il conte Hans Karl Bühl rientrato dalla guerra ha ormai compreso che tutti i giochi per affermarsi individualmente nel mondo non sono altro che frutto di presunzione e inganno. Nega valore alla parola (la Lettera di Lord Chandos è del 1902) e si chiude in un amaro silenzio, avvertito però dagli altri come arroganza. È solo una donna a comprenderlo; lui comunque non ha ancora rinunciato a battersi per una piccola felicità terrena del qui ed ora e del domani per quelli che verranno. Il dramma di Robert Musil, Die Schwärmer – in italiano, chissà perché, I fanatici (13 gennaio) –, vede al centro del testo due coppie; i legami vecchi si stanno sciogliendo e ne nascono di nuovi, in questo caso intrecciati tra loro. Cosa c’è di male in una società dove i rapporti mutano ininterrottamente e nessuno ci fa caso, a patto di non suscitare un aperto scandalo sociale? E così il tradimento viene trattato come tema sociale, da esaminare con metodi scientifici, d’altronde cos’è la felicità se non un sentimento di leggerezza passeggero? Il mondo moderno non ci ha forse insegnato l’importanza della sperimentazione, del cambiamento? Ma anche qui interviene una donna, in questo caso la parte più debole di una delle coppie, che minaccia l’estremo gesto. La verità scaturisce dalla scienza, dall’intelletto o vi è forse una verità nascosta nell’affetto, nella solidarietà, nella capacità di commuoversi? Forse sono andato troppo oltre, ho lavorato di fantasia, ma di certo sarò in teatro ad ascoltare Massimo Cacciari con molta curiosità e voglia di capire. Loris Casadei
Valzer di Parole
7 dicembre; 13 e 27 gennaio 2023 Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it
In attesa di giudizio
Vita e poesia, in Pound, coincidono, si compenetrano, non possiamo disarticolare Ezra facendone da un lato il folle fascista che ha preso una clamorosa sbandata politica e dall’altro il vertiginoso poeta che ha fondato riviste, avanguardie, estetiche. Ezra è uno. Unico. Quando nel 1948 Pound ottiene il Bollingen per i Pisan Cantos – una specie di risarcimento all’infamia comminato dagli amici poeti – è chiaro a tutti che il poeta ha ruminato e vomitato la Storia. Vinto dalla Storia, invitto davanti agli uomini. Pound è ancora un agnello sacrificale del Novecento. Lo spettacolo Ezra in gabbia. O il caso Ezra Pound, prodotto dal Teatro Stabile Veneto, rappresenta un tentativo di riconciliazione tra il controverso intellettuale e il pubblico. Si vuole celebrare un grande artista, un pensatore raffinato, un ecologista ed economista anticipatore di temi e tendenze. Al centro del palcoscenico c’è Mariano Rigillo, rinchiuso dentro una gabbia, la stessa che nell’estate del 1945 imprigionò Pound sessantenne nel campo dell’esercito americano presso Pisa. Con quella gabbia iniziarono 13 anni di reclusione in manicomio criminale. Pound fu liberato nel 1958. Ora il poeta è ‘tornato’ per chiedere agli spettatori di giudicarlo, per avere quel processo che non ha avuto. L’autore del testo e regista dello spettacolo Leonardo Petrillo descrive il suo lavoro come «una messinscena che tutto mostra e tutto nega. La scena è spoglia, a eludere sé stessa… Solo la parola, ghianda di luce, trova la propria forma e la propria ragione. Solo il silenzio, finale e definitivo apre la memoria finalmente alla danza della vita e gli restituisce dignità e libertà». F.M.
Ezra in gabbia. O il caso Ezra Pound 25, 26 gennaio 2023 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
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SPETTACOLI
La leggerezza dell’altro Il segreto di Nanà
Nel
Upside.
Quasi amici ha ora una versione teatrale che debutta al Teatro Toniolo di Mestre il 10 gennaio (repliche 11 e 12 gennaio) con adattamento e regia di Alberto Ferrari, produzione Enfiteatro, protagonisti Massimo Ghini e Paolo Ruffini.
Lo spettacolo, ispirato ad una storia vera, appassiona per la potenza della vicenda narrata e la complessità dei due protagonisti principali: l’incontro casuale tra due persone con un senso della vita diversissimo che giungeranno a stringere una vera, solida amicizia, attraverso un reciproco percorso di crescita. Provenienti da due mondi lontani, quasi agli antipodi, i due uomini capiranno di essere l’uno indispensabile alla vita dell’altro, sapranno creare un legame fondamentale, necessario per curare le ferite che ciascuno porta dentro di sé.
Tutto ciò potrà avvenire solo quando entrambi ritroveranno la giusta leggerezza, la consapevolezza di poter finalmente ridere di sé e dell’altro, in totale libertà.
Massimo Ghini, una lunga carriera costellata da grandi successi, si divide tra teatro, fiction televisive e cinema, dove ha ottenuto importanti riconoscimenti come un Ciak d’oro, un Nastro d’argento e un Premio Flaiano; impersona Philippe, un uomo molto ricco, intelligente, affascinante, coltissimo, ma anche egocentrico e un po’ narciso, un uomo che vive con il cervello più che con il corpo. Il destino è però in agguato, infatti in seguito ad una caduta con il parapendio rimane paralizzato e qui entra nella vicenda Driss, il badante del tetraplegico, interpretato da Paolo Ruffini.
Si tratta di un uomo intelligente, vivace, che ha appreso tutto dalla strada, ha avuto infatti una vita turbolenta, proviene dalla periferia degradata, entra ed esce di galera sin da ragazzo, un uomo che si affida solo al suo fisico e non al cervello. Paolo Ruffini, grazie al suo essere artista poliedrico, attore, regista, presentatore, scrittore, da sempre impegnato nel sociale – ha ideato e portato in tutt’Italia per anni uno spettacolo con attori disabili – interpreta il personaggio di Driss con un’umanità e ironia sorprendente. Elisabetta Gardin
Quasi amici 10-12 gennaio 2023 Teatro Toniolo www.comune.venezia.it
De La signora del martedì si è scritto che è uno dei romanzi più belli di Massimo Carlotto. Un libro in cui l’autore, dopo 25 anni di noir “duro e puro”, concede spazio ad altro, si diverte con i toni della commedia e del melò, esplora la categoria del corpo e di cosa succede quando personaggi che hanno vissuto la prostituzione devono misurarsi con la vecchiaia e un’esistenza che non ammette la rivendicazione del passato, anzi. Da qui arriva la storia di tre personaggi unici, da cui lo spettatore farà fatica a staccarsi: quella di Alfonsina Malacrida, Nanà, che da nove anni ogni martedì si compra un’ora d’amore dall’attore porno in disarmo Bonamente Fanzago, gigolò nei momenti di magra, che ora è rimasto con quest’unica cliente: la Signora del martedì, appunto. Gli incontri avvengono in una pensione dove Bonamente alloggia da quindici anni, gestita dal signor Alfredo, che desidera essere trattato «come una inequivocabilmente bella donna» e gira sempre in abiti femminili. È in questo scenario à la Almodovar che irrompe quasi inaspettato il cambio di rotta: durante uno degli incontri del martedì, di cui in teoria non dovrebbe sapere nulla nessuno, si presenta alla pensione un giornalista senza scrupoli, vuole fare delle domande a Nanà sul suo passato… Parte da qui uno stato di tensione, di trepidazione che prosegue per tutto lo spettacolo e accompagna lo spettatore fino all’imprevedibile conclusione. In scena, diretta da Pierpaolo Sepe Giuliana De Sio dà letteralmente corpo a un testo intriso di torbida sensualità ma anche di dolcezza e di grazia, arricchito da un’ironia elegante e tagliente che produce leggerezza e sorriso. Un testo il cui titolo è un dichiarato omaggio dell’autore a La donna della domenica di Fruttero e Lucentini, «una coppia di autori che ha sempre giocato con le regole del genere». Livia Sartori di Borgoricco
La Signora del martedì 20-22 gennaio 2023 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
La danza delle coppie
Da mercoledì 18 a domenica 22 gennaio è in scena al Teatro La Fenice La dame aux camèlias. A rappresentarla l’Hamburg Ballet, per l’ultimo anno ancora diretto dal grande John Neumeier, che dall’alto dei suoi ottant’anni lascerà nel 2023 la guida della sua amata ‘creatura’. L’opera nasce nel lontano 1978 a Stoccarda e arriva a noi con un’eredità di quelle che dovrebbero spaventare tutti, perché ripresa dai più grandi della danza: da Aurell Milloss nel 1948 a Maurice Bejart nel 1959, fino a Rudolf Nureyev con Margot Fontaine nel 1963 su musiche di Liszt. Anche il maestro di Neumeier, John Cranko, ci provò con The Lady of the Fools nel 1953, ed è in suo onore che l’allievo iniziò a lavorare sulla tragica storia della cortigiana Marguerite Gautier e del suo amante Armand Duval. Il balletto ha toccato in tournée tutti i più prestigiosi teatri del mondo e, dopo Pechino e Singapore, arriva ora a Venezia. La trama, ripresa da Alexandre Dumas figlio, è da tutti conosciu-
Affari
di famiglia
Lo scrittore parigino Florian Zeller, che porta con successo le sue sceneggiature a teatro, con i suoi due lavori Le Père del 2012 e Le Fils del 2018, ha deciso di confrontarsi con il mezzo cinematografico: il film The Father – Nulla è come sembra del 2020, con un gigantesco Anthony Hopkins premiato con l’Oscar, edil recente The Son, con Hugh Jackman e Laura Dern, visto all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, sono due pellicole speculari che girano attorno a personaggi il cui nucleo familiare viene stravolto dall’irrompere al suo interno di una malattia mentale.
Affascinato dall’opera di questo autore, il regista teatrale Piero Maccarinelli, che già aveva affrontato nel 2017 un lavoro di Zeller, Il padre, dirigendo per l’occasione Alessandro Haber e Lucrezia Lante della Rovere, si appresta a portare sui palcoscenici italiani Il figlio, scegliendo come protagonista Cesare Bocci e come comprimari Galatea Ranzi, Giulio Pranno e Marta Gastini. Il regista, che quest’anno festeggia i quarant’anni di
ta, ma vi saranno delle sorprese. La danza è danza, fantasia; la narrazione resiste, però tocca allo spettatore estrapolarla con la propria sensibilità. Personalmente ho avuto la fortuna di assistere alla rappresentazione del 2018 al Teatro Mariinskij: mi colpirono le scelte delle musiche, prevalentemente Chopin suonato dal vivo. Le sonate, i valzer e i vari preludi possiedono la magia di creare una ‘pittura’ sonora della melanconia francese che pervade l’opera. Ricordo anche la sorpresa scenica dell’uso dello specchio per simulare l’incontro tra Marguerite e Manon Lescaut. Tra le novità, Neumeier rende evento fondamentale del racconto il regalo
di Armand a Marguerite, ovvero il libro Manon Lescaut. È infatti a teatro ad assistere alla Manon (metateatro) che i due amanti si conoscono e i pensieri e i destini della prima coppia si rispecchiano e si contrappongono a quelli di Lescaut e del cavalier Des Grieux. Il padre di Armand dice: «Chi ama una Manon rischia di diventare un De Grieux», al che Margherita risponde: «Chi ama una donna non la può trattare come Manon». Loris Casadei
La dame aux camélias 18-22 gennaio 2023 Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
carriera, affronta le problematiche insite nel dover mostrare le sofferenze, le paure e i sensi di colpa di genitori alle prese con un figlio malato di depressione, cercando di restituire allo spettatore tutte le emozioni, le pulsioni e le introspezioni della sceneggiatura. Generazioni diverse messe a confronto e in contrapposizione attraverso scontri e gesti d’amore tra persone in balia di eventi sconvolgenti e inaspettati. Spesso la malattia mentale viene nascosta tra le mura di casa, come qualcosa di cui vergognarsi, e a farsene carico in toto sono i parenti più stretti, lasciati soli e allo sbando da servizi sanitari e sociali inefficienti, se non inesistenti.
Il figlio, in scena a fine gennaio al Teatro Goldoni, è un’occasione per assistere alla rappresentazione di un’opera adulta, carica di significati profondi che toccherà l’intimo dello spettatore. Andrea Zennaro
Il figlio 19-22 gennaio 2023 Teatro Goldoni www.teatrostabilveneto.it
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Una mucca sull’amaca
Il primo corsivo di Michele Serra è del 1992. Un corsivo non è un articolo, non ne ha la lunghezza né l’oggettività del racconto, il corsivo è un breve pezzo d’opinione. Sono quindi trent’anni giusti che, ogni giorno, Serra racconta le sue opinioni sul giornale «L’Unità» prima, «Repubblica» poi. È più un potere o più una condanna? Un esercizio di stile o l’esibizione di un Io straripante? La potenza di tutto questo scritto arriva fisicamente in scena, con Serra che spinge un carrello con sopra tutti i 9.000 corsivi stampati («avete di fronte un uomo che ha avuto 9.000 opinioni!», proclama dal palco), ricordando però, allo stesso tempo, l’importanza del silenzio: lo fa guardando negli occhi la sua surreale compagna di scena, una mucca di plastica, ragionando sul fatto che forse è giusto invidiare le bestie, che per provare la loro esistenza non sono obbligate a parlare. Proprio le parole, con le loro seduzioni e le loro trappole, e anche la fatica che si fa a sceglierle, sono le protagoniste di questo racconto teatrale comico e sentimentale, impudico e coinvolgente che prende le mosse dal nucleo narrativo del libro La sinistra e altre parole strane, nel quale Serra apre al lettore la sua bottega di “artigiano della scrittura” e mostra il suo lavoro e gli attrezzi che usa, come farebbe un falegname. Persone e argomenti trattati nel corso degli anni riemergono dalla grande pila delle parole scritte con intatta vitalità e qualche inevitabile sorpresa, tracciando sentimenti, temi caldi, debolezze e manie.
Livia Sartori di BorgoriccoANGELO PISANI Scomodo. Vite di uomini, mariti e padri
Solo, senza la sua Katia Follesa, Angelo Pisani mette in scena con grandissimo humor una storia personale capace di coinvolgere chiunque. Scritto, diretto e interpretato dallo stesso Pisani, lo spettacolo racconta in chiave comica la vita di un uomo, di un marito e di un padre alle prese con l’universo femminile con conseguenze tragicomiche. Un ruolo davvero scomodo: «Dove andare, cosa fare. che cibo mangiare, come organizzare il weekend, che scuola scegliere, sono solo alcuni dei tantissimi argomenti per i quali la donna finge di essere interessata al parere dell’uomo, per poi decidere autonomamente – incalza il comico – e se questo prova a far presente che la situazione non gli sta bene, ecco sbucare dalla camera una figlia (di 12 anni nel mio caso), pronta ad aggiungere altre tonnellate alla scomodità». 9 dicembre h. 21 | Teatro Toniolo-Mestre | www.comune.venezia.it
CHIARA FRANCINI
Una ragazza come io
La straordinaria Chiara Francini si cimenta in una nuova avventura teatrale. Una ragazza come io – il titolo riprende A Girl Like I di Anita Loos – è un frizzante monologo in cui Chiara, anche autrice del testo insieme al regista Nicola Borghesi, racconta cosa significhi per lei essere donna oggi, e lo fa in modo rivoluzionario, ovvero dicendo la verità: l’infanzia in paese con i nonni, la famiglia matriarcale, l’adolescenza, il percorso di ragazza di provincia sano e caparbio, il desiderio combattuto e vivissimo di voler diventare mamma e la fierezza dell’essere sempre una diversa, una strana, una fuori posto, un’inadeguata, una parvenue». Un one-woman show in cui Francini domina la scena tra comicità, citazioni, remake, gag e sapiente umorismo, in un elegante gioco di contrasti da piccolo gran varietà. 10 dicembre h. 20.30 | Teatro Verdi-Padova | www.teatrostabileveneto.it
GEPPI GUCCIARI
Perfetta
Geppi Gucciari porta in scena l’ultimo monologo teatrale scritto da Mattia Torre ( Boris, Ogni maledetto Natale, La linea verticale ) prima della sua prematura scomparsa. Perfetta racconta un mese di vita di una donna attraverso le quattro fasi del ciclo femminile. Una donna che conduce una vita regolare, scandita da abitudini che si ripetono ogni giorno, e che come tutti noi lotta nel mondo. Ma è una donna, e il suo corpo è una macchina faticosa e perfetta che la costringe a dei cicli, di cui gli uomini sanno pochissimo e di cui persino molte donne non sono così consapevoli. Perfetta mattatrice, Gucciari porta in scena la radiografia sociale, emotiva e fisica, di 28 comici e disperati giorni della sua vita. 13 gennaio 2023 h. 20.30 | Teatro Mario Dal Monaco-Treviso | www.teatrostabileveneto.it
CARLO E GIORGIO
Senza Skei
La crisi economica ci attanaglia da tempo, e le cose almeno per il momento non sembrano dover migliorare, in parole povere siamo senza soldi, in veneziano, invece, siamo senza schei ! Era necessario un tutorial per imparare a sopravvivere in un mondo senza più stabilità economica, con sempre meno pazienza e attenzione e, soprattutto, quasi privo di ironia e autoironia. A questo ci hanno pensato Carlo e Giorgio con Senza skei, la fortunata striscia televisiva in onda ogni giorno da novembre 2021 a maggio 2022 su Antenna 3, che diventa ora un esilarante e irresistibile spettacolo teatrale e porta in scena, come sempre l’inimitabile coppia di comici sa fare da 25 anni, le esasperazioni delle nostre ansie e dei nostri comportamenti, smontandoli sotto la lente della comicità. 27-28 gennaio 2023 h. 21 | Teatro Toniolo-Mestre | www.comune.venezia.it
LA REALTÀ AUMENTATA
Il festival è un barometro che influenza le pratiche della visione, le forme di circolazione, i gusti del pubblico e i criteri storiografici
Pochi mesi fa la Mostra del Cinema di Venezia ha festeggiato i suoi primi 90 anni. Era infatti l’agosto del 1932 quando negli spazi mondani dell’Hotel Excelsior si svolgeva la prima edizione di quella che allora si chiamava “Esposizione Internazionale d’Arte Cinematografica”. Accorsero, solo per quella prima edizione, ben 25 mila spettatori, comunque pochi se si considera che nel 2022, quella del “ritorno alla normalità”, la Biennale dichiara di aver venduto 60 mila biglietti e 12 mila accrediti, senza contare i 12 mila spettatori che hanno assistito alle proiezioni online.
Se dal 1932 fino al 1946 la Mostra crebbe in un regime di monopolio, dal secondo dopoguerra in poi la concorrenza si è fatta sempre più intensa, visto l’affermarsi di analoghe manifestazioni in altre località e Paesi non solo europei: da Cannes a Locarno, da San Sebastian a Berlino, da Edimburgo a Karlovy Vary e così via. Con il passare dei decenni alle manifestazioni già esistenti, se ne sono aggiunte un numero ancora più impressionante, di ogni risma e grandezza. Basti pensare che l’AFIC (Associazione dei Festival Italiani di Cinema) oggi include, tra le sue fila, più di 100 realtà associate, ma se si aggiungono quelle più piccole o più indipendenti in Italia il numero va moltiplicato per sette o otto volte. Secondo il portale FilmFreeway.com sono attualmente 698 i festival solo nella nostra penisola, più di 8 mila in tutto il mondo. Ci sono molte ragioni che spiegano perché un dispositivo così fragile come un festival –in balia della concorrenza di manifestazioni analoghe, dei chiari di luna dei finanziatori pubblici e privati, della dimensione effimera e volatile di ogni evento – è in grado di sopravvivere alle crisi economiche, alle dittature, alle pandemie e, da ultimo, allo svuotamento delle sale. Il festival, infatti, non moltiplica soltanto il capitale simbolico, economico e negoziale dei film, delle località turistiche e dei professionisti che lo abitano. È un barometro che influenza le pratiche della visione, le forme di circolazione, i gusti del pubblico e i criteri storiografici. È anche un acceleratore di esperienze e incontri, un volano di discorsi, un deposito di memorie, un laboratorio di formazione e apprendimento. Con sguardo retrospettivo, si può
dire che certi festival hanno contribuito a plasmare la storia nazionale e geopolitica di molti paesi, dando forma alle contraddizioni dei contesti nei quali sono nati e cresciuti, anche se ultimamente assomigliano a eterotopie foucaultiane dove una comunità cinefila globale si può incontrare una settimana a Toronto e l’altra a Tokyo, una a Salt Lake City e l’altra a Riga, vedendo gli stessi volti, proseguendo gli stessi discorsi. Per pensare e ponderare questo tipo di manifestazioni al di fuori delle giornate convulse durante le quali si svolgono, un’equipe di ricerca che unisce Ca’ Foscari, IUAV e VIU ha deciso di lanciare Carta Bianca. Storie orali e visuali dei festival cinematografici, un progetto che vuole valorizzare le storie e le memorie festivaliere dando voce ai suoi principali protagonisti: i direttori artistici da una parte e i film dall’altra. Lo stratagemma è quello della «carta bianca» ovvero l’attribuzione di libertà curatoriale a un direttore artistico che, nel corso di una serata-evento al Cinema Multisala Rossini, ricostruisce la storia del festival che dirige e presenta un film che ha segnato qualche edizione. L’occasione serve anche per ragionare su molte altre cose: dal modo di selezionare e valutare i film a come si tutela il patrimonio immateriale del cinema, da come divismo, glamour, arte e autorialità si conciliano a come certe logiche economiche o culturali incidono sulla fortuna o meno di una manifestazione e così via.
Il ciclo di incontri e visioni è iniziato il 19 ottobre con Giona A. Nazzaro, direttore del Locarno Film Festival. I prossimi appuntamenti sono fissati per il 30 novembre e per il 14 dicembre rispettivamente con Sabrina Baracetti, direttrice artistica del Far East Film Festival e Gianluca Farinelli, direttore del Cinema Ritrovato di Bologna. Nel nuovo anno sono previsti tre appuntamenti: il 18 gennaio con Steve Della Casa direttore del Torino Film Festival, il 15 febbraio con Luca Mosso a capo del FilmMakerFest Milano, per chiudere l’1 marzo con l’immancabile incontro con Alberto Barbera, attuale direttore della Mostra del Cinema di Venezia.
