VENEZIA NEWS - DECEMBER 2023-JANUARY 2024 - #282-283

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Nico Zaramella © worldwide reserved Mensile di cultura e spettacolo - n° 282-283 - anno 27 - Dicembre 2023/Gennaio 2024 spedizione in A.P. 45% art.2 comma 20/B - legge 662/96 - DCI-VE

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WINTER ISSUE: CHRISTMAS DIARY & MORE


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Marcel Duchamp

e la seduzione della copia

14.10.2023

Con il sostegno di

Dorsoduro 701, 30123 Venezia guggenheim-venice.it

18.03.2024

I programmi collaterali sono resi possibili da

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Marcel Duchamp, L.H.O.O.Q., settembre 1964. Ready made; stampa in litografia offset a colori con aggiunte in grafite e guazzo. Collezione Attilio Codognato, Venezia. © Association Marcel Duchamp, by SIAE 2023


december2023-january2024 CONTENTS editoriale (p. 7) Il banchetto delle idee reportage (p. 8) Viaggio in Groenlandia incontro (p. 18) Mara Rumiz – EMERGENCY Venezia christmasdiary (p. 25) Intervista a Fabio Fazio | Murano Illumina il Mondo | Natale con la Biennale | Concerto di Natale in Basilica | Robert Treviño | Myung-Whun Chung | Stelle di Natale | Big Vocal Orchestra | Le allegre comari di Windsor | La bella addormentata | Trocks are Back! | Capodanno con Carlo & Giorgio | Gran Gala du Cirque | Concerto di Capodanno | Regata delle Befane | Intervista Alberto Fol – Executive chef The Gritti Palace | Pandoro o Panettone? | Shopping&More | Christmas Trekking Santo Stefano | Christmas Screenings | Christmas Books storie (p. 64) La colonna di Capo Sunio a Venezia tracce (p. 66) Premio “Pietro Torta” per il restauro arte (p. 70) Intervista Luca Massimo Barbero – Un Diavolo Amico | Marcel Duchamp | Intervista a Claudio Spadoni – Rivoluzione Vedova | Chagall | Il ritratto veneziano nell’Ottocento | Maurizio Pellegrin | Mille Donne di Venezia | Ego | CHRONORAMA | VISION | Italico Brass | Rosalba Carriera | Collezione Marina Nani Donà | Paolo Pellegrin | David “Chim” Seymour | Buzzati, Venezia e la Pop Art | Luigi Ferrigno | Venezia bianca | VENICE INTERNATIONAL PERFORMANCE ART WEEK | Umberto Mastroianni | Galleries | Not Only Venice musica (p. 100) Patti Smith | Daniela Pes | Calcutta | Laura Pausini | Elio e le Storie Tese | Madame | Claudio Baglioni | PFM canta De Andrè | Argo16 classical (p. 108) Prometeo. Tragedia dell’ascolto | Pinocchio | Musikàmera | Aquae Sonus Resonantia | Il Barbiere di Siviglia | Ex Novo Musica | Omaggio a Morricone theatro (p. 116) Il tango delle capinere | Giancarlo Marinelli/ Pietrangelo Buttafuoco | Anna Karenina | Una imagen interior | Uomo e galantuomo | Iliade | Intervista a Mattia Berto – Shylock. Venezia oltre il denaro | Così è (se vi pare) | L’interpretazione dei sogni | Shen Yun 2024 | Cristiana Morganti | Les Saisons | Private Callas | Edoardo Leo | Comici cinema (p. 132) Poor Things | Evil Does not Exist | InLaguna Film Festival | CSC Immersive Arts | Anna Magnani | Rober De Niro | Supervisioni | Cinefacts etcc... (p. 142) Buon Compleanno M9 | INFOXICATION | Intervista a Giovanni Montanaro – Come una sirena | Intervista a Matteo Strukul – Marianna | Parole: Memoria menu (p. 150) Atelier Moessmer Norbert Niederkofler, San Brite, Alajmo Cortina | Champagne | Un assaggio di Carnevale citydiary (p. 157)

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EMERGENCY VENEZIA

Mara Rumiz tells the story of Emergency and their Venetian outpost at Giudecca that innervates the city’s fabric with clever projects. The ongoing exhibition is a story of fleeing people and a focus on wounded humanity finding healing in the heart, the prime existential sense of this extraordinary, emergent adventure. incontro p. 18

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CHRISTMAS DIARY

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Christmas lights like you’ve never seen before: thirteen gorgeous Murano glass chandeliers embrace Piazza San Marco. There’s more, thanks to Biennalesponsored Christmas installations in Mestre, performances, and concerts in every theatre. christmasdiary p. 25

UN DIAVOLO AMICO An important new and vital collaboration: the Biennale Archive acquires a living and breathing art corpus from Luca Massimo Barbero, enriching the heart of the world capital of modern art. arte p. 70


reportage p. 8

COVER STORY

Nico Zaramella © worldwide reserved

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PATTI SMITH

The priestess of rock is back. Feverishly working on the densest prose, always on the side of the rebels and losers, always with her eyes staring straight into the darkest corners of the world. musica p. 100

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PROMETEO

Luigi Nono’s masterpiece opera is back at San Lorenzo Church, where it premiered in 1984, at the time directed by Abbado with scenography by Emilio Vedova and Renzo Piano. Four sold-out dates for a project by Biennale, Fondazione Luigi Nono, and TBA21. classical p. 108

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EMMA DANTE

A bare, essential staging for Emma Dante at Goldoni Theatre, the story of a nameless – universal – couple that takes the audience into a journey of feelings, whispers, gestures, in a whirlwind of lived life and memories. theatro p. 116

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editoriale

IL BANCHETTO DELLE IDEE di Massimo Bran

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023 atto terzo, giù il sipario. Si chiude un altro anno a luci e ombre sul terreno del nostro lavoro, del nostro territorio, dell’universo mondo. Come sempre si dirà, eppure non è mai sempre la stessa cosa, figuriamoci. La ciclicità circolare del divenire disegna scansioni apparentemente regolari, stagione dopo stagione; un percorso attraversando il quale si sente il bisogno di individuare punti di riferimento rassicuranti, mandati a memoria, perché in fondo è questo che cerchiamo, porti certi, ristori psicofisici familiari. È a queste oasi di presunta certezza che agganciamo la nostra immaginazione, il nostro desiderio di vedere oltre, di giocare con la fantasia, con l’imprevedibile, impulsi che lasciati soli senza ancoraggio concreto alcuno produrrebbero meri voli velleitari, magari vertiginosi anche, ma senza troppa struttura. Ciascun mondo, ciascuna comunità ha i suoi di porti sicuri, o di stazioni, laddove il mare è lontano lontano. Sono luoghi da consolidare con la prosa della vita, del lavoro, delle visioni costruite con metodo, disciplina, concretezza. Più questi approdi fortificano le proprie fondamenta, più i presupposti per allargare lo sguardo in verticale e all’orizzonte si moltiplicano. Chi lavora nella cultura, intesa circolarmente, quindi industria, creatività, studio, sa che essa non è affatto immune da questi stessi presupposti, anzi. Se possibile lo è assai di più di moltissimi altri mondi. Proprio per il suo costitutivo definirsi quale disposizione ad indagare il pensiero, ad esprimere in libertà idee, a costruire progettualità, espressioni della mente libera da costrizioni, ha necessariamente ancor più l’urgenza di costruire alla base delle proprie speculazioni delle fondamenta di indistruttibile cemento armato, pena la precarietà della percezione che di essa ne deriva. Il che è pane quotidiano, soprattutto in contesti nei quali della cultura troppi ancora hanno un’idea di surrogato meramente ludico al lavoro vero, occasione magari un po’ più spessa di altre per colorare vivamente il tempo libero, toh. Inutile dire che troppi in questo Paese, che dovrebbe mandare a scuola il mondo in termini di cultura, vivono ancora con questa provinciale, arcaica disposizione il vissuto delle arti, il parteciparvi, il farsi soggetti attivi del loro infinito delta espressivo. È cosa solo di ieri, ma potrebbe essere anche di oggi o di domani, l’uscita di qualche nostro illustre colletto bianco che recitava uno stereotipo peraltro bello solido nella vulgata collettiva, vale a dire che con “la cultura non si mangia”. Un’uscita, un “pensiero”, che restituisce, al di là del mero e grave dato in sé del greve enunciato, una sottocultura assai più diffusa di quello che pur comunemente ci si immagina, una sconsolante mentalità che naturalmente si nutre al contempo di slogan triti e consunti, della serie “il Paese più bello del mondo”, “lo stile di vita che tutto il mondo ci invidia” e altre, consimili amenità. Spot da pizzeria il sabato sera, da bar all’ora che si vuole, da centro commerciale ovunque e comunque. Sotto i quali il nulla, il vuoto. A partire dall’alto naturalmente, dagli incroci dirigenziali del Paese, capaci impudentemente di produrre uscite e proclami da crassa fiera delle vanità, in un malinteso narcisismo nazionale che nulla aggiunge e troppo toglie alla solida, effettiva meraviglia del cosiddetto, ebbene sì…, Belpaese.

