VENEZIA NEWS - APR 2023 - #274

Page 1

274 APRIL 2023 venice city guide € 3,00 ENGLISH INSIDE SPRING ISSUE
EXHIBITIONS MUSEUMS CONCERTS THEATRES FILMS&SERIES CLUBS FOOD&DRINKS Mensile di cultura e spettacolon° 274anno 27Aprile 2023 spedizione in A.P. 45% art.2 comma 20/Blegge 662/96DCI-VE Kourken Pakchanian, Model seated in a bubble chair , 1973, Vogue © Condé Nast
In the mood FOR ART

ICÔNES a Punta della Dogana

Josef Albers / James Lee Byars / Maurizio Cattelan / Étienne Chambaud / Edith Dekyndt

Sergej Eisenstein / Lucio Fontana / Theaster Gates / David Hammons / Arthur Jafa / Donald Judd

On Kawara / Kimsooja / Joseph Kosuth / Sherrie Levine / Francesco Lo Savio / Agnes Martin

Paulo Nazareth / Camille Norment / Roman Opałka / Lygia Pape / Michel Parmentier

Philippe Parreno / Robert Ryman / Dineo Seshee Bopape / Dayanita Singh / Rudolf Stingel

Andrej Tarkovskij / Lee Ufan / Danh Vo / Chen Zhen

Mostra 02.04.23 — 26.11.23 Venezia
della Dogana
Grassi Pinault Collection
Agnes Martin, Blue-Grey Composition 1962. Pinault Collection © Agnes Martin Foundation, New York / SIAE, 2023. Ph: Marco Cappelletti © Palazzo Grassi Punta
Palazzo
pinaultcollection.com/palazzograssi
pinaultcollection.com/palazzograssi
Mostra 12.03.23 — 07.01.24 Venezia Tesori fotografici del 20° secolo Gian Paolo Barbieri, Benedetta Barzini, with a Valentino Poncho and Coppola e Toppo Jewelry 1969, Vogue © Condé Nast
CHRONORAMA a Palazzo Grassi
Punta della Dogana
Collection
Palazzo Grassi Pinault

The sixth edition of Time Space Existence will draw attention to the emerging expressions of sustainability in its numerous forms, ranging from a focus on the environment and urban landscape to the unfolding conversations on innovation, reuse and community.

Exhibition venues:

Palazzo Mora Palazzo Bembo Marinaressa Gardens

www.ecc-italy.eu

www.timespaceexistence.com

youtube @europeanculturalcentre

facebook @europeanculturalcentre instagram  @ecc_italy

2

Venice 2023 Architecture Biennial

20.5 —

26.11.2023

3

april2023

CONTENTS

editoriale (p. 6) L’onda luminosa incontro/1 (p. 8) Susanne Franco e Annalisa Sacchi, Asteroide Amor incontro/2 (p. 14) Chiara Bertola, Edmondo Bacci. L’energia della luce tracce (p. 22) Viaggio veneziano alle Galapagos arte (p. 28) Icônes | Le Stanze della Fotografia | CHRONORAMA | Ocean Space | Vittore Carpaccio | Roberto Nardi. Perché Io? | Le Due Dame | Intervista a Marco Petrus | De’ Visi Mostruosi e Caricature | Quadreria Palazzo Ducale | Loggia Palladiana Gallerie dell’Accademia | Carla Accardi | Rivoluzione Vedova | Fondation Valmont | Nicolò Manucci | Luigi Manciocco | Simon Berger | Inge Morath | Graziano Arici | Nikos Aliagas | 4. VIP. Venezia International Photo Festival | Intervista Esther Manon Van Ekeris – The 2212 | Galleries | Biennale Architettura Preview | Demas Nwoko Leone d’Oro alla carriera | Canova e il potere | La guerra è finita | Intervista a Chiara Gatti, Giacometti – Fontana | Palazzo Strozzi musica (p. 82) Nu Fest | Leoni Biennale Musica 2023 | Grimoon + Trust The Mask | Fossick Project | Rachel Gould 5tet | Franco D’Andrea | Candiani Groove | Marillion | Diana Krall | Avril Lavigne | Centrodarte23 classical (p. 92) Compositrici! | Quartetto di Venezia | Orfeo ed Euridice | Stagione Sinfonica Teatro La Fenice | 37. Stagione di musica da camera Teatro Toniolo | Musikàmera | Echi d’organo in cantoria theatro (p. 100) Un curioso accidente | Gran Cabaret Carlo e Carlo | Asteroide Amor | L’arte teatrale di Mischa Scandella | Coppia aperta quasi spalancata | Pour un oui ou pour un non | Riccardo III | youTHeater 2022.23 | A Night with Sergio Bernal | La morte e la fanciulla | Feste | Comici cinema (p. 110) Classici Fuori Mostra | Everything Everywhere All at Once review | Leoni Biennale Cinema 2023 | Notti disarmate | Italia – Il fuoco, la cenere | On a eu la journée, bonsoir | Supervisioni | Far East Film Festival | Cinefacts – Iran etcc... (p. 122) Centenario Museo di Storia Naturale | Intervista a Mauro Covacich | Intervista Matteo Melchiorre | Parole: Dignità menu (p. 130) Destinazione Armenia | Oscar Farinetti | Aperol Together with Venice | Bertani al St. Regis | Pasqua al Fondaco dei Tedeschi citydiary (p. 137) Agende | Mostre a Venezia | Screenings | Design&more

ASTEROIDE AMOR

Fondazione di Venezia, IUAV, Università Ca’ Foscari, and Teatro Stabile del Veneto join forces for an amazing theatre season curated by Susanne Franco and Annalisa Sacchi. A tool for our collective, shared reflections on our lived present.

i ncontro/1 p. 8

2

OPENING!

Art curator Chiara Bertola takes Edmondo Bacci back at Guggenheim; at San Giorgio, new-and-improved Le Stanze della Fotografia; suprising exhibition Icônes at Punta delle Dogana; Condé Nast’s treasure at Palazzo Grassi with CHRONORAMA ; and more: Ocean Space, Palazzo Cini, Fondation Valmont, M9… i ncontro/2 p. 14 | arte p. 28

3

VITTORE CARPACCIO

At Palazzo Ducale, the perspective, nature, and light of painter Vittore Carpaccio – his drawings and paintings will memorialize the fifteenthcentury genius. The highlights of the exhibition: the Two Dames and his famous Hunting Scene arte p. 36

4
1

COVER STORY

At Palazzo Grassi CHRONORAMA . Photographic Treasures of the 20th Century, is a collection of photographs from the Condé Nast archives which have recently been acquired by Palazzo Grassi’s parent company Pinault Collection. Curator Matthieu Humery spent much time perusing the immense archives – Condé Nast is the publisher of Vogue, The New Yorker, GQ, Glamour, Architectural Digest, Vanity Fair, and Wired, among others – to eventually select four hundred iconic images that will bring the twentieth century back to life before our eyes. Events, social trends, personalities, evolution in taste and aesthetics... anything that earned a place in history, plus, obviously, the art and technique of photography itself as a language of mass communication. These portraits-not selfies, and features-not stories have been created by some of the greatest talents of their generation, from the 1910s to the early 1980s. It all started in 1909, when the young and ambitious publisher Condé Montrose Nast bought a niche socialites’ weekly named Vogue, once founded by Arthur Baldwin Turnure in 1892 and semi-abandoned after Turnure’s death. Soon enough, Nast turned Vogue into a magazine for the elite – or aspiring to be. As history would have it, Vogue would become the most famous and influential fashion magazine in the world. arte p. 32

NU FEST

Electronic music in a Veneto Jazz production dedicated to the memory of Veneto Jazz mastermind Marcello Mormile. On April 6 and 29, a performance by Solaris at Fondaco dei Tedeschi and one by Impro Brain Sound Pod at Teatrino di Palazzo Grassi, respectively, will build a whole architecture of genuine experimental sound. musica p. 82

COMPOSITRICI!

4 5 6

Palazzetto Bru Zane highlights women’s talent in their programme of Romantic-era music by female composers: Chaminade, Bonis, Holmès, Farrenc, and many others: seven concerts for solo and ensemble formations. classica l p. 92

UN CURIOSO ACCIDENTE

Goldoni stages Goldoni at Malibran Theatre: a classic comedy of errors combination directed by Rimas Tuminas, ending the theatre’s winter programme. t heatro p. 100

5
Kourken Pakchanian, Model seated in a bubble chair, 1973, Vogue © Condé Nast

L’ONDA LUMINOSA

All’irrompere della Primavera immancabilmente i nostri sensi, il nostro quotidiano sono attraversati tumultuosamente da due flussi, da due moti dall’incedere a dir poco ostinato e contrario (ci perdoni il buon Faber per l’ostinatissimo abuso che tutti facciamo della sua ultima, Smisurata Preghiera ). Da una parte il timore e la nausea ingenerati dall’onda irreversibilmente montante del turismo massivo, quello che soffoca la città in una stretta davvero mortifera e senza tregua, alimentando il suo lato più triste e straccione, quello ben, anzi, mal restituito dalla teoria infinita di negozi di paccottiglie e di locali presidiati da intromettitori incombenti, che appena ti si avvicinano con fare incalzante ti si blocca lo stomaco e ti regali alla dieta, unico, virtuoso effetto collaterale di tanta mestizia; dall’altra parte la gioia, lo slancio culturalmente vitale accesi dalla incredibile, e anche questa crescente, offerta artistico-culturale che Venezia, grazie all’impetuoso traino della Biennale in particolare in questi ultimi dieci, quindici anni, è capace di regalare al miglior pubblico internazionale, quello che ama visitare le città per quanto sanno proporre in termini di suggestioni e stimoli culturali oggi, nella contemporaneità, quindi ben oltre il mero dato storico, qui peraltro ineguagliabile. Si tratta di due correnti, di due energie che corrono parallele, sovrapposte, talvolta scontrandosi, per poi ripartire vorticosamente verso direzioni opposte per l’appunto.

Della prima non c’è molto da dire, e tanto meno voglia di girarci intorno. Sappiamo tutti bene, infatti, quale degrado, quale nefasto impatto nell’equilibrio, nell’immagine presente della città questo non-governo di masse incontrollate calanti quotidianamente tra calli e campi produca nella salute di questo organismo urbano fragilissimo. Soluzioni, naturalmente difficilissime da trovare più passa il tempo consumato nell’inazione, non se ne vedono all’orizzonte, tanto meno oggi, con un governo della città che al netto delle parole di prammatica pare dare del tu assai più a quest’onda che a quella ad essa contraria. Quindi disillusione a mille e sconforto a temperature massime. Ma fermiamoci qui per ora, perché è dall’altra corrente che ci piace farci portare lontano dalla mediocrità. E allora avanti, concentriamoci felici sul bicchiere mezzo pieno, una mezza coppa di champagne, forse meglio di barolo, ohibò!, che non smette mai di essere rialimentato mese dopo mese, anno dopo anno. Non più “solo” la straordinaria offerta di mostre, concerti, spettacoli teatrali per così dire strutturalmente canonici, quelli degli storici musei e degli altrettanto storici teatri cittadini per

intenderci; quelli continuano nella loro preziosa attività grazie al cielo e rappresentano la base del piatto stellato che viene servito a tavola di questi tempi. No, qui registriamo ingredienti sempre più sopraffini a dare il valore aggiunto decisivo alla pietanza culturale ormai sempre più prelibata. Nuove fondazioni nazionali ed internazionali ad insediarsi permanentemente in città, nuove geografie urbane a definire e ad accogliere nuovi progetti culturali, in un contagio e in un virtuoso dialogo continuo tra attori storici e nuovi protagonisti che assicurano ad entrambi gli insiemi nuova spinta, nuova linfa creativa e produttiva. In questo numero che avete tra le mani misurerete il peso, la ricchezza di questa rinnovata spinta, con l’incredibile somma di nuove mostre appena apertesi giustamente in anticipo di oltre un mese rispetto all’imminente, attesissima Biennale Architettura di Lesley Lokko, su cui naturalmente concentreremo il nostro prioritario interesse nel prossimo numero ampiamente dedicato a questa storica edizione che guarderà prepotentemente verso il grande continente africano. E non solo esposizioni come dicevamo, ma nuova vitalità anche sul fronte scenico, musicale. In tutto questo fiume di nuove progettualità ci piace qui scegliere due nuove direzioni, anche se nuovissime proprio non lo sono in termini di identità progettuale e curatoriale, e che però nel loro rinnovato incedere arricchiscono la geografia culturale e l’interazione tra soggetti, istituzionali e non, protagonisti di questo vitale presente veneziano. Mi riferisco qui a Le Stanze della Fotografia, appena inauguratesi con una straordinaria personale di Ugo Mulas e con una mostra di grande presa visiva sulla città quale quella di una delle più importanti fotografe veneziane contemporanee, Alessandra Chemollo, e ad Asteroide Amor, intrigante e bellissimo titolo della seconda stagione del rinnovato progetto di Teatro Ca’ Foscari, una stagione davvero caleidoscopica in termini di linguaggi proposti e di geografie coinvolte. Perché scegliere tra tutte queste due proposte? Perché entrambe restituiscono eloquentemente una intelligente e produttiva modalità di costruire cultura sistemicamente. Avverbio alquanto in disuso in laguna, ahinoi, da troppo tempo. Le Stanze della Fotografia rappresentano un ulteriore arricchimento di quello che è già da anni a tutti gli effetti uno dei massimi poli del contemporaneo in città. L’Isola di San Giorgio, infatti, tra Le Stanze del Vetro e le mostre in occasione della Biennale organizzate dalla Fondazione Cini, tra tutte ricordiamo il Padiglione del Vaticano, che ha tra l’altro lasciato permanentemente nel parco le cappelle disegnate da alcuni tra i

6
più editorial e

importanti architetti del mondo in occasione della Biennale 2018, le esposizioni ospitate nella basilica palladiana, Homo Faber e oggi questo nuovo spazio dedicato alla fotografia, ha assunto in questo ultimo decennio davvero uno status di attore protagonista anche sulla scena del contemporaneo, dato che sul fronte storico-artistico, architettonico ed archivistico già non temeva troppi rivali. Ma questo nuovo progetto merita, ripeto, di essere valutato ancor prima che per la sua innegabile cifra culturale, peraltro altissima come si è già detto, per la sua radice fondativa, letteralmente direi, dato che sono proprio le Fondazioni ad aver costruito il motore che ha reso possibile l’apertura di questo nuovo spazio dedicato alla fotografia. In primis la Fondazione di Venezia naturalmente, che nel momento in cui decise un paio di anni fa di alienare la Casa dei Tre Oci si attirò gli strali di mezza città, eppure in grado rapidissimamente di dare doppio scacco agli indignati di professione. Da un lato, infatti, è stata capace di vendere quel meraviglioso edificio giudecchino consacrato alla fotografia ad un soggetto internazionale quale la Fondazione Berggruen, che addirittura, una volta acquisito lo spazio, ha raddoppiato acquistando pure Palazzo Diedo a Cannaregio per farne la propria sede espositiva e di residenze d’artista. Parliamo di una Fondazione che intende qui produrre cultura, pensiero, dialogo, visto che è attiva da sempre sui temi caldi della geopolitica. Quindi non la classica, scontata vendita all’ennesimo player della ricettività insomma. Primo goal. Secondo, salvaguardare, ed anzi rinforzare, il decennale progetto sulla fotografia individuando l’Isola di San Giorgio come nuova, ideale sede espositiva e la Fondazione Cini come partner strategico per queste nuove Stanze della Fotografia. Una partnership, sostanziata nei contenuti naturalmente dal vincente ed imprescindibile lavoro organizzativo e produttivo di Marsilio Arte, che

restituisce con concreta evidenza un percorso di lavoro sempre più condiviso da attori centrali della cultura cittadina. Stesso il profilo, seppur su un terreno culturale altro, disegnato per il lancio del progetto teatrale Asteroide Amor, seconda stagione della nuova direzione del Teatro Ca’ Foscari. Una stagione che vede lavorare fianco a fianco nella curatela e nella programmazione le due università veneziane, Ca’ Foscari e lo IUAV, grazie all’impegno e alla visione aperta delle docenti di settore dei due atenei, rispettivamente Susanne Franco e Annalisa Sacchi. E già questa è una notevole notizia, con le due Università allineate a sistema per dare corpo a un progetto di alta cifra qualitativa con lo scopo di coinvolgere il pubblico ampio dei giovani studenti, ma naturalmente non solo, sul terreno dei linguaggi più vivi della contemporaneità in scena. Ma c’è di più, assai di più. Infatti a quello delle due Università si aggiunge il lavoro fondamentale della Fondazione di Venezia, che non solo si pone ancora una volta come istituzione di coordinamento del fare cultura, ma che concretamente contribuisce in maniera sostanziale e lungimirante a finanziare il progetto riannodando il lungo filo decennale di Giovani a Teatro, di cui la Fondazione fu promotrice e finanziatrice, interrottosi nel 2015, e la collaborazione strategica del Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale.

Due esempi alti che dimostrano come anche qui, in questa città da decenni senza una regia complessiva in grado di coordinare questo sterminato e frastagliato delta culturale che la attraversa, sia possibile lavorare prospetticamente con visioni condivise su progetti chiari e forti. Insomma, si può fare, sì. Basterebbe che qualcun altro, chissà chi…, imparasse la lezione. Ma questo è chiedere troppo oggi. Godiamoci perciò questi due bei progetti sinergici convincendoci che sia solo un inizio. Sperare non costa nulla.

7
Ugo Mulas. Il laboratorio. Una mano sviluppa, l’altra fissa. A Sir John Frederick William Herschel, 1970 - 1972 © Eredi Ugo Mulas Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

ALLINEAMENTI PLANETARI

Questi Asteroidi sono come mondi oltre al mondo, perennemente prossimi e insieme eternamente alieni

Susanne Franco

8
i ncontro
/1
Photo Luca Pilot

Giunta alla sua seconda edizione, la rassegna teatrale Asteroide Amor, nata dal progetto Giovani a Teatro della Fondazione di Venezia, è curata da Susanne Franco, Delegata della Rettrice alle Attività teatrali di Università Ca’ Foscari, e Annalisa Sacchi, Direttrice del corso di laurea in Teatro e Arti performative presso lo IUAV

Una sinergia virtuosa, quasi un “allineamento tra pianeti” che non solo coinvolge i due Atenei cittadini, ma anche il Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale. Tre attori che, guidati da Fondazione di Venezia e dal suo Direttore Giovanni Dell’Olivo, si sono proposti di fare sistema con il duplice obiettivo di offrire alla Città metropolitana, e in particolare ai giovani che la abitano, una selezione di spettacoli rappresentativi della scena contemporanea italiana e internazionale e al contempo di sottolineare il ruolo del teatro quale potente strumento di riflessione collettiva e condivisa sul nostro presente, animata dalle suggestioni offerte dagli artisti.

Come gli Asteroidi Amor, che sfrecciano sfiorando l’orbita della Terra e di altri pianeti, gli spettacoli della rassegna si manifestano in più luoghi della città, dalla “casa madre” il Teatro Ca’ Foscari a Santa Marta al Teatro Goldoni, dal Teatro Piccolo Arsenale a Palazzo Grassi – Punta della Dogana, passando per gli spazi dell’area portuale, connettendo mondi diversi attraverso suggestioni e impulsi della scena contemporanea.

Tra aprile e maggio saranno protagoniste in scena la compagnia romana Muta Imago, la performer scozzese Genevieve Murphy e l’artista cilena Manuela Infante (vedi approfondimento p. 103).

Quali sono le linee di fondo curatoriali che caratterizzano e informano la vostra programmazione teatrale e in quale relazione si pongono con la vocazione formativa costitutiva del vostro lavoro all’università?

Susanne Franco : Il nostro lavoro all’università si divide tra didattica, ricerca e quella che viene definita “terza missione” ovvero tutte le attività che mirano alla disseminazione dei risultati delle ricerche, alla formazione continua extra accademica e al coinvolgimento diretto della società civile per assicurare che il mondo universitario sia in costante e stretto legame con il territorio che lo ospita. Il teatro è uno dei dispositivi più efficaci in questo senso e Ca’ Foscari ha la fortuna di avere un teatro che vanta, peraltro, una lunga storia. Asteroide Amor è stata l’occasione per ripensare a come potenziare al massimo la presenza del Teatro di Ca’ Foscari a Santa Marta a Venezia e nella città metropolitana aumentando il raggio di azione e puntando ad avere compagnie e artisti che portano spettacoli scelti sia per i temi che affrontano sia per i linguaggi che usano e le estetiche che sperimentano. Quest’anno, per esempio, abbiamo dato ampio spazio alle questioni ambientali, che a Ca’ Foscari sono oggetto di attenzione grazie a corsi di laurea dedicati e ad ambiziosi progetti di ricerca internazionali, e in particolare collaboriamo con il The New Institute – Centre for Environmental Humanities. Come docente e come curatrice considero questi spettacoli occasioni preziose per offrire allo spettatore un’esperienza insieme sensoriale ed emotiva attorno a temi cogenti, oltre che per stimolare riflessioni. La speranza è che possano contribuire a farci affrontare con più consapevolezza e collettivamente il futuro. Penso a questa linea curatoriale come a un percorso che tracciamo in dialogo tra noi due ma sempre in ascolto dei colleghi e degli studenti, che a lezione pongono domande e condividono ansie, speranze, visioni. Asteroide Amor funzionerà se farà da cassa di risonanza a questi discorsi e nutrirà alcune di queste curiosità.

Annalisa Sacchi : All’Università IUAV il corso di laurea magistra-

www.unive.it/asteroideamor

Planetary ENG Alignments

Theatre programme Asteroide Amor is now at its second edition. The product of virtuous synergy of established theatre professionals, it involves the two local universities as well as the Teatro Stabile del Veneto. Its goal is to offer Venice, and Venetian youth in particular, a choice of shows that are representative of modern Italian and international theatre as well as a tool to reflect on our world. Much like real-life Amor asteroids, which brush the Earth’s orbit, the shows in the programme visit a number of different places around town, connecting different worlds. Company Muta Imago, Scottish performer Genevieve Murphy, and Chilean artist Manuela Infante will visit between April and May.

Your curatorial line

SF: Our work at university comprises teaching, research, and what is called our ‘third mission’, meaning all those activities whose goal is to popularize the results of our research, extra-academic education, and liaising with society to make sure there’s always an open relationship between universities and localities. Theatre is one of the most effective tools to do so, and we are lucky we can make use of Ca’ Foscari’s theatre, which has a very long history. Asteroide Amor is the chance we need to maximize the presence of Ca’ Foscari Theatre at Santa Marta by expanding our reach in Metro Venice and inviting new companies and new artists. This year, for example, we gave space to environmental issues, which at Ca’ Foscari are the object of study of several majors and research programmes. In particular, we have been working with The New Institute – Centre for Environmental Humanities. As an educator and curator, I think these shows are precious chances to expose theatregoers to a sensorial and emotional experience on important questions and issues, a stimulus for reflection. My hope is that we can do something to make everybody more aware and more willing to act collectively to face the future.

AS: Our major in Theatre and Performance Arts At IUAV University is renowned around the continent. We have been among the first to introduce curatorial studies in the field of performance art, for example, and in general such themes as decolonization, energy policy, and gender studies are central in our curriculums. We work with practicing professionals, too: every year, international artists and companies as well as professional curators participate in teaching. We see it everywhere: the relationship between art, education, and curatorship is generative and necessary, even within educational institutions.

Asteroide Amor – where does it come from?

AS: Theatre has always been an alien body, both very close and very foreign to the world. Even when we see a performance original written by the imagination of an author who lived 2600 years ago, we are still able to find something familiar in it. This was our starting point. Giacomo Covacich, creative director at B.R.U.N.O. and creator of the image of Asteroide Amor – came up with the title. These celestial bodies come very close to the Earth’s orbit, though never touch it. A proximity of affection (amor) at cosmic-level distances.

9
di Massimo

i ncontro

SUSANNE FRANCO E ANNALISA SACCHI TEATRO CA’ FOSCARI

le in Teatro e Arti performative, che dirigo da alcuni anni, è una realtà speciale a livello europeo. Siamo state le prime a introdurre in Italia insegnamenti in Curatela delle arti performative ad esempio, ma in generale temi come la decolonizzazione, le ecologie politiche e i saperi di genere sono centrali nei nostri curricula. Lavoriamo a contatto stretto con le pratiche: ogni anno abbiamo artisti e compagnie internazionali che fanno parte del corpo docente, oltre a professionist* della curatela che, ad esempio, dirigono festival importanti. Il dialogo tra questi ambiti fa dunque intimamente parte del nostro mandato formativo.

Del resto, lo vediamo sempre più intensamente a livello internazionale, la relazione tra pratiche artistiche, pedagogie e processi curatoriali è ormai considerata generativa e necessaria anche all’interno delle istituzioni accademiche.

Asteroide Amor : da dove viene la scelta di questo intrigante titolo per la rassegna 2023?

AS : Il teatro è sempre stato un corpo alieno, insieme vicinissimo ed estraneo al mondo per cui, anche quando assistiamo a opere prodotte dall’immaginazione di un autore vissuto duemilaseicento anni fa, continuiamo a riconoscere qualcosa di intensamente familiare. Siamo partite da qui, e Giacomo Covacich, creative director di B.R.U.N.O e autore dell’immagine coordinata di Asteroide Amor, è arrivato col titolo, che evoca questi corpi celesti dotati di un’orbita per cui periodicamente si approssimano a quella della Terra, senza mai toccarla. Una prossimità affettiva – amor – nelle distanze cosmiche.

SF: Questi Asteroidi sono come mondi oltre al mondo, perennemente prossimi e insieme eternamente alieni. Ci invitano a spostare il punto di osservazione da cui è possibile avere visioni inedite. Ho l’impressione che questa sia la sensazione che provano non pochi spettatori di fronte a proposte spesso lontane da quelle che hanno conosciuto e sperimentato, proprio perché vengono da ricerche artistiche in corso e da contesti altri. La scommessa per noi consiste nel convincerli a tornare e a rimettersi in gioco ogni volta.

Non solo eterogeneità delle rappresentazioni, ma anche importanti nomi con una presenza generazionale assai trasversale. Oltre al binomio giovani artisti/giovani spettatori, quale altro pubblico di riferimento vi piacerebbe riuscire a portare a teatro?

AS : La tensione e la visione di partenza di Giovanni Dell’Olivo, direttore della Fondazione di Venezia che per prima e fortemente ha voluto questo progetto, è stata rivolta al pubblico giovane, e da qui deriva la collaborazione con le nostre università. Bisogna però intendersi su cosa sia questa perimetrazione anagrafica, bisogna essere all’altezza delle domande che si aprono nelle generazioni che ci danno il cambio. Immaginare un progetto “giovani a teatro” infatti non vuol dire “portare i giovani a teatro”, ripetendo e trasmettendo moduli culturali ormai esausti, che giustamente le nuove generazioni disertano. Vuol dire creare un programma in cui le tensioni che galvanizzano il nostro presente e determinano il nostro futuro sono presenti in forma essenziale, a volte addirittura folgorante. Ma vuol dire anche saper leggere e tradurre in forma diffusa (non solo per un certo gruppo generazionale) i lavori che abbiamo scelto perché siano fruibili per tutt*. Lo abbiamo visto avvenire già col programma

dell’anno scorso, quando un teatro imponente come il Goldoni è stato affollato fino agli ultimi ordini per Tutto brucia dei Motus. E poi il pubblico si ferma a lungo, all’aperto, per prolungare quell’esperienza, per discuterla, per elaborare quello che ha visto. Dovremmo moltiplicare questi momenti, estenderne la durata, includere pubblici ancora più trasversali.

SF: Per noi che viviamo e lavoriamo a Venezia vedere i nostri teatri pieni di studenti e di giovani in generale è un segnale che la città esiste ed è viva malgrado le allarmanti trasformazioni in atto. Coinvolgere questa fascia di pubblico resta un obiettivo prioritario proprio perché calato in una realtà molto delicata, dove l’età media è un dato su cui riflettere così come lo spazio fisico, sociale e politico lasciato alle nuove generazioni. L’idea di disseminare la rassegna in più luoghi e in larga parte non specificamente teatrali (da Palazzo Grassi al Piccolo Teatro Arsenale, dal cortile di Ca’ Tron a Palazzo Trevisan degli Ulivi) è un modo per intercettare pubblici di volta in volta diversi e farli interagire tra loro. In questo senso Asteroide Amor funziona un po’ come un reagente chimico. Per ora la disseminazione sta dando risultati positivi non solo in termini numerici.

Quale il ruolo di Asteroide Amor in città rispetto allo sviluppo e alla ricerca di nuovi linguaggi performativi oggi?

AS : Oltre alla Biennale e ad alcuni eventi importanti legati alla performance, programmati da istituzioni private (penso in particolare a Pa-

10
Una imagen interior, El Conde de Torrefiel © Nurith Wagner-Strauss Wiener Festwochen

lazzo Grassi e Ocean Space, con cui infatti collaboriamo) il pubblico non ha molte occasioni di incontrare la creazione contemporanea. Allo stesso tempo, le infrastrutture necessarie alla nascita di una nuova generazione artistica che lavori con la danza e la performance sono molto limitate in città, e così pure gli spazi per le prove. Perché possa formarsi un ecosistema artistico fatto di student*, artist*, ricercator* e pubblico non specializzato è essenziale creare le condizioni di una tessitura relazionale continua. Un programma come quello di Asteroide Amor è un gesto in questa direzione.

SF: Asteroide Amor si inserisce in una stratificazione temporale fitta di programmazioni ed eventi teatrali in città. Si pensi solo al ruolo cruciale che ha avuto il Teatro Fondamenta Nove, che è stato un punto di riferimento importante e luogo di incontri e scoperte decisive, anche per chi poi si è messo in gioco professionalmente in questo ambito come studioso, critico, curatore o artista. In occasione di alcune serate della rassegna, gli spettatori che frequentavano assiduamente il Teatro Fondamenta Nove si sono riconosciuti tra loro anche come membri di quella comunità, che sembra riconfigurarsi nella trasformazione inevitabile. Vecchi e nuovi sguardi si intrecciano e i commenti a spettacolo finito restituiscono questa storia e le loro storie di questi spettatori. Penso che il teatro contemporaneo serva soprattutto a rielaborare il passato, interrogare il presente e immaginare il futuro, e il fatto che Asteroide Amor accada in questi anni a Venezia mi rende particolarmente felice.

SF: These Asteroids are worlds beyond our world. They are eternally close and eternally foreign. They invite us to shift our observation point and experience new, original visions. My impression is that that’s what theatregoers feel when they watch a show that is different from what they are used to, precisely because they originated in different contexts and from ongoing artistic research. What we bet on is they’ll come and put themselves into play once more.

Diverse shows, big names, and new audiences

AS: Giovanni Dell’Olivo, the director of Fondazione di Venezia, maintained that our goal was to address a younger public, which is why we have been working with universities. We must be clearer, though, on what we mean when we say we address younger audiences, and be able to give answers to their questions.

A theatre project that addresses youth is not a way to bring youths to the theatre, and show them cultural modules that have nothing to say to them. Young people wouldn’t go, and they would be right. What is to be done is to create a programme that is essentially all about what excites our present and determines our future. It means being able to read and translate existing works so that everybody can appreciate them. We love it when we see our audience discuss what they saw, extend their theatre experience, and include others.

SF: For us who live and work in Venice, seeing our theatres full of students and young people is a signal that our city really exists and lives, no matter what alarming pieces of news say. To involve those audiences is a primary goal of ours, especially in the delicate context of a population that is on average older and physical spaces smaller. Our idea to run our programme in different venues is a way to intercept different audiences and make them interact. In this sense, Asteroide Amor works as a chemical reactant. We are looking at positive outcomes.

New performative languages

AS: There’s the Biennale and some other programmes (Palazzo Grassi, Ocean Space), but that’s as far as it goes if we are talking modern creations. At the same time, the infrastructure that would be needed to breed a new, younger generation of artists who work with dance and performance art are limited in town. To sustain an ecosystem of students, artists, researchers, and public, it is essential to create the conditions for a continuous social network. Asteroide Amor is our attempt to do so.

SF: Asteroide Amor is part of a list of programmes of theatre events in Venice. I’m thinking of the Fondamenta Nuove Theatre, which has been a reference point and a meeting place for amazing discoveries. Its audience recognize themselves as part of a community. Old and new points of view mix, and end-of-show commentary serves to rehash the past, question the present, and imagine the future. I couldn’t be happier that Asteroide Amor is taking place right here, right now.

11
12 www.m9museum.it
Exhibition conceived and developed by Mostra ideata e prodotta da M9 is a project by M9 è un progetto di

i ncontro

TEATRO CA’ FOSCARI ASTEROIDE AMOR

Sono molte e varie le persone che a Venezia si occupano in qualche modo di Teatro, chi da un punto di vista attoriale, chi da uno drammaturgico, chi in chiave pedagogica, chi epistemologica, chi sul piano dell’organizzazione teatrale, chi della critica, chi del marketing e del management teatrale, chi degli innumerevoli aspetti tecnici, sconosciuti ai più, che rendono effettivamente possibile alla Macchina dei Sogni di rappresentarsi in scena. E poi, naturalmente, ci sono gli spettatori. Mi piace pensare che tutte queste persone siano consapevoli che la Fondazione di Venezia ha una lunga e appassionata storia con il Teatro nella Città Metropolitana di Venezia. Una storia che comincia nel 2003 con la prima edizione di Giovani a Teatro, il progetto che ha incarnato per ben due decenni il peculiare disegno strategico dell’istituzione per la quale ho la fortuna di lavorare in termini di politica culturale sul territorio. Nel concreto, è bene ricordare che questa politica culturale ha dato origine a un modus operandi che è stato riconosciuto nel 2011 come migliore pratica a livello nazionale per il sostegno all’ecosistema culturale teatrale, conseguendo il Premio dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro.

pevolezza che le potenzialità del linguaggio teatrale, fatto di parole e movimento in uno spazio concluso nel quale si rappresenta per convenzione millenaria null’altro che la Vita nelle sue caleidoscopiche sfaccettature, siano riferibili non solo al prodursi e al riprodursi dell’arte scenica in quanto tale, ma anche nel suo farsi strumento di analisi, formazione e autocoscienza individuale e collettiva della società contemporanea.

LA SCENA DI DOMANI

La felice intuizione che ha guidato la nostra Fondazione nel costruire un progetto che sostenesse dalle fondamenta l’ecosistema teatrale è stato comprendere la necessità di legare in un tutt’uno la formazione del nuovo pubblico, coinvolgendo gli studenti dalle scuole medie inferiori fino all’università, la formazione professionale sia degli attori sia dei loro insegnanti, le facilitazioni per i giovani all’accesso di nuovi spettacoli con tariffe calmierate, il coinvolgimento partecipativo di registi, attori e drammaturghi nella formazione di una cultura teatrale per pubblici di tutte le età attraverso il linguaggio del teatro contemporaneo.

È stato dunque merito di amministratori illuminati, di un gruppo dirigente e di collaboratori capaci e motivati in seno alla Fondazione di Venezia, aver maturato la consa-

Da questa scaturigine di pensieri si è giunti negli anni ad affinare gli aspetti attuativi del progetto, rafforzando notevolmente e in primo luogo la piattaforma dei soggetti istituzionali coinvolti, per rendere l’offerta culturale più forte, plurale e autorevole. È per questo che dal 2021 la Fondazione di Venezia è diventata socio del Teatro Stabile del Veneto in un momento difficile della storia della massima istituzione teatrale della nostra Regione, oggi fortunatamente alle spalle. Con l’ingresso nella compagine del TSV, la Fondazione ha portato in dote, oltre alla contribuzione finanziaria, la nuova formulazione di Giovani e Teatro (G.A.T. 2.0) e il preziosissimo partenariato con Ca’ Foscari e IUAV, costituendo un Comitato Tecnico Scientifico a quattro, in seno al quale è stata concepita e realizzata, grazie alla curatela delle docenti delegate dai Rettori e al lavoro organizzativo ma anche ideativo di Fondazione di Venezia e TSV, la fortunatissima rassegna Asteroide Amor

Asteroide Amor rappresenta in sostanza il frutto maturo di questo partenariato fra istituzioni volto a favorire e promuovere il teatro contemporaneo, la creazione del pubblico teatrale di domani e, auspicabilmente, l’affermazione di un nuovo civismo attento all’inclusione sociale, consapevole e rispettoso delle differenze e delle fragilità degli individui e delle comunità, in grado di fare fronte alle crescenti complessità dell’esistenza e della convivenza.

13

RITORNO A CASA

... [Bacci] è semplice vivo e intenso. Per lui il colore è un conflitto di potenze e la materia vive di questa tensione, sensibile e luminosa

14 i ncontro
/2
Peggy Guggenheim a Palazzo Venier dei Leoni con, alle spalle, al centro, Avvenimento #247 (1956), Venezia, 1956. Fondazione Solomon R. Guggenheim, Foto Archivio Cameraphoto Epoche, Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005

di Mariachiara Marzari e Fabio Marzari

Una mostra appena inaugurata alla Collezione

Peggy Guggenheim e un catalogo da poco pubblicato da Marsilio Arte restituiscono a Edmondo Bacci (Venezia, 1913 – 1978) la posizione di rilievo che merita nel panorama dell’arte moderna italiana e internazionale. Ma forse c’è qualcosa di più sorprendente: viene restituita al pubblico la purezza della sua arte, perchè nella riscoperta le sue opere rinascono di nuova luce ed energia creativa, libere dalle maglie strette del passato e aperte al futuro, traghettate direttamente su una dimensione contemporanea, dove non cedono il passo, anzi, sembrano “avvenimenti” del presente. Fautrice di questo nuovo rinascimento del grande artista veneziano è Chiara Bertola, responsabile del programma di arte contemporanea alla Fondazione Querini Stampalia, “prestata” qui alla Collezione Peggy Guggenheim che con questa mostra conclude il percorso di revisione critica della pittura veneziana della seconda metà del Novecento, dopo le mostre monografiche su Vedova, Santomaso, Tancredi. Quando Chiara Bertola ha proposto la mostra di Bacci, Carol Vail, direttrice della Collezione Peggy Guggenheim, ha accolto subito con grandissimo entusiasmo il progetto, perché questo artista in qualche modo appartiene a quella casa, a quel luogo dove Peggy Guggenheim aveva saputo riconoscere la qualità della sua pittura e lo aveva sostenuto.

Edoardo Bacci L’energia della luce è senz’altro la prima e la più esaustiva personale mai presentata di questo straordinario artista sin troppo nell’ombra da anni e anni; un progetto che intende approfondire la parte più lirica del suo lungo percorso espressivo, dipanatasi nella fase più internazionale della sua carriera. Chiara Bertola incontra da studentessa per la prima volta l’arte di Bacci con sguardo puro e incondizionato; oggi lo incontra ancora rileggendolo con attenzione, esperienza e sensibilità nuove, arricchite da uno studio profondo e appassionato.

Come nasce l’idea di questa importante retrospettiva che raccoglie più di ottanta opere tra dipinti e disegni? Quale il suo speciale e personale legame con questo artista?

Mi sono laureata in Arte con Giuseppe Mazzariol. È stato questo straordinario docente, sicuro che per me sarebbe stata un’esperienza conoscitiva piena e intensa, a consigliarmi di occuparmi di Edmondo Bacci, un artista di grandissima qualità, tuttavia sprofondato troppo presto nell’oblio. Finché rimangono in vita Peggy Guggenheim e Carlo Cardazzo, Bacci ha dei sostenitori, delle persone che riescono a far breccia nella sua timidezza aprendolo al mondo. Senza queste figure di mecenati, amici, promotori, collezionisti e galleristi insieme, Bacci non avrebbe avuto il carattere per farsi valere da solo nel mondo dell’arte. Era timido, chiuso nel suo silenzio e nella sua magnifica opera, come se mettesse tutta la sua energia nella pittura, senza preoccuparsi di avere relazioni con altri, come del resto accade a tantissimi artisti.

La mia tesi è stata il primo catalogo generale dell’opera di Edmondo Bacci; nessuno prima aveva ancora studiato e ordinato seriamente il suo lavoro. Capii che il mio sforzo non si sarebbe esaurito

www.guggenheim-venice.it

Thanks to a newly-inaugurated exhibition at Peggy Guggenheim Collection and a catalogue published by Marsilio, Edmondo Bacci (Venice, 1913–1978) is given the prominent position he deserves in the Italian and international modern art world. They go even further than that: they convey the pureness of Bacci’s art, because in rediscovering it, it is born again in new light and new creative energy, free from schemes that belong in the past.

We owe the rediscovery of Edmondo Bacci to Chiara Bertola, who heads the modern art programme at the local Fondazione Querini Stampalia, and took a job at Peggy Guggenheim’s to revive, critically, the late-1900s season of Venetian painting after monographic exhibitions on Vedova, Santomaso, Tancredi, Fontana. Edmondo Bacci: Energy and Light is, without doubt, the most complete personal exhibition on Bacci, and an in-depth work on the most lyrical season of his artistic life.

Your choice on Edmondo Bacci

My mentor and professor, Giuseppe Mazzariol, knew I would love working on Edmondo Bacci, which is why he suggested I do so. Bacci is a genius artist, an artist of excellent quality, and has been far too quickly forgotten. As long as Peggy Guggenheim and Carlo Cardazzo were still living, Bacci had someone who could pierce through his shyness and make him open to the world. Without these sponsors, as well as friends, promoters, collectors, and gallerists, he didn’t have the character to assert himself in the world of modern art. Shy, closed up in his silence and his art, he behaved as all of his energy had to be put in the art, and none spared for interpersonal relationships. Some artists are like that.

I graduated with a thesis on Edmondo Bacci. No one, before me,

15
Edoardo Bacci. L’energia della luce 1 aprile-18 settembre Collezione Peggy Guggenheim Chiara Bertola a Palazzo Venier dei Leoni con Avvenimento #247 (1956)

i ncontro

CHIARA BERTOLA EDMONDO BACCI

con questa tesi quando varcai per la prima volta la soglia dello studio a San Vio, dove erano stati radunati tutti i suoi materiali e le sue opere. Guidata dal fratello Giorgio e dalla moglie Denise, che mi hanno accolto in casa come una figlia, ho trascorso moltissimo tempo in quello stanzino a riordinare i materiali che avevo trovato così com’erano stati lasciati l’ultima volta del loro utilizzo, e ho continuato a studiare quel materiale per diversi anni. È stato un reale lavoro di riordino: ho dovuto improvvisarmi archivista e a volte anche detective, catalogando foto, ordinando opere e disegni, schedando la corrispondenza, cercando di rintracciare attraverso i suoi quadernini colmi di annotazioni dove si trovassero le opere, molte di queste perdute chissà dove negli Stati Uniti, dopo il grandissimo lavoro di Peggy Guggenheim e Alfred Barr per divulgare la sua opera oltreoceano. Di diversi lavori avevo foto in bianco e nero, da cui risultavano titoli, dimensioni, tecnica, però non sapevo dove fossero; tantissime opere erano disperse. Sono riuscita, grazie al prezioso supporto di Mazzariol e del Dipartimento di Storia dell’Arte, a inviare una miriade di richieste di informazioni ai collezionisti americani dei quali avevo rintracciato l’indirizzo nelle lettere. Attraverso questo capillare lavoro di indagine in parte sono riuscita a ricostruire fortunatamente il percorso organico della sua produzione artistica. La mia tesi è così diventata il primo volume del Catalogo generale dell’opera di Edmondo Bacci, pubblicata dalle Edizioni del Cavallino. Sono passati molti anni da allora e nel tempo sono diventata una curatrice che lavora per lo più con artisti viventi. Tuttavia con l’altro mio sguardo ho sempre continuato a occuparmi di Bacci e ho sempre mantenuto verso di lui una certa attenzione, collaborando nel tempo con il nipote Gregorio, che nel frattempo aveva preso le redini dell’archivio dello zio. Insieme a Gregorio abbiamo cercato di custodire e proteggere le parti più delicate, come lettere o documenti o altri materiali deperibili e di avere la massima cura possibile per valorizzarlo e conservarlo con attenzione.

Quindi, l’embrione dell’Archivio Bacci, che anche ora, in mostra, è un elemento fondamentale, è stato messo insieme da lei?

Si, di fatto avevo iniziato a costruirlo senza averne coscienza in occasione della tesi. Poi con Gregorio Bacci lo abbiamo realizzato compiutamente, facendolo infine riconoscere “Archivio di valore” dalla Regione Veneto. Oggi la Fondazione Querini Stampalia – grazie all’archiviazione professionale di Isabella Collavizza – ha offerto il supporto digitale all’archivio delle sue opere partendo proprio da quel mio iniziale catalogo di tesi, al quale naturalmente sono stati apportati aggiornamenti, recependo per esempio i cambi di proprietà di alcune opere. L’obiettivo finale è mettere online l’intero catalogo riordinato, divenendo così consultabile da tutti.

È stato un pittore prolifico?

Bacci è stato un pittore relativamente prolifico, perché la sua tecnica era abbastanza complessa e i tempi di lavorazione non erano così istantanei. L’intero corpo di opere conta più o meno 500 Avvenimenti

Una mostra e un bellissimo nuovo catalogo. Quale revisione critica emerge dell’arte di Bacci da questi due nuovi contributi?

Per quanto riguarda gli autori che ho invitato a scrivere nel catalogo,

edito da Marsilio, l’intento era di offrire l’opera di Bacci, ancora vivissima e per nulla morta o polverosa, allo sguardo di giovani e raffinati intellettuali e critici contemporanei. Abbiamo deciso di riservare spazio al testo denso e filosofico di Toni Toniato, poeta, storico e critico d’arte che per primo ha interpretato e creduto, in Bacci e nella sua opera, sostenendolo fino alla fine. Parimenti abbiamo invitato uno dei più importanti critici americani che si occupano di pittura contemporanea, Barry Schwabsky, ad accostarsi con la sua personale visione al lavoro di Bacci. Trovavo interessante capire come un critico così specifico e aggiornato sul colore e la pittura potesse in qualche modo accogliere, osservare e confrontarsi con il linguaggio e l’opera di Bacci, che nasce in una dimensione artistica precisa –l’informale, lo Spazialismo, Venezia e Milano – in un preciso momento della storia dell’arte europea, quello del Dopoguerra. Schwabsky non conosceva veramente le opere di Bacci; aveva visto il dipinto conservato al MoMA e alcune altre altre opere presenti in America, ma quando l’abbiamo invitato a Venezia ho avuto modo di intrattenere con lui delle bellissime conversazioni e di introdurlo in una dimensione “bacciana” a lui totalmente inedita. Ha restituito un testo magnifico che offre certamente una nuova vita, un nuovo sguardo e una nuova linfa alla pittura di Edmondo Bacci.

L’altra figura che ho invitato a contribuire al catalogo è Riccardo Venturi, un intellettuale e un critico raffinatissimo, capace di mettere in relazione mondi diversi, letteratura, cinema, arte contemporanea,

16
Edmondo Bacci nello studio, Venezia, 1961. Sul cavalletto, Senza titolo (1957 c.), proseguendo verso destra, Avvenimento #316 (Omaggio a Gagarin) (1958), Avvenimento #328 (1959 c.) - Archivio Edmondo Bacci, Venezia

oltre ad essere di per sé un bravissimo scrittore. Venturi ha voluto dipanare un filo che attraversa il suo percorso artistico partendo dalle Fabbriche, dallo sguardo critico e stupefatto di Bacci su quel paesaggio industriale e di attenzione dell’arte al mondo operaio e di impegno politico tipico di quegli anni del Dopoguerra, riallacciandolo, attraverso una rilettura green ed ecologista, alla questione della sostenibilità del paesaggio.

È interessante che quella pittura, quella figurazione di Bacci del 1947/50, venga ora riaggiornata, vista in modo diverso rispetto a quella radice storica, politica e sociale da cui era nata, rendendola servibile per intercettare un conflitto, un tema sociale ed ecologico importante che ci tocca oggi. Questa credo sia veramente una rilettura critica convincente attraverso la quale rendere vivo un artista del recente passato nella contemporaneità.

È esattamente quello che sto cercando di fare da anni alla Fondazione Querini Stampalia, ovvero tenere in vita e rivitalizzare con nuovi sguardi percorsi che sembrano apparentemente morti, ma che invece sono solo assopiti o coperti da un cono d’ombra che va spostato verso la luce.

Quale il ruolo di Bacci nella Venezia del Novecento?

Bacci era un artista interessante perché aveva le ‘antenne’ sempre accese. Avvertiva l’urgenza di trasformare il suo linguaggio pittorico in qualcosa che parlasse la lingua viva della contemporaneità. Quando Fontana e il gruppo degli Spazialisti gli aprono la possibilità di inserirsi in un dibattito sintonizzato su temi che gli sono assolutamente congeniali, la prima cosa che Bacci fa, non essendo uno che parla o che scrive, è reagire con il proprio lin-

dedicated much study to his art, and I understood how great my task was going to be as I waked into his studio for the first time. Guided by his surviving brother Giorgio and wife Denise, who took me in like a daughter, I spent so much time perusing the Bacci archive and make some sense of it. it was the job of an archivist and of a detective. I catalogued pictures, paintings, drawings, mail, notes… and tried to locate the art that Guggenheim and Alfred Barr took to America, trying to make a name for their protégé overseas. He was a relatively prolific artist, though we must remember that his technique was complex, and not quick by any means. All in all, we are looking at some 500 pieces.

A critical essay of Bacci

His art is still very living, and no critics think of it as dusty or outdated. In our catalogue, we made some space for a beautiful, passionate essay by Toni Toniato, the artist, poet, and art critic and historian who was among the few to believe in Bacci and his art, supporting him to the very end. Likewise, we commissioned a critical text to one of the most important American modern art critics, Barry Schwabsky. I was very curious as to what such a specialized critic would say of Bacci’s art, which came to be in a very specific art season – the Informal, Spatialism, Venice, Milan… – at a very specific time, post-WWII Italy. Shwabsky wasn’t really acquainted with the art, he only saw the piece that is at MoMA and a few others, though when he finally flew here, we entertained beautiful conversation and entered Bacci’s dimension fully. He wrote an absolutely beautiful essay that will offer a brand new vision on the art.

The other person who I invited to participate in making the catalogue is Riccardo Venturi, an exquisite intellectual and critic, who can draw relationships between different worlds of literature, cinema, modern art. He is also an accomplished author in his own right. Venturi writes of a thread that starts with the Fabbriche (‘factories’), Bacci’s vision on physical labour and political commitment that was strongly felt in those years, giving an ecologist view on the social issue.

It is interesting that Bacci’s art 1947 – 1950 may be revisited, today, in a different light than the historical, political, and social context it was born in, and makes it useful to understand a conflict, a social and ecological issue that touches us today.

The artist’s role

Bacci is a very interesting artist because of how sensitive he was. He felt the urgence to adapt his painting into something that could speak the language of modernity. When Fontana and the Spatialists offered him the chance to take part in a debate on theme that he felt very close to, the first thing he did was to react with painting – which is perfectly consistent with what Spatialism maintained and theorized. Bacci’s language evolved, constantly. It strived for experimentation. A young artist, today, will be fascinated by the space building techniques used by Bacci, who

17

i ncontro

CHIARA BERTOLA EDMONDO BACCI

18
Edmondo Bacci Fabbrica, 1951 c. Collezione Montanari, Venezia Edmondo Bacci Avvenimento #31-A (Esplosione), 1967 Collezione Marino Sinosi, Treviso Edmondo Bacci Avvenimento #13R (Avvenimento plastico), 1953 Museum of Modern Art, New York Edmondo Bacci Avvenimento #27, 1954 Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York, Donazione anonima

guaggio pittorico, di fatto perfettamente in sintonia con quello che gli altri artisti e teorici dello Spazialismo stanno affermando e teorizzando. Tuttavia quello di Bacci è anche un linguaggio che evolve in continuazione, che insegue la sperimentazione. Oggi un giovane artista contemporaneo potrebbe essere interessato alle soluzioni sintetiche e geniali di immaginare lo spazio, che Bacci realizzava con materiali presi dalla quotidianità negli anni Settanta. Sono gli anni delle tante sperimentazioni dell’Arte Cinetica, che in quel momento è terreno comune per vari gruppi soprattutto attivi nel Nord Italia tra Milano e Padova e che per Bacci rappresenta una nuova sollecitazione, un nuovo impulso creativo. Bacci se prima creava delle esperienze spaziali con la pittura, poi restituisce dei paesaggi lunari o la vastità delle costellazioni con altri pochi elementi. Lo fa solo con dei fili colorati e sperimenta altri materiali prelevati dalla realtà come del polistirolo, palline da ping-pong, le capocchie di varie dimensioni dei chiodi. In questo modo i valori tattili della pittura, soprattutto quelli spaziali, sono mantenuti e riproposti attraverso altre soluzioni. Si rinnova e si adegua anziché ripetersi e irrigidirsi, che è ciò che invece rischiava di fare poco prima, negli anni Sessanta, quando alcuni suoi quadri esauriscono la modalità pittorica spaziale iniziale, assolutamente lirica, espansiva e propulsiva del colore, chiudendola nella geometria di forme precise. Alle sue opere sperimentali della fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta ho voluto dedicare in mostra uno spazio importante, perché rappresentano un nuovo slancio all’interno del percorso di questo artista, che svela una visione fresca e propositiva di quei valori spaziali che aveva indagato all’inizio.

Bacci è insomma connesso fortemente con la propria contemporaneità e continua a perseguirla, cambiando, innovandosi, adeguandosi alle nuove istanze del tempo in cui vive. Non si richiude mai nel mestiere o in un mestiere consolidato; gli piace occupare il centro dinamico della vita in divenire. Questo secondo me è tra tutti il tratto che lo rende un artista di grandissimo interesse.

Il suo dipingere, la forza generativa del colore, la rottura dei piani spaziali e il ritmo circolare della pennellata. Quale il preminente segno stilistico che lo connota e attraverso quale evoluzione espressiva arriva a questi esiti lirici?

La mostra segue l’evoluzione del suo percorso proprio per sottolineare le composite sfaccettature del suo lavoro, dagli inizi con le Fabbriche in bianco e nero a quelle colorate, alle Albe fino ad arrivare agli Avvenimenti più lirici. Ho focalizzato l’attenzione sugli anni Cinquanta, quegli anni in cui lo conoscevano anche Peggy Guggenheim e Carlo Cardazzo, e ho scelto delle opere importanti, poche ma molto significative. Volevo che la mostra avesse un ritmo all’interno di cambi luminosi, di atmosfere cromatiche per portare il visitatore a respirare e toccare con gli occhi quell’aria, ogni volta diversa, che Bacci riesce a dipingere sulla tela. In mezzo alla mostra c’è la rottura degli anni Settanta, dove ho voluto dare spazio al suo momento sperimentale per mostrare quanto lui sia stato in grado di progredire e di evolvere il proprio linguaggio espressivo.

Vicino c’è un’altra sala che ho voluto dedicare interamente a un gruppo di disegni mai esposti prima e che appartengono alla mia storia. Li avevo scovati dentro a una valigia quando per la tesi stavo riordinando il suo studio; li avevo ordinati e catalogati già in quell’occasione, poi sono stati custoditi nell’Archivio Bacci e ora per la prima volta vengono mostrati al pubblico. Si tratta di disegni realizzati dal 1949 al ‘72, abbracciando quindi praticamente tutta la carriera dell’artista. Ho voluto creare una stanza quasi laterale nel percorso della mostra dove poter godere di questa gioiosa nuvola di disegni esposti tutti insieme come un paradigma linguistico. I disegni

employed mixed media. We are talking of the early Seventies, which goes to show the artist’s sensitiveness on the upcoming trend of optical art first, and performance art later. He captured space using painting, first, using coloured thread and few other elements, like Styrofoam and ping-pong balls. The tactile values of painting, spatial ones especially, are to be found in other experiments, too. For example, this circle with iris giving the illusion of motion is an experiment on Cinetic Art, which was avant-garde at the time in northern Italy. Bacci renewed his art at all times, looking for ways to be flexible as an artist. We dedicated an important part of the exhibition to his art of the late 1960s and early 1970s, for they showcase a new, fresh, enthusiastic vision on the spatial coordinates of the time. In short, Edmondo Bacci is an artist that held a strong relationship with modernity, and kept investigating it by adapting and innovating his art. He never withdrew into the status quo, he always came back to the dynamic centre of life. This is, in my opinion, what makes him extremely interesting as an artist.

Style

The exhibition follows the evolution of Bacci’s style for the explicit purpose of highlighting how composite and diverse his work is. In the 1960s, his initial lyricism tensed up, which is why I chose to exhibit very little of that period. I preferred fewer, though very important, pieces that would give the exhibition the rhythm it needs. There’s a point of rupture, too, the 1970s, which show Bacci’s progression and evolution.

Exhibited for the first time is a series of drawings, which are very dear to me. I found them packed into a suitcase, back at the time of me working on my thesis. They spent years at the Bacci Archive and now they’re here. They are very important, because they span the whole 1949-to-1972 period – basically the artist’s entire career. What I wanted to do is to offer a new, fresh vision on an artist, a new and fresh perspective, different from the established reading. I think what is apparent, at first, is that Edmondo Bacci is the artist you don’t expect him to be. On a deeper level, he is an artist nobody knows that well.

Edmondo Bacci – the man

At the time, there was no ‘artist’ character. Bacci was an everyday man – mild, polite, passionate though restrained. He came from a working-class family. What is interesting is that his themes are adjacent to those of artists like Vedova, Pizzinato, and others who belonged to the Fronte Nuovo delle Arti. Bacci has been able to take everything he learned and put it into art, which is his voice. When he had been asked why he would join the Spatialists, he answered that he wanted to join in because they focused on what he thought was interesting, too. He just kept it simple, almost consequential. This is what I think, and this is what will happen. There was no big strategy, only urgency: the urgency to express what was within.

19

i ncontro

CHIARA BERTOLA EDMONDO BACCI

sono esposti vicino ai collages delle “carte bruciate”, di nuovo un Bacci sperimentatore di materiali particolari e alternativi, utilizzati per costruire ancora spazio e costellazioni inedite, nello specifico qui attraverso un materiale che sta scomparendo: frammenti di carta bruciata. Chiude il percorso espositivo una sorpresa: ho cercato di collegare l’attitudine verso lo spazio pittorico degli artisti spaziali veneziani. In loro infatti troviamo un background che affonda le radici nel colorismo e nella stagione della grande pittura veneziana del Settecento. Lo stesso Bacci racconta che quando da bambino andava a messa la domenica ammirava e osservava i grandi affreschi nelle chiese di Venezia. Quella lezione è rimasta tatuata nella sua memoria e ritorna vivida nella sua costruzione dello spazio. Se guardiamo l’architettura spaziale entro cui Bacci fa muovere e ruotare le sue masse cromatiche, le forme dell’aria o del fuoco in certe sue Esplosioni e Avvenimenti, seguendo i salti magnifici che la storia dell’arte permette, quell’architettura spaziale la ritroviamo esattamente nelle opere di grandi maestri come Tiepolo o Veronese, nei loro immensi affreschi sulle volte delle chiese veneziane.

Alla fine ho cercato di organizzare una mostra in grado di restituire una visione nuova e viva di Bacci e credo che ne emerga un profilo inaspettato. In realtà è un artista che nessuno conosce nel profondo....

La mostra in questa straordinaria casa-collezione-museo non può che enfatizzare il legame di Bacci con Peggy Guggenheim. Quale effettiva influenza ha esercitato la mecenate americana sull’artista?

Dico sempre che sono felicissima di aver riportato Bacci “a casa” dopo tanti anni, perché è proprio da questa casa e dalla spinta decisiva della sua proprietaria che è iniziata la sua fortuna, da cui deriva il suo riconoscimento. Bacci è stato un artista che in vita ha avuto un buon riconoscimento, se solo pensiamo che nel 1958 gli riservano addirittura una sala personale alla Biennale di Venezia presentato da Peggy Guggenheim stessa. Di fatto ha avuto grandissimo successo: le sue tele prendono il cammino per andare oltreoceano, entrano nei più prestigiosi musei americani, a partire dal MoMA, diviene uno degli artisti più venduti negli Stati Uniti. È una specie di “star” che viene lanciata da una protagonista fondamentale dell’arte contemporanea del Novecento quale era Peggy Guggenheim e da un gallerista potente come Carlo Cardazzo – insieme erano straordinari –; le due gallerie di Cardazzo tra Venezia e Milano, Il Cavallino e Il Naviglio, hanno dato un impulso decisivo all’affermazione del gruppo degli artisti spazialisti. L’azione quindi di queste due cruciali figure dell’arte moderna, risulterà a dir poco decisiva per lo sviluppo, il riconoscimento e la carriera di Bacci. Una volta esauritasi quella fase felice, l’opera di Bacci non ha più avuto la stessa cura e attenzione, né lui stesso la forza di promuoversi e andare avanti: è così che poco a poco intorno alla sua opera si allarga una sorta di deserto. Peggy Guggenheim è una figura straordinaria e coraggiosa, perché ama e sente l’arte, sostiene gli artisti credendoci profondamente e li divulga. Dove trovi oggi un mecenate così libero, così autonomo, che vede un artista assolutamente sconosciuto, lo ama, lo sostiene e lo porta in un museo come il MoMA? Alfred Barr, primo direttore del MoMA, viene condotto da Peggy nello studio di Bacci. Peggy fa tutto ciò con una libertà e una generosità che noi possiamo solo sognare per come si è stravolto il sistema arte oggi.

Come lei, anche Carlo Cardazzo è una figura di straordinaria apertura mentale. È un uomo e un intellettuale raffinato e coraggioso; con le sue edizioni del Cavallino crea una congiunzione importante per l’Italia rispetto a quello che si sta producendo in Europa, traduce per esempio nel Dopoguerra il primo Manifesto del Surrealismo e autori come Joyce. È un gallerista al quale la comunità dell’arte italiana deve moltissimo, perché apre le porte internazionali del contemporaneo a un gruppo di artisti che forse avrebbero corso il rischio di rimanere attivi nel recinto stretto del nostro Paese. Sono figure praticamente irripetibili oggi. Pensiamo a Peggy, una collezionista certo con grandi disponibilità, con risorse importanti a cui attingere, capace però di impiegarle in maniera lucida, coraggiosa e visionaria. Una donna che era avanti e capace di costruire una propria collezione, presentata per la prima volta alla Biennale del 1948 nel Padiglione Greco, di opere di artisti oggi considerati dei giganti, ma che allora erano davvero sconosciuti. Quando scommette su Pollock e lo presenta in quella Biennale del Dopoguerra, per gli artisti italiani, Bacci incluso, l’impatto è sconvolgente. Peggy è stata una figura davvero potentissima, nel senso proprio deflagrante del termine. Ha aperto mondi di fatto inediti.

Quante opere di Bacci ci sono nella Collezione Guggenheim?

In Collezione ci sono due opere che lei aveva comprato e che provengono dalla sua casa, un’altra proviene dal Solomon Guggenheim, ma ora è qui a Venezia e un’altra opera donata dall’Archivio Bacci anni fa che è ora esposta nella sala dedicata agli artisti Spazialisti, appena allestita nel percorso della Collezione.

Peggy Guggenheim amava tantissimo le opere di Bacci; non solo aveva la casa piena di suoi quadri, ma si faceva sempre fotografare davanti ad essi. Lei stessa scrive che Bacci è un mistero, un uomo tanto timido ed educato che quasi non conosce nonostante lo incontri e saluti quasi tutti i giorni; ma intuisce e riconosce subito l’energia della sua pittura e la forza della sua opera. Edmondo Bacci non riesce ad esprimere a parole quello che banalmente esprime con il linguaggio dell’arte. Gli artisti sono quasi tutti così e del resto non vogliamo nemmeno che siano diversi. Per quell’epoca il caso di Bacci non era affatto atipico, tutt’altro.

Com’era l’uomo Bacci?

Al tempo non esisteva il “personaggio artista”. Bacci era un uomo normale, mite, educato, appassionato, ma misurato, che proveniva da una famiglia semplice, dal mondo operaio di Marghera. È interessante perché tutti i valori che troviamo nella sua opera sono prossimi a quelli che informano i lavori di artisti come Vedova, Pizzinato e di tutti gli altri che partecipano al Fronte Nuovo delle Arti. Bacci riesce a portare tutte le cose che impara, che sente e che assorbe dalla cultura di quell’epoca nella sua pittura, che è la forma espressiva che gli dà la parola. Quando gli viene chiesto perché ha scelto di aderire al gruppo degli Spazialisti, Bacci risponde senza dilungarsi concettualmente sul tema dello spazio, che stava sviluppando ed elaborando attraverso le sue opere, afferma semplicemente di aver seguito questo gruppo di artisti poiché sostenevano cose che a lui sembravano interessanti. Era tutto molto chiaro per lui, quasi consequenziale: faccio questo perché questo è quello che sento di fare. Non vi erano delle strategie meditate nel suo agire, piuttosto vi erano delle priorità, delle urgenze da esprimere.

20
21

LIDO, MALAMOCCO, SCHIAVONI... ALLE GALAPAGOS

22
ce
tra c
Foto 1_Piano nautico del Puerto Boquerizo Moreno alle Galapagos. Le frecce indicano il due fari di Punta Lido e Punta Malamoco e gli scogli Schiavoni

Imbroglio, ballottaggio, quarantena, gazzetta. Parole nate a Venezia diventate di uso comune nella lingua italiana. Ghetto, lazzaretto e arsenale, quest’ultimo termine mutuato dalla lingua araba, sono anch’essi vocaboli della lingua veneziana migrati in tutto il mondo, come pure l’amichevole ciao. Anche lo stesso nome Venezia – piccola, grande, del nord, francese, brasiliana... – è l’epiteto evocativo della più famosa città d’acqua accoppiato a centri urbani vagamente somiglianti. Ultima Dubai, modernissima città galleggiante nei dépliant turistici, denominata la Venezia d’Oriente

Meno intuitivo decifrare come siano sopravvissuti al mutevole turbine della storia i toponimi Punta Lido, Punta Malamocco e Arrecife Schiavoni del Puerto Boquerizo Moreno (Baia Naufragio), in una recente carta nautica ecuadoregna nell’Arcipelago delle Galapagos ( Foto 1)

La lecita curiosità, al di là di ipotesi di fantasiosi viaggi di veneziani in terre tanto lontane, viene soddisfatta risalendo alla storia delle campagne di circumnavigazione attorno al mondo di navi della Marina Militare Italiana nella seconda metà dell’Ottocento.