Carta Bianca. Storie orali e visuali dei festival cinematografici Fino 1 marzo 2023 Multisala Rossini www.unive.it
GIANLUCA FARINELLI
Nato a Bologna, si è laureato all’Università di Urbino con una tesi sul restauro cinematografico. La sua collaborazione con la Cineteca di Bologna iniziò già nel 1984 e nel 1986, con Nicola Mazzanti, ideò la rassegna Il Cinema Ritrovato, dedicata alla storia del cinema e all’attività delle cineteche. Dal dicembre 2000 ha assunto l’incarico di direttore della Cineteca di Bologna, dal 2022 è Presidente della Festa del Cinema di Roma. 14 dicembre
STEVE DELLA CASA
Critico cinematografico, autore e conduttore radiofonico. Dal 1999 al 2002 è stato direttore del Torino Film Festival e dal 2007 al 2013 del Roma Fiction Fest. Dal 1994 è conduttore del programma cinematografico radiofonico Hollywood Party (Radio Tre).
Ha curato pubblicazioni in Italia e all’estero e realizzato documentari che sono stati presentati in diversi festival internazionali, vincendo nel 2014 il Nastro d’Argento per I Tarantiniani 18 gennaio 2023
LUCA MOSSO
Direttore di Filmmaker Festival Milano, che sostiene con contributi produttivi il cinema giovane e indipendente; Presidente del Milano Film Network, che riunisce i sette maggiori festival della città, critico cinematografico per «La Repubblica» e Rai Radiotre. Docente presso l’interfacoltà di Economia-Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e presso la scuola di Nuove tecnologie per l’arte dell’Accademia di Brera. 15 febbraio 2023
ALBERTO BARBERA
Nasce a Biella nel 1950. In pochi anni è diventato presidente dell’Associazione Italiana Amici Cinema d’Essai e critico cinematografico per diversi quotidiani e riviste, oltre che in programmi televisivi e radiofonici. Dopo una prima esperienza come Direttore della Mostra Internazionale di Arte cinematografica di Venezia tra il 1998 e il 2002, nel dicembre del 2011 è stato nuovamente scelto dal Cda della Biennale per guidare il Festival, incarico che ricopre tutt’oggi. 1 marzo 2023
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LA LEZIONE
Romanzo visivo
Intervista Marco FranzosoHungry Hearts, film di grande intensità diretto da Saverio Costanzo, ha iniziato il proprio folgorante successo alla 71. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con l’assegnazione del premio per la miglior interpretazione maschile e femminile: due Coppe Volpi vinte rispettivamente dai protagonisti Adam Driver e Alba Rohrwacher. Il film è stato tratto dal romanzo Il Bambino Indaco dello scrittore veneziano Marco Franzoso, che dopo avere esordito nel 1997 con Westwood dee-jay, romanzo in italo-veneto ambientato nel mondo della notte di una Mestre distopica bagnata dall’oceano, ha scelto di percorrere una strada più intimista, scandagliando le relazioni familiari e i sentimenti più nascosti della persona, con particolare attenzione al mondo dell’infanzia e alla questione della violenza sulla donna. Il suo ultimo libro, La lezione, uscito lo scorso aprile, è un thriller psicologico incentrato su una vicenda di stalking.
I suoi romanzi sono dei veri e propri viaggi nel mondo sconosciuto dei sentimenti più profondi, scandagliati da Franzoso con raffinatezza e delicatezza, ma senza sconti. Una scrittura che sa essere diretta, essenziale, purificata e scarnificata, proprio come Isabel, la protagonista de Il bambino indaco, madre ossessionata dalla purezza che riversa sul figlio le sue ossessioni, le sue paure, i suoi disturbi alimentari. E così quella che era iniziata come una bellissima storia d’amore ben presto si incrina, rovesciando tutte le dinamiche interne della coppia.
Franzoso scrive storie ambientate in Italia, ma si tratta di racconti universali, temi che toccano tutti in ogni luogo del mondo. Forse anche per questo motivo i suoi romanzi trovano con facilità una trasposizione cinematografica.
Recentemente «Hollywood Reporter» ha annunciato che nella primavera 2023 in Italia, a Roma, si girerà un altro film tratto da un bestseller dell’autore, Le parole lo sanno, pubblicato da Mondadori nel 2020. Si tratta di un avvincente thriller psicologico la cui regia verrà affidata a Peter Webber, regista inglese che ha firmato film di alta qualità e al tempo stesso grandi successi al botteghino come La ragazza con l’orecchino di perla e Hannibal Lecter - Le origini del male. La sceneggiatura verrà firmata da Alessandro Camon, che si è imposto nel panorama internazionale con il film The Messenger, vincitore dell’Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura al 59. Festival di Berlino. Il film, You Will Find the Words, sarà prodotto da Fenix Entertainment e vedrà impegnato nelle riprese un cast di livello internazionale. Incontriamo l’autore, molto soddisfatto dei riconoscimenti che il cinema gli sta dedicando.
Quale importanza assume nel suo lavoro di scrittore questo forte interesse da parte del cinema?
Mi fa molto piacere tutto questo interesse per le mie storie. In fondo, mi sono laureato in Storia del cinema, amo il cinema e forse il mio sguardo e il mio modo di scrivere sono stati influenzati da questo linguaggio espressivo. I miei libri, dunque, si prestano “naturalmente” a una trasposizione cinematografica. Spesso scrivo con un pensiero visivo, mi piace definire bene le scene, le ambientazioni, costruire i personaggi. Vederli davanti a me. Visualizzo tutto nella mia mente, e questo credo traspaia dalle pagine delle mie narrazioni, tanto che sto seriamente pensando di scrivere dei soggetti pensati esclusivamente per il cinema o per le serie televisive. Sono molto affascinato da questo nuovo modo di raccontare, dalla dilatazione temporale delle narrazioni che le serie tv consentono. Ho la sensazione che siamo agli inizi di questo intrigante percorso, in una sorta di preistoria di un linguaggio nuovo che si sta formando e che ci potrà regalare nel futuro delle grandi sorprese. Questo modo di raccontare e fruire storie si è imposto da pochi anni; penso che si apriranno delle strade non ancora conosciute e percorse in questa direzione. È una bella sfida, questa, per chi scrive storie, sì.
Parteciperà alla stesura della sceneggiatura di You Will Find the Words ?
No, e credo che sia giusto così. Credo che un buon libro possa essere la base migliore per un buon film, ma film e romanzo hanno due linguaggi completamente diversi. Quindi la cosa migliore a mio avviso è sempre quella di lasciare la massima libertà espressiva a regista e sceneggiatore. Certo, è importante rispettare il senso della storia, ma il regista deve
Amo il cinema, forse il mio sguardo e il mio modo di scrivere sono stati influenzati da questo
in qualche modo appropriarsene, farla sua, e se è il caso “tradirla”. Insomma, un film deve essere indipendente dal libro da cui è stato tratto. E poi, in questo caso, per me scrivere Le parole lo sanno ha implicato un forte coinvolgimento emotivo, personale, e mi risulterebbe molto difficile trovare lo sguardo distaccato che è necessario per fare volare alta la vicenda.
Quale la storia al centro di questo romanzo?
Narra di due persone che per motivi diversi pensano di essere arrivate a fine corsa. Sembrano senza speranza, fino a quando il caso li fa sedere sulla stessa panchina, immersa nella primavera dello stesso parco. Dopo le resistenze iniziali, cominciano a parlarsi, a raccontarsi. Sono i racconti che si scambiano a farla da padroni, tanto che pian piano i protagonisti iniziano a vedere le loro vite con occhi diversi e a ripartire.
È la storia di un incontro, una storia di speranza quando sembra che tutto stia per crollare o sia già finito. Ed è una storia d’amore, da anni volevo raccontare cosa per me significa amore in un mondo complesso – e digitalizzato – come il nostro. Ho lavorato molto sulla costruzione dei personaggi e poi ho lasciato “fare a loro”. Mi sono messo ad osservarli e il romanzo è uscito praticamente da sé. Sono molto curioso di scoprire come diventerà questa storia al cinema. Ma sono felice, perché sono in buone mani. Stimo moltissimo il lavoro di Peter Webber e Alessandro Camon.
Ci sono altri suoi romanzi che vedrebbe bene adattati per il grande schermo?
In realtà c’è un forte interesse per l’ultimo mio lavoro, La lezione, vicenda incentrata su una dinamica di stalking, in cui però a un certo punto la vittima si ribella come può, aprendo a conseguenze per lei inattese, che deve imparare ad affrontare da sola. Ci stiamo lavorando, sono ottimista. Ci stiamo confrontando con una grossa casa di produzione che ha compreso e “sentito” il messaggio profondo di questa storia. C’è stata sintonia fin da subito; incrociamo quindi le dita! Il romanzo si presterebbe tra l’altro facilmente a meccanismi di tipo seriale.
Ci sto pensando. Sicuramente non come attore, non ne sarei in grado. Sto però scrivendo delle storie specifiche per il cinema, dei soggetti. Per quanto riguarda la regia non so, ne sono attratto ma allo stesso tempo vivo con molto rispetto questo ruolo. Ci dovrei pensare. Forse per una mia storia ci proverei. Forse per il più intimo dei miei romanzi. Forse potrebbe essere una bella sfida, sì. Forse. Staremo a vedere. Elisabetta Gardin
È stato mai tentato dal lavorare al cinema come attore, o come regista?
SALA
MARTEDÌ A 3 EURO
Proseguono nelle ventinove sale cinematografiche aderenti in Veneto le proiezioni dell’edizione 2022 de La Regione del Veneto ti porta al cinema con tre euro – I martedì al cinema
Riportare il pubblico nelle sale cinematografiche con opere di qualità e riaffermare il ruolo delle sale di spettacolo come presidi culturali sul territorio, in particolare quello veneto. Sono questi gli obbiettivi ambiziosi che si pone questa iniziativa. Dalla Notte degli Oscar, passando per Cannes e il Festival del Cinema di Venezia, non ci saranno film che il pubblico veneto non avrà la possibilità di godere al cinema pagando un biglietto di soli tre euro.
I GIOVANI AL CINEMA
Promuovere, per le generazioni più giovani, il ruolo della sala cinematografica come spazio culturale in cui la visione di un film sia occasione di dialogo e analisi critica. Muove da questi obiettivi l’iniziativa I Giovani al Cinema, progetto pilota promosso e finanziato dalla Regione del Veneto realizzato dall’AGIS e dall’ANEC delle Tre Venezie, all’interno delle azioni de La Regione del Veneto per il Cinema di Qualità. Un modo per gli esercenti di interagire in modo innovativo con il pubblico sull’opera proiettata in sala, offrendo opportunità per accrescere la conoscenza e la capacità critica del pubblico.
MATINÉE AL CINEMA
Niente come il cinema riesce a creare emozioni da condividere: sullo schermo passano storie che appassionano, fanno piangere, ci fanno arrabbiare, fanno sorridere, spaventano e meravigliano in quella sala spesso bistrattata che resta ancora il luogo fondamentale per viverle. Arte, intrattenimento, pensiero e immagine: il cinema è lo spettacolo più completo. IMG Cinemas ha di recente creato matinée in collaborazione con il Festival delle Idee, coinvolgendo scuole e giovanissimi che per vissuto ormai considerano le piattaforme domestiche come unico mezzo possibile per vivere il cinema.
Sala o salotto?
Se l’intelligenza artificiale condiziona lo sguardo
«Alexa, che film fanno in sala stasera? Alexa, cosa mi consigli di guardare sulle mie piattaforme? Alexa, ma i titoli sono gli stessi… Alexa, sorprendimi!». Potrebbe essere uno dei tanti dialoghi che sempre di più ricorrono tra noi e l’intelligenza artificiale Amazon Echo, nota come Alexa, che abita già in moltissime case, oppure tra noi e l’Assistente Google, o Siri. Dialoghi in cui i nostri interlocutori confezionano risposte basate sul nostro comportamento, sulle nostre abitudini, per non deluderci o per anticiparci. Come parlare con l’amico condiscendente – e in fondo ipocrita e manipolatorio – che ti dice solo ciò che vuoi sentirti dire. Lo chiami perché sai che ti tiene nella tua comfort zone, ti fa stare bene lì dove sei. Poi però, un giorno, incontri un nuovo amico. Gli racconti un po’ quello che ti capita, gli chiedi un consiglio e… tac, scatta l’inaspettato: ti apre un mondo con una frase, dando nuovo significato alla tua esperienza. Con chi usciremmo più volentieri a bere una birra? Con entrambi, diremmo. Ma non solo con chi noiosamente ti restituisce l’immagine di ciò che sei. Una sera o due, va bene. Ma noi esseri umani abbiamo bisogno di sorprenderci, attribuire significati nuovi alla nostra esperienza di vita, di scoprire e di conoscere. Metti che decidiamo di vedere un film. Stiamo a casa, in compagnia delle nostre piattaforme modellate a nostra immagine e somiglianza, oppure ci lasciamo sorprendere dall’inatteso, sedurre da una curiosità. Poter scegliere è straordinario. L’amico condiscendente o quello stimolante? Da poco si è concluso a Bologna il secondo ANEC Lab, l’incontro tra esercenti e digital media manager promosso dall’Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici per parlare di nuove strategie di promozione del cinema visto in sala. Imperativo: (ri)portiamo la gente in sala. Tra i relatori, esponenti di major e digital media manager dei social più in voga, esercenti e Film Commission. Straordinario. Purché tra gli invitati, però, accanto agli amici condiscendenti, amici degli amici che ci sostengono e ci guidano anche a casa con i loro consigli confortevoli, trovino posto anche gli amici sorprendenti e stimolanti, in grado di farci proposte inaspettate e rivelatrici, portandoci altrove, scrostandoci dalla poltrona di casa. Altrimenti quale sarebbe il loro valore aggiunto? Perché dovrei spendere una serata in loro compagnia?
Il che, per restare in tema, vuol essere di buon auspicio per tutti gli esercenti, anche per quelli piccoli piccoli ma con grandi idee: siate in grado di sorprenderci, di motivarci a cambiare strada, a uscire a riprendere posto nel nostro cinema preferito. Alexa, stasera vado al cinema, non aspettarmi. Riccardo
Trioloinema
RASSEGNE
A testa alta Il boccone proibito
Circuito Cinema Venezia continua a proporre, dopo i tre film mostrati lo scorso agosto a San Polo, la sorprendente vivacità del cinema portoghese.
Il documentario Ama-San di Cláudia Varejão si svolge nel villaggio di pescatori giapponese di Wagu, dove, da più di 2000 anni, alcune coraggiose donne tra i 50 e gli 85 anni, si immergono in apnea per raccogliere perle, alghe, conchiglie e crostacei che poi vendono o mangiano. Il pericoloso lavoro di queste donne è fatto di ritualità, di mistero e di regole millenarie aperte a qualche modernità. Il documentario esamina con partecipazione questa comunità di queste donne, che non perdono mai comunque la loro femminilità, cementata da un forte senso di solidarietà.
Verão Danado, opera prima del giovane Pedro Cabeleira, racconta l’estate di Chico presso la casa di campagna dei nonni, in attesa di rientrare a Lisbona per cercare lavoro dopo essersi laureato. Un film di iniziazione, passaggio alle incertezze della vita adulta dopo le spensieratezze degli anni universitari, caratterizzati da studio ma anche da movide, party, musica, droghe e sesso libero. Il film è amaro e allegro, con uno stile caratterizzato da colori, luci stroboscopiche e sensualità. Diretto da Manuel Mozos, Ramiro racconta la storia di un poeta che gestisce una libreria a Lisbona. La sua vita metodica, priva di reali motivazioni ma non senza rapporti interessanti, un giorno viene scombussolata da colpi di scena degni delle soap opera da lui adorate. Tutto ciò che succede viene però vissuto con un apatico fatalismo dal protagonista, che si lascia trasportare dall’accadimento delle cose.
In Mosquito, di João Nuno Pinto, il diciassettenne Zacarias per dimostrare ai genitori di essere un vero uomo si arruola durante la Prima Guerra mondiale; invece però di andare sul fronte francese viene spedito in Mozambico. Allontanatosi dal suo plotone, si inoltra da solo in una giungla misteriosa per più di mille chilometri, venendo anche catturato da una tribù di donne. Il film – che si ispira a Conrad e quindi anche ad Apocalypse Now – ha una narrazione un po’ contorta, ricca di ricercati effetti sonori e visivi, che vuole mostrare la follia della guerra e del colonialismo nonché il progressivo smarrimento di Zacarias.
Vincenzo PatanèLuso - Mostra itinerante del nuovo cinema portoghese a Venezia 6, 13, 20 dicembre Videoteca Pasinetti www.culturacinemavenezia.it/cinema
Ultimo appuntamento dell’anno con MUBI x Combo, partnership che ha permesso agli ospiti di Combo Venezia, Torino, Milano e Bologna di assistere ad una proiezione al mese di film selezionati da MUBI.
L’ex Convento dei Crociferi, a pochi passi dal mercato del pesce di Rialto, dove ha trovato casa Combo, è diventato in breve un luogo di riferimento sia per i viaggiatori, che trovano ospitalità nell’ostello, sia per i cittadini e gli studenti che qui si incontrano per conoscersi, scambiarsi consigli sulla città, assaggiare i sapori del posto, scoprire nuovi artisti, ascoltare musica o semplicemente rilassarsi. Il luogo ideale per godersi un film in compagnia dunque, e a dicembre domenica 18, MUBI propone Shiva Girl, dark comedy di debutto di Emma Seligman, basata sull’omonimo cortometraggio del 2018 presentato in anteprima al SXSW e proiettato al TIFF Next Wave Film Festival.
Gli ingredienti di Shiva Baby sono alquanto stuzzicanti: c’è Danielle (Rachel Sennott) studentessa sugar baby, uno shiva, ossia un funerale ebraico, una relazione bisessuale, un adulterio e un concerto di violini paranoici ad accompagnare tutto il film, accrescendo il senso di claustrofobia e oppressione già dato dall’ambientazione, ovvero le quattro mura di una casa piena zeppa di invitati, dove il lutto si veste di glam. Il film si concentra da un lato sul disorientamento di Danielle di fronte alle costanti domande degli invitati circa il suo futuro, a cui la giovane non ha ancora saputo dare una prospettiva, e dall’altro segue le vicende extra coniugali con Max, il suo sugar daddy. La crescente tensione e esacerbazione di ogni evento, dal servirsi al buffet all’incontro con l’ex ragazza, è testimoniata dalla straordinaria mimica facciale di Rachel Sennott e dal suo linguaggio del corpo, che comunicano un costante stato d’apprensione, sempre intervallato da battute ciniche, perché Shiva Baby è, in fondo, una pellicola a metà fra il grottesco e il dramma, intrisa di irresistibile umorismo yiddish. C.S.
Lontano dagli occhi
Prosegue negli spazi di Emergency Venezia alla Giudecca la rassegna La guerra in casa, dopo il ciclo Le donne nella guerra e Dietro l’uniforme. Un viaggio introspettivo che attraversa il nostro stesso Paese, facendo rivivere il dramma dei due conflitti armati che hanno funestato il secolo scorso. «Quando abbiamo programmato la rassegna, agli inizi del 2022 – spiegano dallo staff –, mai avremmo immaginato che sarebbe scoppiata una nuova guerra dentro i confini dell’Europa, una guerra iniziata con l’invasione del Donbass da parte dell’esercito russo e che prosegue in maniera sempre più cruenta e distruttiva. Con la rassegna La guerra in casa, si intende ricordare a tutti noi che il male che abbiamo vissuto con i conflitti armati del ‘900 può ripresentarsi se non teniamo desta la memoria e se non costruiamo le basi per rendere definitivo il rifiuto della guerra come strumento per risolvere i conflitti fra gli Stati. La pace non è una condizione che si raggiunge una volta per sempre. La pace va coltivata». Il 14 dicembre ecco Achtung! Banditi! di Carlo Lizzani (1951): ex partigiano e già stimato sceneggiatore, con questo film Lizzani esordisce nel lungometraggio di finzione, quando il Neorealismo ha già dato alla luce i suoi frutti più maturi e si avvia per lo più verso una rilettura di stampo popolare innestata sui generi della commedia e del melodramma, confezionando una pellicola dall’afflato corale che non si concentra mai troppo a lungo su un unico protagonista, anzi sposta spesso il centro dell’azione e dedica tutto il tempo e lo spazio necessari ai vari personaggi.
Tiro al piccione di Giuliano Montaldo (1961), in programma l’11 gennaio, restituisce il ritratto di un giovane fascista che s’arruola nella X MAS della Repubblica di Salò e della sua tormentata presa di coscienza. Opera prima di Montaldo, è il migliore dei rari film italiani sul periodo 1943-45 visto dalla parte dei fascisti repubblichini. Una settimana dopo, il 18 gennaio, spazio ad un classico tra i classici come Tutti a casa di Luigi Comencini (1960), il cui restauro fu proiettato nel 2016 alla 73. Mostra del Cinema di Venezia. L’opera, coproduzione italo-francese della Dino De Laurentiis Cinematografica con la Orsay Films, sceneggiata da Age e Scarpelli con Marcello Fondato e lo stesso regista, annovera tra i protagonisti Alberto Sordi, Serge Reggiani, Carla Gravina, Eduardo De Filippo. L’oro di Roma, in calendario il 25, racconta un episodio veramente accaduto durante l’occupazione tedesca di Roma: il maggiore delle SS Kappler ‘promette’ ai capi della comunità israelitica che gli ebrei non saranno deportati se gli consegneranno cinquanta chili d’oro. A prezzo di gravi sacrifici, la richiesta viene soddisfatta. Non la promessa. Katia Amoroso
La guerra in casa 14 dicembre; 11, 18, 25 gennaio 2023 Emergency Venezia www.emergencyvenezia.org
BEATA INDIPENDENZA
Si è svolta il 28 novembre scorso a New York la cerimonia dei Gotham Awards 2022, che ogni anno premiano il cinema indipendente più innovativo e rappresentano il primo importante premio cinematografico della stagione autunnale.