In questa fetta di Belpaese in cui abbiamo nonostante tutto ciò la fortuna ancora di vivere e operare, questa inconsapevolezza diffusa di quanto il pensare, produrre e proporre cultura sia attività centrale in qualsiasi paese civicamente ed economicamente evoluto del mondo informa le menti di troppi, come e più colpevolmente che altrove. Perché chi respira camminando l’aria di questa città non può non percepirne la densità fitta e stratificata della infinita teoria di correnti che storicamente e nel presente ancora la raggiungono, incrociandosi le une alle altre provenendo da ogni dove. È qualcosa di così materico, di così tangibile che quasi si taglia a fette. Eppure questa prepotente e meravigliosa cifra identitaria viene fatta propria dai più, anche lassù, attraverso luoghi comuni da gita turistica domenicale di gruppo. Naturalmente ci sono isole, tra le centinaia che fisicamente ne costituiscono da sempre il profilo corporeo, a Venezia che dire felici è dire poco. Minoranze, entità che raramente ispirano a chi di dovere visioni sistemiche dell’amministrare una comunità con le sue miriadi di cose pubbliche, e che però producono sostanza vera, fonda, disegnando, anche quando maltrattate o malvissute, orizzonti di luce qui e ora, tra di noi, non oniricamente. Sono quelle isole in cui chi intende capire come dovrebbe migliorare questo luogo può intuire, o meglio, concretamente intendere quali siano i percorsi altamente concreti che una città come questa dovrebbe solcare senza tentennamento alcuno. Ce ne sono una teoria di queste isole in città, eccome, e noi nel nostro piccolo le visitiamo ed attraversiamo ogni giorno per attingere linfa al nostro corpo editoriale, alla nostra visione aperta del futuro di questo luogo. Un’abbondanza che fa a pugni con la cecità e sordità di chi dovrebbe avere l’umiltà di auscultare le correnti che muovono da queste stesse isole. In questo cronico e grave paradosso ci muoviamo noi e come noi tutti coloro i quali non si rassegnano all’idea che questo arcipelago insulare di arti e culture vive e globali non riesca, come sarebbe logico che fosse, a farsi energia trainante della rinnovata identità di una città-mondo che ancora troppo si fa strapaese. Non è, o meglio, non vorremmo che così venisse percepita, questa, come la solita, tristarella e venezianissima lamentela, sterile e senza costrutto. Non vuole essere, insomma, il classico grigio bilancio di fine anno delle occasioni perdute. Anzi, vuole al contrario rappresentare una sorta di invito a concentrarci tutti sugli elementi di grande intensità vitale che copiosi attorniano il nostro quotidiano e che troppo spesso si danno come un dato di fatto, acquisito, come il ciclo delle stagioni che si ripete sempre uguale. Un richiamo ad autoconvincersi che l’insieme di chi non si rassegna a digerire l’incongruo di troppo operare e amministrare questa città può e deve farsi maggioranza, almeno provandoci seriamente attraverso, perché no, la forza delle emozioni, delle suggestioni aperte e sorprendenti che solo i linguaggi delle arti e delle culture sanno offrire con così vibrante densità. L’emozione al potere, sì, cosa di più concretamente nuovo in questo procedere incongruo? Buon anno a tutti, ci ritroviamo presto sulle coloratissime barricate delle idee.

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Viaggio in Groenlandia

UN PASSO INDIETRO Essere esploratori vale più di ogni scatto fotografico, perché chi esplora e investiga prima che le cose siano epifania ha il senso del tempo e della verità ed è maestro dell’arte

reportage

Testo e foto di Nico Zaramella

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M

uoversi nel ghiaccio e nella neve. Muoversi: in un ambiente strategicamente mutevole e diverso. È sinonimo di cambiamento. Cambiamento di stato, cambiamento di mentalità, usi e costumi. Guardare attentamente con i binocoli ghiacciati dove ti si incollano le dita se hai dimenticato i guanti per un attimo. Guardare avanti, ma con uno specchietto retrovisore emotivo. Essere lungimiranti. Pensare agli effetti e alle conseguenze dei propri atti molto prima che accadano o mentre si compiono, alla luce dell’esperienza. Tastare con cautela il ghiaccio e la neve senza caricare sprovvedutamente il proprio peso, proprio come fa l’orso polare, per non piombare nell’acqua ghiacciata dove si sopravvive per qualche minuto, per non piombare in un crepaccio senza fondo mettendo a rischio la propria vita e quella dei compagni legati a te. Essere quindi consapevoli dei propri atti nella misura in cui sono inevitabilmente causa di effetti collaterali e conseguenze rischiose. Governare il presente per non subire il futuro. Essere cauti e riflessivi. Capaci di pianificare ciò che non si vede perché poi tutti possono pianificare ciò che si vede, vanificando il valore del vedere oltre. Essere esploratori vale più di ogni scatto fotografico, perché chi esplora e investiga prima che le cose siano epifania ha il senso del tempo e della verità ed è maestro dell’arte. Qui non si gioca a vincere alcuna competizione, perché le competizioni con vinti e vincitori sono la sconfitta della vita: gli uni illusi di un valore fittizio ed effimero e i secondi disillusi e rancorosi. Chi compete ha bisogno di affermarsi a scapito di qualcuno o qualcosa. Chi non compete afferma il proprio pensiero, la propria opinione, il proprio karma, le proprie autentiche capacità e attitudini. Questa è la mia vita. E qui, per chi ha capito ma anche per chi non ha capito, questo Christmas Carol

potrebbe concludersi. Ma non basta. Ogni tradizione negativa va cambiata, non è più un possibile alibi per commettere nefandezze o peggio. Ogni tradizione positiva va salvaguardata. Giocare e raggirare il mondo con la narrazione e l’alibi delle tradizioni significa opporsi al cambiamento per una sola ragione: interesse. Nella barca la piccola comunità deve muoversi piano, come fosse un coacervo: c’è molto ghiaccio, ghiaccio spesso, thick, moltissima nebbia, iceberg. È il concetto basilare di ogni comunità: navigare negli imprevisti quotidiani della globalizzazione e del cambiamento climatico è una responsabilità comune che prevede estrema consapevolezza, cautela e concretezza, pena l’affondamento. Gli occhi si infossano ogni giorno di più, stanchissimi per le troppe ore al binocolo, per un tramonto sempre più tardivo e un’alba sempre più precoce. Può accadere tutto o niente. Si infossano come quelli del condannato che non ha più lacrime da piangere né ore da dormire, perché consapevolmente cerca di espiare un peccato. Nasconde un’avventura di vita in un proposito futuro. E invece noi siamo qui perché immaginiamo il futuro che speriamo non accada mai. Oggi, vicino a Shannon Island, tutti abbiamo imparato una cosa importante: siamo circondati da coloro che ci vedono e ci osservano e che non vogliono essere, ragione per cui è opportuno ogni tanto fare marcia indietro. Sono ombre nella nebbia, montagne di un ghiaccio “vivo” che patisce la dannazione di una lenta morte per collasso o per uno tsunami terribile che scavalla la chiglia e il ponte. Ora si vedono e non si vedono svelte silhouette quasi trasparenti nella nebbia degli orsi polari: i cauti cercatori di foche. Evitano la barca. In questo paese gli uomini hanno ucciso e uccidono, perché in realtà non


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reportage VIAGGIO IN GROENLANDIA

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sanno fare altro. Gli orsi non vogliono essere uccisi e vogliono vivere la propria esistenza da esseri straordinari, forse a costo di una consapevole estinzione, come tutti i più grandi mammiferi terrestri. O forse sono i grandi imperatori del Pianeta e come tutti i grandi imperatori prima o poi, esiliati o uccisi, finiscono nella storia. O come il lupo, l’orso è l’ultimo vero ribelle della terra che ignora il camuffamento delle favole umane e delle storielle giornalistiche perché senziente e consapevole della…dignità di esistere. È freddo. L’estate artica è comunque un’estate particolare, “empirica”, e questo freddo è forse nelle ossa o forse nell’anima: l’esperienza del disastro che diventa mio dopo i molti anni passati in questo “mondo nel mondo”. Il ghiaccio si consuma sempre più rapidamente, così come sempre più rapidamente si innalzerà il livello dell’acqua. Ma cercare un passaggio nel ghiaccio è ancora un problema: è l’arte del navigare. È necessario spostarsi un po’ più a sud, perché in questo momento il ghiaccio è veramente troppo spesso: ci sono grandi problemi e la risposta giusta è spesso fare marcia indietro. È necessario cercare una nuova via. Una via più sicura. Una via “rispettosa”. Da ora i miei incontri con il pubblico e le mie discussioni si chiameranno stepping back: “un passo indietro”. Non possiamo comportarci più come chiassosi e sconvenienti turisti con i capelli colorati, cuffie in testa, che scarabocchiano sui muri di una civiltà millenaria trascorsa ma presente. Qui non ci sono impianti

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di risalita da costruire per variopinti sciatori del ponte di Sant’Ambrogio. Il tempo delle false saghe televisive è finito. Capisco, non sono sufficientemente politically correct, ma francamente preferisco essere un libero pensatore, un “illuminista” fuori tempo. Qui, in questo posto, in quest’isola enorme non si uccide nulla che non sia necessario per sfamare la propria famiglia, riuscire a vestirsi e proteggersi la notte dal gelo del grande inverno artico. Qui non ci sono improbabili “presidenti” che gestiscono la vita come una “sine cura”. Non ci sono elezioni da vincere. Qui la vita sta alla morte come un evento naturale: non esistono vendette plausibili contro la natura per amplificare il chiasso politico invadente o bisognoso di lobbistici, quanto disastrosi, “slogan”. Qui lo spazio per l’uomo è ancora una questione molto limitata, dove siamo ora non esiste alcun insediamento umano per centinaia di chilometri. Forse solo in un tempo lontanissimo qualcuno ha calpestato lo stesso ghiaccio scendendo da una nave vichinga, ma a me non dispiace pensare di essere tra i primi e magari il primo tra tutti. Ancora una volta sono esploratore di luoghi e di pensiero. Ho imparato, o sto imparando, che esplorare significa non avere presunzioni ma solo un comportamento corretto. Qualche giorno prima siamo partiti dalle Isole Svalbard e, prima di puntare sulla Groenlandia, abbiamo deciso che valeva la pena spendere qualche giorno


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esplorando la costa più settentrionale. In questo paese non si uccide più o quasi più. Il valore dell’integrità del territorio e di tutti i suoi abitanti non umani prevale sull’interesse di ognuno, tutti hanno capito. In altre parole non è il qui e ora che conta, dove un chicchessia ignoto è pervaso dal pensiero eversivo che tutto ciò che ci circonda ci appartiene secondo uno “ius primae noctis” con licenza di uccidere, cedendo l’intelletto all’ipotesi del più grande fallimento storico del suprematismo umano. Questa ricchezza ambientale ci ha fatto un raro regalo in questi giorni avventurosi. E per chi ha occhi dentro l’anima, e non solo attaccati alla testa, l’orso polare è assolutamente perfezionato per vivere dove è freddo, gelo e ghiaccio. Non ha scelto, per decisione o evoluzione, la vita facile. Non gioca a bonus e monopattini, non dice “no” a priori, anche se non si trova certamente a proprio perfetto agio in questo mondo che cambia, dove i suoi cuccioli non hanno vita facile e ogni anno ne sopravvive qualcuno di meno. Il latte della mamma non basta più. È servito al cucciolo per superare il primo anno di vita, ma ha ancora tanto da imparare per sopravvivere. La prima cosa che dovrà imparare dalla mamma è procurarsi cibo ricco di grasso. L’acqua è fredda e il ghiaccio dove si cacciavano le foche è sempre meno esteso. È necessario nuotare molto più di prima e il pelo folto non sarà sufficiente a salvare il piccolo dal freddo se non avrà una spessa protezione di grasso, il suo isolante naturale. Questi primi giorni per una lunga spedizione prettamente, o per meglio dire, “esclusivamente” esplorativa ci hanno educato a una rappresentazione del comportamento dell’orso polare che non avevamo mai visto. È un animale intelligente, capace di approntare strategie nuove. È in grado di contare e pensare, di compiere scelte e pianificare strategie e ha potenzialità che all’Università di Oakland hanno scoperto essere del tutto analoghe ai primati e solo di poco inferiori (o uguali ?) a quelle dell’uomo. Ho trovato la conferma di quanto un giorno scrissi su queste pagine: quando l’ultimo orso polare scomparirà scoccherà anche l’ultima ora dell’umanità. È una metafora, ma è molto, quasi troppo, vicina alla realtà. Quattro orsi hanno trovato la carcassa di un walrus, un tricheco. È una grossa carcassa. Un vecchio adulto molto più grande e pericoloso dell’orso e la sua morte è probabilmente avvenuta per cause naturali, perché è praticamente impossibile per un orso perforare la spessa e dura pelle di un grande walrus. L’orso con manovre scaltre è in grado di isolare un cucciolo dal branco, la sua unica possibile vittima, per non rischiare le profonde e letali ferite che le lunghe zanne degli adulti possono infliggere. In questa carcassa quattro orsi, due adulti e due cuccioli, troveranno il grasso che probabilmente salverà loro la vita durante l’inverno e sarà il banchetto ideale per molti giorni. La natura è ben organizzata, nulla va sprecato e la morte molto spesso è in pari misura sinonimo di vita. Ma il problema è che soltanto due sono parenti (stretti): una femmina e il suo cucciolone. Gli altri sono un giovane maschio adulto e un cucciolo oramai prossimo all’età adulta senza mamma, forse perduta o forse da lei spontaneamente allontanatosi. La femmina è chiaramente ben più grande e robusta, determinata e aggressiva rispetto ai non consanguinei. Il suo evidente interesse è quello