L’Italia unitaria, all’epoca, raccoglieva l’eredità delle grandi Repubbliche marinare scegliendo una strategia economica e politica che puntava ad ampliare le rotte mercantili con la ricerca di nuovi mercati e tutelando gli insediamenti commerciali già avviati. Pochi mesi dopo la proclamazione del Regno, infatti, il Ministro degli esteri Bettino Ricasoli definiva gli italiani particolarmente “portati alla navigazione

ed alle imprese commerciali”, ponendo le basi per una sinergia tra la Marina militare e mercantile in un’ottica volta a potenziare l’esplorazione e la valorizzazione economica specialmente delle rotte oceaniche, puntando particolarmente sul rafforzamento della presenza italiana in America meridionale.

Le missioni intorno al mondo della pirocorvetta Vettor Pisani ( Foto 2 ) si inserivano in questa prospettiva e il nome scelto per l’imbarcazione rinnovava i fasti marinari dell’ammiraglio veneziano del Trecento, raffigurato a mezzo busto nello sperone di prua. La nave, lunga 65 metri e larga 12, fu la prima realizzata nell’Arsenale di Venezia per la Regia Marina dopo l’annessione all’Italia e varata il 22 luglio 1869. Con una stazza di 1.962 tonnellate, lo scafo in legno aveva una velatura a tre alberi che le consentiva di usufruire della forza del vento e, in aggiunta, poteva contare sulla propulsione ad elica di un motore a vapore della potenza di 300 HP. La velocità di crociera non superava i quattro nodi l’ora, ma l’imbarcazione, per le buone qualità di affidabilità nella tenuta del mare e disponendo di confortevoli alloggiamenti e servizi per i 238 uomini di equipaggio, offriva i requisiti fondamentali per garantire comodità e sicurezza nelle lunghe navigazioni oceaniche.

Nel 1871 la Vettor Pisani partiva per la sua prima circumnavigazione del globo terrestre e compiva rilievi idrografici nel Mar Rosso. Lungo il viaggio recuperò in Nuova Guinea gli esploratori Beccari e De Albertis dati per dispersi. La missione dopo 27 mesi si concluse nel 1873, dopo aver percorso 48.000 miglia delle quali 40.000 compiute solo con l’ausilio delle vele.

23
cura
STORIE a
di Camillo Tonini Foto 2_La pirocorvetta Vettor Pisani (Archivio storico di Palazzo Tozzoni, Imola)

trac ce UN VIAGGIO

OCEANICO

Un anno dopo il suo rientro era nuovamente pronta per un nuovo viaggio di circumnavigazione verso gli scali della Cina e del Pacifico, che durò due anni e nove mesi, per rientrare infine all’Arsenale di Venezia. Durante questa seconda crociera, che terminò nel 1877, furono effettuati importanti rilievi idrografici che permisero di rettificare la posizione geografica di alcune isole dell’arcipelago delle Molucche, riportate in modo errato nelle carte nautiche della marineria inglese.

Tra il 1879 e il 1881 la corvetta affrontava un nuovo importante viaggio nell’Estremo Oriente, spingendosi fino alle coste del Giappone, dove ebbe l’onore di essere la prima nave straniera ad ospitare a bordo i principi imperiali.

Il primo marzo del 1882 passava nuovamente da Venezia per essere riallestita e rimodernata, dopo di che lo stesso anno, precisamente il 20 aprile, partiva da Napoli per la sua quarta e ultima campagna oceanica (America meridionale, Polinesia ed Estremo Oriente) sotto il comando del capitano di fregata Giuseppe Palumbo, formato nella marineria borbonica e successivamente approdato agli alti gradi della flotta sabauda.

La missione aveva ufficialmente il compito di raccogliere dati oceanografici, una vera e propria spedizione scientifica volta a dare lustro al genio italiano fornendo un importante contributo alle conoscenze dell’epoca in campo zoologico, idrografico, cartografico e meteorologico. Non si può escludere che tra i motivi celati sotto la promozione dello Stato italiano durante il lungo percorso in mari lontani vi fossero anche interessi militari finalizzati ad un’eventuale espansione coloniale, in un momento in cui tutte le potenze occidentali erano alla ricerca di terre vergini e ricche da poter sfruttare.

A bordo ufficiali e marinai competenti e motivati ( Foto 3 ) , a partire dal comandante Palumbo, che del viaggio ha redatto un particolareggiato Giornale di Bordo, coadiuvato al comando da Ruggero Caniglia e dal tenente di vascello Enrico Serra, ufficiale di rotta. I lavori idrografici con tracciamenti di nuove carte e correzioni di quelle già esistenti, in modo particolare dell’estremità dell’America meridionale, erano coordinati dal tenente di vascello Cesare Marcacci, che aveva imbarcato opportuni strumenti per il rilievo della natura dei fondali marini e per la misurazione delle profondità quale, ad esempio, posto sul ponte di comando di prora al posto di una mitragliatrice di ordinanza, uno scandaglio “Thomson” adatto ai grandi abissi, il primo acquistato dalla Marina Militare Italiana. A Marcacci dobbiamo anche la generosa semina dei tanti toponimi per luoghi sino ad allora

inesplorati che riportavano nomi di uomini dell’equipaggio, di importanti personaggi del tempo e di luoghi d’Italia ( Foto 6 ) . Al tenente di vascello Gaetano Chierchia era stata affidata, invece, la missione di raccogliere esemplari di flora e fauna marina. A questo scopo la nave era stata dotata di idonei strumenti di raccolta e di un funzionale gabinetto scientifico fornito di attrezzature, di contenitori e sostanze chimiche per la conservazione dei campioni prelevati ( Foto 5 ) . Le relazioni scritte, pubblicate dalla Rivista Marittima della Marina Militare e dal Bollettino della Società Geografica Italiana, oltre che dai diari personali degli ufficiali, hanno contribuito alla ricostruzione storica di quel viaggio, così come le fotografie scattate dal giovane guardiamarina Francesco Tozzoni, che furono raccolte in un prezioso album e altrettanto sorprendente Diario, conservato nell’archivio storico di Palazzo Tozzoni, ora inserito nel circuito dei Musei Civici di Imola.

Dopo avere circumnavigato l’America, la Vettor Pisani passa nel Pacifico attraverso lo stretto di Magellano il 26 ottobre del 1882. Punta quindi a nord lungo la costa cilena, peruviana e colombiana fino a Panama, da dove, dopo una lunga sosta, nel marzo del 1884 dirige la prua verso l’arcipelago delle Galapagos, tappa importante per le sue peculiarità naturalistiche e geologiche all’epoca da poco divulgate dagli studi di Charles Darwin. L’interesse della missione si focalizzava soprattutto sull’isola di Chatham, ora San Cristóbal, la prima che si incontra provenendo dal continente, dove era insediata una comunità agricola denominata “Hacienda Progreso” condotta dall’avventuroso imprenditore ecuadoregno Manuel Cobos che, istruendo la manodopera locale, era riuscito a mettere a frutto piantagioni di canna da zucchero e caffè e a sviluppare un allevamento di bovini ( Foto 4 )

La corvetta arrivò in prossimità dell’isola la sera del 21 marzo del 1884 e sì ancorò prima nella Baia di Stephen e due giorni dopo nella baia di Porto Chico, rinominato “Vettor Pisani” così come raccontato negli scritti di Cesare Marcacci: «[…] Benché l’ancoraggio sia completamente aperto ai venti del 1° e del 4° quadrante, s’ebbe poco mare col vento da nord. Le lance che hanno ispezionato la costa hanno trovato assenza di pericoli fino a poca distanza da terra. La qualità del fondo varia fra alghe calcaree, scogli e sabbia. La terra di fronte all’ancoraggio è tutta verde dalle più alte vette al mare; non si vedono alti alberi, ma solamente arbusti. Dall’ancoraggio un fumo c’indicò la posizione della colonia in alto al principio del versante opposto. La costa non offre acqua dolce; se ne trovò poca e

24
La corvetta arrivò in prossimità dell’isola di Chatham – ora San Cristóbal – la sera del 21 marzo del 1884 e si ancorò prima nella Baia di Stephen e due giorni dopo nella baia di Porto Chico, rinominato “Vettor Pisani”
Foto 3_Gli ufficiali della Vittor Pisani. Al centro il comandante Giuseppe Palumbo In alto a destra, Francesco Tozzoni, cui si deve la raccolta dell’album fotografico del viaggio (Archivio storico di Palazzo Tozzoni, Imola) Foto 4_Abitanti delle isole Galapagos (Archivio storico di Palazzo Tozzoni, Imola)

trac ce

UN VIAGGIO OCEANICO

salmastra, in pozzanghere; con facilità furono presi grossi e buoni pesci, aragoste e foche; si notò abbondanza di pesci cani. Una spedizione fu mandata alla ricerca della colonia e tornò dopo una giornata portando con sé il capo della colonia medesima don Manuel Cobos equatoriano. Il mattino seguente, dietro esplorazione eseguita dal sottotenente di vascello Bertolini [...] e colla guida del Cobos, entrammo nel Porto-Chico, che è il porto della colonia. Sulla carta di Fitz-Roy esso è appena accennato senza nome. Per la sua piccolezza i coloni lo chiamano Porto-Chico, mentre chiamano Porto Grande la Baia Stephen. Noi lo trovammo sufficientemente ampio per contenere due bastimenti cioè lunghi circa 70 m, che vi possono stare a ruota, ne può contenere molti quando si ormeggia con cime a terra. Il porto è benissimo difeso contro la risacca di N.O. (nord ovest) da una diga naturale: d’altra parte il carattere eminentemente pacifico dell’arcipelago lo rende un vero bacino. Per entrarvi da qualunque parte si venga bisogna andare ben vicino allo scoglio Darlymple, che ha intorno a se fondo a picco, e poi governare sulla congiungente di esso col centro del monticello di direzione che è in fondo al porto, così si schiva il frangente che è sulla dritta entrando e che è troppo immerso per essere visto bene. Noi ancorammo in 15 m, a marea quasi piena, nel centro dell’insenatura il cui fondo è regolare e si può avvicinare, tutta la costa è di sabbia mista con qualche pietra. Si è fatto il rilievo del porto e gli si è dato il nome di Vettor Pisani d’accordo col capo della colonia: prima di noi non vi era entrato nessun legno di qualche importanza. […] Altri nomi in quel luogo furono dati a ricordo lontano della patria come Punta del Lido, Punta Malamocco e Frangente degli Schiavoni […]» ( Foto 7 ) Dopo una sosta nei giorni 23 e 24 aprile «il Comandante e molti ufficiali, tra i quali lo scrivente [Roberto Pandolfini, altro guardiamarina imbarcato sulla Vettor Pisani], vanno a visitare la colonia, ovvero facienda (fattoria) del Cobos e fattone il giro a cavallo in compagnia del proprietario ed ammiratane la fertilità, nonché il modo come è tenuta, prese molte fotografie del luogo e de’ suoi abitanti, raccolti alcuni semi. Lieti del gentile e cordiale accoglimento avuto, ritornano all’imbrunire alla nave. Le lance ritornate dai lavori idrografici ci portano a bordo molte foche uccise a colpi di remo e di pietra; ne mangiamo il fegato e il cervello che troviamo eccellenti». La Vettor Pisani ripartì da San Cristóbal il 25 aprile 1884 per esplorare le altre isole dell’arcipelago e quindi riprese la via del ritorno. Iniziò la traversata del Pacifico toccando le isole Hawaii e Filippine, poi proseguì verso Hong Kong, Shanghai, Singapore, passò per il Golfo di Aden e per il Mar Rosso, quindi, attraverso il canale di Suez, entrò in Mediterraneo. Dopo tre anni di navigazione arrivò nel porto di Napoli il 21 aprile del 1885. Per altri dieci anni utilizzata come nave scuola dall’Accademia Navale di Livorno, la Vittor Pisani cessava il suo onorato servizio nel 1895.

26
Foto 5_Il Gabinetto scientifico a bordo della Vettor Pisani (G. Chierchia, Collezioni per studi di scienze naturali fatte nel viaggio intorno al Mondo della R. Corvetta Vettor Pisani. Anni 1882-83-84-85, in “Rivista Marittima”, 1885)

PER SAPERNE DI PIÙ

G. DEL DRAGO, Cenni sull’ultimo viaggio della R. Corvetta Vettor Pisani, in “Bollettino della Società Geografica Italiana”, s. II, 10, agosto,1885.

C. MARCACCI, Scandagli a grande profondità fatti dalla corvetta Vettor Pisani, in “Rivista Marittima”, XVII, 4, 1884.

R. PANDOLFINI, Una visita alle Isole Galapagos, in “Bollettino della Società Geografica Italiana”, s. II, 10, agosto 1885.

C. MARCACCI, Scandagli attraverso l’Oceano Pacifico fatti dalla corvetta Vettor Pisani, in “Rivista Marittima”, XVIII, 5, 1885.

C. MARCACCI, Lavori idrografici compiuti dalla Vettor Pisani nel viaggio di circumnavigazione dal 1882 al 1885, in “Rivista Marittima”, XVIII, 12, 1885.

G. CHIERCHIA , Collezioni per studi di scienze naturali fatte nel viaggio intorno al Mondo della R. Corvetta Vettor Pisani. Anni 1882-83-84-85, in “Rivista Marittima”, XVIII, 9-11, 1885.

E. SERRA , Viaggio di circumnavigazione della “Vettor Pisani”, in “Rivista Marittima”, XIX, 9, 1886.

Quarta campagna oceanica della Real Corvetta Vittor Pisani 1882-1885, in Storia delle campagne oceaniche della Real Marina, II, Roma 1936.

Meridiani e paralleli: viaggio intorno al mondo della corvetta Vettor Pisani 1882-1885, Catalogo della Mostra, Imola 1998.

C. TONINI, D. CRISTANTE, Viaggio oceanico della pirocorvetta “Vettor Pisani” e la sosta alle Galapagos, comunicazione alla Compagnia della Vela di Venezia, 24 febbraio 2011.

G.A. BIZIO, “Giandri”, Punta Lido, Punta Malamocco, Arrecife Schiavoni, giandri.altervista.org, 2012 (bit.ly/3yyoWpa).

L. DAL VERME, Partiamo. Il grande viaggio della Regia Corvetta Vettor Pisani, Biblioteca dell’immagine, 2014.

27
Foto 6_Carta nautica del Canale di Darwin in Cile (C. Marcacci, Lavori idrografici compiuti dalla Vettor Pisani nel viaggio di circumnavigazione dal 1882 al 1885, in “Rivista Marittima”, 1885) Foto 7_Il rilievo del porto Vettor Pisani (C. Marcacci, Lavori idrografici compiuti dalla Vettor Pisani nel viaggio di circumnavigazione dal 1882 al 1885, in “Rivista Marittima”, 1885)

e

COSÌ LONTANO, COSÌ VICINO

L’icona

riporta a una realtà trascendentale con il potere di attualizzare la presenza dell’invisibile, creando un’emozione o un abbagliamento estetico e spirituale

28 Lygia Pape,
1,
art
Ttéia
C, 2003-2017, Pinault Collection, © Projeto Lygia Pape Courtesy of Projeto Lygia Pape
Installation view,
Icônes, 2023, Punta della Dogana - Ph. Marco Cappelletti e Filippo Rossi © Palazzo Grassi, Pinault Collection

Punta della Dogana riapre al pubblico con una mostra bellissima e intensa. Già il titolo evoca mondi lontani e straordinariamente vicini, mettendo in relazione l’idea mistica e contemplativa del passato bizantino splendente, orientale e dorato e le immagini glamour e fashion così di moda nel nostro tempo. Oggi siamo sopraffatti da immagini, video, suoni, frenesia, le nuove icone, spesso inconsistenti, sono velocemente dimenticate, rimpiazzate da altre, altro che i cinque minuti di celebrità decantati da Andy Warhol! Qui a Punta della Dogana la musica è, per fortuna, totalmente diversa. Parliamo di Icônes, curata da Emma Lavigne e Bruno Racine. Sembra quasi scontato iniziare raccontando i millenari rapporti tra Venezia e l’Oriente, tra Venezia e l’oro sfavillante dei mosaici di San Marco di derivazione bizantina, di tutta la pittura e l’arte veneziana che raramente, anche nel contemporaneo, si stacca dall’influenza “iconica” di luce, spazio e ieratica contemplazione del mondo umano e divino. Le icone bizantine non erano solo immagini sacre, ma astratte rappresentazioni del mondo dei santi e non potevano essere osservate se non si pregava dinanzi a esse.

L’oro dematerializza lo spazio, illumina e fa vibrare i volti dei santi e della Vergine, ieratici e lontani. Preziosità, smaterializzazione, luce, divinità, ricchezza, meditazione, bianco e nero, luci e ombre, l’Oriente e Venezia, si incontrano nella mostra e l’immaginazione dalle icone antiche trova spazio e si moltiplica nella contemporaneità.

Le 80 opere degli artisti scelti della Pinault Collection dialogano in modo impeccabile, emozionando e trasportando il visitatore in una dimensione “altra”, meditativa, onirica e ricca di riferimenti. Ecco alcune nostre highlight della mostra. Nella penombra della prima sala inizia l’incanto del dialogo: Ttéia 1 dell’artista brasiliana Lygia Pape (già presente alla Biennale del 2009) si compone di fili luminosi, dorati, che come una ragnatela intersecano lo spazio e disegnano la luce, trascendente e perfetta; nel magnifico Concetto Spaziale di Lucio Fontana l’artista buca la tela e la luce traspare dal retro e apre uno spazio nuovo, infinito ed espanso oltre la superficie bidimensionale dell’opera; sullo sfondo della sala appare appena illuminata una rara opera di Donald Judd: quattro grandi scatole d’acciaio dipinte all’interno di giallo vivo, così brillante da metter in ombra la lucentezza dell’acciaio. Luce/giallo/oro sono i fili che legano queste opere di rara bellezza.

Dalla penombra al biancore meditativo con l’installazione di Lee Ufan, artista poeta e filosofo coreano, che in Tea in the Field ci conduce silenziosamente in una precaria sala da tè, con i paraventi in fragile carta di riso lacerata dall’acqua e il suolo coperto da ghiaia e sassi, sue icone che ci riportano alla durezza e al contrasto tra i vari elementi della natura. Il cubo di Tadao Ando diventa ancor di più nucleo pulsante di Punta della Dogana, un sancta sanctorum illuminato da scritte grazie all’opera Un oggetto chiuso in sé stesso? (Adieux), realizzata espressamente per la mostra da Joseph Kosuth che copre le superfici esterne di tutti e quattro i lati del cubo con un testo realizzato a neon che si ispira al dialogo tra Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, coppia iconica del secolo scorso. Sul muro di cemento-velluto rilucono le domande e le risposte tra i due filosofi e concentricamente le frasi iniziano, finiscono e si inseguono, creando un legame tra le diverse altre opere che si intersecano con queste parole. Un bellissimo video di Edith Dekyndt, Ombre Indigène del 2014, mostra una bandiera distrutta, fatta di lunghi capelli neri che ondeggiano al vento della Martinica, dove alla fine del 1800 una nave carica di schiavi è naufragata. Non possiamo non ricordare i recenti avvenimenti di naufragi drammatici nel Mediterraneo e i capelli lunghi neri che richiamano la lotta delle giovani donne iraniane: bandiere strappate e capelli al vento, simboli di libertà negata.

In un’altra grande sala, David Hammons presenta un magnifico specchio con la cornice dorata, coperto da uno straccio rotto, sporco, che vela la superficie riflettente e ci fa pensare alla condizione umana con tutte le ingiustizie, il razzismo, lo sconforto. Questa opera dialoga col perfetto minimalismo di Agnes Martin e la cappella dedicata a Robert Ryman in cui le tele senza cornice sono piccole diversificazioni di bianco che viene quasi assorbito dal fondo cupamente colorato. L’oro ancora trionfa nella colonna di James Lee Byars che fa di questo materiale il tratto caratteristico della sua opera, nella pura accezione del sacro e del legame cosmico tra il cielo e la terra. Nel cubo interno si vola con l’installazione di Danh Vo, già incontrato nelle sale precedenti con delle ‘sculture’ che sono veri pugni in faccia, dove poesia e realtà si fondono in un unico pezzo che appunto diventa un’icona. Nel cubo le sue pezze di velluto issate come bandiere mostrano le ombre degli oggetti religiosi che vi erano appoggiati. Qui è la memoria degli oggetti, la memoria della storia e quella individuale che si intrecciano. Anche alle pareti del cubo i dipinti magnifici di Rudolf Stingel fanno apparire immagini in trasparenza, restituendo tracce di vita vissuta dentro le opere.

La sorpresa più bella, intensa e trascendente la si trova nel torrino. Con To Breathe-Venice Kimsooja crea uno spazio surreale e onirico, gli specchi e la rifrazione della luce fanno perdere qualsiasi dimensione dando l’impressione di camminare sull’acqua della laguna colorata dall’arcobaleno, il resto lo ricrea la musica gregoriana che invade il torrino.

Icônes restituisce al visitatore in ogni sua parte, con ogni opera e artista chiamato a partecipare, una dimensione atemporale, dove la migliore arte contemporanea corre verso il futuro ma al contempo si ferma a guardare al passato, l’atmosfera si fa eterea, pura, quasi rarefatta e lo sguardo si perde verso l’assoluto, mentre il respiro si fa leggero regalando la sensazione di infinito.

ENG The word “icon” has two meanings: its Greek etymology defines it as an “image” or “likeness”, while it is used to designate a religious painting. The idea of a model, an emblematic figure is more contemporary. The status of the image – its capacity to embody a presence, between appearance and disappearance, shadow and light, to represent a space, to spark emotion, and to become one with the viewers –is at the core of the exhibition Icônes, curated by Emma Lavigne, CEO of Pinault Collection, with Bruno Racine, CEO and Director, Palazzo Grassi – Punta della Dogana, conceived specifically for the Punta della Dogana and the Venetian context, with its rich, uninterrupted dialogue between East and West. The icon – a vehicle of passage to another world, other states of consciousness (contemplation, meditation) – refers us to a transcendent reality, having the power to materialize the presence of the invisible, creating emotion or an aesthetic and spiritual bedazzlement.

Between figuration and abstraction Icônes invokes all the dimensions of the image in the artistic context – paintings, videos, sounds, installations, performances – through a selection of emblematic works from the Pinault Collection, and new dialogues between artists who are particularly important for the Collection (David Hammons/Agnes Martin; Danh Vo/Rudolf Stingel; Sherrie Levine/On Kawara...). The exhibition considers both the fragility and the power of images, their polysemic character: all the works become apparitions, illuminations, revelations; they are transfigurations, in every respect.

Icônes 2 aprile-26 novembre Punta della Dogana www.pinaultcollection.com

29
di Maria Laura Bidorini

Fotografo totale

Le Stanze della Fotografia si aprono a Ugo Mulas

Quattro cerchi invece di tre, la grafica è subito chiara, la Casa dei Tre Oci rinasce ne Le Stanze della Fotografia, passando dalla Giudecca all’Isola di San Giorgio, ma non perdendo la propria identità, anzi rafforzandola con una spinta e una visione ancora più internazionali. Traghettatore e saldo al timone della direzione artistica, Denis Curti, che ha portato in questi anni alla Casa dei Tre Oci autori che con il linguaggio fotografico hanno raggiunto le vette più alte, tra i quali Elliott Erwitt, Sebastião Salgado, Gianni Berengo Gardin, Helmut Newton, David LaChapelle, Letizia Battaglia, Ferdinando Scianna, Mario De Biasi, parallelamente alla riscoperta di autori come René Burri, Willy Ronis, Henri Lartigue, Sabine Weiss.

La collaborazione fondativa della Casa dei Tre Oci tra Fondazione di Venezia e Marsilio Arte si rafforza ora nelle Stanze con la presenza strategica della Fondazione Giorgio Cini – custode di una delle più importanti e fruibili collezioni fotografiche d’Europa –, che con Marsilio firma di fatto questa nuova fase, nella convinzione che la fotografia, tra i linguaggi artistici più interessanti del moderno e del contemporaneo, debba continuare ad avere una sua specifica “casa” a Venezia. Concepite come un vero e proprio centro internazionale di ricerca e valorizzazione della fotografia e della cultura delle immagini, Le Stanze trovano così nelle Sale del Convitto nell’Isola di San Giorgio, nel complesso degli edifici lungo la darsena, proprio alle spalle de Le Stanze del Vetro, il loro spazio ideale. Circa 1850 metri quadrati, disposti su due livelli, sono stati oggetto di un importante lavoro di restauro, ampliamento e riallestimento realizzato dallo Studio di Architetti Pedron / La Tegola. Una speciale collaborazione con il Teatro La Fenice di Venezia ha permesso l’installazione di pareti leggere e movibili che, come quinte teatrali, saranno rimodulabili per i diversi allestimenti espositivi, nell’ottica di una sostenibilità dell’impresa culturale. La hall d’ingresso e il bookshop sono stati progettati dallo studio Retail Design di Paolo Lucchetta, una vera e propria libreria e spazio fondamentale di accoglienza e incontro, nonché biglietteria, che offre un’ampia proposta editoriale con riviste specializzate, magazine, saggi, articoli di design e oggetti iconici, oltre alla possibilità di acquistare delle stampe di originali in mostra. L’apertura di questo nuovo e importante attore della vita culturale ed espositiva di Venezia, non poteva che celebrare una figura fondamentale della fotografia italiana, dedicando un’ampia e completa retrospettiva a Ugo Mulas, a 50 anni esatti dalla sua scomparsa. Ugo Mulas. L’operazione fotografica, curata da Denis Curti e Alberto Salvadori, direttore dell’Archivio Mulas, presenta circa 330 immagini, documenti d’archivio, e per la prima volta un’importante selezione di scatti vintage mai esposti prima d’ora, in una narrazione condotta dallo stesso Mulas (suoi sono i testi che introducono le diverse parti della mostra) che si snoda attraverso dodici sezioni che toccano ambiti diversi della sua poetica e rappresentazione. Al primo piano de Le Stanze della Fotografia, apre parallelamente la mostra Venezia alter mundus con 60 fotografie di Alessandra Chemollo dedicate allo spazio sospeso di una città peculiare come Venezia e alle sue incredibili architetture.

«Generoso, inclusivo, sperimentatore, incoraggiante verso tutti. Fintamente perplesso, ma solo per lasciare spazio a nuovi sentimenti. Geniale. Curioso e severo, soprattutto bello, e non solo perché circondato da tanta bellezza. Non ho conosciuto Ugo Mulas e oggi, a distanza di cinquant’anni dalla scomparsa, riesco a farne un ritratto guardando le sue fotografie, leggendo i suoi libri, frequentando l’archivio che ne custodisce la memoria e intervistando tre amici e colleghi che hanno avuto il privilegio di conoscerlo: Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna e Uliano Lucas. Per tutti, Ugo Mulas è stato un punto di riferimento fondamentale per mettere a fuoco le modalità espressive di un linguaggio “ambiguo” che, allora, doveva ancora trovare un posizionamento tra mestiere e arte: da una parte i processi di documentazione e racconto tipici del reportage, dall’altra l’autonomia autoriale riconosciuta agli artisti. Ed è Mulas a compiere quel passo in avanti che supera questo dualismo. […] L’approccio fotografico di Mulas non può essere dunque ricondotto a un genere: non è un documentarista e neppure un ritrattista. La sua è una fotografia critica, che studia e cerca di spiegare – come un buon critico fa – a chi osserva ciò che sta vedendo. Per questo motivo la sua ricerca non è categorizzabile e la sua figura di fotografo non è circoscrivibile in un ruolo preciso. Ugo Mulas è un fotografo totale» (Denis Curti).

Totalizing ENG photography

Four circles, not three anymore – the change is in the logo, too, ever since Casa dei Tre Oci became Stanze della Fotografia (the Photography Halls), and moved from the Giudecca to the adjacent San Giorgio Island. Their identity, though, didn’t change one bit. Denis Curti, the curator who authored exhibitions of master photographers like Elliott Erwitt, Sebastião Salgado, Gianni Berengo Gardin, Helmut Newton, David LaChapelle, Letizia Battaglia, Ferdinando Scianna, Mario De Biasi, is still at the helm, and will keep on working to help us discover and re-discover the greatest authors.

The opening of this new space will coincide with the opening of a brand new exhibition on photographer Ugo Mulas, fifty years since his passing. Ugo Mulas. L’operazione fotografica, curated by Denis Curti and Alberto Salvadori, presents some 330 pictures, archive documents, and for the first time a series of vintage pictures. The narration is entrusted to Mulas himself through written work of his that will accompany each of the twelve sections of the exhibition. Mulas’s photography has been pivotal in the demarcation of art and work: he is neither a documentarist not a portray photographer. His photography is critique – it studies and explains to observers what they’re really looking at. For this reason, he belongs to no category and he cannot be ascribed to a specific role. Ugo Mulas is a total photographer.

30
IN
arte
THE CITY PHOTOGRAPHY
Ugo Mulas. L’operazione fotografica Fino 6 agosto Le Stanze della Fotografia, Isola di San Giorgio lestanzedellafotografia.it

DIMENSIONE VENEZIA

Le Stanze della Fotografia hanno dichiarano subito la loro forte appartenenza alla città presentando, accanto alla retrospettiva di Ugo Mulas, la mostra Venezia alter mundus di Alessandra Chemollo, ideata a partire dall’omonimo volume edito da Marsilio Arte nel 2022. Sessanta fotografie, allestite al primo piano delle Stanze, che offrono una visione peculiare della città più fotografata del mondo, sospesa tra passato e futuro. Un alter mundus, visitato e raccontato nel corso dei secoli da celebri viaggiatori, che l’obiettivo di Chemollo inquadra spostando l’attenzione su un’altra dimensione spazio temporale, che non è né fisica né metafisica, ma esclusivamente veneziana, sospesa. Le immagini poste in una sequenza narrativa serrata, non vogliono essere commentate, non cercano spiegazioni. Come osserva Franco Rella nel volume, «le immagini che Alessandra Chemollo ha tracciato e ha messo in una trama, in una storia nascono dal tentativo davvero di andare alla ricerca di un mondo altro, alter mundus. Per fare questo non ha soltanto seguito i profili delle stupende costruzioni, dei monumenti e delle case che ci presenta; non ha solo inseguito l’acqua in cui affondano o si riflettono le colonne, ma ha cercato di svuotare Venezia da tutto ciò che oggi la costituisce ma che soprattuttso la maschera. La sua Venezia non ha piccioni, non ha gabbiani, non ha turisti...».

Dopo aver spogliato Venezia da tutto ciò che attenta alla sua fragilità e la rende tristemente famosa, Alessandra Chemollo fissa nelle sue fotografie l’incrollabile consistenza di Venezia, la sua

31
Venezia. Alter Mundus Fotografie di Alessandra Chemollo Fino 4 giugno Le Stanze della Fotografia, Isola di San Giorgio lestanzedellafotografia.it eternità o meglio la sua alterità. © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna, per gentile concessione Gianni Berengo Gardin. Ugo Mulas, Campo Urbano, Como 1969 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia Ugo Mulas. New York, 1965 © Eredi Ugo Mulas Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli Ugo Mulas. Joan Mirò, Museo Poldi Pezzoli, Milano, 1963 © Eredi Ugo Mulas Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

e

PHOTOGRAPHY

Lezioni di storia americana

Palazzo Grassi e l’origine dell’estetica contemporanea

«Genio e coraggio, le parole che evocano per me queste fotografie. Una selezione che è anche una lezione di storia, raccontata in una serie di scatti che ripercorrono quasi un secolo intero attraverso le raffigurazioni di persone, luoghi, mode, cultura e arte. Ogni fotografia è dunque un atto giornalistico». Così Anna Wintour, direttrice di «Vogue America», ha commentato la mostra Chronorama. Tesori fotografici del 20° secolo, visitando Palazzo Grassi in occasione dell’inaugurazione della prima grande mostra dedicata ai capolavori provenienti dagli archivi di Condé Nast, in parte recentemente acquisiti dalla Pinault Collection. Il curatore, Matthieu Humery è entrato letteralmente in questi archivi, immensi giacimenti, uscendo con una selezione di oltre quattrocento incredibili opere che riportano in vita il Novecento attraverso eventi, fenomeni sociali e personalità illustri che lo hanno segnato. Frammenti di passato che offrono un saggio sociologico visivo che racconta in modo incalzante – le fotografie invadono letteralmente lo spazio espositivo – l’evoluzione del gusto e dell’estetica, nonché la nascita, l’affermazione e la trasformazione della fotografia come linguaggio di comunicazione di massa prima dell’avvento della cultura digitale. Quindi ritratti, non selfie, reportage, non stories, sono stati realizzati da alcuni tra i più grandi talenti della loro generazione – dagli anni Dieci fino agli albori degli anni Ottanta

–, artisti che hanno definito l’estetica fotografica del tempo attraverso la pubblicazione del proprio lavoro sulle riviste edite da Condé Nast, uno dei più grandi gruppi editoriali internazionali, che riunisce oggi 25 testate, tra cui le più emblematiche e storiche sono «Vogue», «Vanity Fair», «House & Garden», «Mademoiselle» e «The New Yorker». Tutto ebbe inizio nel 1909, quando il giovane e ambizioso editore Condé Montrose Nast acquistò un settimanale “mondano” dalla modesta tiratura intitolato «Vogue», fondato nel 1892 e semi-abbandonato dopo la morte del suo creatore Arthur Baldwin Turnure. Ben presto Condé Nast trasformò «Vogue» in una pubblicazione rivolta a una clientela d’élite – o aspirante tale – che, come la storia ha dimostrato, sarebbe divenuta la rivista di moda più famosa e influente del mondo.

In mostra le immagini sono proposte fuori dal loro contesto editoriale. Infatti, pur senza negarne l’origine, Chronorama non ha lo scopo di presentarle come illustrazioni di riviste, anzi propone una storia del Novecento filtrata dalla lente di oltre 185 fotografi e artisti, dai più illustri, come Adolf de Meyer, Margaret Bourke-White, Edward Steichen, Berenice Abbott, George Hoyningen-Huene, Horst P. Horst, Lee Miller, Diane Arbus, André Kertész, Irving Penn, Cecil Beaton o Helmut Newton, tra i fotografi, Eduardo Garcia Benito, Helen Dryden e George Wolfe Plank, tra gli illustratori, ad altri sconosciuti al grande pubblico. Ai ritratti delle icone dello spettacolo e delle grandi personalità del Secolo si mescolano fotografie di moda,

32
art
IN THE CITY
CHRONORAMA. Tesori fotografici del 20° secolo Fino 7 gennaio 2024 Palazzo Grassi www.palazzograssi.it © Condé Nast. Installation view, CHRONORAMA. Photographic Treasures of the 20th Century at Palazzo Grassi, Pinault Collection, 2023. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi

fotoreportage, scatti di architettura, nature morte e saggi di fotografia documentaristica. All’interno di questo mosaico visivo, alcuni capolavori dell’arte fotografica si affiancano a immagini inedite, mai pubblicate prima d’ora. Le riviste del gruppo Condé Nast compongono, nel corso dei decenni, un immaginario che rispecchia le ambizioni dell’“uomo per bene” in un’interpretazione riveduta e corretta. Così scopriamo una versione della storia attraverso gli occhi dei lettori e delle lettrici che ammiravano le arabesque delle ballerine dei Balletti russi, si infiltravano nella Café Society newyorkese e nei circoli intellettuali parigini degli anni ruggenti, si lasciavano trasportare dal vento della libertà nella Swinging London o sfioravano i palcoscenici dell’età d’oro di Hollywood. Queste riviste rivelano lo spirito del tempo catalizzando le estetiche del momento, da quelle più all’avanguardia a quelle semplicemente “in voga”. Tuttavia, lo specchio offerto al lettore non si limita a tradurre la realtà, ma va ben oltre, con una potenza tale da deformare la realtà stessa. Si comprende allora che la fotografia non è un semplice processo di riproduzione del reale, ma un oggetto magico che cattura, esprime e trasforma il reale. Chronorama è la storia di questa istantanea e di questa trasformazione. A spezzare il ritmo delle fotografie creando una forte contaminazione visiva, sono state brillantemente inserite nel percorso espositivo delle installazioni site-specific create da giovani artisti chiamati a interpretare in chiave contemporanea l’estetica della mostra. Chronorama Redux attraverso i lavori di quattro artisti quali Tarrah Krajnak, Erik N. Mack, Giulia Andreani e Daniel Spivakov vuole rinnovare lo sguardo, esplorare il rapporto con il tempo e le immagini, trasmettendo testimonianze del passato in modo completamente nuovo. Questi principi sono le fondamenta della Pinault Collection.

Lectures on ENG American history

The latest exhibition to open at Palazzo Grassi is CHRONORAMA. Photographic Treasures of the 20th Century, a collection of photographs from the Condé Nast archives which have recently been acquired by Palazzo Grassi’s parent company Pinault Collection. Curator Matthieu Humery spent much time perusing the immense archives – Condé Nast is the publisher of Vogue, The New Yorker, GQ, Glamour, Architectural Digest, Vanity Fair, and Wired, among others – to eventually select four hundred iconic images that will bring the twentieth century back to life before our eyes. Events, social trends, personalities, evolution in taste and aesthetics… anything that earned a place in history, plus, obviously, the art and technique of photography itself as a language of mass communication. These portraits-not selfies, and features-not stories have been created by some of the greatest talents of their generation, from the 1910s to the early 1980s. It all started in 1909, when the young and ambitious publisher Condé Montrose Nast bought a niche socialites’ weekly named Vogue, once founded by Arthur Baldwin Turnure in 1892 and semi-abandoned after Turnure’s death. Soon enough, Nast turned Vogue into a magazine for the elite – or aspiring to be. As history would have it, Vogue would become the most famous and influential fashion magazine in the world. The exhibition at Palazzo Grassi shows pictures devoid of their editorial context. In fact, while not negating their origin whatsoever, CHRONORAMA does not explicitly present them as magazine’s illustrations. What the exhibition does is offering a history of the 1900s through the lens of 185 photographers and artists: celebrities, personalities, fashion, photo features, architecture, still lives, documentary pictures. A visual mosaic including cornerstones of photography. The magazines published by Condé Nast have been, over the decades, the repository of the ambitions of the ‘wholesome man’, in a revised and amended interpretation. These magazines revealed the zeitgeist and catalysed their time’s aesthetics, both the avant-garde and the simply en vogue. However, this is more than a mirror: photography is so powerful that it can deform reality as it expresses it. CHRONORAMA is the story of instant transformation. An addition to the exhibition is Chronorama Redux, a collection of site-specific art that will reinterpret in modern key the context of the main exhibition.

33
Bert Stern, Actor and director Anthony Newley playing with two models, 1963, Vogue © Condé Nast Franco Rubartelli, Veruschka, head-to-head with a cheetah, 1967, Vogue © Condé Nast
34 Discover an artistic mixology experience where art turns into cocktails. Join us from Wednesday to Saturday | 6 00 pm - 12 30 am For more information, please visit artsbarvenice.com or call +39 041 240 0001 ARTS BAR

arte IN THE CITY

Le onde del destino

Ocean Space ritorna con un doppio progetto mediterraneo

Thus waves come in pairs, tratto dal poema Sea and Fog (Mare e nebbia) di Etel Adnan, è il titolo del nuovo progetto espositivo di Ocean Space (ex Chiesa di San Lorenzo), un’evoluzione site-specific di The Current III, ciclo triennale transdisciplinare di percezione guidato da Barbara Casavecchia. Due nuove commissioni firmate TBA21–Academy: le monumentali sculture dell’artista americana-libanese Simone Fattal e la nuova installazione del duo Petrit Halilaj & Álvaro Urbano indagano il tema dei Mediterranei. Dal 22 aprile.

Simone Fattal, nata a Damasco in Siria, cresciuta in Libano, ha vissuto a lungo in California e ora a Parigi, presenta Sempre il mare, uomo libero, amerai!, tratto dalla poesia L’uomo e il mare di Charles Baudelaire. L’installazione site-specific, che occupa l’ala est della ex Chiesa di San Lorenzo, comprese due nicchie vuote dell’altare barocco, si compone di un gruppo di sculture monumentali in vetro e ceramica. Tra loro, le figure di Máyya e del suo amante Ghaylán, coppia celebrata nella poesia araba classica così come in racconti e leggende popolari, che variano da paese a paese. Nel Golfo Persico, la loro storia è quella di due proprietari di una flottiglia di navi per il commercio delle perle. La flotta di Máyya era più dinamica grazie alle sue imbarcazioni veloci. Dopo lunghe riflessioni, un giorno Ghaylán si trovò a osservare attentamente una libellula e decise di farne imitare le ali, in modo che le sue barche potessero essere spinte dalla velocità dei venti: aveva inventato le vele. In futuro, l’umanità sarà ancora in grado di trovare soluzioni imparando dalla natura?

ENG Born in Damascus, Syria, Simone Fattal lived in California and now resides in Paris. She will present Sempre il mare, uomo libero, amerai!, adapted from Charles Baudelaire’s poem Man and Sea. The site-specific installation comprises a set of monumental sculptures in glass and ceramic. Among them, the figures of Máyya and her lover Ghaylán, a couple celebrated in classical Arab poetry: each owned a merchant fleet for their pearl business. Máyya’s was quicker, though. After long study, Ghaylán took inspiration from the wings of a dragonfly and made sails for his ships. Will humanity be able to let nature inspire new solutions for a better future?

Petrit Halilaj e Álvaro Urbano, rispettivamente nati a KosterrcSkenderaj in Kosovo e a Madrid, ora vivono a Berlino, sono uniti nella vita, pur mantenendo, generalmente, traiettorie artistiche separate. L’opera di Halilaj è radicata nella sua biografia e la sua pratica abbraccia media diversi, creando mondi complessi che lasciano spazio a libertà, desiderio, intimità e identità. Nella sua pratica, Urbano utilizza diversi strumenti per esplorare le nozioni di spazio, architettura e ambiente. I suoi interessi intrecciano spesso narrazione, realtà e finzione. Insieme, il duo attinge a storie personali e collettive per creare nuovi ambienti, esplorando e negoziando lo spazio tra umani e mondo naturale. L’installazione site-specific ideata per Ocean Space crea un ecosistema composto da una serie di sculture di grandi dimensioni di creature ibride acquatiche e terrestri, esplorando le nozioni di coesistenza e parentela tra specie diverse e tra organismi viventi e oggetti. Durante tutto il periodo espositivo, un cast di musicisti e performer attiverà l’installazione con durata e intervalli variabili. ENG Petrit Halilaj and Álvaro Urbano are partners in life, although they mostly keep their art endeavours separate. Halilaj’s embraces different media to create complex worlds that house freedom, desire, intimacy, and identity, while Urbano uses different tools to explore the notions of space, architecture, and environment. Together, they draw from personal and collective stories to create new environments and explore and negotiate human v. natural spaces. Their installation explores an original hybrid ecosystem.

35 Thus waves come in pairs Simone Fattal e Petrit Halilaj & Álvaro Urbano 22 aprile-5 novembre Ocean Space, ex Chiesa di San Lorenzo, Castello www.ocean-space.org
OPENING

arte

Anatomia di un Maestro Carpaccio e l’evoluzione del suo linguaggio pittorico

Conegliano 2015), quello sì poco considerato, severamente giudicato, contemporaneo all’affermarsi dell’innovativa pittura di Giorgione e Tiziano e della loro modernità.

Dopo la fortunata tappa americana alla National Gallery di Washington, è arriva a Venezia la tanto attesa mostra monografica dedicata a uno dei più celebri interpreti della Venezia di fine Quattrocento e primo Cinquecento: Vittore Carpaccio (1460/66 – 1525/26). Un artista che ha saputo documentare una ricca e splendente stagione della lunga storia della Serenissima Repubblica di San Marco attraverso le sue celebri istorie di Orsola, di Giorgio, di Girolamo e di Stefano trattate come poemi cavallereschi, dove Venezia, la città d’acqua anfibia, è costantemente presente in una continua mescolanza tra realtà e sogno.

L’ultima retrospettiva in città era stata quella del 1963 sempre a Palazzo Ducale (Zampetti), tuttavia da allora il pittore non era stato di sicuro dimenticato e tanto meno trascurato. Una ricca messe di studi ha sempre tenuta desta l’attenzione su questo straordinario esponente della pittura rinascimentale veneziana con monografie, rivelatrici letture iconografiche e iconologiche, relazioni sui restauri e convegni di studio, fino alla recente rilettura critica del periodo tardo (mostra Carpaccio. Vittore e Benedetto da Venezia all’Istria,

L’attuale mostra a Palazzo Ducale e soprattutto il catalogo cercano di far sintesi di questa fortuna critica anche se di quel Vetor Scarpazo, è così che si firmava nelle sue prime opere, ci sarebbe ancora molto da sapere o meglio ci piacerebbe saperne ancora di più. Nelle sale dell’Appartamento ducale l’evoluzione del linguaggio pittorico di Vittore è ben segnata da un percorso espositivo chiaro e piano, che segue la cronologia delle opere provenienti da istituzioni museali e private, italiane e straniere, e da chiese degli antichi territori della Serenissima. L’influenza della tradizione pittorica veneziana da Bellini e Vivarini è ben documentata nelle opere per la devozione privata, in particolare alcune Madonne con il bambino, ma a dare il via a quel linguaggio così personale, psicologico, che guarda al mondo fiammingo e si abbevera della cultura umanistica dell’epoca, è sicuramente la “star” della mostra: la ricomposizione dei due pannelli con le Due dame (Venezia, Museo Correr) e la Caccia in valle (Los Angeles, Paul Getty Museum) e la loro affascinante e ancora ingarbugliata storia (vedi focus a seguire di Giandomenico Romanelli). Diversamente dall’esposizione a Washington – la prima dedicata a Carpaccio in America – quella di Venezia potrà rimandare a itinerari cittadini per approfondire l’essenziale capitolo dei grandi cicli narrativi, in particolare quello della Scuola dalmata dei Santi Giorgio e Trifone ancora nella sede originaria, mentre è veramente un’occasione sprecata non poter visitare il Ciclo di Sant’Orsola conservato alle Gallerie dell’Accademia, attualmente non visitabile per motivi di inagibilità della sala per lavori di manutenzione.

In mostra è invece ricostruito l’eccezionale intero ciclo della scuola degli Albanesi, quella comunità di immigrati da una terra pesantemente minacciata e invasa dai Turchi ottomani e storicamente legatissima alla Serenissima, che avevano costruito la loro piccola sede presso la chiesa di San Maurizio, dove intorno al 1502 Carpaccio venne invitato a realizzare la decorazione con un ciclo dedicato alla Vergine, principale e identitario culto devozionale albanese. Le tele rimasero nella sala superiore della Scuola fino alla requisizione napoleonica del 1806, quando il ciclo fu smembrato tra gallerie pubbliche di Venezia, Milano e Bergamo.

Il periodo della maturità è ben documentato con opere molto importanti: rispetto a Washington non sono arrivati in Laguna il Ritratto di Cavaliere della Collezione Thyssen-Bornemisza e la Meditazione sulla passione di Cristo del Metropolitan Museum di New York, tuttavia campeggia in mostra l’immenso San Paolo Apostolo di Chioggia, un’opera di grandissimo rilievo e importanza. In chiusura, la ricostruzione dell’Organo della Cattedrale di Capodistria, con le portelle

36
IN
THE CITY CARPACCIO
Vergine leggente (1510 ca.), National Gallery of Art, Washington

finalmente restaurate, e per la prima volta, dopo spiacevoli vicissitudini, la visione dei due profeti con gli enormi turbanti e le lunghe barbe. Un consistente nucleo di disegni autografi del pittore è presente lungo il percorso, da godere con calma, attenzione e cura, vere “chicche” che evidenziano l’ampio interesse di Carpaccio per la prospettiva, la natura e la luce. Alla fine non abbiamo dubbi, è una mostra assolutamente da vedere.

ENG After an exceptionally well-received stay at the National Gallery in DC, a monographic exhibition dedicated to one of the most renowned Venetian painters of the late 1400s-early 1500s period is back in Venice: Vittore Carpaccio is the artist who documented a rich, splendid season of the Venetian Republic, truly a celebration of a city that had no equals anywhere in the world. The exhibition is quite effective in showcasing the evolution of Carpaccio’s art, following chronological order. The influence of Bellini and Vivarini is documented in devotional pieces Carpaccio made as private commissions, especially a few Madonnas with Child. The more personal, psychological, Flemish-oriented language is to be seen in the best piece in the exhibition: the composition of two panels depicting Two Dames and a Hunting Scene. More on this in the piece by Prof. Romanelli. Carpaccio’s more mature period is documented in important pieces such as the immense St. Paul the Apostle. A number of drawings by Carpaccio is also included in the exhibition. They are there to be enjoyed with calm and an analytical mind, focusing on the artist’s use of perspective and light, and his interest for nature.

LA CURA

Prima di entrare nella storia o meglio di immergerci tra le pagine del libro, è doverosa una premessa. I motivi per cui si decide di scrivere un libro sono molteplici, il fuoco della scrittura divampa in maniera assolutamente diversa, e in questo caso ritengo sia stata l’urgenza di risolvere un mistero, di trovare una spiegazione, di riportare l’attenzione sui fatti, di sanare una ferita non ancora chiusa e per che no, arrivare a una soluzione. Roberto Nardi, noto giornalista veneziano che si occupa di cultura e arte, ha vestito i panni di un caparbio monument man e in un’appassionata indagine è riuscito a togliere la polvere, in realtà troppa polvere, da una vicenda di cronaca “nera” a lungo dimenticata, che ha assunto le caratteristiche di un mistero irrisolto. Nardi racconta la storia da grande conoscitore dell’arte e da fine e acuto osservatore, il suo rigore storico e cronachistico di tanto mestiere si intreccia a un racconto partecipato tanto da rendere personaggi viventi un bambino e la sua mamma, che in questo particolare caso sono la Madonna con Bambino di Giovanni Bellini. L’opera, un dipinto di piccole dimensioni ma di immenso valore artistico e devozionale, è stata rubata dalla chiesa della Madonna dell’Orto a Venezia la notte del primo marzo 1993, e da allora svanita nel nulla. La cornice posta sopra l’altare è vuota da 30 anni. Da ciò che è avvenuto quella notte prende avvio il libro di Roberto Nardi, Perché Io? Il mistero del furto della Madonna con Bambino di Bellini a Venezia, edito da Mazzanti Libri, appena uscito in libreria. Dopo la scoperta della sparizione della piccola tavola, il furto ha presto assunto le caratteristiche di un “caso anomalo”, se messo a confronto con quanto accaduto alle tante altre opere d’arte di autori importanti rubate negli ultimi 50 anni a Venezia. Tutti dipinti recuperati dopo alcune settimane o mesi. Una anomalia che ha spinto Nardi a cercare di ricostruire quanto successo la notte del furto, a dare ‘voce’ ai protagonisti, attraverso le dichiarazioni riportate sui giornali del tempo o raccolte direttamente, e a prendere in esame le possibili ipotesi e scenari relativi alle ragioni del trafugamento e al conseguente destino dell’opera. L’indagine parte dall’intricato caso di cronaca per sollevare quesiti fondamentali sulla necessità della sicurezza, del controllo, della prevenzione e sul valore primario del concetto di “cura” e salvaguardia del patrimonio artistico.

Nardi fa cadere così la prima tessera del domino sperando che un giorno quel Bimbo con la bocca aperta, lo sguardo rivolto verso un punto indefinito all’esterno del quadro, la mano sinistra posata sul petto, possa trovare la risposta alla domanda «Perché Io?» e torni com’era e dov’era. M.M.

37
Vittore Carpaccio. Dipinti e disegni Fino 18 giugno Palazzo Ducale palazzoducale.visitmuve.it Roberto Nardi. Perché Io? Il mistero del furto della Madonna con Bambino di Bellini a Venezia Mazzanti Libri, 2023 Nascita della Vergine (1502/03 ca.), Accademia Carrara, Bergamo

DUE DAME

Nella casa di un patrizio veneziano, Teodoro Correr, che si affaccia ancor oggi sulle acque del Canal Grande a fianco di un celebre e antichissimo palazzo che ospitava la comunità dei mercanti turchi in Venezia, si trovava, appeso a una parete della “camera di seguito al corridore, appena appresso al camerino vicino alla camera dell’alcova (cioè la camera da letto del padron di casa) a fianco del salotto e della camera di udienza”, tra un ritratto di famiglia attribuito a Cesare Vecellio, una tavola fiamminga con le Tentazioni di sant’Antonio e altri dipinti di vario genere, una “tavola rappresentante due Donne che scherzano con due cani”. È la sintetica e dimessa testimonianza riportata in un inventario ottocentesco della presenza di un capolavoro: si tratta di un dipinto a tempera e olio su tavola di circa 95 centimetri di altezza per 64 di larghezza, con le Due Dame, opera del grande Vittore Carpaccio destinato, pur tra equivoci e incomprensioni, a rivelarsi uno dei più celebri e amati dipinti della pittura rinascimentale veneziana.

Il dipinto (che è certo l’opera più famosa esposta nelle sale del Museo Correr in Piazza San Marco a Venezia, da dove in pratica non s’è mai mosso e che è diventato uno dei quadri mitici della pittura veneziana di tutti i tempi) rappresenta quindi due donne veneziane con i capelli biondi pettinati secondo una ricercata acconciatura e con strani cappellini in testa. Sono sedute, portano ambedue delle collane e sono vestite con abiti confezionati con stoffe lavorate e di gran pregio databili alla fine del XV secolo. Incuriosisce il loro sguardo assorto, fissato verso qualche cosa che sta fuori dei margini del dipinto; all’osservatore si impone poi la loro aria come svagata e assente o, forse, solo annoiata; una delle due ha il braccio destro appoggiato alla balaustra in marmo che corre su due lati della scena e tiene in mano un fazzolettino bianco ricamato; l’altra, più anziana e più corpulenta, si appoggia con i gomiti alle ginocchia e gioca con due cani; uno di questi mette le zampette nella mano sinistra della donna e guarda fissamente verso di noi; dell’altro, un levriero, vediamo solo il muso e, in basso, le estremità delle zampe anteriori. Una di queste trattiene il cartiglio con la firma: “Vittore Carpaccio, veneto”; s’intravede una successiva riga di scrittura, ma quasi del tutto abrasa e, quindi, illeggibile.

Lo sfondo del dipinto è di un colore verdastro molto scuro. Lo scenario di questa raffigurazione è costituito da una specie di loggia, di terrazza o di grande balcone, con il pavimento ornato al centro dal disegno –presumibilmente in marmi colorati – di un quadrato a fasce bianche inscritto in un tondo rosso e che a sua volta contiene un cerchio scuro su un campo rosa; la loggia è chiusa da una balaustra in marmo con colonnette cilindriche completate da elementi dorati: capitelli ionici, basette e collarini. Nello spazio chiuso e così definito abbondano, oltre ai cani, altri elementi vegetali e animali: due tortore, un pappagallo, un pavone, un’arancia, un alberello di mirto e, misteriosamente, il gambo reciso di un giglio che esce da un vaso decorato con uno stemma. Infine: un paggio elegantemente vestito sembra avanzare tra le colonnette della balaustra; a terra, davanti a lui, sono abbandonati due calcagnetti, cioè due ciabatte rosse dall’altissima suola.

Il dipinto ha goduto a lungo di una fama piuttosto equivoca: molti, ancora oggi, messi sulla falsa strada dai critici romantici che vollero fantasiosamente costruire un misterioso retroscena al dipinto, lo chiamano Le Cortigiane, ipotizzando che si tratti di due prostitute in attesa dei clienti; ma abbastanza di recente è stato dimostrato che si tratta in realtà di due dame di alto rango sedute su un terrazzo verso la Laguna che attendono, presumibilmente, il ritorno di qualcuno, marito o fidanzato.

Questa corretta interpretazione è stata facilitata da un fatto imprevisto: il ritrovamento a Roma nel 1944, nei mesi immediatamente seguenti la fine della Guerra, di un altro dipinto presso un mercante d’arte.

38
CARPACCIO
arte
Tutta la potenza di De Hooghe in fatto d’ombre, del Van Eyck nei particolari, di Giorgione nelle masse, di Tiziano nel colore, del Bevick e del Landseer nella rappresentazione della vita animale è qui riunita John Ruskin
39
Vittore Carpaccio, Due dame veneziane, ca.1492-94, Musei Civici Veneziani, Museo Correr

arte CARPACCIO

40
DUE DAME
Vittore Carpaccio, Caccia in valle, ca.1492-94 (particolare) J. Paul Getty Museum, Los Angeles Ipotesi ricostruttiva delle due tavole

Un giovane e sfaccendato architetto girava in bicicletta per le strade della città semi-deserta: fu attratto dal fascino magnetico che esercitava su di lui una tavola dipinta, molto annerita dagli anni e dalla sporcizia che vi si era depositata, esposta sulla porta di un negozio di antiquario. Sul davanti si intravedeva una scena con barche, sul retro si scorgeva una specie di finestra o di edicola architettonica con appesi a un nastro dei fogli piegati, forse delle lettere. Il giovane acquista la tavola per una cifra irrisoria e la porta a casa. Pulito dallo spesso strato di sporcizia e di vecchie vernici, la qualità del dipinto si è rivelata assai alta; il soggetto rappresenta una scena di caccia in laguna con sette sottili barche spinte a remi; altrettanti cacciatori muniti di arco colpiscono con pallottole di argilla uccelli acquatici.

In basso, a sinistra, compare un fiore di giglio il cui gambo reciso non si sa da dove nasca.

Nel 1963, due studiosi di pittura veneziana, indipendentemente l’uno dall’altro, si accorsero che questa Caccia si sovrappone perfettamente al dipinto veneziano delle Due Dame e che il gambo del giglio tagliato che si vede nelle Due Dame proseguiva perfettamente nella Caccia, completandosi.

Ricerche approfondite e analisi scientifiche hanno successivamente dimostrato senza ombra di dubbio che i due dipinti erano all’origine uno solo: stessa larghezza, stesso tipo di legno, stessa lavorazione, stessi colori: anche le gallerie scavate dai tarli sui margini dei due frammenti risultavano perfettamente combacianti. Insomma: qualcuno, in epoca imprecisata, aveva tagliato in due una tavola dipinta in cui compaiono in primo piano due dame sedute su una terrazza in attesa dei mariti intenti alla caccia su dei piccoli battelli sull’acqua e che si possono vedere in lontananza in uno scenario tipicamente lagunare, con tanto di casoni da pesca con il tetto di paglia e le recinzioni per la pescicoltura: il verde scuro del fondo della Dame corrisponde alla parte in ombra dell’acqua su cui si muovono le barchette dei cacciatori.

I due dipinti (ma in origine si trattava di un’unica tavola, come si è detto) sono di grande qualità e il loro stato di conservazione, nonostante i più di cinquecento anni passati e le traversie subite (non ultima la violenta divisione in due) è sostanzialmente buono.

Ma che cosa è accaduto e chi ha voluto tagliare il dipinto? Quando e perché? Infine: se noi accostiamo i due frammenti uno sopra l’altro, ne abbiamo un’opera completa, oppure no? Ci sono, cioè, altri misteri e altri dubbi che complicano la lettura e l’interpretazione corretta di quest’opera di Vittore Carpaccio, cioè di uno dei maestri della pittura veneziana tra fine XV e inizio del XVI secolo?

Le domande sono molte e chiedono un’investigazione attenta.

Il primo dato che emerge è un riscontro assolutamente materiale: sui margini laterali sia dell’uno che dell’altro dei due

frammenti si possono vedere chiaramente delle tacche, degli intagli che, accompagnati da dei fori orizzontali in corrispondenza, stanno a significare senza ombra di dubbio che lì erano applicate delle cerniere saldamente tenute da dei chiodi: il dipinto – unito – era quindi una specie di portella di armadio o pannello di un paravento (o, più difficilmente, di imposta interna di finestra). L’esistenza sul retro della Caccia di una decorazione pittorica in trompe-l’oeil con un’edicola architettonica e delle lettere sospese a un nastro, sta ad indicare che la portella, quando era aperta e piegata, lasciava vedere un’ulteriore scena ‘minore’ per così dire, con una sua natura morta illusionistica (sulle Dame questa parte non si può vedere perché a fine XIX secolo il dipinto è stato piallato sul retro e assottigliato per applicare un sistema di tiranti in legno che impedissero la progressiva curvatura della tavola, che rischiava di spezzarsi).

Tuttavia anche così il dipinto appare non equilibrato: la scena infatti finisce sulla sinistra in modo inaspettato: la balaustra in marmo, il paggio e il cane sono bruscamente tagliati. La conclusione che se ne trae è abbastanza naturale: l’insieme dei nostri due dipinti (le Dame e la Caccia ) aveva una corrispondente parte (una portella, un ulteriore pannello di paravento ecc. presumibilmente di uguale misura) che completava la scena riequilibrando il tutto sia sul davanti con la scena maggiore (altre dame? Altri personaggi e animali? Non lo possiamo sapere) sia, sul retro, con un ulteriore trompe-l’oeil (che avrebbe potuto raffigurare un’altra edicola o qualcosa di simile).

Torniamo alle nostre Dame.

Mentre la Caccia in laguna raffigura una scena di facile spiegazione (dei giovani uomini elegantemente vestiti che su una serie di barchette vanno a caccia di uccelli) ed è per altro una preziosa testimonianza sull’ambiente, sul paesaggio della laguna, sui costumi dei protagonisti, sulla stessa natura della cacciagione catturata, le Dame appaiono subito assai più complicate.

Possiamo affermare infatti che nessuna delle presenze –animali, vegetali o inanimate – è posta a caso nel dipinto: la raffinata cultura tardo-medievale e umanistica di questo periodo era intessuta di simbologie e allegorie; in pittura nulla era concepito e raffigurato casualmente: ogni oggetto, animale, forma, segno aveva una sua ragione ed esprimeva un concetto o un messaggio, rinviava cioè a un insieme di saperi e di valori rappresentati simbolicamente. Anche nel caso delle Dame vale questo principio. Studi recenti hanno potuto dimostrare che l’intento della rappresentazione è allegorico e morale. Gli oggetti, gli animali, le piante fanno riferimento più o meno esplicito e più o meno facilmente decifrabile a una chiara allegoria morale: così i cani, da sempre simbolo di fedeltà, rinviano alla fedeltà tra gli sposi; le tortore fin dall’antichità classica sono utilizzate per rappresentare il legame coniugale e la fertilità del matrimonio; l’alberello di mirto sopra la balaustra sulla destra, rappresenta anch’esso sia nel mondo pagano che in quello cristiano un riferimento coniugale e per di più,

41

arte CARPACCIO

sacro a Venere, è un riferimento all’amore e alla riproduzione. Anche l’arancia sulla balaustra e il giglio (tagliato) nel vaso rinviano alla verginità e all’amore coniugale, così come la femmina del pavone che è simbolo esplicito della fecondità della sposa. Più complessa la figura del pappagallo che, nella sua caratteristica di essere capace di ‘parlare’ sa ripetere il nome dell’amato lontano e saprebbe, per di più, formulare parole di devozione religiosa. Quindi: amore coniugale, purezza, resistenza alle tentazioni dei sensi, omaggio ai frutti del matrimonio e dominio delle passioni disordinate; tutto questo ci fa chiaramente intendere che il dipinto apparteneva (portella di un armadio o pannello di un paravento o imposta interna) a un arredamento di camera nuziale che, quindi, del matrimonio (e della sposa in particolare) ricordava ed esaltava virtù, pregi e caratteri. Non possiamo tralasciare di ricordare che già nel Medioevo si donavano alla sposa in occasione del matrimonio cassoni dipinti con scene allegoriche o di origine letteraria di soggetto matrimoniale: in questi mobili, posti ai piedi del letto, era conservata la dote della sposa, cioè i vestiti, la biancheria, il corredo nuziale che l’accompagnava poi per tutta la vita.

La casa, le stanze destinate alle donne in particolare, sono il luogo nel quale le virtù femminili si manifestano e sono riconosciute; in questi spazi l’universo femminile ha modo di affermarsi e di esercitare il suo ruolo e il suo potere, ma in questi spazi la donna è anche in qualche modo limitata e prigioniera.

Spiega il grande scrittore Giovanni Boccaccio (XIV secolo, celebre autore di uno dei capolavori della letteratura italiana, la raccolta di novelle intitolata Decamerone ), mentre gli uomini si dedicano ai commerci e alla finanza, all’arte di governo, alla guerra, ai fastidi del lavoro e, talvolta, ai piaceri della caccia e della pesca e agli sport, le donne virtuose, secondo la volontà di padri, madri, fratelli e mariti, devono restare chiuse in casa “quasi oziose sedendosi”, sopportando quella malinconia e quella depressione, come la chiamiamo oggi, che è una malattia quasi inevitabile delle casalinghe.

Rimangono da ricostruire le vicende che hanno portato il dipinto ad essere diviso in due e a seguire differenti strade collezionistiche.

Sappiamo per certo che nella seconda metà del XVIII secolo la separazione era già stata compiuta: troviamo infatti la sola Caccia (già nelle dimensioni attuali e attribuita senza esitazioni a Vittore Carpaccio) citata nel catalogo di una raccolta veneziana, quella del raffinato letterato ed esperto

e mercante d’arte Francesco Algarotti e di suo fratello Bonomo. Questa collezione fu interamente venduta a fine secolo XVIII; fu allora che la Caccia entrò in proprietà di un celebre personaggio francese: il cardinale Joseph Fesch, zio materno di Napoleone Bonaparte che aveva messo assieme, grazie alla sua elevatissima posizione nell’Europa napoleonica e alle sue conoscenze, una sterminata raccolta d’arte; morto il Cardinale (1839) l’opera passò per varie mani fino a quelle di un altro collezionista, a Roma, e poi dell’antiquario presso il quale fu casualmente trovata nel 1944. Va anche segnalata la curiosa vicenda per cui la Caccia fu tolta per ordine della Magistratura italiana al giovane architetto che l’aveva scoperta a Roma e restituita al precedente proprietario: la giustizia amministrativa, infatti, giudicò che il prezzo pagato fosse assolutamente sproporzionato e ridicolo rispetto al valore reale dell’opera, pur senza che vi fosse alcuna truffa o imbroglio da parte dell’acquirente.