Il tributo speciale di quest’anno è stato conferito alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia e al suo direttore artistico Alberto Barbera, per il costante sostegno offerto al cinema indipendente americano nel corso degli anni.
La premiazione è avvenuta nel corso della cerimonia e il riconoscimento è stato consegnato ad Alberto Barbera dall’attrice Julianne Moore e dal regista Todd Haynes, che hanno avuto parole di elogio.
Barbera ha dichiarato: «Vi ringrazio di cuore per questo prestigioso riconoscimento del nostro lavoro. Sostenere il cinema indipendente non è una scelta: è un dovere semplicemente perché i registi indipendenti sono il sale della terra. Sperimentano piuttosto che vivere di interessi, corrono rischi piuttosto che affidarsi a formule collaudate; innovano invece di riprodurre ciò che già conosciamo. Così facendo cambiano il modo in cui guardiamo il mondo».
Nell’annunciare il premio – che giunge nei 90 anni dalla nascita della Mostra – Jeff Sharp, direttore esecutivo del Gotham Film & Media Institute di New York, ha dichiarato: «É un privilegio conferire quest’anno il tributo dei Gotham Awards alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, il più antico e uno dei più influenti festival al mondo, e al suo direttore artistico Alberto Barbera. Oltre a presentare in prima mondiale alcuni dei più bei film dell’anno, Venezia ha aiutato in più decadi a far emergere il lavoro di filmmaker come Darren Aronofsky, Sofia Coppola, Matteo Garrone, Luca Guadagnino, Todd Haynes, Spike Jonze, Regina King, Ang Lee, Terrence Malick, Kimberly Peirce, Kelly Reichardt, Paolo Sorrentino, con proiezioni in prima mondiale».
I Gotham Awards 2022 hanno visto l’affermazione di Tàr di Todd Field, in Concorso alla 79. Mostra di Venezia, premiato per la migliore sceneggiatura, e Happening di Audrey Diwan (Leone d’Oro alla Mostra del 2021), premiato come Miglior film internazionale. Ai Gotham Awards 2022 erano stati nominati a vario titolo altri film presentati Venezia 79: All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras. Athena di Romain Gavras, The Banshees of Inisherin di Martin McDonagh, Bones and All di Luca Guadagnino, The Cathedral di Ricky D’Ambrose, Dos Estaciones di Juan Pablo González, Saint Omer di Alice Diop, The Whale di Darren Aronofsky.
REVIEW
L’osservatore acuto
Il cinema di Pietro Marcello è attraversato da una costante che si conferma, film dopo film: i suoi protagonisti hanno una predestinazione che se ne impossessa, costringendoli ad una nuova vita. Non è una forma di riscatto rispetto alla vita precedente, non è la conquista lenta e faticosa di una nuova identità: è piuttosto la scoperta di una bellezza nuova che letteralmente li porta ad emanciparsi e a vivere un’esistenza ad essa ispirata. Ne La bocca del lupo è l’amore tra il carcerato e la transessuale Mary che sconvolge i loro destini; in Bella e perduta è la missione del pastore Tommaso Cestrone di proteggere dalla rovina la reggia borbonica di Carditello; in Martin Eden la volontà del protagonista di istruirsi e dedicarsi alla scrittura per essere degno della donna che ama. Non sfugge a questa regola nemmeno la protagonista del nuovo film di Marcello, L’envol, girato in francese (titolo italiano Le vele scarlatte ), tratto da un romanzo del 1923 del russo Aleksandr Grin. Siamo nella Francia contadina del primo dopoguerra, e Juliette, giovane orfana di madre che vive con il padre reduce della Prima Guerra Mondiale, malvista dagli abitanti del villaggio per la sua natura di sognatrice, riceve da una maga la predizione che, un giorno, verrà portata via da “delle vele scarlatte”. Il film racconta nella prima parte l’attesa, nella seconda la realizzazione, di questa predizione e lo fa con un’impostazione narrativa ed estetica di evidente impronta francese, come se Marcello, che nei suoi film precedenti aveva puntato il suo realismo magico e favolistico su una Napoli e una Campania lontane da banalizzazioni e ovvietà, pagasse un debito al cinema di Jacques Rivette e di Jacques Demy (nel film ci sono parecchie scene musicali).
Il film, girato in 16 mm, incapsula la storia in una evidente esaltazione della natura circostante, e non lesina quindi inquadrature in luce naturale dedicate alla sfolgorante bellezza dei campi, dei boschi e dei ruscelli normanni. Anche se più di un critico l’ha considerato una caduta rispetto alla sobrietà estetica cui Marcello ci aveva abituato nei film precedenti, a noi sembra che anche questo film confermi il talento specifico di Marcello di mescolare realtà, finzione e surreale in una narrazione obliqua, che ci permette di afferrare quel che di straniante c’è, nelle cose della vita. F.D.S.
Le vele scarlatte Dal 12 gennaio 2023 al cinema www.comune.venezia.it
SUPERVISIONI
in mente il saggio di Kierkegaard
e tremore, che ho affrontato in questi giorni. Difficili entrambi, pieni di rimandi colti e sottintesi, allusioni e colpi di scena. Impossibili da decifrare senza una meditazione attenta.
Tentiamo di dare qualche chiave di lettura, perché Drive My Car va visto, è un autentico capolavoro.
È tratto dall’omonimo racconto di Haruki Murakami, contenuto in Men Without Women. Lo stesso Murakami all’anteprima milanese del film ha raccontato come la pellicola gli sia piaciuta così tanto da non saper distinguere ciò che era suo e ciò che aveva scritto lo sceneggiatore Takamasa Oe.
La prima scena non è introdotta da nessun titolo di testa, la protagonista Oto è un profilo nudo, un’ombra alla finestra su sfondo di città e montagna. Racconta al marito Yusuke una storia, uno storytelling, che ricorda la Sheherazade di Mille e una notte Incontriamo subito la terza protagonista della storia, una SAAB 900 Turbo rossa del 1987. Probabilmente la stessa età del protagonista maschile, vedremo poi che di identificazione si tratta. Yusuke è un attore e regista teatrale, sta preparando Aspettando Godot. Flash con una corda che si spezza, presagio di una prossima rottura. Poco dopo avviene la scoperta della moglie coinvolta in un amplesso con un giovane attore televisivo, di sottofondo una musica che è un rondò di Mozart, la scena riflessa in uno specchio. Finzione e vita. Il marito se ne va silenziosamente ed ha un incidente stradale. Gli esami di controllo rivelano che ha un glaucoma. La prima domanda al medico è: «Potrò ancora guidare?», perché l’auto è il suo laboratorio teatrale, è lì che si prepara aiutandosi con audio cassette. Poi, un colpo di scena: si scopre in una brevissima sequenza che la figlia di cinque anni era morta qualche anno prima. Suona un vinile, che si è bloccato e ripete a vuoto lo stesso motivo. È la loro vita ad essersi bloccata. Alla tv trasmettono un documentario sulla lampreda, un ‘non pesce’ che attacca altri pesci, incapaci di reagire. Oto, in altra brevissima sequenza, muore di ictus cerebrale. Partono i titoli di testa dopo quaranta minuti ed inizia un altro film, che narra dell’incontro tra Yusuke e il giovane attore amante della moglie. Ma questa storia non la racconteremo. Interessanti nel film in lingua originale i giochi linguistici. Le prove teatrali avvengono in inglese, tedesco, giapponese, coreano e il linguaggio dei segni. Non oso pensare cosa ne avverrà nella edizione italiana. La stessa ricca tecnica di rimandi e anticipazione, di storytelling fascinosi, il regista l’aveva applicata anche nel film precedente, che si può trovare su MUBI Il gioco del destino e della fantasia, Gran premio della giuria a Berlino nel 2021. Stupenda sfida delle parole contro le immagini o, se volete, il potere dell’ascolto unito alla visione. Qui sono Brecht e Stanislavskij che dominano e i quattro episodi sono una riflessione sul potere delle coincidenze. Loris Casadei
SISTEMA PLURALE
La scala del tempo a Venezia è dettata dai centimetri, più che dagli anni
Non è sempre facile uscire dal proprio ambito, in questo caso quello scientifico, della ricerca, dell’università, e porsi come interlocutore, o meglio, come ‘driver’ di una riflessione necessaria sulla città, Venezia, partendo dai cambiamenti climatici. Carlo Giupponi, professore di Economia Ambientale e Applicata presso il Dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari, attraverso un’analisi diretta, economica e scientifica e al contempo pratica, di chi vive a Venezia e ama i pregi e i difetti di questa città offre uno speciale punto di vista sulla sostenibilità al cambiamento, sull’analisi di uno scenario complesso e sulla valutazione integrata di un ecosistema fragile. Il suo libro Venezia e i cambiamenti climatici. Quale futuro per la città e la sua laguna? (Rizzoli, 2022) non è un trattato, ma una proposta di strade possibili da percorrere davanti all’evidente necessità della città di arginare fenomeni sempre più intensi e imprevedibili, sia dal punto di vista fisico che economico. L’ispirazione, o meglio, l’urgenza del libro è emersa con l’Aqua Granda del 2019, che ha raggiunto 187 cm sul livello medio del mare; la conferma dell’opportunità di scriverlo è stata la marea eccezionale, 200 cm del 22 novembre 2022, scampata in termini di disastro ambientale grazie all’entrata in funzione del MoSE, che ha portato il libro stesso a diventare un instant book richiestissimo, capace di mettere tutti davanti alla consapevolezza di dover agire per un futuro che è già oggi. Le soluzioni per salvare questa meravigliosa e unica “città anfibia” – alzare la città di 20 cm, cingerla con una cintura di pozzi e dighe, cioè polderizzare la laguna, ricreare parte della laguna stessa con barene per ripristinare l’equilibrio tra terre emerse e sommerse che mantengano inalterato lo scambio di acqua salata e dolce –, modelli solo in apparenza fantascientifici, sono concrete e possibili, studiate e già messe in opera in altre zone del mondo. Tuttavia le difficoltà stanno tutte nel percorso da compiere per dispiegarne con equilibrio gli effetti, percorso estremamente complesso che necessariamente deve essere caratterizzato, informato da una grande visione d’insieme e da un coinvolgimento allargato di tutti gli elementi del sistemacittà: sociale, economico e ambientale.
Unica certezza, l’innalzamento globale e inesorabile del livello dei mari. È tempo di prendere decisioni rapide e incisive, ne sarete anche voi convinti dopo aver letto il libro e, qui di seguito, ascoltato l’autore.
Un lavoro che è quasi un manifesto, capace di riflettere ed esporre in modo concreto e comprensibile al grande pubblico problematiche complesse e spesso banalizzate. Quali le ragioni e la necessità che l’hanno spinta a scrivere questo libro?
Il saggio su Venezia e i cambiamenti climatici è figlio del lockdown. Ero stato intervistato un po’ di volte all’epoca dell’Aqua Granda di tre anni fa e la casa editrice mi aveva contattato per sapere se fossi interessato a scrivere un volume. Mi era sembrata un’idea interessante e nuova per me, che sono abituato a scrivere brevi articoli su riviste internazionali per un pubblico specializzato. Poi è arrivato il lockdown che mi ha dato il tempo di studiare e scrivere. L’idea di imparare a rivolgersi a un pubblico vasto e italiano era stimolante. Ragione e necessità che percepiscono tutti quelli che come me studiano i problemi legati ai cambiamenti globali con quel senso di fru-
strazione che spesso ci affligge perché quel che diciamo e scriviamo non viene tenuto in considerazione dai politici, dagli amministratori e dagli operatori economici. Siamo chiamati solo in occasione di qualche evento eccezionale, ma poi nulla viene fatto di concreto per trasformare la nostra società in modo che possa essere resiliente agli impatti futuri.
Dai risultati di COP27 sul clima emerge che nessun Paese sta rispettando i target per contenere a 1,5 gradi l’aumento della temperatura a fine secolo e l’Italia pare messa peggio degli altri. Quali le ragioni di un endemico ritardo e disattenzione della politica su problemi acclarati ormai da decenni?
La dichiarazione finale di Sharm El-Sheikh è sicuramente deludente, ma non è una sorpresa né una novità. Le ragioni sono molte. Da sempre il cambiamento climatico è visto come un problema per le generazioni future e non per la nostra, per cui i politici di qualsiasi paese non sono motivati a intervenire, lavorando in un’ottica elettoralistica di breve o brevissimo periodo. Purtroppo la loro attenzione e quella dell’opinione pubblica si attiva solo in occasione di eventi climatici estremi (alluvioni, uragani, ecc.). Sarebbe sufficiente realizzare che costa meno prevenire i disastri, invece che curarli, per intervenire tempestivamente. Ma questo sistematicamente non succede.
Scienza e società/politica corrono su binari paralleli e a diverse velocità, spesso inconciliabili. Tuttavia attraverso le pagine del suo libro emerge in modo evidente come l’interdisciplinarità della ricerca, e di conseguenza dei soggetti in essa coinvolti, sia fondamentale per sviluppare modelli concreti di intervento. Quale secondo lei la strada da percorrere per un’azione concreta in una prospettiva globale, e quale, nel nostro specifico territoriale, per tentare di salvare Venezia?
La domanda è molto articolata e complessa e la risposta non può risultare naturalmente semplice. Ad ogni modo penso che si possa rispondere sia alle questioni globali che a quelle locali con un approccio simile e basato sull’analisi dei sistemi complessi. Non esistono soluzioni semplici; non esiste una sola soluzione, non
CARLO GIUPPONI
si può pensare di prevedere con certezza l’evoluzione dei nostri sistemi territoriali e quindi neanche essere certi delle conseguenze delle nostre azioni. Bisogna invece studiare pacchetti di misure che agiscano in direzioni diverse e che vengano implementate seguendo uno schema coordinato e articolato nel tempo. La caratteristica essenziale di queste strategie è la loro adattabilità all’evolversi del contesto. Le scelte e le decisioni di oggi non devono precludere la possibilità di scelte future diverse.
Nel suo libro vengono ripercorsi gli ultimi decenni della storia di Venezia, che corrispondono a grandi trasformazioni (MoSE, grandi navi, overtourism, spopolamento, innalzamento del livello dei mari) percepibili nella loro complessità solo in una piccola loro parte. Come un tema così trasversale quale il cambiamento climatico incide direttamente e profondamente nell’equilibrio di un ecosistema unico come Venezia e viceversa come fattori economici, politici e sociali concorrono a questa lenta ma inesorabile trasformazione ambientale?
Semplificando al massimo, possiamo dire che dal punto di vista dell’ambiente e dei cambiamenti climatici il driver fondamentale è rappresentato dal sollevamento del livello medio del mare. La scala del tempo a Venezia è dettata dai centimetri più che dagli anni. Il sistema climatico ha un’inerzia tale che non vi è il minimo dubbio che il mare si solleverà nei prossimi decenni. Entro la fine di questo secolo potrebbe sollevarsi ‘solo’ di mezzo metro se saremo estremamente efficaci nella lotta alle emissioni di gas serra, ma se invece continueremo a essere sordi come oggi di fatto siamo a questi palesi rischi potrebbe alzarsi di più di un metro. Venezia e la sua laguna non possono oggettivamente sopravvivere come sono oggi con questi cambiamenti in atto, di conseguenza anche tutti i fenomeni socioeconomici che ne caratterizzano l’esistenza cambieranno sostanzialmente.
Quali sono le azioni e i provvedimenti per la tutela ambientale di Venezia che concretamente hanno operato un cambiamento significativo e quali quelli previsti, o ancora meglio, auspicabili per il futuro?
Francamente non vedo tutti questi provvedimenti virtuosi per la tutela ambientale nel recente passato, anche se molto è stato fatto ad esempio nel campo del disinquinamento. Se parliamo in termini più generali di salvaguardia, è evidente che l’evento storico è stata l’attivazione del MoSE. Chiunque vive o lavora a Venezia ha ben percepito come le nostre vite siano cambiate, anche solo non sentendo più le sirene dell’acqua alta. Tutto cambia in città se l’acqua alta non è più un problema: le abitudini, i percorsi, la redditività delle attività commerciali... Inoltre, tornando a quanto dicevo prima, è molto interessante vedere come interventi relativamente piccoli, anche se complessissimi come le paratie di vetro attorno alla Basilica di San Marco, completino e integrino funzionalmente la macro-azione del MoSE, dimostrando che è la combinazione intelligente di interventi diversi che genera gli impatti positivi maggiori per la città, non singole soluzioni in sé e per sé.
Questa lunghissima estate, così come gli episodi climatici intensi sempre più frequenti che provocano danni ingenti,
è possibile considerarla un termometro reale di uno strutturale cambiamento climatico in atto?
Basta osservare i dati degli ultimi 20-30 anni per vedere come il clima “medio” non esiste più; quasi ogni anno superiamo i valori estremi che misuravamo in passato. L’estate 2022 in Europa è stata la più calda di sempre e ha battuto i record precedenti del 2018, 2010, 2003. Le 10 estati più calde si sono verificate tutte durante gli ultimi 20 anni. Quest’anno le ondate di calore hanno poi interessato praticamente tutto il continente e sono state accompagnate da una siccità a dir poco impattante. Quello che impressiona è la velocità sempre maggiore di questo cambiamento, che supera anche le proiezioni più pessimistiche degli scienziati.
«A Cortina non ci sarà più neve nel 2036». Lo studio effettuato nella Provincia di Belluno col metodo SERRA (Socio-Economic Regional Risk Assessment), presentato durante il rapporto “Stato dei servizi climatici 2022” dell’OMM (Organizzazione meteorologica mondiale), ha tratto delle conclusioni scientifiche allarmanti. Quali gli esiti complessivi di questo studio e quali i rimedi per invertire la rotta? Questa è una storia emblematica che dimostra quanti problemi abbiamo con la comunicazione. Giornali ed esperti hanno parlato della “neve bagnata” che impedirà le Olimpiadi di Cortina del 2026. In realtà il nostro studio (n.d.r.: realizzato dalla Venice International University, in collaborazione con il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Globali e con il supporto di Fondazione Enel) analizzava i rischi climatici su diversi comparti economici della provincia: occhialeria, turismo estivo, sport invernali e distribuzione dell’energia elettrica. La neve bagnata è uno degli indicatori che abbiamo calcolato per il rischio per le linee elettriche, non per gli sport invernali. Per questi ci siamo invece concentrati sul numero di giorni con presenza di almeno 30 cm di neve naturale al suolo e sul numero di giorni idonei alla produzione di neve naturale. Nessuno può dire se ci sarà neve o no nel 2036. Sicuramente ce ne sarà meno che in passato a quote medio basse, ma come sempre si registreranno naturali variazioni di anno in anno. Quello che il nostro studio ha evidenziato è la criticità di alcuni aspetti, come la disponibilità di un periodo freddo in novembre e dicembre per costruire il fondo delle piste con neve artificiale. Se salta questa finestra rischia di saltare l’in-
tera stagione. Quest’anno, con temperature relativamente molto elevate nella prima metà di novembre, ci siamo andati vicino.
Quanto importante è per la risoluzione delle problematiche lagunari attuare un piano che coinvolga una macro-area regionale e sovra-regionale, segnatamente perlomeno l’intera Pianura Padana? Il “Sistema Venezia” può essere analizzato a scale diverse: da quella della città storica a quella del sistema lagunare, da quella regionale fino a quella globale. Un livello di importanza cruciale è quello dell’area metropolitana costituita dagli ambiti territoriali delle città di Venezia, Padova e Treviso; quindi niente a che fare con i confini meramente amministrativi della Città Metropolitana di Venezia. Le scelte fondamentali in termini urbanistici e infrastrutturali andrebbero fatte a quella scala, ma purtroppo non abbiamo dei limiti amministrativi che seguano le reali funzioni economiche e sociali dei nostri territori.
Quale futuro per la città e la sua laguna prevede e quale si auspica?
Le persone che si occupano seriamente di cambiamenti globali non usano mai il termine previsione. Si parla, si ragiona invece in termini di scenari e in quest’ottica nel mio libro ho cercato di analizzare diversi futuri possibili per la città. Penso che tutti vorrebbero garantire un futuro a Venezia come città, ma le tendenze attuali vanno verso una progressiva desertificazione del tessuto sociale. Solo con un’iniezione di nuovi e giovani abitanti la città si può salvare in quanto tale; altrimenti rimane solo la decisione se salvare o meno le strutture fisiche della città in qualità di museo a cielo aperto. I settori dell’università, della ricerca, ma anche quello delle arti sono fra quelli più dinamici e reattivi alle opportunità che si possono offrire per qui operare e risiedere. Penso quindi sia in quella direzione che si dovrebbe andare, ma, di nuovo, bisogna conoscere la complessità del sistema in cui si deve intervenire. Si parla ad esempio di raddoppiare il numero di studenti; bene, ma quali sono le condizioni minime, in termini di alloggi, di offerta di formazione di livello internazionale, di infrastrutture, che possono permettere di raggiungere un tale obiettivo? Risolvere tutti i problemi meno uno porterebbe al fallimento ed è su questo che bisogna riflettere per fare delle scelte tempestive, visionarie e coraggiose.
CASA EDITRICE MOLESINI
The Poetry Society
Intervista Andrea Molesini«FIRMITAS, UTILITAS, VENUSTAS / solidità, praticità, bellezza» è questo il logo di una casa editrice appena nata a Venezia e in questo motto di Vitruvio è racchiusa tutta la filosofia del suo creatore, Andrea Molesini.
In una città sempre più spopolata e priva d’identità, vittima di un esodo continuo dei suoi abitanti verso la terraferma e al tempo stesso di un’incessante invasione di turisti, lo scrittore veneziano ha deciso di lavorare qui, di investire in cultura, in totale controtendenza rispetto alla monocultura turistica.
Molesini è uno scrittore affermato e un importante traduttore. Ha insegnato Letterature comparate all’Università di Padova. Affermato saggista, ha scritto fiabe e romanzi per ragazzi vincendo il Premio Andersen alla carriera. Nel 2010 ha pubblicato Non tutti i bastardi sono di Vienna, il suo primo romanzo, edito da Sellerio (Premio Campiello e Premio Comisso 2011), cui hanno fatto seguito La primavera del lupo (2013), Presagio (2014), La solitudine dell’assassino (2016), Dove un’ombra sconsolata mi cerca (2019) e Il rogo della Repubblica (2021).