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di garantire che il suo cucciolo possa mangiare a sazietà. È poco interessata alla carcassa, che nemmeno assaggia. Come una madre umana osserva il suo cucciolo e i due contendenti sono ben consapevoli della sua netta superiorità fisica. Il dato è che in una rappresentazione perfettamente etologica (purezza che non è inquinata dall’autoreferenzialità della religione, della filosofia e dell’etica) semplicemente gli affamati contendenti aspetteranno il loro turno. E l’orsa, saziato il figlio, si compiacerà delle effusioni del piccolo: il suo consapevole ringraziamento. Umanità ed eternità evidentemente non sono fatte di uguaglianze, bensì di diseguaglianze “necessarie”. Non è affatto rilevante decidere che, trattandosi del più grande e forte carnivoro terrestre, ogni orso avrà un diritto alla vita connaturato alla nascita. La sua sopravvivenza è comunque soggetta a regole e garanzie non scritte. Sono paradossi del lemma e della teoria per cui la vita condiziona la morte e viceversa. Ma quale è stato il momento in cui abbiamo fatto nostra la presunzione di essere migliori di un orso? Quale il giorno in cui qualcuno, per la verità umano, ha conculcato l’idea che la morte non esiste, o che comunque sia è uno stato di mero transito verso un altro esistere, rendendo l’animale-umano l’unico che ha diritto di vantare una propria condizione di eternità? Ed almeno per un certo periodo nemmeno tutti gli esseri umani: magari non le donne, magari inventando l’inimicizia di un dio minore per streghe fantastiche e fattucchiere da osteria, per imbastire ovunque torture e roghi, perché divertimento e paura siano la stessa identica storia che ha punito l’intelletto, dalla coppa di Socrate alla botte di Attilio Regolo. Ma per quale inenarrabile ragione ciò dovrebbe essere una esclusiva propria dell’animaleuomo e non un pieno diritto di ogni essere vivente? Se nessuno ha trovato un’anima nell’uomo (costringendolo al triteismo della fede, ovvero alla consegna a vita della ragione), di per sé quindi “presunta” per deduzione o per l’esistenza di scritture che potrebbero avere il peso di una interpretazione, è quanto meno il caso allora di regalare agli animali con un’equivalente deduzione un simile, identico diritto: un’anima democratica per tutti! Sono qui sulla tolda, un po’ rannicchiato e un po’ infreddolito a pensare, che è la mia condanna. Sicuramente alla prossima non saprò tacere per la tranquillità mia o di chi esercita un potere ancorché in assoluta buona fede. Sarò costretto a dire, magari da solo, a rischio di lapidazione, che la vita è un diritto di tutti soggetto solo alla morte, da cui il Pianeta trae immenso beneficio. Non è l’eternità di una vita illusoria che riconsegna il bene alle vite di tutti, ma la certezza della morte. È per questo che non sopportiamo l’idea di essere divorati, così come dice David Quammen. È per questo che ben lontani dall’essere dei predatori alfa, che nella piramide evolutiva sono numericamente infinitamente inferiori, ci comportiamo come tali introducendo una macroscopica anomalia: siamo NON-predatori numericamente infinitamente superiori, così siamo diventati CONSUMATORI ALFA che sbilanciano drammaticamente l’equilibrio vitale ed energetico del Pianeta. Ma questi pensieri lasciateli a me. Un pulcinella di mare, buffo, dal becco variopinto si posa vicinissimo e compie il suo dovere bottinando le aringhe e le alici.


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E subito in questa maledetta testa iniziano ad accavallarsi i pensieri delle correnti marine che cambiano, dello spostamento dei pesci predati dalle balene, di paesi che sotto l’assoluzione della ricerca scientifica uccidono a più non posso il più grande e redditizio mammifero marino, che forse è anche l’essere vivente più intelligente di questo Pianeta. Mi chiedo se sono fatto per questo mondo. Se il mio tempo deve finire o è in anticipo. E non saprei dare una risposta. Certamente se il mio tempo finirà sfamando un orso e il suo cucciolo o se questa barca affonderà per le spicce non avrò nessun rimpianto, perché ho avuto e dato molto e oggi godo del piacere di essere un sereno abitante del paradiso terrestre.

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La nebbia si dirada, è notte fonda ma il bagliore di un’alba prematura inizia a sbirciare il buio. Sono le due di una lunga mattinata. Una giornata splendida si avvicina alla stessa velocità di un altissimo iceberg: una vera e propria montagna di ghiaccio sovrasta il nostro minuto, stupendo coacervo galleggiante. Le sfumature di blu e azzurro si intravedono perfettamente, e tra le vene di ghiaccio antico mi sembra di intuire una crepa. All’improvviso un rumore tuona violento: un “crack” spaventoso fa vibrare la superficie dell’acqua. La luce è ancora poca ma la macchina fotografica comincia a leggere bene ogni dettaglio. Riesco a vedere piccoli sbuffi di fumo attorno a questa algida e sovrastante torre. Un entropico evento sta per restituire alla confusione molecolare marina la cristallina struttura. Ma questa montagna di ghiaccio è veramente enorme e noi siamo piccoli. Il rumore


è sempre più forte ed incalzante, fino a divenire assordante. E questa montagna, che un bravo illustratore sarebbe capace di trasformare in un personaggio di Tolkien, in pochi eterni secondi collassa sollevando una massa di acqua smeraldina che ci sovrasta. Ho appena il tempo di gridare: «Tsunami… Everyone down on the ground!» che tutto si esaurisce in un violento sussulto, un rimbalzo. Siamo graziati dall’emergere del nuovo più piccolo iceberg che avrebbe potuto comunque mandarci a pancia all’aria. E forse questo accadrà. Questo Pianeta in qualche modo assomiglia a questa piccola barca e quella gelida montagna è il grande pericolo di cui non ci eravamo accorti, che in sé riassume errori e presunzioni di una razza cadetta, che si è opinabilmente eletta senza umiltà.

Forse ce la caveremo perché qualcuno griderà. Probabilmente avremo mille natali ancora di fronte, ma il più bel regalo sarebbe un orsetto vivo da coccolare, un leoncino, un tigrotto, insomma, amici che ci accompagnano in un’arca che potrebbe navigare per l’eternità, mentre l’aria una volta tanto non sarà invasa da particelle letali ma dal profumo di un bellissimo abete che affonda le sue radici e ci dona ogni giorno un motivo per vivere e respirare. In fin dei conti che cosa mi piacerebbe? Che il Natale fosse una festa di vita per tutti e non una festa “targata”. Chiamatela come volete, ma ci serve una festa per celebrare la vita in ogni sua forma. Ci serve una festa del rispetto, dell’umiltà, della parità; che poi ci siano luci e ornamenti va anche bene, anzi benissimo…, ma se non ci fossero, cerchiamo di fare in modo che le idee positive possano brillare come le stelle.

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Intervista Mara Rumiz, Responsabile dei Progetti Speciali di EMERGENCY

IL DIRITTO DELLA PACE I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi Gino Strada di Massimo Bran e Mariachiara Marzari

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incontro

ono trascorsi poco meno di dieci anni

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dall’apertura della sede veneziana di EMERGENCY alla Giudecca e poco più di due anni dalla scomparsa del fondatore di questa straordinaria Onlus, Gino Strada. Un tempo che parla di radici ben piantate, il primo, un tempo che profuma di irrealtà, il secondo. Radici ben piantate, sì, perché ormai EMERGENCY è in città un centro che irradia costantemente progettualità attraversando i più svariati linguaggi espressivi delle arti, sempre necessariamente qui declinati nella ragione prima di esistere di questa straordinaria, concretissima esperienza di medicina nelle regioni più complicate del mondo, ossia la radicalità della difesa dell’esistenza dalle offese fisiche e psicologiche delle armi e non solo. Irrealtà, perché la scomparsa di Gino Strada parla di una sua presenza quasi immanente nella vita, nella quotidianità di chi è sempre stato al suo fianco fisicamente, ma anche di chi lo è stato anche ‘solo’ idealmente, centinaia di migliaia di individui. La sua radicalità, la sua militanza senza concessioni a difesa della vita, di ogni vita, aveva un qualcosa di quasi francescano pur essendo lui laicissimo, perché stare dalla parte degli ultimi per lui significava stare razionalmente dalla parte di chi concretamente, febbrilmente costruisce contenuti basilari per rendere questo mondo un posto decente, dignitoso per tutti. Un uomo mosso da una irriducibile carica utopistica informata però da una verticale, totalizzante cultura del fare. Ideali profondissimi, pragmatismo assoluto. Una disposizione molto meneghina, diciamocelo, nella sua versione più alta e aperta. Trait d’union tra il suo magistero quotidiano e questa Emergency Venezia Giudecca 212 www.emergencyvenezia.org

sfida veneziana, in una città che lui adorava e in cui ha pure vissuto per lunghi periodi negli ultimi suoi anni di vita, Mara Rumiz. Una donna che per anni è stata protagonista della vita istituzionale della città con cariche importanti, a partire da quella di Assessora alle Politiche Abitative della seconda Giunta Cacciari. Una donna delle istituzioni, però, che proprio non ha nulla di quella patina paludata che informa troppi protagonisti della cosa pubblica, animata com’è da un lucido entusiasmo e da una fervida passione nel mettersi a disposizione di progetti aperti verso il futuro, verso un futuro di vita vera in questa città sempre più chiusa in sé. Una donna con questa attitudine, con questa disposizione viva e febbrile verso la comunità rispondeva perfettamente all’identikit dei compagni di avventura di Gino Strada, che conoscendola, e poi frequentandola in amicizia, perentoriamente in un amen è stato capace di coinvolgerla in questa grande sfida emergenziale sul fronte dei valori e della cultura. L’abbiamo finalmente incontrata Mara Rumiz, perché ci raccontasse circolarmente il senso e il sapore di questa esperienza. Le mostre, o meglio certe mostre, sono veicoli fortissimi di riflessione e di diffusione di idee. Sono quindi uno strumento straordinario di approfondimento e conoscenza, ne è un esempio la mostra in corso nei vostri spazi della Giudecca dal titolo emblematico Dove stiamo andando? Clima e persone, che affronta il tema scottante delle migrazioni climatiche. Quale il grido di allarme che la mostra lancia? La mostra si sofferma sulle conseguenze che il cambiamento climatico ha nella vita delle persone, determinando migrazioni, conflitti, povertà. La desertificazione, la siccità e le conseguenti carestie, le inondazioni