Fatto uscire in gran segreto dall’Italia, il dipinto ricomparve in Svizzera dove fu acquistato dal Getty Museum ed esposto prima a Malibu e poi definitivamente a Los Angeles.

Le prime notizie delle Due Dame risalgono invece al 1830, quando sono registrate nel catalogo delle collezioni lasciate da Teodoro Correr alla città di Venezia perché diventassero il primo e ricchissimo nucleo dei musei cittadini. E nella casa di Teodoro Correr, come abbiamo all’inizio ricordato, le possiamo ‘vedere’, le nostre Dame, in uno dei fogli di un album che documenta diligentemente parete per parete tutti i dipinti posseduti dal Correr al momento della sua morte. Non disponiamo di documentazione coeva circa l’acquisto delle Due Dame da parte del Correr, ma da vari indizi sap-

42
DUE DAME
Vittore Carpaccio, Due dame veneziane (particolare)

piamo che egli ebbe a comperare opere, anche importanti, dalla collezione dei fratelli Algarotti nel cui catalogo, come si ricorderà, è registrata la presenza della Caccia ma non quella delle Dame. Poiché però, sempre in quel catalogo, la Caccia è attribuita senza esitazione a Carpaccio, significa che l’estensore dello stesso – che aveva potuto consultare le carte d’archivio della famiglia Algarotti – disponeva della prova o della memoria certa che i due frammenti facessero parte di un’unica composizione, firmata da Carpaccio nel cartiglio in basso tra le zampe del levriero tagliato.

A questo punto possiamo legittimamente supporre che i fratelli Algarotti avessero posseduto l’opera integra o, quanto meno, che la conoscessero prima del taglio e che abbiano provveduto a venderne separatamente le due parti; potremmo addirittura pensare che siano stati loro a separare le Dame dalla Caccia: tuttavia la loro fama di letterati e di persone molto colte e molto amanti della pittura e dei suoi capolavori ci suggerisce di essere prudenti da questo punto di vista.

È infine credibile che Correr abbia acquistato le Dame dagli Algarotti prima della redazione del catalogo (1780), ed è così che si spiega l’assenza del dipinto da quell’elenco.

Il grande storico d’arte inglese, nonché studioso di Venezia, John Ruskin riteneva le Due Dame il più bel quadro del mondo: «Tutta la potenza di De Hooghe in fatto d’ombre, del Van Eyck nei particolari, di Giorgione nelle masse, di Tiziano nel colore, del Bevick e del Landseer nella rappresentazione della vita animale è qui riunita» (1884). Ci troveremmo cioè di fronte a uno dei più alti risultati della pittura di tutti i tempi, e non possiamo certo negare che in queste Dame ci sia una tale carica poetica insieme a un indefinito sentimento come di angoscia trattenuta, di mistero che non si apre del tutto, che certo può, paradossalmente, essersi

giovato della condizione di frammentarietà in cui l’opera ci è giunta; ed ecco perché, anche al di là della complicata vicenda della sua – parziale –ricomposizione con il ritrovamento del frammento oggi al Getty Museum, la tentazione di provare la sua ricostruzione completa è assai forte. Resta il fascino di un dipinto perfetto ed enigmatico anche nella imperfezione esteriore, nella sua condizione di frammentarietà: un dipinto che appare disseminato di indizi ma che non svela la chiave finale perché tutti gli indizi si ricompongano in un disegno unitario e dotato di senso pratico, comune. Verso dove o a chi si rivolgono gli sguardi delle due dame? Sappiamo certo che esse sono nobildonne veneziane (con tanto di stemma dipinto sul vaso da cui parte il gambo di giglio: ma lo stemma non è mai stato decifrato!) e la ricchezza e l’eleganza degli abiti e delle acconciature lo chiariscono a sufficienza, così come quelle collane si addicevano solo a donne maritate o in attesa di maritarsi; eppure la loro attesa è inquietante e forse sospetta: la noia, la malinconia (cioè la depressione), la solitudine non bastano a spiegare una sofferenza del vivere, una insoddisfazione profonda per una condizione dorata ma non libera (né dai vincoli del loro status, né dai pregiudizi culturali) che le trasformava quasi in prigioniere e la loro insoddisfazione in inquietudine (“volendo e non volendo in una medesima ora”) e l’inquietudine addirittura in angoscia.

Le interpretazioni psicologiche e l’atmosfera del dipinto ci condizionano quindi ancora oggi, come hanno condizionato la lettura di quest’opera da parte dei critici e degli storici Otto e Novecenteschi che hanno più o meno consapevolmente creato il mito delle cortigiane.

Ma le nostre Due Dame hanno una innegabile e alta qualità pittorica, uno splendore di colori, una perfezione nel disegno, una raffinatissima relazione tra le parti e il tutto, una ragnatela, infine, di rimandi e di significati che dà indubbiamente vita a un capolavoro poetico e magico: l’occhio dell’osservatore non si sazia mai di indagare fin nei più piccoli dettagli quest’universo policromo e muto raggelato in una sorta di umida vertigine.

E il fanciullo che avanza tra le colonnine: da quale lontananza giunge? È un paggio curioso, un messaggero d’amore, un ragazzetto a servizio, il figlio o il fratello di una delle donne? A chi appartengono i calcagnetti rossi che gli stanno davanti? Non a una delle nostre dame che paiono celare anch’esse analoghe calzature sotto le gonne di velluto ricadenti in pieghe pesanti lungo i corpi rilassati: ecco, anche queste ciabatte tipicamente veneziane paiono nascondere un altro mistero, un’assenza densa ed enigmatica oltre ogni misura e immaginazione, dentro allo spazio mentale di una perfetta conversazione rinascimentale, una battaglia silenziosa tra eros e

43
sogno. Tratto da Ritratto di Venezia. Mille Anni di Storia Giappone, 2011 Per una bibliografia approfondita sull’opera vedi: Giandomenico Romanelli, Il mistero delle due Dame Skira, 2011 Vittore Carpaccio, Due dame veneziane (particolare)

arte IN THE CITY FINISSAGE

Corrispondenze

Milanese con casa a Venezia, Marco Petrus è protagonista a Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna della mostra Capricci veneziani, a cura di Michele Bonuomo, organizzata da MUVE in collaborazione con M77 Gallery di Milano. Le opere esposte prendono spunto dalle linee, rigorosissime e misurate, delle tipiche braghe o calze veneziane indossate da certe figure che animano le scene dei teleri di Vittore Carpaccio e di Giovanni Mansueti alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Ma l’arte e soprattutto la visione di Petrus è libera e personalissima, guidata da richiami e suggestioni dove l’emozione è l’elemento trainante, ma la resa è rigorosa. L’iniziale segno marcato e insistito, retaggio della sua formazione ed esperienza come incisore, assume successivamente una forma più ritmica e architettonica – famosissima la sua serie di architetture “archetipo-mitologiche” di Milano – , che diviene a poco a poco geometrica, dove il segno va scomparendo per lasciare spazio a un gioco sempre più rigoroso e lineare di colori scanditi da linee chiare e ben definite e da campiture piatte, in una ricerca di essenzialità e di linearità della composizione che via via caratterizza la sua ricerca, fino a giungere alla crescente stilizzazione della forma e di fatto all’astrazione. Il colore è protagonista assoluto, segno identitario del suo essere artista, nonché elemento di continua sperimentazione e indagine spaziale.

Il ciclo di opere in mostra si compone di ventisei tele di medio e grande formato, affiancate o sovrapposte, in un dinamico susseguirsi di rimandi, scambi, allusioni e citazioni che avvolgono l’osservare in un gioco incrociato oggettivo e soggettivo, che non lascia indifferenti proprio perché penetra direttamente nell’esperienza di ognuno, in bilico tra il visibile e il vissuto.

Abbiamo incontrato Marco Petrus in mostra, nelle sale Dom Pérignon di Ca’ Pesaro, in un dialogo mattutino libero, ricco di suggestioni, di profondità e leggerezza, stupore e consapevolezza, in un perfetta dimensione contemporanea dell’arte.

Da dove parte l’idea di realizzare un ciclo pittorico ispirato alla pittura di Vittore Carpaccio?

Intorno al 2015 stavo terminando un progetto per la città di Napoli, poi esposto nella mostra Matrici alle Gallerie d’Italia nel 2017 sempre a Napoli, in cui avevo scelto come soggetto architettonico anziché un itinerario urbano come già proposto prima in altre città, per

44
Intervista Marco Petrus di Franca Lugato e Mariachiara Marzari Marco Petrus. Capricci veneziani Fino 10 aprile Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Sale Dom Pérignon capesaro.visitmuve.it

Affinities ENG

Marco Petrus is the protagonist of the latest exhibition at Ca’ Pesaro – the International Modern Art Gallery of Venice. Capricci Veneziani, curated by Michele Bonuomo, is a collection of artworks inspired by the style of typical Venetian breeches once worn at the time of painters Vittore Carpaccio and Giovanni Mansueti (late 1400s-early 1500s). Petrus’s art, and especially his vision, is very personal, emotional yet rigorous. The initial decisive, chiselled trait, likely a remnant of the artist’s education as an engraver, quickly evolves into a more rhythmic, architectural demeanour, on to a chiefly geometrical composition of clear lines, well-defined colour fields, and essentiality. On show at Ca’ Pesaro are twenty-six canvases arranged in a game of exchange, reference, and allusion that will involve the onlooker’s subjectivity and their instances of what is visible and what is lived.

Vittore Carpaccio as source of inspiration

Around the year 2015, I was working on a project for the city of Naples. I had done similar projects before: all had architecture as theme, though while in earlier cases I had used an itinerary as subject, in Naples’ case, I was going to focus on a single settlement, the Vele in Scampia, which reminded me of Corbusier’s Unité d’Habitation at the Cité Radieuse in Marseille. At the time, my exhibition at the Milan Triennale, Atlas, had just closed, and I wanted to expand my creative evolution. I wanted to develop my work on a higher level. The chance was brought to me by the fact that I had never seen the Vele in real life, and had to base my work on photographs and satellite imagery, which only tell half the story. Photographs depicted dilapidated structures, in ruins, and that’s not the message I had in mind at all. That’s when I decided my style, which was already stylized, was going to be pushed even more in that direction. I had wanted to make something similar to Matisse’s papiers découpés, construction paper collages, and found they paired perfectly with my paintings, where architecture was still recognizable, even though highly stylized. I assembled them in a sort of diptych, which is something I had never done before, to reinterpret the palette of the architecture by transpositioning the image outside the shape itself into a purely geometrical composition. That was my first venture into abstracticism. However, I didn’t want to go all-in, and kept the painting on the side – one larger, more architectural, and one smaller, more abstract. On to Carpaccio. While I knew his art from my frequent visits at the Accademia, my attention had never fallen onto some decorative details, such as the braghe, or breeches, worn in the paintings. I realized that can mean something, and that there was enough material to create a capriccio, whence the title of the exhibition, the fancy, or whim, to do something new and unexplored. My first ‘uniconic’ project after the Vele. I was curious as to how far I would have gone.

Your affinities with Carpaccio

In my intentions, there was no actual evocation of Carpaccio. The great maestros of the Venetian Renaissance have been the starting point to develop my own research. Specifically, I isolated, photographed, and studied Carpaccio’s canvases to recompose the style of the breeches under my own personal vision. Art is born of art, art begets inspiration. In my work, I have always followed my instincts. For me, painting is something conceptual, by which I mean, not representing of a concept, but following the concept of instinctive vision and emotion. I see houses, and I try to recompose them and make them my own, like Mariano Fortuny

45
È scattata in me l’idea di poter accostare a un dipinto di immagine, dove l’architettura era ancora riconoscibile, un’interpretazione di esso in senso pittorico

arte

IN THE CITY

MARCO PETRUS

46
Marco Petrus. Capricci veneziani, Ca’ Pesaro

esempio Trieste o Milano, un insediamento specifico. Avevo scelto in particolare le Vele di Scampia, la cui architettura mi ricordava da vicino il progetto dell’Unité d’Habitation (Cité Radieuse) di Le Corbusier a Marsiglia.

Da poco era terminata la mia mostra Atlas alla Triennale di Milano, era il 2014, una sorta di mini-antologica non cronologica, una raccolta di punti di vista diversi, immagini e scorci architettonici che avevo dipinto negli anni precedenti. Dopo il successo di questa mostra a Milano, e mentre stavo elaborando il progetto di Napoli, sentivo sempre più urgente la necessità di compiere un passo ulteriore nel mio percorso creativo; volevo sviluppare il lavoro che avevo svolto fino ad allora tuttavia portandolo su un nuovo livello espressivo. Casualmente – spesso le cose capitano così, anche se penso le stessi covando da anni – questa necessità è diventata reale proprio in quel momento. Non avevo potuto vedere dal vero le Vele di Scampia; lavoravo con immagini satellitari tratte da Google Earth e altre trovate sempre sul web, tuttavia facevo fatica a interpretare le architetture per il fatto che apparivano molto fatiscenti, degradate e non avevo alcuna intenzione di restituire quell’atmosfera. Il mio voleva essere un discorso esclusivamente artistico. Ho iniziato così a stilizzare ulteriormente la mia pittura, già di per sé fortemente stilizzata, quasi astraendo la forma reale. Mi ero messo in mente di realizzare anche dei papiers découpés alla Matisse, dei collage con delle carte colorate da me. Durante la preparazione di queste carte colorate avevo accostato delle campiture di colori diversi uno a fianco all’altro. Era un grande foglio di carta dipinto che poi avrei ritagliato, tuttavia la composizione generale e gli accostamenti in particolare apparivano effettivamente ottimi e funzionavano. Proprio in quel momento è scattata in me l’idea di poter accostare a un dipinto di immagine, dove l’architettura era ancora riconoscibile seppur più stilizzata rispetto alle mie abitudini, un’interpretazione di esso in senso pittorico. E così sono nate delle sorta di dittici, modalità che non avevo mai sperimentato prima, in cui reinterpretavo la tavolozza che avevo utilizzato nel quadro di architettura portando l’immagine fuori dalla forma stessa, ricreando una composizione puramente geometrica. Quadri che riprendevano le linee delle architetture trasformandole in strisce di colore determinate da ritmo e alternanza: il volume ora era diventato colore. Questo è stato il mio primo passaggio verso l’astrazione. Tuttavia non mi sembrava plausibile spingermi all’improvviso e completamente verso l’astrazione geometrica; decisi allora di accostare due quadri, uno più grande architettonico e l’altro più piccolo astratto, creando di fatto dei dittici. Per arrivare finalmente al Carpaccio, che conoscevo e avevo visto più volte alle Gallerie dell’Accademia venendo io spesso a Venezia, la mia attenzione non era mai caduta sui dettagli decorativi delle braghe o calzamaglie dei personaggi presenti nei grandi teleri del Maestro e in quelli di Giovanni Mansueti. Dopo il progetto delle Vele di Scampia, l’occhio è ritornato a focalizzarsi sui lavori del grande artista rinascimentale, guardando in modo nuovo le sue magnifiche composizioni. Mi sono reso conto che poteva esserci terreno fertile per un approfondimento interessante, per un personalissimo e divertente percorso, un gioco di accostamenti di colore, un capriccio appunto, da cui il titolo della mostra in corso a Ca’ Pesaro, Capricci veneziani per l’appunto.

La scelta del titolo è una sorta di gioco quindi, quasi una provocazione. Ci può spiegare meglio questa scelta?

Ho inteso il capriccio non nel senso musicale del termine e nemmeno come richiamo o rimando a quelli famosi di Goya, ma nel senso propriamente letterale del termine, ovvero una voglia improvvisa di sviluppare qualcosa di nuovo, di inesplorato. Poteva essere il mio primo progetto completamente aniconico dopo le Vele di Scampia ed ero curioso di vedere dove sarei potuto arrivare.

Quali, se vi sono, le affinità con questo straordinario interprete della pittura veneziana?

Nelle mie intenzioni non vi era l’idea stretta di evocare il Rinascimento veneziano. Il Carpaccio in particolare, ma anche gli altri grandi Maestri di quella irripetibile stagione, sono stati certamente un punto da cui sono partito per poi sviluppare la mia ricerca. Nello specifico qui ho isolato, fotografato e studiato nel dettaglio le calze dei personaggi ritratti da Carpaccio nei suoi magnifici teleri per poi ricomporle, restituendole attraverso una mia personale visione astratta. Ho scoperto che colori e forme delle calze distinguevano i personaggi per appartenenza alle diverse Compagnie della calza, gruppi di giovani nobili veneziani famosi per i loro balli, conviti, mascherate, rappresentazioni teatrali, regate, pompose cavalcate nella Venezia del XV e XVI secolo. Ho appreso anche molti aneddoti interessanti, tra cui quello in cui Marcel Proust, in un passaggio della Recherche, descrive Albertine Simonet narrando che la sera prima di lasciarlo aveva addosso un mantello di Fortuny, che a sua volta aveva studiato attentamente Carpaccio e “copiava” dagli antichi Maestri veneziani,

once saw Carpaccio and tried to remake his cape, or Vittorio Zecchin re-creating vases inspired by Paolo Veronese, or Josef Albers who once took pictured of pyramids in Mexico and saw the abstract art in them.

How did this work in the art we will see at Ca’ Pesaro?

Whenever I work, I always strive to belong in the place my art will be exhibited at, so I try to adapt the art and create a unique project, a site-specific project, by all means. The largest paintings I made for this exhibition, which will be placed in the lower segments of the walls, have all been made in 2016. At the time, I still didn’t know where they will be exhibited, however, speaking with curator Michele Bonuomo, we thought about Venice. When I visited the museum, and the Dom Pérignon halls in particular, I realized how the tall walls therein were the perfect space for the large-sized paintings that were ready. The other part of the exhibition, where I display my smaller works, I prepared in 2019. Years passed, which allowed for further geometrical development. Other art I made – a mural painting for a private home in Milan, for example – influenced the 2019 series. These deviations and variations have been part of my creative itinerary and of everything that left its mark on my art. It might not be apparent, but it’s there.

How do you make art?

I rarely use sketches and colour swabs. I work directly on an actual-size painting, starting with an initial pencil outline. The paint is thin oil. I prefer flat colour washes. In the case of the art, we see at the current exhibition, I made tests with different proportions of the individual elements. Each element has been used in different pieces.

Your Venice

To me, Venice means coming back. I am fond of this city. My father Vitale Petrus (Kiev, 1934–Milan, 1984) studied at the Fine Arts Academy with Bruno Saetti, and participated in Milan’s art scene in the 1960s and 1970s. He was friends with Vittorio Basaglia and Cencio Eulisse, and he was acquainted with Alberto Gianquinto, Fabrizio Plessi, and Lucio Andrich, meaning he had a strong relationship with Venice. There are a few pieces of his at Ca’ Pesaro, in fact, as he won a number of awards at Bevilacqua La Masa. We lived in Venice for a couple years when I was an infant. My father died young, aged merely fifty, and I was still an architecture student. His friends helped me start my career as a printer, then engraver, and it took a while before I came to see myself as an artist. The path is now quite clear, though.

47
48 Finalmente una mostra che parla di te interattiva, unica, in Piazza San Marco Procuratie Vecchie Piazza San Marco 105, Venezia Dal mercoledì al lunedì 10-19 Tel. +39 041 5037447 visit@thehumansafetynet.org thehumansafetynet.org

arte IN THE CITY

MARCO PETRUS

che lui poi aveva riconosciuto essere uguale a quello indossato da uno dei personaggi di Carpaccio nel dipinto Il patriarca di Grado che esorcizza un indemoniato (Gallerie dell’Accademia).

L’arte nasce dall’arte, l’ispirazione proviene dall’arte. Nel mio lavoro ho sempre avuto un approccio istintivo; la pittura per me è sempre concettuale ma in una singolare accezione: non parto mai da un concetto da rappresentare, parto da visioni istintive, da emozioni. Vedo delle case e cerco di ricomporle, di farle mie. Così come Mariano Fortuny vide Carpaccio e riprodusse il suo mantello, Vittorio Zecchin creò vasi ispirati ai dipinti di Paolo Veronese, Josef Albers in Messico fotografò le piramidi precolombiane vedendo in esse l’astratto. Suggestioni, le definirei, sì!

Nella mostra di Napoli concludevo il percorso espositivo dedicato alle Vele con un’opera che era una sorta di lesena composta da tanti quadretti a righe orizzontali. Queste stesse piccole opere se girate in senso verticale richiamavano esattamente le calze del Carpaccio. Allo stesso tempo mi venivano in mente anche i lavori di Donald Judd oppure la Colonna infinita di Brancusi. Volevo sviluppare l’idea di un repertorio di forme e di colori che poteva andare all’infinito: Brancusi l’ha espressa sul volume, io l’ho perseguita con il colore.

Come è nata e come si è poi concretizzata l’ideazione delle opere che ora sono protagoniste della mostra a Ca’ Pesaro? Quando lavoro cerco sempre di appartenere allo spazio espositivo e, quindi, cerco di adattare le mie opere cercando di creare un progetto unico in dialogo vivo con lo spazio che lo accoglie. Insomma, un’idea di lavoro site-specific a tutti gli effetti. I quadri più grandi di questa mostra, che occupano la parte bassa delle pareti, sono stati realizzati tutti nel 2016. Allora non sapevo ancora dove li avrei esposti. Tuttavia con Michele Bonuomo, curatore del progetto, abbiamo pensato subito a Venezia, sottoponendo al MUVE l’idea della mostra. È stata subito accolta, identificando Ca’ Pesaro –Galleria Internazionale d’Arte Moderna quale contesto ideale in cui realizzarla.

Quando ho visitato le sale Dom Pérignon, due grandi stanze dalle pareti molto alte, mi sono reso subito conto che praticamente avevo già riempito lo spazio con la serie di 14 quadri di grandi dimensioni realizzata in precedenza. Mi è venuta l’idea di riproporre anche in questo contesto i dittici che avevo progettato per la mostra di Napoli, questa volta a sviluppo verticale. La parte alta della mostra, quella dove trovano posto i dipinti di dimensioni più piccole, è stata quindi da me realizzata nel 2019, tre anni dopo i grandi dipinti. A lavori conclusi tutto pronto per essere esposto, la mostra è infine stata rinviata prima per l’Aqua granda e poi per la pandemia. A distanza di tre anni il mio lavoro ha avuto così uno sviluppo geometrico ulteriore. Nel realizzare la seconda parte dei dittici ho ripreso il quadro sottostante non pensando più a Carpaccio, ma ai colori utilizzati precedentemente, inserendo variazioni minime di ritmo sia nel colore che nelle forme. Inoltre, tra le opere del 2016 e quelle del 2019 vi sono ora altri lavori realizzati in contesti diversi – per esempio un murales per un’abitazione privata a Milano –, che in qualche modo hanno anch’essi influenzato la serie del 2019. Questi scarti e variazioni sono sempre legati a passaggi creativi del mio personale percorso, momenti che inevitabilmente segnando in maniera incisiva tutte le mie opere. Sono elementi non così evidenti, eppure per me decisamente significativi.

Il rigore della linea non smorza, anzi amplifica, la sensazione avvolgente del colore creato dall’insieme delle opere, che è certamente dominante. La Venezia del Rinascimento è la culla del colore: si sente in questa direzione in qualche modo un epigono?

In realtà cerco sempre di non ingabbiarmi in concetti o regole che possano limitare la mia libertà di espressione creativa. Non inseguo modelli, ricerco modi. Per fare altri rimandi all’arte, perché io gioco sempre con queste suggestioni, nel realizzare la serie del 2019 ho ad esempio pensato alle estroflessioni di Agostino Bonalumi, che realizzava delle sagome dietro le tele per creare effetti spaziali. Mi sono divertito a ricreare quell’effetto in maniera esclusivamente pittorica attraverso il colore, un effetto optical con zone in luce e zone in ombra. Potevo creare delle composizioni più corrette dal punto di vista prospettico, invece ho cercato volutamente di realizzare forme sghembe. Non c’è mai una forma uguale, anche i colori cerco di variarli sempre. C’è chi lavora seguendo la successione di Fibonacci o la teoria del colore, che certamente è bene conoscere; tuttavia per me diventano un limite alla libertà creativa.

Quale, dunque, il suo iter creativo?

Raramente faccio dei bozzetti e delle prove colore. Lavoro direttamente sulle dimensioni reali del dipinto con un disegno a matita iniziale per poi dipingere a olio magro, non materico. Tendo a fare tinte piatte. In questo caso ho iniziato a fare delle prove su carta con altre proporzioni, riprendendo le singole parti in opere diverse.

La sua Venezia.

Per me è sempre un ritorno. Ho un legame affettivo speciale con la città. Mio padre, Vitale Petrus (Kiev, 1934 – Milano, 1984), ha studiato all’Accademia di Belle Arti con Bruno Saetti ed è stato un protagonista della scena artistica lombarda degli anni Sessanta e Settanta. Era molto amico di Vittorio Basaglia e Cencio Eulisse, frequentava tra gli altri Alberto Gianquinto, Fabrizio Plessi e Lucio Andrich, per cui il legame con Venezia è sempre stato molto forte. A Ca’ Pesaro ci sono alcune sue opere; vinse infatti diversi premi alla Bevilacqua La Masa. Per due anni la mia famiglia ha vissuto a Venezia, a San Basegio, ero molto piccolo. In seguito ci siamo trasferiti a Sesto San Giovanni e poi a Milano.

Mio padre purtroppo morì giovane, a cinquant’anni, quando io ero iscritto ad Architettura a Milano. Avevo fatto il Liceo artistico e mi ero formato come apprendistato proprio nelle stamperie d’arte a Milano. Non potendo trasferirmi a Venezia, Vittorio Basaglia mi regalò il primo torchio e mi avviò all’apertura di una mia stamperia a Milano, alla quale contribuirono anche i colleghi di mio padre, il quale aveva insegnato al Liceo Artistico, frequentandola e commissionandomi molti lavori. Inizialmente non pensavo di fare il pittore, ma avendo a disposizione l’attrezzatura ho iniziato a incidere. Ci sono voluti tanti anni per vedermi nei panni di un artista, ma i riconoscimenti nel tempo sono arrivati e la strada si è fatta progressivamente chiara. A professione avviata, avevo un progetto su Trieste che mi portava ad andare regolarmente avanti e indietro da Milano. Allora decisi di prendere un appartamentino a Venezia: erano 14 anni fa, l’appartamento c’è ancora e continuo a venirci più volte che posso.

49

L’elogio della bruttezza

A Palazzo Loredan sguardo acuto e inflessibile sull’umanità

Nel fermento primaverile di nuove aperture, mostre ed eventi a Venezia, non deve sfuggire una visita alla ‘piccola’ ma straordinariamente grande mostra: De’ Visi Mostruosi e Caricature. Da Leonardo da Vinci a Bacon a Palazzo Loredan, sede dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue.

Un percorso estremamente affascinante, curato da Pietro C. Marani, allestito in maniera raffinata e assai efficace per poter osservare in maniera privilegiata oltre 75 incredibili opere provenienti da musei e collezioni private internazionali – dal Louvre alle Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco, dalle Gallerie degli Uffizi alla Staatliche Kunstsammlungen di Dresda, dal Designmuseum Danmark alle Gallerie dell’Accademia di Venezia fino al Sainsbury Centre for Visual Arts dell’Università dell’East Anglia di Norwich, per citarne solo alcuni – con un incredibile nucleo di 18 disegni autografi leonardeschi dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana, dalla Pinacoteca di Brera e, per la prima volta in Italia, dalla Devonshire Collections di Chatsworth, oltre all’incredibile Testa di Vecchia di Leonardo della Collezione Ligabue. Una teoria di artisti, da Leonardo ad Anton Maria Zanetti, Tiepolo, Francesco Melzi, Giovan Paolo Lomazzo, Aurelio Luini, Donato Creti, Arcimboldi, Carracci, Parmigianino fino a Bacon. Le caricature, i volti deformi, i disegni scorretti dei grandi della pittura svelano un’attenzione incredibile verso la raffigurazione della bruttezza, a rovesciare canoni estetici che vorrebbero l’idea del bello legata esclusivamente all’armonia di volti dai tratti perfetti. Qui si scava nel brutto, con tecnica sublime, il tratto è portato alla più nobile delle esecuzioni, e la rara bruttezza diviene un codice estetico rilevante. Uno sguardo lucido e feroce sulla realtà in grado di renderla ancor più intensa ed empatica. Che sia la lucida misantropia di Leonardo, lo sguardo ludico di Lomazzo, il gusto naturalistico di Carracci, l’arguzia di Anton Maria Zanetti o la brillante ironia di Tiepolo, che sia dettaglio fisiognomico, schizzo grottesco, ritratto caricato o bonaria derisione, la caricatura, lungi dall’essere genere minore, è per l’artista momento di studio, di riflessione, d’intuizione. Diviene capacità di sintesi, sguardo acuto e inflessibile sulla realtà e sull’altro da sé, oltre che sguardo onestissimo e al contempo lieve su sé stessi, faro acceso sulla commedia umana, su quella parata di maschere infinita che è l’umanità.

Così il professore Marani: «Confrontando il dipinto di Giovan Paolo Lomazzo di una testa di donna ‘grottesca’ – derivante da un disegno di Leonardo a Chatsworth – con le teste nel “Trittico” di Francis Bacon del Sainsbury Centre di Norwich, si coglie il perdurare di una ricerca attraverso i secoli nello scavo del volto umano e nella sua deformazione, intesi come riflesso di caratteri, passioni, inconfessabili istinti animaleschi, impulsi interiori e forse incubi della psiche e del subconscio, da sempre oggetto di studio e attenzione da parte degli artisti dell’età moderna e contemporanea». F.M.

In praise ENG of ugliness

So much to see and do in the art world of Venice. Be sure this won’t make you overlook a small yet great exhibition: De’ Visi Mostruosi e Caricature at Palazzo Loredan, sponsored by Fondazione Giancarlo Ligabue. The interesting exhibition, curated by Pietro C. Marani, comprises 75 pieces coming from international private collections and public museums. Leonardo, Anton Maria Zanetti, Tiepolo, Arcimboldi, Carracci, Parmigianino, Bacon and their other art: caricatures, deformed faces, incorrect drawings that reveal incredible attention in the depiction of ugliness, truly a reversal of aesthetical canon that equate beauty solely with the perfection of human features. The detail, the grotesque, the benevolent teasing, is for the artist a moment of study, reflection, and insight. Says Marani: “We will see how, over the centuries, artists researched the human face and its deformities, meaning the reflections of their character, passion, unspeakable animal instinct, inner impulse, and maybe the incubus of their psyche and their subconscious.”

De’ Visi Mostruosi e Caricature.

Da Leonardo da Vinci a Bacon

Fino 27 aprile Palazzo Loredan

Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti

www.fondazioneligabue.it

50 arte IN THE CITY FINISSAGE
51

Collezione da cavalletto Un restyling per la Quadreria di Palazzo Ducale

Risale ai primi decenni del ‘600 la decisione di esporre all’interno di Palazzo Ducale, accanto ai dipinti istituzionali, opere da “cavalletto” provenienti da illustri collezioni private, come la donazione del cardinal Domenico Grimani. Le sale deputate a ospitare queste opere furono la Sala della Quarantia Criminale, la Sala dei Cuoi e quella del Magistrato alle Leggi, che presto formarono la Quadreria di Palazzo Ducale, oggetto di un recente restyling ad opera dell’architetto e scenografo Pier Luigi Pizzi, realizzato dalla Fondazione Musei Civici di Venezia con la collaborazione e il supporto di Venice International Foundation. Magnifici capolavori acquistano una nuova vita, ridonando l’antico splendore alle stanze della Quadreria, in cui ora si possono ammirare opere superstiti delle collezioni ducali accanto a un nucleo consistente di pregevoli tele e tavole concesse al MUVE in deposito a lungo termine da collezioni private, che ritornano a Venezia poco lunghe vicende antiquarie. Tra queste opere spiccano il Ritratto di dama con figlia ( Doppio ritratto, già collezione Barbarigo) di Tiziano, L’angelo annuncia il martirio a Santa Caterina di Alessandria, opera realizzata da Jacopo Tintoretto intorno al 1570, un tempo nella chiesetta di San Geminiano in Piazza San Marco, oggi nota come “il Tintoretto di David Bowie”, poiché entrata nella collezione dell’artista prima di essere acquistata nel 2016 da un collezionista privato; la Maria Maddalena in estasi di Artemisia Gentileschi, oltre ad opere di Giovanni Cariani, Anthony van Dyck e Maerten de Vos.

Il nuovo intervento di valorizzazione, dunque, mette in evidenza il patrimonio collezionistico, storico e archivistico, oltre che artistico, della Quadreria, ripercorrendo la storia del Palazzo stesso. Con la caduta della Serenissima, avvenuta nel 1797, gran parte dei capolavori che componevano le collezioni ducali e non solo vennero dispersi o venduti a poco prezzo, rendendo difficile concepire concretamente l’eterogeneità di produzioni artistiche che nobili e committenti potevano ammirare tra le eleganti sale di Palazzo Ducale.

Nella Sala dei Cuoi, chiamata così per i “cuoridoro”, ovvero i cuoi ricamati in oro sulle pareti, che grazie al supporto di Venice International Foundation è stata restaurata riportando l’originale bellezza

dei disegni a rilievo dorati su fondo rosso realizzati probabilmente nel XVII secolo da artigiani veneziani, è ospitato il nucleo ducale di opere fiamminghe, tra le quali l’unica superstite di quelle offerte alla pubblica fruizione in Palazzo a partire dal 1615, quell’Inferno, già attribuito al Civetta (Henry Met de Bles) e oggi più opportunamente ricondotto ad anonimo seguace di Bosch o il Cristo deriso di Quentin Metsys, che mettono in luce la grande influenza pittorica di origine fiamminga che si diffuse a Venezia a partire dal Quattrocento grazie al florido ambiente diplomatico e commerciale che caratterizzava la laguna. Inoltre le raccolte private erano ricche di pitture nordiche, come testimonia l’aristocratico Bernardo Bembo che, in conseguenza del suo incarico di ambasciatore veneziano presso la corte di Borgogna fra il 1471 e il 1474, entrò in possesso di un celebre dittico devozionale di Hans Memling, presto diventato vanto della sua collezione. Nelle altre sale sono esposti sono capolavori di Bellini, Tiziano e Tiepolo, maestri sommi dell’arte veneziana, quali Venezia riceve da Nettuno i doni del mare di Giambattista Tiepolo, la Pietà di Giovanni Bellini, esistente in diverse soluzioni compositive, tra cui una esposta all’Accademia di Carrara che potrebbe essere cromaticamente accostata alla tela di Palazzo Ducale, una al Museo Correr, dalla straordinaria e quasi surreale resa del rigor mortis del Cristo, e quella esposta alla Pinacoteca di Brera, più vicina cronologicamente alla tempera di Palazzo Ducale, databile al 1472. E ancora, la Madonna con Bambino e due angeli di Tiziano e il Leone marciano andante di Carpaccio, che sarà possibile ammirare all’interno della Quadreria dopo la conclusione della mostra antologica di Palazzo Ducale. Capolavori superstiti di un ben più ricco patrimonio, oggi in parte disperso o passato a istituzioni statali.

La Sala della Quarantia Civil Vecchia infine accoglierà nel corso dell’anno nuovi “Ospiti a Palazzo”, ovvero opere provenienti dalle ricche collezioni d’arte della Fondazione Musei Civici di Venezia e non sempre fruibili da parte del pubblico, a cui se ne alterneranno altre provenienti da prestigiose collezioni private. Matilde Corda

palazzoducale.visitmuve.it

52 art
IN THE CITY RESTAURI
e

Orizzonti infiniti

La ‘nuova’ Loggia palladiana delle Gallerie dell’Accademia

La Loggia palladiana, al primo piano delle Gallerie dell’Accademia, è uno spazio architettonico unico. Realizzata su progetto di Andrea Palladio e caratterizzata da una sequenza di grandi finestre su cui si affacciano delle stanze, la Loggia è stata riaperta al pubblico nel 2021 dopo un restauro durato due anni. Dal 16 marzo 2023 è tornata nel percorso di visita delle Gallerie grazie ad un nuovo riallestimento che arricchisce le collezioni dell’Accademia di un nucleo di cinquanta opere, alcune esposte per la prima volta. Opere significative, molte delle quali sottoposte a interventi di manutenzione e restauro, che raccontano un periodo importante dell’arte veneta e italiana, che va dai primi decenni del Cinquecento fino ai primi anni del Seicento.

Il progetto scientifico del nuovo allestimento è stato curato da Roberta Battaglia e Giulio Manieri Elia, direttore delle Gallerie dell’Accademia, con la collaborazione di Michele Nicolaci. Questo è il quarto allestimento delle Gallerie, che in questi anni stanno cambiando letteralmente volto con la riorganizzazione degli itinerari di visita e la valorizzazione delle diverse parti che compongono il Complesso della Carità. Interventi mirati, che non hanno mai reso necessaria la chiusura al pubblico delle Gallerie, volti a migliorare la fruizione, conservazione e soprattutto la comprensione e conoscenza delle Collezioni, secondo i criteri della moderna museografia. «L’attuale apertura di nuove sale – osserva Manieri Elia – va considerata nel quadro complessivo dell’opportunità unica di ripensare il percorso storico-artistico, sanando alcuni passaggi o nodi critici nella costruzione narrativa. Un’occasione per dare alle raccolte nuova chiarezza e coerenza espositive, in linea con la storia e la missione educativa originaria delle Gallerie dell’Accademia».

Percorriamo, dunque, questo nuovo itinerario che si apre con alcune opere di Bonifacio De’ Pitati (Verona, 1487–Venezia, 1553), pittore veronese che nel secondo quarto del Cinquecento diresse una delle più affermate e prolifiche botteghe veneziane del tempo. Ammiriamo la sua Annunciazione e Padreterno sopra San Marco, oggi suddivisa in tre dipinti distinti, in origine un’unica grande tela collocata sulle pareti della Camera degli Imprestiti del Palazzo dei Camerlenghi a Rialto. Un dipinto eccezionale datato 1543, che mostra la Piazza da una prospettiva scenografica molto insolita, a volo d’uccello, probabilmente presa dalla Torre dell’Orologio. Interessante la descrizione della vita minuta che si svolge nel cuore della città. Il Padreterno sovrasta la Piazza, proteggendo Venezia dal pericolo rappresentato da una nuvola nera e minacciosa.

Sempre di de’ Pitati osserviamo la Madonna dei Sartori, prima sua opera firmata e datata, testimonianza cardine nel percorso artistico del pittore, in cui le composizioni narrative assumono definitivamente un impatto architettonico. I committenti della pala, come si nota dalla presenza di una forbice sul gradino del trono, furono i confratelli della corporazione dei Sartori (sarti).

Il percorso continua nelle sei sale che si aprono sulla Loggia. Entriamo nelle prime due dedicate ai protagonisti del Rinascimento tra Venezia, Brescia e Bergamo, e incontriamo Savoldo, coi suoi suggestivi notturni di influenza nordica e i colori ancora lombardi, Agostino da Lodi, con la luminosa Lavanda dei piedi, e Il Moretto, con la Madonna del Carmelo, una perfetta sintesi tra architettura bramantesca e colorismo di Tiziano. Nella stessa sala rimaniamo totalmente rapiti dal malinconico Ritratto di giovane gentiluomo di Lorenzo Lotto: elegante, disinvolto nella posa flessuosa, naturale e al contempo ricercato nell’abito scuro lavorato, rappresentato in piedi, appoggiato al tavolo, in atto di sfogliare un grande libro.

Nelle altre due sale, siamo investiti dai capolavori intrisi di classicismo ed elementi rurali della vita quotidiana – come ne L’adorazione dei pastori o Il miracolo dell’acqua, eccezionale prestito dal Castello Reale di Varsavia fino al 17 maggio – di Jacopo Da Ponte, noto come Bassano, e dei figli Francesco e Leandro, a cui per la prima volta viene dato uno spazio importante all’interno delle Gallerie. Ammiriamo, esposta per la prima volta, anche una sensuale e drammatica Lucrezia eseguita da Leandro.

Nelle ultime due sale del percorso scopriamo il panorama artistico lagunare del tardo ‘500 e del primo periodo del ‘600, incentrato principalmente sulla rielaborazione manierista dei grandi artisti del Rinascimento quali Tiziano, Veronese e Tintoretto. Troviamo Palma il Giovane e Padovanino, protagonisti di questa stagione artistica: osservando le due opere qui accostate sul medesimo soggetto del Cristo morto sorretto dagli angeli il confronto tra i due pittori è clamoroso. E poi ci imbattiamo nei due grandi teleri di Domenico Tintoretto con i Ritratti dei confratelli della Scuola dei Mercanti, tra i più interessanti per quanto riguarda la ritrattistica dell’epoca. Alla fine del percorso troviamo un “foresto” presente nelle collezioni dei nobili veneziani, Annibale Carracci con il suo San Francesco, che dimostra quanto le influenze della Scuola veneziana fossero ben note anche in altri luoghi. M.L.B.

www.gallerieaccademia.it

53
© Luca Zanon

arte IN THE CITY PORTRAITS

Prima commuovere e poi far capire

«La mia pittura non può arrestarsi su un problema, porlo e definirlo una volta per tutte. Mi piace ruotare attorno a questo problema, vederne le diverse, possibili soluzioni, essere coerente e, al tempo stesso, in grado di cambiare». Così Carla Accardi (Trapani, 1924–Roma, 2014) descrive il suo fare pittorico, grazie al quale è divenuta una delle figure più significative dell’arte italiana e internazionale del XX secolo. Nel secondo dopoguerra, infatti, Accardi ha contribuito all’affermazione dell’arte non figurativa in Italia fondando, unica donna insieme ad Antonio Sanfilippo, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Achille Perilli, Giulio Turcato, il Gruppo Forma 1 (1947). Il suo linguaggio fatto di segni e giustapposizioni cromatiche ha intercettato in un processo continuo di sperimentazione tutti i fermenti artistici, sociali e politici – con Carla Lonzi ed Elvira Banotti nel 1970 è stata tra le fondatrici di Rivolta Femminile – della seconda metà del Novecento, approdando al nuovo millennio con la stessa forza espressiva. «Un dipinto deve dirti quello che vuole dirti in brevissimo tempo e deve riuscirci attraverso una sensazione. Questa sensazione, a parer mio, è legata all’idea di un piacere dell’occhio» (Carla Accardi). Pur avendo vissuto a Roma, ha stabilito nel corso della propria esistenza un legame costante e speciale con Venezia. Il suo lavoro fu protagonista di diverse Biennali: esordì nel 1948, facendovi ritorno nel 1964, 1976, 1988, 1993, per poi essere nuovamente protagonista nel 2022, fortemente voluta da Cecilia Alemani. Per questo legame, a cento anni dalla sua nascita, il Museo Correr ha voluto rendere omaggio alla sua arte con un’installazione che accoglie una ristretta ma significativa selezione di opere, raramente visibili, curata da Pier Paolo Pancotto. M.M.

Vento di cambiamento M9, la rivoluzione inizia da Vedova

M9 – Museo del ‘900 di Mestre affronta una nuova stagione culturale con grande forza, rilanciando l’offerta complessiva con molte iniziative volte ad affermare la centralità dell’impianto ideale che ha visto nascere e consolidarsi un Museo che rappresenta un unicum a livello nazionale. Senza voler nascondere le difficoltà di avviamento fortemente condizionate anche dal biennio pandemico trascorso, M9 si rende protagonista in positivo di una rilettura delle proprie capacità di radicamento nel territorio, favorendo un dialogo sempre più costante con un bacino di utenza che si identifica in M9, rendendolo un riferimento stabile nella produzione culturale della terraferma veneziana, caratterizzato da una versatilità e poliedricità di offerte, che mai tradiscono la vocazione di laboratorio storico del passato recente e di indagatore dei flussi contemporanei.

Il terzo piano del Museo, nato come spazio destinato ad esposizioni temporanee, prevede per il prossimo triennio una nuova serie di mostre di grande impatto, sia per il valore iconico delle opere esposte, sia per le scelte di allestimenti, capaci di coinvolgere il pubblico con una pluralità di linguaggi e piani di racconto del contemporaneo nell’arte, nel design, nella scienza, nella società.

Il primo appuntamento – dal 5 maggio al 26 novembre – è con uno dei grandi maestri dell’arte del Novecento, Emilio Vedova, fortemente legato al territorio veneziano, anche per una contiguità di carattere familiare con i temi del lavoro a Marghera. Rivoluzione Vedova, ideata e progettata da Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, in collaborazione con M9, curata da Gabriella Belli e allestita dallo Studio Alvisi Kirimoto, apre un percorso inedito per M9 che sceglie l’arte contemporanea come strumento per esplorare e interpretare la storia sociale, culturale, politica ed economica. F.M. ENG M9 – The Museum of the 1900s, opens a new cultural season with great solidity, no matter how hard it has been over the last three years. The museum looks at strengthening its territorial presence in Mestre, fostering dialogue with locals, and act as a workshop of recent history and investigator of modernity. The third floor at the museum, which is dedicated to temporary exhibition, will house high-impact production over the next several years – high-impact both in the iconic value of the art exhibited as well as for curatorial and staging choices. Coming up next, May 5 to November 26, is an exhibition on one of the great art maestro of the twentieth century, Emilio Vedova. Rivoluzione Vedova, curated by Gabriella Belli and staged by Studio Alvisi Kirimoto, opens a new modern art season at M9, using modern art as a tool to understand and interpret the social, cultural, political, and economic history of our present.

Rivoluzione Vedova

5 maggio-26 novembre M9 – Museo del ‘900 www.m9museum.it | www.fondazionevedova.org

54
Carla Accardi 1924-2024. Un omaggio 28 aprile-29 ottobre Museo Correr, Sala delle Quattro Porte correr.visitmuve.it Il Gruppo Forma 1 Emilio Vedova. Dalla parte del naufragio, regia di Tomaso Pessina

La trascendenza dell’ego Fondation Valmont inaugura una nuova stagione espositiva

Ego come sé, letteralmente dal latino “io”, prima persona singolare; ego come soggetto pensante, mediatore tra conscio e inconscio. L’ego che per l’artista diventa eroe, mano creativa, colui che decide sulla bellezza. Su questo tema sono stati invitati a riflettere quattro artisti, immersi in una Venezia che è la massima espressione di bellezza fragile ed eterna.

Carles Valverde, Didier Guillon, Vangelis Kyris e Anatoli Georgiev sono i protagonisti della nuova stagione espositiva di Fondation Valmont: Ego a Palazzo Bonvicini dal 22 aprile al 25 febbraio 2024.

Come ci ha confessato in un’intervista lo scorso dicembre in occasione dell’apertura della residenza per artisti, Residénce Bonvicini, Didier Guillon, Presidente e Art Director di Fondation Valmont, vede in Venezia un «Luogo magico che si è sempre dimostrato capace di reinventarsi e che continuerà a reinventarsi – in cui è sua ferma intenzione – attirare l’arte seguendo questa traccia identitaria in perpetuo movimento, reinventandoci quotidianamente». Un obiettivo che persegue attraverso l’attività della Fondazione a Venezia dal 2019, con mostre annuali che indagano una visione sull’arte contemporanea allargata e rivolta verso il futuro, come Ego, che intreccia arte e bellezza in uno sguardo tutto al maschile.

Per realizzare la sua installazione, Compositions of Two Modular Elements 2, Carles Valverde parte dall’ego come “individualità della parola società” e dalla riflessione filosofica individuale, presentando un elemento «egoistico che compone il suo Ego a partire da un altro. È il suo elemento identico che consente tutte le possibili combinazioni e quindi la creazione di Ego individuali». La scultura di Valverde si interroga sul nostro funzionamento a livello di DNA: «abbiamo tutti le stesse basi e, quando queste vengono combinate in modo diverso, si creano gli individui. È questo che stiamo cercando. La semplicità, cercare e mostrare l’essenza delle cose, che alla fine è la cosa più difficile».

E se «l’arte è l’idea che abbiamo della bellezza che parla ai sensi e alle emozioni [e] l’artista è colui che ha il senso della bellezza e può creare un’opera d’arte – riflette Didier Guillon –, l’Ego è la consapevolezza del sé artistico fonte di ispirazione per la creazione della bellezza». Parte da queste tre accezioni Guillon per rivoluzionare i canoni della bellezza classica nell’installazione L’homme pensant, dieci sculture di busti di uomini con il volto contorto in un urlo. «L’artista, abituato a creare la Bellezza come obiettivo primario, è ora chiamato a rappresentare l’assenza della bellezza stessa […] questi uomini urlano, intrappolati in corpi sconosciuti che non riconoscono come propri. Rivestiti di vernice dorata, i busti sono nobilitati con uno status inedito».

Il duo artistico composto da Vangelis Kyris e Anatoli Georgiev, considera infine l’Ego in ogni sua accezione, positiva e negativa: all’origine di evoluzione e civiltà, come di distruzione, guerra e quanto di vergognoso c’è nell’umanità. L’obiettivo del fotografo Kyris non volge la sua attenzione alla figura umana ma è teso «a fermare il tempo, esaltare i sentimenti e valorizzare la memoria», mentre Anatoli Georgiev aggiunge la terza dimensione all’opera d’arte attraverso i suoi ricami. «Sono un ricamatore – dichiara Georgiev – Ricamo sulle fotografie di Vangelis Kyris. Questo è un ricamo intrecciato con la fotografia […] realizzato su costumi fotografati con motivi e simboli; costumi risalenti a più di due secoli fa. Faccio rivivere i ricami dei tempi passati attraverso il mio Ego. Me stesso». C.S.

The ego, ENG transcended

Four artists invited to reflect and make something beautiful on the concept of ego, sponsored by Fondation Valmont. Ego will open at Palazzo Bonvicini on April 22. Didier Guillon, president and art director at Fondation Valmont, once confided us that he sees Venice as “a magical place that has always been able to reinvent itself, and always will. It will attract art following this identity track in continuous motion”. This is the goal of his foundation, which he established in Venice in 2019. The foundation produces yearly art exhibitions that investigate a vision on modern art that looks at the future, like Ego, a mix of art and beauty from the point of view of men. Carles Valverde’s Composition of Two Modular Elements 2 builds upon the concept of ego as an individual philosophical reflection, an “egotistical element that builds their ego upon someone else’s”. Sculpture installation L’homme pensant is a composition of ten male figures whose face is writhing in scream: “the artist, used to recreate Beauty as primary goal, is now asked to represent its absence… these men scream, trapped in foreign bodies that they don’t feel their own”. Art duo Vangelis Kyris and Anatoli Georgiev consider the ego in both its positive and negative senses: at the origin of evolution and civilization and at the base of destruction, war, and whatever is dishonourable in humankind.

55 Ego 22 aprile-25 febbraio 2024 Fondation Valmont-Palazzo Bonvicini fondationvalmont.com
Didier Guillon Carles Valverde Vangelis Kyris e Anatoli Georgiev

arte IN THE CITY

MANUSCRIPTS

Passaggio in India

Leggendari

Viaggi leggendari e vite avventurose: Fondazione dell’Albero d’Oro invita il pubblico a scoprire il nuovo affascinante progetto espositivo diretto da Béatrice de Reyniès e curato da Antonio Martinelli e Marco Moneta, con allestimento di Daniela Ferretti e consulenza scientifica di Piero Falchetta. Il titolo svela la storia: Nicolò Manucci, il Marco Polo deIl’India. Un veneziano alla corte Moghul nel XVII secolo. La mostra, che apre a Palazzo Vendramin Grimani il 29 aprile, ripercorrere le tappe salienti della vita del viaggiatore veneziano, restituendo lo sguardo di un testimone privilegiato della storia e della ricchezza culturale dell’India Moghul.

Nicolò Manucci (1638–1720), di umili origini, figlio di un “pesta spezie”, spinto dal desiderio di esplorare il mondo, a soli 14 anni nel novembre 1653, si imbarcò a Venezia alla volta dell’Oriente, nascosto nella stiva di una tartana, senza fare più ritorno. Dopo due giorni di navigazione venne scoperto, tuttavia riuscì a restare a bordo dell’imbarcazione e a continuare il suo viaggio grazie a Henry Bard, visconte di Bellomont, che viaggiava sulla stessa imbarcazione, segretamente inviato in Persia da Carlo II d’Inghilterra. In compagnia e sotto la protezione di questo personaggio, il giovane veneziano divenuto suo assistente attraversò gli immensi territori dell’Impero Ottomano e Persiano fino ad approdare nel 1656 a Surat, a quel tempo il principale accesso marittimo all’India. Finalmente Manucci raggiunse Delhi e la corte dell’imperatore Shah Jahan, il committente del Taj Mahal. Iniziò così il suo lungo soggiorno in India...

In età avanzata Nicolò decise di narrare la propria storia e quella dell’Impero Moghul, della quale fu testimone e attore, ovvero il lungo regno di Aurangzeb (1618–1707), dettando le sue memorie a scrivani. Contestualmente, Manucci commissionò ad artisti indiani un vasto corpus di miniature da inviare in Europa come accompagnamento visivo dei suoi manoscritti. La sua Storia del Mogol è un’imponente opera letteraria che racconta gli eventi salienti della storia indiana dell’epoca in tre lingue, italiano, francese e portoghese, accompagnata dalle magnifiche illustrazioni raccolte nel Libro Rosso e nel Libro Nero

Visitare la mostra a Palazzo Vendramin Grimani significa immergersi tra le pagine di queste opere monumentali e fantastiche, per la prima volta riunite grazie alla collaborazione tra la Bibliothèque nationale de France di Parigi, la Staatsbibliothek di Berlino e la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia. Un percorso costruito tra manufatti ed elementi decorativi di diverse epoche e una selezione di riproduzioni e di installazioni digitali dei manoscritti, che permette di scoprire tutte le pagine dei testi e la ricchezza dei colori e delle illustrazioni di un mondo scomparso. Inoltre, per ridare vita al personaggio e alla storia di Nicolò Manucci, l’artista designer e architetto veneziano Guido Fuga ha realizzato una serie di acquerelli che rappresentano le tappe della vita del viaggiatore.

Nicolò Manucci, il Marco Polo dell’India

Un veneziano alla corte Moghul nel XVII secolo

29 aprile–26 novembre Fondazione dell’Albero d’Oro, Palazzo Vendramin Grimani www.fondazionealberodoro.org

ENG Travel and adventure: Fondazione dell’Albero d’Oro invites the public to a new, fascinating exhibition directed by Béatrice de Reyniès. Nicolò Manucci, il Marco Polo deIl’India (lit. ‘Nicolò Manucci, the Marco Polo of India’). The exhibition tells the story of the Venetian traveller and of his privileged point of view on the cultural riches of Moghul-era India. Of humble origins, Manucci (1638–1720) stowed away on a vessel aged a mere fourteen, in November 1653. Two days into sailing, crew found him, and thanks to a rich passenger who took him in as servant, Henry Bard, he was allowed to stay. Eventually, Manucci reached Delhi and the court of Shah Jahan… Much later, as an old man, Nicolò Manucci decided to tell his own story and what he knew about the Moghul Empire. He also commissioned Indian artists a set of miniatures to go with the manuscripts. The exhibition will open on April 29 at Palazzo Vendramin Grimani.

56
manoscritti per una mostra che diventa viaggio
57 comeinpairs Thuswavescome Thuswavescome Mer – Dom / Wed – Sun 11:00 – 18:00 Ingresso gratuito / Free entrance Ocean Space Chiesa di San Lorenzo, Venezia ocean-space.org | tba21.org/academy Thus waves come in pairs Curated by Barbara Casavecchia 22.4 — 5.11.23 Simone Fattal

arte

Un mondo in frantumi Poeta del bianco

Negli spazi espositivi di Palazzo Contarini “del Bovolo”, noto per la sua sorprendete Scala monumentale in facciata, lo sguardo del visitatore viene catturato da un puntino rosso che stilla un liquido color sangue, come una piccola ferita che si apre nella levigata superficie del bianco disco in Corian. È il “bianco” di Luigi Manciocco, il suo colore/non colore che ben lungi dall’essere anonimo e sterile assume declinazioni puntuali, ciascuna delle quali connessa all’esplicitazione di un concetto, alla formulazione di un pensiero, a una distintiva visione poetica. Il puntino rosso definisce invece l’opera, la Santa, che evoca santa Rita, sulla cui fronte secondo la tradizione agiografica si era conficcata una spina staccatasi dalla corona di Cristo, che le aveva procurato una ferita che non si sarebbe mai più rimarginata: il dono mistico di uno stigma. Investigando le vicende apologetiche della Santa di Cascia – come prima di lui aveva già fatto l’artista francese Yves Klein, a lui riferimento molto caro – Manciocco ha estrapolato alcuni elementi della propria sfera spirituale che ben si addicono, non solo all’uomo, ma anche alle manifestazioni della natura. Ecco che allora prende forma l’opera Sciame, un disco nero, sempre in Corian, sul quale si posano api che intendono riportare alla memoria i momenti della nascita e della morte di Rita: infatti api bianche avrebbero circondato la Santa infante nella sua culla, mentre api nere l’avrebbero sorvolata al momento della dipartita. Il sentimento del tempo e del cambiamento pervade queste due opere. Al pari della costante relazione tra natura e Rita da Cascia, Manciocco, da antropologo e fine studioso, mette nella mostra Dal lato dell’immaginario tutta la sua sensibilità, affrontando temi che pur se riferiti a un passato remoto diventano attuali nella misura in cui l’uomo si pone davanti alle manifestazioni contemporanee di una Storia immutabile.

Una tecnica unica e rivoluzionaria che l’artista Simon Berger (Herzogenbuchsee, Svizzera, 1976) ha messo a punto nel suo percorso di elaborazione creativa, in cui la materia diventa al contempo supporto e tecnica artistica. La lastra di vetro infatti è la ‘tela’ che l’artista scolpisce, incide e disegna direttamente sulla superficie, utilizzando strumenti propri dello scultore, come il martello. L’utilizzo del vetro di sicurezza, che contiene al suo interno uno strato di plastica, assicura che il materiale, anche se rotto, rimanga al suo posto. Lo scolpire controllato di Berger e la volontà di creare una “frammentazione” smentisce anni di cultura in cui si considerava il vetro rotto come uno scarto o una rovina. Al contrario, l’artista trasforma la cosiddetta debolezza nella sua principale caratteristica: la capacità di rompersi diventa la capacità di cambiare, di essere alterato e di essere trasformato in qualcosa di nuovo. I suoi ritratti iperrealisti emergono vividi dalla superficie trasparente, le linee dei volti sono frammenti di materia, in un processo ipnotico che l’artista chiama “morfogenesi”. La sua tecnica rappresenta un’affascinante alternativa della tradizione, conferendo una nuova vita al vetro, un’anima differente che nel passato invece era vista come la sua morte. La frantumazione delle sue opere diventa dunque rappresentativa di una rinascita del materiale, instaurando così un nuovo rapporto. Fortemente voluta da Berengo Studio, che dell’indagine contemporanea sulla materia vetro ha fatto il centro della propria ricerca, e dal Museo del Vetro di Murano che la ospita, la mostra Shattering Beauty di Simon Berger, a cura di Sandrine Welte e Chiara Squarcina, è un invito ad abbattere le regole, uno stimolo fisico che incoraggia il pubblico a osservare il vetro in un modo diverso. Il trauma e il dolore tipicamente associati alla rottura del vetro sono invertiti: per Berger ridurre in tanti frammenti il materiale non è un punto di arrivo, bensì l’inizio di una nuova bellezza. M.M.

59
IN THE CITY REVIEW
Simon Berger. Shattering Beauty Fino 7 maggio Museo del Vetro-Murano museovetro.visitmuve.it Luigi Manciocco Dal lato dell’immaginario 1 aprile-30 giugno Palazzo Contarini del Bovolo, San Marco 4303 www.luigimanciocco.it

arte

IN THE CITY PHOTOGRAPHY

Lo scatto nell’anima

Venezia e tutte le città umane della fotografia

La strada dell’umanità è costellata di pause e rincorse, di secoli e di momenti in divenire, per non dire attimi di vite. Se oggi è più facile “condividere immagini”, più difficile è “raccontare delle storie” che rimangano, al di là di ripetuti cliché.

Si può non conoscere tutti i fotografi, o ricordare solo alcuni scatti più noti, quelli che hanno lasciato o lasciano il segno nella contemporaneità come nel passato, in quanto ciò che mostrano va oltre all’essere semplice testimonianza di un’epoca, di un volto o di un accadimento. Ma quando una fotografia può dirsi solo documento, ancorché di rilievo, e quando invece assume una connotazione veramente artistica, tale da meritare di essere esposta, come poesia dell’istante o anche “sferzata d’autore” di un soggetto o evento umano, hic et nunc, che seppur contestualizzato è destinato a riprodursi nel tempo, acquisendo un significato che può dirsi superiore e che non si esaurisce nella mera quotidianità o viceversa nella eccezionalità dell’episodio narrato? È sempre palese, certa l’identità del fotografo nello scatto, o meglio, siamo sicuri che il suo modo di guardare sia così unico e inscindibile dalla fotografia stessa, trascendendone il contenuto? Per il reportage, o la street photography, non è forse così facile dare risposte univoche: la verità è che ci sono foto più o meno incisive, e il merito va riconosciuto all’occhio che coglie per primo la situazione da fotografare, con o senza fretta, fissandone la memoria, nel congelarne la stasi o il movimento, in un’illusione contemplativa che ha il sapore di una temporanea eternità, tutta terrena, afferrata con gli occhi e con il cuore.

A parità di bravura e punto di vista, è innegabile che sia il soggetto a

fare la foto, e ci sono fotografi che aspettano a scattare fino a che non si verifichi quello che chiamano “il caso fortuito”, che non sempre è nell’immediato, rinunciando del resto alla posa precostituita, e c’è chi invece, fortunato, si imbatte subito in ciò che vuole fotografare senza attendere. L’effetto non cambia: se soggettiva è la visione e la scelta dello scatto, altrettanto soggettiva sarà la percezione di chi lo riceve, e se la fotografia sarà apprezzata da molti, diventando oggettivamente una icona, significherà che quella visione trascende il personale sguardo di ognuno di noi e abbraccia un frammento dell’infinito. Fra le città umane e costruite, la prima in assoluto è forse Venezia, non solo per il suo inusuale e artistico aspetto urbanistico e architettonico, ma perché villaggio e città dal respiro internazionale, a forma di pesce che sfugge fra le mani, ideale crocevia di culture fra Oriente e Occidente: osannata o criticata, da sempre teatralizzata, è stata ed è oggetto di innumerevoli “scritture di luce”, ovvero di fotografie analogiche e digitali.

La Venezia che riscopre la fotogiornalista della Magnum, Inge Morath (in mostra a Palazzo Grimani, fino al 4 giugno), moglie di Arthur Miller, su consiglio di Robert Capa, è improvvisa e poetica, storica quanto popolare, alla maniera di Naja e di Filippi. Nasce da un desiderio di conoscenza personale e forse dalla volontà di abbandonarsi ai quei tranches de vie consumati in fondamenta e campielli degli anni Cinquanta, perduti nel turbinio di voli di piccioni, inebriati nelle narici dal profumo di panni stesi ad asciugare e con negli occhi i sorrisi gemelli di bimbe che si divertono a fare il bucato, per poi accorgersi che antichi mori di pietra spiano i passi di giovani donne,

60
L’attualità stessa è inafferrabile; passa, si trasforma continuamente in passato: questo passato la cui registrazione fissa un’immagine futura
John Steinbeck
© Graziano Arici © Inge Morath

mentre altre dimenticano scarpe ai piedi di zampillanti fontane. Venezia nelle sue foto è lontana nel tempo e appare moderatamente muta e chiassosa nei suoi reiterati pettegolezzi e silenzi, forse quanto quella iraniana dello scatto che vede protagoniste Tre mogli con i loro pappagalli a Shiraz in Iran (1956). L’occhio di Inge, per frequentazione e lavori in comune, è anche vicino al sentire di Cartier Bresson e di Elliot Erwitt. Oltre Venezia, mostra del veneziano Graziano Arici (Fondazione Querini Stampalia, fino al primo maggio), che vive ad Arles e che ha fatto una cospicua donazione del suo archivio fotografico – 150 anni di storia della fotografia – alla Fondazione Querini Stampalia, documenta invece con forza il nostro “Inverno dello Scontento”, ovvero uno stato di cose che è un modus vivendi improntato su una imperante degenerazione di costumi e degradazione dell’umano sentire, come una stagione che però si protrae a lungo. Debordante e stridente nel suo colore enfatizzato, Arici mostra i problemi dell’overtourism a Venezia e in alcune città d’arte italiane, lontane dagli ideali elitari del Grand Tour dei secoli passati. L’horror vacui fotografato del vociare convulso di balli sudati, di traboccanti bidoni della spazzatura e corpi nudi di flaccidi turisti stesi al sole estivo di Piazza San Marco, nonché grandi navi a coprire l’orizzonte, si uniscono coralmente alla miriade di braccia allungate in metropolitane e telefonini spianati in musei romani, al bric à brac eccessivo di santini, pupi, alimentari e teschi napoletani, senza dimenticare la solitudine onnipresente di barboni abbandonati a sé stessi. Fa da contraltare l’immobile danza macabra dei fotografi in maschera in Carnival, mentre la serie Angels, “fantasmi luminosi” realizzati da negativi fotografici su lastre di vetro rinvenuti presso il manicomio di San Servolo è un esempio dell’idea del fotografo del suo archivio mobile, fatto di recuperi e sperimentazioni con uno «sguardo retrospettivo aperto alla creazione» secondo Ariane-Esther Carmignac.

Infine, alla Fondazione dell’Albero d’Oro di Palazzo Vendramin Grimani ci si immerge nell’itinerario più segreto proposto dal giornalista e fotografo, nonché conduttore televisivo e radiofonico francese Nikos Aliagas, Regards vénitiens (fino al 26 novembre), che invita turisti e veneziani a «riconoscersi attraverso lo sguardo» con un effetto specchio, nelle fotografie esposte. Intensi ritratti di chi lavora ogni giorno in città, raccontando Venezia con gli occhi e con le mani, da veri artigiani dell’anima, rendono protagonisti nell’assoluto nitore del bianco e nero, tutti quei «veneziani che sgusciano svelti tra la folla per non perdere il filo. Il filo mai spezzato di una memoria, come una promessa che si innalza al di là dei muri della città, Veni Etiam».