Venezia è la città di Aldo Manuzio, primo editore moderno, il più grande, umanista illuminato. Molesini porta avanti questa tradizione, questa potente eredità culturale attraverso la scelta coraggiosa di pubblicare soltanto opere di poesia, rivitalizzando così il ruolo dell’espressività lirica nella società contemporanea, nella vita letteraria italiana, con l’intento di rivolgersi a un pubblico più vasto di quello dei fedeli appassionati di un genere letterario sempre più materia per pochi. La poesia, si sa, vende poco, ma per Molesini in realtà è la poesia la regina della letteratura. Libri raffinati, in formato tascabile, carta di altissima qualità, rilegata e cucita a mano, con bellissime copertine dai colori vivaci firmate da Giacomo Callo, senza immagini, che riportano solo il cognome dell’autore in verticale a caratteri cubitali, font “Baskerville Original”. Un minimalismo che colpisce.
Le uscite, in questo ultimo scorcio del 2022, sono cinque, nel 2023 saranno dieci. Si passerà da autori famosi come Fernando Pessoa a esordienti italiani e stranieri, fino ad autori ingiustamente dimenticati.
Perché abbiamo ancora bisogno della poesia?
Perché la poesia è bellezza e la bellezza, per dirla con le parole di Dostoevskij, salverà il mondo. La poesia è necessaria, l’animo umano non può, non sa farne a meno. La sete di poesia è inscritta nel nostro DNA, anche se troppo spesso per pigrizia o codardia ce ne scordiamo: godere del bello obbliga a pensare e non c’è attività
umana che sia più faticosa del pensiero. «Si fatica più a pensare che a faticare» dice Gadda nella Madonna dei filosofi. «La poesia è il fine ultimo della nostra specie» (Brodskij), la più forte assicurazione disponibile contro la volgarità del presente, di ogni affollato presente, un antidoto che si oppone alla macina del quotidiano, alla pervasiva onnipresenza della banalità.
Quali raccolte ha già pubblicato e quali le prossime novità editoriali?
Nelle librerie si trovano i primi cinque titoli: Fernando Pessoa, Messaggio, nella splendida e rigorosa traduzione di Francesco Zambon; Gioconda Belli, Il pesce rosso che ci nuota nel petto, una coraggiosa, originale radiografia del rapporto di coppia, sia esso amore clandestino o coniugale; Emmanuel Moses, Oscuro come il tempo, un inno alla vita, dove la selva oscura del tempo viene attraversata con sguardo sornione e talvolta persino beffardo; Bianca Tarozzi, Devozioni domestiche, poesie ricche di sprezzature, ìlari, argute, a un tempo felici e malinconiche, «Era un’anomalia / in quell’epoca ingrata / la poesia»; Jozefina Dautbegovic´, Il tempo degli spaventapasseri, un libro che narra il conflitto serbo-bosniaco, in cui la guerra è un luogo dove si parlano lingue straniere di giorno, ma si piange nella lingua madre di notte. A gennaio 2023 usciranno due libri di autori italiani: le poesie di Gilberto Sacerdoti, Peltro e argento, esempio di rara finezza espressiva, e un saggio di Francesco Zambon che illustra la poetica di Montale con sorprendente vivacità, L’iride nel fango: L’anguilla di Eugenio Montale. A marzo altri tre volumi: Da una fessura di abbaino, che raccoglie le poesie appassionate e appassionanti di Alfredo Rizzardi, il grande anglista dell’Università di Pisa scomparso nel 2004; Il solo fratello. Ritratto di Goffredo Parise di Nico Naldini, un racconto vivacissimo, ricco di aneddoti a tratti esilaranti, che disegna in modo fresco e salace la società letteraria di Gadda e Montale, Parise, Comisso e Pasolini; Il viandante cherubico, di Angelus Silesius, una scelta di aforismi dal sapore eretico, ironici e sfrontati, fatta da un germanista di rango, Gio Batta Bucciol.
La poesia è la più forte assicurazione disponibile contro la volgarità del presente, di ogni affollato presente
Chi sono i suoi collaboratori nella Casa Editrice Molesini? Innanzitutto mia moglie Rossella, che organizza gli eventi e cura tutte le relazioni pubbliche e il rapporto con gli autori e i curatori, poi Bianca Tarozzi, Francesco Zambon e Gilberto Sacerdoti, autori, amici e consiglieri della Casa Editrice. Un gruppo di veneziani a cui si vanno aggiungendo i poeti e i saggisti che via via pubblichiamo, che con grande generosità stanno mettendo la loro esperienza e il loro sapere a disposizione di questa sfida. È un progetto editoriale che sembra già suscitare un bell’entusiasmo.
Qual è il panorama della poesia in Italia? Sta nascendo una nuova generazione di poeti?
Sì, sono molto ottimista. Si stanno formando alcuni poeti e poetesse originali, che meritano tutta la nostra attenzione e il nostro incoraggiamento.
In un’epoca in cui tutto è immateriale, liquido, voi avete creato, in controtendenza, un oggetto-libro curatissimo. Come sono stati ideati questi libri? Molto merito va a Giacomo Callo, indiscutibile maestro della grafica editoriale italiana, che ha disegnato le nostre copertine e scelto il formato. In definitiva ha saputo interpretare mirabilmente il nostro logo, che è il motto di Vitruvio: «FIRMITAS, UTILITAS, VENUSTAS / solidità, praticità, bellezza».
La città di Aldo Manuzio ha bisogno di uno scarto netto rispetto alla realtà in cui attualmente langue. Potrebbe essere questa la vera svolta per la città, ossia investire finalmente e seriamente in cultura. Venezia può davvero (ri)diventare la città del sapere? Città del sapere? Certo! Credo che questo dovrebbe essere un cammino da intraprendere. Non possiamo, non dobbiamo arrenderci all’idea di essere un sito archeologico, una città mummificata nel suo destino di postribolo per turisti.
Anche il Premio Strega aprirà una sezione dedicata alla poesia. Può essere letta questa decisione come una derivazione diretta dell’inizio della rivincita di questa forma letteraria per troppo tempo ‘trascurata’? Speriamo, è comunque un bel segnale, molto significativo. Un primo passo, un sussurro ribelle, un piccolo squarcio nell’oscurità della selva. Paul Valéry: «Gli dèi concedono la grazia di un verso, ma poi tocca a noi produrre il secondo». Elisabetta Gardin
Ultimi due appuntamenti dell’anno al Bookshop di M9 – Museo del ‘900 di Mestre, il 14 e 15 dicembre, con le presentazioni di due libri, rispettivamente Re Mida. La mercificazione del pianeta di Paolo Cacciari, e Venezia in divenire. Percorsi dell’Età contemporanea di Franco Vianello Moro, Carlo Rubini, Giorgio Crovato.
Paolo Cacciari, attivista dei movimenti ambientalisti, presenta un saggio che chiarisce teoria e prassi di un’emergenza climatica figlia del consumismo. Non esiste titolo più appropriato, Re Mida è il mito dell’avidità: colui che è accecato da una facile acquisizione di ricchezza finisce in un vicolo cieco, un cortocircuito che lo porta a non vivere, questo è il meccanismo in cui la società è bloccata. È necessario sradicare dai domini economici l’esclusività delle decisioni politiche fondamentali, per il benessere del Pianeta e dell’umanità. «Dobbiamo fare un lavoro spirituale, una individuazione dei bisogni fondamentali, che non sono quelli imposti dal condizionamento capitalista. In questo senso la decrescita non è un arretramento – scrive Cacciari – ma una liberazione. Dobbiamo vivere con meno quantità, che non vuol dire vivere con meno qualità. Serve un’economia del dono e delle relazioni, parliamo di amore, di empatia e di condivisione».
Una riflessione necessaria e urgente e sul futuro cede il passo a un momento di dovuta contemplazione del passato con il libro Venezia in divenire. Percorsi dell’Età contemporanea, nato dall’intento degli autori di documentare, attraverso le fotografie di Franco Vianello Moro e i testi di Giorgio Crovato e Carlo Rubini, la Venezia che parte dall’Ottocento e arriva fino a oggi, conservando la sua essenza in divenire, mai abbandonata. Nel corso del tempo Venezia si è trasformata, è passata da uno stato all’altro, si è evoluta e sviluppata. Questo sviluppo è qui analizzato attraverso un’indagine sulle costruzioni, industriali o civili, il “nuovo” che deve necessariamente essere innestato nel “vecchio”, dilemma tra l’adeguare all’esistente e l’operare una cesura con il passato.
M9bookshop 14, 15 dicembre h. 17.30 M9 – Museo del ‘900-Mestre www.m9museum.it
In punta di matita
Intervista Delphine TrouillardUn lockdown e una magnifica bambina, Mathilde, anzi due, la più piccola è Louise, hanno spinto Delphine Trouillard, forte di una esperienza eclettica, dalla matematica all’arte contemporanea, per arrivare alla comunicazione, a traghettare le sue passioni – i libri – in un progetto ambizioso e sorprendente. Matita è una piccola casa editrice di libri illustrati che propone di pubblicare silent book particolari per i più piccoli ma anche per i più grandi. Un progetto aperto che vi sorprenderà.
Com’è nata l’idea di Matita?
La primissima idea è nata durante il primo lockdown nell’aprile 2020, quando mia figlia Mathilde aveva poco meno di sei mesi e iniziò a guardare molto precocemente i libri per bambini. Ho comprato su Amazon, perché all’epoca non si poteva fare diversamente, una serie di libri per piccolissimi ma anche per bambini dai tre anni in su, più per me che per Mathilde all’inizio: l’editoria infantile è un mondo che mi affascina molto e volevo approfondirne la conoscenza. Mi sono accorta che almeno l’80% dei libri che mi sono capitati per le mani erano stampati in Cina. Ho cominciato a riflettere su questo fatto, continuando a indagare personalmente: ogni qualvolta incappavo in una nuova libreria controllavo sempre la quarta di copertina dei libri per bambini per capire se fossero veramente tutti prodotti in Cina e se amici e conoscenti fossero al corrente di questa cosa. Ebbene sì, ho riscontrato che l’80% dei libri vengono stampati in Cina, o almeno al di fuori dei confini europei, e nessuno sembra farci caso; è come se l’editoria avesse un’etica tutta sua. Riscontro un rigore ferreo in tema di giocattoli per i più piccoli, che devono essere realizzati con materie rispettose del bambino e dell’ambiente, prodotti preferibilmente in Italia. Perché per i libri per bambini non esiste la stessa attenzione? Così ho iniziato a pensare all’opportunità di creare un mercato nuovo, più rispettoso ed etico. Ovviamente il proposito era pari a quello di scalare l’Everest; non potevo certo pensare di cambiare le regole del mercato editoriale infantile in Italia o le dinamiche di produzione globale. Tuttavia potevo capire quali libri mancavano nel mercato stesso, a livello di contenuti soprattutto e di ricerca nella produzione.
Nel frattempo Mathilde è cresciuta e ha iniziato a camminare. Osservavo le sue conquiste quotidiane e pensavo a quali strumenti potessero accompagnare meglio la sua crescita fisica e mentale. E tornavo sempre al punto di partenza, alla mia passione fin da piccola: la risposta era ancora nei libri, libri diversi, che parlavano della
Photo Marco Cappellettiquotidianità, della casa, della cucina, della cameretta, della strada verso la scuola, della scuola stessa e della città che c’era intorno. E che città! La fortuna era di vivere a Venezia e ogni particolare, ogni angolo, la stessa strada era lastricata di sorprese e di curiosità che potevano trasformarsi in gioco o in semplice ‘segno’. Quando Mathilde ha fatto i primi passi, mi sembrava avesse un modo di sfruttare il terreno tutto particolare che nessun adulto riesce a emulare. Mi è venuto in mente, così, che potevo raccontare storie legate allo spazio, o meglio, all’architettura quotidiana. Un libro di architettura per bambini? Sembrava folle, ma pensavo ad un approccio molto naturale: un libro sull’osservazione, una narrazione in cui l’architettura è il filo conduttore, in cui ogni bambino poteva riconoscersi e riconoscere gli elementi della propria vita quotidiana. Non più animali, favole, mondi magici, ma linee di osservazioni particolari e familiari.
E poi, Venezia...
Camminare, spostarsi, giocare: tutte cose normali per un bambino, che diventano straordinariamente uniche a Venezia, dove i bambini si muovono diversamente rispetto alle altre città, tra acqua e fondamenta, ponti e campi. Tuttavia il mio progetto di una nuova collana di libri a misura di bambino doveva andare oltre l’unicità di Venezia, o meglio, mantenere un certo grado di universalità, guardando anche a quelle che
sono le caratteristiche e le esigenze di altre città, di altre architetture, per permettere così a questi libri di parlare a tutti i bambini in qualsiasi parte del mondo. C’è un’altra cosa che ritenevo fondamentale del mio progetto: i libri dovevano essere esclusivamente ‘muti’, dei silent books, senza testo, con solo delle immagini. Questa scelta è stata determinata dal fatto che io sono francese e il mio compagno italiano: a casa parliamo due lingue diverse e nessuno si trova a proprio agio nel raccontare una storia in un’altra lingua. Ci troviamo con Mathilde e ora anche con Louise, la secondogenita, a raccontare le immagini con la possibilità di inventare storie diverse ogni sera. È stata insomma una scelta all’inizio dettata da un problema linguistico, o per meglio dire da una condizione personale e contingente che si è poi trasformata in gioco, esercizio quotidiano di fantasia. Essendo progressivamente entrata nell’idea di poter costruire libri con queste caratteristiche, ho iniziato a studiare le peculiarità dei libri senza testo e mi sono resa conto di come un libro di questo genere per un bambino dell’età di mia figlia, dai 3 anni in su, che ancora non sa scrivere e che quindi non sa leggere, sia un aiuto preziosissimo per sviluppare un vocabolario, il senso dell’osservazione e per essere in grado di fare delle comparazioni, individuare somiglianze, interpretare segnali e situazioni che può trovare sulla sua strada. Tutta una serie di informazioni per cui c’è bisogno di un apprendimento intuitivo, non scolastico.
Come sei passata dall’idea all’atto pratico?
Il progetto si è subito ammantato di un ideale che ho cercato di sviluppare nel modo più coerente, naturalmente in una chiave il più possibile sostenibile e solidale. Primo step: creare una nuova e personalissima casa editrice, che ho voluto chiamare Matita. Secondo, costruire una squadra di amici e supporters. Terzo, prevedere una produzione al 100% locale, con stampatori veneziani, rinomati per il loro know-how e la loro eccellenza produttiva. Una politica eco-responsabile nella scelta della carta, con marchio FSC (Forest Stewardship Council) che certifica la gestione sostenibile delle foreste da cui proviene. Quarto, una distribuzione solidale. Ho deciso infatti di riservare una parte della tiratura dei libri che pubblicherò a un’associazione che lavora con bambini che sono esclusi dai flussi normali della cultura perché costretti in ospedale o in situazioni di difficoltà economica o di disagio sociale, o ancora confinati in prigioni o in campi profughi. Ogni dieci libri venduti uno sarà donato a un’associazione, molto probabilmente a Mission Bambini, attiva in Italia e in svariati altri Paesi del mondo.
Quale la squadra coinvolta nel progetto?
In questa avventura ho deciso di essere affiancata da Luca Mostarda e Stefania Agostini, due architetti fondatori di AMArchitectrue, che hanno negli anni curato molti progetti di diversa natura. Quando gli ho presentato il progetto si sono subito sentiti a proprio agio: anche loro sono genitori, precisamente di due bambini di 3 e 5 anni, pienamente in target quindi. Luca e Stefania si occupano soprattutto di sviluppare la storia, o meglio, lo storyboard, lavorando molto di squadra. Per la parte visual non potevo che coinvolgere la mia amica Catherine Cordasco, bravissima illustratrice italo francese che vive attualmente a Valencia e che il vostro magazine conosce e apprezza (n.d.r. ha illustrato The BAG – Biennale Arte Guide 2017). Catherine ha illustrato tantissimi libri per bambini con diversi tipi di creazioni, ma da qualche anno si sta appassionando all’architettura. Il
MATITA
fatto che anche lei si stesse focalizzando sulla raffigurazione di porte, finestre, palazzi e strade mi interessava e incuriosiva molto. Unire il suo punto di vista con quello dei due architetti mi è parso subito di grande stimolo per tutti e mi ha confermato la potenza aggregante di Matita. Loro, quindi, svilupperanno la parte editoriale del primo libro, il cui titolo è 1. Tutta l’immagine visiva e grafica della casa editrice è stata affidata invece a Leonardo Sonnoli, uno dei creativi più accreditati in Italia, con cui ho lavorato in diverse situazioni.
Per quanto riguarda tutti gli altri aspetti burocratici e di finanziamento del progetto, sono solo io ad assumermi oneri e onori.
A cosa si deve la scelta del nome di questa neonata casa editrice?
Si chiama Matita perché cercavo un oggetto che potesse accomunare un bambino, un architetto e un illustratore, e ovviamente la cosa più semplice che li unisce è per l’appunto la matita. Tutti e tre la utilizzano per dare forma alle proprie idee. In più questa avventura è chiaramente ispirata da Mathilde, volevo quindi un nome che in qualche modo potesse richiamare il suo.
Su quali basi stai costruendo il progetto?
Avviare quest’avventura è davvero una scommessa, a maggior ragione in un momento storico come questo. Bisogna essere veramente pazzi, o molto coraggiosi. Aprire una casa editrice che stampa libri estremamente ‘curati’ nel 2022, quando la carta costa almeno il 50% in più rispetto a qualsiasi momento storico precedente, è certamente un po’ folle. Avevo un budget personale limitato da investire ed è stato utilizzato nella start up, cioè nella creazione della casa editrice stessa. Ho cercato di capire come finanziare il progetto e uno dei modi più virtuosi, che permette tra l’altro di assecondare al meglio l’identità del progetto votata, come dicevo, al rispetto dell’ambiente e soprattutto a uno sviluppo sostenibile a 360 gradi, era quello di avviare una campagna di crowdfunding che sto preparando da più di un anno e che sarà resa pubblica il 6 marzo 2023. Tale campagna non consisterà in un mero appello a fare una donazione per permettermi di pubblicare i libri, ma sarà piuttosto configurata come una vera e propria azione di prevendita: chiunque decide di contribuire a questo progetto riceverà una copia del primo libro, insomma. Oltre al libro, il sostenitore di Matita potrà poi comprare altre cose; sto lavorando a una linea di piccoli quaderni e ad altre sorprese ancora che verranno comunicate un po’ alla volta. In preparazione di questa campagna ho creato una pagina web, profili sui social network e dei progetti speciali per formare una comunità di persone “amiche di Matita”. La campagna aiuta a guadagnare visibilità e a far nascere poi altri volumi. Ho altri progetti in mente e ho già contattato altri illustratori e architetti con cui collaborare nei prossimi libri ( 2, 3, 4...).
A questo punto siamo curiosissimi: quando uscirà 1? La previsione di uscita è per la Biennale Architettura 2023 e le copie saranno spedite a tutti i sostenitori del progetto. Mariachiara Marzari
Conosciuto come il paese delle fiabe e popolato di quasi settanta affreschi il piccolo borgo di Sarmede è oggi un luogo che sprigiona una poesia propria. Come ha fatto un piccolo paese di 3mila abitanti nascosto nelle Prealpi trevigiane a diventare uno dei più importanti centri dell’illustrazione per l’infanzia? Questa è una storia che assomiglia ad una favola e che inizia nel 1967, quando in fuga dalla Cecoslovacchia l’artista Šteˇpán Zavrˇel decide di stabilirsi a Rugolo, frazione di Sarmede. Da quel momento la sua casa diventa un punto di riferimento per molti artisti provenienti come lui dall’Europa dell’Est, ma non solo. In poco tempo Zavrˇel trasforma quest’angolo di mondo riunendo attorno a sé illustratori, scultori, pittori e scrittori di diverse nazioni. Nel 1983, dietro suo impulso, nasce la Mostra Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia (oggi Le immagini della fantasia ) a cui si affianca nel 1988 la Scuola internazionale d’Illustrazione. Nel Museo Zavrˇel, inaugurato dopo la sua morte avvenuta nel 1999, sono oggi inoltre raccolte circa ottanta delle sue opere più significative. Giunta alla 40. edizione, Le immagini della fantasia presenta quest’anno 350 opere realizzate da oltre trenta illustratrici e illustratori provenienti da 15 Paesi. Il tema della rassegna, che proseguirà fino al 19 febbraio 2023, è Sogni, ricordi e altre poesie che, come suggerisce il curatore Gabriel Pacheco, fa riferimento alla profondità e al silenzio che doveva esserci «al principio dell’universo, tale da indurci a indagare, immaginando quello che non si vedeva, enunciando quello che non si udiva». La sezione speciale Panorama. La sostanza poetica si sofferma sui mondi visivi nati dalle voci dei poeti, dai sogni e dai ricordi dell’infanzia, mentre con Storie d’amicizia e d’arte la Mostra rende omaggio ad alcuni noti illustratori legati a Sarmede, come Jindra C ˇ apek, Emanuele Luzzati, David McKee, Kveˇta Pacovská, Józef Wilkon´, oltre allo stesso Šteˇpán Zavrˇel. Si potrà inoltre ammirare una selezione di libri realizzati da Joanna Concejo, artista di riferimento dell’illustrazione contemporanea e ospite d’onore di questa edizione, dall’opera prima Il Signor Nessun (2008) al più recente Senegal (2022), pubblicati dalla casa editrice Topipittori. Marisa Santin
Siamo fatti di tante cose, ma proporrei l’ipotesi che siamo fatti principalmente di poesia. Siamo sostanza, rumore, stato indefinito Gabriel Pacheco
PAROLE a cura di Renato Jona
RICORDA! et cc...
Nel primo mese dell’anno ricorre una data molto importante per le nostre vite: il 27 gennaio.
Si tratta, come è noto del Giorno della Memoria, in ricordo «dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti».
L’articolo 1 della legge che l’ha istituito sancisce con precisione cosa dobbiamo ricordare: «La Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che anche in campi e schieramenti diversi si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita, hanno salvato vite e protetto perseguitati».