Dove stiamo andando? Clima e persone, sede EMERGENCY Giudecca

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incontro EMERGENCY VENEZIA MARA RUMIZ

provocate dall’innalzamento del livello del mare e l’aumento delle temperature rendono la vita impossibile per migliaia di persone che si ritrovano senza casa e in condizioni di povertà assoluta. Il cambiamento climatico, unito al consumo del suolo e allo sfruttamento delle risorse naturali, aggrava le diseguaglianze e impoverisce persone già di per sé vulnerabili e in difficoltà. L’insieme di questi fattori costringe le persone ad abbandonare la propria terra ed è causa di nuovi conflitti. La mostra visualizza, attraverso fotografie, mappe, infografiche e un’installazione, i cambiamenti climatici e gli effetti che essi producono sugli spostamenti delle persone prendendo in esame quindici Paesi, tra cui l’Italia. Paesi dove EMERGENCY opera, dalla maggior parte dei quali molte persone si muovono per raggiungere l’Europa. A causa del progressivo innalzamento delle temperature e del dilatarsi di altri fenomeni ambientali estremi, tutti in continua evoluzione, la situazione che abbiamo fotografato in mostra sta già cambiando. Nei mesi scorsi, per esempio, le provenienze dei flussi migratori si sono già modificate; ora stanno arrivando moltissime persone dalla Costa d’Avorio, paese prima non coinvolto in maniera significativa nelle migrazioni, dimostrando come il fenomeno “clima e persone” coinvolga tutti i paesi, ponendosi come principale elemento di criticità a livello globale. Evoluzioni drammaticamente veloci che interessano direttamente anche l’Italia... Infatti, quando ormai avevamo finito la ricerca e stavamo iniziando a montare la mostra si è consumata la drammatica alluvione in Romagna, per cui abbiamo deciso di inserire in mostra un corner a riguardo che abbiamo realizzato grazie anche alla collaborazione della Coldiretti, che ci ha fornito fotografie e materiale su questo disastro ambientale. Come avete declinato tutto questo in un percorso espositivo coinvolgente? Il progetto espositivo è stato ideato da EMERGENCY con la collaborazione del fotoreporter e ambasciatore del clima Simone Padovani. Il percorso narrativo, l’allestimento, il progetto grafico e l’installazione Viviamo tutti sotto lo stesso sole sono dell’architetto Paola Fortuna e del team dello studio + fortuna. Le citazioni letterarie all’interno del percorso espositivo sono, in buona parte, il frutto di una ricerca di studentesse e studenti del corso di laurea magistrale in Environmental Humanities dell’Università Ca’ Foscari, coordinata dal docente Shaul Bassi. Nella mostra sono esposte le fotografie di Getty Images, dell’archivio Coldiretti Veneto, che ha contribuito in maniera significativa al focus sull’Italia, e dell’archivio EMERGENCY. Sono state inserite due fotografie per ogni Paese preso in esame, con schede sintetiche che informano sulla situazione politica, economica, sanitaria, climatica di ognuno di essi. Naturalmente, parlando di clima e di ambiente, non potevamo allestire una mostra di questo tenore utilizzando materiali tradizionali, per cui tutti i supporti sono stati stampati da ADB Digital Print in materiale ecologico, soprattutto cartone alveolare o tela elastica al posto del pvc per le grafiche più grandi. Si è trattato di una scelta precisa, in coerenza con i contenuti del progetto espositivo e tesa a sottolineare che, per dare una chance al Pianeta, c’è bisogno di politiche efficaci e, anche, di responsabilità soggettive.

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Facciamo un passo indietro: quando nasce il centro EMERGENCY di Venezia? Gino Strada, nato a Sesto San Giovanni, continuamente in movimento tra l’Afghanistan, l’Africa e ovunque ci fosse bisogno di cure, amava in modo viscerale Venezia. È stato Gino a voler aprire la sede alla Giudecca. Era il 2014 e lui in quel periodo abitava proprio a Venezia. Da tempo voleva trasferire qui la sede di EMERGENCY, che era storicamente a Milano; pensava che Venezia fosse il posto ideale per il suo progetto. Ha fatto richiesta al Comune, allora c’era la Giunta Orsoni, di uno spazio dove poter portare avanti le sue attività già ampiamente sviluppate e consolidate. Grazie alla sua ostinazione gli è stato presto concesso. Allora io non avevo un ruolo attivo nell’organizzazione, ero ‘solo’ una volontaria, come lo sono anche ora peraltro, e in quanto tale ero già stata a lavorare in alcuni centri EMERGENCY in Africa ed Afghanistan. Gino era determinatissimo, si era convinto di poter spostare tutta l’intera sede dell’organizzazione qui, ma la cosa non era così semplice: spostare da Milano a Venezia cento persone con casa, famiglia, figli risultava a dir poco complicato. Questo progetto totalizzante, per così dire, non è infatti andato in porto. Eppure dei primi passi si sono comunque mossi in questa sede, a partire dai corsi di formazione per il personale di EMERGENCY in partenza per le missioni. Per un non lungo periodo, poi, è stata anche il centro del coordinamento medico dell’organizzazione. Tuttavia, nonostante queste vitali attività, la sede di fatto risultava sottoutilizzata. Fra l’altro, nel primo periodo, EMERGENCY condivideva lo spazio con l’Incubatore del Comune di Venezia, successivamente spostato sempre alla Giudecca nell’ex-Chiesa dei Santi Cosma e Damiano, lasciando tutto l’immobile con canone di concessione ricognitorio a noi. Nel frattempo l’Amministrazione comunale di Milano aveva offerto a EMERGENCY una bellissima sede vicino alla Darsena, alla chiesa di Sant’Eustorgio. Ero presente all’inaugurazione di Milano e ricordo chiaramente di aver detto a Strada: «Gino, diventa un boomerang la situazione. Sono contenta che voi abbiate a Milano questa sede così bella, quindi è meglio restituire la sede di Venezia, perché tremila metri quadri per farci poco…». Secca e sicura la sua risposta, come sempre: «Siccome con i lavori che abbiamo fatto e con i soldi che abbiamo speso ce la siamo meritata sicuramente per un bel po’ dei prossimi anni, in attesa di sviluppare un progetto compiuto inventati tu qualcosa. Cosa vuoi che sia organizzare una rassegna cinematografica, una mostra, una serie di incontri...». Così ho iniziato e da allora sono sempre qui. Sono passati quasi dieci anni dal vostro primo insediamento qui in Giudecca: quale il lavoro portato avanti in questo non breve tempo e quali gli obiettivi presenti e a venire di EMERGENCY Venezia? In questa sede portiamo avanti il secondo fine statutario di EMERGENCY, ossia la promozione di una cultura di pace e di rispetto dei diritti umani, e lo facciamo utilizzando tutti i linguaggi culturali. Rassegne cinematografiche, azioni teatrali, piccoli concerti, mostre, incontri, workshop, veri e propri corsi universitari. In particolare abbiamo sviluppato una speciale collaborazione tra EMERGENCY e IUAV, che vede coinvolti gli studenti che partecipano al Laboratorio di Design della Comunicazione 3 del Corso di Laurea Magistrale in Design della Comunicazione, condotto da Paola Fortuna e da Luciano Perondi. Gli studenti hanno lavorato alternandosi tra le aule


Voglio anche ricordare che alcuni di questi giochi sono stati iscritti al Premio Archimede, uno dei quali è riuscito addirittura ad ottenere l’undicesima posizione tra i 234 giochi di professionisti partecipanti! Una grandissima soddisfazione e una conferma dell’impegno profuso da tutti in questi progetti.

Nicola Golea, Gino Strada

dell’Università e la sede di EMERGENCY, consultando documenti, facendo ricerche, leggendo libri, interrogando gli operatori sul tema delle migrazioni, il tutto al fine di raccontare le storie di chi scappa dalla guerra, dalla siccità, dalla povertà. Il primo Laboratorio, tenutosi tra ottobre 2019 e febbraio 2020, ha perseguito l’obiettivo di elaborare l’Atlante Storico di EMERGENCY, scaricabile ora sul sito. La sfida per gli studenti era quella di rappresentare graficamente, in formato cartaceo, digitale e passando anche per i giochi da tavolo, le attività che EMERGENCY ha portato avanti dalla sua nascita ai giorni nostri. Riuscire a cogliere ed esprimere l’essenza di 25 anni ricchi di diversità e di complessità attraverso infografiche ed elaborazioni visive di dati non era un compito affatto facile, ma l’interesse e l’entusiasmo che gli studenti hanno messo in questo progetto hanno prodotto un risultato sorprendente. Il sottotitolo dell’Atlante, dueminuti, si riferisce all’impegno nella cura offerto da EMERGENCY; ora con orgoglio e soddisfazione possiamo cambiarlo, perché “curiamo una persona ogni minuto”. L’ultimo laboratorio, nella primavera 2023, ha analizzato il ruolo concreto di EMERGENCY in giro per il mondo, trasformando la ricerca in giochi didattici da tavolo concepiti con lo scopo di raccontare le diverse esperienze sul campo. I giochi descrivono i contesti in cui EMERGENCY opera e l’idea di cura e di uguaglianza che promuove e applica. Dal progetto è nata una mostra il cui titolo è The Game, nome con cui in gergo viene indicato il tentativo dei migranti di superare i confini evitando i respingimenti. Una coincidenza semantica troppo significativa per non rimarcarla.