Come scrive Italo Zannier «Venezia non è una Città come si crede, ci vive qualcuno e molti ignari saltuariamente: in effetti è un luogo ignoto a tutti, alieno come la Luna».

E non è strano che come la Fenice, la Serenissima sia data morta più volte e continui a risorgere, finché qualcuno la sognerà, continuerà a rivivere… con le sue criticità, anacronistiche bellezze e perché no, magari inaspettate promesse che troveranno prima o poi una loro realizzazione. Luisa Turchi

ingemorathexhibition.com

www.querinistampalia.org

www.fondazionealberodoro.org

FORMULA IMMERSIVA

Venezia in questo mese di aprile è certamente la capitale della fotografia. Non un riconoscimento ufficiale, tuttavia importanti mostre in corso in molte fondazioni e musei, prestigiose nuove aperture di spazi dedicati e un’altissima proposta formativa che giunge quest’anno alla sua quarta edizione sull’Isola di San Servolo, ne sanciscono di fatto lo status.

VIP. Venezia International Photo Festival è un’immersione totale nel mondo della fotografia, una tre giorni, dal 20 al 23 aprile, di workshop – ben 19 in programma – assieme a grandi fotografi di fama mondiale, destinato a professionisti, semi professionisti o semplici amatori. L’Isola di San Servolo, con la collaborazione di ADAP, Associazione francese per la diffusione dell’arte fotografica, diventa così il luogo ideale per una community di appassionati di fotografia.

I Maestri chiamati in cattedra sono quest’anno: Vincent Peters, Oliviero Toscani, Settimio Benedusi e Yann Arthus Bertrand, già ospiti nelle passate edizioni e ancora, Eric Bouvet, Reza, Alan Schaller, Julien Mignot, Laurent Dequick e Serge Ramelli. Entrano da quest’anno nella community di VIP i fotografi di moda Arthur Hubert Legrand e Lia Mstislavskaya e i ritratti di Charlotte Abramov. Ritratto, moda, street photography, wildlife, lifestyle, fotografia di architettura, landscape, ecc. e naturalmente il soggetto principale o il contesto dominante, Venezia, sono i temi affrontati.

Aperto a tutti, non solo ai partecipanti a VIP, è l’incontro pubblico previsto il 21 aprile sempre in Isola, con il fotografo inglese Martin Parr. Maestro di fama internazionale, Parr è un cronista dei nostri tempi. Di fronte alla marea crescente di immagini dei media, le sue fotografie ci offrono l’opportunità di vedere il mondo dal suo punto di vista unico.

61
4. VIP. Venezia International Photo Festival 20-23 Aprile Isola di San Servolo www.veneziaphoto.org © Nikos Aliagas

La vita segreta degli oggetti

THE 2212, in calle della Regina a Santa Croce 2212, a pochi passi da Fondazione Prada, è la firma creativa di Esther Manon Van Ekeris. Una concept-gallery, al confine tra show-room e galleria d’arte, che presenta una selezione accurata di oggetti, luci e opere d’arte, pezzi originali, unici e in costante rinnovamento. Ideato e realizzato insieme al prezioso supporto del suo compagno Didier Guillon, presidente del Valmont Group, THE 2212 è il sogno di una vita che diventa realtà. Non poteva quindi che essere Venezia la co-protagonista di questa storia.

Per Esther Manon Van Ekeris la passione e lo studio partono dal lighting design per giungere all’arte e all’alto artigianato. La sua personalità ha creato il resto, una perfetta miscela di gusto e spiccata raffinatezza europea che in THE 2212 viene declinata in attitudine a mostrare ciò che le persone desiderano, a connettere opere, artisti, designer e pubblico in un vero e proprio network della bellezza. Ogni singolo oggetto o opera scelto da Van Ekeris per lo spazio ha preso vita grazie alle straordinarie capacità di artigiani o artisti, le cui opere uniche sono realizzate con i materiali più pregiati e di grande valore artistico. THE 2212 vuole essere un progetto di conoscenza e valorizzazione, mettendo in mostra l’oggetto oltre l’oggetto stesso, la sua storia, il suo carattere. Da questo spazio, ma soprattutto da Esther Manon Van Ekeris, siamo rimasti subito conquistati.

THE 2212 è una sintesi di molteplici declinazioni del fare arte, da vedere, da toccare, da scoprire; un’esplorazione tra i linguaggi e i materiali della creatività. Prima di entrare specificatamente in questo nuovo, bellissimo spazio, quali sono i suoi riferimenti cardine nell’arte e nel design?

Sono sempre stata appassionata di lighting design. Ho trascorso lunghi anni a studiare il mercato europeo per scoprire artisti e artigiani con cui poter condividere un progetto creativo specifico. Ne ho trovati centinaia, selezionando quelli che più rispondevano ai miei requisiti, alle mie idee, gli stessi con i quali ora sto lavorando. Questa, in sintesi, era la mia occupazione prima di aprire lo show-room 2212. Poi ho incontrato Didier [n.d.r.: Guillon]. Stiamo insieme da quasi sei anni nel corso dei quali mi sono completamente immersa nella sua ricerca artistica, assorbita totalmente dal suo mondo creativo devo dire vicinissimo al mio. All’inizio della nostra relazione sia io che lui abbiamo continuato a seguire i nostri rispettivi progetti; circa tre anni

più tardi, nel 2020, dopo un magnifico weekend di San Valentino trascorso proprio qui a Venezia all’hotel Aman, improvvisamente abbiamo deciso di aprire uno show-room in città. Era da un po’ di tempo che parlavamo della possibilità di avere uno spazio dedicato all’arte e al design, condividendo idee e cercando informazioni. Venezia è stata l’occasione perfetta per mettere assieme le nostre due passioni fondendole in un unico spazio. Il nostro punto d’incontro è stata proprio la mia passione per il lighting design realizzato esclusivamente da artigiani/artisti. Ci sono voluti circa tre anni per trasformare questa idea in realtà. Ma ora siamo qui!

Qual è stato il suo percorso di studi?

Naturalmente ho studiato design e ho conseguito un diploma proprio in lighting design. È nel mio DNA! Mia zia, la sorella di mia mamma, era una designer, per cui sono sempre stata abituata a vedere le sue creazioni sin da bambina e mi sono sempre piaciute molto, tanto che proprio allora è nata la mia passione. Mia mamma le ha ancora a casa nostra in Olanda e ogni volta che ritorno da lei le ammiro stupita come fosse la prima volta. Sono oggetti moderni, originali, bellissimi, tuttora assolutamente attuali.

Quando si è resa conto che Venezia era proprio il luogo ideale dove insediarsi per poter realizzare qualcosa di stimolante e proprio?

Quando ho iniziato la mia relazione con Didier, che in quel momento si era da poco trasferito in questa città. Didier conosce Venezia da più di trent’anni. Ovviamente io c’ero stata molte volte, ma lui mi ha fatto scoprire l’autentica città, il suo lato più artistico, oltre e diversamente dalla visione turistica più immediata e superficiale. Siamo venuti qui per vivere la città, per conoscere la sua essenza unica, per parlare con i suoi abitanti ed essere noi stessi parte della comunità che vi abita.

62
arte IN THE CITY THE 2212
Intervista Esther Manon Van Ekeris di Mariachiara Marzari THE 2212 Calle de la Regina, Santa Croce 2212 www.the2212venezia.com

Venezia ci ha insomma offerto l’opportunità di vivere e lavorare insieme. Inoltre condividiamo una forte passione per il lavoro artigianale, vogliamo tutelarlo, rispettarlo e farlo conoscere. Alcuni artigiani e artisti con cui collaboriamo godono già di una certa fama, ma ve ne sono altri in città e non solo il cui lavoro deve essere reso maggiormente visibile, perché si tratta di eccellenze uniche. Questo spazio ci ha dato la possibilità di farlo. Grazie a tutte le persone che abbiamo incontrato e che continuiamo a conoscere qui, iniziamo veramente a capire l’essenza prima di Venezia, la sua storia, acquisendo ogni giorno la consapevolezza che tutte le persone hanno contribuito e contribuiscono in modo diverso a fare di Venezia la città che è oggi, gli stessi abitanti sono parte fondamentale della sua salvaguardia, della sua esistenza.

Forse i veneziani danno per scontate molte cose. Per loro la straordinarietà fa parte della loro quotidianità, ma chi vede Venezia dall’esterno riesce a cogliere qualcosa di speciale anche nelle piccole cose. È incredibile, questa città più la conosci più te ne innamori!

The secret life ENG of things

THE 2212, a few short steps from Fondazione Prada, is the brainchild of Esther Manon Van Ekeris. It is a concept gallery, half showroom half art gallery, that houses an educated selection of objects, lights, and art – unique and original pieces, changed regularly. Created and produced thanks to the precious support of Van Ekeris’s partner, the president of the Valmont Group Didier Guillon, THE 2212 is the dream of a lifetime that turns into reality. Venice couldn’t but be the co-protagonist of this story. For Esther Manon Van Ekeris, passion and study start from lighting design to touch art and high craftsmanship. Her personality created the rest – a perfect mix of taste and exquisite European refinement that, at THE 2212, shows what people want and connects art, artists, designers, and public in what is a true network of beauty. Every item or piece of art chosen by Van Ekeris came to life thanks to extraordinary craftsmanship and artistry. Each have been realized with the most precious materials and bare high artistic value. THE 2212 is a project of knowledge and value. It shows the item as well as its story and its character. This place won us over, as did Esther Manon Van Ekeris.

THE 2212 is a mix of attitudes: art to make, to see, to touch, to discover. It is an exploration of languages and materials of creativity. Before we get to know more about it, what can you tell us about your cultural reference points in art and design?

I have always been interested in lighting design. I spent years studying the European market to discover artists and craftsmen to share my very own creative project with. I found hundreds, and I chose those who were more in line with what I wanted and with my ideas. I still work with them to this day. This, in brief, is what I did before I opened my showroom. I then met Didier [Guillon]. We have been together for almost six years, and over this time, I dedicated myself completely to his artistic research. I felt his creative world was very, very close to my own. At the beginning of our relationship, both he and I kept working each on their own projects; it was only three yeas later, in 2020, after a romantic getaway here in Venice, at Hotel Aman, that we decided to open a showroom in town. We had been talking for a while about opening a place dedicated to art and design, a place to share ideas and scout for information. Venice represented the perfect occasion to make our passions meet and mix them in a single space. Our meeting point was, indeed, my passion for lighting design created exclusively by craftsmen and artists. It took three years to turn this idea into reality, and now, here we are!

Your studies.

I studied design, obviously, and graduated in lighting design. It is in my DNA! My maternal aunt was a designer, and I have always admired her creations since I was a kid. That’s when my passion was born. My mother kept her designs in our old home, in Holland, and each time I visit her, it’s like looking at them for the first time. They are modern, original, beautiful objects, not one bit outdated.

When did you realize that Venice would be the ideal place to settle and to build something stimulating that would be all your own?

That was when things got serious with Didier, who had just moved to Venice at the time. Didier has known Venice for over thirty years. Obviously, I had visited Venice several times myself, but Didier helped me discover the authentic Venice, its more artistic side, which is so different than the more immediate, yet superficial, more touristic vision.

63

arte

Entriamo in THE 2212. Come si connota il progetto da un punto di vista espositivo?

Parte fondamentale del progetto è il grande video che ogni quattro mesi presenta un nuovo artista o diversi artisti che occupano con le loro opere la parte espositiva. Il prossimo cambio avverrà a inizio maggio. Abbiamo tantissime idee e temi da sviluppare, così come tante opere da studiare e da far conoscere al pubblico di artisti e designer bravissimi. È stato difficile decidere da quale di essi partire, tuttavia crediamo di aver intrapreso la strada giusta. Ora si tratta solo di strutturare al meglio il tutto. Ogni video segna un cambio di visione e, di conseguenza, di esposizione, con nuovi artisti, nuove opere, nuovi oggetti o lampade, senza necessariamente cambiare tutte le opere esposte nelle piattaforme sospese. Si crea una nuova prospettiva, un nuovo modo di

vedere e percepire le opere esposte. Tuttavia vi sono degli artisti a cui siamo molto legati e che continueranno ad essere presenti in modo permanente, perché rappresentano in modo chiaro l’identità dello spazio stesso, le nostre idee e la nostra filosofia. Artisti come Leonardo Cimolin, Aristide Najean o Kimiko Yoshida saranno sempre presenti con le loro opere in THE 2212.

Quindi il vostro obiettivo non è quello di organizzare mostre, ma di creare un dialogo tra i vari artisti presenti con le loro opere.

Esatto. Non vogliamo e non possiamo esporre assieme tanti oggetti e opere; il nostro è un lavoro di valorizzazione e connessione che prevede un’attenzione e una luce particolare su ogni opera e su ogni artista.

64
IN THE CITY THE 2212

THE 2212 offre

A proposito di artisti, Didier Guillon occupa uno spazio speciale in THE 2212; non si pone in primo piano, come se si riservasse una presenza più sfumata, una parte più privata, intima...

Lo spazio della lounge è in effetti uno spazio speciale in questo senso. Adoro le sue opere. Ho iniziato con esporre la gabbia, poi il gorilla, la maschera..., finendo per creare una stanza monografica con le sue opere. Didier ha bisogno di creare.

Le opere esposte sono in vendita?

Se qualcuno è interessato a un’opera, lo accompagniamo dall’artista così può comperare direttamente da lui. Si tratta di un network vero e proprio. Ed è proprio questo che fa la differenza. Quando acquisti un’opera d’arte è importante sapere da chi è stata fatta, dove è stata fatta, come è stata fatta. Questo aspetto è di rilevante importanza per noi ed è proprio da qui che è partita l’idea di realizzare dei piccoli film sulle opere e sugli artisti. La maggior parte delle persone in genere non cerca di andare oltre l’opera d’arte, quando in realtà c’è molto da scoprire oltre alla sua “evidenza” ed è precisamente quello che cerchiamo di mostrare con i nostri video. Se per esempio acquisti un’opera di Aristide Najean, vedere la “Cattedrale”, la fornace a Murano dove è stata realizzata, permette di comprendere il vero e pieno valore dell’opera stessa. L’idea è di fare in modo che le persone non acquistino un’opera senza sapere quanto e quale lavoro vi sia dietro la sua realizzazione. È solo così che si riesce a creare un dialogo tra l’oggetto esposto, le persone che lo vedono e l’artista.

Quale ruolo effettivo riveste il genius loci nel suo progetto, nel suo lavoro?

Abbiamo iniziato da artisti e artigiani locali per poi allargare i nostri orizzonti. Ora la nostra ricerca si è spostata in generale ovunque troviamo degli oggetti esclusivi che non si trovano in altre parti e che suscitano l’interesse delle persone che vengono a visitarci. Può essere un vaso, una collana, una lampada o qualsiasi altro oggetto che risponda ai nostri criteri di selezione. Per esempio, vi è in esposizione una collana realizzata da Elena Votsi, un’artista greca, di Idra. Non è un’artista molto conosciuta al di fuori della Grecia, anche se ha realizzato la medaglia d’oro per le Olimpiadi di Atene, acquisendo di conseguenza una certa notorietà. Questo esempio corrisponde perfettamente al nostro obiettivo, quello di proporre oggetti esclusivi, fatti a mano, unici.

Insomma, delle vere e proprie opere d’arte, non semplicemente degli oggetti d’artigianato. Esattamente. Quello che noi cerchiamo è l’esclusività di un oggetto. Ci rivolgiamo alle persone che cercano qualcosa di diverso dagli oggetti proposti dai grandi marchi di design o di massa, quali

Venice offered us a chance to live and work together. We share a passion for craftsmanship – we want to defend it, respect it, and tell its stories. Some craftsmen and artists whom we work with already had their renown, but there are others in town and elsewhere whose work must be made more visible. They are outstanding. They are excellent. Thanks to THE 2212, we will be able to do so. Thanks to all the people we met and we keep meeting here, we understand what is the prime essence of Venice and its history. Each day, we become more aware that all the people who contributed and contribute to make Venice what it is, its very inhabitants, are an essential part of its safeguard and its existence. Maybe Venetians took many things for granted. For them, extraordinariness is an everyday thing. Those who see Venice from the outside, though, can see what is special in the smallest things. It’s unbelievable, the more you know Venice, the more you fall in love with it!

Let’s talk about THE 2212. How does it work as an exhibition site?

An essential part of the project is the large video that, every four months, introduces a new artist or several artists, whose work will be exhibited on site. The next changeover will take place in early May. We have so many ideas and so many themes to work on, as well as much art to study and to present to the public. It has been hard to make choices and pick the right artists, but we believe in what we did. Now, all it takes is to produce the best exhibition there can be. Each video displays different visions, and, consequently, a new exposition: new artists, new art, new objects, new lamps. This doesn’t mean everything will change. There will be a new perspective, a new way to see things and perceive the art. There are also artists we grew very close to, and who will always have a place at THE 2212. They represent in clear fashion the identity of the place, our ideas, and our philosophy. Artists such as Leonardo Cimolin, Aristide Najean, or Kimiko Yoshida will always be present at THE 2212.

An exhibition area, as well as a place for different artists to converge and exchange.

Exactly. We cannot and don’t want to exhibit too many pieces and too many objects. We want to highlight the value in each and the connection they have. It takes particular attention and particular light on every one of them.

Speaking of artists, Didier Guillon has a special place at THE 2212 – not in the foreground, but in a more private and intimate space…

The lounge is, indeed, special in this sense. I love Didier’s art. I first put up the cage in the exhibition area, then the gorilla, then the mask… at this point, a whole room is dedicated to him. He needs to create, that’s what it’s all about.

Is the art for sale?

If anyone’s interested in purchasing the art, we shall put them in contact with the artist, so that they can arrange the sale together. This is a network, that’s what makes all the difference. When you buy art, it is important to know who is the artist, and where and how it was created. This is important for us, and that’s why we

65
una nuova prospettiva, un nuovo modo di vedere e percepire le opere
66 ••••• ••••• •••••

Ikea per esempio, a quelle persone che sono interessate a tutto il lavoro che sta dietro l’oggetto stesso.

Non so se lei si consideri prevalentemente una curatrice, una collezionista o una gallerista, anche se penso che sia un po’ tutte queste cose insieme. Ha un modello cui si ispira per questa sua passione?

Più che una collezionista sono una creatrice di lampade di design. È importante e gratificante per me condividere con gli altri il piacere della scoperta di oggetti esclusivi e offrire la possibilità di nutrirsi di questi oggetti. Ovviamente se qualcuno è interessato può acquistarli, lo show-room è nato anche per questo, ma non è il suo fine ultimo. L’obiettivo primo di THE 2212 è quello di condividere con qualcun altro le mie idee su un oggetto esclusivo, adattandolo alle singole esigenze. È come quando scopri un nuovo negozio di abbigliamento o di scarpe e vuoi farlo conoscere alle tue amiche. Qui è un po’ la stessa cosa. Non voglio assolutamente spingere nessuno a comperare i vari oggetti esposti, ma voglio semplicemente dire ai nostri visitatori: «se ti piace questo oggetto, è lì, prendilo». Per questo non mi ritengo una mercante d’arte. Non mi piace spingere nessuno a prendere una decisione di cui ritenermi poi responsabile; quello che mi piace è proporre, per poi magari constatare che le persone sono infine felici della loro scelta. Amo questo spazio e sono felice di gestirlo esprimendo tutta la mia personalità e il mio carattere. Per molto tempo mi sono chiesta se sarei stata in grado di gestire questo show-room che con Didier abbiamo fortemente voluto, se fossi stata in grado di fare la mia parte, insomma. Ora mi rendo conto che la sto facendo la mia parte, che sto seguendo la mia personalità e credo che la gente che qui viene lo avverta, lo percepisca. Non potrei proprio fare diversamente, perché questo spazio sono proprio io.

Voglio farle un’ultima domanda: perché non si candida a sindaco di Venezia il prossimo anno? Abbiamo bisogno di persone come lei che amano davvero questa città. Le sue risposte e la sua persona emanano una forte passione per Venezia. Quindi ci pensi, sono disponibile a fare la campagna elettorale per lei!

…dovrei prima di tutto lavorare ancora molto sulla lingua italiana!

decided to produce short films on the artworks and the artists. Most people generally don’t go beyond the work, but in fact, there’s so much more to discover beyond its immediate evidence. That’s what we try to help with using video. Say, one buys a piece by Aristide Najean: to see the ‘Cathedral’, the glass furnace in Murano where it’s been brought to life, allows us to understand fully the real value of the sculpture. Our idea is to make it so that prospective buyers will always know what kind of work, and how much of it, went into the making of the art.

The role of genius loci.

We started with local craftsmen and artists to later expand our horizon. Our research moved anywhere we may find exclusive art that one cannot find anywhere else, art that interests our patrons. This might be a vase, a necklace, a lamp, anything that meets our criteria. For example, there’s a necklace made by Elena Votsi now on exhibition. Votsi comes from Hydra, Greece. She is now much known outside of her country, even though she did design the gold medal for the Athens Olympics, which surely says something. This is a perfect example of our goals: to offer unique, handmade, exclusive art.

Art, not merely crafts

Exactly. What we are after is the exclusiveness of every single piece. Our patrons are people who are interested in something difference than what is offered by mass design companies, like IKEA for example, and are interested in all it takes for the piece to come into being.

I am not sure whether you see yourself more as a curator, a collector, or a gallerist. It has to be a bit of all three. What models inspire you?

More than a collector, I am a creator of design lamps. It is important, gratifying even, to share with others the beauty of discovery of particular objects and offer a chance to feel them. Obviously, one can purchase them if interested, that’s one of the reasons we’re here, though not our ultimate goal. Our ultimate goal at THE 2212 is to share with someone else my ideas on some peculiar object, and adapt it to that someone’s needs. It’s like when you find out about a new shoe boutique and you tell your girlfriends. It is a bit like that. I don’t want to push any of the art on anyone. I want patrons to know that they can have it, if they like it. That’s why I don’t really see myself as an art merchant. I don’t want to feel that responsibility. What I like is to offer, and hopefully see the buyer happy with their purchase. I love this space and I am proud to manage it. This is the place where I can express my personality and my character. For a long time I wondered whether I’d be able to actually run the place Didier and I so strongly wanted to open. Whether I’d be able to do my part. I now realize that I am actually doing my part, following my personality, and I believe people will notice. I cannot do it any differently, because this place is me.

One last question: how about running as mayor of Venice next year? We need people like you, people who really love this city. I will campaign for you!

I’ll have to work on my Italian first!

67
arte IN THE CITY THE 2212

arte IN THE CITY

GALLERIES

Nella costante ricerca di un’arte che dialoghi con la fotografia e viceversa, Živa Kraus ci ha regalato mostre sorprendenti, come quella attualmente in corso nella sua IKONA Gallery. In un’epoca in cui le sperimentazioni artistiche indagano prevalentemente sul mezzo, Živa Kraus mette al centro della scena l’artista Marko Velk che sceglie di rappresentare la propria realtà sospesa – una “meta-realtà” raccontata attraverso i volti di personaggi emblematici –con la tecnica più tradizionale di tutte: il disegno a carboncino. Non esiste una maniera più naturale del carboncino per disegnare, il legno diventa un prolungamento della mano dell’artista riducendo la via tra la superficie e l’urgenza di riempire il foglio vuoto. Ma Marko Velk va oltre, sembra distaccarsi dall’arte contemporanea spesso fondata su un concetto, un’idea, un progetto, a favore di un istinto creativo.

«Pochi sono i disegni – afferma Jean Clair, storico e critico dell’arte dell’Acadèmie française, nel testo La polvere e il carbone – che hanno questa grana, questa epidermide; più ancora, pochi con quel nero profondo, di carbone venuto dal fondo».

Crossing the Rubicon, titolo scelto da Velk per la mostra, prende il nome dall’omonimo suo disegno che riproduce realisticamente il quadro Washington crossing the Delaware, dipinto da Emanuel Leutze per onorare l’impresa della traversata sul fiume Delaware durante la Guerra di Indipendenza Americana il giorno di Natale del 1776. George Washington è paragonato a Giulio Cesare nelle gesta dell’attraversamento del Rubicone, quando l’imperatore pronunciò le famose parole «Alea Iacta Est», il dado è tratto. L’opera di Marko Velk ha degli elementi estranei alla vicenda, simili a stringhe, che disturbano la composizione tanto familiare confondendo l’osservatore. Il disegno Crossing the Rubicon è accompagnato da una serie di altri 12 ritratti a carboncino dei protagonisti delle Guerre di Indipendenza. Ancora una volta, elementi estranei confondono lo spettatore innescando un’inquietudine disorientante. Sono eroi o nemici? Liberatori o conquistatori?

«Sono i ritratti – continua Jean Clair –, in queste forme nate dalla notte del carbone e della polvere della grafite, a risultare spesso le resurrezioni più inquietanti. Li si credeva familiari e invece riescono così estranei. Sono così presenti ma di una strana presenza; li si guarda come apparizioni scaturite dal cuore della notte, mentre sono della stessa medesima natura della notte». Jean Clair rivede nel lavoro di Marko Velk l’intera parabola della storia dell’arte che termina nel ritorno ai simboli ancestrali restaurando il potere primitivo e inquietante di rappresentare la contemporaneità.

Il rovesciamento dell’armonia e la caoticità del presente sono rappresentati infatti da Marko Velk mediante la trasformazione, l’ibridazione, lo svisceramento dei personaggi con parti del corpo come organi o ossa. L’artista crea e deforma, esalta e nasconde, facendo della sua arte ombra e luce, morte e vita.

The nature ENG of night

Živa Kraus looks for art that can converse with photography – and vice versa. At a time when art experimentation is all about the means, Kraus chooses artist Marko Velk to represent ‘meta-reality’ through portraits in charcoal, truly a very traditional technique. “Too few drawings have this grain, this quality of skin, this epidermis, and fewer this deep black, of coal mined from the depths.” says Jean Clair, art historian and critic at the Académie Française. Crossing the Rubicon, Velk’s choice of title for the exhibition, takes its name after a drawing of his, a reproduction of Emanuel Leutze’s painting Washington crossing the Delaware. Velk’s piece interjects foreign elements into the scene, strings apparently, which disturb the composition and confuse the onlooker. Disorientation disquiets us: are these heroes or enemies? Liberators or conquerors? The reversal of harmony and chaos of the present are represented, in Marko Velk’s art, by means of transformation, hybridization, and the evisceration of characters.

68
Marko Velk. Crossing the Rubicon Fino 27 aprile IKONA Gallery, Campo del Ghetto Novo ikonavenezia.com
La natura della notte Marko Velk e gli enigmatici ritratti a carboncino

Pietre preziose

Gao Bo e la nuova galleria IN’EI

È un modo di dire: «Le parole pesano come pietre». Questo pensiero è scaturito dalla lettura di una scritta su una parete bianca opera dell’artista cinese Gao Bo, da molti anni residente in Francia, «Il n’y pas de langue qui ne soit pas dangereuse», che in italiano suona “Non c’è lingua che non sia pericolosa”. La visione dell’artista è rivoluzionaria nella sua logica semplicità, non esiste infatti una lingua incontaminata, che non contenga espressioni di abusi, violenza e sopraffazione, per questo occorre inventare una lingua ad hoc in cui tali concetti siano estranei. Ed è quanto Gao Bo ha realizzato, creando una lingua nuova, in cui ciascuno può riconoscere un tratto di armonia. L’alfabeto non corrotto dalla violenza può ora essere letto nella bellissima mostra Gao Bo高波 Offerta.Venezia-Himalaya, che inaugura la nuova galleria IN’EI, nell’ex spazio Ravà a San Silvestro, affacciato sul Canal Grande. Secondo Hélène Dubois, fondatrice con Patrice Dumand di IN’EI, «l’intenzione è quella di lavorare con pochi, selezionati nomi, su cui la Galleria ha deciso di investire, innescando percorsi a lungo termine con artisti e architetti di generazioni e percorsi diversi, affermati ed emergenti, creando nuove connessioni tra Asia Orientale ed Europa per valorizzare gli autori e produrre lavori ad hoc, con una proposta che metta insieme arte e design».

Le stanze della Galleria regalano la dolcezza di un pensiero lieve e profondo, una sorta di ponte in grado di creare un dialogo proficuo tra artisti e opere provenienti da Cina, Giappone, Corea e Europa. Il nome IN’EI è un omaggio allo scrittore nipponico Tanizaki Jun’ichiro e un’atmosfera piacevolmente orientale echeggia nella Galleria. Offerta, curata da Pietro Gaglianò, presenta come opera principale Mandala Offering, Tibet, un’installazione fotografica ambientale che Gao Bo ha realizzato con 1000 pietre, numero che nella cultura tibetana definisce l’infinito. Sopra ogni pietra l’artista ha impresso i ritratti fotografici di donne e uomini, anziani e giovani, e una serie di numeri che rimandano alla pratica disumana della numerazione dei prigionieri, per privarli della loro personalità e renderli un mero oggetto di conta. L’opera e l’intera mostra nascono dal forte e decennale legame di Gao Bo con la cultura tibetana e sono non solo un’offerta alle persone rappresentate e a tutto il loro popolo, ma anche una riflessione sulla vita, sulla morte, sulla memoria e sulla relatività del tempo.

Nelle intenzioni dell’artista queste pietre, che hanno provato le acque del Canal Grande, sono destinate a far ritorno sugli altipiani del Tibet per essere disperse nella natura. Il “back home” sarà poi testimoniato da Gao Bo e diventerà un’altra opera. Fabio Marzari

Precious ENG gems

Words can be dangerous, that much we know. Chinese artist Gao Bo, a longtime resident of France, once wrote on a whitewashed wall: “Il n’y pas de langue qui ne soit pas dangereuse” – “there’s no language that isn’t dangerous”. The artist’s vision is revolutionary in its logical simplicity: there is no language that is immaculate, that has no provision for abuse, violence, and overbearance, which means we must construct a language where these concepts will be excluded. Gao Bo created a new language in which each of us can recognize harmony. Its alphabet, uncorrupted by violence, can now be read in a beautiful exhibition: Gao Bo高波 Offerta. Venezia-Himalaya, which opens the new IN’EI Art Gallery. The several rooms at the Gallery gift us with the sweetness of soft, deep thought, immersed in a pleasant Eastern Asian atmosphere. The main piece at the exhibition is Mandala Offering, Tibet, a photographic environmental installation by Gao Bo, who feels a deep connection with Tibet and Tibetan culture.

69
Gao Bo高波 Offerta. Venezia-Himalaya Fino 24 aprile Galleria IN’EI, San Polo 1100 in-ei.it Photo Francesco Niccolai - Courtesy Galleria IN’EI Photo Francesco Niccolai - Courtesy Galleria IN’EI

arte

IN THE CITY GALLERIES

D3082

LUCIA VERONESI

Da sola nel bosco

a cura di curated by Eva Comuzzi

Fino Until 17 maggio May

Quattro teli esposti nelle vetrine compongono un gigantesco erbario, da consultare e scoprire in ogni dettaglio: piante, semi, fiori e invenzioni botaniche cucite su tessuto. Sono simboli di unicità, del lavoro e della dedizione di quattro donne pioniere, guaritrici, medichesse, botaniche, illustratrici, studiose, esploratrici. Le protagoniste delle opere di Lucia Veronesi sono: la monaca, scrittrice, mistica, teologa Hildegard von Bingen (1098–1179) autrice di numerosi libri dedicati alla filosofia della natura, che racchiudono le sue visioni e le sue vaste conoscenze di erborista, naturalista, gemmologa, cosmologa, musicista, poetessa, guaritrice; l’esploratrice Jeanne Baret (1740–1807) considerata la prima donna a circumnavigare il globo, travestita da uomo, nella spedizione di Louis-Antoine de Bougainville, raccogliendo testimonianze di migliaia di specie botaniche; la naturalista e illustratrice inglese Marianne North (1830-1890) e la sua vita fra viaggi e colori tra Asia, Sud America, Sudafrica fino alla Nuova Zelanda, invitata da Darwin, ritraendo migliaia di piante e fiori sempre nel proprio contesto, nei paesaggi di origine; Elizabeth Blackwell (1707–1758) autrice di A curious herbal testo che, ancora oggi, è considerato un classico dell’illustrazione botanica e naturalistica. Quattro donne che, in epoche diverse, hanno cercato di varcare i confini di una società fortemente patriarcale. I loro volti vengono tradotti da Lucia Veronesi nella forma di piante fiori, nuove specie da lei inventate come il nome che portano, che si unisce così alla concreta visionarietà di queste donne, esponendole in tutta la loro unicità e bellezza.

ENG Four canvases compose a sizeable herbarium: plants, seeds, flowers, and other botanical inventions embroidered on cloth, unique symbols of the work and dedication of four women who have been pioneers, healers, physicians, botanists, illustrators, scholars, explorers. The protagonists of Lucia Veronesi’s art are the nun, author, mystic, and theologian Hildegard von Bingen (1098–1179), who studied philosophy of nature and was herbalist, naturalist, musician, and healer; explorer Jeanne Baret (1740–1807), considered the first woman to circumnavigate the Earth; English naturalist and illustrator Marianne North (1830–1890), who travelled to Asia, South America, South Africa, and New Zealand; and Elizabeth Blackwell (1707–1758), the author of A curious herbal, to this day considered a classic of botanical illustration.

Domus Civica Art Gallery

Calle de le Sechere, San Polo 3082 www.d3082.org

GALLERIA ALICE SCHANZER EZIO CICCIARELLA

L’abbraccio della materia

a cura di curated by Silvia Previti

Fino Until 15 aprile April

Il recente processo di sviluppo della sua scultura, dopo aver riscontrato i limiti della lavorazione scultorea legati al peso dei materiali e la difficoltà nel trasporto delle opere stesse, ha portato Cicciarella a conquistare la superficie delle pareti trasferendo le sue sculture su uno sfondo di acciaio corten e trasformandole da opere free standing a “quadri” da appendere. La mostra L’abbraccio della materia vuole mettere in luce non solo l’evoluzione tecnica e materica dello scultore siciliano, ma anche la sua ricerca concettuale: la fascia, elemento cardine della sua nuova produzione sia in senso figurativo che metaforico, passa da armatura tesa a stringere, pulsare, esplodere, a una nuova sensazione di accoglienza e protezione. Ora finalmente liberato, rompe le cinghie soffocanti, raccoglie i cocci per ricomporsi e per riappropriarsi di sé, assaporando finalmente la vera bellezza dell’atto creativo manuale, senza ordini predefiniti o metodi imposti. ENG Ezio Cicciarella’s sculptures grew so big and heavy that the artist resorted to appropriating the walls as supporting mechanism, and turned his pieces from free-standing sculptures to tableaux hung on the walls. Exhibition L’abbraccio della materia (lit. ‘the embrace of matter’) highlights not only the technical and material evolution of the Sicilian artist, but also his conceptual research: fascias – the essential element of his latest production both in figurative and metaphorical sense – evolved into a depiction of hospitality and protection.

70

PATRICIA LOW VENEZIA AMY BESSONE Our Secret Garden

1 aprile April-13 maggio May

Patricia Low Contemporary apre a Venezia la sua nuova galleria, proponendosi di dare un contributo significativo alla scena artistica contemporanea della città lagunare. Il suo è un occhio attento alla ricerca di nuovi linguaggi dell’arte contemporanea, come dimostra la mostra inaugurale che presenta le opere dell’artista americana Amy Bessone (New York, 1970), la cui pratica multidisciplinare combina dipinti, ceramiche, bronzi e stampe. Intitolata Our Secret Garden, la mostra presenta una serie di dipinti e un’opera scultorea raffiguranti figure archetipiche, da sole o in gruppo, in ambienti oscuri pulsanti di colore. Echi di figure dipinte da Ingres, Picabia, Munch e De Chirico, tra gli altri, si fondono con suggestioni di architetture classiche e neoclassiche, cartigli e oasi desertiche. Facendo riferimento a molteplici fonti storico-artistiche e architettoniche, ma riconfigurate in ambientazioni ambigue e oniriche ed eseguite in una tavolozza intensa, i dipinti combinano il senso dell’etereo con l’iperreale.

ENG A solo show by LA-based artist Amy Bessone launch Patricia Low Venezia, a new gallery in Venice. Exhibition Our Secret Garden comprises paintings and sculpture that depict archetypal figures, either alone or in group, in obscure environments pulsating with colour. Echoes of painted figures by Ingres, Picabia, Munch, and De Chirico, among others, merge with suggestions of classical and neo-classical architecture, cartouches, and desert oases. Referencing historical and architectural sources reconfigured into ambiguous, dream-like settings, and executed in an intense palette, the paintings combine a sense of ethereal with hyperrealistic.

Palazzo Contarini Michiel, Dorsoduro 2793 patricialow.com

SPARC* NOEMI DURIGHELLO Loop the Loop

a cura di curated by Elisa Mossa, Francesca Giubilei, Luca Berta Fino Until 30 aprile April

In questa mostra la pittura parla alla pittura stessa superando la protesta tra astrazione e figurativo, ponendosi in diretta relazione con un linguaggio che attua un nuovo processo di incomprensibilità, contraddistinto dalla celebrazione di forme che significano a prescindere dalla loro origine o provenienza. Ogni opera, pur nella sua armonia e specificità, è legata a ogni altro lavoro esposto da una riappropriazione pittorica al di là dell’aspetto simbolico o rappresentativo, in nome di un’arte che ha abbandonato una logica semantica ma che predilige il flusso inarrestabile di codici e forme ideali.

ALBERTA PANE

I WISH IT WAS MINE

1 aprile April-3 giugno June Sviluppata da un’idea dell’artista bulgaro Ivan Moudov, la mostra riunisce opere di otto artisti internazionali: Claire Fontaine, Gelitin, Miná Minov, Ivan Moudov, Alban Muja, Anri Sala, Selma Selman e Ulay.

«Sono stato invitato a riunire una mostra collettiva alla Alberta Pane Gallery. Ho provato a scegliere opere che vorrei fossero mie o che avrei voluto realizzare io. A volte, questa è la spinta principale dietro la collezione di un artista [...] Insieme, tutte le opere di questa mostra creano uno spazio di contemplazione e riflessione, dove i confini della realtà vengono spinti e l’immaginazione si libera» (Ivan Moudov).

ENG

In this exhibition, painting speaks to art itself by overcoming the protest between abstraction and figurative art, placing itself in direct relation with a language that implements a new process of incomprehensibility marked by the celebration of forms that mean something regardless of their origin or provenance. Each work, despite its harmony and specificity, is linked to every other work exhibited by a pictorial re-appropriation beyond the symbolic or representative aspect, in the name of an art that has abandoned a semantic logic but prefers the unstoppable flow of ideal codes and forms.

SPARC* Spazio Arte Contemporanea

San Marco 2828A

www.veniceartfactory.org/sparc

ENG Developed on an idea by Bulgarian artist Ivan Moudov, this exhibition is a collection of art by eight international artists: Claire Fontaine, Gelitin, Miná Minov, Ivan Moudov, Alban Muja, Anri Sala, Selma Selman, and Ulay. «I was invited to gather a group show at Alberta Pane Gallery. I tried to choose works I wish were mine or I wish I had made. Sometimes, that is the main drive behind an artist’s collection. [...] Together, all the works in this exhibition create a space for contemplation and reflection, where the boundaries of reality are pushed and the imagination is set free» – excerpt from a text by Ivan Moudov.

Calle dei Guardiani, Dorsoduro 2403H albertapane.com

71

arte

BIENNALE ARCHITETTURA 2023 PREVIEW

a cura di Marisa Santin

Negli uffici stampa, nelle redazioni, nelle università, nei cantieri attorno al Laboratorio del Futuro di Lesley Lokko si sta già lavorando alacremente. Un primo colpo d’occhio sulla prossima Biennale Architettura.

NATIONAL PARTICIPATIONS

AUSTRIA

Partecipazione / Beteiligung

Il contributo austriaco, affidato al collettivo AKT & Hermann Czech, renderà visibile il dibattito sul rapporto tra la città di Venezia e la Biennale, tentando di riconvertire in area pubblica una sezione del Padiglione austriaco ai Giardini. Il progetto coinvolge necessariamente diversi organi di competenza e la cittadinanza stessa, attivando una riflessione sulla questione del potere di disporre dello spazio e sugli spostamenti sociali che l’architettura determina quando acquisisce forma costruita.

Giardini

COREA

2086: Together How?

Le proiezioni demografiche suggeriscono che il 2086 sarà l’anno in cui la popolazione mondiale raggiungerà il suo picco massimo. Un videogioco partecipativo inviterà il pubblico a prendere decisioni attorno a tre diversi scenari eco-culturali attuali e futuri. Piuttosto che concentrarsi sui dati climatici, il Padiglione coreano incoraggia in questo modo i visitatori a capire come le questioni ambientali globali siano radicate nelle scelte passate dell’umanità.

Giardini

EMIRATI ARABI UNITI

Aridly Abundant

All’interno del Padiglione emiratino sarà possibile percepire le qualità spaziali, materiali e sensoriali di un ambiente arido, ricreato per richiamare sia il paesaggio tipico degli Emirati sia un preoccupante risvolto futuro del nostro Pianeta. La provocazione riguarda la possibilità di associare gli ambienti aridi ad un’idea di abbondanza, anziché di scarsità, esplorando le potenzialità architettoniche all’interno di paesaggi aridi nell’altopiano desertico degli Emirati Arabi Uniti o mettendo a disposizione, a livello globale, pratiche già in atto di riconversione del suolo.

Arsenale

TURCHIA

Ghost Stories: The Carrier Bag Theory of Architecture

Nel progetto turco ritroviamo uno spunto che Cecilia Alemani aveva proposto per il suo Latte dei sogni. Il titolo infatti richiama il libro The Carrier Bag Theory of Fiction di Ursula K. Le Guin, in cui l’autrice riscriveva la storia dell’umanità immaginando un diverso presupposto iniziale. Allo stesso modo Ghost Stories invita a liberare la mente da posizioni preconcette per mettersi all’ascolto delle storie che gli edifici abbandonati raccontano. Come possono tali edifici, frutto di un’espansione urbanistica accelerata, essere riconvertiti anziché demoliti o lasciati al loro destino?

Arsenale

NIGER ARCHIFUSION

La mescolanza di culture diverse – quella occidentale e quella africana – dà luogo ad un laboratorio allargato dove l’idea di collaborazione è messa al servizio del sapere comune (inclusivo), in un’epoca in cui la conoscenza si radica sempre più nel concetto di proprietà intellettuale (esclusiva). Il caso specifico riguarda lo studio di un tipo di mattone, il “brique magique”, prodotto con materiali autoctoni nigerini, ma modificato nella forma e nella struttura al fine di renderlo più performante in termini di inerzia termica, a vantaggio del comfort e della vivibilità interna alle abitazioni.

Isola di San Servolo

PORTOGALLO

Fertile Futures

Il progetto affronta la tematica globale della carenza di acqua dolce partendo dall’esperienza di sette aree idrogeografiche portoghesi. Il lavoro, che coinvolge soprattutto le nuove generazioni, mira a incentivare lo sviluppo di strategie per la gestione e lo stoccaggio delle riserve idriche, passo essenziale per la costruzione di un futuro più fertile, sostenibile ed equo. Al tempo stesso si vuole ribadire, anche attraverso un programma di discussioni pubbliche, la pertinenza del contributo dell’architettura nel ridisegnare un domani decarbonizzato, decolonizzato e collaborativo, in risposta diretta all’appello della curatrice Lesley Lokko.

Palazzo Franchetti, San Marco 2842

COLLATERAL EVENTS

EUmies Awards. Young Talent 2023.

The Laboratory of Education

«La creatività segue la capacità, pertanto la padronanza delle abilità è la prima priorità per i giovani talenti». Questo il pensiero al centro dell’European Prize for Contemporary Architecture – EUmies Awards, un premio annuale che la Fondazione Mies van der Rohe, con il sostegno del programma di supporto alla creatività dell’Unione Europea, ha istituito per valorizzare le nuove generazioni di architetti. La premiazione, l’esposizione correlata e diversi eventi pubblici di disseminazione avranno luogo in concomitanza con la Biennale Architettura.

Palazzo Mora

Climate Wunderkammer

Un’installazione ibrida (fisica e virtuale) immerge il visitatore in un’esperienza multisensoriale che restituisce l’impatto dei cambiamenti climatici. Il progetto della RWTH Aachen University, in collaborazione con il Politecnico di Milano, lo IUAV di Venezia e diverse altre Università internazionali, ha l’intento di dimostrare in modo tangibile, attingendo a esperienze di crisi già in atto sul nostro Pianeta, cosa significhi vivere in determinate condizioni di disagio ambientale, cercando di formulare soluzioni per il futuro attraverso lo scambio di conoscenze.

IUAV, Palazzo Badoer

NOT ONLY BIENNALE

Time Space Existence

È un’edizione ad ampio respiro quella proposta dall’European Cultural Centre con la consueta esposizione collettiva Time Space Existence, che vedrà la partecipazione di un gruppo internazionale di architetti, designer, artisti, accademici e fotografi. In concomitanza con la Biennale Architettura, l’appuntamento corale e diffuso di ECC quest’anno concentra l’attenzione su temi quali sostenibilità, ambiente, paesaggio urbano, nuove tecnologie abbinate alla riduzione del consumo energetico, materiali da costruzione innovativi, organici e riciclati e soluzioni abitative pensate per il sociale.

Palazzo Bembo, Palazzo Mora, Giardini della Marinaressa

72

L’ESTETICA DELLA SINTESI

Nella Biennale Architettura di Lesley Lokko non stupisce che il Leone d’Oro alla carriera venga assegnato ad un progettista africano, Demas Nwoko, una scelta in linea con molti punti nodali nel programma della curatrice, su tutti il tentativo di restituire con il suo Laboratorio del futuro una sintesi fra il materiale/la pratica e l’immateriale/l’idea. Artista, designer, scrittore, scenografo, critico e architetto nigeriano, classe 1935, Demas Nwoko è la perfetta incarnazione del “practictioner”, definizione che Lokko introduce in questa Biennale per definire gli 89 partecipanti del suo Laboratorio. Formatosi al Nigerian College of Arts, Science and Technology di Zaria, Nwoko è stato uno dei più importanti membri fondatori della Zaria Art Society, gruppo di artisti che negli anni ‘60 ha contribuito all’avanguardia modernista postcoloniale in Nigeria. La sensibilità per l’architettura parte dalla famiglia, dai palazzi disegnati dal nonno e ampliati dal padre nella sua città natale, Idumuje-Ugboko. Di origini nobili (il padre era un “Obi”, sovrano), Demas Nwoko rappresenta quella “sintesi naturale” che nell’ambiente artistico e intellettuale nigeriano di quegli anni cerca di colmare con temi e narrazioni africane la formazione occidentale ricevuta da educatori coloniali. Lui stesso studierà al Centre Français du Théâtre di Parigi per poi tornare in Nigeria, dove insieme ai ritrovati amici della Zaria Art Society fonderà spazi come il Mbari Writers and Artists Club, sviluppando, nel corso della sua intera attività, un’estetica che fonde forme e processi modernisti africani e occidentali, volta a riflettere sullo spirito di indipendenza politica.

ENG The Golden Lion at the upcoming Architecture Biennale will be awarded to Demas Nwoko – a choice in line with the nodal points of Biennale curator Lesley Lokko’s programme. Her Laboratory of the Future blends the material/practical and the immaterial/ ideal. Nigerian artist, designer, author, scenographer, critic, and architect born in 1935, Demas Nwoko is a perfect example of the practitioner, a term Lokko introduces in this Biennale to define the 89 participants in her Laboratory. Educated at the Nigerian College of Arts, Science and Technology in Zaria, Nwoko co-founded the Zaria Art Society, an avant-garde group in post-colonial, modernist Nigeria. Nwoko represents that ‘natural synthesis’ that in Nigerian artistic and intellectual circles tries to close the gap of colonial education using African themes and narrations, to the end goal of reflecting the spirit of political independence.

73
www.labiennale.org
[…] gli edifici di Nwoko in Nigeria svolgono due ruoli fondamentali. Sono i precursori delle forme di espressione sostenibili, attente alle risorse e culturalmente autentiche che stanno attraversando il continente africano – e il mondo – e puntano verso il futuro Lesley Lokko
74

e

Candida seduzione

Un nuovo omaggio al sommo Maestro, la mostra Canova e il potere. La collezione Giovanni Battista Sommariva ospitata al Museo Gypsotheca di Possagno ricostruisce le prestigiose relazioni che l’artista ebbe con i massimi esponenti del panorama politico e culturale dell’epoca, mettendo in luce il legame indissolubile esistente tra l’arte e il potere. Corteggiato dai potenti per i suoi capolavori, Canova ebbe, come è noto, frequenti e intensi rapporti con nobili, pontefici e sovrani, primo tra tutti Napoleone Bonaparte che, sedotto dall’eternità che poteva regalare lo scalpello dello scultore, era tra i suoi maggiori committenti, insieme ad uno dei suoi uomini di fiducia: Giovanni Battista Sommariva che, un po’ per riscatto della sua immagine compromessa da accuse di speculazione e corruzione e un po’ per rivalsa verso un’aristocrazia che disdegnava ma cui avrebbe voluto appartenere, è diventato illuminato mecenate e collezionista, destinando le sue ricchezze alla raccolta di opere d’arte. Ideata da Vittorio Sgarbi e curata da Moira Mascotto e Elena Catra, con la direzione artistica di Contemplazioni, la mostra mette al centro la figura complessa di Giovanni Battista Sommariva e la sua preziosa collezione che annoverava nove opere, di cui cinque marmi importanti dello stesso Canova, quali tra gli altri la Maddalena, Palamede, Tersicore e l’Apollino ora in mostra, oltre a opere di Francesco Hayez, Bertel Thorvaldsen e Pierre Paul Prud’hon, alcune delle quali eccezionalmente riunite per l’occasione.

Straordinaria la presenza dell’Apollino, proveniente dalle Collezioni Comunali d’Arte di Bologna, rappresentazione del dio dell’Amore adolescente, mirabile meditazione sulla bellezza maschile, esposta per la prima volta al pubblico dopo il restauro sostenuto dal Museo Canova e realizzato dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.

Guerre e pace

Un titolo che diventa manifesto contemporaneo: La guerra è finita! La pace non è ancora iniziata è la nuova mostra curata e promossa da Fondazione Imago Mundi per i sorprendenti spazi della Galleria delle Prigioni a Treviso.

Il tema proposto è quello della guerra che termina e, spesso lontano dall’attenzione mediatica, il verificarsi di problematiche relative alla complessità dello stabilirsi una pace reale e duratura, come è accaduto in Iraq e in Congo, per citare due esempi recenti, in cui si sono acuite nuovamente le tensioni dopo decenni.

Da qui la domanda: quando inizia (veramente) la pace? Attraverso i lavori di Francesco Arena, Terry Atkinson, Massimo Bartolini, Eteri Chkadua, Maxim Dondyuk, Harun Farocki, Leon Golub, Alfredo Jaar, JR, Mario Merz, Richard Mosse, Pedro Reyes, Martha Rosler, Sim Chi Yin, Ran Slavin, Fondazione Imago Mundi prova a fornire delle risposte possibili con un percorso espositivo esperienziale che crea un cortocircuito tra tre diverse modalità di interpretare questo tema assai complesso. Un percorso nella storia dell’arte che si intreccia con opere che si esprimono nei linguaggi artistici più contemporanei e con scatti fotografici di esplicito carattere documentario. In tutti i lavori si evidenzia la drammaticità di una situazione di pace iniziata, ma non davvero compiuta. Una finestra sull’attualità di una guerra purtroppo ancora violentemente in corso è data dagli scatti inediti di Maxim Dondyuk, fotografo ucraino, che ha seguito l’evolversi della situazione nel suo Paese dal 2014 a oggi. Due brevi video-saggi, commissionati ad hoc a Francesco Spampinato e Fulvia Strano, raccontano attraverso grandi nomi della storia dell’arte, come la narrazione dei conflitti sia stata spesso affidata a immagini accuratamente costruite. Per favorire un maggiore approfondimento dei temi trattati è in programma un ciclo di incontri con esperti di geopolitica, studiosi, rappresentanti della società civile. Marzio Fabi

75
VENICE
art
NOT ONLY
Canova e il potere. La collezione Giovanni Battista Sommariva Fino 3 settembre Museo Gypsotheca Antonio Canova-Possagno www.museocanova.it La guerra è finita! La pace non è ancora iniziata 5 aprile-17 settembre Gallerie delle Prigioni-Treviso www.fondazioneimagomundi.org Photo Lino Zanesco Martha Rosler, Point and Shoot (2008)

arte

NOT ONLY VENICE GIACOMETTI – FONTANA

Linee parallele quasi tangenti

Intervista Chiara Gatti

di Mariachiara Marzari

Una mostra unica e imperdibile. «Questo progetto nasce da un sogno» spiega Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento di Firenze e ideatore della mostra che cura assieme a Chiara Gatti, direttrice del MAN di Nuoro. «Un viaggio nel tempo più remoto e nel futuro più distante. Figure umane scarnificate, ridotte all’essenza, prosciugate ma erette in piedi o in cammino su un piano corrugato come di un pianeta ancora in via di formazione. E su questo terreno piccole e grandi forme vulcaniche simili a grandi polpette, rugose, plasmate da forze originarie, nel loro viaggio infinito nel cosmo prima di atterrare come meteoriti ai piedi di quei corpi antidiluviani, ominidi sulla soglia di vita e morte, di giorno e notte. Svegliatomi ho riconosciuto in quelle figure opere a me note di Alberto Giacometti e Lucio Fontana. L’Homme qui marche, la grande Femme debout, i Concetti spaziali in bronzo o terracotta. Da quel giorno sono passati molti anni. Ma il sogno non ha cessato di interrogarmi, di sollecitarmi fino a oggi».

Finalmente l’immaginario si ricongiunge alla sua matrice onirica nella concretezza della mostra Giacometti – Fontana. La ricerca dell’assoluto, un progetto museale inedito ospitato fino al 4 giugno all’interno delle sale di Palazzo Vecchio a Firenze, in particolare nella Sala delle Udienze e nella Sala dei Gigli, dove si conserva la celebre e splendida Giuditta di Donatello, appena restaurata.

L’incontro ideale e la relazione dialettica potente fra due giganti del Novecento, che interrogano il mistero dell’essere dell’uomo sulla terra e nel cosmo, è un lampo nella notte, abbaglia e penetra profondamente il visitatore, che si ritrova sospeso tra terra e cielo. Si rimane davvero senza fiato e senza parole al cospetto di queste opere “dialoganti”. Per questo motivo abbiamo voluto fortemente che Chiara Gatti fosse la nostra speciale guida per raccontare una mostra in cui la cifra dell’immortalità e dell’eternità di questi capolavori tocca le corde più profonde di ognuno di noi.

L’origine di questo progetto espositivo e scientifico, ovvero una mostra e un catalogo in lavorazione che vuole essere una nuova ricognizione generale sul lavoro di due artisti protagonisti assoluti del Novecento. Com’è nata l’idea di questo confronto tra Fontana e Giacometti?

Tutto parte da un’idea di Sergio Risaliti: un sogno giovanile molto significativo, il cui ricordo è rimasto talmente vivo da divenire nel

tempo una magnifica ossessione, ora tradottasi finalmente in realtà. Dal mio punto di vista il confronto tra questi due artisti arriva a porsi in maniera quasi spontanea, perché paradossalmente, pur non essendo mai stati esposti insieme prima, tra Giacometti e Fontana esistono dei punti di contatto profondamente filologici. Non si tratta di uno di quegli accostamenti un po’ forzati e pretestuosi, da “doppio salto carpiato”, come siamo abituati a vedere fin troppo spesso ultimamente in più mostre. Qui, infatti, accostiamo due autori che lavorano negli stessi anni e presentano chiare analogie biografiche. Si tratta di artisti che possiamo definire apolidi, perché in realtà nascono in un luogo, ma poi ne abitano altri, attraversano terre; al contempo, però, vivono entrambi un rapporto molto stretto con l’Italia. Fontana viene addirittura considerato un artista italiano, mentre Giacometti si forma nel nostro Paese, trascorrendo la sua adolescenza tra Padova, Firenze, Napoli e Venezia, quindi parla anche un po’ la nostra lingua. Tra i due troviamo, insomma, notevoli affinità biografiche e una coincidenza di date, oltre che una consonanza di “sentimenti”, dato che lavorano su temi molto prossimi. Tenendo presente che abitano un’epoca drammatica, tra un conflitto mondiale e l’altro, all’alba delle prime tragedie del Secolo breve, diventano entrambi lo specchio del loro tempo e soprattutto si fanno carico di una profonda riflessione esistenziale sul tema dell’uomo, della sua vita sulla terra e della sua esistenza ultraterrena. Per Giacometti tale esistenza assume una dimensione più sacra, mentre Fontana volge al cosmico, rendendolo infine un interprete della corsa allo spazio. Se per Giacometti lo spazio è sacro, per Fontana è invece fisico, però entrambi condividono ansie e aspirazioni, oltre ad alcune riflessioni per la verità molto drammatiche. Per questo motivo nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio, dove abbiamo voluto collocare il nucleo pulsante della mostra, il confronto tra le Nature di Fontana e le Femme debout di Giacometti è stringente: parlano entrambi contemporaneamente del rapporto fra cielo e terra, fra contingenza e immateriale.

76
Giacometti – Fontana. La ricerca dell’assoluto Fino 4 giugno Museo di Palazzo Vecchio, Firenze www.museonovecento.it Giacometti - Fontana. La ricerca dell’assoluto, installation views della mostra Museo di Palazzo Vecchio, Firenze - Ph. credits Serge Domingie

Da una parte l’uomo e la caducità della vita: Alberto

Era un uomo di grande tormento. Giacometti si sente costretto in un’epoca storica che non gli basta, per questo il suo sguardo volge verso il passato, avvertendo la vitale urgenza di confrontarsi perpetuamente con i classici, con l’arcaico, con il Rinascimento e con tutta l’eredità dei maestri della storia dell’arte, ma anche dei primitivi, a cui guarda partendo addirittura dalle Grotte di Lascaux – perché il suo primo riferimento storico e la prima icona che gli si stampa in testa sin da ragazzo sono proprio le pitture rupestri di Lascaux –, passando poi per la cultura egizia, che scopre in Italia durante il viaggio del 1920-21, quando, dopo la visita al Museo Archeologico di Firenze, scrive un’entusiasta lettera ai genitori in cui racconta di aver potuto vedere la statuaria egizia definendola “una delle cose più potenti che la storia abbia mai creato”. Da quel momento Giacometti inizia a ispirarsi quindi alla statuaria e alla scultura egizia, la cui influenza è ben visibile nelle Femme debout; la frontalità, la ieraticità di queste figure gli resta decisamente impressa.

La formazione di Giacometti guarda sempre al passato; di conseguenza moltissime sue mostre sono state costruite attorno al suo rapporto con i classici. Ciò detto, non va mai dimenticato che per lui l’atto di copiare il passato rappresentava un processo necessario per meglio comprendere il presente e il futuro. Copiare e continuare a ritornare su questa iconografia del passato, che va dall’Arcaico al Rinascimento, serve a Giacometti per crescere e rielaborare un’analisi sulla figura e sulla forma aggiornata al contemporaneo. Giacometti fa proprie le figure del passato a cui si ispira, comprese le icone e le statue faraoniche, e le corrode, le scarnifica, le allunga e assottiglia finché non ne restano che degli steli sottilissimi nello spazio. Alla sontuosità del passato abbina un senso del presente che ritroviamo nell’esistenzialismo di Sartre: una corrosione esistenziale tipica del contemporaneo. È per questo che possiamo definire la sua una riflessione sull’esistenza a 360 gradi.

Giacometti si lega per un periodo anche ai surrealisti, tanto è vero che L’objet invisible, anch’esso in mostra nella Sala dei Gigli, è un’opera legata all’estetica di quel movimento cruciale del Novecento. Tuttavia in lui non scorgiamo la componente onirica costitutiva del verbo surrealista, ossia il sogno, l’incubo e anche il nonsense ; vira sempre in una direzione misterica ma filosofico-esistenziale. L’objet invisible potrebbe apparire effettivamente come lo specchio di un sogno, ma in realtà è una figura totemica, che si ricollega alle culture primigenie e a quelle sciamaniche africane, a partire dalla testa che ricorda una di quelle delle Demoiselles d’Avignon di Picasso. Una scultura quasi nègre, abbinata però a quel particolare movimento delle mani su cui abbiamo costruito in mostra il dialogo con la Signorina seduta di Fontana: entrambe sollevano le mani in un gesto “assoluto”, come lo definisce Sartre.

È di una contemporaneità quasi sconvolgente; le sue opere potrebbero anche non essere databili da quanto sono attuali sempre.

Questo è esattamente ciò che lui tra l’altro sognava davvero: che qualcuno, ammirando la sua opera, come sta facendo lei adesso, pronunciasse proprio queste esatte parole.

77

arte

NOT ONLY VENICE GIACOMETTI – FONTANA

Dall’altra parte la ricerca di infinito oltre la materia: Lucio Fontana.

Come era solito dire Crispolti, Fontana “è uno, nessuno e centomila”, nel senso che riusciva a essere sé stesso e altri dieci artisti contemporaneamente, tant’è vero che per esempio la stagione barocca di Fontana coincide con la sua stagione concettuale e con quella informale, tutte vissute insieme contemporaneamente. Era questa la sua genialità! Qui incontriamo la principale differenza tra i due artisti: Giacometti si ripiega su sé stesso per arrivare a un’unica sola forma, che è quella della linea verticale, della corrosione; Fontana, invece, è un bulimico, passa da un’espressione a un’altra, da una ricerca formale a un’altra contemporaneamente. L’atteggiamento, il carattere, li distingue molto, perché Fontana era totalmente aperto alla vita, mentre Giacometti serratamente chiuso su sé stesso ma, pur di indole e carattere contrastanti, avvertivano entrambi la medesima necessità di espressione. Tra i mille Fontana che si potevano raccontare, in questa selezione realizzata per Palazzo Vecchio abbiamo scelto di mettere in mostra quel Fontana che volge lo sguardo tra terra e cielo e al contempo abbiamo cercato un punto di contatto con Giacometti, prevalentemente attraverso le Nature. Queste grandi masse un po’ laviche, un po’ gibbose, quasi asteroidi dalla superficie ruvida, sono simbolo del grembo materno e metafora di una genesi terrena, ma al contempo anche dell’esplosione del Big Bang e dell’origine dell’universo. In realtà parlano di genesi entrambi. Queste materie di Fontana che cadono dal cielo o galleggiano nel cielo di questa visione lunare vanno di pari passo con i monoliti dell’artista elvetico, che ricordano quasi il monolite nero di Kubrick di 2001: Odissea nello spazio; per cui le antenne di Giacometti sbocciano dalla terra e salgono verso il cielo e gli asteroidi di Fontana dal cielo rotolano poi sulla terra.

Alla luce di quanto detto e soprattutto dal punto di vista delle ricerche scientifiche, che troveremo nel catalogo grazie a una polifonia di contributi di esperti di diverse materie, emerge qualcosa di nuovo dal confronto delle opere dei due artisti? Sicuramente. Queste ricerche confermano il fatto che artisti di una stessa epoca, per quanto attraverso visioni e processi creativi diversi, si fanno necessariamente interpreti del loro tempo, avvertendo vividamente la contingenza del momento in cui si trovano a vivere. Entrambi sono fari di questi anni Trenta e Quaranta, i decenni drammatici per eccellenza del Novecento. Sia Fontana che Giacometti dimostrano che un artista è in grado contemporaneamente di commentare, abitare e raccontare la propria epoca, ma allo stesso tempo di sublimarla in una dimensione che viene comunque poi condivisa da molti altri ben al di là del tempo presente.

Come dicevamo prima, sono due artisti privi di cronologia da questo punto di vista.

La ricerca scientifica va poi qui ad individuare ed affrontare degli ulteriori punti di contatto sin qui inediti, di cui non si è mai parlato prima, come l’amore che avevano entrambi per Giotto, l’interesse nutrito da entrambi per la costruzione dello spazio prospettico del Rinascimento, i riferimenti che sottotraccia viaggiano verso Dürer, l’eredità imprescindibile per l’uno e l’altro di Cézanne. Ci sono forti vicinanze formative, punti di contatto importantissimi: per esempio i fondi oro delle tavole bizantine, il continuo riferimento al tema dell’icona bizantina, che c’è in entrambi, e la costruzione spaziale tipica di Cézanne che sedimenta in tutte e due.

Le opere in mostra sono degli stessi anni? Sono coeve, sì. La signorina seduta e L’object invisible sono, ad esempio, proprio dello stesso anno, il 1934.

L’impatto estetico dell’esposizione nella Sala dei Gigli a Palazzo Vecchio. Il luogo, il legame con Donatello, la scultura di Giuditta e Oloferne : quale il fil rouge che vi ha portato a questa incredibile incursione nel Rinascimento? Una geniale intuizione di Risaliti, che ha fortemente voluto costruire il tutto proprio in quella sala. L’immagine delle tre figure femminili insieme è potentissima, per cui in questo caso la scelta più che scientifica è stata ideale. Tuttavia è emerso anche il nesso scientifico, perché abbiamo scovato un disegno, uno schizzo della Giuditta e Oloferne che Giacometti ha realizzato negli anni Cinquanta quando tornò a Firenze. Una scoperta molto interessante, un piccolo tassello inedito. Ora intendiamo andare a ‘caccia’ di questo disegno che è custodito in una collezione privata; ci piacerebbe davvero portarlo a Firenze.

Lei è a capo di un’importante istituzione, il MAN di Nuoro, che indaga la modernità e la contemporaneità attraverso l’arte, la fotografia, l’architettura, il cinema. L’idea di museo è cambiata in modo radicale e sempre più velocemente in questi ultimi decenni. Quale la sua idea di museo o quale obiettivo si è posta nella sua direzione?

Il MAN aveva già una sua identità molto forte, perché in vent’anni e più di vita ha sempre sposato moderno e contemporaneo con una doppia linea che poneva a confronto storia locale e storia globale. Ciò che ho aggiunto a questa base già molto fertile è il tentativo di lavorare sul multidisciplinare, ovvero su molti linguaggi diversi ma in modo ‘indisciplinato’, cercando di fonderle queste discipline, di sposarle e abbinarle in mostre che siano dei racconti fluidi, visto che dovremmo e dovremo abitare un mondo fluido.