Merita riportare il testo dell’articolo 1 della legge istitutiva, come indicato qui sopra, perché ogni riassunto di una legge rischia di contenere imperdonabili omissioni che provocherebbero limitazioni o alterazioni del senso, del significato, dell’estensione o dello spirito della norma stessa.
Il 27 gennaio, vale la pena ripeterlo per i più giovani, è frutto di una scelta, di una riflessione intelligente, della constatazione di una necessità: richiama la data dell’abbattimento dei cancelli del Campo di sterminio di Auschwitz, avvenuta ad opera dalla 60. Armata dell’esercito sovietico.
Ricordando tali tragici eventi, spesso si sente semplificare la “svolta” italiana antisemita come fosse la “traduzione” italiana di un discorso tedesco, mentre in realtà «si tratta di un prodotto peculiare italiano, dotato di una sua autonomia e di una sua coerenza, strutturalmente caratterizzato da elementi culturali che complessivamente risultano ancora fortemente presenti nella società italiana», ha osservato Lev Poljakov a metà del secolo scorso. Non dobbiamo ignorare che in Italia si succedettero una nutrita serie di pubblicazioni “preparatorie” (il pamphlet di Paolo Orano, intitolato: Gli Ebrei in Italia ), numerose pubblicazioni su razza e stirpe, ovviamente la pubblicazione dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, note autografe di Mussolini, il Manifesto degli Scienziati, finché, nel settembre 1938 si giunse alle famigerate Leggi Razziali. Non è qui il luogo di passare in rassegna la copiosa legislazione in difesa della “razza italiana” che, con un impressionante crescendo, nel silenzio e nell’indifferenza generale, arrivò a una prima emarginazione degli ebrei e poi ad una successiva materiale estromissione dai pubblici uffici e dalla scuola, dal divieto di esercitare tutte le attività lavorative (arti, professioni, attività varie), alla esclusione dalla società civile, al divieto di possedere beni, di avere persone alle proprie dipendenze, di possedere aziende, immobili, persino radio, ecc. E progressivamente non solo sono stati considerati cittadini italiani di categoria inferiore, ma addirittura “nemici della Patria” e pertanto individui da arrestare!
Le persone che hanno vissuto quelle tragiche esperienze oggi sono quasi completamente scomparse. Pochi oggi possono direttamente RICORDARE che all’epoca tutti i cittadini non godevano più di libertà di espressione del proprio pensiero, ma la vita era scandita da indirizzi, regolamenti, obblighi, che si estendevano persino al vestiario. Era lecito soltanto obbedire agli ordini del Partito Fascista (unico partito!). Adesso, dopo tanti anni, abituati alla massima libertà democratica, in Italia si è avvertito il fascino di allontanarci, nelle ultime elezioni, dalla situazione in atto per ritornare verso orientamenti e strutture
all’apparenza più attraenti, ordinate ed efficienti. Ma questo ritorno al passato può presentare aspetti purtroppo tutt’altro che tranquillizzanti.
La legge della Memoria non ha soltanto valore di un rispettoso ricordo verso le vittime di un passato regime, ma contiene l’invito, quasi l’obbligo di ricordare, e ciò costituisce l’antidoto per evitare ripetizioni di tragici errori passati.
RICORDARE, quindi, non è soltanto un verbo rivolto al passato, ma è un imperativo che estende la sua efficacia al prossimo futuro, costringendoci a non volgere lo sguardo dalle conseguenze di certi errori che tristemente abbiamo già sperimentato.
«Chi non ricorda la storia è condannato a ripeterla» diceva Edmund Burke già nel 1700.
Questo saggio concetto è stato successivamente ripreso dal filosofo George Santayana, nel secolo scorso e il suo richiamo, attualmente tradotto in trenta lingue, ammonisce il visitatore sul monumento posto all’ingresso del Campo di sterminio di Dachau.
Lo stesso pensiero, espresso in forma più dettagliata e semplice, possiamo riscontrare negli scritti di Primo Levi: «Tutti coloro che dimenticano il passato sono condannati a riviverlo! – e aggiunge – se comprendere è impossibile, conoscere è necessario perché ciò che è accaduto può tornare. Le nostre coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate, anche le nostre».
«Ho tanti amici ebrei», si è sentito dire di recente, per allontanare sospetti di vicinanza ideologica al regime che ha promulgato in Italia le Leggi Razziali.
È chiaro, tuttavia, anche se, per la verità, è pleonastico dirlo, che l’avere amicizie ebraiche o con lo Stato di Israele, non costituisce assolutamente una garanzia in tal senso.
Si pensi questo, ad esempio, forse ha garantito in qualche modo la popolazione ebraica il fatto che Mussolini avesse note amanti ebree?
Tanti storici hanno sottolineato il fatto che alla fine della guerra (1945) in Italia è mancato un processo analogo a quello che si è tenuto in Germania a Norimberga.
Il quale, tra le altre cose, ha segnato una cesura, un punto fermo dal quale ricominciare la vita della Nazione, senza dannosi traini dal periodo spaventosamente nero.
Questa grande omissione italiana non ha consentito, forse, di elaborare gli errori e le perversioni commesse e di ricominciare la vita su un nuovo binario senza nostalgie o sbavature.
«Fare memoria – ha detto il Presidente Mattarella – non significa soltanto ricordare e onorare, doverosamente, il sacrificio di milioni di persone innocenti, vittime di una violenza fanatica, spietata, disumana. Tramandare la memoria di quei fatti vuol dire contribuire a creare una cultura della pace, della tolleranza, del rispetto, della comune appartenenza al genere umano. Coltivare la storia e diffondere la memoria è elemento decisivo per la creazione e la crescita nelle nuove generazioni di una coscienza civile solida e motivata».
Credo non possa esserci riflessione più profonda, serena, completa, rivolta al futuro, di questo pensiero espresso dal nostro Presidente della Repubblica.
La strada ci è stata indicata, in modo chiaro, inequivocabile, ora tocca a noi, senza indugi o tentennamenti, seguirla in maniera seria, cosciente e coscienziosa.
Pena: un ritorno al passato!
VIGNE MAESTRE
Il Prosecco è un mondo. In continua ebollizione e crescita che, talvolta, porta ad alcune contraddizioni. In questo è davvero figlio della sua regione, il Veneto, e più estesamente della sua macroregione, il Nordest. Sullo sviluppo dirompente di questi territori si è detto tutto quello che si poteva dire da tempo oramai. Dopo tanta crescita ora la sfida è salvaguardare e valorizzare l’energia vitale di questo mondo in perpetuo movimento. Per rimanere nel sentiero stretto e però infinito del vino con le bolle ormai per antonomasia, c’è una teoria di esperienze altamente vitali nel composito mondo produttivo del Prosecco di qualità non solo da salvaguardare, ma da valorizzare e promuovere quali virtuosi, programmatici esempi di che cosa significhi produrre vino ad alta intensità qualitativa oggi. Tra tutte, la più storica e significativa, perché espressione di un sistema che funziona e non solo di una singola cantina virtuosa, è sicuramente quella del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG. Lunghi anni di lavoro serio e rispettoso dell’ambiente, di attenzione ai rigidi disciplinari che ogni vino che si rispetti deve pretendere, ha permesso grazie al lavoro di questo Consorzio al meraviglioso territorio di Conegliano Valdobbiadene di ottenere tre anni fa il massimo riconoscimento internazionale possibile, vale a dire l’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale come paesaggio culturale dell’Unesco. Per parlare di questo lungo, virtuoso percorso abbiamo incontrato colei la quale presiede tale Consorzio, quella Elvira Bortolomiol che, con la madre e le tre sorelle, sta portando verso il futuro con una compagine tutta al femminile una lunga avventura aziendale famigliare avviata nel lontano secondo dopoguerra dal padre Giuliano, vero patriarca fondativo della versione più innovativa di questo vino, il brut.
I 100 anni del fondatore, Giuliano Bortolomiol. Radici familiari profonde, nuove visioni: gli ingredienti del successo di un’evoluzione storica del vino spumante italiano per antonomasia. Cosa è rimasto vivo in voi di queste due componenti costitutive della vostra famiglia-azienda?
Il solco lasciato da mio padre riveste ancora oggi un’importanza fondamentale, tanto nel guidare la nostra azione che nel permeare la nostra mentalità. Mio padre è stato un pioniere, che all’interno del territorio di Valdobbiadene ha saputo sollecitare e stimolare soggetti che ancora oggi risultano tra gli artefici più significativi delle fortune di questi paesaggi nel mondo intero. Fondamentale è stato il crocevia che dopo la Seconda Guerra Mondiale ha fatto in modo che i viticoltori non abbandonassero queste terre, ma che invece vi riversassero il proprio impegno con ancora maggiore dedizione e forza, ricostruendo e creando, come ha detto Luigi Veronelli, “attraverso la terra, un territorio”.
Una missione che io, mia madre Ottavia e le mie tre sorelle Giuliana, Luisa e Maria Elena sentiamo di avere impressa nel nostro DNA e che ogni giorno ci sforziamo di trasmettere all’azienda, in una tensione mentale che non si limita specificamente a permeare il nostro solo lavoro, connotando più estesamente la nostra stessa vita. Molto di quello che mio padre sognava, sperava, si è concretizzato o viaggia sulla strada della realizzazione. Tutto questo proprio grazie, ripeto, alla mentalità che lui ogni giorno si è sforzato di trasmetterci. Agli inizi del 2000 ci siamo ritrovate ad essere un’azienda storica guidata da sole donne, in un mondo, come quello dell’enologia in Italia, a forte caratterizzazione maschile. Di sicuro un contesto non semplice nel quale lavorare. Siamo ripartite con una parola d’ordine ben scolpita nella mente: sostenibilità. Una sostenibilità portata avanti guardando alla Natura e alle sue leggi, su cui basare il rapporto quotidiano con tutti i nostri viticoltori. Una visione senza ombra di dubbio fulcro di ogni nostro progetto, di ogni nostro pensiero. Lavoriamo con circa una sessantina di produttori con i quali abbiamo studiato un modo diverso di operare in agricoltura, informato da un impegno assoluto nella cura del territorio che ci permette di elevare ulteriormente la qualità delle uve che riceviamo. Di nostra proprietà abbiamo solamente cinque ettari improntati al biologico, di cui uno è quello ospitato al Parco della Filandetta, il nostro progetto di recupero di archeologia industriale nel cuore di Valdobbiadene, ma anche contenitore dove arte e cultura si incontrano per dare vita ad una vera e propria Art & Wine Farm. Le colline del nostro territorio hanno la particolarità di raccogliere una gran quantità di produttori con terreni di proprietà dalle dimensioni medie piuttosto ridotte, circa 1 ettaro, 1 ettaro e mezzo. Da mio padre ho ereditato questo bagaglio di rapporti personali con questi viticoltori, che ad oggi sono ancora tutti con noi e condividono un progetto che investe ogni momento della nostra attività lavorativa, basato su una forte identità di vedute e sullo stesso modo di intendere un’agricoltura in equilibrio tra innovazione e rispetto della tradizione. Una sostenibilità che si riflette nella coltivazione dei terreni, nell’organizzazione della nostra cantina e, non ultima, nella certificazione EPD, Environmental Product Declaration, importantissimo riconoscimento da noi ottenuto grazie a un’attenzione sempre più marcata verso le emissioni di CO2, che in questo momento riusciamo a compensare grazie all’aiuto di un bosco di famiglia di oltre 3 ettari sul Monte Cesen, proprio sopra Valdobbiadene. Stiamo lavorando per ottenere la certificazione di tutta la filiera dell’azienda e speriamo nel 2023 di poter raggiungere anche questo risultato. Siamo molto fiduciosi a riguardo.
Cantina Bortolomiol. Parco della Filandetta Via della Filandeta 7 | Viale Mazzini 2-Valdobbiadene
Quando mio padre mi ha chiamato dicendomi: «È ora che tu torni a casa», non capivo esattamente cosa intendesse, o se facesse davvero sul serio. In realtà lui sapeva benissimo quanto fossi legata a questo territorio...
ELVIRA MARIA BORTOLOMIOL
Ci parli un po’ di questo intrigante progetto del Parco della Filandetta.
Il Parco della Filandetta è di sicuro il segno tangibile di quanto l’azienda creda nel settore turistico e dell’incoming, ovviamente senza mai voltare le spalle al mondo dell’enologia. In questo complesso troviamo infatti la cantina della vinificazione e della vendemmia; qui arrivano tutti i viticoltori a portare il raccolto e sempre da qui parte il vino per passare in un’altra cantina per diventare poi spumante. Alcuni spazi di questo Parco erano adibiti a magazzini per una cartiera, mentre altri erano appunto appartenenti ad una filanda che agli inizi del Novecento faceva parte del distretto di produzione della seta, che all’interno del territorio di Valdobbiadene contava altre quattro sedi. I volumi sono stati ovviamente tenuti com’erano, siamo in centro storico e quindi è giusto che tutto rimanga il più possibile inalterato, ma questo non ci ha impedito di creare uno spazio ispirato appunto ad un’Art & Wine Farm capace di dialogare con l’arte in chiave enologica e con l’arte in senso assoluto. Abbiamo iniziato esponendo alcune opere di Giovanni Casellato, Il gomitolo, Campo di Vento, Aerei di Francesca e Il tavolo, mentre il successivo rapporto avviato con l’artista tedesca Susken Rosenthal, di cui abbiamo qui ora l’opera Cocoon, è se possibile ancora più profondo, parte di un progetto dedicato alla land art che ha visto il coinvolgimento di 300 artiste donne. Dopo due anni in cui ovviamente la pandemia ha rallentato le nostre attività ma non fiaccato il nostro spirito d’iniziativa, abbiamo lanciato una seconda call for artists e invitato Inês Coelho da Silva, artista portoghese che ha realizzato un’opera ospitata in un altro punto del Parco, un lavoro ispirato alla seta e all’utilizzo del filo.
Il Parco della Filandetta si configura come parte creativamente vitale di un luogo strategico che sta diventando punto di riferimento per il turismo italiano e internazionale, oltre che splendido biglietto da visita per gli oltre 50 Paesi in cui esportiamo, che anche attraverso queste iniziative riescono a conoscere ed apprezzare la nostra attività.
La grande attenzione al rapporto personale e commerciale con i viticoltori vi caratterizza a livello nazionale e non solo. Come si sviluppano concretamente queste collaborazioni?
Coltivare questi rapporti è alla base della nostra concezione del lavoro; così ci ha insegnato da sempre nostro padre e sempre sarà la stella polare del nostro agire. Rinforzare i link, per dirla con il linguaggio di oggi, che lui aveva già creato con diversi produttori è stato il punto di partenza dal quale abbiamo sviluppato ogni progetto. Il presupposto di ogni nostro pensiero sta nella fidelizzazione radicale tra noi e i produttori.
Nel nostro territorio, per tradizione, non è possibile stipulare dei veri e propri contratti a legittimare il rapporto tra noi e i viticoltori; al momento della vendemmia dobbiamo quindi essere in qualche maniera sicuri che il viticoltore porterà da noi il frutto del proprio lavoro. In tutti questi anni non abbiamo mai sperimentato delusioni da questo punto di vista. Una stretta di mano e il profondo rispetto dei rispettivi ruoli ha sempre caratterizzato il rapporto viscerale che abbiamo con queste terre e con chi le lavora giorno dopo giorno, rendendo possibile tutto questo.
Quali le tappe che hanno portato all’intuizione del brut, vera rivoluzione prodotta da vostro padre? Giuliano era uno sperimentatore tenace, che alla base della propria
visione aveva competenze acquisite alla Scuola Enologica di Conegliano, una delle più importanti in Italia. Le sue sperimentazioni sul metodo Charmat - Martinotti (un procedimento atto a produrre vino spumante, mediante la rifermentazione in un grande recipiente chiuso chiamato autoclave n.d.r.) sono legate quindi all’ambiente universitario, alle sue dinamiche interne e non. La sua convinzione più forte era che da questa uva, che oggi porta il nome di Glera ma allora era chiamata Prosecco, si potesse ricavare un grande vino: da qui il via ad una sperimentazione, ispirata dall’osservazione su come i grandi Champagne fossero appunto figli di un metodo brut, che lo spinse a cercare il meglio dalle uve di un territorio come il nostro dove la tradizione portava esclusivamente ad un esito extra dry, caratterizzato da un maggiore residuo zuccherino. Per produrre un brut bisogna essere piuttosto abili in fase di lavorazione; l’esito, quindi, era tutt’altro che scontato. Pioniere nell’intuire le potenzialità della spumantizzazione della Glera, mio padre capì che la strada era quella giusta quando nel 1967 il Prosecco Brut Bortolomiol vinse la Medaglia d’Oro al Concours International de dégustation Montpellier, legittimazione di tanti sforzi e premio alla visionarietà di chi, come lui, aveva sempre creduto nelle potenzialità di quell’uva.
Come si è creato il rapporto con Roberto Cipresso, vostro enologo e autentico poeta del vino?
In un momento particolare della nostra storia ci siamo trovati ad affrontare dei problemi interni alla cantina, visto che il nostro enologo storico aveva deciso di intraprendere un’altra avventura professionale. Conoscendo Roberto abbiamo deciso di investirlo di questa responsabilità non da poco, visto che si trattava di riorganizzare un po’ tutta la cantina. Lavorando con lui e con Emanuele Serafin, suo braccio destro che poi è diventato a sua volta nostro enologo, abbiamo riorganizzato tutti i protocolli, in sostanza ripartendo da zero dal punto di vista programmatico.
Grazie a Roberto abbiamo avuto modo di realizzare anche un grande sogno di mio padre, ossia quello di riuscire produrre un vino toscano, un grande rosso, passione che potevamo già peraltro intuire sin da piccole visto che l’unica vacanza che durante l’infanzia potevamo fare con lui era proprio in Toscana. Roberto ha spinto convintamente per fare in modo che questo sogno di papà potesse diventare realtà; da wine maker espertissimo di vini rossi storici ha insieme a noi cercato un vigneto in Toscana che potesse avere caratteristiche adatte alla produzione del vino che volevamo, trovandolo a San Giovanni d’Asso, in un vigneto di Montalcino nella zona di confine con il Brunello, proprio nelle immediate vicinanze della sua cantina.
Questo vino è stato chiamato “Il segreto di Giuliano”, un Sangiovese di razza affinato per un anno in barriques di rovere francese, omaggio alla figura di nostro padre, ai suoi sogni e alla sua instancabile curiosità. Di questo progetto possiamo oggi realizzare delle verticali, vale a dire un vino di diverse annate firmato da un unico produttore, nel nostro caso mettendo assieme 7 diverse annate.
Il suo impegno nel Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG, di cui è stata nominata Presidente nel luglio 2021. Quali le linee programmatiche per il presente e per il futuro?
La Denominazione gode di ottima salute, anche in periodi difficili ha saputo essere performante sia sul mercato nazionale che internazio-
nale, chiudendo il 2021 con un bilancio di 104 milioni di bottiglie e un fatturato di oltre 600 milioni di euro. La cosa più importante è però la differenza tra la crescita del numero di bottiglie e la crescita di fatturato, rispettivamente al 13 e al 18%. Era da anni che lavoravamo per questo risultato, diretta conseguenza di una comunicazione efficace della nostra Denominazione come testimonia il riconoscimento Unesco ottenuto nel luglio 2019, praticamente a ridosso dello scoppio della pandemia.
Un riconoscimento internazionale, questo, che per il suo indiscutibile prestigio ovviamente investe la produzione stessa del vino, frutto del nostro lavoro, ma che è rivolto in primis al lavoro fatto dall’uomo per fare in modo che la conformazione di queste colline si potesse sposare al meglio con la presenza dei filari, con la creazione e la manutenzione dei ciglioni, terrazze erbose che rendono la conformazione del territorio ottimale per la coltivazione.
Il nostro obbiettivo futuro non è di sicuro quello di aumentare il numero delle bottiglie prodotte, quanto piuttosto il loro valore: la qualità deve sempre vincere sulla quantità.
Lavoriamo seguendo delle linee guida a cui ispirarci: la sostenibilità è un concetto mai abbastanza ribadito e che attraverso il protocollo diffuso dal Consorzio impartisce regole molto rigide che tutti dobbiamo impegnarci ad osservare, a partire dai principi di pulizia rurale che i 15 Comuni che fanno parte della Denominazione hanno fatto propri.
Il risultato a cui approderemo, se sapremo coniugare al meglio queste direttive, sarà un turismo enogastronomico consapevole nel più alto e pieno senso della parola.
Il Consorzio sta facendo inoltre grandi passi avanti anche nel settore dell’accoglienza, diversificando la propria offerta grazie a strutture che si stanno sviluppando con tempistiche ovviamente non immediate, ma che possono trarre vantaggio da un ‘fare-sistema’ che si percepisce sempre di più. Non solo tra giugno e luglio, anche in mesi tradizionalmente corrispondenti alla ‘bassa stagione’ registriamo il ‘tutto esaurito’ nel comparto alberghiero. Credo sia un risultato di cui andare decisamente orgogliosi, soprattutto perché ci rendiamo conto che è sul piano della mentalità che si stanno facendo i progressi più significativi, in una terra, va ricordato, non esattamente vocata all’accoglienza, o almeno non nei termini turistici tradizionali, trattandosi di colline caratterizzate da una conformazione inerpicante, non dolce e subito accessibile. Essere riusciti, per esempio, a portare in questi territori la classica ciclistica Nuova Eroica, sull’impronta di quella originale ospitata da sempre nei territori del Chianti, è stato un traguardo davvero eccezionale, impensabile fino a solo pochi anni fa. Stiamo poi lavorando all’istituzione di un Cammino di circa 50 chilometri che attraverserà tutta la Denomi-
ELVIRA MARIA BORTOLOMIOL
nazione e che sul modello di quello di Compostela potrà ospitare anche persone portatrici di disabilità, così come, viceversa, chi può ed intende affrontare un percorso dall’approccio più sportivo, agonistico.
In questa sua doppia veste, istituzionale e privata, come ha affrontato l’italianissimo tema del campanilismo nell’ottica di un’intelligente e proficua convivenza tra le differenti realtà che fanno parte del Consorzio? Come si articola il lavoro di relazione tra i soggetti in campo?