Accanto a queste iniziative, vi è da parte vostra una particolare attenzione anche al territorio in cui operate. In che modo dispiegate questo vostro impegno in città? Assolutamente. EMERGENCY, con le sue attività, innanzitutto vuole contribuire a salvaguardare il tessuto socio-ambientale della Giudecca producendo cultura, collaborando con le numerose associazioni, fondazioni, istituti, comitati che promuovono progetti in Isola e a Venezia. Viviamo quindi un radicato e fortissimo legame con la città vera. Concorriamo in svariate modalità alla produzione culturale. Attorno alle mostre e alle principali altre iniziative che portiamo avanti costruiamo un programma di approfondimenti a 360 gradi, una serie di incontri, di rassegne, che coinvolgono attori e pubblico del territorio al fine di interessare i cittadini a un dibattito aperto attorno ai temi caldi da noi proposti, cercando in tal modo di rivitalizzare una sana abitudine ad affrontare le complessità. Ospitiamo anche iniziative locali, come proprio in questi giorni (dal 7 al 20 dicembre) la mostra L’Isola che c’è, una raccolta di 19 ritratti pittorici di Nicola Golea dedicati agli abitanti di oggi dell’isola della Giudecca, ognuno accompagnato da un testo scritto da Andrea Barina. L’arte diventa uno strumento di coesione e dialogo tra gli abitanti. A Gino Strada è dedicato uno di questi ritratti quale riconoscimento della sua appartenenza imperitura alla Giudecca e a Venezia. In che relazione si pone la sede di Venezia con quella di Milano? Naturalmente lavoriamo in stretta collaborazione, anche se su piani operativi diversi. Insieme stiamo portando avanti il nuovo progetto, che dovrebbe avviarsi fra poco, fortemente voluto da Gino Strada: fare della sede di Venezia un centro contro la guerra, offrendo anche un’esperienza immersiva, non con visori però, bensì attraverso immagini, suoni, esperienze tattili, luci, facendo vivere a chi entra in questo percorso quasi tangibilmente l’esperienza terribile della guerra. Sembra assurdo parlarne di questi tempi in cui stiamo assistendo a ben due gravissime guerre, ma quando Gino aveva pensato al progetto non vi erano in atto conflitti a noi così prossimi. Tuttavia il progetto sta andando avanti coinvolgendo tutti e tre i piani della nostra sede; una sfida sostanziale, fortissima, che dovremmo iniziare a lanciare concretamente già nel 2024. Una cosa è certa, ossia che intendiamo fermamente scongiurare la percezione della guerra in una chiave di spettacolarizzazione. Grazie a questo per noi importantissimo progetto l’idea è di prevedere qui meno iniziative temporanee, anche se continueremo a farle mantenendo le nostre fondamentali collaborazioni, concentrando la nostra attenzione prioritaria, il nostro lavoro sul centro di documentazione sui temi della guerra e delle migrazioni che andiamo costituendo passo dopo passo. Un’azione forte per l’abolizione della guerra, di tutte le guerre. Gino Strada diceva: «È un’utopia, ma anche l’abolizione della schiavitù poteva sembrare un’utopia. E fare la guerra è anche un alibi per non portare fino in fondo la negoziazione diplomatica.

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incontro EMERGENCY VENEZIA MARA RUMIZ

Una volta c’erano i reggimenti che si fronteggiavano, adesso oltre il 90% delle vittime sono civili, bambini, donne, anziani». La vocazione primaria di EMERGENCY è quella dell’assistenza medica. In mostra abbiamo visto le immagini dei vostri ospedali: qual’è la situazione operativa attuale? Crediamo che essere curati sia un diritto umano fondamentale e che, in quanto tale, debba essere riconosciuto a ogni individuo. Perché le cure siano veramente accessibili, devono essere completamente gratuite; perché siano efficaci, devono essere di alta qualità. Tutti i nostri ospedali sono gratuiti, compresi i centri di eccellenza come l’ospedale di cardiochirurgia di Khartoum in Sudan – in questo momento aperto con attività ridotta causa la guerra in corso –, che copre un’area abitata da oltre 300 milioni di persone e che fino a poco tempo fa accoglieva pazienti provenienti da tutti gli altri paesi africani. Costruiamo ospedali per garantire il livello di cure più alto possibile, tenendo conto di standard di efficienza e sostenibilità. L’ultimo ospedale inaugurato è quello ugandese progettato da Renzo Piano, il Centro di chirurgia pediatrica di Entebbe. Avevamo fatto una mostra molto bella sul progetto, si intitolava Scandalosamente bello, riferendoci ovviamente non alla bellezza estetica in sé e per sé. «La bellezza – diceva Gino – è un elemento della cura». Tuttavia su questo progetto ci sono state molte polemiche e critiche. Molti hanno iniziato ad accusare Gino Strada di spendere soldi per fare “belle” strutture invece di inviare vaccini. Gino rispondeva così a queste critiche: «Noi partiamo dal concetto dell’eguaglianza; la cura non è mandare solo farmaci o amputare arti, è attenzione al benessere delle persone. Io voglio che nell’ospedale che EMERGENCY costruisce in Sudan piuttosto che in Uganda ci possa andare tranquillamente mio nipote, mio figlio». E continuava: «Se tu stai male, tanto male, e sei in un posto in cui c’è luce, colore, una finestra che affaccia su un bel giardino – c’è molta cura dei giardini negli ospedali di EMERGENCY – avrai più facilmente voglia di guardare al futuro e guarisci prima». E Renzo Piano aggiungeva: «In tutte le lingue africane il bello è sempre associato al buono». L’idea forte è proprio questa: perché devi fare di un ospedale un accampamento o un campo profughi? Rivoluzionario nella sua asciutta, irriverente semplicità questo pensiero. Altra cosa importante da tener presente è che negli ospedali lo staff internazionale è molto ridotto e oltre il 90% degli addetti sono persone del posto. In sostanza cosa fa EMERGENCY? Naturalmente interloquisce con lo Stato, il governo di turno, richiede lo spazio per fare l’ospedale o una struttura da recuperare e restaurare, esegue il progetto, parte con i lavori impiegando ovviamente manodopera locale, forma il personale locale, lo assume e l’obiettivo è quello, una volta avviato l’ospedale, di farlo vivere non come una astronave scesa dallo spazio, ma come parte integrante della regione in cui è insediato, lasciando che progressivamente si renda autonomo, autosufficiente. Diventare progressivamente inutili, non indispensabili, l’esatto contrario della pratica colonialista secolare condotta in questi paesi dall’Occidente. EMERGENCY inoltre ha disseminato nei territori i FAP (First Aid Post), una rete capillare di presidi per offrire cure e primo soccorso anche nelle zone più remote. In Afghanistan, ad esempio, oltre all’o-

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Sudan, Centro pediatrico di Khartoum

spedale di Kabul, al centro maternità intitolato a Valeria Solesin sulle montagne del Panjshir e all’ospedale di Lashkar-Gah, vi sono 42 piccoli centri di primo soccorso spersi nelle montagne e nelle valli. Come volontaria quale è stata la sua personale esperienza? Ho conosciuto Gino – non ero ancora in EMERGENCY – quando abitava a Venezia. Ci vedevamo molto spesso, lui a cena a casa mia e io a casa sua. Lui cucinava molto bene peraltro. Finita la mia esperienza in Comune come Assessore dovevo tornare alla mia precedente occupazione come funzionario del Ministero per i Beni Culturali presso gli uffici della Soprintendenza, tuttavia sapevo che il mio rientro avrebbe causato malumori e problemi. Per questo motivo ho deciso di mollare istantaneamente quel lavoro. Mi trovavo, quindi, improvvisamente in una sorta di limbo: dalle 14 ore filate d’ufficio al nulla. Mi chiama Gino dal Sudan e mi dice: «Mara, cosa stai facendo?». Rispondo: «Al momento non sto facendo niente». Mi dice: «Benissimo, allora sabato ti prenoto un volo e vieni a Khartoum». Rispondo: «Perché devo venire a Khartoum?». Mi dice: «Perché si mangia di merda!». Così ho incominciato ad andare in Sudan per insegnare a cucinare, per poi organizzare in maniera più funzionale gli spazi, i contatti con i fornitori, le regole igieniche e via così. Per cui sono stata a Khartoum più volte, in Afghanistan, ero in Sierra Leone durante l’ebola… In Sierra Leone fra l’altro noi avevamo un unico ospedale. Quando è scoppiato l’ebola è stato realizzato un grande ospedale per curare questa terribile pandemia, per cui bisognava anche cercare ulteriori alloggi per il personale che arrivava, per lo staff internazionale, assumere personale… Sono andata lì per la cucina, ma presto mi sono resa disponibile a fare tutto quanto era necessario per il buon funzionamento di queste complesse strutture.


Uganda, Centro di chirurgia pediatrica di Entebbe

Afghanistan, Posto di primo soccorso (FAP)

Uganda, Centro di chirurgia pediatrica di Entebbe

Marghera, Poliambulatorio

Un’esperienza incredibile! Straordinaria, veramente straordinaria. Vedi le cose dal di dentro. Devo dire che lo stesso personale di EMERGENCY è straordinario, nel senso che medici, infermieri, mediatori sono tutte persone dotate di una carica, di una capacità di coinvolgimento impressionanti. Per loro non è solo un lavoro, innanzitutto è una scelta. Di vita, di pensiero, di azione. Un carico motivazionale che informa anche fatalmente la loro mentalità, la loro modalità di approccio a questo non certo ordinario lavoro. Ci sono fior fior di professionisti affermatissimi nel nostro sistema ospedaliero che accettano con totale trasporto questa sfida. Per rimanere a figure di medici qui da noi assai noti per le loro alte qualità professionali, Mimmo Risica per esempio, anche quando era primario cardiologo a Venezia, è stato un sacco di volte nelle nostre missioni. Un’esperienza che ti restituisce tantissimo. Mi ricorderò sempre nel Panjshir un ragazzino che vedevo passare ogni giorno sulla strada tirando un mulo. Un giorno gli ho regalato una macchinetta: vedere i suoi occhi accendersi, non aveva mai visto un giocattolo, è stata un’emozione indescrivibile. Com’è stato e com’è oggi il dopo Gino Strada? Gino manca enormemente a tutti. Manca il suo carisma, manca la sua voce forte, però è anche vero che in EMERGENCY ci sono tante persone, non tanti “Gini”, ma tante persone che si stanno facendo carico di portare avanti il suo pensiero, a partire da sua moglie, Simonetta Gola, direttrice della comunicazione, e dalla presidente, Rossella Miccio, che tra le altre cose sta andando avanti e indietro con il Sudan per interloquire con le parti in guerra per mantenere attivi e rafforzare gli ospedali che abbiamo lì. Io per mia natura sono una che ama buttare fili, intrecciare reti e ho sempre pensato che EMERGENCY, soprattutto quando c’era Gino,