Anche nella mostra in corso fino al 25 giugno, Odessa Steps. La Scalinata Potëmkin fra cinema e architettura, realizzata grazie alla collaborazione degli Archivi Storici di Odessa, sono presenti arte, pittura romantica, architettura, tutta la storia dell’architettura della città, e poi cinema, dal celeberrimo capolavoro di Eisenstein a tutte le altre pellicole che hanno raccontato la scalinata di Odessa. E in più l’indagine storica e archivistica. Ne è scaturita una ipernarrazione che, attraverso linguaggi diversi, aggiunge anche in questo caso un piccolo tassello di ricerca. Sperimentazione e ricerca insieme, storia ma anche coinvolgimento; insomma, il museo deve essere soprattutto aperto anche a un pubblico nuovo. Il primo giorno di apertura della mostra, e prima domenica gratuita, abbiamo registrato circa 300 visitatori la maggior parte dei quali intorno ai trent’anni di età, tutti ragazzi e ragazze. Secondo me sposare le differenti discipline, o comunque dialogare con linguaggi altri, rappresenta un processo che più di ogni altro è in grado di attrarre e coinvolgere un pubblico, quello più giovane, che non ha più molti confini nella testa.

78

A DELECTABLE EPICUREAN EXPERIENCE ON THE GRAND CANAL

Extending along the waterfront on one of the most beautiful stretches of the Grand Canal, the splendid Gritti Terrace continues to be the social hub of Venice. Drop in from 12:30pm until 17:30pm for an informal lunch, afternoon snacks, or a glass of perfectly chilled bubbles immersed in a living canvas of the city’s legendary monuments.

FOR RESERVATIONS, PLEASE CALL +39 041 794611 OR VISIT CLUBDELDOGE.COM

©2023 Marriott International, Inc. All Rights Reserved. All names, marks and logos are the trademarks of Marriott International, Inc., or its a liates.
THE LUXURY COLLECTION HOTELS & RESORTS
80

arte

NOT ONLY VENICE

Cosmic Girl

Il viaggio di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo nelle galassie dell’arte contemporanea

Un monumentale razzo in procinto di essere lanciato nello spazio –Gonogo, nuova installazione dell’artista Goshka Macuga – accoglie i visitatori di Palazzo Strozzi a Firenze. Sembra il mezzo su cui è salita Patrizia Re Rebaudengo 30 anni fa per partire alla scoperta delle stelle di un’arte ‘aliena’, il contemporaneo. Una cosmic girl che da allora ha esplorato le galassie linguistiche dell’arte contemporanea scoprendo, prima signora del sistema-arte in Italia, tutti ma proprio tutti gli artisti più significativi del presente, ora divenuti monumenti del contemporaneo. La Collezione è infatti una costellazione esemplare di opere e riflette la pluralità delle ricerche degli ultimi decenni. Si tratta probabilmente della più completa fra le raccolte di arte contemporanea in Italia: iniziata negli anni ‘90 con la folgorazione per gli Young British Artist, arriva fino agli esiti più recenti della creatività. La scelta di dar vita alla Fondazione il 6 aprile del 1995 segna l’evoluzione della Collezione privata, avviata nel 1992, verso un’attività organizzata, aperta alla dimensione pubblica. La centralità dell’artista, eredità di un collezionismo sensibile e partecipe, è alla base dell’attività di Patrizia Re Rebaudengo in questi tre decenni, segnati dalla definitiva affermazione di alcuni artisti in particolare, appunto le “stelle della Collezione”, e dal costante monitoraggio delle nuove generazioni attraverso il sostegno, la promozione, la realizzazione di mostre e la produzione di opere.

La Fondazione, la quale, non a caso, ha proprio una stella come simbolo, si è quindi subito distinta per essere un osservatorio privilegiato sulle tendenze artistiche e i linguaggi culturali del presente. Quello di Patrizia Re Rebaudengo si è configurato come un nuovo mecenatismo, basato sulla responsabilità assunta in prima persona e sulla condivisione di passioni, saperi e risorse individuali. Proprio la condivisione ha spinto Patrizia Re Rebaudengo ad aprire la sua Fondazione e da subito a guardare fuori da essa, non volendo appunto far assumere a questo nuovo soggetto le sembianze di un’operazione di musealizzazione del presente, cercando anzi continue collaborazioni per diffondere la conoscenza dell’arte contemporanea al più ampio pubblico, coinvolto e partecipe.

Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette YiadomBoakye, curata da Arturo Galansino, è la mostra che celebra questo percorso, i trent’anni per l’appunto della Collezione Sandretto Re Rebaudengo. Tra pittura, scultura, installazione, fotografia e video, Palazzo Strozzi, nel cortile interno e al primo piano, e la Strozzina, nella parte “sotterranea” del palazzo, offrono una prospettiva rovesciata sul contemporaneo: sopra e sotto sembrano segnare un prima e un dopo temporale, ma anche un confine metafisico tra arte ufficiale, o meglio artisti divenuti protagonisti consacrati del nostro presente, e arte non ancora compiutamente codificata, non mainstream, ancora decisamente underground, le cui espressioni, le cui opere sono elaborazioni in presa diretta del reale. Attraverso le visioni e le realizzazioni di oltre 50 artisti provenienti da tutto il mondo, che rappresentano punti di riferimento imprescindibili per orientarsi nel vasto firmamento dell’arte contemporanea, la mostra si pone quindi come un’occasione unica per riflettere sul presente e sul futuro dell’arte, restituendone in modo aperto la varietà, l’evoluzione e il suo rapporto vivo con la società del tempo.

Nel percorso della mostra si segnalano grandi opere dell’arte britannica di artisti come Damien Hirst, Anish Kapoor e Sarah Lucas, insieme a un’ampia selezione di lavori di Maurizio Cattelan, centrale per un’esplorazione dell’arte italiana unitamente ad artiste come Paola Pivi e Lara Favaretto. In parallelo si snodano sezioni dedicate all’identità, al corpo e alle mitologie del presente, affrontando temi come la fragilità e l’alienazione, le discriminazioni razziali e di genere, la relazione tra collettività e individualità, con opere iconiche di Cindy Sherman, Barbara Kruger, Pawel Althamer, Josh Kline, Shirin Neshat. Infine un’attenzione ai linguaggi e in particolare al modello cinematografico declinato in visioni estetiche e narrative originali, con opere come quelle tra gli altri di Douglas Gordon e William Kentridge. M.M.

Reaching for the Stars.

Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye

Fino 18 giugno Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze www.palazzostrozzi.org

81
Goshka Macuga, Gonogo, 2023 - Photo Ela Bialkowska Maurizio Cattelan, La rivoluzione siamo noi, 2000

music a

MIND THE GAP

Musica elettronica contemporanea e stratificazioni sonore di avanguardia, percorsi musicali che convergono su territori comuni originali

82

Nu Fest è il festival di musica elettronica e contemporanea firmato Veneto Jazz, nato nel 2007 dalla passione di Marcello Mormile, direttore artistico della rassegna, scomparso troppo presto, nell’ottobre 2020.

La sua conoscenza della musica sperimentale e l’innata sensibilità intuitiva nella scoperta di nuove tendenze musicali in questo settore hanno incontrato la storia e le struttura di Veneto Jazz dando vita a progetti inediti come Nørdic Frames, festival dedicato alla produzione nordica, e ad eventi indimenticabili. Ad aprile il Nu Fest ne celebra la memoria e lo spirito con due appuntamenti ad aprile, il 6 e il 29, rispettivamente al Fondaco dei Tedeschi e al Teatrino di Palazzo Grassi con i progetti Solaris (Giorgio Li Calzi-Manuel Zigante) e Impro Brain Sound Pod (Paolo Dellapiana-Valeria Sturba).

Architetto e musicista elettronico, Paolo Dellapiana è figura trasversale della scena sperimentale internazionale, già componente della cult-band torinese Larsen dal 1996. Nell’ambito di Nu Fest firma questo nuovo progetto con la polistrumentista e cantante Valeria Sturba che incrocia strumenti elettroacustici con complessi sistemi modulari elaborati ad hoc, in una continua ricerca di stratificazione sonora di avanguardia. Sul palco un inedito cono di luce che, anche architettonicamente, ospita la performance nata da una residenza prodotta e ospitata dal centro di ricerca per le pratiche performative contemporanee Centrale Fies. Sia con Larsen che individualmente Dellapiana ha presentato la sua musica con lunghi tour e concerti in tutta Europa così come negli Stati Uniti. Ha condiviso il palco con leggende del calibro di Einsturzende Neubauten, Swans, Neurosis, Breach, Crash Worship, Ulan Bator, Michael Gira, My Cat Is An Alien, Allun, Ronin, The Living Jarboe, Backworld, Xiu Xiu, Thalia Zedek, Dresden Dolls, Amber Asylum, Current 93, Johann Johannsson, Baby Dee, Fovea Hex, Piano Magic, The Dead Texan.

Del 2021 è in residenza a Centrale Fies, e ha avviato una collaborazione con ClubToClub Festival per un progetto di suono diffuso in Alta Langa. Valeria Sturba è polistrumentista, cantante e compositrice. Diplomata in violino, suona theremin, tastiere, synth, effetti elettronici, looper e giocattoli sonori, incrociando strumenti elettroacustici con complessi sistemi modulari elaborati ad hoc per una continua ricerca di stratificazione sonora di avanguardia… Il suo percorso artistico abbraccia vari generi, come sono vari i progetti all’attivo, tra cui OoopopoiooO, duo surreale e dadaista che condivide con Vincenzo Vasi. Ha partecipato a moltissimi festival nazionali ed internazionali come Umbria Jazz, Electromagnetica (Cile), B-Classic (Belgio), Dong! (Danimarca), Tectonics (Scozia), Dancity, RoBOt. Ha collaborato con un gran numero di artisti tra i quali Tristan Honsinger, Ernst Reijseger, Enrico Gabrielli e Calibro35, Stefano Bollani, John De Leo, Cristina Donà, Stefano Benni, Hamid Drake, Lino Guanciale, Anna Maria Hefele, Giancarlo Schiaffini.

In Solaris, al Fondaco il 6 aprile, due diversi percorsi musicali convergono su un originale territorio comune ispirato all’omonimo film di Tarkovskij. Il progetto, nato nel 1986 dall’incontro tra il violoncello di Zigante e i suoni elettroacustici della tromba di Li Calzi, attraversa improvvisazioni elettro-acustiche, elettronica e riscrittura contemporanea del classicismo di Bach e Artemyev.

Manuel Zigante, diplomato in violoncello presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma, è fondatore del Quartetto d’Archi di Torino sotto la guida di Piero Farulli (Quartetto Italiano) e del compositore Gyorgy Kurtág, con il quale svolge un’intensa attività concertistica.

Giorgio Li Calzi compositore, trombettista e produttore musicale, è promotore culturale e regista di allestimenti performativi. Ha prodotto jingles per FIAT e Birra Moretti, composto musiche per teatro e danza, suonato con musicisti come Wolfgang Flür (Kraftwerk), Lenine, Jon Balke, Marconi Union, e durante il lockdown del 2020 ha registrato con Arto Lindsay, Thomas Feiner, Frank Bretschneider, Stefan Németh e la poetessa Chandra Livia Candiani.

The Veneto Jazz-produced festival of contemporary and electronic music, Nu Fest, lists two events in Venice for the month of April, on the 6th and 29th: a concert by the Solaris project (Giorgio Li Calzi, Manuel Zigante) at Fondaco dei Tedeschi and one by Impro Brain Sound Pod (Paolo Dellapiana, Valeria Sturba) at Teatrino di Palazzo Grassi. An architect and electronic music producer, Paolo Dellapiana is a known character in the international experimental music scene, and had once been in the line-up of cult band Larsen. For Nu Fest, Dellapiana authored a new project together with singer and poly-instrumentalist Valeria Sturba. Electro-acoustic instruments, complex, custom-assembled modular systems provide the duo with the power they need to push their research forward in the world of avant-garde sound. On stage, an original light cone will house the performance. Both with Larsen and individually, Dellapiana took his music around the world on long tours. He shared the stage with international legends such as di Einsturzende Neubauten, Swans, Neurosis, Breach, Crash Worship, Ulan Bator, Michael Gira, My Cat Is An Alien, Allun, Ronin, The Living Jarboe, Backworld, Xiu Xiu, Thalia Zedek, Dresden Dolls, Amber Asylum, Current 93, Johann Johannsson, Baby Dee, Fovea Hex, Piano Magic, The Dead Texan. Since 2021, he is resident producer at Centrale Fies.

Valeria Sturba is a composer, singer, and instrumentalist. Graduated in violin, she also plays the theremin, keyboards, synthesizer, loopers, and other sound gadgets. She participated in many international festivals such as Umbria Jazz, Electromagnetica (Chile), B-Classic (Belgium), Dong! (Denmark), Tectonics (Scotland), Dancity, RoBOt; and worked with Tristan Honsinger, Ernst Reijseger, Enrico Gabrielli e Calibro35, Stefano Bollani, John De Leo, Cristina Donà, Stefano Benni, Hamid Drake, Lino Guanciale, Anna Maria Hefele, Giancarlo Schiaffini, among others.

Solaris, at Fondaco dei Tedeschi on April 6, two musical itineraries converge on a common territory inspired by Tarkovsky’s film. The project came to be in 1986, when Zigante’s cello and Li Calzi’s electro-acoustic trumpet met and created a modern re-hash of classic Bach and Artemyev.

Manuel Zigante founded the Quartetto d’Archi di Torino under the guidance of Piero Fanulli (Quartetto Italiano) and composer Gyorgy Kurtág.

Giorgio Li Calzi is a composer, trumpet player, and producer as well as a cultural promoter and director of art performances. He wrote jingles for FIAT and Birra Moretti, music for theatre and dance performances, and played with Wolfgang Flür (Kraftwerk), Lenine, Jon Balke, Marconi Union, among others.

83 Nu Fest 6, 29 aprile Fondaco dei Tedeschi, Teatrino di Palazzo Grassi www.venetojazz.com

musica

BIENNALE MUSICA 2023

LEONI ALLA CARRIERA

L’alchimista Brian Eno, Leone d’Oro alla

sperimentazione

Il Leone d’Oro di Biennale Musica 2023 andrà a Brian Eno. Dopo decenni di premi a personalità che, pur appartenendo a universi musicali assai diversi tra loro (Petrassi nel ’94, Berio l’anno dopo, Reich nel 2014, Sciarrino nel 2016, Sofia Gubajdulina nel 2019), rappresentavano comunque l’immagine del musicista colto uscito dal Conservatorio, il premio va ad uno che si definisce “non musicista” e incapace di leggere una partitura. Ma che, in 50 anni di lavoro, ha creato un universo sonoro assolutamente originale, geniale, che lo colloca tra i padri fondatori della musica della seconda metà del XX secolo in un modo del tutto leggero, laterale, obliquo. Un “non musicista”, artigiano del sound&vision, per cui creare musica è come dipingere e dipingere è come creare sonorità, la cui musica nasce come elemento biologico e non architetturale, suono che germina e occupa gli spazi fisici come quelli mentali, in cui l’anima digitale rivela il suo lato luminoso, riflessivo, coinvolgente. Un “non musicista” che ha teorizzato le strategie oblique come approccio compositivo, ove la dimensione aleatoria e casuale non vive di aut-aut drammatici, ma di consigli e indicazioni che ne sottolineano le stimmate di grazia gentile e ironica. Il Leone d’Oro ad Eno significa anche il riconoscimento, da parte di Biennale, di un universo sonoro fondamentale per la musica contemporanea che sta alla confluenza tra musica sperimentale, musica popular e ambient music (che lui ha teorizzato come nuova release della musique d’ameublement di Satie).

Un brevissimo volo d’aquila sulla produzione enoiana deve partire dalla sua collaborazione iniziale, nei primi ‘70, coi Roxy Music, ai quali dona un‘impronta dada-rumorista maneggiando devices elettronici, per passare di lì a poco ai suoi quattro album da solista in cui come un LEGO smonta e rimonta la forma-canzone. Dal ’78 pubblica i suoi dischi ambient che inventano una musica da sottofondo subliminale per i nuovi luoghi della contemporaneità come gli aeroporti. Fondamentale inoltre il suo lavoro come produttore dolcemente maieutico verso gli artisti prodotti che inizia proprio in quegli anni, per poi proseguire nell’intero corso della sua carriera (la trilogia berlinese di Bowie, i primi Talking Heads con la loro psicotica visionarietà, gli U2 più maturi e consapevoli di Achtung Baby e Zooropa, fino al seminale e leggendario album No New York ). Negli ultimi decenni in particolare sviluppa un lavoro sempre più concentrato sui confini dei linguaggi contemporanei, in cui alterna la produzione di musica in senso stretto a un’attività artistica più aperta, che si esprime in particolare attraverso un’immersione nella zona in cui il suono diventa luce e la luce rimanda alla frequenza sonora. Già nel 2018 con il premio a Keith Jarrett la Biennale aveva riconosciuto l’importanza somma della musica jazz nel panorama musicale contemporaneo. Con Brian Eno muove un ulteriore passo verso la consapevolezza della totale assenza, oggi, di tassonomie stringenti, di steccati rigidi tra forme artistiche che coesistono a rappresentare l’infinita complessità dell’inclassificabile. F.D.S.

84

Parlano i numeri

Miller Puckette, premiato da Lucia Ronchetti con il Leone d’Argento della prossima Biennale Musica, nasce a Chattanooga, nel Tennessee, nel 1959.

Si laurea in matematica al MIT (Cambridge, Massachussetts) nel 1980 e consegue nel 1986 un dottorato di ricerca, sempre in matematica, presso l’Università di Harvard, vincendo la borsa di studio NSF (National Science Foundation) e il Putnam Prize. È stato membro del Media Lab del MIT dai suoi inizi al 1987, poi ricercatore all’IRCAM di Parigi. È all’IRCAM che idea e produce Max, un software ambientale di musica computazionale ampiamente utilizzato, messo in commercio nel 1990 e ora disponibile sulla piattaforma Cycling74.com.

Attualmente si occupa di Pure Data (“Pd”), un ambiente di programmazione open-source e in tempo reale per le arti multimediali. Ha collaborato con molti artisti e musicisti, tra cui Philippe Manoury (il cui ciclo Sonus ex Machina è stato il primo importante lavoro a utilizzare Max), Rand Steiger, Vibeke Sorensen, Juliana Snapper, Kerry Hagan e Irwin. Dal 2004 ha collaborato con i Convolution Brothers. Ha ricevuto due lauree ad honoremdall’Université de Mons e dalla Bath Spa University - e nel 2008 il premio alla carriera per la musica elettroacustica SEAMUS. Max/Msp, creato da Miller Puckette alla fine degli anni ’80, è stato concepito come ambiente informatico per la realizzazione di opere di musica elettronica dal vivo, per controllare installazioni sonore, creare strumenti musicali virtuali, elaborare suoni in tempo reale nelle performance strumentali, generare suoni digitali e composizioni per computer ed è diventato uno dei programmi più usati dai compositori e performer attivi di tutto il mondo, influenzando lo sviluppo compositivo della musica elettronica e dell’elaborazione del suono in tempo reale delle successive generazioni di compositori. Pure Data consente a musicisti, artisti visivi, performer, ricercatori e programmatori di creare software attraverso patches grafici e può essere utilizzato per elaborare e generare suoni, video, grafica 2D/3D e come interfaccia di sensori, dispositivi di input e MIDI.

Celebrato autore di The Theory and Technique of Electronic Music, testo fondante della nuova audio-cultura, pubblicato nel 2007, Miller Puckette è in scena alla Biennale Musica insieme al percussionista Irwin il 18 ottobre alle Tese dei Soppalchi, oltre che protagonista di Biennale College Musica.

85
Il lavoro di Brian Eno evolve secondo una dimensione temporale potenzialmente infinita, anticipando molte delle tendenze compositive attuali legate al suono digitale
Miller Puckette fa parte di quelle personalità della scena musicale contemporanea che hanno reso possibile la realizzazione di molti capolavori degli ultimi decenni attraverso la collaborazione con i compositori

Beata indipendenza

Il 14 aprile i Grimoon presentano il loro sesto disco, Clair Obscur, e il loro film animato Il viaggio di Alan. La band italo-francese capitanata da Alberto Stevanato e Solenn Le Marchand si distingue per il suono in bilico tra psichedelia, rock ed elettronica e per la presenza sul palco dei video animati da loro prodotti. Al Teatro del Parco a Mestre presentano l’album uscito per la storica label indipendente La Tempesta, un disco che racconta il dramma contemporaneo della migrazione attraverso gli occhi di un bambino.

La musica si contamina, cercando nuove sonorità senza abbandonare la consueta unione tra suoni di synth vintage e chitarra acustica, che ha caratterizzato la band. Cross the Wall è il primo singolo estratto dall’album, accompagnato dal video animato realizzato come sempre dallo studio Anim’arte, creato da Solenn e Alberto, ed è il primo capitolo che racconta il viaggio di Alan, il bambino che intraprende un lungo percorso con il padre a bordo di una nave/conchiglia, attraversando i mari e incontrando diversi personaggi. Trust the Mask è un duo elettro-pop formato dalla musicista Elisa Dal Bianco e dalla cantante Vittoria Cavedon. Un duo che è contatto con l’essenza, fuga momentanea dall’apparenza, un contratto sulla fiducia: non hai altra scelta che fidarti.

Il 6 maggio ecco l’illustratrice Cecilia Valagussa e la musicista Marta Del Grandi, ovvero Fossick Project. Gilgamesh è uno spettacolo in cui musica e animazioni dal vivo su lavagna luminosa si intersecano. Originariamente una celebrazione della mascolinità di fronte a sfide insormontabili e alla grandezza della natura, la storia di Gilgamesh è sopravvissuta solo in parte. Evidenziate dall’assenza di scrittura, tutte le emozioni del mitico personaggio danno un’altra vita alla storia antica.

Pratica e grammatica

Rachel Gould, il jazz non si improvvisa

Già ospite di un memorabile concerto a Venezia nel 2020, l’americana Rachel Gould è tra le più personali, mature e autentiche cantanti jazz della scena attuale. Abile interprete e improvvisatrice di assoli, presenta il meglio del suo repertorio, tra standard jazz e brani originali arrangiati e rivisitati, in un concerto alla Fenice il 12 aprile promosso da Veneto Jazz, con imperdibile appendice di un workshop al Conservatorio Benedetto Marcello il giorno seguente.

La cantante del New Jersey vanta una brillante carriera internazionale a fianco di artisti come Chet Baker, Woody Herman e Dave Liebman, Art Farmer, Sal Nistico, Benny Baile. Ha registrato il primo disco da leader – The Dancer – verso la metà degli anni Ottanta, proseguendo poi con lavori discografici su cui l’interesse di critica e pubblico è stato sempre crescente: A Sip of Your Touch (con Riccardo Del Fra, Enrico Pieranunzi, Art Farmer e David Liebman), Live in Montreux, More of Me e molti altri ancora.

Una lunga e importante attività concertistica l’ha vista e la vede protagonista sui palchi di prestigiosi festival, da Montreux a Umbria Jazz.

Rachel Gould è anche un’accademica tra le più competenti ed esperte in ambito jazzistico: ha insegnato alla Musikhochschule di Colonia, al Conservatorio di Maastricht, alla Swiss Jazz School di Berna, alla Modelversuch di Amburgo, nell’International Jazz Clinics di Tubinga, all’Università Johannes Gutenberg di Magonza, ai Remscheid Jazz, mentre dal 1991 insegna stabilmente al Conservatorio Reale dell’Aia.

ENG American musician Rachel Gould is one of the most mature, authentic jazz singers there is. A skilled interpreter and solo improvisationist, she will be in Venice to present the best of her repertoire, which includes jazz standards as well as original and re-arranged pieces, in a concert at Fenice Theatre on April 12. New Jerseyan

Gould’s stellar career includes work with Chet Baker, Woody Herman, Dave Liebman, Art Framer, Sal Nistico, Benny Baile. She recorded her first album, The Dancer, in the late 1980s, and kept pushing out records that were met with ever-growing acclaim by critics and audience.

Gould also teaches at the Musikhochschule in Cologne, Germany and in other top music schools in Europe.

86
Rachel Gould 5tet 12 aprile Teatro La Fenice www.venetojazz.com
musica LIVE
Grimoon + Trust The Mask | Fossick Project 14 aprile, 6 maggio Teatro del Parco-Mestre www.comune.venezia.it Photo Edoardo Tomasi

The Master A lezione da Franco D’Andrea

Musiche suonate dal vivo, immagini, rari documenti e parole scandiscono The meaning of the blues, conferenza-concerto in cui un musicologo (Luca Bragalini) e una delle figure più alte della storia del jazz europeo (Franco D’Andrea) svelano quanto possono essere infinite le sfumature del blues. Tra il Mississippi e l’Europa Centrale, tra la produzione di D’Andrea e quella di Gershwin, tra la musica classica e il folklore afroamericano, tra le sigle televisive e le pagine di Thelonious Monk sta l’appuntamento in programma alla Fenice il 15 aprile.

Franco D’Andrea, al di là di ogni retorica, non ha bisogno di presentazione alcuna.

La sua storia artistica è talmente ricca, intensa, coerente, che enumerare tutte le sue collaborazioni, i suoi incontri, le opere significative non avrebbe senso, se non in una pubblicazione allargata, che prendesse in esame con serietà e precisione questa carriera formidabile nella sua totalità.

Quando si esprime con il proprio pianoforte lo fa sempre alla ricerca della poesia più asciutta, scarnificata, ma profondamente vera, scaturita da un linguaggio che sta mirabilmente sospeso tra quotidianità e soprannaturale. Un linguaggio radicato nella tradizione della musica afroamericana, a tal punto che spesso non è facile seguirlo fino in fondo nei dettagli delle sue divagazioni ritmiche, in un repertorio a cui ci si deve approcciare armati di predisposizione alla scoperta e allo stupore.

Sono gli stessi atteggiamenti che lui stesso rivolge alla musica, in primo luogo a quella degli altri, che pochi sanno ascoltare con tale acume. E naturalmente alla sua, svezzata al contatto con Nunzio Rotondo nella Roma degli anni Sessanta e poi folgorata dall’incontro con Gato Barbieri, che per primo gli fa conoscere le possibilità della creazione libera e dirompente coinvolgendolo in avventure formidabili, come quella in cui viene registrata la colonna sonora di Ultimo tango a Parigi

ENG Live music, images, documents, and words make up the essence of The meaning of the blues, a concert and conference programme where a musicologist (Luca Bragalini) and one of the most renowned European jazz musicians (Franco D’Andrea) reveal just how diverse can blues be. The appointment is at Fenice Theatre on April 15, where we will know more about Gershwin, classical, African-American folk music, TV title cards, and Thelonious Monk. D’Andrea needs no introduction: it would be pointless to make a list of his numerous collaborations and musical productions. When he plays the piano, he can conjure the cleanest form of poetry, so simple and so deeply true to the point of supernaturalness. His artistic language is rooted in African-American music, so much so that the untrained ear might have a hard time following the complex rhythm, though all you need to love it is to open your mind to discovery and amazement.

QUESTIONE DI TEMPO

Un incontro inevitabile, scritto nell’ordine naturale delle cose, al quale nessuna delle componenti in gioco ha mai cercato di sottrarsi, oltretutto. Una collisione di quelle buone, quasi a rievocare il Big Bang da cui tutto sembra essere iniziato, un bel po’ di tempo fa. Il primo aprile al Candiani, da una parte troviamo un coro “a tenores”, precisamente i Tenores “Mialinu” Pira Bitti, paesino della provincia di Nuoro, intitolato allo scrittore Michelangelo “Mialinu” Pira e fondato nel 1995; dall’altra un musicista jazz, precisamente Enzo Favata, sassofonista di Alghero con carriera ultratrentennale ed esperienze ad ogni latitudine geografia e sonora, che unisce il proprio strumento a cinque voci immerse in un originale paesaggio sonoro fatto di canti polifonici, suoni di ance di sassofoni e clarinetti, voci gutturali e filtri digitali di elettronica dal vivo. Il 30 aprile, giorno in cui si celebra l’International Jazz Day, ospite di Candiani Groove è il clarinettista francese Louis Sclavis, virtuoso anche di clarinetto basso e sassofono attraverso i quali distilla al pubblico un mix originale di jazz e musica tradizionale proveniente dai Paesi più diversi.

Da sempre orientato a nuove collaborazioni, fonda nel 2009 l’Eldorado Trio con Craig Taborn e Tom Rainey, poi l’Atlas Trio con il chitarrista Gilles Coronado e il pianista Benjamin Moussay, dando vita ad un diverso tipo di mix strumentale che lo costringe a ripensare i propri modi compositivi, saziando un’innata fame di mettersi alla prova. Si concentra proprio su questa band, registrando Silk and Salt Melodies nel 2014, suo ultimo lavoro in studio fino a questo momento.

87
Candiani Groove 2023 1, 30 aprile Centro Culturale Candiani-Mestre www.comune.venezia.it
The
15
Teatro
www.venetojazz.com
meaning of the blues
aprile
La Fenice

Work in prog

«Se i Pink Floyd e i Radiohead avessero avuto un figlio che era in contatto con il proprio lato femminile, quello saremmo stati noi». Non male come dichiarazione d’intenti, per citare le parole di Steve Hogarth, cantante e polistrumentista britannico dal 1988 frontman dei Marillion, protagonisti di un weekend a loro dedicato al Geox di Padova il 28 e 29 aprile. Quello stesso Hogarth che fu capace di raccogliere un’eredità pesante assai, quella di Fish – che dal 1977 al 1988 fece le fortune commerciali e musicali della band di Aylesbury con la propria presenza scenica magnetica e carismatica –, che con i Marillion ha pubblicato il ventesimo album, An Hour Before It’s Dark, uscito a marzo 2022 per la Intact Record: 7 tracce, 54 minuti e qualcosa di progressive rock, che seguono a distanza di due anni With Friends at St David’s, registrazione integrale del concerto tenuto a Cardiff nel novembre 2019 durante la tournée promozionale dell’album With Friends from the Orchestra

Il Marillion Weekend è ormai un vero e proprio brand esportato in tutto il mondo, che arriva in Italia per la prima volta: protagonista assoluta la più grande band della seconda generazione del prog-rock, che incontrerà i fan provenienti da ogni parte del mondo in due show inediti, due spettacoli diversi, con setlist completamente differenti.

«Il concerto è l’aspetto che preferisco del mio lavoro – spiega Hogarth –: è sconvolgente la possibilità di condividere uno stato d’animo con quelli che capiscono le mie parole e, di conseguenza, anche me, pur non conoscendo l’inglese. I fan sono talmente legati alla nostra musica che prima dei concerti leggono e approfondiscono le parole: pochi artisti possono vantare una relazione così personale con il proprio pubblico».

Una sera con Diana Jazz firmato Krall a Padova

Note nere e atmosfere delicate, una voce calda e potente, Diana Krall, figlia di un insegnate di piano e di una cantante, ha respirato jazz fin dall’infanzia per poi consolidare la sua formazione al pianoforte classico presso il Capilano University Music di Vancouver, scuola che ha sfornato alcuni fra i nomi più brillanti del panorama jazz mondiale. Con molti di loro l’artista ha mantenuto negli anni una proficua collaborazione e una intesa musicale. Brad Turner e Ingrid Jensen (tromba), Phil Dwyer (sassofono), Jodi Proznick (contrabbasso) e Joe Poole (batteria) sono alcuni dei grandi musicisti che hanno lasciato il segno nella sua produzione, curando gli arrangiamenti strumentali di album come The Look of Love, Live in Paris e The Girl in the Other Room. Sofisticata ed elegante al piano, uno stile distintivo e unico con una grande versatilità e spazialità, una voce intima e intensa, l’artista canadese è l’unica cantante jazz ad aver debuttato con otto album in cima alla Billboard Jazz Albums, vincendo, ad oggi, tre Grammy e otto Juno Awards per brani come All for You: A Dedication to the Nat King Cole Trio (1996), When I Look in Your Eyes (1999), The Look of Love (2001), Live in Paris (2002). La sua musica, che svela a tratti incursioni nel pop e nel rock, richiama l’influenza di grandi figure del jazz, su tutte quelle di Nat King Cole, Sarah Vaughan, Bill Evans e Ella Fitzgerald. Numerosi anche gli sconfinamenti nella settima arte, a partire dalla colonna sonora del film The Girl in the Other Room del 2004, che diventerà il suo settimo album registrato in studio. Il lavoro comprende alcune rivisitazioni di brani di Tom Waits, Mose Allison e Joni Mitchell, oltre ad alcuni inediti scritti insieme al marito Elvis Costello. E sono proprio i brani realizzati con il compagno ( Narrow Daylight, Abandoned Masquerade, I’m Coming Through, Departure Bay oltre alla title track) a connotare maggiormente l’album di sfumature emotive che valorizzano il timbro vellutato della sua voce. Krall ha anche partecipato alla colonna sonora del film Midnight in the Garden of Good and Evil di Clint Eastwood con la canzone Midnight Sun e al documentario musicale di Morgan Neville The Music of Strangers: Yo-Yo Ma and the Silk Road Ensemble, duettando con il violoncellista Yo-Yo Ma nel brano You Couldn’t Be Cuter. La musicista compare anche in Public Enemies di Michael Mann, dove fa una breve apparizione interpretando una cantante jazz degli anni ‘30 con il brano Bye Bye Blackbird, e nella serie cult degli anni ‘90 Melrose Place, dove invece realizza un cameo interpretando se stessa. Oltre al sodalizio affettivo e artistico con Costello, protagonista indiscusso della scena punk rock londinese degli anni ’70 e ‘80, Krall è riuscita a impreziosire la sua lunga carriera con altre collaborazioni eccellenti, fra cui quelle con Tony Bennett, Ray Charles e Willie Nelson. M.S.

88 music
LIVE Marillion Weekend 28, 29 aprile Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com
a
Diana Krall 30 aprile Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com

COMPOSITRICI!

FESTIVAL DI PRIMAVERA |1° APRILE – 11 MAGGIO

SABATO 1° APRILE

ORE 19.30

SCUOLA GRANDE

S. GIOVANNI EVANGELISTA

La Belle Époque

delle compositrici

Pierre Fouchenneret violino

Lise Berthaud viola

Yan Levionnois violoncello

Adam Laloum pianoforte

opere per archi e pianoforte di Strohl, Fleury, Sohy, L. Boulanger e Bonis

DOMENICA 2 APRILE

ORE 17

Racconti fantastici

Jean-Frédéric Neuburger pianoforte

Contes fantastiques di Dillon

MARTEDÌ 4 APRILE

ORE 18

Zitelle e putte.

Le sorprendenti protagoniste della musica veneziana conferenza di Valeria Palumbo

VENERDÌ 14 APRILE

ORE 19.30

Note flautate

Juliette Hurel flauto

Hélène Couvert pianoforte

opere per flauto e pianoforte di Holmès, Bonis, Grandval, Chaminade e L. Boulanger

MARTEDÌ 18 APRILE

ORE 19.30

Sottovoce

Cyrille Dubois tenore

Tristan Raës pianoforte

mélodies di Strohl, Grandval, Lemariey, Grumbach, Holmès, Damaschino, Jaëll, Chaminade...

GIOVEDÌ 27 APRILE

ORE 19.30

Quartetto romantico

Alexandre Pascal violino

Léa Hennino viola

Héloïse Luzzati violoncello

Célia Oneto Bensaid pianoforte

opere per archi e pianoforte di Grandval, Strohl e Jaëll

VENERDÌ 5 MAGGIO

ORE 19.30

Il tempo delle ambizioni

Sergej Galaktionov violino

Amedeo Cicchese violoncello

Linda Di Carlo pianoforte

opere per trio con pianoforte di Farrenc, Grandval e Chaminade

GIOVEDÌ 11 MAGGIO

ORE 19.30

Sulla corda

Johannes Gray violoncello

Anastasiya Magamedova pianoforte

opere per violoncello e pianoforte di Strohl, Renié e Jaëll

Visite guidate gratuite

Il Palazzetto Bru Zane offre ogni giovedì delle visite guidate gratuite con i seguenti orari

14.30 italiano

15.00 francese

15.30 inglese

Palazzetto Bru Zane

San Polo 2368, Venezia

+39 041 30 37 615

tickets@bru-zane.com

Biglietti 15 | 5 euro*

*studenti e minori di 30 anni

BRU-ZANE.COM

musica LIVE

So complicated Il rock maturato di Avril Lavigne

Nel 2002, a 17 anni, Avril Lavigne debutta con Let go: quasi 15 milioni di copie vendute e 8 nomination ai Grammy Awards. Segue un lungo e fortunato tour mondiale e, a distanza di nemmeno due anni, nella primavera del 2004, è la volta di Under My Skin, composto con l’aiuto della cantautrice canadese Chantal Kreviazuk.

Dopo aver debuttato come attrice, e dopo essersi sposata, Avril torna sulle sce¬ne musicali nel 2007 con The Best Damn Thing, il suo terzo lavoro di studio: l’album vende più di 4 milioni di copie e anche i successivi singoli When You’re Gone e Hot si rivelano un grande successo. Dopo quattro anni esce il nuovo lavoro discografico, Goodbye Lullaby, album intimistico della cantante che si discosta dalle forti sonorità rock del precedente: prevale la voce di Lavigne accompagnata dal suono di strumenti acustici che rende l’album più sentimentale e ricco di emozioni, la cantante continua a condividere le sue esperienze personali e la sua crescita interiore ma questa volta lo fa su un sound più scarno ed essenziale.

Tra i brani inediti che di sicuro potremo ascoltare nel concerto di Padova del 23 aprile ecco What the Hell, inno al divertimento e alla libertà, e Stop Standing There, dall’atmosfera in stile gruppi femminili primi anni ‘50. La musicista esprime poi la sua gratitudine per le persone più importanti della sua vita nel rock di Smile, esplora le dinamiche di una relazione in Push, mostra il suo lato più sensibile e vulnerabile in Wish You Were Here e trova la forza di chiudere un capitolo per passare a quello successivo nella title track Goodbye, un’intensa ballata al piano che chiude l’album, traccia preferita dall’artista per sua stessa ammissione.

Il 22 aprile il Centro d’Arte di Padova ospita un evento straordinario, con una coppia artistica proveniente dal Giappone formata dalla cantautrice Eiko Ishibashi e dal polistrumentista Jim O’Rourke, insieme per presentare il progetto Lifetime Of a Flower, in uscita il 18 aprile per Week-End Records. Ishibashi ha curato la colonna sonora del film premio Oscar 2022 come Miglior film straniero Drive My Car di Ryusuke Hamaguchi, con cui ha vinto anche il World Soundtrack Award. Decisamente d’eccezione è il ritorno sulle scene europee, dopo vent’anni di assenza, di O’Rourke, leggendario protagonista delle più varie e radicali avventure musicali, sia in proprio sia come collaboratore e produttore di nomi quali Stereolab, Sonic Youth, Wilco, Tortoise, Faust. Per questo tour il duo presenta un set totalmente incentrato sull’elettronica, arricchito dalla voce e dal flauto di Ishibashi.

La programmazione prosegue il 12 maggio al Teatro Torresino, con un doppio concerto. Nella prima parte Agnese Amico presenta il suo nuovo progetto, Alalie, reinvenzione improvvisativa condotta sul tradizionale violino norvegese hardingfele di melodie antiche legate alle memorie della sua duplice eredità culturale di famiglia (la Sicilia e il Nord Europa). A seguire, il live del duo formato dalla pianista Pak Yan Lau e dal bassista Darin Gray: i due si sono conosciuti frequentando lo stesso circolo di sperimentatori a cavallo tra improvvisazione libera, jazz ed elettronica, tra cui Akira Sakata, lo stesso O’Rourke, Chris Corsano, solo per citarne alcuni. Questo progetto è invece una novità che si sviluppa su ampi archi strutturali e coniuga con eleganza la continua sorpresa della libera improvvisazione alle suggestioni materiche della sperimentazione elettroacustica, in un gioco di rimandi e sviluppi narrativi quasi cinematografici.

91 Avril
23
www.zedlive.com Centrodarte23 22
Palazzo
www.centrodarte.it
Lavigne
aprile Kioene Arena-Padova
aprile; 12 maggio
Liviano, Teatro Torresino-Padova
RETTE INCIDENTI

classica l

TALENTO E PROFESSIONE

L’opera di una donna come Cécile

Chaminade fa di più per la reale emancipazione della donna di qualsiasi discorso

di Davide Carbone

Con sette concerti in programma a Venezia dal primo aprile all’11 maggio entra nel vivo il ciclo Compositrici! ideato da Palazzetto Bru Zane per raccontare una storia della musica assai meno nota, quella scritta dalle donne che nel XIX secolo si cimentarono in un campo principalmente maschile come la composizione. Weekend inaugurale sabato 1 aprile alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista con il concerto La Belle Époque delle compositrici e domenica 2 aprile al Palazzetto con Racconti fantastici, rispettivamente con Pierre Fouchenneret al violino, Lise Berthaud alla viola, Yan Levionnois al violoncello e Adam Laloum al pianoforte nella prima occasione, con Jean-Frédéric Neuburger al pianoforte nella seconda ad esguire un repertorio complessivo che spazia da Dillon a Boulanger, Bonis e altri. Il pubblico veneziano potrà scoprire un florilegio di musica da camera, in particolare proprio i Contes Fantastiques per pianoforte di Juliette Dillon ispirati dai racconti di Hoffman e lodati da Victor Hugo ma ormai completamente dimenticati, opere per pianoforte e flauto, strumento di predilezione di molte compositrici, e mélodies, territorio di esplorazione musicale e dei salotti artistici in cui si potevano affermare le donne.

Il noto approccio ‘parziale’ verso la storia della musica ha relegato nell’ombra una moltitudine di musicisti arbitrariamente qualificati come minori: questo è di sicuro il destino riservato alle donne, pochissime sono infatti le eccezioni sfuggite al giudizio delle epoche che ci precedono. Presentando questi nuovi modelli del passato, Palazzetto Bru Zane auspica di partecipare alla costru-

zione di un futuro più equo e più vario. Del resto, per le donne che si dedicavano alla famiglia, la maternità e l’educazione dei bambini segnavano una inevitabile rottura tra il periodo della formazione e quello dei primi passi sulla scena artistica. Le varie tappe che ogni musicista deve superare per dare prova del proprio valore venivano pertanto affrontate dalle donne con quindici o vent’anni di ritardo rispetto ai colleghi uomini. Tutte le regole, per fortuna, hanno però bisogno di eccezioni: Louise Bertin fa rappresentare, in sequenza, Le Loup-Garou all’OpéraComique (1827), Fausto al Théâtre-Italien (1831) e La Esmeralda all’Opéra di Parigi (1836). Les Deux Jaloux di Sophie Gail arriva a totalizzare 250 rappresentazioni a Parigi tra il 1813 e il 1830, diffondendosi al contempo anche nella maggior parte dei teatri francesi. Poco per volta, nella misura in cui si accederà ai loro archivi, il percorso di ogni compositrice sarà riportato alla luce e le loro partiture saranno di nuovo collocate sui leggii, liberandole finalmente dall’oscurità del pregiudizio e dall’oblio per rivelare le loro straordinarie personalità e la pluralità dei loro destini.

Compositrices. New light on French Romantic women composers è il titolo del cofanetto composto da 8 CD per Bru Zane Label uscito il 10 marzo che propone i lavori di 21 compositrici acquistabile presso il Palazzetto e disponibile in download e streaming sulle piattaforme digitali del Centre de musique romantique.

92
Compositrici! 1 aprile-11 maggio Palazzetto Bru Zane, Scuola Grande San Giovanni Evangelista bru-zane.com

With seven concerts on their schedule on an April 1—May 11 calendar, Palazzetto Bru Zane presents the core of their Compositrici! Programme, dedicated to the less-known history of female composers who, over the nineteenth century, defied male preponderance in the field of musical composition. Opening concert on Saturday, April 1 at Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, to be followed on April 2 by a date at Palazzetto. The Venetian public interested in chamber music will love the Contes Fantastiques, a long-forgotten piano set by Juliette Dillon inspired by tales by Hoffman and once praised by Victor Hugo. The Contes are a piano-and-flute arrangement, the latter instrument being particularly dear to women of the time. It is common knowledge that history of music has often been partial to a specific subset of artistic creation. Some composers have been unjustifiably relegated to the rung of ‘minor’, and unfortunately, women composers faced such discrimination. By offering to the

larger audience these models from the past, Palazzetto Bru Zane hopes to participate in the building of a more diverse, equitable future. After all, for women who dedicated themselves to family, maternity and childrearing put a large hiatus between educational years and their first steps on the artistic scene. The several stages that every musician had to go through were delayed, for women, by as much as fifteen or twenty years compared to the careers of men. All rules, though, will have exceptions: Louise Bertin presented Le Loup-Garou at Opéra-Comique (1827), Fausto at the Théâtre-Italien (1831), and La Esmeralda at the Paris Opera (1936). Le Deux Jaloux by Sophie Gail had no less than 250 runs in Paris between 1813 and 1830, as well as additional runs in most French theatres. Little by little, the career of every woman will be brought back to light and set free from the darkness of prejudice and oblivion. Compositrices. New light on French Romantic women composers is the eight-CD set published by Bru Zane Label.

93
Cecile Chaminade

classical

PALAZZETTO BRU ZANE COMPOSITRICI!

Racconti fantastici

Raccontare attraverso le note è la sfida che viene lanciata all’inizio del XIX secolo, per dimostrare che la musica può essere un linguaggio in grado di trasmettere un messaggio anche senza l’apporto delle immagini e delle parole. Nella linea dei poemi sinfonici di Franz Liszt, la giovane organista Juliette Dillon si dedica dunque a “tradurre per il pianoforte” i Racconti fantastici di E.T.A. Hoffmann. Trent’anni prima dei Contes d’Hoffmann di Offenbach, l’artista dispiega tutti i suoi talenti di improvvisatrice per ripercorrere dieci novelle, scelte tra le più note del poeta tedesco. Nel rimpiangere la morte precoce di questa musicista di talento, dovremmo anche interrogarci sulla scomparsa del suo nome dai dizionari musicologici.

Note flautate

Sottovoce

ENG

Telling stories by music means was a challenge that was taken up at the beginning of nineteenth century, anxious to demonstrate that music can be a universal language, capable of conveying a message without the need for words or images. In the wake of Franz Liszt’s symphonic poems, the young organist Juliette Dillon set about “translating for the piano” E. T. A. Hoffmann’s Fantastic Tales. Thirty years before Offenbach’s Tales of Hoffmann, she brought all her talents as an improviser into play to relate ten of the German poet’s best-known tales.

2 aprile h. 17 | Palazzetto Bru Zane

Le compositrici francesi hanno scritto molto per flauto solo. Forse per empatia verso uno strumento generalmente trascurato? O per affinità con il suo timbro, simile a quello della voce femminile? In ogni caso, nel comporre pezzi concertanti o di musica da camera per questo strumento a fiato hanno occupato uno spazio lasciato ampiamente libero dai colleghi uomini e trovano quindi nei flautisti altrettanti difensori convinti della loro arte. Con suites, sonate o pezzi di genere, Juliette Hurel e Hélène Couvert, pioniere della promozione di questo repertorio, sfogliano le pagine di Clémence de Granval, Cécile Chaminade, Mel Bonis, Augusta Holmès e Lili Boulanger per svelarne i segreti.

ENG In France women composers took a great interest in the flute as a solo instrument. In composing concertante pieces or chamber music for the instrument, they covered an area that had largely been disregarded by their male colleagues, and found in flautists strong supporters of their art. Here, Juliette Hurel and Hélène Couvert, champions of this repertoire, reveal the secrets of compositions by Clémence de Granval, Cécile Chaminade, Mel Bonis, Augusta Holmès and Lili Boulanger.

14 aprile h. 19.30 | Palazzetto Bru Zane

Si parla generalmente “del” salotto musicale come se si trattasse di uno spazio coerente, contrapposto a quelli dei teatri o delle sale da concerto. Tuttavia, dai salotti della piccola borghesia, dove si fa musica per se stessi, ai salotti aristocratici, in cui si riceve con frequenza regolare il gran mondo, questa parola indica un’intera costellazione di luoghi e pratiche artistiche. Nell’universo dei salotti regnano le donne, qui possono farsi ascoltare o anche invitare e remunerare musicisti di fama. Non ci si deve dunque stupire se i generi musicali destinati ai salotti siano quelli per cui le compositrici producono di più. Il florilegio di mélodies proposto in questo concerto ce ne dimostra il successo.

ENG We generally speak of “the musical salon” as if it were a coherent space like the theatre stage or the concert hall. But the term covers a whole constellation of places and artistic practices, from the salons of the petite bourgeoisie, where people played for their own entertainment, to those of the aristocracy, which operated on set days as an “open house”, with a regular roster of important guests and prestigious musicians. Women ruled in that world, it is not surprising, therefore, that the musical genres that prevailed in the salons featured among those in which women composers were most active.

18 aprile h. 19.30 | Palazzetto Bru Zane

94

Quartetto romantico

Il quartetto con pianoforte è saldamente in voga nella Francia della seconda parte del XIX secolo. Il genere si rifà inizialmente ai lavori di Mendelssohn e di Schumann, per poi costituire una produzione tipicamente nazionale, guidata in particolare da Camille Saint-Saëns e Gabriel Fauré. Permette di affrontare la scrittura a quattro voci in modo più flessibile di quanto non lo consenta il quartetto per archi, ossia il quartetto per eccellenza. Quando Marie Jaëll pensa di mettere da parte la propria carriera di virtuosa per dedicarsi alla composizione, si volge naturalmente al quartetto con pianoforte, che fa conoscere alla Société nationale de musique nel 1876. Rita Strohl percorre la stessa strada, componendo il suo quartetto all’età di soli vent’anni.

ENG The piano quartet was very popular in France in the second half of the nineteenth century. Initially composers were inspired by the works of Mendelssohn and Schumann, but later a typically French form emerged, under the influence of Camille Saint-Saëns and Gabriel Fauré in particular. When Marie Jaëll decided to set aside her career as a virtuoso in order to devote herself to composition, she naturally turned to the piano quartet. Rita Strohl followed suit, composing her piano quartet when she was only twenty years old.

27 aprile h. 19.30 | Palazzetto Bru Zane

Il tempo delle ambizioni

Louise Farrenc apre la strada alla generazione di compositrici successiva alla sua in diversi ambiti. Prima francese ad accedere, attraverso la sinfonia, alla Société des concerts del Conservatorio, impone il proprio nome in concerti privati e vince addirittura due volte il prestigioso Prix Chartier, con cui l’Istituto premia ogni anno i migliori brani di musica da camera. L’epoca in cui il repertorio femminile doveva rimanere confinato nella sfera privata fa ormai parte del passato, e compositrici come Clémence de Grandval e Cécile Chaminade sapranno ne sono un buon esempio. Sebbene il ricordo di queste musiciste sia progressivamente sbiadito, i trii con pianoforte di questo concerto ci ricordano le speranze di riconoscimento di cui essi si facevano portatori.

ENG In many areas, Louise Farrenc paved the way for the generation of women composers that came after her. She was the first French woman to be admitted to the Société des Concerts du Conservatoire, with a symphony, and she made a name for herself as a composer of chamber music, twice winning the prestigious Prix Chartier. Gone were the days when female composers could only produce works for private performance, and creators such as Clémence de Grandval and Cécile Chaminade made the most of that.

5 maggio h. 19.30 |

Sulla corda

La stampa del XIX secolo non è tenera con le compositrici. Quando non le si giudica incompetenti a priori, si valutano le loro opere in base a criteri di decoro femminile: devono creare pezzi piacevoli, pieni di dolcezza o di grazia. Quando qualcuna di loro sconfina nel vigore o nell’eccesso, all’incomprensione si aggiungere l’indignazione. Tuttavia, se si facessero ascoltare i pezzi per violoncello in programma in questo concerto senza indicarne gli autori, sarebbe ben difficile individuarvi una scrittura femminile. Facendo ricorso a tutta la forza espressiva dello strumento, Rita Strohl, Henriette Renié e Marie Jaëll ci incantano senza preoccuparsi di seguire le norme che sono state loro imposte.

ENG The press in the nineteenth-century was unkind to women composers. When they were not prejudged as incompetent, their works were assessed according to the criteria of feminine propriety. Yet, if one were to listen to the cello pieces presented in this concert without knowing the gender of the composers, who would imagine that they were written by women rather than men? Making full use of the instrument’s expressive powers, Rita Strohl, Henriette Renié and Marie Jaëll captivate us, regardless of the standards imposed upon them.

11 maggio h. 19.30 | Palazzetto Bru Zane

95

classical

CONCERTI L’ISOLA CHE C’È

«Con la nuova stagione dello Squero –spiega Maurizio Jacobi, Presidente di Asolo Musica – si navigherà nel grande mare della musica costeggiando tra il barocco, il classico ed il contemporaneo, esplorando anche le terre dell’innovazione e della contaminazione».

«A bordo d’acqua sul Canal Grande – conferma Federico Pupo, direttore della rassegna – ascolteremo Bach con il violoncello di Mario Brunello, il pianoforte di Gile Bae e l’Accademia Strumentale Italiana; il Quartetto di Venezia riprenderà l’integrale dei quartetti di Beethoven e un omaggio a Malipiero, nei 50 anni dalla morte; avremo l’incursione jazz di Uri Caine e una contaminazione con la poesia di Mariangela Gualtieri; Antonio Fresa ci collegherà con le Vatican Chapels dei giardini di Fondazione Cini mentre con la voce di Giulia Bolcato sbarcheremo nella Venezia del XVII secolo».

Con biglietto integrato il pubblico avrà la possibilità di visitare la Fondazione Cini, il Labirinto Borges, il Bosco con le Vatican Chapels e il Teatro Verde, autentici tesori a due passi da Piazza San Marco e affacciati su un Bacino che trasporta il visitatore in una dimensione onirica, via dalla pazza folla.

Il 13 maggio, torna protagonista il Quartetto di Venezia, dal 2017 Quartetto in Residenza alla Fondazione Cini, che prosegue il cammino nello scrigno dei capolavori beethoveniani con il Quartetto in mi minore op. 59 n. 2 “Rasumovsky”, il Quartetto in la maggiore op.18 n. 5 e la Grande Fuga in sib maggiore op. 133

Tutto si trasforma

Il 20 marzo 1762 la Nuova Veneta Gazzetta annunciò la partenza di Giambattista Tiepolo alla volta di Madrid, con l’incarico di affrescare gli spazi del Palazzo Reale. Non rivide più l’amata Venezia, la morte lo colse in Spagna otto anni più tardi. Morì nell’indifferenza se non nell’ostracismo dei più, cioè di coloro non più in grado di scorgere la grandezza dell’arte di Tiepolo, una delle ultime Api. Ne La battaglia dei libri di Jonathan Swift (1697), Esopo afferma che gli Antichi si comportavano come le api mentre i moderni si comportano, invece, come i ragni. Le Api attingono il miele e la cera da numerosi fiori, da quella materia naturale estraggono sostanze tanto essenziali alla felicità e alla saggezza umane, come la dolcezza e la luce. I ragni, all’opposto, traggono tutto da sé stessi. L’orgoglio li spinge ad ottenere dalle proprie viscere il filo impalpabile con cui fabbricano le loro tele geometriche, tranelli mortali di cui le loro prede diventano prigioniere e vittime. La Querelle des Anciens et des Modernes infiammava l’Europa intellettuale e politica. Nel 1762 i tempi progredivano sempre più celermente: Jean-Jacques Rousseau pubblicò il Contrat Social, in cui espose i fondamenti teorici della “democrazia radicale”, quasi assieme al romanzo Émile, primo mattone del naturalismo pedagogico. Era in corso la pubblicazione dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, ciclopica raccolta di informazioni e manifesto eretico di filosofia, legittimazione dell’Illuminismo. Questi furono alcuni tratti del contesto culturale in cui Christoph W. Gluck promosse la sua riforma dell’opera. Gluck rifiutò il principio edonistico della musica. Razionalista e naturalista, non poteva concepire l’Arte come un semplice, superficiale svago. Contro convenzioni oramai scadute nella didascalia effettistica, Gluck propugnò l’intensificazione emotiva nella partecipazione del pubblico all’azione drammatica tale da provocare una ‘catarsi’ analoga al Teatro greco delle origini. Orfeo ed Euridice su libretto di Ranieri de’ Calzabigi fu la prima opera creata con i nuovi criteri ed esordì nell’ottobre del 1762 al Burgtheater di Vienna. La troviamo in scena da venerdì 28 aprile al Teatro La Fenice con la direzione di Ottavio Dantone e la regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi.

Everything ENG changes

In The Battle of the Books, Jonathan Swift wrote how Aesop maintained that the Ancients worked like bees, while the Moderns work like spiders. The Bees collect matter from several flowers to make honey and wax, which are essential to happiness. Spiders, on the other hand, spin their web from within, and are the image of self-sufficiency. The Quarrel of the Ancients and the Moderns raged in political and intellectual Europe. In1762, Jean-Jacques Rousseau published his Contrat social, where he espoused the principles of ‘radical democracy’, to be followed by Émile, the manifesto of educational naturalism. Also, the Encyclopédie was being compiled by Diderot and d’Alembert – a monumental compendium of information and an instance of legitimation of the Enlightenment. Within that context, composer Christoph W. Gluck promoted his new vision on opera: music shouldn’t be hedonistic or superficial, but emotionally participative and dramatic, similar to what ancient Greek theatre had been. His opera Orpheus and Eurydice was the first that followed such new canons. We will be able to see it starting on Friday, April 28, at the Fenice Theatre in Venice.

96
Orfeo ed Euridice 28, 30 aprile; 2, 4, 6 maggio Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it Quartetto di Venezia 13 maggio Auditorium Squero-Isola di San Giorgio www.asolomusica.com

Il gesto codificato

Tre Maestri in Fenice

Nato a Dresda nel 1943, nell’ex Germania dell’Est, il direttore Hartmut Haenchen ha consolidato le sue esperienze musicali non soltanto con formazioni della DDR ma, malgrado le severe restrizioni del regime, anche con celebri compagnie occidentali, come Berliner Philharmoniker e Concertgebouw.

L’1 e il 2 aprile dirige l’Orchestra del Teatro La Fenice nell’esecuzione di un programma romantico tedesco composto dall’ouverture della Genoveva di Robert Schumann, dal Siegfried-Idyll per piccola orchestra di Richard Wagner e dalla Sinfonia n. 4 in re minore op. 120 di Schumann.

La Genoveva op. 81 è l’unica opera composta da Robert Schumann, basata su un libretto di Robert Reinick che elabora liberamente la leggenda medioevale di Genoveva di Brabante.

Il Siegfried-Idyll wwv 103 per piccola orchestra nasce invece come omaggio di Richard Wagner alla moglie Cosima: alla prima esecuzione, nella villa di Tribschen che affaccia sul Lago di Lucerna, fu presente anche Friedrich Nietzsche.

La Quarta Sinfonia in re minore op. 120, ultima del catalogo sinfonico di Robert Schumann, è fra tutte la più sperimentale, tanto in anticipo sui tempi da non essere stata pienamente apprezzata dai contemporanei.

Tra aprile e maggio i concerti della Sinfonica si rivelano un affare di famiglia: il 7 e l’8 aprile ecco Myung-Whun Chung, in un appuntamento doppio che prosegue la collaborazione instaurata ormai da diversi anni con il teatro di Campo San Fantin, stavolta con un repertorio incentrato su Mozart ( Ave verum corpus kv 618 ) e Rossini ( Stabat Mater ).

A maggio, precisamente l’8, sarà invece la volta di Min Chung, figlio d’arte sempre più affermato alla guida in quest’occasione della Orchestra Haydn di Bolzano e Trento.

ENG Born in Dresden in 1943, orchestra conductor Hartmut Haenchen consolidate his musical career not only in his country of East Germany, but, despite the restrictions imposed by its rulers, also in western formations such as the Berliner Philharmoniker and the Concertgebouw. On April 1 and 2, Haenchen will conduct the Fenice’s resident orchestra in a German Romantic programme that includes the overture of Schumann’s Genoveva and pieces from Wagner’s Siegfried-Idyll and Schumann’s fourth symphony in E-. The latter is, in its author’s oeuvre, the most experimental and ahead of its time, so much so that it hadn’t been appreciated fully as it came out. Between April and May, the Fenice’s old friend Myung-Whun Chung will delight us with some good Mozart (Ave verum corpus KV 618 ) and Rossini (Stabat Mater ). On May 8, his son Min Chung will conduct the Haydn Orchestra.

Stagione sinfonica 2022-2023

1, 2, 7, 8 aprile; 8 maggio Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it

Direttore associato della Tokyo Philharmonic Orchestra, Min Chung è stato recentemente invitato a dirigere partiture di Rachmaninov e Tchaikowsky dalla Hangshou Philharmonic in Cina e una prima mondiale del compositore coreano M. W. Choi con la Daegu Mbc Orchestra. Nato nel 1984 a Saarbrücken, Germania, Min Chung ha studiato pianoforte, contrabbasso e violino. Dopo il diploma al Conservatorio di Parigi ha studiato alla Seoul National University, perfezionandosi in direzione d’orchestra con il padre Myung-Whun Chung. Ha debuttato nella lirica al Korean National Opera di Seoul dirigendo Madama Butterfly di Puccini ed è stato subito reinvitato per Bohème di Puccini e La Traviata di Verdi, stessa opera con cui nel marzo 2013 ha debuttato in in Italia al Teatro Politeama Greco di Lecce. Reinvitato dalla Tokyo Philharmonic Orchestra per un concerto dedicato a Tchaikowsky ( Concerto per pianoforte e Sinfonia n. 5 ) ne è stato nominato direttore associato nel 2014. A Seoul con la Ditto Festival Orchestra ha diretto concerti dedicati a Brahms ( Concerto per violino e Sinfonia n. 1) e, nel mese di maggio 2014, Don Carlo di Verdi alla National Opera di Seoul. Nell’agosto 2015 è tornato in Italia per dirigere al Festival della Valle d’Itria il Concerto per violino di Mendelssohn (solista Pavel Berman) e con la Orchestra Haydn di Trento e Bolzano cinque concerti con musiche di Strawinsky, Bartók e Haydn.

Proprio con la stessa Orchestra è protagonista l’8 maggio alla Fenice, con musiche di Bartholdy e Brahms.

97 TALE FIGLIO

classical RASSEGNE

Pubbliche virtù

Ideata dal Direttore Artistico dell’Associazione Amici della Musica di Mestre, Mario Brunello, la trentasettesima Stagione di musica da camera del Teatro Toniolo comprende 12 concerti di grande levatura con artisti e formazioni musicali di fama internazionale, insieme a giovanissimi talenti che si stanno imponendo sulla scena musicale, protagonisti della grande novità della rassegna, il ciclo intitolato 6 suonato? Stagione giovane per la quale il pubblico dovrà spostarsi al Teatro del Parco Albanese. Proprio qui il 15 inizia la programmazione di aprile con Bacharo Tour, concerto-lezione in compagnia di Alessandro Cappelletto al violino, Francesco Lovato alla viola, Federico Toffano al violoncello e lo storico della musica Mauro Masiero: al centro della loro esibizione, quella miniera d’oro musicale e storica che sono le Variazioni Goldberg di Bach.

Il 18 aprile si torna al Toniolo con Vikram Sedona, virtuoso nato a Treviso nel 2000 impegnato in musiche di Bach, Paganini ed Enescu tra gli altri. Vincitore del Concorso di Violino Città di Vittorio Veneto 2021, ha partecipato a importanti festival internazionali come il Festival de Radio France Occitanie Montpellier e il Festival George Enescu di Bucarest.

Divagazione operistica il 2 maggio con Histoire du soldat di Stravinskij, assieme agli Strumentisti dell’Orchestra del Teatro La Fenice diretti da Alessandro Cappelletto, con regia di Francesco Bortolozzo, capace nell’adattare alla scena il libretto di CharlesFerdinand Ramuz.

Il 5 maggio il recupero di uno tra i concerti più attesi della Stagione, saltato a gennaio per indisposizione dell’artista, quello il pianista Alexander Gadjiev, Premio Venezia nel 2013. Ritenuto uno dei pianisti più affermati sulla scena mondiale, Gadjiev esegue i Sei Preludi dall’op. 28 dell’amato Chopin, Fantasia in do maggiore op. 17 di Robert Schumann, Tre Preludi di Claude Debussy e la celebre composizione Quadri di una esposizione di Modest Musorgskij.

Il 7 maggio, fuori abbonamento, la Giovane Orchestra Metropolitana diretta da Pierlugi Piran offre al pubblico un concerto a conclusione dell’ottava edizione dei laboratori d’orchestra per studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado della Città metropolitana di Venezia.

Note da un labirinto

Prosegue la rassegna Musikàmera ospitata dal Teatro La Fenice. Sono cinque gli appuntamenti di aprile, incluso un anticipo di maggio, mercoledì 3 con il Quartetto di Cremona impegnato in un concerto dedicato al Novecento storico italiano, in collaborazione con l’Archivio Musicale Guido Alberto Fano.

Acclamato da pubblico, critica e stampa, definito “uno dei pensatori più originali della sua generazione” il pianista Federico Colli è ospite il 3 e 4 aprile, con un concerto che spazia dalle fantasie di Mozart e Schubert alle ‘visioni’ e alle fiabe musicali di Prokof’ev. Un gradito ritorno il 16 e 17 aprile è quello del berlinese Atos Trio, per proseguire l’esecuzione l’integrale dei Trii di Mendelssohn, Schumann e Brahms iniziata nel 2022. Spazio poi al Rinascimento e all’epoca barocca, con due concerti dedicati alla musica vocale e strumentale italiana di fine Cinquecento e inizio Seicento. Francesca Torelli, virtuosa degli antichi strumenti europei della famiglia de liuto, domenica 23 aprile, con il concerto A tiorba sola da Roma a Parigi, eseguirà un repertorio di musica per italiana e francese, con brani di Kapsberger, Piccinini, Robert De Visée e Marin Marais, tra gli altri.