Ovviamente le relazioni sono fondamentali, costituiscono il presupposto su cui basare ogni azione presente e soprattutto futura. Dal primo giorno in cui ho assunto la presidenza del Consorzio abbiamo subito pensato a creare input che potessero portare ad una forte coesione delle diverse realtà del territorio, incontrando devo dire la piena disponibilità di tutti i soggetti in campo. Mi riferisco in primo luogo proprio alla partnership con l’Associazione per il Patrimonio delle Colline di Conegliano Valdobbiadene Unesco, soggetto che si relazionava per la prima volta con il nostro territorio sforzandosi di capirne le specificità, le criticità e le potenzialità. Tutti hanno capito che sarà questa la nostra principale, strategica collaborazione per un futuro sempre più virtuoso di questo territorio. Altro capitolo fondamentale è il rapporto irrinunciabile con la Strada del Vino e con progetti che possono riguardare il turismo, o ancora con la Confraternita, associazione nata prima del Consorzio a cui è stato dato l’incarico di riunire i coltivatori e di accompagnarli nello svolgimento della loro attività. A questo si aggiunge il GAL, Gruppo di Azione Locale dell’Alta Marca Trevigiana, che si è costituito in forma societaria nel 2008 su iniziativa della Provincia di Treviso e della Camera di Commercio di Treviso, coinvolgendo nel partenariato tutti i più rappresentativi soggetti pubblici e privati con l’obiettivo di affrontare e dare delle risposte risolutive alle problematiche di sviluppo rurale dell’area.
Il dialogo con le diverse Associazioni di categoria deve essere costante in particolare in un tempo come il nostro sempre più caratterizzato da preoccupanti cambiamenti climatici, vedi le difficoltà riscontrate nell’ultima vendemmia relativamente alla mancanza di acqua, diretta conseguenza di queste alterazioni meteorologiche. Segnatamente a questa criticità, con i Comuni e le associazioni stiamo lavorando alla ricostruzione, in alcuni casi totale, di quei bacini che garantiranno il giusto approvvigionamento idrico alle colline.
La cultura, l’arte, per i brand di oggi, non solo quelli vinicoli, sono spesso degli abiti indossati per cercare di avere un valore aggiunto in termini di comunicazione. Si invitano personaggi, ci si lega ad una mostra, ad un festival perché così vanno le cose oggi. Le vostre residenze d’artista al Parco della Filandetta profumano invece di autenticità, restituendo una disposizione verso l’arte niente affatto scontata. Come nasce questo progetto e come va via via sviluppandosi? Si tratta di un argomento e un mondo che ci interessa moltissimo, perché ci permette di far conoscere il nostro territorio attraverso il linguaggio universale dell’arte, sia esso collegato specificamente al mondo del vino, che inteso in una dimensione assoluta, universale. Queste attività, questi progetti artistici in residenza, ci hanno permesso non solo di valorizzare la nostra identità aziendale e territoriale, ma ci hanno anche offerto l’opportunità di investire concretamen-
te in contesti geograficamente lontani dal nostro, dando sostegno a progetti in Africa e in Nepal, vedi quello in Mozambico per le donne malate di AIDS grazie alla collaborazione che abbiamo istituito con la Comunità di Sant’Egidio. Probabilmente legarci a progetti di questo respiro attraverso lo sviluppo di una progettualità artistica fa parte della nostra sensibilità, di un bisogno che sentiamo e viviamo intensamente e attraverso il quale completiamo la nostra attività.
Sin dalla sua prima giovinezza ha girato il mondo lavorando sul fronte ambientale grazie alla sua formazione universitaria. Ci parli un po’ di queste sue prime esperienze, di quanto l’hanno formata e segnata, e di come è poi ritornato a bussare alle sue porte il richiamo delle radici. È vero, fino a quando ho concluso gli studi universitari alla Facoltà di Agraria e Scienze forestali la mia ambizione era di poter fare un’esperienza lontano da qui, cosa che non corrispondeva assolutamente al sogno di mio padre, che era invece quello di coinvolgermi nelle attività della cantina. Quando, praticamente con una scusa, me ne sono andata, il mio tragitto ha toccato prima Roma e poi, grazie al Banco Interamericano di Sviluppo di Washington, la Bolivia, dove ho avuto l’importante opportunità di collaborare con il governo boliviano, precisamente con il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, entrando in contatto con problematiche legate al monitoraggio delle foreste amazzoniche, attività che ho potuto proseguire poi successivamente anche in Argentina e in Guyana. Quando mio padre mi ha chiesto di tornare a casa e occuparmi della cantina assieme alle mie sorelle ho riscoperto il legame che avevo con il territorio. Quello che mi è venuto naturale una volta rientrata qui è stato tradurre in pratica tutte le cose che avevo studiato e tutte le esperienze che avevo accumulato in giro per il mondo. Proprio l’altro giorno mi hanno contattato per un monitoraggio attraverso immagini via satellite, pratica che affrontavo quotidianamente quando mi trovavo all’estero.
Saprebbe in conclusione indicare l’ingrediente segreto che ha sancito il successo di questo vino nel mondo? Ci sono stati studi di Sociologia dell’Università Bocconi che si sono occupati di questo tema, interessante non solo a livello enologico, ma anche sociale per l’appunto. Credo che, oltre all’innegabile lavoro portato avanti per fare in modo che la qualità fosse sempre ai massimi livelli, sia stato il ruolo della comunità a fare in modo che questo vino fosse conosciuto ed apprezzato in tutti i Paesi in cui viene oggi regolarmente esportato nel mondo, dalla Gran Bretagna alla Francia, dagli Stati Uniti ad Hong Kong, ed anche in realtà internazionali ancora non toccate da questo prodotto. La comunità e la sua capacità di fare fronte comune alle difficoltà affrontate in questi anni, come i cambiamenti climatici che sono alla base della vita quotidiana di produttori e consumatori. Esiste un genius loci che questa comunità ha evocato, a volte inconsciamente, a volte con più consapevolezza, ma che pervade sempre ogni nostro progetto e che dovremo sforzarci di esaltare al massimo, a tutti i livelli, come siamo ad esempio riusciti a fare con il Rive 70th Anniversary Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG, uno spumante in edizione limitata, prodotto in sole 8000 bottiglie premiato con i Tre Bicchieri del Gambero Rosso.
PRODOTTO DA BANCO
Il mandorlato è un protagonista ulteriore nella tavola delle festività di fine anno, riccamente imbandite con ogni genere di leccornie, e Cologna Veneta in provincia di Verona è uno dei suoi luoghi di origine. Anche se si prepara in molte regioni d’Italia, ciò che differenzia questo mandorlato è la particolare lavorazione che lo rende una vera ghiottoneria inimitabile. Il processo produttivo prevede che gli ingredienti siano aggiunti secondo una sequenza ben precisa, mescolandoli a mano e attendendo ore prima di vedere il risultato finale. In questo paese della provincia di Verona la produzione del famoso mandorlato si perde nei tempi andati. Il primo assaggio si stima attorno al 1840, quando uno speziale del luogo ebbe la felice intuizione di amalgamare miele, albume e mandorle, tante mandorle! Fu tuttavia Italo Marani nel 1852 a iniziare la produzione del mandorlato, seguendo l’originale ricetta che il farmacista Antonio Finco aveva elaborato anni prima. Marani iniziò a vendere il mandorlato nella sua farmacia, ma ben presto dovette aumentare la produzione su larga scala per soddisfare le numerose richieste. Sembra che il mandorlato venisse preparato fin dai tempi della Serenissima, a cui apparteneva il territorio di Cologna, e gli ingredienti sono ancora oggi gli stessi di allora. A Verona viene regalato per Santa Lucia ed è presenza fissa nella calza della Befana. La tipica scatola di metallo in cui viene venduto contraddistingue questa delizia per il palato. Da provare, tra i migliori, quello “targato” San Marco e Garzotto Rocco&Figlio.
Marzio Fabi
Sosta prolungata
Nella Venezia dei mille locali, che il Gambero Rosso ha decretato città dell’anno per il «fermento che sta vivendo nell’alta ristorazione», ma anche per la classica offerta di “ombre e cicchetti”, per le trattorie storiche, e per i ristoranti gastronomici di valore e i numerosi bistrò, che permettono di vivere Venezia come città e non solo come meta turistica, insomma in questa città che almeno rimane tale dal punto di vista della tavola, ci sono locali che meglio di altri meritano di essere frequentati e promossi. Nella vivace via Garibaldi Marco Simonetti alla Barrique garantisce il meglio che una sosta gastronomica possa offrire. Un angolo sincero di Friuli e non solo, in cui poter gustare tra gli altri un prosciutto di San Daniele di ineguagliabile bontà, formaggi spettacolari e anche uno squisito cotechino/musetto, servito nel pane caldo, oltre a cicchetti e piatti tipici della cucina locale, presentati da Marco con un armonico senso estetico, per emozionarsi non solo col gusto, ma anche con gli occhi. Naturalmente un ulteriore fattore vincente è dato dalla scelta dei vini, una cantina vasta, sempre aggiornata con le migliori novità del settore, inseguendo la qualità e non il marketing. Tutti elementi riscontrabili in potenza in diversi locali, salvo poi vedere molti di essi annaspare tra mille inutili rincorse senza costrutto alle mode del momento. Scelta ottimale alla Barrique è quella di affidarsi all’oste che saprà consigliare il vino secondo la sua esperienza e in coerenza con i piatti proposti, senza timore di rimanere delusi. Non c’è occasione migliore per compiacersi di aver scelto il giusto locale quando una sosta fugace, giusto per rifocillarsi un po’, diventa appagante, senza vincoli di orologio, e con un buon ricordo. Fabio Marzari
A well-deserved
stopover
ENG
Gambero Rosso, a renowned Italian food magazine and guide publisher, declared Venice the ‘city of the year for the activity of its catering industry: historical inns, top-tier restaurants, and the many middle-ofthe-road eateries that allow anyone to live Venice as a real city, not as a tourist destination alone. In Via Garibaldi, La Barrique offers the best of all worlds: excellent prosciutto, spectacular cheese, typical cotechino served on warm bread, and all the usual Venetian fare. Another factor of excellence at La Barrique is, obviously, their wine list, which is long and always kept up to date with the best new productions, chosen for quality, not marketing effort. You will be able to test this yourself, and for that reason, we recommend you trust the choice of your host, Marco Simonetti, who will not disappoint you. There will be no better chance to pick a good venue, staying for as long or as little as you want, nourish yourself, and leave with nothing but good memories.
Colpa d’Alfredo
Ho un ricordo ben vivo di un pranzo all’Hostaria in Cortina, nel febbraio 2021, durante i Mondiali di sci che si svolgevano senza pubblico causa pandemia. C’era una fittissima nevicata che aggiungeva al già cospicuo manto di neve un ulteriore accumulo e il ristorante degli Alajmo era ospitato negli spazi dell’hotel Ancora di Renzo Rosso. L’atmosfera era surreale, si era alla ricerca di una normalità perduta, tuttavia ciò che restava un punto fermo erano solo gli ottimi piatti proposti e serviti, come in pianura anche in montagna. A distanza di un anno quello che allora era un pop-up restaurant diventa una certezza. Alajmo Cortina prende casa dove c’era lo storico locale El Toulà, in via Ronco 123. E si tratterà di un punto di riferimento stabile per la località ampezzana e i suoi abitanti, non solo per i villeggianti, rimanendo aperto tutto l’anno, modulando il servizio in base alla stagionalità. Il locale si sviluppa in tre piani con un’offerta distinta di ristorazione e bar per gli aperitivi e il dopo cena.
El Toulà, “il fienile” in ladino, fu creato dal trevigiano Alfredo Beltrame, e divenne subito un punto di riferimento per i frequentatori di Cortina, con un parterre de rois di ospiti che affollavano i suoi tavoli con vista aperta ad uno scenario incantevole sia nei mesi estivi che invernali. Raffaele Alajmo non cela la soddisfazione per l’ennesima freccia estratta dalla faretra: «Con orgoglio e entusiasmo aggiungiamo un’altra location unica, storica e originale alla nostra Wunderkammer dedicata alla cucina italiana. Ci piace chiamare così la collezione di locali Alajmo, unica nel suo genere, perché ogni locale è completamente diverso dall’altro, con un solo denominatore comune che è il nostro DNA, rappresentato dalla qualità degli ingredienti, dal rispetto e dal sorriso...». Il menù proposto riporta il tocco e l’idea della cucina dello chef tristellato Massimiliano, con proposte che vanno dai grandi classici alle preparazioni più semplici pensate per accompagnare un aperitivo. A capo della brigata lo chef Mattia Barni, che lavora col gruppo Alajmo dal 2014, prima al Ristorante Quadri in piazza San Marco, poi per tre anni alle Calandre, successivamente da Sesamo a Marrakech e infine ad Amo al Fondaco dei Tedeschi. Le intenzioni di Massimiliano Alajmo riguardo alla nuova avventura mirano «a scaldare i cuori, consapevoli che il territorio e l’atmosfera ci saranno alleati». F.M.
Alajmo Cortina
Località Ronco 123-Cortina d’Ampezzo www.alajmo.it
Piazza Grande
L’Associazione Piazza San Marco ha festeggiato i suoi primi 30 anni di vita. La Piazza è il cuore della città e in questi ultimi anni ha vissuto continui choc, passando tra gli altri dall’alluvione record di novembre 2019 al desolante, per quanto incredibilmente suggestivo, deserto durante la pandemia, al sovraffollamento senza regole della lunghissima stagione turistica che ha riportato a Venezia un numero molto significativo di visitatori. L’Associazione in questi tre decenni ha rappresentato un punto di riferimento nel dibattito per la tutela della Piazza e dell’Area Marciana, non rivestendo solo il ruolo di unione di commercianti bensì ampliando la propria azione al coinvolgimento dei cittadini veneziani. «Sono stati trent’anni di impegno civile, al servizio della città, di politica dal basso, per tutelare e promuovere il nucleo della nostra splendida e fragile Venezia con la consapevolezza di una responsabilità che ci appartiene», afferma Claudio Vernier, Presidente dell’Associazione.
L’idea di un’associazione nasce nel 1992 per volere di alcune famiglie di commercianti storici di Piazza San Marco, con l’intenzione di riportare la Piazza al centro della vita della città e far sentire anche ai visitatori l’autenticità di un luogo-simbolo molto amato. In trent’anni l’Associazione ha acquisito sempre maggior peso: alle attività commerciali storiche si sono uniti molti marchi internazionali, hotel e ristoranti oltre a privati cittadini e visitatori che amano la città e intendono contribuire alla sua salvaguardia.
ENG Association Piazza Sn Marco recently celebrated its thirtieth year. The Piazza is the heart of our city, and over the last few years, it went through a lot: from the record-breaking flood of 2019 to the desolating, however evocative, desert landscape during the pandemic. The Association is an appreciated voice in the debate over the upkeeping of the Piazza, and is not merely a shopkeepers’ convention, but it welcomes regular citizens to give their opinions. In the words of its president Claudio Vernier: “These have been thirty years of civil commitment at the service of our city, of grassroots politics, to maintain and promote the core of our magnificent, though frail, city of Venice, acknowledging our responsibility.”
making space for art
december2022-
january
a genda
MUSICA , CLASSICA , TEATRO, CINEMA
Dic Dec 03
sabato Saturday
ALBOROSIE
Reggae Hall-Padova h. 21
ORNELLA VANONI
Musica d’autore Gran Teatro Geox-Padova h. 21
04
domenica Sunday
COMUNQUE LUCIO
Battisti tribute Al Vapore-Marghera h. 19.30
05
:music a
10
lunedì Monday
JACK SAVORETTI
Rock Gran Teatro Geox-Padova h. 21
BRYAN ADAMS Rock Zoppas Arena-Conegliano 21
07
mercoledìWednesday
MANUEL AGNELLI
Indie Centro Sociale Rivolta-Marghera h. 21
DIVERGENZE PARALLELE PROJECT
Jazz Al Vapore-Marghera h. 19.30
08
giovedìThursday
JOSMIL NERIS
Soul Fondaco dei Tedeschi h. 18
THE BLACK BOYS Rhytm’n’blues Al Vapore-Marghera h. 19.30
UMBERTO TOZZI
Musica d’autore Gran Teatro Geox-Padova h. 21
09 venerdì Friday
NDUDUZO MAKHATHINI
Jazz “Venezia Jazz Festival - Fall Edition“ Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
JENNIFER GENTLE
UNIVERSAL SEX ARENA
Indie Argo16-Marghera h. 22.30
sabato Saturday
BIG VOCAL ORCHESTRA
Soul Teatro Goldoni h. 19
AGUAVERDE Musica brasiliana Al Vapore-Marghera h. 19.30
LUCA MINNELLI Pop Teatro Toniolo-Mestre h. 21
11
domenica Sunday
BIG VOCAL ORCHESTRA
Soul Teatro Goldoni h. 16
DAVID TIXIER
LADA OBRADOVIC World music “Candiani Groove“ Centro Culturale Candiani-Mestre h. 19
15
giovedìThursday
BREXI & THE ROLLING BONES Blues rock Al Vapore-Marghera h. 19.30 SIMPLY RED Pop Kioene Arena-Padova h. 21
16
venerdì Friday
CLAUDIO BAGLIONI
Musica d’autore Teatro Malibran h. 21
LARRY GRENADIER
REBECCA MARTIN Jazz “Venezia Jazz Festival - Fall Edition“ Laguna Libre h. 20
FLAVIO PALUDETTI
THE PERPETUAL SOUL MACHINE
Soul Al Vapore-Marghera h. 19.30
ALESSANDRA AMOROSO Pop Kioene Arena-Padova h. 21
17
sabato Saturday
SHEL SHAPIRO
Beat Teatro Del Parco-Mestre h. 21
ALESSIO BERTO
LEO DI ANGILLA Acid jazz Al Vapore-Marghera h. 19.30
18
domenica Sunday
THE JULUMAND Irish music
Al Vapore-Marghera h. 19.30
20
NOA
martedìTuesday
GIL DOR SOLIS STRING QUARTET Folk pop Teatro La Fenice h. 20
MARCO MASINI Musica d’autore Gran Teatro Geox-Padova h. 21
22
giovedìThursday
ALEX BRITTI Pop Teatro Toniolo-Mestre h. 21
SUMMERTIME CHOIR Gospel Gran Teatro Geox-Padova h. 21
23
venerdì Friday
ZAMPA DI COCKER BAND Cocker tribute Al Vapore-Marghera h. 19.30
MAGICAL MYSTERY ORCHESTRA Beatles tribute Teatro Toniolo-Mestre h. 21
28
mercoledìWednesday
LILAC & FRIENDS
Acoustic rock Al Vapore-Marghera h. 19.30
BIG VOCAL ORCHESTRA Soul Piazza Ferretto-Mestre h. 18
29 giovedìThursday
BROTHER CHARLIE BIRTHDAY BASH Grunge
Al Vapore-Marghera h. 19.30
NERI PER CASO
Vocal pop Piazza Ferretto-Mestre h. 18 30
venerdì Friday
TIME GOSPEL Blues Splendid Venice Hotel h. 21 31 sabato Saturday
ELISA Pop Palazzo del Turismo-Jesolo h. 21
GenJan 04
mercoledìWednesday
MAGICAL MYSTERY ORCHESTRA
Beatles tribute
Al Vapore-Marghera h. 19.30
08
domenica Sunday
ALMA LIVRE Bossa nova Al Vapore-Marghera h. 19.30 11
mercoledìWednesday
THE LAST COAT OF PINK Pink Floyd tribute Al Vapore-Marghera h. 19.30 13
venerdì Friday
XABIER IRIONDO SNARE DRUM EXORCISM + R.Y.F. Electro indie Teatro del Parco-Mestre h. 21 24
martedìTuesday
CLAUDIO BAGLIONI
Musica d’autore Teatro Comunale-Treviso h. 21
INDIRIZZI
AL VAPORE
Via F.lli Bandera 8-Marghera www.alvapore.it
ARGO16
Via delle Industrie 27/5-Marghera Fb: Argo16
CENTRO CULTURALE
CANDIANI
Piazzale Candiani 7-Mestre www.venetojazz.com
CENTRO SOCIALE
RIVOLTA
Via F.lli Bandiera 45-Marghera Fb: Centro Sociale Rivolta
FONDACO DEI TEDESCHI
Calle del Fondaco www.venetojazz.com
GRAN TEATRO GEOX
Via Tassinari 1-Padova www.zedlive.com
HALL
Via Nona Strada 11-Padova www.hallpadova.it