fosse un po’ autarchica. Eppure ancora oggi mi meraviglio della sua grande reputazione: le persone riconoscono la nostra presenza, conoscono la nostra azione e ringraziano. Per esempio, da dieci anni operiamo nel nostro Poliambulatorio di Marghera, dove diamo sostegno soprattutto per quanto riguarda l’odontoiatria e l’oculistica. Davamo anche – adesso non ce la facciamo più perché non abbiamo apporti pubblici, siamo in attesa di qualche positiva novità a riguardo – le protesi alla maggior parte dei pazienti che non potevano permettersele. Mi ricorderò sempre, sarà stato il 2018, ero appena arrivata, le parole che mi rivolse una persona: «Ho visto EMERGENCY, voglio entrare e ringraziare anche voi perché mi avete salvato la vita. Il Poliambulatorio di Marghera dopo avermi curato mi ha fatto la protesi e così io ho avuto il coraggio di presentarmi ai colloqui di lavoro, prima non ce l’avevo». La nostra azione è fondamentale anche nei nostri territori. Con il Programma Italia, infatti, abbiamo aperto poliambulatori oltre a Marghera, a Milano, Brescia, Castel Volturno, Napoli, in Calabria, nonché molti sportelli mobili. Altro esempio, durante il Covid, che non potevamo più fare attività aperte al pubblico, mi sono messa d’accordo con la Protezione Civile e facevamo anche noi le spese, le portavamo in giro alle persone che non potevano uscire. Tantissimi ragazzi hanno risposto alla chiamata e sono venuti ad aiutare. Insieme all’associazione La Gabbianella, che si occupa dei minori nelle carceri, abbiamo promosso un progetto con il CAI, sostenuto dalla Regione Veneto, che si chiama Dalla cella alla vetta. Coinvolge i ragazzi che o sono stati all’istituto minorile, o che vengono seguiti dal servizio sociale della giustizia. Questi vengono portati prima in palestra di roccia e poi in montagna ad arrampicarsi, perché raggiungere la vetta è in fondo il massimo della libertà!

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christmasdiary

DICEMBRE 2023

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christmastale pag. 28 christmaslight pag. 32 christmasdiary pag. 36

christmasdiary

Il calendario delle feste natalizie

christmastaste pag. 44 shopping&more

pag. 48

christmastrekking

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christmasscreenings

pag. 54

christmasbooks

pag. 58

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dicembreDecember

STELLE DI NATALE

Concerto preceduto da una conferenza e seguito da un brindisi Palazzetto Bru Zane h. 19.30

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dicembreDecember

FACCIAMO L’ALBERO E MERENDA INSIEME Laboratorio per bambini Teatrino Groggia h. 17

FANTASTICO NATALE

Spettacolo per bambini dai 3 anni Teatrino Groggia h. 18

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dicembreDecember

GLI AIUTANTI DI BABBO NATALE Laboratorio sonoro di narrazione musicale dai 6 ai 10 anni

Teatro La Fenice, Sale Apollinee h. 10/12/15/17

CANTO DI NATALE

Spettacolo per tutti (dai 6 anni) Teatrino Groggia h. 18

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dicembreDecember

BIG VOCAL ORCHESTRA The Greatest Show Teatro Goldoni h. 19

ROBERT TREVIÑO direttore Musiche di Gustav Mahler

Teatro La Fenice h. 20

JOY SINGERS

Piazza Ferretto-Mestre h. 17

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dicembreDecember

I MUSICANTI DI BREMA E ALTRE STORIE Storie animate (dai 4 anni)

Istituto Provinciale per l’Infanzia Santa Maria della Pietà h. 11

BIG VOCAL ORCHESTRA The Greatest Show Teatro Goldoni h. 16/19

ROBERT TREVIÑO direttore Musiche di Gustav Mahler

Teatro La Fenice h. 20

CONCERTO IN FAVORE DI AIL Letizia Michielon pianoforte Composizioni di Mozart, Letizia Michielon e Beethoven

Teatro La Fenice, Sale Apollinee h. 20

COMPLESSO STRUMENTALE VIVALDI Piazza Ferretto-Mestre h. 16.30

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dicembreDecember

CONCERTO DI NATALE Mario Merigo direttore Composizioni di Zavateri e Vivaldi

Teatro La Fenice, Sale Apollinee h. 20

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Spettacolo per bambini dai 4 anni

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TROCKS ARE BACK!

CONCERTO DI CAPODANNO

ABC DEL NATALE

Teatro Momo-Mestre h. 16.30

dicembreDecember

Les Ballets Trockadero De Montecarlo

Fabio Luisi direttore

CAROLE NATALIZIE

LE ALLEGRE COMARI DI WINDSOR

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

Coro del Teatro La Fenice

Teatro La Fenice h. 17

Piazza Ferretto-Mestre h. 18

Regia di Andrea Chiodi

KNOX GRAMMAR SCHOOL SYDNEY

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CAPODANNO CON CARLO & GIORGIO

Piazza Ferretto-Mestre h. 18

CONCERTO DI NATALE

dicembreDecember

Musiche di Camille Saint Saens e altri

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dicembreDecember

Marco Gemmani direttore

dicembreDecember

VIA DEL CAMPO

Musiche di Fabrizio De André

EMERGENCY Venezia, Giudecca h. 18.30

MYUNG-WHUN CHUNG direttore Composizioni di Beethoven e Stravinskij

Basilica di San Marco h. 20

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dicembreDecember

CONCERTO DI NATALE Marco Gemmani direttore

Basilica di San Marco h. 20

X-TREE OPENING PARTY

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Forte Marghera-Mestre h. 18

LE BETONEGHE DOC

Teatro La Fenice h. 20

Inagurazione con dj-set

dicembreDecember

TROCKS ARE BACK!

Teatro delle Arance

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

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Les Ballets Trockadero De Montecarlo

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dicembreDecember

IL MONDO FEMMINILE DI MISTER G.

Spettacolo di beneficienza a cura di Pantakin Eventi Teatro Malibran h. 18

MYUNG-WHUN CHUNG direttore

Composizioni di Beethoven e Stravinskij Teatro La Fenice h. 20

CAROLE NATALIZIE Coro del Teatro La Fenice

Piazza Ferretto-Mestre h. 17

TROCKS ARE BACK!

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

dicembreDecember

Concerto dedicato a Maria Callas Piazza Ferretto-Mestre h. 15.30

dicembreDecember

LA BELLA ADDORMENTATA Russian Classical Ballet

Teatro Toniolo-Mestre h. 18

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BIG VOCAL ORCHESTRA

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Piazza Ferretto-Mestre h. 18

dicembreDecember

LA CASA DEGLI GNOMI… ASPETTANDO IL NATALE

Spettacolo di burattini e laboratorio (dai 4 anni) Istituto Provinciale per l’Infanzia Santa Maria della Pietà h. 11

MYUNG-WHUN CHUNG direttore

Composizioni di Beethoven e Stravinskij Teatro La Fenice h. 17

Live Gospel

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dicembreDecember

dicembreDecember

CONCERTO DI CAPODANNO Fabio Luisi direttore

Teatro La Fenice h. 16

LE ALLEGRE COMARI DI WINDSOR Regia di Andrea Chiodi Teatro Goldoni h. 21

GRAN GALA DU CIRQUE Multiversal Teatro Toniolo-Mestre h. 21.30

PARTY DI CAPODANNO Piazza Ferretto-Mestre h. 22

CAPODANNO CON CARLO & GIORGIO Teatro Corso-Mestre h. 22.30

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gennaioJanuary

CONCERTO DI CAPODANNO Fabio Luisi direttore

Teatro La Fenice h. 11.15

LE ALLEGRE COMARI DI WINDSOR Teatro Goldoni h. 17

CAPODANNO CON CARLO & GIORGIO Teatro Corso-Mestre h. 16.30

GRAN GALA DU CIRQUE Multiversal Teatro Toniolo-Mestre h. 18

LE ALLEGRE COMARI DI WINDSOR

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Teatro Goldoni h. 20.30

REGATA DELLE BEFANE

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POLLICINO SHOW

Regia di Andrea Chiodi

dicembreDecember

CORO CANTORI VENEZIANI – ORCHESTRA LOV Aspettando il Natale

LE ALLEGRE COMARI DI WINDSOR

Chiesa di San Nicola da Tolentino h. 17

Teatro Goldoni h. 19

TRIO SIDERIS

CONCERTO DI CAPODANNO

Teatro La Fenice, Sale Apollinee h. 20

Teatro La Fenice h. 20

Composizioni di Liszt, Haydn, Beethoven

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Regia di Andrea Chiodi

dicembreDecember

Les Ballets Trockadero De Montecarlo Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

Teatro Corso-Mestre h. 21.15

By Radio Company

PUERI CANTORES DEL VENETO

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Teatro Goldoni h. 19

gennaioJanuary

Canal Grande – Rialto h. 12

Artemis Danza

Teatro Momo-Mestre h. 16.30

Regia di Andrea Chiodi

Fabio Luisi direttore

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a cura di Fabio Marzari

Intervista Fabio Fazio

christmastale

Fabio Fazio e la fabbrica di cioccolato

L’INDICE GOLOSO

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Il cacao ha un potere speciale: investe tutti e cinque i sensi ed è capace di crearne un sesto, la memoria