Il quartetto belga Scherzi Musicali propone invece Labirinto d’amore, primo concerto ad essere annullato a febbraio 2020 per la pandemia, finalmente recuperato il 27 aprile. Il programma prevede l’esecuzione di alcune arie da camera del Cinquecento e del Seicento di importanti compositori italiani, come Giulio Caccini e le figlie Settimia e Francesca, Giovanni Felice Sances e, soprattutto, Claudio Monteverdi, il più geniale compositore del Seicento italiano, tracciando un sintetico excursus musicale che copre quattro decenni caratterizzati dall’affascinante nascita della “nuova musica”.

ENG Chamber music programme Musikàmera, at Fenice, lists five concerts in May. Pianist Federico Colli (“one of the most original thinkers of his generation”) will perform on April 3 and 4 with music by Mozart, Schubert, and Prokofiev. A well-appreciated comeback is Atos Trio’s, from Berlin, who will be in town on April 16 and 17 to perform, in their entirety, trios by Mendelssohn, Schumann, and Brahms. On to Renaissance and Baroque music – two concerts of Italian music of the time: on April 23, historical instrument virtuoso Francesca Torelli will perform pieces by Kapsberger, Piccinini, Robert De Visée, Marin Marais, and others. Belgian quartet Scherzi Musicali will play chamber music from the 1500s and 1600s: Giulio, Settimia, and Francesca Caccini, Giovanni Felice Sances, and, above all, Claudio Monteverdi, the genius composer who revolutionized music forever.

4; 16, 17, 23, 27 aprile; 3 maggio Teatro La Fenice, Sale Apollinee www.musikamera.org

98
37. Stagione di musica da camera 15 aprile Teatro del Parco 18 aprile; 2, 5,
Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo
7 maggio
Musikàmera 3,

Meravigliose macchine di giubilo

Sin dal XVI secolo, Venezia si caratterizza come la città più ‘musicale’ d’Italia. Non tanto per l’esercizio di un monopolio sui migliori musicisti attivi nella Penisola, quanto piuttosto per alcuni aspetti rientranti nella quotidianità della vita musicale: la massiccia diffusione, senza paralleli a livello europeo, della consuetudine del far musica nelle istituzioni ecclesiastiche e laiche, di Stato e non, e negli ambienti domestici tanto nobiliari, quanto di media o più bassa estrazione sociale. Un altro aspetto sovente trascurato è la ricchezza del patrimonio organario, tuttora presente in città e la conseguente possibilità di offrire al pubblico splendide esecuzioni in altrettanto magnifiche chiese veneziane.

L’idea di organizzare un ciclo di concerti d’organo nella centralissima Chiesa di San Salvador arriva da una prestigiosa istituzione musicale con sede a Roma La Cantoria presso la chiesa di Santa Maria in Campitelli che in Laguna mantiene da sempre salde radici. Echi d’organo in cantoria con la direzione artistica del maestro Massimo Bisson propone tra maggio e giugno nella bellissima chiesa cinquecentesca – dotata di un prestigioso organo Ahrend in stile rinascimentale veneziano – cinque concerti all’insegna della riscoperta del repertorio rinascimentale e del primo barocco europeo. San Salvador rappresenta il contesto perfetto in cui ascoltare musica, sia per la bellezza e la capienza dei suoi spazi, sia per la splendida acustica, elogiata anche dal grande architetto vicentino Vincenzo Scamozzi (1548-1616) nel suo celebre trattato L’idea dell’architettura universale. Primo appuntamento fissato per il 14 maggio con Amarilli Voltolina all’organo e la partecipazione del Coro di Canto medievale del Concentus Musicus Patavinus. A seguire nelle successive domeniche fino all’11 giugno si alternano all’organo i maestri Massimo Bisson il 21 maggio, Felix Marangoni il 28 maggio, Devid Pavanati con il Coro di Canto medievale del Concentus Musicus Patavinus il 4 giugno e a chiudere Nicola Lamon. F.M. ENG Venice has been known as Italy’s most ‘musical’ city since the sixteenth century, not as much for a status of monopoly on the best Italian musicians of the time as much as for the local habit – unparalleled in Europe – of making music in every place of gathering, religious or not, and in private homes of any social class. Also, Venetian churches have and maintain an incredible array of organs. Echi d’organo in cantoria, is a programme directed by Massimo Bisson that will take advantage of the organ at the San Salvador Church, a majestic Ahrend instrument in Venetian Renaissance style. The programme lists five concerts of Renaissance and early Baroque music. San Salvador Church is the perfect venue for this kind of music: it is large and beautiful, and boasts excellent acoustics. The first concert will take place on May 14, starring Amarilli Voltolina at the organ and the participation of the medieval chorus Concentus Musicus Patavinus. Following dates are May 21, May 28, June 4, and June 11.

FESTIVAL DI PRIMAVERA 1° APRILE – 11 MAGGIO

CONCERTO D’INAUGURAZIONE

SABATO 1° APRILE ORE 19.30

SCUOLA GRANDE

SAN GIOVANNI EVANGELISTA

La Belle Époque

delle compositrici

Opere per archi e pianoforte di STROHL, FLEURY, SOHY, L. BOULANGER e BONIS

Pierre Fouchenneret violino

Lise Berthaud viola

Yan Levionnois violoncello

Adam Laloum pianoforte

Un brindisi sarà offerto a fine concerto

Biglietti da 5 a 15 euro tickets@bru-zane.com

COMPOSITRICI!
BRU-ZANE.COM
Echi d’organo in cantoria Dal 14 maggio Chiesa di San Salvador www.lacantoriacampitelli.it

IL CUORE E L’ASTUZIA

Per le Commedie convien prendere i caratteri della Natura, e gli argomenti dalla Favola, piuttosto che dall’Istoria

Carlo Goldoni

100 t h eatro

I DUELLANTI

Un curioso accidente del 1760 è una delle commedie scritte da Carlo Goldoni prima della partenza per Parigi. Non ha mai goduto di grande fortuna ai suoi tempi, vuoi per l’ambientazione insolita, l’Olanda, vuoi per la concomitante Trilogia della villeggiatura. Il critico Paolo Bosisio vi vede una «analisi impietosa della società borghese di allora». Eppure è una delle sue opere più tradotte e presenta vari elementi di novità, primo fra tutti la presenza di una giovane donna intelligente e intraprendente in un ruolo da protagonista. L’avvio è con una classica strizzata d’occhio al pubblico: Marianna, la cameriera, entra e chiede al servitore del giovane tenente se può dargli il buongiorno; questi risponde con malvezzo maschile: «Sì, amabile Marianna, da voi mi è caro il buon giorno, ma mi sarebbe più cara la buona notte». La trama è una classica rappresentazione di equivoci, di amori incrociati non sempre corrisposti, di giovani e anziani, ma la Commedia dell’arte non trova posto in un ambiente di sentimenti, aspirazioni e piccolezze tipicamente borghesi. Per la verità un elemento tradizionale è molto ben presente, il multiplo matrimonio finale, che tanto piaceva al pubblico di allora. Un giovane e avvenente tenente francese Monsieur de la Cotterie, ferito in guerra, è ospite di Filiberto, ricco mercante. È innamorato, ricambiato, di sua figlia Giannina. Per stornare i sospetti, Giannina racconta al padre che il giovane tenente è innamorato di Costanza, figlia di un ricco finanziere. A sua volta Costanza è convinta che de la Cotterie sia veramente invaghito di lei. Gli equivoci si moltiplicano vorticosamente, ma il finale per i giovani innamorati, padroni e servi, è a buon fine. L’attuale messa in scena è una nuova produzione del Teatro Stabile del Veneto, sempre più attivo nel produrre teatro nel suo quattrocentesimo anno di vita. La regia è stata affidata ad un personaggio scomodo e dibattuto, Rimas Tuminas. Nato in Lituania, con un Conservatorio musicale alle spalle, è stato direttore dello State Academic Theatre of Lituania a Vilnius dal 1994 al 1998. Di quel periodo Edipo re di Sofocle e Riccardo III di Shakespeare sono le sue creazioni più celebri. Dal 2007 è invece direttore artistico del Vakhtangov Theatre di Mosca, che ha saputo portare a nuovi fasti dopo un periodo di declino. È molto conosciuto in Italia grazie a una costante rappresentazione delle sue opere, da Edipo a Colono nel 2019 fino all’ultimo Spettri di Ibsen che abbiamo visto al Teatro Goldoni nel febbraio 2022. Proprio Spettri ha suscitato reazioni contrastanti, sia per i tagli al testo sia per una certa sobrietà nella rappresentazione e per i tempi di pausa nella recitazione. Ma prevalenti sono stati i commenti positivi, che hanno apprezzato il minimalismo della messa in scena e la cura dei dettagli. Anche in Russia dove Tuminas ha in cartellone al Bolshoi dal 2018 La Dama di picche di Ciajkovskij, basato sull’omonimo racconto di Puskin (sfida peraltro difficilissima dopo le longeve performance di Leonid Baratov e le riprese di Boris Pokrovsky durate 59 anni) l’ambiente scenico è minimalista: mura grigie, tavoli, sedie, grigi colonnati. Sembra quasi che il regista abbia voluto ritirarsi di fronte alla grandezza di Ciajkovskij lasciando spazio a una messa in scena di pura ordinarietà, dove a sorprendere devono essere musicisti e cantanti. Ne parlano entusiasti i suoi attori: Serghej Makovezkij, che personalmente stimo molto, durante le riprese di Zio Vanja sosteneva che mai aveva trovato un intellettuale che sapesse così profondamente comprendere i classici russi e capace al contempo, vestiti i panni di regista, di mirabilmente restituire la giusta battuta agli attori per rendere al meglio l’atmosfera voluta dall’autore.

Ma ora si presenta una sfida difficile, la ripresa di Un curioso accidente, soprattutto quando proposto a un pubblico veneziano, abituato a frizzi, arguzie e ai tempi veloci di Goldoni.

Un curioso accidente

20-23 aprile Teatro Malibran

www.teatrostabileveneto.it

Nel Settecento a Venezia, mentre il potere economico e politico della Serenissima è in innegabile declino, ferve l’attività industriale, artigianale e artistica, con la nobiltà che investe in numerose e fiorenti imprese artistiche, tra cui anche i teatri. Sono teatri pubblici, dove chiunque può assistere agli spettacoli dietro pagamento di un biglietto, dai nobili ai servitori. Mentre a Roma o a Firenze, il teatro è frequentato solo dall’élite aristocratica, a Venezia l’attività teatrale riflette i gusti dell’intera società e proprietari e impresari lottano per accaparrarsi il più vasto pubblico possibile. In questo stimolante contesto s’inserisce la nota rivalità tra i due più eccellenti drammaturghi veneziani dell’epoca: Carlo Goldoni, autore della Riforma che si lascia alle spalle le maschere della Commedia dell’Arte e i suoi canovacci per un teatro più strutturato che volge al realismo, e il suo più acerrimo rivale, Carlo Gozzi, che gli si oppone strenuamente con le sue fantastiche Fiabe. Un duello tra autori che rende ancora più viva e attiva la vita teatrale a Venezia, perché tanto maggiore è lo scandalo e la polemica, tanto più la gente si interessa dei problemi del buon teatro. Pensato in quattro episodi, lo spettacolo Gran Cabaret Carlo e Carlo, in scena a Palazzo Grimani il 20, il 27 aprile e il 4 maggio – la prima puntata è “andata in onda” il 30 marzo – ci riporta ai fasti e ai lazzi del teatro veneziano del Settecento, facendo rivivere l’appassionante disfida tra i “Carli” più illustri della città. I due drammaturghi sono impegnati a scrivere testi di addio alla scena per la primattrice della compagnia del Teatro di San Luca – antico nome del Teatro Goldoni – con cui entrambi lavoravano. Erano seduzioni per il pubblico, in cui le commedianti (come i caratteri magnifici di Ortensia e Deianira ne La locandiera ) facevano di tutto per tirare l’applauso, dichiarando le proprie bellezze, ma anche i difetti, le malattie, gli errori, chiedendo compassione al pubblico eletto dei veneziani, giudice tra i più spietati dell’arte scenica. Da qui nasce lo spettacolo ideato da Luca Scarlini per le celebrazioni dei 400 anni del Teatro Goldoni, con testi di Goldoni e Gozzi, interpretati da Anna De Franceschi e da Maria Grazia Mandruzzato, con Riccardo Favero al clavicembalo per accompagnare canzoni d’epoca, brani di Galuppi e di altri compositori lagunari. C.S.

101
Gran Cabaret Carlo e Carlo 20, 27 aprile; 4 maggio Palazzo Grimani www.teatrostabileveneto.it

theatro

TEATRO CA’ FOSCARI ASHES

6 aprile h. 20

19 aprile h. 20

TEATRO PICCOLO ARSENALE METAMORPHOSES

13, 14 maggio h. 20

Tra le compagnie più interessanti del panorama nazionale, la romana Muta Imago, guidata dalla regista Claudia Sorace e dal dramaturg e sound designer Riccardo Fazi, è ospite di Asteroide Amor con lo spettacolo Ashes, liberamente ispirato alle Tre Sorelle di Cechov, che nel 2022 ha ottenuto il Premio Ubu come Miglior progetto sonoro.

Nel testo di Cechov la storia di una casa e delle persone che la abitano viene presentata attraverso continui spostamenti e accostamenti temporali: gli eventi si susseguono solo apparentemente in maniera lineare, mentre tutto sembra accadere nello stesso tempo. Ashes è il tentativo di tradurre l’universo suggerito dal testo teatrale in termini sonori. Come in una partitura d’orchestra, i suoni che attraversano il racconto prendono vita attraverso le voci e i corpi dei cinque performer. Il materiale di Cechov affiora, esploso, disperso, da un continuum sonoro che immagina e sogna il racconto di un punto fermo nello spazio ma in continuo movimento nel tempo.

In Ashes la vita scorre inesorabile e inarrestabile di fronte allo sguardo del pubblico, che si ritrova immerso in una nebbia sonora fatta di frammenti dispersi. Un universo che chiede di essere interpretato, alla ricerca di un possibile disegno nascosto che possa tenere tutto insieme e unisca ciò che sembra lontano.

Classe 1988, scozzese di stanza ad Amsterdam, la compositrice e performer Genevieve Murphy ha sempre coltivato un interesse per la psicologia e la disabilità, per le relazioni e i legami emotivi.

I Don’t Want To Be An Individual All On My Own è una ricerca di contatto autentico in un mondo profondamente individualista, che indaga il potere dell’empatia raccontando le impressioni potenti ma inevitabilmente incomplete di un ricordo di infanzia. Siamo nel giardino di casa, dove Genevieve festeggia l’ottavo compleanno insieme alla mamma, con amici e familiari. Nel corso della giornata si delineano diversi coloriti personaggi, mentre la piccola Genevieve si muove tra il suo mondo infantile e quello degli adulti. Scopriamo le persone che la circondano mentre lei stessa le vede per la prima volta sotto una nuova luce quel giorno, rendendosi conto della complessità e della stranezza di tutti coloro che fanno parte della sua vita. La curiosità e la paura diventano i segni di un nuovo modo di vivere il mondo.Raccontando una storia personale attraverso una narrazione coinvolgente, fatta di musica pop, parole e sculture sonore, la performer invita il pubblico ad ascoltare il paesaggio sonoro della sua mente, sperando che questo ascolto possa favorire un dialogo con i suoi pensieri.

Autrice teatrale, regista, sceneggiatrice e musicista cilena di fama internazionale, Manuela Infante da anni indaga i confini tra l’umano e il non umano per poterli abbattere in un teatro non-antropocentrico. Con il KVS di Bruxelles ha prodotto Metamorphoses, uno spettacolo che parte da Ovidio e si chiede se la voce sia una prerogativa esclusivamente umana. Scritto duemila anni fa, le Metamorfosi è un capolavoro pieno di mistero, ma allo stesso tempo anche un libro in cui donne e ninfe vengono inseguite dagli uomini, perdono la voce e si trasformano in pietre, acqua, animali... Il punto di partenza del pezzo di Manuela Infante è una domanda: come si produce il concetto di “umano” in queste storie? Perché la natura è un territorio separato e perché le donne sono così facilmente espulse in questa alterità o natura selvaggia? Inventando un’alterità e associandovi le donne, l’“umano” viene delimitato come un luogo privilegiato per gli uomini. Queste stesse distinzioni non sono forse alla base delle argomentazioni degli uomini per permettere di categorizzare e quindi colonizzare per sfruttare o appropriarsi? Infante crea un paesaggio sonoro incantato in cui la voce è una materia più che umana: è cosa presa in prestito dal vento, che intreccia esseri umani e non-umani in infiniti ventriloquismi, ritornelli ed echi interminabili, senza mai appartenere completamente a nessuno.

103
www.unive.it/asteroideamor
TEATRO CA’ FOSCARI ASTEROIDE AMOR
Questi spettacoli sono occasioni preziose per offrire allo spettatore un’esperienza insieme sensoriale ed emotiva attorno a temi cogenti, oltre che per stimolare riflessioni. La speranza è che possano contribuire a farci affrontare con più consapevolezza e collettivamente il futuro
Susanne Franco (vedi p. 8)
TEATRO CA’ FOSCARI I DON’T WANT TO BE AN INDIVIDUAL ALL ON MY OWN
© Joanna Piotrowska © Bas de Brouwer © KVS

theatro

Lo spazio magico La rivoluzione dietro le quinte di Mischa Scandella

Mettere in mostra il teatro sembra un’operazione che diminuisce la portata della vera natura dell’espressione dal vivo, ma in un percorso di conoscenza, approfondimento e valorizzazione un’esposizione aiuta a fissare nella giusta prospettiva la portata di figure fondamentali nella definizione della scena, pur rimanendo dietro le quinte. Diventano così non solo mostre, ma veri e propri omaggi. Ne è un esempio significativo La scena magica. L’arte teatrale di Mischa Scandella, prodotta dall’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini, diretto da Maria Ida Biggi, qui in veste di curatrice, in collaborazione con i docenti della Scuola di Scenografia e Costume dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, Nicola Bruschi e Lorenzo Cutùli, che hanno ideato e costruito con gli studenti l’efficace allestimento negli spazi del Magazzino del Sale 3. La mostra, come ricorda il titolo, è dedicata all’opera dello scenografo e costumista di origine veneziana Mario Scandella (Venezia, 1921– Roma, 1982) – detto Mischa dai tempi dell’esperienza partigiana – , artista visionario, audace e stravagante, aperto alle sperimentazioni più singolari declinate negli anni dal teatro di prosa alla lirica, fino alla televisione.

Una vita dedicata all’arte, che Scandella inaugura nel 1945 fondando a Venezia, nel fervore culturale post-bellico, tra i teatri universitari insieme a un gruppo di intellettuali, tra cui Ferruccio Bortoluzzi, Arnaldo Momo, Arnaldo Pizzinato, Giovanni Poli ed Emilio Vedova, l’associazione culturale L’Arco, punto di riferimento nella sperimentazione artistica multidisciplinare d’avanguardia. Si afferma ben presto a livello nazionale arrivando a lavorare per i maggiori enti lirici italiani, tra cui il Teatro Regio di Torino, il Teatro La Fenice di Venezia, l’Opera di Roma, il Maggio Musicale Fiorentino e collaborando con i maggiori registi suoi contemporanei: Bragaglia, de Bosio, Fersen, Gassman, Momo, Poli, Scharoff, Strehler. Negli anni Sessanta lavora poi per la televisione in collaborazione con la Rai, dove porta allestimenti scenici all’avanguardia e costumi astratti, suggestivi, mai visti prima.

Il percorso espositivo si articola tra bozzetti e figurini originali accompagnati da locandine, fotografie e lettere autografe, provenienti dall’Archivio Scandella conservato grazie alla generosità del figlio Giovanni presso l’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini. Dai magazzini storici del Teatro dell’Opera di Roma, provengono alcuni costumi per il Mefistofele di Arrigo Boito, rappresentato alle Terme di Caracalla per la Stagione Lirica Estiva nel 1970, e da La Biennale di Venezia, ASAC – Archivio Storico delle Arti Contemporanee, alcuni bozzetti per spettacoli rappresentati nel contesto dei Festival di Prosa. M.M.

Space for ENG magic

To stage theatre means more than to put up a live performance: it means to produce an art exhibition in itself, and an homage, too. One example is La scena magica. L’arte teatrale di Mischa Scandella, produced by Fondazione Giorgio Cini in cooperation with the Venice Academy of Fine Arts. Faculty and students at the Academy worked in and on the spaces at Magazzino del Sale and dedicated their production to Venetian scenographer and costume designer Mario Scandella (1921–1982).

A daring, extravagant, visionary artist, Misha (his nom de guerre at the time of the Partisan Uprising that ended Nazi-Fascist rule in Italy) worked in prose theatre, opera, and television. The exhibition comprises sketches, figurines, posters, and letters from the Archivio Scandella, maintained by Mario’s son Giovanni. The Rome Opera Theatre loaned costumes once used for Arrigo Boito’s Mefistofeles in the summer of 1970, while other sketches are on loan from the Biennale.

104
IN SCENA
La scena magica. L’arte teatrale di Mischa Scandella Fino 28 aprile Magazzino del Sale 3 Accademia di Belle Arti di Venezia www.cini.it

Spifferi letali

Si avvia verso la conclusione la Stagione teatrale del Toniolo di Mestre, che nel corso di questi mesi ha ospitato molti volti noti al grande pubblico, da Stefano Accorsi a Giuliana De Sio, da Giorgio Pasotti ad Anna Foglietta. Il 5 e il 6 aprile è il turno di Chiara Francini, in scena insieme ad Alessandro Federico con un grande classico del teatro italiano, Coppia aperta quasi spalancata, scritto da Franca Rame e Dario Fo nel 1982. Lo spettacolo, che ad oggi conta circa 700 produzioni in tutto il mondo, racconta la storia di Antonia, moglie tradita, che pur di rimanere accanto al marito accetta le sue continue relazioni extraconiugali compiute in nome della “coppia aperta” tanto in voga all’epoca. Arriva però il momento in cui, al limite della sopportazione, Antonia lascia il marito e scopre di essere ancora giovane, avvenente, desiderabile. Sai che questa coppia aperta non è poi così male? Con verve e ritmo, tra dialoghi e monologhi, Franca Rame ha raccontato la tragicomica storia di una coppia figlia del Sessantotto e del mutamento della coscienza civile, quando le riforme legislative degli anni Settanta assestano un notevole colpo al matrimonio borghese. Francini – già qualche anno fa in scena con uno spettacolo a due che scavava nelle dinamiche di coppia, insieme a Raoul Bova – e Federico, diretti da Alessandro Tedeschi, portano in scena un testo attualizzato in alcune parti ma che resta nella sostanza fedele all’originale nel raccontare le differenze tra psicologia maschile e femminile e l’insofferenza alla monogamia. Uno spettacolo divertente, con il godibile ritmo della sit-com.

Eloquentissimi silenzi Il fascino del male

Come possono le parole “non dette”, i silenzi o le intonazioni ambigue creare malintesi e persino rovinare amicizie? La risposta in una commedia in cui la protagonista è proprio la forza – o l’assenza –delle parole che costruisce ragnatele delicate e complesse. Pour un oui ou pour un non è lo spettacolo in scena al Teatro Toniolo da giovedì 13 aprile a domenica 16 aprile. Difficile tradurre questo titolo francese in italiano. È più semplice immaginare, anche visivamente, quel nulla, come uno spazio che in qualche modo può cambiare tutto, provocare lacerazioni e ferite insanabili. Il nonnulla è il leitmotiv di questa commedia, scritta da Nathalie Sarraute, una delle più importanti scrittrici francesi della seconda metà del Novecento. Un’opera che si dipana tra teatro dell’assurdo e teatro del quotidiano e che diventa un raffinato banco di prova per Umberto Orsini e Franco Branciaroli. I due attori si ritrovano sulla scena dopo tanti anni per dare vita, con la loro abilità, al terribile gioco al massacro che la commedia racconta. Due amici che si ritrovano dopo un non motivato distacco, si interrogano sulle ragioni della loro separazione e scoprono che sono stati i silenzi tra le parole dette e soprattutto le ambiguità delle “intonazioni” a deformare la loro comunicazione aprendola a significati variati. Ogni intonazione può essere variamente interpretata dalla disposizione d’animo di chi l’ascolta. A guidare questo gioco, uno dei maestri indiscussi del teatro, Pier Luigi Pizzi, che ritorna al suo antico amore per la prosa. Katia Amoroso

In scena al Teatro Verdi di Padova dal 10 al 14 maggio il Riccardo III ipercontemporaneo della regista ungherese Kriszta Székely, nell’adattamento firmato da Ármin Szabó-Székely e prodotto dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano, Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale. Riccardo III – magistralmente interpretato da Paolo Pierobon – è il tiranno, il cattivo di sempre, un «obliquo, perfido e traditore», per sua stessa lucida ammissione. Da qui prende le mosse una riscrittura attualissima, ironica, affilata, una satira feroce e sanguinaria che trasforma l’usurpatore, il congiurante fratricida, in un leader, un dittatore a caccia di consensi che sfrutta i social media per gettare fango sugli avversari e avanzare nella scalata al potere senza scrupoli o morale alcuna. Kriszta Székely s’interroga sul suo personaggio nelle note di regia: «Io lo conosco? È lui che governa il mio Paese? È il politico che ieri sera in televisione ha parlato della guerra con le lacrime agli occhi, e domani ne farà scoppiare una con un’espressione impassibile? O è un membro senza volto di quelle Fondazioni che accumulano miliardi? O è il mio stesso capo, che dirige l’azienda in cui lavoro? […] Non sarò mica io, Riccardo III?». In una messinscena patinata, chiassosa e strillata come un talk show televisivo questo Riccardo III tecnologico e provocatorio, con il suo talento seduttivo, non fa che riflettere una malvagità che riconosciamo in tutti noi, che accettiamo di guardare il male che accade restando ad osservare, immobili. C.S.

105 Coppia aperta quasi spalancata 5, 6 aprile Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it Pour un oui ou pour un non 13-16 aprile Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it Riccardo III 10-14 maggio Teatro Verdi-Padova www.teatrostabileveneto.it
Photo Amati Bracciardi

theatro

Verità sommerse Quando spunta la luna

Ultime battute per l’edizione numero due di youTHeater, la Stagione di eventi, musica, danza, teatro, residenze e matinée dedicata ai giovani e ospitata al Teatro del Parco della Bissuola. La direzione artistica delle associazioni Farmacia Zooè, Macaco e Live Arts Cultures ha elaborato una proposta di spettacoli super contemporanea che affronta il tema dell’identità plurale, superando il “chi sono io?” per arrivare a discutere dell’Io dentro alla natura sociale ed evolutiva dell’essere umano. Sabato 29 aprile la stagione di prosa si conclude con Onirica, progetto finalista alla Biennale College Teatro di Venezia del 2020 per registi under 30. Giulia Odetto e Antonio Careddu firmano la drammaturgia di uno spettacolo a cavallo tra teatro, danza, performance e installazione, concepito per avvicinare lo spettatore ad uno stato di percezione in cui la logica perde forza e l’esperienza è simile a quella che si prova durante un sogno, tra libere associazioni, rimandi e ricostruzioni. La storia è quella di Maya, tormentata dai propri sogni, spesso incapace di distinguere il sonno dalla veglia, e a portarla in scena sono Daniele Giacometti, Camille Guichard, Andrea Triaca e Beatrice Vecchione. Attraversando sogni ricorrenti e riuscendo a mantenersi lucida durante essi, Maya riuscirà ad avere potere conscio sul suo mondo onirico, arrivando a modificarlo. Il 20 maggio è Ambra Senatore, performer e coreografa, direttrice del Centre Chorégraphique National de Nantes, a chiudere la stagione di danza con A posto, una coreografia costruita in collaborazione con Caterina Basso e Claudia Catarzi, sul palco insieme a lei. Tre donne entrano ed escono dal palco, i loro occhi esplorano lo spazio alla ricerca di qualcosa o qualcuno. Tutto sembra loro sfuggire, gli stessi gesti, gli oggetti che scorrono via, rotolano o affondano. Un tableau pieno di freschezza tutto giocato sul crinale tra realtà e finzione, che scivola progressivamente verso il drammatico, costruito come un film le cui scene strane e misteriose si ricombinano continuamente. Alla base della poetica di Senatore c’è la quotidianità «osservata attraverso una lente d’ingrandimento» che lei sposta, capovolge, finché il gesto diventa romanzato, finché la danza diventa teatrale. In questa coreografia, con la cifra del black humor, ci offre uno sguardo giocoso e insieme amaro sulla natura umana. Per tutti gli spettacoli l’ingresso è libero con prenotazione obbligatoria su Eventbrite. Livia Sartori di Borgoricco

Un viaggio a passi di danza nella Spagna, che attraversa repertori diversi abbattendo le frontiere: dal neoclassico al flamenco, uno spettacolo in cui virtuosismo e liricità raggiungono livelli vertiginosi. Il 18 aprile al Teatro Mario del Monaco di Treviso approda A night with Sergio Bernal, uno spettacolo ispirato alla cultura iberica e al misterioso mondo gitano. La direzione artistica è affidata a Ricardo Cue, che firma anche diverse coreografie originali presenti nell’opera: The Last Encounter sulle note del film Hable con ella di Alberto Iglesias e l’assolo del Cigno di Camille Saint-Saëns, interpretato da Sergio Bernal. In programma un’inedita versione del vorticoso Bolero di Maurice Ravel e il celebre Zapateado creato da Antonio Ruiz Soler sulla musica di Pablo de Sarasate. Un appassionante mix di ritmi e passi crea un visionario racconto intriso della tradizione spagnola, dell’eleganza della danza classica e dell’energia del flamenco, simbolo della cultura gitana. Il protagonista è Sergio Bernal, étoile spagnolo divenuto oggi la star internazionale che ha saputo unire la passione per il flamenco con la tecnica e l’eleganza della danza classica. Classe 1990, Bernal si avvicina alla danza già a soli 4 anni e nel 2002, a soli undici anni, viene ammesso al Conservatorio Reale di danza di Madrid. Da quel momento inizia a viaggiare per il mondo con le compagnie più importanti. Mikhail Baryshnikov è il suo modello, e quando il ballerino russo lo ha visto danzare a New York ha dichiarato: «Bernal mi ha toccato il cuore. Quando Sergio danza l’energia del flamenco diventa sensualità e spiritualità al tempo stesso».

A Night with Sergio Bernal è uno degli spettacoli originali che il primo ballerino del Ballet Nacional de España conduce a partire dal 2017 con la compagnia che ha fondato: Sergio Bernal Dance Company. È affiancato in questo spettacolo da Miriam Mendoza e Jose Manuel Benítez (primi ballerini del Ballet Nacional de España). Il poeta spagnolo Ferdinando Garcia Lorca parlava di “duende” per definire “quel non so che”, quella magia dell’arte quando sprigiona un fascino ammaliatore, una potente energia, talvolta venato di tristezza e inquietudine. Una serata per provarlo attraverso passi di danza. Katia Amoroso

106
IN SCENA youTHeater 2022.23 29 aprile; 20 maggio Teatro del Parco-Mestre www.comune.venezia.it
A Night with Sergio Bernal 18 aprile Teatro Mario del Monaco-Treviso www.teatrostabileveneto.it Photo Andrea Avezzù - Courtesy La Biennale di Venezia

Oltre quel labile confine

Abbondanza/Bertoni sul massimo mistero

La morte e la fanciulla è un tema molto noto nel campo artistico. Appartiene alla tradizione medioevale delle danze macabre e probabilmente trova origine nella tradizione orale e rapsodica di periodi precedenti. Ci si potrebbe anche richiamare al mito di Persefone, desiderata da Hades, il Plutone romano, dio della morte. Numerose le rappresentazioni medioevali in chiese e basiliche, poi il tema venne ripreso da vari pittori, soprattutto di scuola tedesca, da Niklaus Manuel Deutsch a Hans Baldung Grien (1517), senza dimenticare il dipinto espressionista dallo stesso titolo di Egon Schiele del 1915. Libido erotica e sensuale e sadico piacere sembrano incontrarsi. In campo musicale, dopo la Totentanz dell’organista tedesco August Nörmiger di fine Seicento, famoso il Lied di Schubert del 1817 per piano e voce. In quattro parti viene annunciata la morte e un breve recitativo mostra come la resistenza iniziale della fanciulla a mano a mano si plachi sino alla resa finale in una dolce rassegnazione. Dice la morte «...sono un’amica/non vengo per punirti./Su, coraggio! Non sono cattiva/dolcemente dormirai tra le mie braccia». Il Lied venne poi inserito nel Quartetto per archi in re minore D810 del 1824.

Citiamo queste riflessioni perché con una attenzione quasi filologica Michele Abbondanza e Antonella Bertoni portano questo tema sul palcoscenico del Teatro Verdi di Padova. Ovviamente la musica di Schubert copre tutto l’arco dell’ora di rappresentazione e le tre danzatrici rispondono con il corpo alle variazioni musicali. Corpi nudi come in presenza della morte, ma anche per sottolineare ogni minimo gesto. Le telecamere, occhio onnipresente della morte, scrutano le loro entrate e uscite in scena e riportano ogni movimento sullo schermo (ricordate Buster Keaton e Samuel Beckett?). Le luci a prevalente tonalità blu sono spezzate da nuvole di fumo che creano una ‘rassicurante’ atmosfera crepuscolare, che vuole evidenziare il tenue confine tra vita e morte. I due coreografi hanno lavorato a lungo all’estero, allievi e collaboratori di Carolyn Carlson, e dagli inizi degli anni ‘90 hanno fondato la compagnia che porta i loro nomi. La compagnia è una delle più prolifiche in Italia e non disdegna collaborazioni al cinema e in televisione. Segnalo il lavoro con piacere perché è di danza contemporanea, ma con tutti i segni di una scuola classica, è vero intrattenimento, ma allo stesso tempo raffinata ricerca culturale, incrocio riuscito di musica e movimento. Bravissime le storiche Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas e, vista a Vicenza, Ludovica Messina in sostituzione di Claudia Rossi Valli. Loris Casadei

Prima che la festa inizi

L’acclamata compagnia teatrale berlinese Familie Flöz torna a incantare il pubblico veneziano con una rappresentazione che riporta in scena le celebri maschere grottesche degli spettacoli precedenti. Chi ha avuto la fortuna di vederne uno sa che si tratta di un’esperienza trascinante e surreale, come hanno già sperimentato nel 2016 gli spettatori del Teatro Toniolo con l’irresistibile Hotel Paradiso e nel 2019 con Dr. Nest. Quest’anno, il 3 e 4 maggio, i Familie Flöz chiudono la stagione del Teatro mestrino con la messinscena di Feste, un nuovo spettacolo che si focalizza sui fervidi preparativi per un matrimonio: paradossalmente, i meno convinti delle nozze sembrano proprio gli sposi. Assistiamo alla preparazione della festa dal cortile di una grande casa in riva al mare, tra merci e inservienti che vanno e vengono. Intanto, sullo sfondo, continua ad accumularsi una montagna di sacchi neri della spazzatura. Il silenzio è interrotto solo dalla musica, dalla risacca e dal canto dei gabbiani. Feste è una sarabanda di maschere e personaggi, una ventina in tutto, che si ritrovano a interagire in una miriade di situazioni. Sembrerebbe che dietro a ogni maschera ci sia un attore, ma sono solo tre, uno alto, uno basso, uno intermedio: Andres Angulo, Johannes Stubenvoll e Thomas van Ouwerkerk, anche autori dello spettacolo insieme ad Hajo Schüler e Michael Vogel (quest’ultimo in cabina di regia con l’aiuto di Bjoern Leese). La drammaturgia si focalizza sulle emozioni piuttosto che sulle storie. Procede per accostamenti, contrappunti, armonie e dissonanze, creando un universo parallelo, popolato di presenze liriche. Quella dei Famili Flöz è la poesia delle piccole cose, espressa senza proferir parola: solo posture, gesti, sguardi.

Feste 3, 4 maggio Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it

107
La morte e la fanciulla 28 aprile Teatro Verdi-Padova
www.teatrostabileveneto.it
© Simone Cargnoni

theatro SPETTACOLI COMICI

PAOLO CEVOLI

Andavo ai cento all’ora

Correva l’anno 1962. Gianni Morandi spopolava con il suo primo singolo, Andavo ai cento all’ora. Parte da questa suggestione per il suo nuovo spettacolo Paolo Cevoli, amatissimo comico “romagnolo dop” della scuderia Zelig. Classe 1958, oggi felicemente nonno, Cevoli immagina di raccontare ai suoi due nipotini com’era la vita quando lui era bambino. Andare ai cento all’ora a quei tempi, per esempio, sembrava una cosa straordinaria, mentre oggi invece in autostrada ti strombazzano dietro anche… «i camion di trasporto suini!». Parliamo di appena cinquant’anni fa e parliamo di cose che sembrano assurde: internet non esisteva, i cellulari nemmeno, e i telefoni di casa non avevano neppure la tastiera, per non parlare della tv in bianco e nero. E che dire del politicamente corretto, allora inconcepibile, la raccolta differenziata, che non serviva perché non producevamo quasi rifiuti, e gli apericena o i social eating? Quello di Cevoli è un racconto personale/universale che attraversa l’intera vita del comico di Riccione, dall’infanzia ai giorni nostri, non per sciorinarci il solito trito e ritrito “si stava meglio quando…” ma per conoscerci partendo dalle radici, per prenderci meno sul serio e soprattutto riderci su…che non guasta mai!

19 aprile h. 21 | Teatro Toniolo-Mestre

GIOLE DIX

La corsa dietro il vento

Sotto il palazzo in cui abita un grande scrittore, piove dall’alto nel cuore della notte una pallottola di carta. Che cosa conterrà? Appunti senza importanza o versi indimenticabili da salvare? Da questo affascinante spunto, tratto da un racconto di Dino Buzzati, prende il via lo spettacolo scritto, diretto e interpretato da Gioele Dix, un sentito omaggio all’autore bellunese, da lui tanto amato, in occasione dei 50 anni dalla morte, ricorsi nel 2022.

Ambientato in una sorta di laboratorio letterario a metà fra una tipografia e un magazzino della memoria, La corsa dietro il vento attinge dal ricchissimo forziere di racconti di Buzzati ( Sessanta racconti, Il colombre, In quel preciso momento ) e compone un mosaico di personaggi e vicende umane nei quali ognuno può ritrovare tracce di sé.

Lo spettacolo è un inedito viaggio teatrale grazie al quale Gioele Dix, ispirandosi a personaggi e atmosfere buzzatiane, parla (anche) di sé, dei suoi gusti, delle sue inquietudini, delle sue comiche insofferenze, con l’ironia e il gusto del paradosso cui ha abituato il suo pubblico. In scena con lui Valentina Cardinali, giovane attrice talentuosa ed eclettica.

27 aprile h. 21 | Teatro Toniolo-Mestre

MAX ANGIONI Miracolato

Si sente un “miracolato” per la sua veloce scalata al successo dopo esser stato lanciato da Italia’s got Talent, e aver partecipato a programmi come Zelig, Le Iene e LoL 2, dove afferma «sono stato bullizzato, ho riso e sono stato sbattuto fuori: praticamente ho rivissuto la mia terza media». Max Angioni, nuovo beniamino del piccolo schermo, è ora impegnato in un tour teatrale con il suo esilarante spettacolo, Miracolato, per l’appunto. Una sferzante ironia anima i monologhi incorniciati nella scena minimalista, in cui Max racconta un condensato delle proprie esperienze: dalle conversazioni ai tempi dei social, alla sua relazione con lo sport, alla maledizione di arrivare secondo. La verve tipica della stand-up comedy accompagna, con ritmo serrato, i diversi quadri del racconto, in cui Max torna a stupire con il tema dei miracoli, con cui è diventato celebre. Miracolato rispolvera avvenimenti epici come quelli descritti nel Vangelo rielaborandoli in una chiave comica ed eccentrica. La comicità diventa uno strumento, divertente e inaspettato, per rendere accessibili argomenti apparentemente troppo sacri per concedersi all’ironia, e per divulgare le storie più antiche del mondo, filtrandole attraverso una lente leggera e brillante.

22 maggio h. 21 | Teatro Toniolo-Mestre

108
www.comune.venezia.it

FAR EAST FILM FESTIVAL 25

21 —29 APRILE 2023 / TEATRO NUOVO, VISIONARIO / UDINE WWW.FAREASTFILM.COM

CLASSICI IN CITTÀ

Dammi ora e luogo e ti do cinque minuti: qualunque

Se in origine Classici Fuori Mostra era stato un percorso obbligato dovuto alle restrizioni per il Covid, che avevano imposto una drastica riduzione dei posti in sala al Lido, ora la rassegna dedicata ai capolavori restaurati diventa a pieno titolo un’attività permanente della Biennale. Un appuntamento ‘cittadino’ continuativo e accessibile (6 euro il biglietto intero, 3 euro per gli studenti) che in pochi anni è diventato una buona consuetudine per molti veneziani. E anche la formula proposta da Alberto Barbera, direttore della Mostra e della programmazione di Biennale Cinema, sembra molto apprezzata: ogni proiezione richiama un pubblico appassionato e attento che ha l’opportunità di «vedere film perfettamente restaurati nelle migliori condizioni a cui possono aspirare», in una sala adeguatamente attrezzata (il Cinema Rossini) con la presentazione di un critico che alla fine della proiezione guida la discussione attorno al film.

Iniziata in marzo con Il conformista di Bernardo Bertolucci, a cui sono seguiti La Maman et la Putain di Jean Austache, Nostalghia di Andrej Tarkovskij e Accattone di Pier Paolo Pasolini, la programmazione di Classici Fuori Mostra prosegue fino a maggio con altri titoli iconici del cinema internazionale. In calendario il 12 aprile As Tears Go By (1988), restaurato da L’immagine Ritrovata e The Criterion Collection. L’esordio alla regia di Wong Kar-wai è una libera rivisitazione in chiave post-moderna del capolavoro di Martin Scorsese Mean Streets, con Andi Lau nel ruolo che era stato di Harvey Keitel (Charlie

Classici Fuori Mostra 12, 19, 26 aprile; 3, 10, 17 maggio Multisala Rossini www.labiennale.org

Cappa, il piccolo delinquente squattrinato e disilluso) e Jacky Cheung in quello di Robert De Niro (l’avventato Johnny Boy). Coinvolgente la colonna sonora, tra il jazz e il pop, che include una cover della morodiana Take My Breath Away interpretata in cantonese da Sandy Lam. La proiezione è introdotta da Marco Dalla Gassa, docente di Storia e critica del cinema di Ca’ Foscari. Il programma prosegue il 19 aprile con una delle più celebri pellicole di John Huston, The African Queen (1951), con Katharine Hepburn e Humphrey Bogart (restauro di StudioCanal; introduzione di Michele Gottardi). Il film è, citando Morandini, «una storia d’amore fra un’ossuta quarantenne bigotta e un cinquantenne irsuto e alcolista; un film d’ambiente africano dove il folclore, il colore, il fascino dell’Africa sono quasi assenti». Leone d’Oro a Venezia nel 1955, Ordet (1955) di Carl Theodor Dreyer sarà introdotto da Giuseppe Ghigi il 26 aprile. Restaurato dal Danish Film Institute, il dramma religioso tratto dall’omonimo testo teatrale di Kaj Munk è una dissertazione sul senso della fede sviluppata con la lentezza e il rigore formale tipici del cinema di Dreyer. Introdotto da Roberta Novielli, segue il 3 maggio The Driver (1978) di Walter Hill, un noir psicologico interpretato da Ryan O’Neal e Isabelle Adjani che ha fatto scuola a molto recente cinema di genere ( Drive di Nicolas Winding Refn, Baby Driver di Edgar Wright). Chiudono la rassegna Bariera del 1966, film fra i più sperimentali di Jerzy Skolimowski, restaurato dal Polish Film Institute/DI Factory e introdotto da Elena Pollacchi il 10 maggio, e In einem Jahr mit 13 Monden (1978), presentato da Marco Contino il 17 maggio, un’amara riflessione di Rainer Werner Fassbinder stimolata dal suicidio del suo amico e compagno Armin Meier.

110 c inema
cosa accada in quei cinque minuti sono con te, ma ti avverto, qualunque cosa accada un minuto dopo sei da solo.
Io guido e basta! The Driver

AS TEARS GO BY

Wong Kar-wai rilegge Mean Streets di Scorsese attraverso un mix di stili contrastanti, ma vibranti di tutta la passione che solo il cinema di Hong Kong degli anni ‘80 sapeva regalare. In un quartiere popolare di Hong Kong, un gangster di bassa lega cerca di tenere fuori dai guai un giovane a cui è legato da profonda amicizia.

12 aprile

THE AFRICAN QUEEN

John Huston dirige Humphrey Bogart e Katharine Hepburn in un film entrato di diritto nella leggenda del cinema. Commedia, romanticismo, avventura e dramma si alternano e si fondono in un’opera sostanzialmente teatrale ambientata all’epoca della Prima guerra mondiale in una piccola missione metodista minacciata dall’esercito tedesco.

19 aprile

ORDET

In una fattoria dello Jutland vive l’anziano patriarca Morten Borgen con i suoi tre figli: Mikkel, sposato con Inger, Johannes, studioso di teologia, e Anders, innamorato della figlia del sarto del villaggio. Ben presto, su di loro si abbatte una tragedia destinata a sconvolgere per sempre il corso delle rispettive esistenze.

26 aprile

THE DRIVER

Action poliziesco di Walter Hill che pesca a piene mani dalla New Hollywood che stava per morire: Driver è un autista insuperabile e spesso la malavita lo ingaggia per delle rapine. Sulle sue tracce c’è un ispettore di polizia, deciso a corrompere alcuni criminali senza scrupoli per arrivare ad incastrarlo.

3 maggio

BARIERA

A Varsavia, negli anni Sessanta, un giovane studente di liceo si lascia alle spalle il passato e se ne va in giro per le strade della città con una valigia in cui ha raccolto ciò che gli appartiene. Nelle sue peregrinazioni notturne incontra una ragazza che guida un tram, con la quale tenterà di ricominciare a credere all’amore.

10 maggio

IN EINEM JAHR MIT 13 MONDEN

Il 1978 è stato uno anno con tredici lune. Ed è proprio l’anno in cui si svolgono a Francoforte gli ultimi cinque giorni di vita di un transessuale, Elwin Weishaupt, divenuto Elvira in seguito a un’operazione fatta a Casablanca.

17 maggio

111
As Tears Go By

cinema

EVERYTHING EVERYWHERE ALL AT ONCE

I (buoni) frutti del caso La rivoluzione copernicana investe il cinema

Se è vero che il celebre slogan di Cocteau “Il cinema è la morte al lavoro sugli attori”, ad indicare il conflitto tra la mortalità del soggetto-attore e l’io eterno della celluloide, può applicarsi a tutto il cinema in quanto traduttore del principio generale dell’entropia, è anche vero che esiste una cinematografia che si è fieramente opposta alle leggi della termodinamica. Possiamo farla iniziare con il cadavere di Joe Gillis-William Holden che racconta la propria storia allo spettatore in Viale del tramonto? Più recentemente i film di Gondry e soprattutto di Nolan si sono fieramente opposti a questa legge inesorabile per cui il film va solo in un senso, dall’inizio alla fine, nasce, si sviluppa e muore quando non ha più nient’altro da dire. Ecco, se questa è la premessa, mi sento autorizzato a dire che Everything Everywhere All at Once, diretto dai giovani registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert, potrebbe costituire un prototipo di nuovo film, un paradigma che nega totalmente quel principio termodinamico per cui il film è un vettore di energia in cammino da un inizio ad una fine.

È infatti un’opera che si struttura attorno ad una radicale orizzontalità, che per giunta è il frutto del caso. Alla base c’è il principio enunciato nel film: “L’algoritmo del percorso stocastico si nutre di azioni casuali”. Per cui la storia di Evelyn Quan (capito?) Wang, immigrata cinese negli USA che gestisce col marito una lavanderia a gettoni e che deve combattere contro una spietata funzionaria dell’ufficio delle tasse (impersonata da Jamie Lee Curtis), con un marito che vuole chiedere il divorzio ed un padre appena arrivato da Hong Kong, è solo un esile trampolino di lancio verso la vera natura del film, vale a dire la rigorosa applicazione cinematografica del metaverso e della fisica quantistica. Ci sono quindi tanti universi paralleli quante sono le scelte che ogni giorno facciamo nella nostra vita, e in uno di questi universi chiamato Alphaverse è stata sviluppata una tecnologia mentale che consente di accedere a questi stessi universi recuperando i ricordi, le abilità, i corpi dei nostri io paralleli. In un universo Evelyn è maestra di kung fu, in un altro è una star del cinema, in un altro ancora ha le dita come hot dog, in un altro ha una storia con la funzionaria delle entrate oppure lavora al fianco di uno chef che viene controllato da un procione appollaiato sulla sua testa, come Ratatouille. E c’è un Grande Bagel, costruito dall’avversaria dell’Evelyn di Alphaverse, che è una sorta di buco nero in grado di annientare il multiverso… Capito quanto si devono essere divertiti gli sceneggiatori e quanto, comunque, il film sia una rigorosa declinazione degli assunti iniziali?

Il lavoro di Kwan e Scheinert non ha dunque nessuna trama di tipo termo-dinamico; è un incessante e vorticoso affastellarsi di scene in cui si manifestano i protagonisti dei vari universi coinvolti. Il film è questo, folle e rigoroso insieme, possibile paradigma di un cinema divertente nella sua radicale indisciplina e nel suo definirsi quale interessante spia del progressivo cedimento nella nostra cultura da sempre fondata sul principio di causaeffetto. Esistono i terrapiattisti tra di noi oggi, vero? Ebbene, in un altro universo esisteranno uomini e donne con le dita a forma di hotdog.

Il film ha vinto 7 Oscar su 11 nominations, ha quindi letteralmente sbancato l’edizione 2023. Un importante riconoscimento da parte dell’Academy alla comunità asiatica nordamericana, o più un premio all’intrigante suggestione che un domani non troppo lontano i film vivranno dentro il metaverso così come, per 130 anni, sono vissuti dentro le classiche, obsolete tre dimensioni? F.D.S.

112
Un prototipo di nuovo film, un paradigma che nega totalmente quel principio termodinamico per cui il film è un vettore di energia in cammino da un inizio ad una fine

Materia prima

I Daniels e un nuovo modo di raccontare

Ad aver vinto l’Academy Award come miglior film è un tragico pasticcio, adorabile e godibile, che vive della tensione più antica ed insieme attuale che interessa il rapporto tra linguaggio e scrittura nella costruzione della conoscenza umana.

La scrittura, antesignana di ogni tecnologia e platonicamente intesa come pharmakon, vale a dire rimedio ma anche veleno, può dar vita a una conoscenza illusoria, fallace, affidando proprio alla mediazione tecnologica il compito di costruire i significati delle cose. Il linguaggio invece vive nella relazione, nel patteggiamento, nell’accordo. Pena l’incomunicabilità. Ecco, ciò che tiene in piedi Everything Everywhere All at Once è questa tensione irrisolta tra linguaggio e scrittura, tra relazione e codifica, che necessariamente conduce i Daniels, creatori del film qui colti in un fertile tentativo di seguire l’affordance del cinema come scrittura, ad adoperare come materia prima l’apparato ideologico più illusoriamente libero, e in verità deprimente e asfittico, oggi disponibile sul mercato culturale. Vale a dire la vulgata della meccanica quantistica. Il postulato di un relativismo assoluto rappresentato dall’esistenza ipotetica di universi paralleli, versione pop di ben più pregnanti evidenze di meccanica quantistica, è infatti l’ultima frontiera di Hollywood, da Nolan a Dr. Strange, ed è già mainstream da tempo. Non ci stupisce che i giovani Daniels l’abbiano fatto loro. E non ci sorprende nemmeno che l’homunculus di faustiana memoria che troneggia sul premio dell’Academy sia stato assegnato a un film che ci dà l’illusione di assistere a un avvenimento inedito e promettente, quando invece non c’è niente di nuovo sotto il sole. Anzi, il rischio è che sotto il sole non ci sia proprio niente, nihil. E che vada bene così, in fondo. Perché lo stato di negazione dell’essere è l’ultima frontiera del mercato e del suo braccio armato più pervasivo, l’onnipresente tecnologia, nuova scrittura del mondo, di un mondo artificioso e illusorio divenuto scrittura automatica, codice molteplice, frattale, illusorio, vertiginoso e barocco di ciò che conven-

zionalmente diciamo reale. La tecnologia, dunque, intesa come scrittura potenziata, veridica per statuto, che diventa negazione ultima della trascendenza dell’uomo, della sua essenziale natura aperta, in grado cioè di andare oltre ogni oggetto, ogni dato.

Everything Everywhere All at Once è uno slapstick costruito sulla dittatura del dato. Il multiverso non è che la rappresentazione più convenzionalmente intelligibile della tendenza aberrante a sottomettere anche l’inconoscibile alla datità empirica, affidando il trascendente, e con lui ogni dimensione ulteriore, ogni altrove in grado di innescare una mediazione immaginativa prima che un’articolazione concettuale, alla semantica denotativa, alla sua istituzionalizzazione.

Segni di questo tentativo di per sé tragico stanno nel ricorso in sceneggiatura al nonsense aberrante come unica possibilità di fuga. Come nelle società oppressive, dove vige una rigida codifica dei comportamenti, nel regime pervasivo della scrittura tecnologica il nonsense, l’irriverenza, l’iconoclastia punk sono insieme conati di rivolta e conferme di un’oppressione insuperabile portata all’estremo. Eppure un altro segno in Everything Everywhere All at Once, apparentemente insignificante, consegna questo film all’epica contemporanea: l’insistenza di matrice estremorientale sulla violenza autoinflitta, corporale, per potersi muovere tra multiversi e infine rimescolarli nel tentativo disperato di riabilitare la relazione, il linguaggio, attraverso l’evocazione del caos. Per poter switchare da un mondo all’altro, infatti, i protagonisti devono causarsi dolori, traumi corporali possibilmente assurdi, incongrui, dal tagliuzzarsi con la carta a sedersi su premi alla carriera in forma di dildo.

La via d’uscita è tracciata ed ovvia. La vera porta non è un enorme bagel, come nel film, ma il corpo, nell’epoca post digitale unico confine in grado di riaprire il varco del trascendente sottraendolo alla sua tragica datificazione antiumana. Riccardo Triolo

113

ARCHITECTURE

DISCOVERY

ART EXPERIENCE

ARCHITECTURE

SCALA CONTARINI DEL BOVOLO check gioiellinascostidivenezia.it for opening hours info: cultura@fondazioneveneziaservizi.it | +39 0413096605

DISCOVERY

COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO plan your visit: booking@fondazioneveneziaservizi.it

ART SALA DELLA MUSICA

plan your visit: booking@fondazioneveneziaservizi.it

EXPERIENCE

CHIESA DI SANTA MARIA DELLE PENITENTI get in touch: art@fondazioneveneziaservizi.it

gioiellinascostidivenezia.it

114

cinema

BIENNALE CINEMA 2023 LEONI ALLA CARRIERA

Sentieri non battuti Le forme di una stella

«Protagonista tra i più emblematici del nuovo cinema italiano degli anni Sessanta – così la definisce Alberto Barbera, Direttore della Mostra del Cinema di Venezia, motivandone il Leone d’Oro alla carriera – con un lavoro che in seguito attraversa oltre sessant’anni di storia dello spettacolo, Liliana Cavani è un’artista polivalente capace di frequentare la televisione, il teatro e la musica lirica con il medesimo spirito non convenzionale e la stessa inquietudine intellettuale che hanno reso celebri i suoi film.

I personaggi dei suoi film sono calati in un contesto storico che testimonia una tensione esistenziale verso il cambiamento, soggetti complessi nei quali si riflette l’irrisolto conflitto fra individuo e società. Il suo è uno sguardo politico nel senso più alto del termine, anti-dogmatico, non allineato, coraggioso nell’affrontare anche i più impegnativi tabù, estraneo alle mode, refrattario ai compromessi e agli opportunismi produttivi, aperto invece a una fertile ambiguità nei confronti dei personaggi e delle situazioni messe in scena. Una feconda lezione che è insieme di estetica e di etica, da parte di una protagonista del nostro cinema, che ne definisce la perenne modernità».

In una Biennale Cinema che quest’anno vive la cifra tonda dell’ottantesima edizione, Liliana Cavani viene celebrata con un premio che ne riconosce la coraggiosa e coerente carriera, vissuta attraversando l’epoca cruciale della cinematografia italiana.

Nata a Carpi (Modena), laureata in Lettere antiche all’Università di Bologna, diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, Liliana Cavani realizza a partire dal 1962 importanti documentari alla Rai su tematiche forti, fra i quali Storia del Terzo Reich (1962), L’età di Stalin (1963), La casa in Italia (1964) e Philippe Pétain: processo a Vichy, che ottiene il Leone d’Oro per il documentario alla Mostra di Venezia nel 1965. Alla laguna l’ha legata un percorso a più tappe della propria vita e carriera, più recentemente con Dove siete? Io sono qui (1993), premiato con la Coppa Volpi per la migliore attrice ad Anna Bonaiuto, e nel 2002 con il thriller Il gioco di Ripley, con John Malkovich. Nel gennaio scorso è stata festeggiata al Ministero della Cultura in occasione del suo novantesimo compleanno.

«Tony Leung – scrive Alberto Barbera nella motivazione del Premio – è uno degli interpreti più carismatici del cinema contemporaneo, la cui eccezionale carriera è stata in grado di evolversi in parallelo allo sviluppo del cinema in chiave transnazionale e globale. Affermatosi come star della scena pop di Hong Kong negli anni Ottanta, è oggi internazionalmente riconosciuto come uno degli attori più significativi e versatili della sua generazione, in grado di dare vita a personaggi indimenticabili nei generi più vari e a ogni latitudine. Emblematico del suo stretto rapporto con il cinema d’autore è il ruolo di protagonista nel film In the Mood for Love (2000) di Wong Kar-wai, che gli garantisce la Palma d’Oro come miglior attore al festival di Cannes, e l’interpretazione in tre film premiati con il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia: Città dolente (1989) di Hou Hsiao-hsien, Cyclo (1995) di Tran Anh Hung e Lussuria – Seduzione e tradimento (2007) di Ang Lee. Tuttavia, il suo profilo di star globale è legato altresì alla capacità di attraversare gli immaginari cinematografici in costante mutamento tipici del nostro tempo, segnando con la sua presenza film di grande successo commerciale in generi, lingue e scenari produttivi molto differenti, dal genere di arti marziali in Hero (2002) di Zhang Yimou, all’action-thriller Infernal Affairs (2002-03) di Andrew Lau e Alan Mak, all’epica di guerra in La battaglia dei tre regni (2008-09) di John Woo, sino al recente contributo all’universo Marvel in Shang-chi e La leggenda dei Dieci Anelli (2021)».

Classe 1962, il Leone d’Oro alla carriera della prossima Mostra del Cinema Tony Leung è considerato uno degli attori asiatici di maggior successo, riconosciuto a livello internazionale, in una carriera iniziata negli anni ‘80, ed è unanimemente ritenuto il miglior attore di Hong Kong della sua generazione. Recentemente ha ricevuto il premio come Cineasta asiatico dell’anno al Busan International Film Festival. Agli Asian Film Awards 2023 ha vinto il premio quale Miglior attore, nonché l’Asian Film Contribution Award per il film Where the Wind Blows di Philip Yung.

115

Visione sociale

Si tiene ad aprile la nona edizione della rassegna cinematografica Notti Disarmate, frutto della collaborazione tra la Casa del Cinema e alcuni volontari del Servizio Civile della Città di Venezia che operano in diversi ambiti quali il sociale, l’educazione, la cultura, l’ambiente.

Una rassegna in cui l’unica ‘arma’ utilizzata sarà il cinema: arma che sa essere incisiva, diretta e potente nel lanciare messaggi, mostrare diverse prospettive, fornire spunti di riflessione.

Gli operatori volontari hanno scelto film che rispecchiassero i valori di impegno sociale, di cittadinanza attiva, di democrazia partecipata. Valori civici che hanno come ambizione la costruzione collettiva di una socialità in cui ciascuno trovi il proprio spazio al di là delle differenze.

La prima proiezione il 6 aprile, In viaggio verso un sogno di Tyler Nilson, vede protagonista Zak, ragazzo con la sindrome di Down che persegue il sogno di diventare un pugile.

La seconda storia cinematografica, Pride di Matthew Warchus il 13 del mese, è una storia di discriminazione omofobica, in cui l’orientamento sessuale è motivo di disparità politica e sociale.

Per la terza serata del 20 aprile la pellicola scelta, Un affare di famiglia di Manbiki Kazoku, riporta la complessità di una società in cui le persone vivono in condizioni di povertà estrema, raccontando la centralità dei rapporti umani anche in situazioni di marginalità sociale.

L’ultima proiezione, Lunana – Il villaggio alla fine del mondo (27 aprile) di Pawo Choyining Dorji, narra la realtà quotidiana di un villaggio rurale ai confini del Bhutan, un piccolo Stato himalayano, e della preziosa diversità di un sistema sociale differente dall’ormai travolgente vita metropolitana.

La marginalizzazione, la discriminazione, l’esclusione sono problematiche di grande attualità, e ogni cittadino è coinvolto nel dovere di ricoprire un ruolo attivo per rendere la collettività una realtà inclusiva. E in questo dovere, anche assistere a una proiezione cinematografica può avere un ruolo civile decisamente potente.

del velo

Il Teatrino di Palazzo Grassi ospita il 20 aprile la proiezione del film documentario Italia – Il fuoco, la cenere (94’, 2021), con introduzione di Marco Bertozzi dell’Università IUAV di Venezia, in dialogo con i registi Céline Gailleurd e Olivier Bohler. Attraverso le parole originali di chi ha contribuito e assistito alla rivoluzione estetica e culturale del cinema muto il documentario fa riaffiorare un’epoca di splendori e la storia di un Paese che presto cadrà nel baratro del fascismo. Un viaggio documentato, lirico e visionario, dentro un universo troppo spesso sconosciuto: le origini del cinema muto italiano. Un’arte e un’industria folgorante, che ha fatto brillare le prime star internazionali, dato vita al peplum, a melò e film avventurosi, e lanciato i primi cineasti. Nel suo mondo di fasti e deliri romantici, tra il simbolismo di Verdi e il decadentismo dannunziano, questo cinema ha goduto di fama internazionale affascinando folle, intellettuali e artisti di tutta Europa, fino ad arrivare negli Stati Uniti e in Sudamerica. Raccontato per eccezionali immagini d’archivio – di cui molte inedite – e dalla voce di Isabella Rossellini per l’edizione italiana, il film riporta alla luce la storia di un’arte dedita al sublime, alla raffinatezza e alla morte, dalle cui ceneri rinascerà una delle più grandi cinematografie del mondo. Nonostante tra gli universi segreti della storia della Settima arte, il cinema muto italiano è stato spesso trascurato, intere generazioni sono state influenzate dai suoi registi, dai suoi attori e dalle sue storie. Ma chi conosce davvero i suoi primi decenni, dal 1896 al 1930? «Nelle meravigliose cineteche d’Italia e d’Europa che abbiamo visitato a Torino, Milano, Roma, Gemona, Bologna, o ancora Amsterdam, Parigi e Londra – raccontano i registi – le bobine in nitrato ancora sopravvissute incarnano tutta la memoria del cinema e la fragilità stessa di questa memoria, la sua bellezza splendente e la sua inesorabile decomposizione. Guardandole, abbiamo preso coscienza che l’archivio è esso stesso materia estetica: irradiata di colori le cui tinte originarie sono state preservate, o palpitante di deformazioni dovute al tempo, talvolta astratte quando il loro deterioramento è ormai irrimediabile».

116
ON SCREEN Notti Disarmate 6, 13, 20, 27
cinema
aprile Casa del Cinema – Videoteca Pasinetti www.comune.venezia.it
Italia – Il fuoco, la cenere 20 aprile Teatrino di Palazzo Grassi www.pinaultcollection.com
L’inganno

Una nota inventata

Prosegue la programmazione di Rete Cinema in Laguna, collettivo di associazioni e persone che vivono a Venezia e lavorano o hanno a cuore il settore della cultura – partendo dal cinema – per ripensare insieme la città culturale dei propri sogni.

Il 20 aprile al Multisala Rossini arriva On a eu la journée, bonsoir di Narimane Mari: «Un atto d’amore, il ritratto di un pittore, un’ode alla vita. On a eu la journée, bonsoir è tutte queste cose. È nel suono di una fine che viene suonata la musica dei vivi, di cui tutti noi siamo, ovunque ci troviamo, una nota inventata». Queste sono le parole della regista per descrivere il film, tributo al suo compagno scomparso, il pittore Michel Hass.

Come le note di Amor Amor di Norrie Paramor risuonano sulle immagini di apertura, i nomi scorrono sullo schermo: nomi di persone, vive o morte, sconosciute o celebri, le cui presenze e voci popolano questo film ‘cosmico’. Mari mette insieme frammenti di vita raccolti nel corso degli anni, durante i film o vagabondando per le strade, e li fa danzare con le immagini del suo complice. Allo sguardo malizioso di Michel Haas fanno da contraltare quelli di sconosciuti raccolti in un viale parigino, al suo corpo si affiancano quelli di bambini che fanno il bagno nel Mediterraneo, il suo dolce parlare si sovrappone alla voce languida di Elvis Presley.

Narimane Mari crea così un dialogo intimo che va oltre la morte, esaltando l’operazione poetica e sovrapponendo alcune delle parole all’immagine, come sottotitoli o come poesie, come le note di uno spartito musicale che canta appunto “la musica dei vivi”.

Nata ad Algeri nel 1969, Narimane Mari inizia a lavorare in Francia nel 1990 per due agenzie di consulenza in comunicazione Devarrieux Villaret e Nogood Industry, di cui è cofondatrice.

Nel 2001 produce il suo primo film per il cinema, L’arpenteur, vincitore del premio Jean Vigo. Nello stesso anno fonda la casa di produzione Centrale Électrique, volta a sostenre registi e artisti che desiderano confrontarsi con la storia contemporanea. Nel 2015 ha prodotto Round About in My Head di Hassen Ferhani, vincitore del gran premio al Torino Film Festival. Il suo secondo lungometraggio, il documentario Les fort des fous (2017), è stato presentato a Documenta 14 come installazione.