KIOENE ARENA
Viale San Marco 53-Padova www.zedlive.com
LAGUNA LIBRE
Fondamenta Cannaregio www.venetojazz.com
PALAZZO DEL TURISMO
Piazza Brescia 11-Jesolo www.azalea.it
PIAZZA FERRETTO Mestre www.comune.venezia.it
SPLENDID VENICE HOTEL
Mercerie 760 www.venetojazz.com
TEATRO COMUNALE
Corso del Popolo 31-Treviso www.azalea.it
TEATRO DEL PARCO Parco Albanese-Mestre www.dalvivoeventi.it
TEATRO GOLDONI San Marco 4650/B www.teatrostabileveneto.it
TEATRO LA FENICE Campo San Fantin 1965 www.venetojazz.com
TEATRO MALIBRAN Campiello del Teatro 5873 www.teatrolafenice.it
TEATRO TONIOLO Piazzetta Malipiero-Mestre www.comune.venezia.it
ZOPPAS ARENA Viale dello Sport 2-Conegliano www.duepuntieventi.com
Dic Dec 03
sabato Saturday
MYUNG-WHUN CHUNG direttore Composizioni di Wolfgang Amadeus Mozart e Gustav Mahler “Stagione Sinfonica 2022-2023“ Ingresso/Ticket € 143/110 Teatro La Fenice h. 20
:classica l
CASANOVA OPERA POP Musiche Red Canzian Lyrics Miki Porru Story Matteo Strukul Coreografie Roberto Carrozzino e Martina Nadalini Ingresso/Ticket € 64/25 Teatro Malibran h. 20
04
domenica Sunday
MYUNG-WHUN CHUNG direttore (vedi sabato 3 dicembre) Teatro La Fenice h. 17
CASANOVA OPERA POP (vedi sabato 3 dicembre) Ingresso/Ticket € 49/25 Teatro Malibran h. 15.30
05
lunedìMonday
EX NOVO ENSEMBLE Ripensare l’infanzia Musiche di Ferruccio Busoni, György Kurtág, Giovanni Mancuso, Nino Rota, Alessandro Solbiati “Ex Novo Musica“ Ingresso/Ticket € 20 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
06
martedìTuesday
CASANOVA OPERA POP (vedi sabato 3 dicembre) Ingresso/Ticket € 54/25 Teatro Malibran h. 20
07
mercoledìWednesday
CASANOVA OPERA POP (vedi sabato 3 dicembre) Ingresso/Ticket € 64/25 Teatro Malibran h. 20
09
venerdì Friday
CASANOVA OPERA POP (vedi sabato 3 dicembre) Ingresso/Ticket € 64/25 Teatro Malibran h. 20
CONCERTO DI GHIACCIO
Giovanni Sollima ice-cello, violoncello Nicola Segatta ice-cello Corrado Bungaro ice-violin La Piccola Orchestra Lumière Ingresso/Ticket € 20 Teatro Verdi-Padova h. 21
10 sabato Saturday
QUARTETTO DI VENEZIA
Musiche di Boccherini, Gian Francesco Malipiero, Verdi “Asolo Musica 2022“ Ingresso/Ticket € 44/33 Auditorium Lo Squero h. 16.30
ASHER FISCH pianoforte
Composizioni di Wolfgang Amadeus Mozart e Johannes Brahms “Stagione Sinfonica 2022-2023“ Ingresso/Ticket € 99/45 Teatro La Fenice h. 20
CASANOVA OPERA POP (vedi sabato 3 dicembre) Ingresso/Ticket € 49/39 Teatro Malibran h. 20
CONCERTO DI NATALE DEL CORO TEATRO LA FENICE
Concerto corale di Carole natalizie con la partecipazione degli artisti del Coro della Fenice e del Coro Quodlibet diretti dal Maestro Emanuele Pedrini Piazza Ferretto-Mestre h. 17/18
11 domenica Sunday
CASANOVA OPERA POP (vedi sabato 3 dicembre) Ingresso/Ticket € 54/25 Teatro Malibran h. 15.30
ASHER FISCH pianoforte (vedi sabato 10 dicembre) Ingresso/Ticket € 99/45 Teatro La Fenice h. 17
CONCERTO IN RICORDO DI DORETTA DAVANZO POLI
Letizia Michielon pianoforte Composizioni di Wolfgang Amadeus Mozart, Frédéric Chopin, Ludwig van Beethoven Concerto in favore di AIL Ingresso/Ticket € 10 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 18
13
martedìTuesday
LEONORA ARMELLINI pianoforte
Opere per pianoforte di Déodat de Séverac, Albéniz e Debussy Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 19.30
a genda
MUSICA, CLASSICA , TEATRO , CINEMA
14
LIONELLO E CAROLYN PERERA, MECENATI
VENEZIANI A NEW YORK
Conversazione musicale in occasione dell’uscita del libro Lionello Perera: An Italian Banker and Patron in New York di Diego Mantoan (Vernon Press, 2022)
Ascolti tratti da Toscanini e l’amico di New York (2017) realizzato per “Il Teatro di Radio3”, con Giulia Alberti (soprano), Ilaria Torresan (pianoforte), Chiara Clini (voce narrante)
:classica
mercoledìWednesday
18 domenica Sunday
PLAMENA ANGELOVA soprano
ROBERTO BONETTO organo
Concerto di musica sacra “Avvento in Musica”
Ingresso libero/Free entry Chiesa di San Trovaso h. 16
CONCERTO DI NATALE DEL CORO TEATRO LA FENICE
Concerto corale di Carole natalizie con la partecipazione degli artisti del Coro della Fenice e del Coro Quodlibet diretti dal Maestro Emanuele Pedrini
22
giovedìThursday
CONCERTO DI NATALE MARCO GEMMANI direttore (vedi martedì 20 dicembre) Basilica di San Marco h. 21
MARCO CIFERRI organo Concerto di musica sacra “Avvento in Musica” Ingresso libero/Free entry Chiesa di San Trovaso h. 16
29
Ingresso libero/Free entry Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 18
NELL’OLIMPO
DI BEETHOVEN
l
Alessandro Taverna pianoforte Alessandro Cappelletto direttore Orchestra Regionale Filarmonia Veneta Musiche di Antonio Salieri, Ludwig van Beethoven, Franz Schubert Ingresso/Ticket € 25/15 Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 20.45
15 giovedìThursday
AXEL TROLESE pianoforte Composizioni di Beethoven, Chopin, Albéniz, Ravel “La Fenice ti racconta” Teatro Momo-Mestre h. 19
17 sabato Saturday
MARIO BRUNELLO
violoncello Il mondo che verrà Musiche di Johann Sebastian Bach Meditazioni bibliche fr. Lino Breda “Asolo Musica 2022“ Ingresso/Ticket € 44/33 Auditorium Lo Squero h. 16.30
CHARLES DUTOIT direttore Composizioni di Gabriel Fauré, Claude Debussy e Maurice Ravel “Stagione Sinfonica 2022-2023“ Ingresso/Ticket € 143/77
Teatro La Fenice h. 20
Piazza Ferretto-Mestre h. 17/18
20 martedìTuesday
EX NOVO ENSEMBLE
Creazione di spazi acustici Musiche di Claudio Ambrosini, Stefano Bellon, Filippo Perocco, Nicola Sani
Alvise Vidolin regia del suono Paolo Zavagna live electronics “Ex Novo Musica“
Ingresso/Ticket € 20 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 17.30
CONCERTO DI NATALE
MARCO GEMMANI direttore Esecuzione della Messa di Natale di Claudio Merulo (San Marco, 25 dicembre 1582)
Con i cantori della Schola Cantorum Basiliensis e della Cappella Marciana “Stagione Sinfonica 2022-2023“ Ingresso su invito/Admission by invitation only Basilica di San Marco h. 20
ETTORE PAGANO violoncello MAYA OGANYAN pianoforte Musiche di Castelnuovo-Tedesco, Grieg, Franck “Stagione 2022-2023“
Ingresso/Ticket € 25/15 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
21 mercoledìWednesday
CONCERTO DI NATALE MARCO GEMMANI direttore (vedi martedì 20 dicembre) Basilica di San Marco h. 20
giovedìThursday
CONCERTO DI CAPODANNO DANIEL HARDING direttore Musiche di Mendelssohn Bartholdy, Mozart, Tchaikovsky, Bellini, Bizet, Mascagni, Puccini, Rossini, Verdi “Stagione Sinfonica 2022-2023“ Ingresso/Ticket € 420/15 Teatro La Fenice h. 20
30 venerdì Friday
CONCERTO DI CAPODANNO DANIEL HARDING direttore (vedi giovedì 29 dicembre) Ingresso/Ticket € 420/15 Teatro La Fenice h. 17
31 sabato Saturday
CONCERTO DI CAPODANNO DANIEL HARDING direttore (vedi giovedì 29 dicembre) Ingresso/Ticket € 420/15 Teatro La Fenice h. 16
GenJan 01
domenica Sunday
CONCERTO DI CAPODANNO DANIEL HARDING direttore (vedi giovedì 29 dicembre) Ingresso/Ticket € 420/15 Teatro La Fenice h. 11.15
07 sabato Saturday
TON KOOPMAN direttore Composizioni di Bach, Haydn e Mendelssohn Bartholdy “Stagione Sinfonica 2022-2023“ Ingresso/Ticket € 99/45 Teatro La Fenice h. 20
08 domenica Sunday
TON KOOPMAN direttore (vedi sabato 7 gennaio) Ingresso/Ticket € 99/45 Teatro La Fenice h. 17
13
venerdì Friday
GEORGE PETROU direttore Composizioni di Mantzaros, Mozart e Beethoven “Stagione Sinfonica 2022-2023“ Ingresso/Ticket € 66/25 Teatro Malibran h. 20
14
sabato Saturday
ALEXANDER GADJIEV
pianoforte
Musiche di Chopin, Schumann, Debussy, Mussorgsky “Stagione 2022-2023“ Ingresso/Ticket € 25/15 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
15 domenica Sunday
GEORGE PETROU direttore (vedi venerdì 13 gennaio) Teatro Malibran h. 17
DAVIDE ALOGNA violino ENRICO PACE pianoforte QUARTETTO EOS
Elia Chiesa violino Giacomo Del Papa violino Alessandro Acqui viola Silvia Ancarani violoncello Composizioni di Janácek e Chausson “Musikamera“ Ingresso/Ticket € 25 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
16 lunedìMonday
DAVIDE ALOGNA violino ENRICO PACE pianoforte QUARTETTO EOS
(vedi domenica 15 gennaio)
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
25 mercoledìWednesday
SATYRICON
Opera in un atto su libretto di Bruno Maderna dal Satyricon di Petronio Musica di Bruno Maderna Regia di Francesco Bortolozzo Orchestra del Teatro La Fenice direttore Alessandro Cappelletto “Stagione Lirica 2022-2023“ Ingresso/Ticket € 143/55 Teatro Malibran h. 19
26 giovedì
SATYRICON
INDIRIZZI
AUDITORIUM
LO SQUERO
Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it
BASILICA DI
SAN MARCO
Piazza San Marco www.teatrolafenice.it
CHIESA DI
SAN TROVASO
Dorsoduro 1098 alessandromarcellovenezia.org
PALAZZETTO BRU ZANE
San Polo 2368 bru-zane.com
TEATRO LA FENICE
Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it
Dic Dec 01
giovedìThursday
HOUSE OF US – PART I THE MOTHER
Ideazione e regia di Irina Brook Collaborazione artistica, Angelo Nonelli
Con la partecipazione di Geoffrey Carey
:t h eatro
E con i neo diplomati dell’Accademia Teatrale “Carlo Goldoni” “Heart • Art – Stagione 2022-23” Casa dei Tre Oci, Giudecca h. 17-21
02
Thursday
(vedi mercoledì 25 gennaio) Ingresso/Ticket € 88/35 Teatro Malibran h. 19
27
venerdì Friday
SATYRICON
(vedi mercoledì 25 gennaio) Ingresso/Ticket € 110/45 Teatro Malibran h. 19
28 sabato Saturday
SATYRICON
(vedi mercoledì 25 gennaio)
Ingresso/Ticket € 110/45
Teatro Malibran h. 15.30
SERGEJ KRYLOV violino EDOARDO MARIA
STRABBIOLI pianoforte Musiche di Brahms, Ravel, “Stagione Concertistica 2022-23“ Ingresso/Ticket € 44/11
Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
29 domenica Sunday
SATYRICON
(vedi mercoledì 25 gennaio)
Ingresso/Ticket € 110/45
Teatro Malibran h. 15.30
TEATRO MALIBRAN
Campiello del Teatro 5873 www.teatrolafenice.it
TEATRO MARIO
DEL MONACO
Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it
TEATRO MOMO
Via Dante 81-Mestre www.comune.venezia.it
TEATRO TONIOLO
Piazzetta Malipiero 1-Mestre www.comune.venezia.it
TEATRO VERDI
Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it
venerdì Friday
HOUSE OF US – PART I THE MOTHER
(vedi giovedì 1 dicembre) Casa dei Tre Oci, Giudecca h. 17-21
03
sabato Saturday
HOUSE OF US – PART I THE MOTHER
(vedi giovedì 1 dicembre) Casa dei Tre Oci, Giudecca h. 17-21
CARLO, GOLDONI & GIORGIO
Scritto e diretto da Carlo D’Alpaos, Giorgio Pustetto, Cristina Pustetto Con Carlo d’Alpaos e Giorgio Pustetto “Goldoni 400” Ingresso/Ticket € 25/15 Teatro Goldoni h. 19
LA TARTARUGHINA
Liberamente ispirata al racconto di Roald Dhal Con Nicoletta Tiberini, Giacomo Pratelli Adalberto Ferrari clarinetti Nadio Marenco fisarmonica Musicamorfosi “Fiabe Musicali”
Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30
04
domenica Sunday
HOUSE OF US – PART I THE MOTHER
(vedi giovedì 1 dicembre) Casa dei Tre Oci, Giudecca h. 17-21
CIPÌ
Dal libro di Mario Lodi Drammaturgia Giorgio Scaramuzzino e Luana Gramegna Regia Luana Gramegna “Domenica a Teatro 2022-23” Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30
06 martedìTuesday
HOUSE OF
US – PART I THE MOTHER
(vedi giovedì 1 dicembre)
Casa dei Tre Oci, Giudecca h. 17-21
MIO PADRE
Appunti sulla guerra civile di e con Andrea Pennacchi Musiche di Giorgio Gobbo, Gianluca Segato e Graziano Colella Produzione Teatro Boxer “Stagione di Prosa 2022/23” Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
07
mercoledìWednesday
HOUSE OF US – PART I THE MOTHER
(vedi giovedì 1 dicembre) Casa dei Tre Oci, Giudecca h. 17-21
L’UOMO DIFFICILE
Lezione-spettacolo su L’uomo difficile di Hugo von Hofmannsthal di e con Massimo Cacciari e due attori della Compagnia Giovani del TSV - Teatro Nazionale “Valzer di Parole”
Ingresso/Ticket € 15 Teatro Goldoni h. 19
MIO PADRE
Appunti sulla guerra civile (vedi martedì 6 dicembre) Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
08 giovedìThursday
HOUSE OF US – PART I THE MOTHER
(vedi giovedì 1 dicembre) Casa dei Tre Oci, Giudecca h. 17-21
09
venerdì Friday
HOUSE OF US – PART I THE MOTHER
(vedi giovedì 1 dicembre)
Casa dei Tre Oci, Giudecca h. 17-21
WORKS
Omaggio a Vitaliano Trevisan Reading di Gianluca Meis
Accompagnamento musicale di Michele Polga al sax
A cura del Festival dei Matti, in collaborazione con M9 – Museo del ’900 e Associazione Culturale Caligola Ingresso libero/Free M9 – Museo del ‘900-Mestre h. 21.00
ANGELO PISANI
Scomodo. Vite di uomini, mariti e padri “I Comici 2022-23”
Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21.00
a genda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO , CINEMA
IL COMPLEANNO
di Harold Pinter
Traduzione di Alessandra Serra Con Maddalena Crippa, Alessandro Averone, Gianluigi Fogacci Regia di Peter Stein
“Heart • Art – Stagione 2022-23” Ingresso/Ticket € 35/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
10
sabato Saturday
LA NOTTE DEI REGALI
:t h eatro
Spettacolo di animazione, pittura dal vivo e narrazione di e con Gianni Franceschini
Burattini e figure di Gianni Volpe e Marisa Dolci
La Piccionaia “Domeniche da Favola 2022-23” Ingresso/Ticket € 7 Teatrino Groggia h. 16.30
HOUSE OF US – PART I
THE MOTHER
(vedi giovedì 1 dicembre) Casa dei Tre Oci, Giudecca h. 17-21
CHIARA FRANCINI
Una ragazza come io di Nicola Borghesi e Chiara Francini
Regia di Nicola Borghesi Con Chiara Francini
“Heart • Art – Stagione 2022-23” Ingresso/Ticket € 35/8 Teatro Verdi-Padova h. 20.30
IL COMPLEANNO
(vedi venerdì 9 dicembre) Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
11 domenica Sunday
HOUSE OF US – PART I THE MOTHER
(vedi giovedì 1 dicembre) Casa dei Tre Oci, Giudecca h. 17-21
CUOR
dalle parole di Rina Cavaleri, raccolte da Maria Teresa Sega –rEsistenze Con Eleonora Fuser Testo e regia di Sandra Mangini Canti a cura di Giuseppina Carin Coro Calle delle Perlere Ingresso libero/Free entry Scuola Grande San Giovanni Evangelista h. 18
LE DONNE DE CASA SOA di Carlo Goldoni
Teatro Insieme
“Divertiamoci a Teatro 2022-23” Ingresso/Ticket € 10/8 Teatro Momo-Mestre h. 16.30
IL COMPLEANNO
(vedi venerdì 9 dicembre) Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16
14
PA’
mercoledìWednesday
Da testi di Pier Paolo Pasolini
Drammaturgia di Marco Tullio Giordana e Luigi Lo Cascio Regia di Marco Tullio Giordana Con Luigi Lo Cascio “Heart • Art – Stagione 2022-23” Ingresso/Ticket € 35/7 Teatro Verdi-Padova h. 20.30
15 giovedìThursday
IL COMPLEANNO
di Harold Pinter
Traduzione di Alessandra Serra Con Maddalena Crippa, Alessandro Averone, Gianluigi Fogacci Regia di Peter Stein “Heart • Art – Stagione 2022-23” Ingresso/Ticket € 35/15 Teatro Goldoni h. 20.30
PA’ (vedi mercoledì 14 dicembre) Teatro Verdi-Padova h. 19
16 venerdì Friday
IL COMPLEANNO
(vedi giovedì 15 dicembre) Teatro Goldoni h. 19
PARSONS DANCE
Coreografie di David Parsons Produzione Art Works Production “Stagione di Prosa 2022/23” Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 21
ALBURNO
da Alburno, di Fernando Marchiori Con Alvise Camozzi Musiche originali eseguite dal vivo da Giovanni Dell’Olivo “youTHeater 2022.23” Ingresso libero/Free entry Teatro del Parco-Mestre h. 21
PA’
(vedi mercoledì 14 dicembre) Teatro Verdi-Padova h. 20.30
OYLEM GOYLEM di e con Moni Ovadia e con Moni Ovadia Stage Orchestra
Maurizio Dehò (violino), Giovanna Famulari (violoncello), Paolo Rocca (clarinetto), Albert Mihai (fisarmonica), Marian Serban (cymbalon)
“Heart • Art – Stagione 2022-23” Ingresso/Ticket € 35/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
17 sabato Saturday
IL COMPLEANNO
(vedi giovedì 15 dicembre) Teatro Goldoni h. 19
PARSONS DANCE (vedi venerdì 16 dicembre) Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
PA’ (vedi mercoledì 14 dicembre) Teatro Verdi-Padova h. 20.30
OYLEM GOYLEM (vedi venerdì 16 dicembre) Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
18 domenica Sunday
IL COMPLEANNO
(vedi giovedì 15 dicembre) Teatro Goldoni h. 16
PARSONS DANCE (vedi venerdì 16 dicembre) Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
GLI OMINI ROSSI E BABBO NATALE Liberamente tratto da Uomini rossi di Pef Testo e regia di Monica Mattioli Con Alice Bossi Compagnia Teatrale Mattioli “Domenica a Teatro 2022-23” Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30
PA’ (vedi mercoledì 14 dicembre) Teatro Verdi-Padova h. 16
OYLEM GOYLEM (vedi venerdì 16 dicembre) Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16
20 martedìTuesday
JERRY
CALÀ
Speciale spettacolo di Natale Piazza Ferretto-Mestre h. 16
LE QUATTRO STAGIONI
Coreografie di Aurelie Mounier Musiche di Antonio Vivaldi Direzione artistica, Rosanna Brocanello COB – Compagnia Opus Ballet “Stagione di Danza – Calligrafie” Ingresso/Ticket € 29/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
28 mercoledìWednesday
GLI INNAMORATI di Carlo Goldoni
Adattamento di Angela Demattè Con Alessia Spinelli e gli attori e le attrici della Compagnia Giovani del TSV Regia di Andrea Chiodi Produzione TSV – Teatro Nazionale “Goldoni 400” Ingresso/Ticket € 20/15 Teatro Goldoni h. 19
29 giovedìThursday
GLI INNAMORATI
(vedi mercoledì 28 dicembre) Teatro Goldoni h. 19
30 venerdì Friday
GLI INNAMORATI (vedi mercoledì 28 dicembre) Teatro Goldoni h. 19
COPPÉLIA
Balletto in due atti dal racconto di E.T.A. Hoffmann Der Sandmann Musica di Léo Delibes
Primi ballerini Anbeta Taromani e Alessandro Macario
Con Solisti e Corpo di Ballo Compagnia Daniele Cipriani Coreografia e regia di Amedeo Amodio “Teatro per le Feste 2022-23” Ingresso/Ticket € 36/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 21
31 sabato Saturday
GLI INNAMORATI
(vedi mercoledì 28 dicembre) Segue brindisi di Capodanno Ingresso/Ticket € 31/35 Teatro Goldoni h. 21
THE BLACK BLUES BROTHERS
Scritto e diretto da Alexander Sunny Con Bilal Musa Huka, Rashid Amini Kulembwa, Seif Mohamed Mlevi, Mohamed Salim Mwakidudu e Peter Mnyamosi Obunde Coreografie di Electra Preisner e Ahara Bischoff
“Teatro per le Feste 2022-23” Ingresso/Ticket € 36/33 Teatro Toniolo-Mestre h. 21.30
BETONEGHE
Spettacolo di Capodanno della Compagnia Teatro delle Arance Regia di Giovanna Digito Ingresso/Ticket € 33 Teatro Corso-Mestre h. 22.30
GenJan
01
domenica Sunday
THE BLACK BLUES BROTHERS
(vedi sabato 31 dicembre) Ingresso/Ticket € 30/25
Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
06 venerdì Friday
SCARPETTE
Rossini
“Heart • Art – Stagione 2022-23” Ingresso/Ticket € 35/7 Teatro Verdi-Padova h. 20.30
12 giovedìThursday
QUASI AMICI
(vedi martedì 10 dicembre) Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
EZRA IN GABBIA
O IL CASO EZRA POUND (vedi mercoledì 11 gennaio) Teatro Verdi-Padova h. 19
19 giovedìThursday
LA DAME AUX CAMÉLIAS
(vedi mercoledì 18 gennaio) Ingresso/Ticket € 132/30 Teatro La Fenice h. 19
IL FIGLIO di Florian Zeller Traduzione e regia di Piero Maccarinelli
Ingresso libero/Free entry
Teatro del Parco-Mestre h. 21
EZRA IN GABBIA
O IL CASO EZRA POUND (vedi venerdì 20 gennaio)
Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
22 domenica Sunday
ROTTE
Scritto e diretto da Emma Dante
Con Martina Caracappa, Davide Celona, Adriano Di Carlo, Daniela Macaluso Compagnia Sud Costa Occidentale
“Teatro per le Feste 2022-23” Ingresso/Ticket € 10/08
Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
08 sabato Saturday
ESTERINA CENTOVESTITI
Compagnia Burambò
“Not Only For Kids 2022-23” Ingresso/Ticket € 7 Centro Culturale Candiani-Mestre h. 17
09 domenica Sunday
GLI AMANTI TIMIDI
di Carlo Goldoni Il Portico T.C.