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’occasione era ghiotta , in tutti i sensi: poter incontrare Fabio Fazio al Fondaco dei Tedeschi e parlare con lui di cioccolato, prendendo spunto dalla storica fabbrica ligure di Varazze (Savona) sulla riviera di Ponente, la Lavoratti 1938, che il conduttore televisivo ha deciso di salvare nel 2022 dalla chiusura, rilevandola assieme ad un socio. Perciò abbiamo deciso che questa storia diventasse il nostro racconto di Natale. La Ditta Lavoratti inizia nel 1938 la sua attività sulle spiagge, trasportando in una cassetta di legno dolci e bevande da vendere ai bagnanti. Qualche anno dopo Aliberto Lavoratti apre una bottega nel centro storico di Varazze e lì comincia l’avventura del suo cioccolato. Pareva riduttivo parlare con uno dei più importanti protagonisti della scena televisiva “solo” di cioccolato, invece la passione e la capacità di raccontare questa nuova avventura imprenditoriale, in cui il profitto non sembra essere la ragione principale, si è rivelata molto piacevole e lo stile Fazio, un mix di competenza, garbo e ironia, è emerso anche nell’intervista a Fabio “rovesciato”. Come in tutte le favole si parte dal “C’era una volta”: c’era una volta questo piccolo laboratorio di cioccolato... Come è nata questa passione e cosa rappresenta per lei il cioccolato? C’era una volta un piccolo laboratorio di cioccolato molto significativo per tutti i bambini nati o cresciuti a Varazze come me – lì abitavano i miei nonni –, che ad ogni Pasqua e Natale ricevevano un prodotto di questa piccola azienda. C’era il profumo di quel cioccolato così desiderato che invadeva la stanza e che doveva essere consumato con parsimonia per farlo durare il più a lungo possibile. Questa piccola azienda stava per chiudere dopo il 2020 per le difficoltà causate dal Covid, che hanno messo in crisi, come ben tutti sappiamo, molte

aziende. Mi è sembrato che si potesse e si dovesse fare qualcosa. Insieme a Davide Petrini, mio amico e socio, ci abbiamo provato. Occuparsi di cioccolato è la cosa forse più bella e più divertente che ci possa essere. Certamente è un modo per tornare indietro, per tornare bambini. Il cioccolato è l’unico dolce che ho sempre mangiato, che mi era consentito mangiare. Quindi è per me un sapore irrinunciabile, mi piace molto e mi riporta all’infanzia. Ancora oggi quando voglio farmi un regalo mangio del cioccolato. L’idea di avere un laboratorio di cioccolato mi piace moltissimo, devo dire la verità. Varazze è un piccolo paese della Liguria di 12.000 abitanti, dove sono nati mio papà e i miei nonni, dove io sono sempre stato da bambino. Qui si sono formati i miei ricordi d’infanzia in cui si memorizzano dei luoghi, delle luci e delle sensazioni. Pasqua era, per esempio, il momento in cui i miei genitori mi mandavano a stare dai nonni per le vacanze. Ricordo benissimo quando bambino assistevo dalla finestra della loro casa in centro al paese al passaggio della processione del Venerdì Santo: si vedevano questi Cristi che baluginavano con le luci delle candele da sotto, sembrava Goya, era pazzesco vedere lì sotto questi affreschi che si muovevano. E mentre c’era la processione, più laicamente sul mobile della sala c’era l’uovo di Pasqua, che però non si poteva toccare sino alla domenica. Era molto decorato, la Lavoratti era solita fare le decorazioni sulle uova e c’era un profumo fortissimo, un ricordo preciso che arriva dal cuore dell’ infanzia. E quindi avete rilevato la Lavoratti... Ho detto a Davide (Petrini): «Perché non la prendiamo noi»? Non sapendone nulla abbiamo dovuto iniziare a capire cosa avremmo dovuto fare. Siamo partiti dalla ristrutturazione del luogo fisico;


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et’s talk chocolate with journalist and prime-time TV presenter Fabio Fazio. We’ll start by discussing a historical chocolate factory in the Italian Riviera – Lavoratti, founded in 1938 – that Fazio and a business partner salvaged from bankruptcy in 2022. Lavoratti’s activity started as a push-cart business. They would sell sweets and beverages to beachgoers. Soon after, they opened a small store in Varazze… How did it all begin – for you Varazze is my grandparents’ hometown, and they used to buy Lavoratti’s sweets for Easter and Christmas. I remember distinctly the smell of chocolate: we tried so hard to make it last as long as possible! Due to the shutdown in 2020, the business wasn’t doing well, and that’s when I realized that I needed to do something. Making chocolate is the funniest, most beautiful thing one can do. I love it, it’s always been my favourite candy and I’ll never give it up! Chocolate can and will bring you back to childhood, it’s that powerful. To me, it all feels like one single memory: chocolate, the town of Varazze, holidays at my grandparents’, the Easter egg we couldn’t touch until Sunday, and the Good Friday Procession looking like a Goya painting under our window, with candles illuminating the image of Christ. Buying Lavarotti We started with the renovation of the actual shop by buying new machines, and we thought about the idea we wanted to associate to our brand. Everybody’s saying that food must tell you something, so we decided that our chocolate bars would look like books, and their sides will be in the golden ratio. Each case contains eight bars, collected like volumes in a bookcase, bookmark included. On each piece, our symbol: the Nautilus. lavoratti.it

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christmastale INTERVISTA FABIO FAZIO

abbiamo cambiato tutti i macchinari che era necessario sostituire, abbiamo cominciato a costruire l’idea che avevamo del marchio. Tutti affermano che il cibo deve raccontare, così abbiamo pensato di fare gli editori di cioccolato, ispirandoci ai libri delle edizioni Gallimard. Le nostre tavolette sono come libri e seguono la proporzione aurea. I cofanetti, composti da otto tavolette giustapposte, sono come volumi in una libreria, con tanto di segnalibro. Tutto il processo segue linee produttive essenziali e rigorose, a partire dalla scelta di non usare coloranti alimentari “sia pur buoni e belli”. Numeri differenti distinguono i diversi ripieni: a ogni cioccolatino corrisponde un numero e una legenda che permette di descrivere il gusto equivalente. A firmare ogni pezzo, poi, il Nautilus, disegnato sulla superficie lucida. La sezione aurea o proporzione divina, il famoso 1,618... Il logo Nautilus richiama per l’appunto la sezione aurea o costante di Fidia, o proporzione divina che dir si voglia; infatti ogni tavoletta e ogni pralina mantiene la proporzione di 1,618. Il Nautilus è diventato il simbolo dell’azienda e da quel momento l’idea è stata di una maniacale ricerca della più possibile “perfezione” del gusto. Da qui la ricerca di produttori piccoli, ascoltando i suggerimenti di Corrado Assenza, grande pasticcere di Noto e artigiano del gusto di fama internazionale, che ha consigliato: «Cerca persone buone, troverai prodotti buoni». Non so se sia poi vero fino in fondo, a volte ci sono persone cattive che fanno prodotti buonissimi e persone buone che fanno prodotti cattivi, comunque l’idea è stata quella di non rassegnarci a prendere ciò che era più comodo, ma di andare a cercare ingredienti in vari luoghi, andando fisicamente a comprarli, a conoscerli, per provare a raccontare attraverso i prodotti quello che piano piano vorremmo diventasse il cioccolato del Mediterraneo, ossia che queste tavolette racchiudessero, come pagine di libri, dei racconti. Adesso, per esempio, stiamo lavorando con il FAI; abbiamo comprato da loro le arance di un aranceto, la Kolymbethra, che hanno recuperato nella Valle dei Templi, che si chiamano “inganna ladri” perché sono una specie d’arancia molto brutta a vedersi ma molto buona a mangiarsi. Sono talmente brutte che i ladri non sono mai stati tentati dal rubarle. Ho visto anche l’albicocca valleggina, di cui ignoravo l’esistenza. La valleggina è una varietà rara di albicocca coltivata a Valleggia, in provincia di Savona, vicino a dove si trova la nostra azienda. È un frutto dolcissimo, più piccolo delle normali albicocche, puntinata di rosso ed è buonissima. Le nocciole siamo andati a prenderle a Giffoni e non in Piemonte, mentre il pistacchio è quello di Bronte. Siamo sicuri che sia proprio di Bronte? Ma quanto è grande Bronte per produrne così tanto? In effetti è vero, bisogna stare molto attenti e siccome Bronte non è grande come il Canada, bisogna essere certi che arrivi veramente da un produttore locale. E così per noi è stato. La frutta viene essiccata direttamente in azienda: la andiamo a prendere appena raccolta, viene portata da noi, sbucciata ed essiccata istantaneamente per essere polverizzata, quindi nel giro di pochissimi giorni il frutto si trasforma in polvere che adoperiamo per i ripieni. Seguiamo il procedimento dall’inizio alla fine. Un’altra squisita eccellenza è la pesca di Volpedo nell’alessandrino,

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probabilmente le migliori pesche in commercio. Ora stiamo valutando i datteri di due diverse oasi. La mia vita è fatta di riunioni di altro genere, quindi l’idea di fare una videochiamata per decidere l’oasi è davvero una cosa fantastica. È un grande lusso per me, oltre i 50 anni, quello di potermi permettere un giardino di pace, di serenità, facendo qualcosa che non c’entra nulla con la mia occupazione principale. Diventa utile per relativizzare sé stessi e le cose che fai; e poi con un po’ d’orgoglio voglio dire che salvare un’azienda che sta per chiudere, in cui lavorano 14 persone, rappresenta un impegno serio e una responsabilità altrettanto forte. Uscendo per un attimo dall’ambito delle dolcezze, cosa riempie la vita di Fabio Fazio, uomo di successo, che è riuscito a realizzare, almeno questa è la netta impressione, le cose che avrebbe desiderato fare nella sua professione? Può suonare banale, ma l’unica risposta che riesco a dare è questa: i miei figli. Nulla è più importante e più bello per me. Sono diventato genitore oltre i quarant’anni e a quell’età, al di là della consumata retorica, c’è la consapevolezza che i figli sono la rappresentazione fisica dell’idea di futuro. Cos’è infatti il futuro? Un concetto inesistente, impalpabile, qualcosa che non vediamo. I figli invece rappresentano il futuro che puoi toccare, danno un senso vero alla tua esistenza, e più passa il tempo, quindi meno io ne ho a disposizione, più ho voglia di trascorrerlo con loro e qualunque istante condiviso con loro mi rende felice. Passando dalle dolcezze alle amarezze, ho l’impressione che la generazione dei nati negli anni Sessanta, e naturalmente anche le successive, sia la prima dal dopoguerra in poi a vivere in questo frangente storico la sensazione, molto presente, del rischio dello sconquasso globale. Cosa abbiamo sbagliato e cosa potremmo fare per rimediare? È una domanda troppo complessa a cui non so dare una risposta. È evidente che in questo periodo stiamo vivendo con un senso di precarietà assoluta. La colpa che abbiamo è di essere tutti complici, volontari o involontari, di un sistema che evidentemente ha scelto delle regole in cui la scala dei valori, a cui ci atteniamo, non tiene conto delle proprietà intellettualmente oneste che dovrebbero regolare i rapporti fra gli esseri umani e gli appartenenti alla stessa specie. E noi abbiamo accettato per convenienza regole che non sono quelle giuste. Difficilmente, mi pare di capire dall’esperienza della vita, ciò che conviene è anche ciò che è giusto; spesso le due cose hanno


The Golden Ratio Our Nautilus logo is a depiction of the golden ratio. Our chocolate bars and pralines are shaped in the same ratio, and more generally, we strive for perfection in taste, too. We scout local producers and follow the advice of the best consultants around, like Corrado Assenza. Our latest addition is a cultivar of oranges named thief cheater: ugly on the outside (nobody would steal them!) but oh so sweet on the inside.