On a eu la journée, bonsoir 20 aprile Multisala Rossini

www.facebook.com/retecinemainlaguna

SUPERVISIONI

Classificare, codificare, attività tipiche dell’uomo moderno e riconosciute come valori almeno dall’Illuminismo in poi. La psicologia cognitiva le vede come determinanti nel riconoscimento dell’oggetto, attività cerebrale tipica dell’uomo, che i computer non hanno ancora appreso appieno. Nel trattare il cinema, le arti in genere, queste sono spesso fuorvianti. Prendiamo le serie televisive, per esempio. Il loro successo è legato a due principali fattori: la condivisione sociale e la necessità-possibilità di prevedere, quindi una sorta di attività investigativa per lo spettatore, un ruolo attivo, dunque. Ma già alle origini il cinema nasce aperto, le opere si presentavano a più conclusioni o senza finale, le immagini venivano infatti integrate dalla presenza dell’autore che a voce ne spiegava la conclusione, talvolta il finale rimaneva aperto. Case produttrici come Gaumont e sopratutto Pathè, nel loro cinema ambulante di fine secolo, riprendevano, reiterandone le vicende, i soggetti rappresentati con maggiore successo. Negli anni 1916-1918 grande risonanza ebbe la serie I Topi Grigi diretti ed interpretati da Emilio Ghione. I serial sono, dunque, una costante nella storia del cinema. Costante anche l’annoso dibattito tra documentario e finzione, riesploso in occasione dell’assegnazione degli Oscar 2023. Non ha vinto, ma ha generato molto dibattito, il film Tutta la bellezza e il dolore di Laura Poitras, Leone d’Oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, puro documentario biografico sulla fotografa Nan Goldin e centrato sulla sua battaglia contro la famiglia Sackler, proprietaria di una Casa farmaceutica accusata di aver invaso il mercato con un antidolorifico con ossicodone, causando dipendenza e decessi. Il film dedica molto spazio agli scatti realizzati dalla fotografa a New York tra gli anni ‘70 e ‘80 su una vasta e varia umanità di amici, conoscenti, punk, prostitute, artisti e drag queen. Non ha vinto, ma riceve un premio alla sceneggiatura Women Talking. Il diritto di scegliere di Sarah Polley, sullo stupro collettivo e reiterato di donne di una comunità religiosa. Merito a Venezia di aver in parte sciolto il dilemma fiction o documentario, in quanto in grande anticipo sui tempi nel 2013 premiò Sacro GRA di Gianfranco Rosi.

A Los Angeles la statuetta è andata invece a Everything Everywhere All at Once, che al momento riempie le sale, pur in lingua originale, permettendo due ore di evasione, confusione e curiosa perplessità. A meno che non siate nati a fine secolo e da bimbi non abbiate seguito la serie televisiva del Dottor Strange, Rick e Morty o siate scienziati come Hugh Everett. Il multiverso è un affascinante concetto che permette alla fantasia di librare verso altri mondi e altre opportunità, di moltiplicare le possibilità dei nostri destini, di non restare incapsulati nel nostro corpo terrestre, qui ed ora. Matrix nel 1999 aveva aperto pioneristicamente la strada. Ora, indipendentemente dai meriti artistici, non ci libereremo facilmente da questo leit motiv. Tanto vale affrontarlo. Loris Casadei

117

cinema

FROM THE FUTURE

Pyra, la superstar thailandese dal vivo in Italia per la prima volta, porta il suo “pop distopico” al Teatro San Giorgio di Udine sabato 29 aprile, per la venticinquesima edizione del Far East Film Festival.

Esuberante umorismo grottesco, un atteggiamento fresco e impertinente, immagini surreali ed eccentrici video musicali: la visione di Pyra si appropria di linguaggi originali attraverso un suono rivoluzionario, che si apre a una nuova era. Negli ultimi anni si è fatta notare per il proprio impegno sociale e politico: il singolo Bangkok (2020) è diventato quasi un inno per i thailandesi che protestavano sulla riforma del sistema monarchico che regola il Paese. I suoi video su TikTok sono diventati virali in tutto il mondo per le sue posizioni su femminismo, giustizia sociale, consumismo e libertà di espressione, ben rappresentate anche i particolarissimi contenuti che le hanno causato più di qualche problema col Governo thailandese. Il concerto di Udine è presentato da Sexto ‘Nplugged, tra i festival musicali più raffinati della scena contemporanea che, grazie a questa data, da il via al format di “festival diffuso” che lo caratterizzerà in questo 2023, con molteplici eventi distribuiti nel territorio e una nuova importante collaborazione con il CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia. Si consolida così la collaborazione con il Far East Film Festival, la più grande manifestazione europea dedicata al cinema popolare asiatico, dopo i precedenti concerti di Midori Hirano e Jay-Jay Johanson, grandissimi successi di pubblico e critica.

Aprite quella porta

FEFF, 25 anni di cinema a Oriente

Aprile – che probabilmente non è “il più crudele dei mesi” come cantava T.S. Eliot – ci riporta ogni anno il Far East Film Festival di Udine (dal 21 al 29) sul megaschermo del Teatro Nuovo (quasi 1200 posti) e su quelli del cinema Visionario. Come ogni anno, sarà una grande cavalcata nella produzione popolare asiatica: thriller e horror, commedie e racconti sentimentali, film di guerra e storie di vita quotidiana – ma anche quel pizzico di originalità e di ricerca che va oltre l’orizzonte del cinema mainstream

Lo sguardo del festival si estenderà orizzontalmente sulle produzioni più recenti e verticalmente sul percorso storico. Quest’anno più che mai, perché l’edizione 2023 celebra il venticinquesimo compleanno del FEFF. È in programma una retrospettiva “tanto ampia quanto anarchica”, parole degli organizzatori, che vuol rispondere alla domanda: cos’è successo nel cinema asiatico prima del FEFF, tra la fine degli anni ‘80 e il 1999? Vedremo molti importanti film poco conosciuti, che la rassegna andrà a riproporre col sapore della novità e della scoperta; e fra gli ospiti non mancheranno alcuni maestri dell’epoca.

Nel programma principale, accanto a Giappone, Hong Kong, Taiwan, Corea, Cina, Filippine e le altre cinematografie sempre presenti al FEFF, ritorna quest’anno la Mongolia, con l’eccentrica commedia The Sales Girl. Spostandoci in Giappone, nel 2018 il FEFF aveva presentato un film antologico, Ten Years Japan, il cui episodio di apertura era Plan 75 di Hayakawa Chie; ora la regista-sceneggiatrice ha girato un lungometraggio dallo stesso titolo e sullo stesso tema: in un Giappone futuro viene promossa l’eutanasia di Stato per gli ultrasettantacinquenni. Il film, programmato al Festival, ha come protagonista la grande attrice giapponese Baisho Chieko, nata nel 1941, che sarà presente a Udine dove riceverà il Gelso d’Oro alla carriera, aggiungendosi a Johnnie

To, Joe Hisaishi, Jackie Chan, Sammo Hung, Eric Tsang, Brigitte Lin, Anthony Wong, Kitano Takeshi e altri grandi del cinema asiatico. Baisho Chieko è assai popolare in Giappone come interprete fissa fra il 1969 e il 1975, a fianco di Atsumi Kiyoshi e Ryu Chishu, della lunghissima serie di quarantotto film Otoko wa tsurai yo (“È dura essere un uomo”) che narra le piccole avventure umane del gentile venditore ambulante Torasan. Due episodi della serie faranno parte del programma del FEFF.

In maggio, Plan 75 uscirà nei cinema italiani, distribuito dalla Tucker Film di UdinePordenone, che a fine marzo distribuisce anche Terra e polvere di Li Ruijun: questo bellissimo film cinese è stato presentato al FEFF l’anno scorso, arrivando secondo nella terna dei premi del pubblico. Non perdetelo! Giorgio Placereani

118
25.
21-29
Pyra 29 aprile Teatro San Giorgio-Udine www.fareastfilm.com
FAR EAST FILM FESTIVAL
Far East Film Festival
aprile Teatro Nuovo, Cinema Visionario-Udine www.fareastfilm.com

La voce di Sophie

Una filmografia lunga chilometri, una discografia che è una collezione di hit. Miyazaki, da grande ammiratore, ha segretamente modellato su di lei Sophie Hatter, il personaggio principale de Il Castello errante di Howl.

Il Gelso d’Oro alla Carriera del venticinquesimo Far East Film Festival andrà a Baisho Chieko: la celebre attrice e cantante giapponese porta a Udine il suo film più recente, Plan 75 di Hayakawa Chie, e due film che ha voluto scegliere personalmente per il pubblico di Udine: il primissimo Tora-san e Where Spring Comes Late

«Quando ho saputo che ero stata invitata al Far East Film Festival di Udine e che avrei ricevuto un premio – sono parole Baisho Chieko – mi sono detta: “Davvero? Per Plan 75?”. E invece… Che sorpresa! Il Gelso d’Oro alla Carriera celebra tutto il lavoro che ho svolto da quando sono entrata nel mondo del cinema. Sono davvero felice che i miei ruoli da attrice vengano apprezzati anche all’estero. Ringrazio di cuore tutto lo staff del FEFF e, ovviamente, prometto che continuerò a recitare con passione e dedizione».

Classe 1941, è famosissima per aver interpretato il ruolo di Sakura nell’infinita serie cinematografica Tora-san tra il 1969 e il 1995: decine di film super cult che hanno segnato il suo lunghissimo sodalizio artistico con il regista Yamada Yoji. Nel 1980 è stata poi premiata come miglior attrice agli Ho¯chi Film Awards per Haruka naru yama no yobigoe ( A Distant Cry of Spring ), sempre firmato da Yamada Yoji. Molto attiva anche come doppiatrice, ha prestato spesso la voce al mondo dell’animazione in Gundam, Kimba – La leggenda del leone bianco e, come abbiamo già detto, Il Castello errante di Howl

Plan 75 è la potente opera prima della regista giapponese Hayakawa Chie e uscirà nei cinema italiani il prossimo 11 maggio sotto il segno della Tucker Film. Giappone, domani. Un programma governativo mira ad arginare quella che ormai è diventata un’emergenza nazionale: l’invecchiamento della popolazione. Da un lato, i costi pubblici del welfare. Dall’altro, appunto, la possibilità per gli anziani di ricorrere all’eutanasia di Stato in cambio di supporto logistico e finanziario. Vivere o morire non è un dilemma etico: è una questione di burocrazia. Basta aver compiuto 75 anni.

Seguendo Michi, un’anziana che cerca solo di tirare avanti, Hiromu, un venditore del programma, e Maria, un’infermiera filippina, Hayakawa Chie dipinge con grazia e naturalezza un rigoroso dramma sociale dove convergono distopia e realismo, indagine morale e riflessione civile.

Nel 2019, ricordiamo, la regista discusse il progetto del film proprio al FEFF, durante le sessioni industry di Focus Asia (oltre ad accompagnare sul palco l’opera collettiva Ten Years Japan ).

A cura di Giorgio Placereani

PLAN 75

Il peso del mantenimento dei vecchi “improduttivi” è un’antica questione del Giappone povero, risolta con la morte volontaria, raccontata in film come La ballata di Narayama. E il Giappone ricco di oggi? Paradossalmente, è lo stesso. Plan 75 è ambientato in un Giappone distopico dove (in nome del Welfare) un programma governativo promuove l’eutanasia volontaria, in cambio di supporto finanziario, per chi ha più di 75 anni. Hayakawa costruisce senza sentimentalismi un rigoroso dramma politico-sociale.

THE SALES GIRL

di

Il cinema della Mongolia non consiste (come uno potrebbe pensare) in immagini cartolinesche di una yurta in un paesaggio deserto. 12 anni fa al FEFF piacque molto il “tarantiniano” Operation Tatar. Ora la Mongolia ritorna con questa commedia metropolitana dove la giovane Saruul finisce, per i giochi del destino, ad occuparsi di un sexy shop a Ulam Bator. Al di là del divertimento sui vizi privati della società mongola, riflessi nell’attività del negozio, è la classica storia di crescita individuale.

THE OTHER CHILD

di Kim Jin-young (Corea del Sud)

La Corea ha una tradizione di grandi horror, come A Tale of Two Sisters, e questo può aggiungersi alla lista. Un bambino semi-cieco viene adottato da un’inquietante famiglia cristiana come “sostituto” di un fratellino annegato nel lago; ma comincia a vedere il suo fantasma. Come i migliori horror, il film va al di là della semplice logica dello spavento per affrontare tematiche generali: la religione, il demonio, la presenza o meno di Dio, i sentimenti nascosti, il dolore, il concetto di colpa.

119
Foto di Francesco Allegretto

cinema

CINEFACTS

a cura di Marisa Santin

SGUARDO SULL’IRAN

Mentre altre piazze si infiammano – Parigi, Tel Aviv – l’attenzione mediatica sembra essersi allontanata da quanto sta accadendo in Iran. Da settembre la repubblica islamica è scossa da proteste e scioperi scatenati dalla morte della giovane attivista Mahsa Amini. Da Teheran le manifestazioni si sono diffuse a macchia d’olio in tutto il Paese dando voce in pochi mesi ad un ampio dissenso contro il governo di Ali Khamanei, che ha risposto con una dura repressione. Secondo i dati della Human Rights Activists News Agency a febbraio di quest’anno erano 165 le città coinvolte, quasi 20mila le persone arrestate, 4 le esecuzioni capitali, 530 le persone morte negli scontri di cui 71 bambini. La repressione del regime era iniziata ancor prima con la censura e l’incarcerazione di intellettuali e artisti dissidenti, molti dei quali sono riusciti comunque a far sentire la propria voce fuori confine.

No Bears (Gli orsi non esistono) di Jafar Panahi (2022)

Al centro della narrazione, due storie che scorrono parallele e raccontano alcuni dei contrasti sociali e culturali che attraversano l’Iran dei giorni nostri. Lo stesso Panahi interpreta un regista alle prese con problemi di convivenza con la popolazione del villaggio al confine con la Turchia che ospita la sua troupe durante la lavorazione di un film. Presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia in assenza del regista, che in quel momento era incarcerato in Iran, No Bears ha ottenuto il Premio speciale della giuria.

Taxi Teheran di Jafar Panahi (2015)

Costretto a girare in clandestinità, il regista muove la sua macchina da presa all’interno di un taxi di cui è lui stesso l’autista. Passeggeri di diversa estrazione sociale salgono e scendono dal veicolo esprimendo opinioni su vari argomenti di attualità e il tutto viene registrato a loro insaputa, mostrando il vivere quotidiano in un Paese pieno di contraddizioni. Un’opera destinata a rimanere testimonianza del cinema militante di Panahi.

Una separazione di Asghar Farhadi (2011)

Il regista aggira lo sguardo della censura (le attrici sono costrette, ad esempio, a portare il velo anche fra le mura di casa) proponendo una storia apparentemente priva di risvolti politici, ma che sotto la facciata di un comune conflitto familiare riesce a innescare domande e a sollevare problemi che riguardano la società iraniana, offrendoci uno spaccato straordinariamente realista dell’Iran contemporaneo. Orso d’Oro a Berlino, Golden Globe e Oscar come miglior film straniero.

I gatti persiani di Bahman Ghobadi (2009)

I due ragazzi protagonisti del film di Ghobadi hanno già avuto qualche guaio con la giustizia, ma, una volta usciti di prigione, decidono di sfidare nuovamente il regime formando una band rock, attività proibita in Iran. I due stanno escogitando anche un modo per fuggire dal Paese ed esibirsi sui palchi europei. Il regista ha girato il film senza autorizzazioni, realizzando con molto coraggio riprese in esterna anche per le vie di Teheran. Premio speciale della giuria nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes 2009.

Il sapore della ciliegia di Abbas Kiarostami (1997)

La denuncia di Abbas Kiarostami si esprime attraverso il linguaggio poetico, con il quale il regista descrive la società iraniana, afflitta da povertà, disoccupazione e discriminazione sociale. Un uomo si aggira in macchina per le strade della periferia di Teheran cercando qualcuno che lo aiuti ad esaudire il suo desiderio di suicidarsi. Incontrerà diverse persone prima di trovare un uomo intenzionato ad accettare la sua proposta, un anziano impiegato turco bisognoso di soldi per le cure del figlio malato.

121

UN SECOLO AL MUSEO

122 e t cc...

E

perfino… il dinosauro Inti Ligabue

Per molti bambini di un tempo passato, tra cui annovero anche il me fanciullo – non un tempo così remoto da confondersi tuttavia con l’anno della fondazione, 1923 –, suscitava sempre grande entusiasmo la visita al Museo Civico di Storia Naturale al Fontego dei Turchi a Venezia. Si potevano vedere da vicino tanti animali esotici e le vetrine un po’ impolverate che contenevano pezzi incredibili agli occhi di un bambino, con quel misto di tristezza, perchè si trattava pur sempre di animali morti, ma con lo stupore di avere a portata di sguardo e talvolta pure di mano uno zoo inanimato, la tentazione di sfiorarne qualcuno era davvero irresistibile, non me ne vogliano i custodi di allora! Animali feroci, resi del tutto innocui, pronti ad animare la fantasia di un bambino per creare una giungla personale in cui orsi e leoni, serpenti e uccelli popolavano un universo fantastico in cui venivano sovvertite le leggi della Natura e non c’erano vittime e predatori, ma solo esseri inanimati pronti a risvegliarsi all’accadere di una magia.

Come si formò questa ricchissima collezione naturalistica che cento anni fa ha dato vita al Museo, oggi meritoriamente intitolato al paleontologo Giancarlo Ligabue (1931 – 2015), mecenate illuminato e infaticabile esploratore dell’ignoto con le sue missioni di ricerca negli anfratti più reconditi del Pianeta?

Determinante fu il Fondo Correr, a cui si aggiunsero altre importanti collezioni, incluse le imponenti raccolte dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti. La raccolta privata del patrizio veneziano Teodoro Correr, organizzata in «tre sale e circa venti camere» nella sua casa, tra San Zan Degolà e il Fontego dei Turchi, era composta da innumerevoli «manoscritti, stampe, quadri, libri, rami, legni, argenti, avori, sigilli, conj, armi, antichità, oggetti di storia naturale e di numismatica». Tutti questi materiali erano stati raccolti da Correr durante la sua vita e resi accessibili a studiosi e letterati cui faceva egli stesso da guida, due giorni la settimana. Alla sua morte, nel 1830, lasciò per testamento al Comune di Venezia le raccolte con l’edificio di Ca’ Correr e cospicue risorse economiche, con la clausola di conservarle e aumentarle ulteriormente, e di farne un museo civico aperto al pubblico. Nacque così nel 1836 il Museo Civico e Raccolta Correr che presto si accrebbe con doni e lasciti di nobili e ricchi veneziani e con acquisti finanziati dalle provviste di denaro dello stesso Correr. È in questa fase che inizia l’incremento delle raccolte naturalistiche, prima piuttosto limitate. Oltre a piccoli doni estemporanei, si aggiungono le importanti e voluminose collezioni di Nicolò Contarini (1849), Giovanni Miani (1862), Alessandro Pericle Ninni (un primo lotto nel 1876), Giovanni Antonio Maria Zanardini (verso il 1878) e G.B. Spinelli (1880). Nel 1920 la fama e l’importanza del Museo Civico sono

tali, e i materiali così cospicui, che ne viene deciso il trasferimento in Piazza San Marco, presso il Palazzo Reale e parte delle Procuratie Nuove. Si ha così la definitiva separazione delle raccolte storicoartistiche da quelle naturalistiche ed etnografiche. Quando il Fontego dei Turchi rimase libero, il Comune decise di restaurare l’edificio per farne la sede permanente del Museo di Storia Naturale di Venezia. Correva l’anno 1923.

Il Museo accoglie oggi i visitatori con un allestimento suggestivo e coinvolgente, a partire dagli scheletri di una grande balenottera e di un capodoglio appesi al soffitto nella lunga ala d’accesso; segue l’Acquario delle tegnùe, che riproduce l’ambiente e la biodiversità delle formazioni rocciose al largo della costa veneziana (le tegnùe). Al secondo piano sono ordinate le tre grandi sezioni del museo. In quella intitolata Sulle tracce della vita, dedicata ai fossili e alla paleontologia, spicca la sala con lo scheletro dell’Ouranosaurus nigeriensis, dinosauro riportato alla luce nel 1973 dalla spedizione di Giancarlo Ligabue nel Niger orientale. La seconda, Raccogliere per stupire, raccogliere per studiare, illustra l’evoluzione del collezionismo naturalistico e della museologia scientifica in sale ricche di cimeli etnologici e preparazioni anatomiche a secco e in liquido: ne è cuore la sala che raccoglie i materiali della spedizione nell’Alto Nilo condotta dal 1859 da Giovanni Miani – tra cui una mummia di donna col volto dorato tra due coccodrilli – mantenuti nella disposizione originaria. Modernità di luci, suoni e soluzioni interattive caratterizza la terza sezione su Le strategie della vita, legata alle varietà delle forme viventi e alla complessità dei loro adattamenti e specializzazioni. Per i suoi primi cento anni di vita il Museo ha deciso di festeggiare insieme al suo pubblico più affezionato, cioè bambini, scuole e famiglie, ma anche appassionati e curiosi: sono in programma laboratori per famiglie, numerose attività didattiche, aperture serali, cacce al tesoro e incontri con scienziati. Una festa che culminerà il 13 maggio in una giornata speciale aperta a tutti con punti informativi, workshop, giochi, spettacoli, che coinvolgeranno le associazioni e gli istituti che da anni collaborano con il Museo. Il centenario inoltre non poteva non avere un testimonial d’eccezione: un modello 3D di un granchio di 2,5 metri che campeggia sulla facciata sul Canal Grande.

Seguite le impronte di dinosauro da piazzale Roma e dalla Stazione ferroviaria e vi troverete a scoprire un mondo scientificamente fantastico.

123
Mio padre Giancarlo abbracciava tutti: i locali, gli indigeni, teneva per mano un pigmeo.
Cent’anni di natura e storia al museo Museo di Storia Naturale di Venezia Giancarlo Ligabue,Santa Croce 1730 msn.visitmuve.it

Il maratoneta

Intervista Mauro Covacich

di Elisabetta Gardin

Scrittore tra i più interessanti e per certi versi spiazzanti del panorama italiano, Mauro Covacich collabora con il «Corriere della Sera» e altre testate, è autore di radio-documentari e radiodrammi per la Rai, è stato docente di Scrittura creativa presso l’Università di Padova. Nasce a Trieste, dopo la laurea in Filosofia, il servizio civile lo porta a Pordenone dove si trasferisce e inizia a insegnare nei licei. Esordisce nel 1993 con Storie di pazzi e di normali, cui fanno seguito Colpo di lama (1995), Mal d’autobus (1997), Anomalie (1998), La poetica dell’Unabomber (1999), raccolta di resoconti dei suoi viaggi in Italia come reporter, L’amore contro (2001), Trieste sottosopra. Quindici passeggiate nella città del vento (2006). Arriva poi il “ciclo delle stelle”, composto dai romanzi A perdifiato (2003), Fiona (2005) e Prima di sparire (2008). Tra i suoi ultimi lavori, L’esperimento (2013), La sposa (2014), La città interiore (2017), Di chi è questo cuore (2019), Sulla corsa (2021).

Nel 2017 La città interiore vince il Premio Brancati, mentre nel 2018 gli viene conferito il Premio Tomizza. È stato inoltre finalista al Premio Strega e al Premio Campiello. Covacich è indubbiamente uno sperimentatore, spesso nei suoi racconti la finzione si mescola alla realtà in un intreccio d’autobiografismo e invenzione letteraria costruito con il suo consueto stile connotato dall’essenzialità, usando toni molto schietti in una forte tensione realistica.

È appena uscito ora il suo ultimo romanzo L’avventura terrestre, edito da La Nave di Teseo. Anche qui, in una scrittura asciutta, ritroviamo potenti suggestioni autobiografiche. L’autore quasi si sdoppia: da giovane spia il sé stesso adulto in un’avventura tragicomica.

La narrazione parte da un problema fisico del protagonista, un’improvvisa sordità per cui gli viene prescritta una tac al cervello, la cui attesa genera il panico. L’uomo di mezza età si fissa su tutto ciò che può capitare nel peggiore dei casi; in un interminabile weekend ‘sospeso’, oltre alle classiche ricerche di informazioni mediche online, iniziano gli inevitabili bilanci, i ripensamenti, in un continuo viaggio tra presente e passato. Accanto alla preoccupazione e alla paura, la vita esplode come sempre con tutte le sue contraddizioni, gli imprevisti, il lato comico inevitabile in ogni esistenza. Succede così di tutto: il protagonista finisce in una rissa, fa una lezione in uno scantinato, cade dalla bicicletta, sviene nei bagni di un museo, ma anche pensa al suicidio.

Ci racconti com’è nato questo suo ultimo romanzo. Perché va letto?

Un giorno mi è capitato di immaginare che cosa succederebbe se il ragazzo che ero venisse visitato dall’uomo che sono diventato. Ho cominciato da alcuni momenti cruciali della mia vita di ventenne e ho immaginato di vedermi da laggiù come sono adesso. Diciamo esattamente il contrario di un ricordo. Mi riconoscerei se mi incontrassi? Intendo se incontrassi quest’uomo di mezza età, magro, spelacchiato, che consuma la sua vita scrivendo? Quanta sarebbe la delusione e quanta magari la curiosità di avvicinarlo, di saperne qualcosa di più? Soprattutto se quel ragazzo cominciasse a intuire che quell’uomo di mezz’età ha molto a che vedere con lui? Sul perché vada letto il mio libro non ne ho la più pallida idea.

Nel 2005 da una piccola città del Friuli si trasferisce a Roma. Che cosa ha comportato per la sua scrittura questo cambiamento così radicale?

Io ho cambiato diverse città. Sono cresciuto a Trieste, ho vissuto più di dieci anni a Pordenone, poi un anno a Milano e infine eccomi qua, da quasi vent’anni a Roma. Il fatto è che non ho mai scelto questi cambiamenti, mi sono lasciato guidare dagli eventi della mia vita, in prevalenza eventi amorosi. Roma forse ha portato una maggior disposizione all’erranza, alla divagazione, a un passo più lento, certe volte casuale, comunque introspettivo.

Parlando sempre di città, Trieste torna spesso nei suoi romanzi. Una città del resto letteraria come poche altre.

Lei ci è nato e ci è cresciuto. Che cosa ha rappresentato e che cosa rappresenta oggi per lei questo luogo di confine?

Trieste è una tara genetica. A lungo ho lottato per liberarmene, poi invecchiando ho cominciato a farci i conti in modo più sereno. Negli ultimi anni ho anche provato a cavarci fuori qualcosa di buono.

Dai suoi romanzi Anomalie, Fiona, A nome tuo sono stati ricavati spettacoli teatrali. Ha in cantiere altri progetti per il teatro?

A proposito di qualcosa di buono su Trieste, negli ultimi anni con il Politeama Rossetti, Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, ho scritto e interpretato due monologhi su Svevo e Joyce. Ora stiamo allestendo il terzo su Saba. L’idea è quella di costruire una sorta di trilogia intesa come corpo a corpo con i giganti che hanno vissuto nella mia città nel Primo Novecento, tre atti concepiti come un’autobiografia per procura.

124 etcc... LIBRI
La scrittura deve custodire nel gesto un tratto performativo, scrivere ha senso solo se comporta un arricchimento personale, solo se ci va di mezzo anche il corpo di chi scrive

Da A nome tuo è stato tratto anche il film Miele di Valeria Golino. Quale altro suo romanzo vorrebbe avesse una trasposizione cinematografica?

Questo appena uscito, L’avventura terrestre. Sarei curioso di vedere la scelta del regista per le due parti maschili, se sceglierebbe lo stesso attore invecchiandolo quando serve, o se invece opterebbe per due distinti interpreti. Insomma, se sceglierebbe di sottolineare la somiglianza o contrariamente la differenza.

Ha ricevuto vari riconoscimenti, è stato finalista allo Strega, al Campiello. Quanto può incidere nella crescita di uno scrittore un premio? È veramente così importante?

Premesso che io sono bravissimo a perdere i premi, diciamo ad arrivare secondo, si tratta di riconoscimenti che non ti fanno svoltare, tuttavia possono aiutarti nelle vendite e nelle traduzioni. Due cose assai importanti per chi vive di sola scrittura.

Lei è un artista che affronta accostamenti inusuali, percorsi originali, contaminazioni tra vari linguaggi espressivi, vedi ad esempio la videoinstallazione L’umiliazione delle stelle. Quali strade le piacerebbe percorrere che ancora non ha esplorato?

Non saprei dire. Io riporto tutto alla scrittura; per me anche correre la maratona sul tapis roulant era una forma di scrittura, era scrivere con il corpo. Per come la vedo io, la scrittura deve custodire nel gesto un tratto performativo; scrivere ha senso solo se comporta un arricchimento personale, solo se ci va di mezzo anche il corpo di chi scrive. Allora passare dalle performance dei romanzi a una scrittura che mi fa agire in scena non risulta poi essere una dimensione così assurda.

Continua a essere un maratoneta?

Corro ancora, sì, anche se non posso più permettermi le maratone perché sono pieno di acciacchi. Maratoneta, però, è una condizione dell’anima, non si smette mai di esserlo.

125
© Rino Bianchi

etcc...

Nel segno del bosco

Il Duca, ultimo romanzo di Matteo Melchiorre edito da Einaudi, è tra i candidati al Premio Strega 2023, presentato da Marco Balzano nell’ambito dei titoli proposti dagli “Amici della domenica” con la seguente motivazione: «È una storia che sembra provenire da un’altra epoca, quando il mondo era ancora da esplorare e lo spazio attorno agli uomini ancora da conoscere e conquistare. È invece un racconto che, come sa fare a volte la letteratura, parla per allegorie e dicendo di quel cosmo illustra più che mai il nostro, con i suoi voli e i suoi abissi. Due, più di tutti, sono gli elementi che mi colpiscono di questo romanzo: la cura con cui vengono trattati i personaggi e la duttilità della scrittura dell’autore, capace di sbozzare piccoli universi corali e individualità uniche che si stagliano sulla scena. Tra voli di cornacchie, giochi di potere e documenti antichi, Melchiorre accompagna il lettore a toccare con mano la forza e la violenza che esercitiamo nei confronti della natura e, infine, verso noi stessi. L’ambientazione principale è il bosco, quasi una selva dantesca, che continua a respirare nonostante le miserie umane, di cui sembra beffarsi. Ecco perché quell’ultimo erede di una dinastia decaduta, che Melchiorre rende vividamente sulla pagina, è anche uno specchio in cui ciascuno può riconoscere le proprie debolezze e paure». Matteo Melchiorre è nato a Feltre nel 1981, è stato ricercatore presso l’Università degli Studi di Udine, Ca’ Foscari e IUAV di Venezia. Si occupa di storia economica e sociale del Medioevo e della prima Età Moderna, è esperto di storia della montagna e dei boschi. Dal 2018 è direttore della Biblioteca del Museo e dell’Archivio Storico di Castelfranco Veneto. Ha pubblicato vari saggi: Requiem per un albero. Resoconto dal Nord Est (Spartaco, 2004), La banda della superstrada Fenadora-Anzú (con vaneggiamenti sovversivi) (Laterza, 2011), La via di Schenèr. Un’esplorazione storica nelle Alpi (Marsilio, 2016) e Storia di alberi e della loro terra (Marsilio, 2017). È stato insignito del Premio Mario Rigoni Stern e del Premio Cortina.

Il Duca è davvero un romanzo che travolge, costruito attraverso una scrittura colta da cui non ci si riesce a staccare. Ogni pagina è una sorpresa, gli avvenimenti non sono ipotizzabili: una miscela ipnotica tra romanzo classico, epico, filosofico.

Il protagonista è il discendente di una antica famiglia nobile che si è ritirato a vivere nella maestosa Villa Cimamonte, la residenza dei suoi avi nel paesino di montagna di Vallorgàna.

Qui, improvvisamente e per motivi futili, scoppia l’ostilità con un possidente locale che si è fatto da sé, l’ormai ottantenne Mario Fastréda; un contrasto violento e insanabile. In realtà i due personaggi hanno una cosa in comune: anche se in modo diversissimo in

entrambi è forte l’esercizio del potere.

Vallorgàna diviene un microcosmo in cui ritroviamo le stesse dinamiche della vita di tutti noi, del nostro quotidiano: dalla necessità di fare i conti con il passato, perché «il modo giusto per liberarsi del passato non è dimenticarlo, ma conoscerlo», con la libertà individuale, con il decidere il proprio destino, con l’ottusità del potere, fino alla furia degli elementi, la natura che si ribella, la violenza del vento, ineluttabile, che porta ovunque distruzione.

Il tutto è narrato con un linguaggio ricco, aulico, pervaso da una forza che non ti molla più. Mentre leggi ti ritrovi immerso nel verde di quel bosco fitto, nei pascoli, vedi gli allevamenti e la gente di quei luoghi, attraversi con loro il ciclo delle stagioni o ti aggiri per le enormi stanze dell’antica villa di famiglia, che conserva tante memorie e tanti segreti.

Forse leggendo queste vicende familiari anche noi ci interroghiamo sul nostro passato, sulle nostre radici, su quanto possiamo determinare il nostro destino, le nostre scelte; emerge anche in noi, insomma, leggendo appassionatamente queste pagine, l’importanza di conoscere il passato per capire il presente.

Il suo ultimo romanzo Il Duca è avvincente e inusuale. Come è nata la storia?

La storia è nata all’incrocio di interessi, riflessioni e percorsi di indagine diversi. Da un lato, il tema delle antiche dimore quali sedimentazioni di storie e memorie da “schiudere”. Da un altro lato, il tema dei luoghi marginali soprattutto quelli della mezza montagna, con il loro carico di durezza, asperità e materialità, ma anche con tutta la loro componente magica, fantastica. Da un altro lato ancora, la mia attività di storico, vale a dire andare in archivio e leggere documenti in prima persona, mi ha posto di fronte al problema del condizionamento esercitato dal passato sul presente, non in termini assoluti ma in direzioni specifiche: quale “catena” costruisce il passato, capace

126
LIBRI
Intervista Matteo Melchiorre di Elisabetta Gardin

di orientare non solo lo sguardo di chi lo conosce ma anche le decisioni, i limiti, l’arbitrio?

Come si sente ad essere tra i candidati al Premio Strega?

Il Duca è stato presentato al Premio Strega da Marco Balzano, e già questa è una soddisfazione. Ora si vedrà se continuerà il suo cammino entrando tra i candidati veri e propri. Devo ammettere che la notizia della presentazione al Premio mi lusinga. Francamente non ci pensavo, non immaginavo che un soggetto come Il Duca potesse dai margini prendere questa strada “centrale”.

Il mese scorso a Treviso si è tenuto Venetarium, un osservatorio sugli scrittori di questa regione. Cosa rappresentano le radici venete nel suo modo di scrivere? C’è qualcuno dei grandi scrittori veneti del passato o tra i contemporanei che l’hanno influenzata?

Venetarium è stato un evento molto bello, un modo per incontrarsi. Sono emerse molte cose, ma una più chiara delle altre: ci sono, in Veneto come altrove, piante diverse che nascono da radici diverse o radici uguali che però germogliano diversamente in terreni a loro volta diversi. Per quel che mi riguarda ho cercato di allenare l’ironia e la pazienza con Meneghello, l’umanità e la franchezza con Rigoni Stern, l’importanza di guardare il presente con gli occhi straniati di Trevisan, la velocità con Parise.

Chi sono più in generale i suoi modelli di riferimento?

Trovo sempre una certa difficoltà a rispondere a questo tipo di domanda. A seconda dei progetti cambiano i modelli o i modelli assumono un peso diverso. Naturalmente l’elenco potrebbe essere lungo… Tra i vari mi viene da dire così, schiettamente, Sebald, Pierre Michon, Pavese spesso, Meneghello sempre, Cechov anche. E poi tutta la saggistica storica, vera linfa vitale.

Il Duca sembra perfetto per un film, è quasi una sceneggiatura già pronta. Chi vedrebbe nei panni del protagonista?

Le piacerebbe scrivere per il cinema?

Non ho idea di cosa significhi scrivere per il cinema, credo ci siano regole e dinamiche diverse rispetto a quelle del romanzo, tuttavia vari lettori hanno effettivamente riconosciuto ne Il Duca un qualcosa di cinematografico. Chissà che non si veda prima o poi sullo schermo! Nel caso, difficile immaginare quale attore vedrei bene nei panni del Duca, questo perché nel libro non ho voluto dargli un volto, una fisionomia definita. È un io che parla e il resto viene lasciato al lettore.

Quali i progetti in cantiere per il futuro?

Vi sono delle scritture nuove su cui sto lavorando, altre su cui sto ritornando. Diciamo che in generale questa è una fase di progettazione, una fase di ascolto e raccolta. È forse la fase più difficile del lavoro creativo; gli stimoli sono tanti, le idee vengono e vanno, bisogna aspettare che quella attesa si posi.

Lei è direttore di una Biblioteca. È triste dirlo, ma ormai ci sono quasi più scrittori che lettori…

È vero, tecnicamente sono tante le persone che scrivono libri. È un fatto acquisito. Anche in biblioteca alle volte è difficile gestire richieste pressoché continue di presentazioni. Tuttavia, non dubito affatto che il libro abbia un futuro, indipendentemente dal supporto. Il libro rimane uno spazio di pensiero, di intrattenimento, di conoscenza, di scoperta, di sperimentazione insostituibile. Bisogna riconoscere però che ci sono libri e libri, come ci sono vini e vini.

Lei legge nella versione cartacea o è passato agli e-book?

Non posseggo un e-reader. Uso gli e-book e le risorse bibliografiche online soprattutto per scopi scientifici, per studi o ricerche.

Come avvicinare i giovani ai libri?

Non credo che si possa imporre loro un generalizzato tirocinio alla lettura. Alla lettura si arriva percorrendo delle tracce che vanno scovate da soli. Il punto è al limite disseminare in giro queste tracce. Non ho idea se inseguire i linguaggi, i gusti, i temi dei giovani sia un modo di allettarli o invece di scimmiottarli. Credo invece sia giusto mettere a disposizione, dei giovani come di tutti gli altri, dei libri, dei buoni libri. Farli trovare, raccontandoli se hanno voglia di ascoltarli. La lettura resta pur sempre una questione di libertà.

127
Ho cercato di allenare l’ironia e la pazienza con Meneghello, l’umanità e la franchezza con Rigoni Stern, l’importanza di guardare il presente con gli occhi straniati di Trevisan, la velocità con Parise

DALLA PARTE DEGLI ANGELI

Artista poliedrico – pittore, scrittore, musicista, imprenditore e gallerista di successo, ma anche poeta del paesaggio coi suoi motivi lagunari, friulani e carinziani – Giovanni Toniatti Giacometti ha da poco presentato alla Galleria d’Arte “La Cantina” di Latisana il suo libro dal titolo Angelitudine, curato da Vito Sutto. Come gli impressionisti che dipingevano en plein air, creando una nuova estetica opposta all’arte accademica, Giovanni Toniatti Giacometti coglie con le sue pennellate rapide e materiche “l’impressione del vero”, facendo emergere in tutte le sue tele il blu che lo ricollega al cielo e al mare. La sua opera sia poetica che pittorica «scaturisce da un desiderio di contemplazione e fissazione di un sogno ad occhi aperti, un viaggio dell’esperienza che si fa colore», e questo libro è il frutto della sua sensibilità artistica e interiore. Come dichiarato dal curatore Vito Sutto: «Ci possiamo interrogare su ciò che significhi “Angelitudine”. In effetti questo termine è un po’ improprio nella nostra lingua, possiamo dire che è una scommessa, un’attesa improbabile di apertura linguistica ad un significato che ci trasporta lontano nel tempo. Le opere di Toniatti Giacometti dunque rimandano a tale “Angelitudine” tra virgolette, perché l’angelo è ineffabile, invisibile, ma vero nella cultura biblica, espressione onirica nella cultura laica […]; a mio avviso l’angelo di Toniatti è portatore di speranza e di luce, è una creatura evanescente dai rimandi storico letterari laici e dai richiami cristiani vetero e neo testamentari, l’angelo è anche spirito di speranza, attesa, palingenesi, rinnovamento e mutamento, gioia e serenità, luminosità e cromatismi. E allora Angelitudine può significare attitudine ad essere angeli, sensibilità a cogliere dall’angelo valori positivi, messaggi di pace e di bontà, sentimento di urgenza verso il divino, bisogno di raggiungere ideali paradisi personali e collettivi».

Il libro rappresenta un prezioso scrigno di poesie tra il visionario e il reale: un messaggio che diventa grido di speranza in un momento storico così travagliato che porta ancora le cicatrici della post-pandemia, funestato da crisi economica, disagio sociale, terremoti, instabilità in molte parti del mondo, oltre che dall’insicurezza per una guerra che potrebbe scaturire in un conflitto mondiale.

PAROLE a cura di Renato Jona

Èsempre piacevole e stimolante andare a caccia del vero significato di alcune parole, di uso anche molto frequente nei nostri discorsi, che però, poi, risultano di non facile definizione.

Prese e analizzate singolarmente, pur cercando di approfondirne il senso, possono riservare degli aspetti sorprendenti, mostrando quanto talvolta sia difficile penetrare la loro vera essenza. Possono infatti contenere sfumature non immediatamente intuitive, differenti da quanto ci si attende e talvolta mostrano addirittura la necessità di ricorso ad altri termini. Non solo, ma in qualche caso possono rivelare più di un significato, a seconda delle frasi in cui sono collocate. Una di queste magiche parole, affascinanti, è proprio la parola, molto comune, usata, e anche talvolta abusata, in tanti discorsi: dignità.

Quante volte incontriamo questo termine nel nostro discorso!

Ma siamo proprio sicuri di riuscire veramente a comprenderne tutta la sua essenza quando lo usiamo?

Certamente ci rendiamo conto subito che si tratta di una parola molto importante, che può essere utilizzata soltanto riferita ad esseri viventi. Ma proprio a tutti?

A questo punto dobbiamo ammettere che non è possibile non concordare sul fatto che il suo uso è riservato soltanto agli esseri umani.

Si tratta di un termine molto efficace, tanto importante, ma purtroppo i suoi contorni sono così sfumati e spesso soggettivi che non è facile definirlo in due parole.

Infatti, per cercare di approfondirne il vero significato, diciamo subito che dobbiamo coinvolgere un’altra parola: il rispetto.

Questo, di più facile individuazione, consiste in un atteggiamento degli altri esseri umani verso il soggetto che vogliamo considerare, che comunque deve essere titolare della dignità; ed è proprio questo comportamento richiesto, considerato necessario, auto limitativo che crea quella distanza metaforica, breve, ma invalicabile, protettiva del prossimo, che consente la possibilità di esistenza della dignità. Viene dunque riconosciuto uno spazio minimo, virtuale, ma concreto, palpabile, necessario, attorno a ciascun essere umano. Se si dovesse superare o violare, si mancherebbe di rispetto verso il prossimo ledendo la sua dignità di essere umano.

E questo spazio, come si è visto, non è fisico, ma reale, e quindi va rispettato lasciandolo vuoto, a disposizione esclusiva di un solo soggetto. (Anzi, effettivamente, di ciascun essere umano). E ben s’intende, il rapporto è così delicato che non deve essere violato né con una parola e in qualche

128 etcc... LIBRI

DIGNITÀ

caso neppure addirittura con uno sguardo (…indiscreto). Molte impalpabili cose contribuiscono a motivare la necessità di mantenere questo “spazio di rispetto”: ad esempio l’individualità, l’onore, l’amor proprio, il pudore, la rispettabilità, la stima.

Come si vede è molto complesso definire questi quasi indefinibili, ma ben concreti limiti.

La dignità umana, dunque, non è violata, sussiste integra quando gli altri esseri umani la avvertono, la riconoscono e la rispettano. E questa necessità, che apparentemente sfugge alle definizioni, in effetti è terribilmente concreta e non è un’esigenza opinabile, da riservare soltanto ad alcuni soggetti, ma è di tutti gli esseri umani. (Per dare un’idea di quanto sia ritenuta importante la materia, basti pensare che quando Sergio Mattarella ha fatto il Suo discorso in occasione del rinnovo del Suo insediamento quale Presidente della Repubblica, ha ripetuto ben 18 volte la parola dignità!).

Lo Stato, come è noto, con le sue leggi provvede a regolare i rapporti tra Stato stesso e i suoi cittadini e tra i cittadini, tra di loro. E queste devono sempre tener conto dell’esigenza di conferire il riconoscimento costante alla dignità di ciascun di noi.

Dunque, tra le esigenze primarie troviamo senza dubbio la dignità. Oggi la difesa della dignità ci appare naturale, ma in effetti è frutto di una grande conquista, di un fondamentale cambio di mentalità rispetto al passato. (Si pensi che ancora nell’ultima guerra, terminata nel non così lontano 1945, i prigionieri dei tedeschi, contrariamente alle leggi generali, erano considerati addirittura, com’è noto, semplicemente “stucke”, pezzi!)

Soltanto dal 1948 la nostra Costituzione ha stabilito il principio che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge e hanno pari dignità sociale. E questa affermazione, molto importante, è stata necessaria perché, prima, infatti, non tutti gli esseri umani appartenenti ad uno Stato godevano della stessa tutela .

Addirittura molte categorie di cittadini non erano affatto tutelate!

In un crescendo perverso, si era arrivati al punto di distinguere i cittadini in razze, stabilendo quali erano quelle superiori e inferiori, quelle che meritavano di essere rispettate, e le altre, inferiori, persino non degne di tutele di legge.

La tendenza umana alla “normale prepotenza” era diventata legale, cioè riconosciuta giusta dalla legge.

Ma oggi siamo abituati al principio che la legge deve trattare tutti i cittadini allo stesso modo, poiché tutti i cittadini meritano lo stesso rispetto.

Oggi non possono più esistere per legge cittadini di categorie differenti, ma tutti hanno diritto allo stesso trattamento.

La vecchia mentalità ancora oggi, sporadicamente, fa capolino e anche se la cosa non può essere ufficiale, stenta a scomparire. Vecchi pregiudizi, inconfessabili classificazioni delle persone in razze inferiori e superiori (e naturalmente quella altrui è considerata “inferiore”, e la nostra è “superiore”…). Ma vi è ancora tanto lavoro da fare…

La via del progresso è lenta, molto lenta!

Un esempio fondamentale merita di essere citato: lo Statuto dei lavoratori è una legge che intende tutelare la dignità del lavoratore. Ma a questa legge, considerata la complessità, la delicatezza della materia, ci si è arrivati gradualmente, anche attraverso altre leggi che in un certo senso potrebbero essere considerate preparatorie: quella riguardante gli infortuni e le malattie professionali, quelle riguardanti la materia pensionistica e dei licenziamenti. Infine tutto lo Statuto dei lavoratori, che è un complesso articolato di diritti e doveri, regolanti svariate materie: diritti sindacali, limitazione del potere di controllo e disciplinare, chiarimenti e limiti di mansioni e trasferimenti. Nello Statuto dei lavoratori viene affermata la libertà di associazione sindacale, riconosciuta la possibilità anche di operare, entro certi limiti, da parte del sindacato nella sfera imprenditoriale. Soprattutto il legislatore ha voluto vietare la possibile discriminazione dei soggetti in relazione al sesso, alla politica, alla religione, agli eventuali handicap e molte altre possibili distinzioni, svilendo e negando la loro dignità, umiliandola.

Abbiamo citato questa legge nei suoi molteplici aspetti e attenzioni per sottolineare quanti campi comprende la materia della dignità e quindi quanto sia intenso e sottile lo sforzo necessario per tutelarla. Come sempre i processi di maturazione fanno fatica ad affermarsi. Trovano infatti sul loro cammino ostacoli, freni, resistenze, malafede, egoismi, convenienze. Ma con il tempo cambia il modo di pensare, addirittura il linguaggio, mutano e si affinano le sensibilità. Oggi si è tenuti a rispettare la privacy (esistono chiare leggi in proposito), in altri casi addirittura per rispetto e considerazione verso alcune categorie di persone occorre definirle, con maggiore rispetto, “diversamente abili”, anziché “disabili” o invalidi, espressioni di uso comune fino a qualche tempo addietro.

Ecco dunque, notiamo, anche in questa manifestazione, in trasparenza, la necessaria attenzione, l’opportuna, la corretta considerazione della dignità dell’essere umano.

Ma quanto è lunga la strada del rispetto dell’altrui dignità! Sarebbe comodo, lo so, poter introdurre questi tanto sofferti principi di maturazione in un frullatore che rapidamente, in pochi minuti, ci restituisse la materia già pronta!

Però, diciamolo francamente, non sarebbe… dignitoso!

129

DESTINAZIONE ARMENIA

Siamo in quella parte del mondo che si usa definire la culla dell’umanità.

Ci muoviamo tra le tracce più antiche dell’esistenza umana Ryszard Kapus´cin´ski

130 m enu
Isola di San
degli Armeni
Lazzaro

Senza venire tacciati di Venezia-centrismo pare incredibile come la città presenti ancora al suo interno delle componenti storiche e sociali, la cui importanza si ripercuote a livello planetario. Nello specifico suscita stupore la storia degli Armeni a Venezia e il ruolo primario del legame tra due culture e tradizioni apparentemente lontane assunto fino ai giorni nostri. L’occasione di un assaggio di cultura armena è stata offerta da Save, Wizz Air e Armenia Tourism Committee che all’Isola di San Lazzaro – dal 1717 sede del Monastero dell’Ordine dei Mekhitaristi, che al suo interno conserva un ricchissimo patrimonio spirituale, culturale e artistico, tra cui spicca una biblioteca con migliaia di tomi antichi e oltre 4000 manoscritti miniati – hanno presentato il volo diretto bisettimanale operato da Wizz Air che collega già da gennaio Venezia alla capitale armena Yerevan e viceversa in meno di quattro ore. “The Hidden Track” è la suggestiva declinazione scelta dal Ministero del Turismo del Paese, che dal punto di vista geografico è situato nell’Asia Occidentale, ma per ragioni di carattere storico e culturale viene compreso tra gli stati europei.

L’Armenia presenta un territorio prevalentemente montuoso, senza sbocchi sul mare, ricco di vulcani spenti, risultato di un sollevamento della crosta terreste in un periodo di venticinque milioni di anni fa che ha creato l’altopiano armeno e la catena del Caucaso Minore, che si estende da nord verso sud-est, tra il lago Sevan e l’Azerbaigian, fino al confine con l’Iran.

Nel 301 dopo Cristo l’Armenia divenne il primo stato cristiano al mondo, tuttavia il folklore locale conserva ancora riti e pratiche che affondano le loro radici nella tradizione pagana, che nei secoli ha permeato in profondità la cultura popolare.

Pur avendo una popolazione di circa 12 milioni di individui sparsi per il mondo, la cultura armena e la sua lingua hanno sempre goduto di una solida reputazione, al punto che nella Venezia capitale mondiale della stampa nel Cinquecento, l’armeno è stato l’undicesimo linguaggio a venire stampato tramite la tecnica a caratteri mobili tra il 1511 e il 1512, dopo Latino, Tedesco, Greco, Ceco, Ebraico, Francese, Arabo, Olandese, Inglese e Italiano ed una delle prime lingue, la sesta al mondo, a disporre di un dizionario moderno.

Una terra di primati a partire dall’anno di fondazione della capitale, Yerevan, che viene fatto risalire al 782 a.C., ovvero 29 anni prima della nascita di Roma. L’Armenia è tra le poche nazioni costituite da

un solo gruppo etnico. Fatta eccezione per una minoranza del 3%, il resto della popolazione si identifica come armeno.

Una curiosità ulteriore riguarda il gioco degli scacchi che viene insegnato nelle scuole come materia obbligatoria.

Una meta turisticamente nuova, affascinante e piena di sorprese positive, con un livello di sicurezza personale molto elevato e un tasso annuo di crescita a doppia cifra, ancora fortemente legata alla sua storia, fatta di diaspore nei secoli e drammatici genocidi subiti, che hanno saputo alimentare in maniera determinante un sentimento di appartenenza molto forte nella popolazione armena ovunque residente nel mondo. Una nazione da scoprire con i suoi paesaggi, le sue spettacolari vallate in quota, i suoi monumenti patrimonio Unesco e le tradizioni ancestrali, il tutto con la semplicità e il vantaggio di un volo diretto che crea un ponte vero tra due culture che nel rispetto delle diversità non hanno temuto di confrontarsi e di conoscersi vicendevolmente. Napoleone quando decretò la soppressione dei conventi non si oppose alla trasformazione della Congregazione di San Lazzaro in Accademia scientifica, salvandola nelle sue attività propagatrici di memoria collettiva.

Dato il valore storico e culturale, Unesco ha collocato nel patrimonio dell’Umanità il lavash, un antichissimo pane di origini armene privo di lievito e creato con farina, acqua e sale. È il pane più comune in Armenia, ma è consumato anche in Iran, Turchia, Georgia e Azerbaigian. Può essere realizzato in forma rettangolare, quadrata o rotonda: è morbido da fresco e diventa più croccante man mano che indurisce. Tradizionalmente viene arrotolato, appiattito e poi cotto appoggiandolo contro le pareti calde di un forno di terracotta che, in lingua armena, viene chiamato tonir

Chissà se nell’Isola di San Lazzaro il lavash viene servito con le marmellate di giuggiole o di rose che vengono preparate in loco, attingendo alle piante dell’Isola? Prima di partire per l’Armenia, vi consigliamo di raggiungere e visitare l’Isola della Laguna, posta tra San Servolo e il Lido, e poi sublimarsi nel ricordo di questo luogo di rara semplicità ed elevata raffinatezza del sapere anche con il gusto di queste marmellate acquistabili direttamente nel piccolo bookshop di San Lazzaro.

www.mechitar.org

www.wizzair.com

131
Yerevan

IL DINAMISMO DELLA GALLINA

Natale Farinetti, meglio conosciuto come Oscar, nasce ad Alba, terra di tartufo e di ottimi vini, nel 1954. Il suo impegno imprenditoriale con Eataly lo ha portato ad essere conosciuto internazionalmente, ma soprattutto ha contribuito in maniera molto significativa alla conoscenza e diffusione dei migliori prodotti eno-gastronomici italiani nel mondo, dando risalto alle eccellenze, alle diversità dei vari territori ed educando i consumatori alla qualità e alle tipicità, esaltando le differenze nelle moltissime produzioni nazionali. Ora è impegnato nel nuovo progetto Green Pea, dedicato al vivere sostenibile. Il suo ultimo volume, edito da Slow Food Editore, si intitola

È nata prima la gallina... forse. 52 storie sull’ottimismo e il suo contrario, sulla gente, il cibo, la vita e l’amore

Un anno di lavoro, una storia a settimana, in cui il fil rouge è rappresentato dall’ottimismo, sempre presente, che assume varie forme: «Al posto di un saggio, ho pensato di scrivere 52 storie: racconti brevi che mettono a confronto varie forme di ottimismo e narrano di personaggi famosi e non, presentati in un momento cruciale del loro percorso. Si parla di vicende storiche, di sogni, di ambienti e generazioni...».

Tutti i protagonisti – grandi personaggi e figure della quotidianità –, sono persone in grado di prendere una decisione, e al tempo stesso (il ‘forse’ del titolo) preservare il dubbio affinché, se si dovesse sbagliare, si possa tornare indietro e cambiare strada. Farinetti racconta di un’umanità in cui l’ottimismo diventa una scelta di vita.

Andamento lento

Aperol, nato in Veneto nel 1919, condivide con Venezia un tema liquido importante: lo spritz, divenuto un landmark della città sempre più conosciuto e apprezzato da un gran numero di locali e “foresti” ben oltre il canonico orario dell’aperitivo.

Il legame con la città è dunque forte e profondo, tanto che Aperol per favorire iniziative concrete a favore di Venezia, quella vera, fatta di abitanti, temporanei o stabili, ha ‘varato’ il programma Together with Venice

Il primo step si è concretizzato grazie alla collaborazione con Venice on Board, un’associazione sportiva dilettantistica fondata a Venezia nel 2014 con lo scopo di avvicinare i giovani alle tradizioni di voga alla veneta, salvaguardando la Laguna e il suo ritmo lento e sostenibile. Grazie all’intervento di Aperol, l’Associazione ha potuto restaurare una sanpierota, storica imbarcazione veneziana lunga 7 metri, nata per il trasporto di 6 passeggeri o di merci. L’imbarcazione era stata dismessa dalla Fornace Orsoni dopo un lungo servizio nelle acque lagunari iniziato al principio degli anni ‘70, quando venne costruita nei cantieri Schiavon di San Piero in Volta.

Grazie all’unione delle competenze di Venice on Board e dello squero di San Trovaso, la sanpierota ha riacquistato nuova vita e verrà utilizzata per i corsi di voga alla veneta offerti da Aperol, a partire dal mese di aprile. Cura, dedizione e rispetto sono i valori che hanno accompagnato Aperol e Venice on Board nei cinque mesi di lavoro occorsi per il restauro completo della barca. Un cantiere incessante che ha visto impegnati non solo il maestro d’ascia incaricato, ma anche giovani studenti di diverse accademie e scuole d’artigianato che hanno potuto apprendere l’arte del restauro conservativo navale. La barca è dunque ora pronta a ospitare oltre 100 corsi messi a disposizione gratuitamente per i veneziani, per poter riscoprire la città anche attraverso le sue antiche tradizioni. F.M.

Slow and ENG steady

Aperol is a bitters concoction first brewed in the Venetia in 1919. The most common addition to the ubiquitous Venetian Spritz, it is now a true landmark of the city, and it is enjoyed far beyond the canonical aperitivo hour. The makers of Aperol celebrate this familiarity by sponsoring Together with Venice to support local traditions. A part of the programme is helping younger Venetian learn rowing (Venetian style – facing forwards) and restore a typical Venetian boat, a sanpierota, all for the safeguard of slow, sustainable, local lifestyle. Thanks to skilled shipwrights, the sanpierota will be the ‘training ship’ for a young generation of rowers, much like it has helped train younger shipwrights and apprentice craftsmen in the delicate art of conservative restoration in the months prior. 100 classes of Venetian rowing will be entirely paid for by Aperol, an applaudable initiative that will help us rediscover the traditions of our beloved city.

132 menu jointhejoy.aperol.com
Oscar Farinetti È nata prima la gallina... forse Slow Food Editore, 2023

Formidabili quegli anni Bertani ospite del St.Regis

The St. Regis Venice rappresenta il tocco elegante della contemporaneità, in un contesto del tutto iconico di una Venezia che verrebbe da dire, anzi scrivere, più Venezia di così non si potrebbe. Un hotel in cui i colori tenui e rilassanti si incrociano con importanti opere d’arte disseminate negli spazi ampi ed accoglienti, mantenendo un senso di ospitalità e di calore che fa sentire a casa. La piacevolezza del feeling home si avverte anche se si è ospiti temporanei, per un pranzo o un cocktail o anche per il tea ritual pomeridiano. In una sera di marzo, nell’ovattata atmosfera del Gio’s Restaurant si è tenuta una verticale di Amarone, di quelle che si possono incrociare, se fortunati, pochissime volte nella vita. Le occasioni più ghiotte per esplorare il mondo del vino arrivano perlopiù dagli assaggi in verticale, soprattutto se la sequenza si allunga abbastanza negli anni.

La cantina protagonista della serata è stata Bertani, unica azienda della Valpolicella a possedere una biblioteca di 48 annate che coprono sei decenni, partendo dalla prima in commercio a quella del 2013, che si troverà nel mercato a fine anno. Ad accompagnare il vino, il cibo affidato alle cure dell’Executive Chef Giuseppe Ricci e della sua brigata di cucina.

La cantina veronese, dal 2011 nel gruppo Angelini Wines & Estates, ha una lunga storia alle spalle, nata nel 1857 per opera dei fratelli Giovan Battista e Gaetano Bertani a Quinto di Valpantena, a nord di Verona. Fu nel 1850 che Gaetano fece un viaggio in Borgogna per apprendere l’arte della viticultura e della vinificazione di qualità. Da allora professionalità e passione, scelte lungimiranti e grande rispetto del territorio –unico e autentico – e della tradizione, condite dalla pazienza che richiede la produzione di un vino iconico come l’Amarone Classico della Valpolicella, hanno rappresentato il tratto distintivo di questa cantina. E se si dice che l’Amarone sia un vino senza tempo, Bertani è il re incontrastato delle etichette da invecchiamento. Ogni bottiglia è come una capsula del tempo, rappresenta la storia liquida del territorio con i fatti, i mutamenti, i rivolgimenti climatici e lo stravolgimento di gusto.

Nella verticale sono state proposte alcune importanti annate e ad ognuna di esse è stata accompagnata una parola per caratterizzarla: armonia per il 2012; raffinatezza per il 2005; esuberanza per il 1980; delicatezza per il 1967.

Those ENG great years

The elegant touch of modernity—that’s how we sum up what St. Regis Hotel means for Venice. It is an icon that is Venetian as it gets: relaxing pastels frame art masterpieces in its large, welcoming halls, keeping up a sense of intimacy and warmth that makes you feel at home. But a few days ago, one March night, in-house Gio’s Restaurant held a verticale wine-tasting dinner centred on Amarone. Nothing commonplace, at all. Wine was supplied by Bertani, the only winemakers in the Valpolicella region – home of the Amarone – that can provide forty-eight vintages spanning over six decades ending with the 2013 one, which will be marketed later this year. Food was the purview of chef Giuseppe Ricci and his kitchen brigade. Bertani winemakers was established in 1857 after Gaetano Bertani, once co-owner with his brother Giovan Battista, spent a few years in Burgundy to learn the art. Ever since, professionalism and passion guided their production and made kings of aged vintages. Every bottle is a time capsule, the liquid embodiment of the history of a parcel of land. One might expect the word of an expert to finish up, but I shall venture into a closing note myself with nothing but an invitation to an instinctive, primordial, emotional approach to a sip of history, and let your mind wander to a different time, think about the way we were, and allow the exhilarating beauty of winemaking in.

Sarebbe doveroso a questo punto prendere a prestito le parole degli esperti che sanno trovare sfumature segrete ad ogni goccia di prezioso vino, apprezzandone la struttura con richiami fruttati ed eterei profumi... tuttavia oso lanciarmi nel vuoto senza paracadute pensando all’emozione di un approccio istintivo, primordiale, basato sull’emozione di un sorso di storia, ripercorrendo con la mente il tempo in cui furono messi ad invecchiare, un “come eravamo” attraverso un calice di vino, con quella strana euforia che rende ancor più ebbri, forse più per suggestione che per assunzione di liquidi. E non privo di senso di inadeguatezza e con timore reverenziale appoggio le labbra per fluttuare tra le sensazioni che simili cromie di rosso possono suscitare, tenendo a bada l’ascolto degli esperti, che sembrano freddamente commentare formule matematiche anzichè confondersi nella creazione di un miracolo della Natura che sa prolungare e moltiplicare in varianti infinite le gioie di ogni sorso. Fabio Marzari www.bertani.net

133

A Mosaic of Styles & Arts

EACH OF THE TEN ROOMS IS CHARACTERIZED BY A PRECISE IDENTITY. DURING THE RESTORATION, THE HISTORY AND TRADITIONS OF VENICE WERE CAREFULLY PRESERVED, AND ARE NOW ENHANCED BY THE MODERN DESIGN OF THE SELECTED FURNISHINGS AND FABRICS. A MAGICAL PLACE FOR HOLIDAYS, PRIVATE FUNCTIONS, WEDDINGS, EXCLUSIVE EVENTS OR FAMILY CELEBRATIONS.

134
HOTEL HEUREKA VENICE HOTEL HEUREKA VENEZIA CANNAREGIO 3534 | T 00 39 041 5246460 WWW.HOTEL-HEUREKA.COM

reservations

E la chiamavano colomba

Il Fondaco dei Tedeschi è unanimemente riconosciuto come il più bel mall d’Italia, quello più chic e con un assortimento contraddistinto da altissima qualità ed esclusività. Anche il reparto gastronomico è all’altezza della meritata fama conquistata, e la selezione di prodotti legati al periodo pasquale proposta nella Corte al piano terra rappresenta un Eden per gli appassionati golosi che nell’insolito e coloratissimo allestimento primaverile possono scoprire il meglio della pasticceria e cioccolateria artigianale. Colombe e uova in bella mostra offrono il pretesto per compiere un ideale viaggio nella terra dei sapori italiani, partendo da Cova Montenapoleone, che dal 1817, nel cuore di Milano, addolcisce i palati meneghini e non solo. In vendita prelibate golosità di cioccolato, fantasiose e ricche confezioni di biscotti, praline e gianduiotti, e la colomba, preparata al meglio della tradizione lombarda. Fantasiose e creative quelle artigianali di Olivieri, tra le preferite del Gambero Rosso, proposte in cinque varianti: la classica, ai tre cioccolati, all’albicocca e caramello salato, all’amarena, limone e pistacchi. Fiasconaro, celebre pasticceria della tradizione siciliana delle Madonìe, collabora con Dolce & Gabbana ad una linea di colombe pasquali contenute in un packaging di latta dal design ispirato alle maioliche bianche e azzurre dell’isola. Disponibili le colombe con mandorle di Sicilia, con gocce di cioccolato e con confettura di fragoline di bosco. Per il cioccolato non poteva che esserci uno spazio interamente sabaudo con i prodotti di Guido Gobino: uova di Pasqua realizzate e preparate con ricercato cacao dell’Ecuador, ovetti, pralineria assortita, i famosi gianduiotti e tante altre specialità. La cioccolateria Baratti & Milano, presente dal 1875 nel centro di Torino, utilizzando le materie prime e il miglior cacao proveniente dall’America Centrale e dall’Africa propone ovetti, uova di cioccolato dal design vintage, prelibatezze con nocciola, gianduia e cremino. Scendendo nelle incantate terre del Cilento, Santomiele, azienda divenuta nota in tutto il mondo per la capacità di rendere i frutti protagonisti assoluti di prelibatezze uniche, in primis il fico, proposto in moltissime declinazioni, ha realizzato per Pasqua una linea di prodotti con arance essiccate incastonate a mano su uova di cioccolato fondente, oppure disidratate e croccanti in confezioni assortite con profumo di limone e miele di arancio. Ancora una volta emerge l’attenzione che DFS riversa nelle proposte alla clientela, presentando al pubblico di varie provenienze geografiche, principalmente stranieri, prodotti di nicchia in grado di testimoniare brillantemente l’eccellenza italiana nella gastronomia.