“Divertiamoci a Teatro 2022-23” Ingresso/Ticket € 10/8 Teatro Momo-Mestre h. 16.30
10 martedìTuesday
QUASI AMICI
Adattamento e regia di Alberto Ferrari
Con Massimo Ghini e Paolo Ruffini Produzione Enfiteatro “Stagione di Prosa 2022/23” Ingresso/Ticket € 30/27
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
11
mercoledìWednesday
QUASI AMICI
(vedi martedì 10 dicembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
EZRA IN GABBIA
O IL CASO EZRA POUND
Liberamente tratto da scritti e dichiarazioni di Ezra Pound Scritto e diretto da Leonardo Petrillo
Con Mariano Rigillo, Anna Teresa
13
venerdì Friday
I FANATICI
Lezione-spettacolo su I fanatici di Robert Musil di e con Massimo Cacciari e due attori della Compagnia Giovani del TSV - Teatro Nazionale “Valzer di Parole” Ingresso/Ticket € 15 Teatro Goldoni h. 19
EZRA IN GABBIA
O IL CASO EZRA POUND (vedi mercoledì 11 gennaio) Teatro Verdi-Padova h. 20.30
GEPPI CUCCIARI
Perfetta
Testi e regia di Mattia Torre Con Geppi Cucciari “Heart • Art – Stagione 2022-23” Ingresso/Ticket € 35/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
14
sabato Saturday
EZRA IN GABBIA
O IL CASO EZRA POUND (vedi mercoledì 11 gennaio) Teatro Verdi-Padova h. 20.30
15
domenica Sunday
EZRA IN GABBIA
O IL CASO EZRA POUND (vedi mercoledì 11 gennaio) Teatro Verdi-Padova h. 16
18
mercoledìWednesday
LA DAME AUX CAMÉLIAS
Coreografia di John Neumeier
Scene e costumi di Jürgen Rose
Hamburg Ballet Orchestra del Teatro La Fenice Maestro concertatore e direttore Markus Lehtinen “Stagione di Balletto 2022/23” Ingresso/Ticket € 143/35
Teatro La Fenice h. 19
Con Cesare Bocci, Galatea Ranzi, Giulio Pranno, Marta Gastini “Heart • Art – Stagione 2022-23” Ingresso/Ticket € 35/15 Teatro Goldoni h. 20.30
20
venerdì Friday
LA DAME AUX CAMÉLIAS
(vedi mercoledì 18 gennaio) Ingresso/Ticket € 176/60,5 Teatro La Fenice h. 19
IL FIGLIO (vedi giovedì 19 gennaio) Teatro Goldoni h. 19
LA SIGNORA DEL MARTEDÌ di Massimo Carlotto Con Giuliana De Sio Regia di Pierpaolo Sepe “Stagione di Prosa 2022/23” Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 21
EZRA IN GABBIA
O IL CASO EZRA POUND Liberamente tratto da scritti e dichiarazioni di Ezra Pound Scritto e diretto da Leonardo Petrillo Con Mariano Rigillo, Anna Teresa Rossini
“Heart • Art – Stagione 2022-23” Ingresso/Ticket € 35/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
21
sabato Saturday
LA DAME AUX CAMÉLIAS
(vedi mercoledì 18 gennaio) Ingresso/Ticket € 176/60,5 Teatro La Fenice h. 15.30
IL FIGLIO (vedi giovedì 19 gennaio) Teatro Goldoni h. 19
LA SIGNORA DEL MARTEDÌ (vedi venerdi 20 gennaio) Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
BASTARD SUNDAY
Regia e coreografia Enzo Cosimi Fonte Pier Paolo Pasolini Interpretazione Alice Raffaelli Figura Luca Della Corte Compagnia Enzo Cosimi “youTHeater 2022.23”
LA DAME AUX CAMÉLIAS
(vedi mercoledì 18 gennaio)
Ingresso/Ticket € 176/60,5
Teatro La Fenice h. 15.30
IL FIGLIO (vedi giovedì 19 gennaio) Teatro Goldoni h. 16
LA SIGNORA DEL MARTEDÌ (vedi venerdi 20 gennaio)
Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
LA REGINA DELLE NEVI
Liberamente tratto da La Regina delle Nevi di Renzo Boldrini, Michelangelo Campanale
Regia, scene, luci, disegni di scena e scelte musicali Michelangelo Campanale
Con Alice Bachi
“Domenica a Teatro 2022-23” Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30
EZRA IN GABBIA
O IL CASO EZRA POUND (vedi venerdì 20 gennaio) Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16
25
mercoledìWednesday
EZRA IN GABBIA
O IL CASO EZRA POUND
Liberamente tratto da scritti e dichiarazioni di Ezra Pound Scritto e diretto da Leonardo Petrillo
Con Mariano Rigillo, Anna Teresa Rossini
“Stagione di Prosa 2022/23” Ingresso/Ticket € 30/27
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
TANGO MACONDO
Il venditore di metafore
Liberamente tratto dall’opera omonima di Salvatore Niffoi
Drammaturgia e regia di Giorgio Gallione
Musiche originali: Paolo Fresu (tromba, flicorno), Daniele di Bonaventura (bandoneon), Pierpaolo Vacca (organetto)
Con Ugo Dighero, Rosanna Naddeo, Paolo Li Volsi
“Heart • Art – Stagione 2022-23” Ingresso/Ticket € 35/8 Teatro Verdi-Padova h. 20.30
a genda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO , CINEMA
26
giovedìThursday
EZRA IN GABBIA
O IL CASO EZRA POUND
(vedo mercoledì 25 gennaio)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
TANGO MACONDO
Il venditore di metafore (vedi mercoledì 25 gennaio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
APOLOGIA DI SOCRATE LA VERITÀ È COME L’ACQUA
:t h eatro
Testo e regia di Giovanna Cordova Movimenti scenici e coreografie di Silvia Bennett
Con gli allievi di Tema Cultura Academy e l’intervento di due attori della Compagnia Giovani del TSV “Heart • Art – Stagione 2022-23” Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
27 venerdì Friday
GIROTONDO
Lezione-spettacolo su Girotondo di Arthur Schnitzler di e con Massimo Cacciari e due attori della Compagnia Giovani del TSV - Teatro Nazionale “Valzer di Parole” Ingresso/Ticket € 15 Teatro Goldoni h. 19
CARLO & GIORGIO
Senza Skei
“I Comici 2022-23” Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21.00
9841/RUKELI
di e con Gianmarco Busetto Regia Gianmarco Busetto, Enrico Tavella Farmacia Zooè, 2015 Evento Speciale – Giornata della Memoria “youTHeater 2022.23” Ingresso libero/Free entry Teatro del Parco-Mestre h. 21
TANGO MACONDO
Il venditore di metafore (vedi mercoledì 25 gennaio) Teatro Verdi-Padova h. 20.30
28 sabato Saturday
CARLO & GIORGIO
Senza Skei
“I Comici 2022-23” Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21.00
TANGO MACONDO
Il venditore di metafore (vedi mercoledì 25 gennaio) Teatro Verdi-Padova h. 20.30
29 domenica Sunday
NEMICI COME PRIMA di Gianni Clementi produzione Trentamicidellarte “Divertiamoci a Teatro 2022-23” Ingresso/Ticket € 10/8 Teatro Momo-Mestre h. 16.30
TANGO MACONDO
Il venditore di metafore (vedi mercoledì 25 gennaio) Teatro Verdi-Padova h. 16
INDIRIZZI
CENTRO CULTURALE CANDIANI Piazzale Candiani-Mestre www.comune.venezia.it
M9 – MUSEO DEL ‘900
Via Alessandro Poerio 34 Mestre www.m9museum.it
SCUOLA GRANDE SAN GIOVANNI EVANGELISTA San Polo 2454 www.scuolasangiovanni.it
TEATRINO GROGGIA Sant’Alvise, Cannaregio 3150 www.comune.venezia.it
TEATRO CORSO Corso del Popolo-Mestre www.dalvivoeventi.it
TEATRO DEL PARCO Parco Albanese-Mestre www.comune.venezia.it
TEATRO GOLDONI Rialto, San Marco 4659 www.teatrostabileveneto.it
TEATRO LA FENICE
Campo San Fantin San Marco 1965 www.teatrolafenice.it
TEATRO MARIO
DEL MONACO
Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it
TEATRO MOMO
Via Dante 81-Mestre www.comune.venezia.it
TEATRO TONIOLO Piazzetta Malipiero-Mestre www.comune.venezia.it
TEATRO VERDI
Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it
Dic Dec
05
lunedì Monday
VORTEX
Regia di Giancarlo Gaspar Noé (2021)
“Quarta Parete” Cinema Dante-Mestre h. 21
06 martedìTuesday
VERÃO DANADO
: c inema
Regia di Pedro Cabeleira (1992) “Luso - Mostra itinerante del nuovo cinema portoghese a Venezia” Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
VORTEX
Regia di Giancarlo Gaspar Noé (2021) “Quarta Parete” Cinema Dante-Mestre h. 21
07 mercoledìWednesday
IL MONDO DI RICCARDO
Regia di di Daniele Frison (2021) Intervengono il regista e il fotografo Corrado Piccoli “Paesaggi che cambiano 2022-23” Auditorium Spazi Bomben-Treviso h.20.30
08 giovedìThursday
LO SCHIACCIANOCI di Peter Wright
Balletto trasmesso in diretta dalla Royal Opera House di Londra “IMG Live” IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 20.15
13
martedìTuesday
RAMIRO
Regia di Manuel Mozos (2017) “Luso - Mostra itinerante del nuovo cinema portoghese a Venezia” Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
LA CENERENTOLA
di Jules Massenet Spettacoli trasmessi dal vivo, in diretta dall’Opéra di Parigi “IMG Live” IMG Cinemas Candiani-Mestre
HACHIKO
IL TUO MIGLIORE AMICO
Regia di Lasse Hallström “IMG Live – Film Evento” IMG Cinemas Candiani-Mestre
14 mercoledìWednesday
ACHTUNG! BANDITI!
Regia di Carlo Lizzani (1951) “La guerra in casa” Emergency Venezia h. 17.30
GIANLUCA FARINELLI
del Cinema Ritrovato di Bologna in conversazione con Giacomo Manzoli (Alma Mater Studiorum – Università di Bologna). Segue una proiezione del film a cura del festival invitato
“Carta Bianca. Storie orali e visuali dei festival cinematografici” Multisala Rossini h. 18.30
AVATAR
LA VIA DELL’ACQUA - 3D
Regia di James Cameron (2022) “IMG 3D HFR”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
16 venerdì Friday
BARBARA
Regia di Mathieu Amalric (2017) v.o. sottotitoli in italiano
“Alliance Française incontra Circuito Cinema”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
17 sabato Saturday
THE FABELMANS
Regia di Steven Spielberg (2022) “IMG Anteprime”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
18 domenica Sunday
SHIVA BABY
Regia di Emma Seligman (2020) “MUBI x Combo” Combo Venezia h. 17
THE FABELMANS
Regia di Steven Spielberg (2022) “IMG Anteprime”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
20 martedìTuesday
MOSQUITO
Regia di João Nuno Pinto (2020) “Luso - Mostra itinerante del nuovo cinema portoghese a Venezia” Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
22
giovedìThursday
SILHOUETTE IN BALANCE, LINDA KARSHAN AT THE ABBEY OF SAN GIORGIO, FRON SUNRISE TO SUNSET
Regia di Marco Agostinelli (2018) Introduzione di Roberta Semeraro con Marco Agostinelli e Carmelo Grasso. Linda Karshan conversa con Giulia Martina Weston, Ximena Montano, Luca Caldironi, Anthony Molino
Aula Magna, Ateneo Veneto h. 17
GenJan 10
martedìTuesday
LA VIE PARISIENNE
di Jacques Offenbach Spettacoli trasmessi dal vivo, in diretta dall’Opéra Bastille “IMG LIVE”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
11
mercoledìWednesday
TIRO AL PICCIONE
Regia di Giuliano Montaldo (1961) “La guerra in casa” Emergency Venezia h. 17.30
16
lunedì Monday
STRADE PERDUTE
Regia di David Lynch (1996) Il classico di Lynch restaurato in prima visione per “Il Cinema Ritrovato” della Cineteca di Bologna (solo v.o) “IMG Cult”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
17
martedìTuesday
STRADE PERDUTE (vedi lunedì 16 gennaio)
IMG Cinemas Candiani-Mestre
18
mercoledìWednesday
TUTTI A CASA
Regia di Luigi Comencini (1960) “La guerra in casa” Emergency Venezia h. 17.30
STEVE DELLA CASA
del Torino Film Festival in conversazione con Mariapaola Pierini (Università degli studi di Torino). Segue una proiezione del film a cura del festival invitato “Carta Bianca. Storie orali e visuali dei festival cinematografici” Multisala Rossini h. 18.30
STRADE PERDUTE (vedi lunedì 16 gennaio)
IMG Cinemas Candiani-Mestre
19 giovedìThursday
COME L’ACQUA PER IL CIOCCOLATO di Christopher Wheeldon Balletto trasmesso in diretta dalla Royal Opera House di Londra “IMG Live”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
25
mercoledìWednesday
L’ORO DI ROMA
Regia di Roberto Rossellini (1946) “La guerra in casa” Emergency Venezia h. 17.30
26 giovedìThursday
TOSCA di Giacomo Puccini Spettacoli trasmessi dal vivo, in diretta dall’Opéra di Parigi “IMG Live”
IMG Cinemas Candiani-Mestre
INDIRIZZI
ATENEO VENETO Campo San Fantin, San Marco ateneoveneto.org
AUDITORIUM
SPAZI BOMBEN
Via Cornarotta 7-Treviso www.fbsr.it
COMBO VENEZIA Ex Convento dei Crociferi Cannaregio, 4878A thisiscombo.com
EMERGENCY VENEZIA
Isola della Giudecca 212 eventi.emergency.it
IMG CINEMAS CANDIANI Piazzale Candiani-Mestre imgcinemas.it
MULTISALA ROSSINI San Marco 3997/a www.culturavenezia.it/cinema
VIDEOTECA PASINETTI
CASA DEL CINEMA San Stae 1990 www.comune.venezia.it
Mostre a Venezia Not Only Biennale
e xhibitions
CA’ PESARO | CA’ TRON
La costruzione di un grattacielo Lo Schiller Building di Adler e Sullivan
Fino Until 15 gennaio Junuary, 2023 Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Santa Croce 2076 Università Iuav di Venezia Santa Croce 1957 capesaro.visitmuve.it | www.iuav.it
CENTRO CULTURALE CANDIANI
Kandinsky e le Avanguardie.
Punto, linea e superficie.
Fino Until 21 febbraio February, 2023 Piazzale Candiani, Mestre muvemestre.visitmuve.it
D3082 – WOMAN ART VENICE
MYRA FIORI
A Decorated Woman
Fino Until 15 gennaio January, 2023 D3082 – Woman Art Venice San Polo 3082 www.d3082.org
EMERGENCY VENEZIA
Monika Bulaj
All’Ombra del Baobab
Fino Until 27 gennaio January, 2023 Fondamenta San Giacomo, Giudecca 212 www.emergencyvenezia.org
FONDATION VALMONT
Peter Pan. La nécessité du rêve Fino Until 26 febbraio February, 2023 Palazzo Bonvicini, Calle Agnello San Polo 2161/A fondationvalmont.com
OPENING
FONDATION WILMOTTE
Aqua e fogo/L’eau et le feu 15 dicembre December-9 aprile April, 2023 Gallery, Fondamenta dell’Abbazia Cannaregio 3560 www.fondationwilmotte.com
FONDAZIONE DI VENEZIA
Scatti Sospesi
Fotografie di Andrea Casari
Fino Until 31 gennaio January, 2023 Rio Novo, Dorsoduro, 3488/u www.fondazionedivenezia.org
OPENING
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA
Graziano Arici
Oltre Venezia ‘Now is the Winter of our Discontent’ 17 dicembre December-1 maggio May, 2023 Campo Santa Maria Formosa Castello 5252 www.querinistampalia.org
GALLERIE DELL’ACCADEMIA/1
Il Rinascimento in famiglia Jacopo e Giovanni Bellini, capolavori a confronto
Fino Until 12 marzo March, 2023 Campo della Carità, Dorsoduro 1050 www.gallerieaccademia.it
GALLERIE DELL’ACCADEMIA/2 Gianbattista Tiepolo Circoncisione di Cristo
Fino Until 26 febbraio February, 2023 Campo della Carità, Dorsoduro 1050 www.gallerieaccademia.it
GALLERIA ALBERTA PANE Jojo Gronostay | David Horvitz | Luciana Lamothe | Eva L’hoest | Nicola Pecoraro | Enrique Ramírez Be Water, My Friend
Fino Until 23 dicembre December
Calle dei Guardiani, Dorsoduro 2403/h albertapane.com
GALLERIA A plus A Enej Gala
Nevereverevereverevereverever learn
Fino Until 17 dicembre December Calle Malipiero, San Marco 3073 aplusa.it
OPENING
GALLERIA LUCE Rosso Veneziano 14 dicembre December 30 gennaio January, 2023 Campiello della Fenice, San Marco 1922/A www.gallerialuce.com
IKONA GALLERY
Isola verso il nuovo museo ebraico Fino Until 28 febbraio February, 2023 Campo del Ghetto Nuovo 2909 ikonavenezia.com
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE
Venini: Luce 1921-1985 Fino Until 8 gennaio January 2023 Le Stanze del Vetro lestanzedelvetro.org
MARIGNANA ARTE/1 Nancy Genn
Hand made papers 1981-1988 Fino Until 14 gennaio January, 2023 Project Room Rio Terà dei Catecumeni Dorsoduro, 141 www.marignanaarte.it
OPENING
MARIGNANA ARTE/2
Aldo Grazzi Illusioni
17 dicembre December 18 febbraio February, 2023 Rio Terà dei Catecumeni, Dorsoduro 141 www.marignanaarte.it
OPENING
MUSEO CORRER
Canova e Venezia 1822-2022
Fotografie di Fabio Zonta Fino Until 5 febbraio February, 2023 San Marco 52 correr.visitmuve.it
OPENING PALAZZO CONTARINI POLIGNAC
Claudia Alessi Revelationis 3 dicembre December 3 gennaio January, 2023 Magazzino Gallery, Dorsoduro 878
PALAZZO DUCALE
Anselm Kiefer
Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce
(Andrea Emo)
Fino Until 6 gennaio January, 2023 Sala dello Scrutinio Piazzetta San Marco palazzoducale.visitmuve.it
PALAZZO FRANCHETTI
Lee Miller - Man Ray Fashion, Love, War Fino Until 10 aprileApril, 2023 San Marco 2847 leemillermanray.it
PALAZZO GRASSI Marlene Dumas. open-end Fino Until 8 gennaio January, 2023 Campo San Samuele, San Marco 3231 www.palazzograssi.it
PROCURATIE VECCHIE
The Human Safety Net A World of Potential Piazza San Marco 1218/B www.thehumansafetynet.org
PUNTA CONTERIE ART GALLERY Forme del bere Fino Until 31 dicembre December InGalleria, Fondamenta Giustinian 1 Murano puntaconterie.com
OPENING SCALA CONTARINI DEL BOVOLO …del coraggio quotidiano Alfabeti tra il magnetismo di Nicola Grassi e i graffiti di Stefano Jus 7 dicembre December 5 febbraio February, 2023 San Marco 4303 www.fondazioneveneziaservizi.it
OPENING SPARC*- Spazio Arte Contemporanea Architettura e impegno civile Nani Valle e Giorgio Bellavitis 8 dicembre December 15 gennaio January, 2023 Venice Art Factory, Campo Santo stefano www.veniceartfactory.org
ARCHITECTURE
EXPERIENCE
Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 270-271 - Anno XXVI Venezia, 1 Dicembre 2022
Con il Patrocinio del Comune di Venezia Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996
Direzione editoriale Massimo Bran
Direzione organizzativa Paola Marchetti
Relazioni esterne e coordinamento editoriale Mariachiara Marzari
Redazione Chiara Sciascia, Davide Carbone Speciali Fabio Marzari
Coordinamento Newsletter e progetti digitali Marisa Santin
Grafica Luca Zanatta
Hanno collaborato a questo numero Katia Amoroso, Loris Casadei, Matilde Corda, Elisabetta Gardin, Renato Jona, Paolo Lucchetta, Franca Lugato, Andrea Oddone Martin, Aurora Sartori, Livia Sartori di Borgoricco, Fabio Di Spirito, Valentina Stefanachi, Camillo Tonini, Riccardo Triolo, Luisa Turchi, Andrea Zennaro
Si ringraziano Nico Zaramella, Silvia Baratta, Serena Corso, Alexia Boro, Gloria Bondi, Sonia Sicco, Elena Romagnoli, Andrea Saccoman, Marco Dalla Gassa, Carmelo Marabello, Alessandra Morgagni, Diletta Rostellato, Valentina Secco, Davide Terrin, Vincenzo Patanè
Traduzioni Andrea Falco, Patrizia Bran
Foto di copertina Nico Zaramella © worldwide reserved
lo trovi qui: Bookshop Gallerie dell’Accademia; Qshop (c/o Querini Stampalia, Santa Maria Formosa); Alef (c/o Museo Ebraico, zona Ghetto); Mare di Carta (Fondamenta dei Tolentini); Studium (zona S. Marco); Toletta, Toletta Cube e Toletta Studio (zona Campo San Barnaba) e in tutte le edicole della città.
Direttore responsabile Massimo Bran Guida spirituale “Il più grande”, Muhammad Alì
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