Una nota finale riguarda un caposaldo del Fondaco dei Tedeschi: Amo. Lo chef Massimiliano Alajmo, forte degli insegnamenti preziosi di Mamma Rita, elabora una proposta pasquale del tutto originale e geniale, come si conviene ad uno dei migliori chef al mondo. Ecco dunque la Calandra con olio extravergine di oliva, arancia e cedro canditi, quella al cioccolato e spezie, la Mediterranea all’olio extravergine di oliva, limoni, capperi, olive e peperoncini canditi, e quella al burro con albicocca candita e gocce di caramello. F.M.

www.dfs.com/it/venice

The doves ENG we need

The Fondaco dei Tedeschi is universally renowned as the most beautiful mall in Italy – the trendiest, the one carrying exclusive merchandise of the finest quality. Their food court is on par, as one expects, and the offer of the Easter season is the glutton’s paradise. Colombe (a sweet, glazed bread that may remind you of panettone) and Easter eggs populate the shops, especially Cova Montenapoleone, a Milan-based deli established in 1817 that peddles exquisite chocolate, cookies, pralines, gianduiotti, and of course colomba. The name means dove, as the bread is roughly shaped as one. Olivieri offers it in four variations: classical, three chocolates, apricot and salted caramel, and sour cherry, lemon, and pistachio. Fiasconario, a celebrated Sicilian pastry shop, partner with Dolce & Gabbana for a line of colombas packaged in tin boxes decorated in Sicilian-inspired motifs. North-western Italy’s herald is chocolate maker Guido Gobino – Easter eggs, pralines, gianduiotti, and more. Baratti & Milano also hail from Turin, and have been making chocolate since 1875. Santomiele, from the beautiful Cilento region in central Italy, created a line of Easter eggs decorated with dried oranges. A final note for our beloved presidio at Fondaco: Amo, the cafeteria run by the amazing Alajmo brothers where you can also find their innovative takes on the colomba: candied orange and citron, chocolate and spices, Mediterranean with olive oil, lemons, capers, olives, and candied chilis, and lastly, candied apricot and caramel drops.

135
making space for art curatorship consultancy management www.artecommunications.com Since 1984

city diary

137

a genda

MUSICA , CLASSICA, TEATRO, CINEMA

13

NOA

giovedìThursday

GIL DOR

Musica d’autore

Teatro Comunale-Belluno h. 21

14

22

venerdì Friday

NICOLA CIPRIANI BRAD MYRIK

Jazz Laguna Libre h. 19

GRIMOON TRUST THE MASK

Rock psichedelico

Teatro del Parco-Mestre h. 19

MOLLY NILSSON

Synth pop

Argo16-Marghera h. 21

15

sabato Saturday

FUNKTRAIL!

Funky pop

Al Vapore-Marghera h. 19.30

EIKO ISHIBASHI

JIM O’ROURKE

Elettronica

“Centrodarte23“

Sala dei Giganti, Palazzo LivianoPadova h. 21

ENSEMBLE SYMPHONY ORCHESTRA

Morricone tribute

Teatro Comunale-Belluno h. 21

23

sabato Saturday

FRANCO D’ANDREA

LUCA BRAGALINI

Jazz

“Jazz&“

Teatro La Fenice h. 21

SKEE MASK INNER LAKES

BLACK ZONE MYTH CHANT

AURAL STREAM

Techno

Argo16-Marghera h. 22.30

MODÀ

Pop Gran Teatro Geox-Padova h. 21

16

domenica Sunday

MAX IONATA 4TET

JAM SESSION

Jazz

Argo16-Marghera h. 20.30

FAST ANIMALS AND SLOW KIDS

Pop Gran Teatro Geox-Padova h. 21

19

mercoledìWednesday

FRANKIE BACK TO HOLLYWOOD

Revival

Al Vapore-Marghera h. 19.30

20

giovedìThursday

FABRIZIO MORO

Musica d’autore

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

domenica Sunday

AVRIL LAVIGNE

Pop

Kioene Arena-Padova h. 21

25

LAZZA

Hip hop

martedìTuesday

Arena di Verona h. 21

27

giovedìThursday

NICCOLÒ FABI

Musica d’autore

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

SFERA EBBASTA

Hip hop

Arena di Verona h. 21

28 venerdì Friday

EROS RAMAZZOTTI

Pop

Palazzo del Turismo-Jesolo h. 21

DANIELE DI BONAVENTURA

GIOVANNI CECCARELLI

Jazz

“Jazz&“

Teatro Accademico-Castelfranco h. 20.45

MARILLION

Progressive rock

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

SFERA EBBASTA

Hip hop

Arena di Verona h. 21

29 sabato Saturday

IMPRO BRAIN SOUND POD

Musica elettronica

“Nu Fest“

Teatrino Grassi h. 20.45

MARILLION

Progressive rock

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

PYRA

Rock

“Far East Film Festival“

Teatro San Giorgio-Udine h. 21

30 domenica Sunday

LUIS SCLAVIS

Jazz

“Candiani Groove“

Centro Culturale Candiani-Mestre h. 21

DIANA KRALL Jazz Gran Teatro Geox-Padova h. 21

MagMay

04 giovedìThursday

BIAGIO ANTONACCI Pop Kioene Arena-Padova h. 21

06 sabato Saturday

FOSSICK PROJECT Rock psichedelico Teatro del Parco-Mestre h. 19

11 giovedìThursday

MARC RIBOT SOLO Jazz “Vicenza Jazz Festival“ Teatro Comunale-Vicenza h. 21

12 venerdì Friday

CAMILLE BERTAULT Jazz

“Jazz6“

138
Teatro Accademico-Castelfranco h. 20.45 AGNESE AMICO PAK YAN LAU DARIN GRAY Musica sperimentale “Centrodarte23“ Teatro Torresino-Padova h. 21 :music a Apr Apr 01 sabato Saturday ENZO FAVATA TENORES DI BITTI Folk “Candiani Groove“ Centro Culturale Candiani-Mestre h. 21 SATIN DUKE Duke Ellington tribute Al Vapore-Marghera h. 19.30 CRIMINAL QUEERS RENAISSANCE PARADISCO KABARETTO LAVALAMP GREEN EVERYWHERE Musica sperimentale Argo16-Marghera h. 22.30 02 domenica Sunday MARK GEARY Pop Al Vapore-Marghera h. 19.30 05 mercoledìWednesday EVE-BACKGROUND MUSIC Pop Al Vapore-Marghera h. 19.30 06 giovedìThursday SOLARIS Musica sperimentale “Nu Fest“ Fondaco dei Tedeschi h. 18 08 sabato Saturday JOSELIN ST. AIMEE Gospel Al Vapore-Marghera h. 19.30 STEVE VAI Rock Palazzo del Turismo-Jesolo h. 21 12 mercoledìWednesday RACHEL GOULD 5TET Jazz “Jazz&“ Teatro La Fenice h. 21

MALI BLUES

Jazz

“Vicenza Jazz Festival“

Giardino del Teatro Astra-Vicenza h. 22.30

13 sabato Saturday

TANANAI Pop

Kioene Arena-Padova h. 21

MONICA DEMURU CRISTIANO CALCAGNILE

Jazz

“Vicenza Jazz Festival“

ABC23-Vicenza h. 18

ORCHESTRA POPOLARE

Taranta

“Vicenza Jazz Festival“

Piazza dei Signori-Vicenza h. 21.30

14 domenica Sunday

SIMONE GRAZIANO CLAUDIA CALDARANO

Jazz

“Vicenza Jazz Festival“

Pinacoteca Civica-Vicenza h. 18

KATIA E MARIELLE LABÈQUE

Classic jazz

“Vicenza Jazz Festival“

Teatro Olimpico-Vicenza h. 21

15 lunedì Monday

TANIA GIANNOULI TRIO ANNE PACEO

Jazz

“Vicenza Jazz Festival“

Teatro Comunale-Vicenza h. 21

16

martedìTuesday

JAN GARBAREK QUARTET TRILOK GURTU

Jazz

“Vicenza Jazz Festival“

Teatro Comunale-Vicenza h. 21

17 mercoledìWednesday

MICHEL GODARD & DANILO REA

TIGER TRIO

Jazz

“Vicenza Jazz Festival“

Teatro Olimpico-Vicenza h. 21

18

giovedìThursday

PRODIGY

Big beat

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

DONNY MCCASLIN QUARTET

FABRIZIO BOSSO & ROSARIO GIULIANI

Jazz

“Vicenza Jazz Festival“

Teatro Comunale-Vicenza h. 21

19

venerdì Friday

ABDULLAH IBRAHIM SOLO

Jazz

“Vicenza Jazz Festival“

Teatro Olimpico-Vicenza h. 21

ZOE PIA

TENORES DI OROSEI

Classic jazz

“Vicenza Jazz Festival“

Cimitero Maggiore-Vicenza h. 24

20 sabato Saturday

RACHEL ECKROTH HAMID DRAKE

Jazz

“Vicenza Jazz Festival“

Teatro Comunale-Vicenza h. 21

21 domenica Sunday

SONIG TCHAKERIAN PIETRO TONOLO

Jazz

“Vicenza Jazz Festival“

Teatro Olimpico-Vicenza h. 20.30

INDIRIZZI AB23

Contrà Sant’Ambrogio-Vicenza www.vicenzajazz.org

AL VAPORE

Via F.lli Bandiera 8-Marghera www.alvapore.it

ARENA DI VERONA

Piazza Bra 1-Verona www.zedlive.com

ARGO16

Via delle Industrie 27/5-Marghera argo16.it

AUDITORIUM FONATO

Via del Prete 7-Thiene www.vicenzajazz.org

CENTRO CULTURALE

CANDIANI

Piazzale Candiani 7-Mestre www.venetojazz.com

CIMITERO MAGGIORE

Viale Cimitero 14-Vicenza www.vicenzajazz.org

FONDACO DEI TEDESCHI

Calle del Fondaco www.venetojazz.com

GRAN TEATRO GEOX

Via Tassinari 1-Padova www.zedlive.com

KIOENE ARENA

Viale San Marco 53-Padova www.zedlive.com

LAGUNA LIBRE

Fondamenta Cannaregio www.venetojazz.com

NEW AGE

Via Tintoretto 14 Roncade www.newageclub.it

PALAZZO DEL TURISMO

Piazza Brescia 11-Jesolo www.azalea.it

PIAZZA DEI SIGNORI

Vicenza www.vicenzajazz.org

PINACOTECA CIVICA

Palazzo Chiericati-Vicenza www.vicenzajazz.org

SALA DEI GIGANTI

Palazzo Liviano-Padova www.centrodarte.it

TEATRINO GRASSI

San Samuele 3231 www.venetojazz.com

TEATRO ACCADEMICO

Via Garibaldi 4-Castelfranco www.venetojazz.com

TEATRO ASTRA

Contrà Barche 55-Vicenza www.vicenzajazz.org

TEATRO COMUNALE

Viale Mazzini 39-Vicenza www.vicenzajazz.org

TEATRO COMUNALE

Piazza V. Emanuele 2-Belluno www.venetojazz.com

TEATRO DEL PARCO

Parco Albanese-Mestre www.comune.venezia.it

TEATRO LA FENICE

Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it

TEATRO OLIMPICO

Piazza Matteotti 11-Vicenza www.vicenzajazz.org

TEATRO SAN GIORGIO

Via Sella-Udine www.fareastfilm.com

TEATRO TORRESINO

Via Torresino 2-Padova www.centrodarte.it

139

a genda

MUSICA, CLASSICA , TEATRO, CINEMA

Apr Apr

01 sabato Saturday

PIERRE FOUCHENNERET

violino

LISE BERTHAUD viola

YAN LEVIONNOIS violoncello

ADAM LALOUN pianoforte

La Belle Epoque delle compositrici

Musiche di Fleury, Strohl, Bonis

“Compositrici!“

Ingresso/Ticket € 15/5

Scuola Grande San Giovanni

Evangelista h. 19.30

HARTMUT HAENCHEN

direttore

Musiche di Schumann, Wagner

“Concerti 2022-2023“

Ingresso/Ticket € 143/77

Teatro La Fenice h. 20

02

domenica Sunday

HARTMUT HAENCHEN

direttore

Musiche di Schumann, Wagner

“Concerti 2022-2023“

Ingresso/Ticket € 143/77

Teatro La Fenice h. 17

JEAN FRÈDÈRIC

NEUBURGER pianoforte

Racconti fantastici

Musiche di Dillon

“Compositrici!“

Ingresso/Ticket € 15/5

Palazzetto Bru Zane h. 17

04

08

sabato Saturday

MYUNG-WHUN CHUNG

direttore

Musiche di Mozart, Rossini

“Concerti 2022-2023“

Ingresso/Ticket € 143/110

Teatro La Fenice h. 20

14

venerdì Friday

MARIANNA MAPPA soprano

VALERIA GIRARDELLO

contralto

VALENTINO BUZZA tenore

ALESSANDRO RAVASIO

basso

FEDERICO GUGLIELMO

direttore

Musiche di Bach, Vivaldi

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice

“La Fenice nella Chiesa di San Fantin“

Ingresso libero/Free entry

Chiesa di San Fantin h. 17

JULIETTE HUREL flauto

HÈLÉNE COUVERT

pianoforte

Note flautate

Musiche di Bonis, Grandval, Chaminade

“Compositrici!“

Ingresso/Ticket € 15/5

Palazzetto Bru Zane h. 19.30

15

martedìTuesday

FEDERICO COLLI pianoforte

Musiche di Mozart, Schubert

“Musikamera“

Ingresso/Ticket € 25

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

05

mercoledìWednesday

FEDERICO COLLI pianoforte

Musiche di Mozart, Schubert

“Musikamera“

Ingresso/Ticket € 25

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

07

sabato Saturday

MARIANNA MAPPA soprano

VALERIA GIRARDELLO

contralto

VALENTINO BUZZA tenore

ALESSANDRO RAVASIO

basso

FEDERICO GUGLIELMO

direttore

Musiche di Bach, Vivaldi

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice

“La Fenice nella Chiesa di San Fantin“

Ingresso libero/Free entry

Chiesa di San Fantin h. 17

BACHARO TOUR

Musiche di Bach

“Stagione giovane“

Ingresso/Ticket € 15/10

Teatro al Parco-Mestre h. 17

venerdì Friday

MYUNG-WHUN CHUNG

direttore

Musiche di Mozart, Rossini

“Concerti 2022-2023“

Ingresso/Ticket € 143/110

Teatro La Fenice h. 20

16

domenica Sunday

MARIANNA MAPPA soprano

VALERIA GIRARDELLO contralto

VALENTINO BUZZA tenore

ALESSANDRO RAVASIO

basso

FEDERICO GUGLIELMO

direttore

Musiche di Bach, Vivaldi

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice

“La Fenice nella Chiesa di San Fantin“

Ingresso libero/Free entry

Chiesa di San Fantin h. 17

ATOS TRIO

Musiche di Brahms, Schumann, Mendelssohn

“Musikamera“

Ingresso/Ticket € 25

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

17 lunedì Monday

ATOS TRIO

Musiche di Brahms, Schumann, Mendelssohn

“Musikamera“

Ingresso/Ticket € 25

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

18 martedìTuesday

CYRILLE DUBOIS tenore

TRISTAN RAËS pianoforte

Sottovoce

Musiche di Damaschino, Lemariey, Danglas

“Compositrici!“

Ingresso/Ticket € 15/5

Palazzetto Bru Zane h. 19.30

VIKRAM SEDONA violino

Musiche di Bach, Paganini, Enescu

“Stagione 2022-2023“

Ingresso/Ticket € 25/15

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

20 giovedìThursday

JULIAN KAINRATH violino

LUIGI CARROCCIA pianoforte

Musiche di Schubert, Beethoven

“Musica con le Ali”

Ingresso/Ticket € 20/10

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 18

23 domenica Sunday

FRANCESCA TORELLI tiorba

Musiche di Piccinini, Kapsberger “Musikamera“

Ingresso/Ticket € 25

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

27 giovedìThursday

ALEXANDRE PASCAL violino

LÈA HENNINO viola

HÉLOISE LUZZATI violoncello CELIA ONETO BENSAID pianoforte Quartetto romantico

Musiche di Grandval, Strohl, Jaell “Compositrici!“

Ingresso/Ticket € 15/5

Palazzetto Bru Zane h. 19.30

SCHERZI MUSICALI

NICHOLAS ACHTEN direttore

Musiche di Caccini, Monteverdi “Musikamera“

Ingresso/Ticket € 25

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

28 venerdì Friday

ORFEO ED EURIDICE

Musica di Christoph Gluck

Regia Pier Luigi Pizzi

Direttore Ottavio Dantone

“Stagione Lirica e Balletto 20222023“

Ingresso/Ticket € 240/165

Teatro La Fenice h. 19

29 sabato Saturday

ACQUAPROFONDA

Musica di Giovanni Sollima

Regia Luis Ernesto Doñas

Libretto Giancarlo De Cataldo

“Stagione Lirica e Balletto 20222023“

Ingresso/Ticket € 35/25

Teatro Malibran h. 16

30 domenica Sunday

ORFEO ED EURIDICE

Musica di Christoph Gluck

Regia Pier Luigi Pizzi

Direttore Ottavio Dantone

“Stagione Lirica e Balletto 20222023“

Ingresso/Ticket € 240/165

Teatro La Fenice h. 15.30

140
:classica l

MagMay

02

martedìTuesday

ORFEO ED EURIDICE

Musica di Christoph Gluck

Regia Pier Luigi Pizzi

Direttore Ottavio Dantone

“Stagione Lirica e Balletto 20222023“

Ingresso/Ticket € 240/165

Teatro La Fenice h. 19

HISTOIRE DU SOLDAT

Musiche di Stravinskij

“Stagione 2022-2023“

Ingresso/Ticket € 25/15

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

03 mercoledìWednesday

QUARTETTO DI CREMONA

Musiche di Malipiero, Fano, Respighi

“Musikamera“

Ingresso/Ticket € 25

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20

04 giovedìThursday

ORFEO ED EURIDICE

Musica di Christoph Gluck

Regia Pier Luigi Pizzi

Direttore Ottavio Dantone

“Stagione Lirica e Balletto 20222023“

Ingresso/Ticket € 240/165

Teatro La Fenice h. 19

05

ALEXANDER GADJIEV

pianoforte

Musiche di Chopin, Debussy

“Stagione 2022-2023“

Ingresso/Ticket € 25/15

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

06

sabato Saturday

ORFEO ED EURIDICE

Musica di Christoph Gluck

Regia Pier Luigi Pizzi

Direttore Ottavio Dantone

“Stagione Lirica e Balletto 20222023“

Ingresso/Ticket € 240/165

Teatro La Fenice h. 15.30

07

domenica Sunday

GIOVANE ORCHESTRA

METROPOLITANA

PIERLUIGI PIRAN direttore

Musiche del repertorio classico

“Stagione 2022-2023“

Ingresso/Ticket € 25/15

Teatro Toniolo-Mestre h. 18

11

giovedìThursday

JOHANNES GRAY violoncello ANASTASYA MAGAMEDOVA violoncello

Sulla corda

Musiche di Strohl, Renie, Jaell “Compositrici!“

Ingresso/Ticket € 15/5

Palazzetto Bru Zane h. 19.30

13

venerdì Friday

MASCARADE OPERA

ARTISTS

Musiche di Rossini, Mozart, Donizetti

Orchestra del Teatro La Fenice

“Giovani Voci alla Fenice!“

Ingresso/Ticket € 45/25

Teatro La Fenice h. 19

SERGEJ GALAKTIONOV violino

AMEDEO CICCHESE

violoncello

LINDA DI CARLO pianoforte

Il tempo delle ambizioni

Musiche di Farrenc, Grandval, Chaminade

“Compositrici!“

Ingresso/Ticket € 15/5

Palazzetto Bru Zane h. 19.30

sabato Saturday

QUARTETTO DI VENEZIA

Musiche di Beethoven

“Stagione 2023“

Ingresso/Ticket € 33/11

Auditorium Lo Squero h. 16.30

14

domenica Sunday

AMARILLI VOLTOLINA

organo

Musiche del repertorio sacro

“Echi d’organo in cantoria Venezia“

Chiesa di San Salvador h. 16.30

21

domenica Sunday

MASSIMO BISSON organo

Musiche del repertorio sacro

“Echi d’organo in cantoria Venezia“

Chiesa di San Salvador h. 16.30

INDIRIZZI AUDITORIUM LO SQUERO

Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it

CHIESA DI SAN FANTIN San Marco 1965 www.teatrolafenice.it

CHIESA DI SAN SALVADOR

San Marco 4835 www.lacantoriacampitelli.it

PALAZZETTO BRU ZANE San Polo 2368 bru-zane.com

SCUOLA GRANDE SAN GIOVANNI EVANGELISTA San Polo 2454 bru-zane.com

TEATRO DEL PARCO

Parco Albanese-Mestre www.culturavenezia.it

TEATRO LA FENICE

Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it

TEATRO MALIBRAN

Campiello del Teatro 5873 www.teatrolafenice.it

TEATRO TONIOLO

Piazzetta Malipiero 1-Mestre www.comune.venezia.it

141

a genda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO , CINEMA

12

mercoledìWednesday

COPPIA APERTA QUASI

SPALANCATA

di Dario Fo e Franca Rame

Con Chiara Francini e Alessandro Federico

Regia di Alessandro Tedeschi

“Stagione di Prosa 2022/23”

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

UNO SPETTACOLO DIVERTENTISSIMO

CHE NON FINISCE ASSOLUTAMENTE CON UN SUICIDIO

di Nicola Borghesi, Lodo Guenzi

Regia Nicola Borghesi

Con Lodo Guenzi

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 20/5

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

06 giovedìThursday

ASHES

Drammaturgia e regia Riccardo

Fazi

Con Marco Cavalcoli, Ivan Graziano, Monica Demuru, Arianna

Pozzoli

Musiche originali di Lorenzo Tomio

Index Muta Imago

“Asteroide Amor 2023”

Ingresso/Ticket € 14/8

Teatro Ca’ Foscari h. 20

COPPIA APERTA QUASI SPALANCATA

(vedi mercoled’ 3 aprile)

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

COAST TO COAST

di Rocco Papaleo, Valter Lupo

Regia di Valter Lupo

Con Rocco Papaleo

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 35/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

ROMEO E GIULIETTA 1.1

Coreografia e regia Roberto

Zappalà

Musica Pink Floyd, Elvis Presley, Luigi Tenco, José Altafini, Mirageman, John Cage, Prokof’ev

Interpreti Fernando Roldan Ferrer, Valeria Zampardi

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 20/5

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

mercoledìWednesday

LA VITA DAVANTI A SÉ da La Vie Devant soi di Romain Gary

Traduzione Giovanni Bagliolo Riduzione, regia e interpretazione di Silvio Orlando

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 35/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

13

LA VITA DAVANTI A SÉ

(vedi mercoledì 12 aprile)

Ingresso/Ticket € 35/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

BOSTON MARRIAGE

(vedi venerdì 14 aprile)

Ingresso/Ticket € 35/4

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

16

giovedìThursday

POUR UN OUI

OU POUR UN NON di Nathalie Sarraute Con Umberto Orsini e Franco Branciaroli

Regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi

“Stagione di Prosa 2022/23”

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

PAOLO CAMILLI

L’amico di tutti

“In piedi – Potere alle parole”

Ingresso/Ticket € 20

Teatro del Parco h. 21

LA VITA DAVANTI A SÉ

(vedi mercoledì 12 aprile)

Ingresso/Ticket € 35/5

Teatro Verdi-Padova h. 19

14

venerdì Friday

POUR UN OUI

OU POUR UN NON (vedi giovedì 13 aprile)

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

LA VITA DAVANTI A SÉ

(vedi mercoledì 12 aprile)

Ingresso/Ticket € 35/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

BOSTON MARRIAGE di David Mamet

Traduzione Masolino D’Amico

Regia Giorgio Sangati

Con Maria Paiato, Mariangela

Granelli, Ludovica D’Auria

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 35/4

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

15 sabato Saturday

POUR UN OUI

OU POUR UN NON

(vedi giovedì 13 aprile)

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

domenica Sunday

POUR UN OUI

OU POUR UN NON

(vedi giovedì 13 aprile)

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

LA VITA DAVANTI A SÉ

(vedi mercoledì 12 aprile)

Ingresso/Ticket € 35/5

Teatro Verdi-Padova h. 16

BOSTON MARRIAGE

(vedi venerdì 14 aprile)

Ingresso/Ticket € 35/4

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

18

martedìTuesday

A NIGHT WITH SERGIO

BERNAL

Coreografie Sergio Bernal, Ricardo Cue, Antonio Ruiz Soler Ballerini Sergio Bernal, Miriam Mendoza, Jose Manuel Benitez

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 40/10

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

19

mercoledìWednesday

I DON’T WANT TO BE AN INDIVIDUAL ALL ON MY OWN

Concezione, performance, testo e musica di Genevieve Murphy

Drammaturgia di Nienke Scholts, Justa ter Haar

Nicole Beutler Projects

“Asteroide Amor 2023”

Ingresso/Ticket € 14/8

Teatro Ca’ Foscari h. 20

PAOLO CEVOLI

Andavo ai cento all’ora

“I Comici – Stagione 2022/23”

Ingresso/Ticket € 25/22

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

20

giovedìThursday

GRAN CABARET

CARLO E CARLO

Un progetto di Luca Scarlini

Narratore Luca Scarlini

Con Maria Grazia Mandruzzato, Anna De Franceschi

Al clavicembalo Riccardo Favero

“Goldoni 400. Il Teatro nella Città”

Ingresso/Ticket € 15/8

Palazzo Grimani h. 19.30

UN CURIOSO ACCIDENTE di Carlo Goldoni

Con Luciano Roman, Sara

Verteramo, Valerio Mazzucato, Emilia Piz, Alberto Olinteo, Margherita Mannino, Daniele

Tessaro

Regia di Rimas Tuminas

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 35/7

Teatro Malibran h. 20.30

21 venerdì Friday

UN CURIOSO ACCIDENTE (vedi giovedì 21 aprile)

Ingresso/Ticket € 35/7

Teatro Malibran h. 19

22 sabato Saturday

UN CURIOSO ACCIDENTE (vedi giovedì 21 aprile)

Ingresso/Ticket € 35/7

Teatro Malibran h. 19

TIPI

Drammaturgia Teatro Magro e TIPI Regia di Flavio Cortellazzi Ideazione e produzione Teatro Magro

“youTheater 2022.23”

Ingresso libero/Free admission Teatro del Parco-Mestre h. 21

23 domenica Sunday

UN CURIOSO ACCIDENTE (vedi giovedì 21 aprile)

Ingresso/Ticket € 35/7

Teatro Malibran h. 16

27 giovedìThursday

GRAN CABARET

CARLO E CARLO

(vedi giovedì 20 aprile)

Ingresso/Ticket € 15/8

Palazzo Grimani h. 19.30

142
:t h eatro Apr Apr 05

GIOELE DIX

La corsa dietro il vento

Drammaturgia e regia Gioele Dix

Con Gioele Dix e Valentina

Cardinali

“I Comici – Stagione 2022/23”

Ingresso/Ticket € 25/22

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

28 venerdì Friday

LA MORTE E LA FANCIULLA

Regia e coreografia Michele

Abbondanza, Antonella Bertoni

Con Eleonora Chiocchini, Valentina

Dal Mas, Ludovica Messina

Musiche di Franz Schubert

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 35/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

29 sabato Saturday

ONIRICA

di Giulia Odetto

Con Daniele Giacometti, Camille

Guichard, Andrea Triaca, Beatrice Vecchione

Dramaturg Antonio Careddu

“youTheater 2022.23”

Ingresso libero/Free admission

Teatro del Parco-Mestre h. 21

MagMay

03 mercoledìWednesday

FESTE di Andres Angulo, Björn Leese, Hajo Schüler, Johannes Stubenvoll, Thomas van Ouwerkerk, Michael Vogel

Con Andres Angulo, Johannes

Stubenvoll, Thomas van Ouwerkerk

maschere di Hajo Schüler

Regia di Michael Vogel

Familie Flöz

“Stagione di Prosa 2022/23”

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

L’ARTE DI ESSERE NUOVI

Scritto e diretto da Roberto Mercadini

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 20/5

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

04 giovedìThursday

GRAN CABARET

CARLO E CARLO

(vedi giovedì 20 aprile)

Ingresso/Ticket € 15/8

Palazzo Grimani h. 19.30

FESTE

(vedi mercoledì 3 maggio)

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

05

11

venerdì Friday

CAR/MEN

Ideazione e coreografia di Philippe Lafeuille

Chicos Mambos

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 35/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

TARTUFO di Molière

Traduzione Cesare Garboli

Adattamento e regia Roberto Valerio

Con Giuseppe Cederna, Vanessa Gravina, Roberto Valerio

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 35/4

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

06 sabato Saturday

TARTUFO

(vedi venerdì 5 maggio)

Ingresso/Ticket € 35/4

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

07

domenica Sunday

TARTUFO

(vedi venerdì 5 maggio)

Ingresso/Ticket € 35/4

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

10

giovedìThursday

RICCARDO III

(vedi mercoledì 10 maggio)

Ingresso/Ticket € 35/5

Teatro Verdi-Padova h. 19

12

venerdì Friday

RICCARDO III

(vedi mercoledì 10 maggio)

Ingresso/Ticket € 35/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

13

sabato Saturday

METAMORPHOSES

dalle Metamorfosi di Ovidio

Regia, concezione e drammaturgia di Manuela Infante

Adattamento di Michael De Cock e Manuela Infante

Con Hannah Berrada, Luna De Boos, Jurgen Delnaet

“Asteroide Amor 2023”

Ingresso/Ticket € 14/8

Teatro Ca’ Foscari h. 20

NOTTE A TEATRO

Esperienza partecipativa di 12 ore per discutere, fare e progettare il teatro con e per i giovani

“youTheater 2022.23”

Ingresso libero/Free admission

Teatro del Parco-Mestre h. 20

RICCARDO III

(vedi mercoledì 10 maggio)

Ingresso/Ticket € 35/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

14

mercoledìWednesday

RICCARDO III da William AdattamentoShakespeare Ármin Szabó-Székely

Regia Kriszta Székely

Con Paolo Pierobon

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 35/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

MONJOUR di Silvia Gribaudi

Con i disegni di Francesca

Ghermandi

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 29/5

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

domenica Sunday

METAMORPHOSES

(vedi sabato 13 maggio)

Ingresso/Ticket € 14/8

Teatro Ca’ Foscari h. 20

RICCARDO III

(vedi mercoledì 10 maggio)

Ingresso/Ticket € 35/5

Teatro Verdi-Padova h. 16

20

sabato Saturday

A POSTO

Coreografia Ambra Senatore in collaborazione con Caterina Basso e Claudia Catarzi

Interpreti Caterina Basso, Claudia Catarzi, Ambra Senatore

Musiche di Brian Bellot, Gregorio Caporale, Jimi Hendirx, Ambra Senatore, The Temptations

“youTheater 2022.23”

Ingresso libero/Free admission

Teatro del Parco-Mestre h. 21

OTHELLO TANGO

Ideazione, coreografie e regia Luciano Padovani

Compagnia Naturalis Labor

“Heart • Art – Stagione 2022-23”

Ingresso/Ticket € 29/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

22 lunedì Monday

MAX ANGIONI

Miracolato

“I Comici – Stagione 2022/23”

Ingresso/Ticket € 25/22

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

INDIRIZZI

PALAZZO GRIMANI

Rugagiuffa, San Polo 4858 www.teatrostabileveneto.it

TEATRO DEL PARCO

Via Sergio Gori, Palco Albanese-Mestre www.comune.venezia.it

TEATRO MALIBRAN

Calle Maggioni Cannaregio 5873 www.teatrostabileveneto.it

TEATRO MARIO

DEL MONACO

Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it

TEATRO TONIOLO

Piazzetta Malipiero-Mestre www.comune.venezia.it

TEATRO VERDI

Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it

Apr Apr 01

sabato Saturday

AKINGDONCOMETHAS

Regia di Arthur Jafa (2018)

“Icônes”

Teatrino di Palazzo Grassi h. 10.15/12/13.45/15.30/17.15

02 domenica Sunday

AKINGDONCOMETHAS

Regia di Arthur Jafa (2018)

“Icônes”

Teatrino di Palazzo Grassi h. 10.15/12/13.45/15.30/17.15

143

a genda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

03 lunedì Monday

PERUGINO.

RINASCIMENTO IMMORTALE

Regia di Giovanni Piscaglia (2022)

“La grande Arte al cinema”

IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 16.45/19.15

IL MAGO DI OZ

Regia di Victor Fleming (1939)

“IMG Cult – Centenario Warner Bros”

IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 16.45/19.15

04 martedìTuesday

PERUGINO.

RINASCIMENTO IMMORTALE

(vedi lunedì 3 aprile)

IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 16.45/19.15

IL MAGO DI OZ

(vedi lunedì 3 aprile)

IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 16.45/19.15

: c inema

12

mercoledìWednesday

AS TEARS GO BY Regia di Wong Kar-wai (1988)

Introduce Marco Dalla Gassa

“4. Classici Fuori Mostra”

Multisala Rossini h. 19

13

PRIDE

giovedìThursday

Regia di Matthew Warchus (2014)

v.o. sottotitoli in italiano

“Notti disarmate”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

METALLICA: 72 SEASONS

GLOBAL PREMIERE

Listening Party dedicato al dodicesimo album in studio dei Metallica, 72 Seasons

“Eventi Musicali - Dolby Atmos”

IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 19.15/21.30

14

05 mercoledìWednesday

PERUGINO.

RINASCIMENTO IMMORTALE

(vedi lunedì 3 aprile)

IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 16.45/19.15

IL MAGO DI OZ

(vedi lunedì 3 aprile)

IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 16.45/19.15

LITTLE JOE

Regia di Jessica Hausner (2019)

Introduce Paola Brunetta, critica cinematografica

“Paesaggi che cambiano”

Auditorium Spazi Bomben-Treviso h. 20.30

06 giovedìThursday

IN VIAGGIO VERSO UN SOGNO

Regia di Tyler Nilson (2019)

v.o. sottotitoli in italiano

“Notti disarmate”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

venerdì Friday

L’ADIEU À LA NUIT

Regia di André Téchiné(2019)

“Alliance Française incontra

Circuito Cinema”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

17

lunedì Monday

PÁRA-ME DE REPENTE O

PENSAMENTO

Regia di Jorge Pelicano (2014)

v.o. sottotitoli in italiano

“CinemARTa – Zone di contatto”

Teatro Ca’ Foscari h. 19

TORO SCATENATO

Regia di Martin Scorsese (1980)

“IMG Cult”

IMG Cinemas Candiani-Mestre

18

martedìTuesday

TORO SCATENATO

(vedi lunedì 17 aprile)

IMG Cinemas Candiani-Mestre

19

mercoledìWednesday

THE AFRICAN QUEEN

Regia di John Huston(1988)

Introduce Michele Gottardi

“4. Classici Fuori Mostra”

Multisala Rossini h. 19

TORO SCATENATO

(vedi lunedì 17 aprile)

IMG Cinemas Candiani-Mestre

COLDPLAY

MUSIC OF THE SPHERES

Live broadcast from River Plate

Regia di Paul Dugdale

“Eventi Musicali - Dolby Atmos”

IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 19/21.30

E VENNE IL GIORNO

Regia di M. Night Shyalaman (2008)

Introduce Marco Zuin, regista

“Paesaggi che cambiano”

Auditorium Spazi Bomben-Treviso h. 20.30

20 giovedìThursday

UN AFFARE DI FAMIGLIA

Regia di Hirokazu Kore’eda (2018)

v.o. sottotitoli in italiano

“Notti disarmate”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

ON A EU LA JOURNÉE,

BONSOIR

Regia di Narimane Mari (2022)

“Rete Cinema in Laguna”

Multisala Rossini h. 21

COLDPLAY

MUSIC OF THE SPHERES

Live broadcast from River Plate

(vedi merdoledì 19 aprile)

IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 19/21.30

21 venerdì Friday

COLDPLAY

MUSIC OF THE SPHERES

Live broadcast from River Plate (vedi merdoledì 19 aprile)

IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 19/21.30

24 lunedì Monday

SUPERMAN

45esimo Anniversario

Regia di Richard Donner (1978)

“IMG Cult – Centenario Warner Bros”

IMG Cinemas Candiani-Mestre

25 martedìTuesday

SUPERMAN

45esimo Anniversario

(vedi lunedì 24 aprile)

IMG Cinemas Candiani-Mestre

26 mercoledìWednesday

ORDET

Regia di Carl Theodor Dreyer (1955)

Introduce Giuseppe Ghigi

“4. Classici Fuori Mostra”

Multisala Rossini h. 19

SUPERMAN

45esimo Anniversario (vedi lunedì 24 aprile)

IMG Cinemas Candiani-Mestre

27 giovedìThursday

LUNANA - IL VILLAGGIO

ALLA FINE DEL MONDO

Regia di Pawo Choyining Dorji (2019)

v.o. sottotitoli in italiano

“Notti disarmate”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

MagMay

03 mercoledìWednesday

THE DRIVER

Regia di Walter Hill (1978)

Introduce Roberta Novielli

“4. Classici Fuori Mostra”

Multisala Rossini h. 19

08 lunedì Monday

LA VOCERA

Regia di Luciana Kaplan (2020)

v.o. sottotitoli in italiano

“CinemARTa – Zone di contatto”

Teatro Ca’ Foscari h. 19

LE ALI DELLA LIBERTÀ

Regia di Martin Scorsese (1980)

“IMG Cult – Centenario Warner Bros”

IMG Cinemas Candiani-Mestre

09 martedìTuesday

LE ALI DELLA LIBERTÀ

(vedi lunedì 8 maggio)

IMG Cinemas Candiani-Mestre

144

10

mercoledìWednesday

BARIERA

Regia di Jerzy Skolimowski (1966)

Introduce Elena Pollacchi

“4. Classici Fuori Mostra”

Multisala Rossini h. 19

LE ALI DELLA LIBERTÀ

(vedi lunedì 8 maggio)

IMG Cinemas Candiani-Mestre

11

giovedìThursday

L’AMORE IN CITTÀ

Regia di Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Dino Risi, Cesare Zavattini, Alberto Lattuada, Carlo Lizzani, Francesco Maselli (1953) (v.o. sottotitoli in inglese)

“Proiezioni urbane”

CFZ – Ca’ Foscari Zattere h. 19

17

mercoledìWednesday

IN EINEM JAHR

MIT 13 MONDEN

Regia di Rainer W. Fassbinder (1978)

Introduce Marco Contino

“4. Classici Fuori Mostra”

Multisala Rossini h. 19

INDIRIZZI AUDITORIUM

SPAZI BOMBEN

Via Cornarotta 7-Treviso www.fbsr.it

CFZ - CA’ FOSCARI

ZATTERE

Fondamenta Zattere Al Ponte Lungo, Dorsoduro 1392 www.unive.it

IMG CINEMAS CANDIANI

Piazzale Candiani-Mestre imgcinemas.it

MULTISALA ROSSINI

San Marco 3997/a www.culturavenezia.it/cinema

TEATRO CA’ FOSCARI

Santa Marta, Dorsoduro 3246 www.unive.it

VIDEOTECA PASINETTI

CASA DEL CINEMA

San Stae 1990

www.culturavenezia.it/cinema

145

OPENING

ALBERTA PANE

I WISH IT WAS MINE

1 aprile April-3 giugno June

Calle dei Guardiani, Dorsoduro 2403H albertapane.com

CA’ PESARO/1

MARCO PETRUS

Capricci veneziani

Fino Until 10 aprile April

Sale Dom Pérignon, Galleria Internazionale d’Arte Moderna San Croce 2076 capesaro.visitmuve.it

CA’ PESARO/2

ILEANA RUGGERI Riverberi

Fino Until 10 aprile April

Galleria Internazionale d’Arte Moderna San Croce 2076 capesaro.visitmuve.it

CA’ PESARO/3

LA DONAZIONE SIRONISTRAUßWALD

Fino Until 17 settembre September

Galleria Internazionale d’Arte Moderna

Sale Dom Pérignon capesaro.visitmuve.it

OPENING

CA’ PESARO/4

LA DONAZIONE GEMMA

DE ANGELIS TESTA

22 aprile April-17 settembre September

Galleria Internazionale d’Arte Moderna

Sale Dom Pérignon capesaro.visitmuve.it

CENTRO CULTURALE CANDIANI

Kandinsky e le Avanguardie

Punto, linea e superficie

Fino Until 7 aprile April

Piazzale Candiani, Mestre muvemestre.visitmuve.it

OPENING

COLLEZIONE

PEGGY GUGGENHEIM

EDOARDO BACCI

L’energia della luce

1 aprile April-18 settembre September

Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 www.guggenheim-venice.it

D3082 WOMAN ART VENICE

LUCIA VERONESI

Da sola nel bosco

Fino Until 17 maggio May

Domus Civica Art Gallery

Calle de le Sechere, San Polo 3082 www.d3082.org

FONDACO DEI TEDESCHI

ROBERTO GHEZZI

A ˘ quae Naturografie

Fino Until 1 maggio May

Fondaco dei Tedeschi, Rialto www.robertoghezzi.it

OPENING

FONDATION VALMONT

EGO

22 aprile April-25 febbraio February 2024

Palazzo Bonvicini, Santa Croce 2161/A fondationvalmont.com

FONDATION WILMOTTE/1

Aqua e fogo/L’eau et le feu

Fino Until 9 aprile April

Gallery, Fondamenta dell’Abbazia

Cannaregio 3560 www.fondationwilmotte.com

OPENING

FONDATION WILMOTTE/2

BAO VUONG

Laguna Nera

13 aprile April-14 maggio May

Fondamenta dell’Abbazia, Cannaregio 3560 www.fondationwilmotte.fr

FONDAZIONE BEVILACQUA

LA MASA/1

Venezia e la sua Laguna. La Scuola di Burano e Il Premio Burano (1946-56)

Fino Until 30 aprile April

Galleria di Piazza San Marco 71/c www.bevilacqualamasa.it

FONDAZIONE BEVILACQUA

LA MASA/2

Omaggio a Vittorio Ruglioni

Fino Until 23 aprile April

Palazzetto Tito, Dorsoduro 2826 www.bevilacqualamasa.it

FONDAZIONE

DELL’ALBERO D’ORO/1

NIKOS ALIAGAS

Regards Vénitiens

Fino Until 26 novembre November

Palazzo Vendramin Grimani San Polo 2033 www.fondazionealberodoro.org

OPENING

FONDAZIONE

DELL’ALBERO D’ORO/2

Nicolò Manucci, il Marco Polo dell’India

Un veneziano alla corte Moghul nel XVII secolo

29 aprile April-26 novembre November

Palazzo Vendramin Grimani, San Polo 2033 www.fondazionealberodoro.org

FONDAZIONE QUERINI

STAMPALIA

GRAZIANO ARICI

Oltre Venezia ‘Now is the Winter of our Discontent’

Fino Until 1 maggio May, 2023 Campo Santa Maria Formosa Castello 5252 www.querinistampalia.org

GALLERIA ALICE SCHANZER EZIO CICCIARELLA

L’abbraccio della materia

Fino Until 15 aprile April Campo S. Margherita, Dorsoduro 3061

GALLERIA IN’EI GAO BO高波 Offerta. Venezia-Himalaya

Fino Until 24 aprile April San Polo 1100 in-ei.it

LE STANZE DEL VETRO

Grandi Installazioni di Venini: Luce 1921 – 1985

Fino Until 9 luglio July

Sala Carnelutti, Isola di San GIorgio www.lestanzedelvetro.org | www.cini.it

LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA/1

UGO MULAS

L’operazione fotografica

Fino Until 6 agosto August

Fondazione Cini, Isola di San Giorgio lestanzedellafotografia.it

LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA/2 Venezia. Alter Mundus. Fotografie di Alessandra

Chemollo

Fino Until 4 giugno June

Fondazione Cini, Isola di San Giorgio lestanzedellafotografia.it

OPENING

M9 – MUSEO DEL ‘900 RIVOLUZIONE VEDOVA

5 maggio May-26 novembre November Via Giovanni Pascoli 11-Mestre www.m9museum.it | www. fondazionevedova.org

MARIGNANA ARTE

METAMORFOSI

Percorsi oltre la forma. fuse*, Yojiro Imasaka, Silvia Infranco, Giulio Malinverni

Fino Until 3 giugno June

Rio Terà dei Catecumeni, Dorsoduro 141 www.marignanaarte.it

OPENING

MUSEO CORRER

CARLA ACCARDI 1924-2024

Un omaggio

28 aprile April-29 ottobre October Sala delle Quattro Porte Piazza San Marco 52 correr.visitmuve.it

MUSEO DEL VETRO

SIMON BERGER

Shattering Beauty

Fino Until 7 maggio May

Fondamenta Giustinian 8, Murano www.fondazioneberengo.org museovetro.visitmuve.it

MUSEO DI PALAZZO MOCENIGO/1

TRAMALOGIE

Donazione Anna Moro-Lin

Fino Until 20 agosto August Centro Studi di Storia del Tessuto, del Costume e del Profumo Salizada San Stae, Santa Corce 1992 mocenigo.visitmuve.it

MUSEO DI PALAZZO MOCENIGO/2

MATTHIAS SCHALLER

Tessuto urbano

Fino Until 26 novembre November White Room, Centro Studi di Storia del Tessuto, del Costume e del Profumo Salizada San Stae, Santa Corce 1992 mocenigo.visitmuve.it

OPENING

OCEAN SPACE

Thus waves come in pairs

Simone Fattal e Petrit Halilaj & Álvaro Urbano

22 aprile April-5 novembre November ex Chiesa di San Lorenzo, Castello www.ocean-space.org

OPENING

PALAZZO CINI

La Galleria di Palazzo Cini

Da From 21 aprile April

Campo San Vio. Dorsoduro 864 www.palazzocini.it

PALAZZO DUCALE

VITTORE CARPACCIO

Dipinti e disegni

Fino Until 18 giugno June

Piazzetta San Marco ducale.visitmuve.it

146 e xhibitions
Mostre a Venezia

PALAZZO FRANCHETTI

LEE MILLER - MAN RAY

Fashion, Love, War

Fino Until 10 aprileApril, 2023

San Marco 2847 leemillermanray.it

OPENING PALAZZO FORTUNY RIFLESSIONI NOTTURNE

5 maggio May-1 ottobre October

Museo Fortuny, San Marco 3958 fortuny.visitmuve.it

PALAZZO GRASSI CHRONORAMA

Tesori fotografici del 20° secolo

Fino Until 7 gennaio January, 2024

Campo San Samuele www.palazzograssi.it

PALAZZO GRIMANI

INGE MORATH

Fotografare da Venezia in poi

Fino Until 4 giugno June

Ramo Grimani, Castello 4858 ingemorathexhibition.com

PALAZZO LOREDAN

De’ visi mostruosi e caricature

Da Leonardo da Vinci a Bacon

Fino Until 27 aprile April

Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti Campo Santo Stefano www.fondazioneligabue.it

OPENING PATRICIA LOW VENEZIA AMY BESSONE

Our Secret Garden

1 aprile April-13 maggio May

Palazzo Contarini Michiel, Dorsoduro 2793 patricialow.com

PROCURATIE VECCHIE/1

A World of Potential

The Home of The Human Safety Net

Piazza San Marco 1218/B www.thehumansafetynet.org

OPENING

PROCURATIE VECCHIE/2

ARTHUR DUFF

The Hungriest Eye.

The Blossoming of Potential

Da From 14 aprile April

The Home of The Human Safety Net

Piazza San Marco 1218/B www.thehumansafetynet.org

OPENING PUNTA DELLA DOGANA ICÔNES

2 aprile April-26 novembre November

Dorsoduro 2 www.pinaultcollection.com

OPENING SCALA CONTARINI DEL BOVOLO LUIGI MANCIOCCO

Dal lato dell’immaginario

1 aprile April-30 giugno June

Palazzo Contarini del Bovolo San Marco 4303 www.luigimanciocco.it

SPARC*

NOEMI DURIGHELLO

Loop the Loop

Fino Until 30 aprile April

SPARC* Spazio Arte Contemporanea San Marco 2828A www.veniceartfactory.org/sparc

Incontri, laboratori, presentazioni, festival

CA’RTE LAB

Università Ca’ Foscari con Ca’rte Lab presentaun ciclo di laboratori dedicati ai più piccoli e alle loro famiglie (ingresso libero su prenotazione).

IMMAGINI DELLA REALTÀ

5 aprile h. 16.30

Progettato da Bruno Munari e Giovanni Belgrano (Ed. Corraini), il gioco si compone di 40 immagini fotografiche che rappresentano soggetti da vari punti di vista. Mettendo a confronto la fotografia realistica a colori con quella in bianco e nero, con il negativo fotografico e infine con la parola scritta (in sei lingue), il gioco stimola e facilita l’apprendimento delle differenze esistenti tra gli oggetti reali e le loro rappresentazioni (dai 3 ai 6 anni).

DLIN DLON, OPS, VRUM!

18 aprile h. 16.30

Susi Danesin conduce un laboratorio di lettura ad alta voce per famiglie (dai 6 anni).

I partecipanti troveranno una storia piena di inseguimenti, luoghi diversi, strani animali e regali misteriosi. E oltre alla storia troveranno istruzioni dettagliatissime per aggiungere effetti speciali davvero incredibili, visto che saranno proprio i lettori, a doverli fare. Un libro da leggere dove ti pare, da giocare, capovolgere, far suonare come un’intera orchestra!

OLGA UNA BADANTE PER AMICA

26 aprile h. 16.30

La lettura animata con Alessandro Niero, autore, Elena Miele, illustratrice, e Susanna Nugnes, voce. l laboratorio si propone di potenziare le competenze espressive e comunicative dei partecipanti, attraverso il recupero dei loro vissuti e l’interpretazione consapevole del testo proposto. L’intento è quello di attivare un processo di sviluppo delle capacità creative e delle competenze comunicative (consigliato dai 7 ai 13 anni).

Ca’rte Lab, Ca’ Foscari Sede Centrale Dorsoduro 3246 cartelab@unive.it

KIDS DAY!

Ogni domenica la Collezione Guggenheim apre le porte ai più piccini per un ciclo di laboratori gratuiti in Museo, per bambini dai 4 ai 10 anni.

UN POMERIGGIO CON PABLO

PICASSO

9 aprile h. 15

Collage, disegni, sculture e dipinti: la creatività di Picasso non ha limiti!

DOPPIO SENSO

16 aprile h. 15

Laboratorio tattile rivolto al pubblico di non vedenti, ipovedenti e vedenti in chiave inclusiva, dedicato alle opere di Edmondo Bacci.

VIA COL VENTO… CON L’ARTISTA

KENNETH ARMITAGE

23 aprile h. 15

Oggi c’è un po’ di vento... cerca di non volare via come i personaggi della scultura di Armitage! Ci divertiremo insieme realizzando dei dipinti… soffiati!

UNA PASSEGGIATA CON ALBERTO GIACOMETTI

30 aprile h. 15

L’opera È Donna che cammina di Alberto Giacometti ci ispirerà durante un laboratorio di scultura.

Collezione Peggy Guggenheim www.guggenheim-venice.it

CASA DELLE PAROLE

La Casa delle Parole torna al Teatrino per l’appuntamento mensile dedicato alla lettura di testi provenienti da tutto il mondo.

PIETRA

11 aprile h. 18.30

OCCHIO

9 maggio h. 18.30

Teatrino di Palazzo Grassi www.palazzograssi.it

LE LEZIONI DELLA STORIA

Gli esperti invitati al ciclo di conferenze presentato da Progetto Rialto propongono un racconto con immagini di come e dove si svolgesse a Venezia lo scambio di oggetti aventi un valore artistico particolare.

CLARISSA RICCI

18 aprile h. 16.30

“Venezia il più bel mercato del mondo”: le politiche commerciali della Biennale di Venezia.

CLAUDIA CARAMANNA

9 maggio h. 16.30

I Mercati dei Bassano. Arte e vita in Terraferma Gallerie dell’Accademia www.gallerieaccademia.it

STORIE DI DONNE

CREATIVE NEL XX SECOLO TRA RUSSIA ED EUROPA

Ciclo di incontri dedicati all’approfondimento biografico e all’attività artistica di personaggi femminili emblematici del Novecento. Artiste, musiciste, attrici, ballerine, designer, fotografe, e molto di più, le donne raccontate sono “amazzoni” del loro tempo, eclettiche, all’avanguardia e cosmopolite.

IRINA ANTONOVA

19 aprile h. 16.30

Il professor Matteo Bertelé conduce la conferenza Irina Antonova, la “Grande Dame” dei musei russi ZINAIDA GIPPIUS

3 maggio h. 16.30

La dott.ssa Maria Gatti Racah conduce la conferenza Zinaida Gippius: la “Madonna decadente” tra S. Pietroburgo e Parigi CFZ - Cultural Flow Zone - Tesa 1 csar@unive.it

PUBLIC PROGRAM

GRAZIANO ARICI. OLTRE VENEZIA 20 aprile h. 17

L’ultimo incontro del public program della mostra Graziano Arici. Oltre Venezia è dedicato a Fotografia e Archeologia Dopo la visita guidata a tema, avrà luogo l’incontro con interventi di Olivo Barbieri, fotografo; Mirjam Brusius, storica; German Historical Institute, Londra; Alessandro Dandini de Sylva, artista e curatore; Stéphane Verger, direttore Museo Nazionale Romano.

Modera Andrea Villiani, curatore.

Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org

SUPERLAB: SARAH MAZZETTI 22 aprile h. 15-18

Guidati dall’illustratrice Sarah Mazzetti, i partecipanti sono invitati a entrare in relazione tra loro attraverso il disegno e degli oggetti personali. Ognuno attiverà il contatto con le altre persone attraverso il racconto di un proprio oggetto personale, a cui tiene particolarmente o che porta sempre con sé; sarà il turno dell’altro trasformare questo oggetto in opera d’arte, con carta, matita e colori.

Palazzo Grassi, San Samuele www.palazzograssi.it

147
e t cc...

AIR – LA STORIA DEL GRANDE SALTO

di Ben Affleck (USA, 2023)

Dal premiato regista Ben Affleck e con Matt Damon protagonista nel ruolo dell’anticonformista manager della Nike, Sonny Vaccaro, l’incredibile e rivoluzionaria partnership tra un giovane Michael Jordan e la nascente divisione dedicata al basket della Nike, capace di rivoluzionare il mondo dello sport e la cultura contemporanea con il lancio del marchio Air Jordan. L’emozionante storia racconta l’impresa di una squadra non convenzionale che, con in gioco il proprio futuro, compie una scommessa decisiva, la visione senza compromessi di una madre che conosce il valore dell’immenso talento di suo figlio e il ‘fenomeno’ del basket, diventato poi il più grande di tutti i tempi. Grande prova nel ruolo della madre di Michael da parte di Viola Davis, suggerita ad Affleck dallo stesso Jordan.

Dal 6 aprile al cinema

a cura di Marisa Santin

NUOVA CONVERSATIONS WITH FRIENDS

Tratta dall’omonimo romanzo di Sally Rooney, in esclusiva su Rai Play arriva questa mini-serie incentrata sui turbamenti amorosi di una studentessa universitaria di Dublino, che ha il merito di farci riscoprire il gusto della conversazione fra amici. Anche il ritmo torna ad essere meno frenetico rispetto a gran parte della produzione seriale del momento, lasciandoci il tempo di osservare, ascoltare e capire senza fretta i personaggi mentre si innamorano, tradiscono, fanno sesso, si lasciano e si riprendono.

RAI PLAY

NUOVA

RAGAZZE ELETTRICHE

Il libro da cui è tratta la serie è già un best seller della fantascienza oltre che un manifesto di emancipazione femminile. Power, il titolo originale inglese, rende meglio l’idea, in quanto significa sia “potere” che “elettricità”. E quando la scrittrice Naomi Alderman dice “il potere è nelle tue mani” lo intende anche in senso letterale, perché queste ragazze, tutte con un buon motivo per avercela con il mondo e soprattutto con quello maschile, hanno in comune la facoltà di lanciare potentissime scariche elettriche con le mani. Lo scoprono un po’ alla volta separatamente e, dopo un iniziale spaesamento, si cercano, si trovano e, infine, si alleano. Toni Colette nel cast insieme ad un promettente gruppo di giovani attrici.

DA RECUPERARE

THE LEFTOVERS

(3 stagioni, 2014-2017)

Un bel giorno il 2% della popolazione mondiale svanisce improvvisamente nel nulla. Dove sono finiti? E cosa succede a quelli che rimangono, i Leftovers? Come riusciranno a gestire il senso di smarrimento e di perdita mentre la paura sta minando in profondità la struttura sociale che conoscevano fino a quel momento?

Prodotta da HBO e interpretata da un bel cast (Justin Theroux, Amy Brenneman, Liv Tyler, Margaret Qualley, Ann Dowd, Scott Glenn), The Leftovers è solo una delle trasposizioni per il cinema tratte dall’omonimo romanzo di Tom Perrotta. Ne esiste anche una versione francese (disponibile su Netflix), che però non aggiunge nulla a quella americana se non un maggiore senso di cupezza e di irrimediabile disperazione.

SKY ITALIA

148 a cura di Davide Carbone s creenings
Film, serie, uscite in sala
Ho ricevuto la sceneggiatura e poi ho avuto la possibilità di parlare con Michael Jordan. Mi ha parlato di suo padre. E poi ha parlato di sua madre.
SERIALE
Era la prima volta che vedevo questo sguardo attraversare il suo viso Ben Affleck

SCORDATO di Rocco Papaleo (Italia, 2023)

La vita di Orlando, mite accordatore di pianoforti tormentato da dolori alla schiena, cambia quando incontra Olga, un’affascinante fisioterapista che gli diagnostica una contrattura “emotiva” e gli chiede di portarle una sua foto da giovane, così che lei possa aiutarlo a risolvere i suoi problemi. L’insolita richiesta spingerà Orlando a mettersi in viaggio e rivivere quasi come uno spettatore gli eventi della sua vita che lo hanno reso l’uomo solitario e ‘contratto’ che è oggi. Girato in Basilicata tra Lauria e Maratea, dopo una breve sosta a Salerno, il film segna l’esordio di Giorgia come attrice e il ritorno di Rocco Papaleo dietro la macchina da presa dopo Basilicata Coast to Coast, Una piccola impresa meridionale e Onda su Onda Dal 13 aprile al cinema

L’ESORCISTA DEL PAPA di Julius Avery (USA, 2023)

Conosciuto da molti come il Decano degli Esorcisti ma anche come l’Esorcista del Vaticano, padre Gabriele Amorth ha rappresentato per migliaia di persone un faro nelle tenebre. A capo di migliaia di esorcismi per conto della Chiesa cattolica, è stato un crociato in prima linea nella battaglia eterna contro le forze del Male. La sua esperienza arriva per la prima volta sullo schermo grazie al film diretto da Avery, in cui il ruolo del leggendario prete è ricoperto dal premio Oscar Russell Crowe: mentre cerca di rimandare all’inferno uno dei demoni più resistenti che abbia mai incontrato nel suo cammino, scopre una verità tenuta per secoli nascosta e nonostante gli avvertimenti del Vaticano porta alla luce una cospirazione senza precedenti.

Dal 13 aprile al cinema

IL SOL DELL’AVVENIRE

di Nanni Moretti (Italia, Francia, 2023)

I protagonisti sono una coppia di militanti del Partito Comunista che si dà da fare per avviare attività culturali e ricreative nelle nascenti periferie romane, le favelas degli anni ’50-’70, in mezzo alle quali galleggiavano i quartieri abusivi. I due decidono di fare arrivare il Circo d’Ungheria, che monta il tendone e dà vita ai suoi spettacoli. Nell’ottobre del 1956 inizia però la rivoluzione d’Ungheria, cui pone fine un intervento delle truppe sovietiche, nel novembre successivo, che costa la vita a 2700 ungheresi. Un evento che scatena la rabbia dei circensi che incrociano le braccia e smettono di esibirsi sotto il tendone. Nel cast, oltre allo stesso Nanni Moretti, ci sono Margherita Buy, Silvio Orlando e Barbora Bobulova.

Dal 20 aprile al cinema

GUARDIANI DELLA GALASSIA

VOL. 3

di James Gunn (USA, 2023)

La trama vede i Guardiani affrontare l’Alto Evoluzionario (interpretato da Chukwudi Iwuji), uno scienziato che conduce esperimenti per forzare miglioramenti negli esseri viventi. Oppure, come dice Rocket, che è stato creato dall’Alto Evoluzionario: «Non gli interessa la perfezione: semplicemente, odia le cose come stanno». A complicare la situazione ci si mette Adam Warlock (Will Poulter), un potente essere artificiale creato dai Sovereign per distruggere proprio i Guardiani. In tutto questo, Peter Quill/Star Lord (Chris Pratt) non riesce a fare pace con il fatto che la donna amata è morta, salvo poi tornare, ma con un carattere decisamente differente. Oltretutto senza provare per lui alcun tipo di sentimento amoroso.

Dal 3 maggio al cinema

149
150 The Vitrine takes care of the Artwork. We take care of the Vitrine. www.ottart.it info@ott-art.it ottartvenezia T. +39 041 5369837

TENDENZE P/E

Sempre più contaminazioni, tra arte, moda e tendenze street. In linea con quanto visto sulle passerelle di Milano, Parigi e New York, la quota più glamour e cosmopolita di Venezia, il Fondaco dei Tedeschi, cambia look con l’arrivo della primavera e presenta un nuovo, sorprendente allestimento in una cornice sospesa tra storia e innovazione. Nei settori della moda e del lusso si è consolidata la tendenza di un rebranding immersivo dei negozi e una serie di installazioni pubbliche nell’ottica di incrementare la brand awareness e l’engagement, direzionando l’attenzione sempre di più verso il concetto di esperienze immersive e instagrammabili. Tuttavia il legame con la città e con la sua arte e storia, pone il Fondaco in un gradino più alto, lo spazio architettonico con le sue incredibili particolarità artistiche e spettacolari vedute è uno dei landmark di Venezia, da visitare e soprattutto da rispettare. Così gli interventi, sono incursioni urban su un terreno fortemente caratterizzato: sono le vetrine, la porta di accesso all’esterno, la corte e le sequenze dei loggiati dei piani ad

essere oggetto di queste personalizzazioni. Strizza l’occhio ai più giovani l’intervento di Gioele Corradengo, in arte Sexsdreams. Milanese, classe 1996 inizia sin da giovanissimo a ricercare la propria personale espressione artistica nell’ambiente underground realizzando graffiti e indirizzando la sua vena creativa in uno stile punk e sognante. Le sue opere sono fatte di brevi frasi mixate con disegni e grafiche colorate, che esprimono la sua personalità, in bilico tra arte e musica. Sgargianti colori fluo, grafiche rubate ai graffiti metropolitani, l’aspetto visivo è giocato attorno a titoli, scritte a pennarello, segni e simboli che ricordano il mondo della street art. Sexsdreams regala ai visitatori del Fondaco dei Tedeschi il 15 aprile dalle 16 alle 18 un’inusuale e coinvolgente performance: armato di bomboletta spray interverrà a modo suo con scritte e segni grafici sulle magliette indossate per l’occasione dai presenti, esprimendo live e in maniera estemporanea la sua personale e dissacratoria interpretazione dello stile.

www.dfs.com/it/venice

151
Fondaco dei Tedeschi Nuovo look primavera/estate
design &more
a
cura di Mariachiara Marzari

staff

Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero

Numero 274 - Anno XXVII

Venezia, 1 Aprile 2023

Con il Patrocinio del Comune di Venezia

Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996

Direzione editoriale

Massimo Bran

Direzione organizzativa

Paola Marchetti

Relazioni esterne e coordinamento editoriale

Mariachiara Marzari

Redazione

Chiara Sciascia, Davide Carbone

Speciali

Fabio Marzari

Coordinamento Newsletter e progetti digitali

Marisa Santin

Grafica

Luca Zanatta

Hanno collaborato a questo numero

Katia Amoroso, Maria Laura Bidorini, Loris Casadei, Matilde Corda, Elisabetta Gardin, Renato Jona, Franca Lugato, Andrea Oddone Martin, Giorgio Placereani, Daniela Paties Montagner, Livia Sartori di Borgoricco, Fabio Di Spirito, Camillo Tonini, Riccardo Triolo, Luisa Turchi

Si ringraziano

Susanne Franco, Annalisa Sacchi, Giovanni Dell’Olivo, Chiara Bertola, Chiara Gatti, Marco Petrus, Giandomenico Romanelli, Mauro Covacich, Matteo Melchiorre

Traduzioni

Andrea Falco, Patrizia Bran

Foto di copertina

Kourken Pakchanian, Model seated in a bubble chair, 1973, Vogue © Condé Nast

lo trovi qui:

Bookshop Gallerie dell’Accademia; Qshop (c/o Querini Stampalia, Santa Maria Formosa); Alef (c/o Museo Ebraico, zona Ghetto); Mare di Carta (Fondamenta dei Tolentini); Studium (zona S. Marco); Toletta, Toletta Cube e Toletta Studio (zona Campo San Barnaba) e in tutte le edicole della città.

Direttore responsabile

Massimo Bran

Guida spirituale

“Il più grande”, Muhammad Alì

Recapito redazionale

Cannaregio 563/E - 30121Venezia tel. +39 041.2377739 redazione@venezianews.it www.venezianews.it

Stampa

Chinchio Industria Grafica Srl

Via Pacinotti, 10/12 - 35030 Rubano (PD) - www.chinchio.it

La redazione non è responsabile di eventuali variazioni delle programmazioni annunciate

venezia_news venews_magazine
Venezianews
venezianews.magazine
Redazione
Iscriviti alla VeNewsletter
#bestrestaurants #luggagecare #delivery #ondemand Easy does it. Let us do it.
01.04 18.09.2023
Dorsoduro 701, 30123 Venezia guggenheim-venice.it Edmondo Bacci Avvenimento #247 1956 (particolare). Tempera grassa e sabbia su tela, 140,2 x 140 cm. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia © Archivio Edmondo Bacci, Venezia La mostra è resa possibile da I programmi collaterali sono resi possibili da Grazie a Con il sostegno di

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.