vie separate: ciò che è giusto di solito prevede delle rinunce, ciò che conviene no. Per fortuna e purtroppo siamo una generazione cresciuta in un oggettivo, crescente benessere; non abbiamo vissuto la guerra, i nostri genitori non vedevano l’ora di dimenticarla, e quindi abbiamo pensato di avere diritto solo noi e proprio noi a questo comodo benessere, vissuto senza un’idea di condivisione e con un egoismo di cui stiamo pagando ora le conseguenze. Abbiamo una visione di globalizzazione a senso unico, dove poter prendere e mai dare, e questo chiaramente non può più reggere. Mi pare ad ogni modo di capire che ancora oggi, e forse mai così come oggi, i rapporti siano regolati sempre di più dalla forza piuttosto che dalla giustezza delle cose. Viviamo in un mondo in cui sono saltate tutte le regole: se riuscissimo a ripristinarne anche solo qualcuna, semplice, avremmo svolto almeno un nostro buon compito. Che tempo che fa: vent’anni più uno di grandi successi. C’è la soddisfazione del lavoro svolto e di quello ancora da svolgere, sempre con lo stesso impegno e la stessa curiosità. Il piacere, l’emozione impagabile di molti incontri meravigliosi. Lo ammetto, tutto questo è davvero un grande privilegio. Che tempo che fa è un lavoro strano, perché è un programma che ti permette di conoscere e incontrare tantissime persone dalle esperienze, dai percorsi i più vari. Ogni incontro è come aver letto un libro, ti rimane sempre dentro qualcosa; da ogni incontro ti porti via un pezzo di vita che resta e che va a formare quello che tu sei il giorno dopo. In questo senso è un programma che è un tutt’uno con te e che si evolve con il tuo vissuto in divenire. Ripeto, è davvero un grande, grande privilegio poter svolgere questo lavoro. Torno in chiusura al cioccolato, nello specifico a Corrado Assenza. Il suo Caffè Sicilia nel corso principale di Noto è un luogo dell’anima, non solo una summa di delizie. Come le è venuta l’idea di collaborare con lui? L’idea parte da un suggerimento di Massimo Bottura. Corrado Assenza non è solo una delle figure più autorevoli e riconosciute nel mondo della pasticceria, ma è un poeta, un intellettuale che adopera gli ingredienti come uno scrittore fa con le parole. Vuole conoscere i suoi collaboratori così come le piantagioni e le coltivazioni; seleziona i pistacchi, gli agrumi e persino la salina da cui attingere il sale. È il re delle trasformazioni, riesce ad esaltare al meglio ogni prodotto. Ci ha dato un input importante all’inizio, non solo rispetto all’essiccazione, ma anche proprio rispetto alla ricerca assoluta della qualità: «La scommessa è provare a capire se in una produzione, non si può dire industriale perché non è un’industria, ma comunque in una produzione quantitativamente rilevante, si riesce a conservare l’artigianalità». Essa passa esclusivamente attraverso il lavoro manuale di chi fisicamente, come il nostro maître chocolatier Marco Ferrari, sta lì dove si sperimenta e si produce. E non si può risparmiare sulla ricerca dei prodotti. Il pregiato cacao di San José, vettore perfetto per conservare la purezza e l’autenticità dei sapori, viene lavorato con passione e semplicità per accogliere i sapori e i profumi del Mediterraneo, trasformandoli in un insieme compiuto che riesce a farsi una concreta esperienza di gusto. Questa è la nostra raison d’être!

Your work with Corrado Assenza Chef Massimo Bottura suggested we contacted him. Assenza is not only a master confectioner, but a poet, an intellectual who uses ingredients like an author uses words. He is the king of alchemy, and knows how to get the best from each piece of produce. He helped tremendously when we first started, especially in keeping our production – no matter the volumes – strictly a craft. It’s all about manual work, as can testify our maître chocolatier Marco Ferrari. Our cocoa, of the San José variety, is the perfect choice to convey each minute Mediterranean taste and scent, turning them into an accomplished tasting experience. The sweetness of life This will sound unoriginal, but the one answer I can give is this: my children. Nothing is more important, or more beautiful. I became a parent past the age of forty and at such an age, you cannot but be aware that children are the physical embodiment of the future. What is future? A non-existent, intangible, invisible concept. Children, you can see and touch them. They give meaning to your existence, and the more time passes by, the less there is left, and the more I want to spend it with them. Any moment we spend together makes me happy. Your work in the media There’s pride in what has been done and what is yet to come. Commitment and curiosity are essential, while the pleasure, the emotion of incredible encounters is a real privilege. Thanks to my show, Che tempo che fa, I have been able to meet people of such different experiences and life paths. Meeting each was like reading a book, and each left something. In this sense, the show is one and the same as me, and it grows and evolves like I do. Again, a true privilege.

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a cura di Mariachiara Marzari

christmaslight

Le volte delle Procuratie Vecchie, una galleria di vetro e luce

Nextstopsaturn

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Rezzonico spoglio

Segmenti d’infinito

MURANO ILLUMINA IL MONDO

Una infilata di dodici incredibili lampadari in vetro di Murano realizzati da artisti di fama internazionale illuminano le Procuratie Vecchie in Piazza San Marco, creando un magnifico effetto visivo, una galleria d’arte en plein air straordinaria. Murano Illumina il Mondo riesce a sorprendere e magicamente aggiungere bellezza alla bellezza di una Piazza unica al mondo. Il pretesto sono le luci di Natale d’artista, ma il risultato va molto al di là, tanto da pensare a una presenza permanente di queste opere, perché il termine lampadario non può racchiudere i mondi che ognuno di essi rappresenta. Un’alchimia composta dalla genialità dell’artista, dalla sapienza ancestrale dei Maestri di Murano e dalla tenacia delle Fornaci, capaci insieme di portare avanti un’arte millenaria, che il progetto vuole proteggere, tutelare, ma soprattutto traghettare verso prospettive future di produzione ed eccellenza. Per una volta senza riserva alcuna va il plauso a The Venice Glass Week e Comune di Venezia, per il progetto, a Rosa Barovier Mentasti, David Landau e Chiara Squarcina, per la curatela, e a Giordana Naccari, per il coordinamento della produzione e il rapporto tra artisti e fornaci.


Nature di luce

Siphonophera

NEXTSTOPSATURN Ideato e prodotto dal Maestro Lino Tagliapietra senza ricorrere a nuove soffiature, il lampadario utilizza sezioni dei suoi vasi tagliati in moduli circolari che evidenziano le differenti tecniche lavorative del vetro. Il design ripropone la composizione delle vetrate a rullo dei palazzi veneziani, mentre la forma richiama una specie di navicella spaziale, ottenuta con l’aiuto di Alessandro Vecchiato.

REZZONICO SPOGLIO Michael Craig-Martin ha lavorato con il Maestro Simone Cenedese e la sua fornace per creare il suo lampadario, in cui la struttura metallica, solitamente nascosta, viene ricoperta con centinaia di pezzi di vetro soffiato trasparente e colorato. Il lampadario ha la struttura di un classico Rezzonico, con lunghe braccia lineari e prive di decorazione e un ampio centro vuoto: appeso a una singola catena, si dirama in quattro direzioni e crea un senso di assenza di peso.

IL REDENTORE Philip Baldwin e Monica Guggisberg hanno voluto richiamare colori e forme dei fuochi d’artificio del Redentore, affidandosi ai maestri della fornace Barovier&Toso, con cui hanno sperimentato l’utilizzo di nuove tecniche di lavorazione. Linee semplici, combinate con l’effetto scintillante delle foglie d’argento, conferiscono al lampadario una forma contemporanea, pur guardando indietro alla tradizione classica.

RICAMI DI LUCE Il lampadario di Ritsue Mishima e Andrea Zilio, dalla struttura portante metallica che si scorpora in due cerchi concentrici, ha elementi soffiati e specchiati in vetro trasparente, realizzati dalla fornace Anfora, che si compongono in forme frastagliate: guglie, sagome dal vago aspetto spirituale che richiamano la luce. Murano Illumina il Mondo Fino 29 febbraio 2024 Procuratie Vecchie, Piazza San Marco www.theveniceglassweek.com

Sunset in your pocket

MORBIDA MACCHINA SILICEA

SCOMPOSIZIONE DI UN VOLO

Nella progettazione del suo lampadario, Maria Grazia Rosin ha approfondito il tema della sostenibilità creando uno chandelier autosufficiente con faretti led dotati di piccoli pannelli solari. La cifra estetica dell’opera è data da elementi in vetro soffiato blu, realizzati da dal Maestro Davide Donà della fornace Componenti Donà, che si presentano in varie forme e in tutti i toni pastello degli stucchi veneziani, ricoprendo la struttura portante in metallo.

Il gabbiano, attore vivo della città lagunare, ha ispirato Federica Marangoni nella progettazione, con Simone Cenedese e la sua fornace, del suo lampadario. La struttura classica con coppa a soffitto e coppa diffusore più grande in basso, è decorata con ironiche, lunghe gambe e zampe che corrono lungo il tubo centrale, quasi a sostenere la scultura luminosa. Una corona di grandi piume in cristallo riprende un tipico motivo e i quattro portalampada sporgenti sono le teste con lungo becco giallo-arancio e gli occhietti di murrina.

SEGMENTI D’INFINITO Composto da circa 700 elementi, il lampadario ideato da Silvano Rubino e realizzato da Gianni Seguso in collaborazione con Effetre Murano e Neonlauro, è stato concepito per essere realizzato con tubi di vetro in due tonalità di colore acquamarina. I tre cilindri concentrici riprendono i motivi compositivi dei lampadari degli anni Sessanta e Settanta e i tubi, se affiancati, potrebbero formare una linea ideale di circa 350 metri.

NATURE DI LUCE

SIPHONOPHERA Il lampadario di Giorgio Vigna, realizzato da Barovier & Toso, creando un senso di fluidità, sembra muoversi al ritmo del vento o ondeggiare. La scultura luminosa sospesa irradia luce da elementi sfaccettati in vetro cristallo trasparente e incolore, dando vita a un’atmosfera imprevedibile. La struttura, come la nervatura di una foglia, aggiunge movimento e crea connessioni tra mondi naturali.

Ideato da Marcantonio Brandolini d’Adda, il lampadario – grazie alla struttura realizzata da Paolo Rossetto – è capace di ospitare un ecosistema vegetale autosufficiente, dove piante e terriccio vivono e si alimentano tramite contenitori d’acqua in vetro di Murano e grazie alla luce stessa del lampadario. Il tutto è stato realizzato con la collaborazione di Giacomo Bernello, progettista, e del disegnatore tecnico Alberto Furtack. Il progetto vede partecipare anche l’Università di Padova e la fornace Wave Murano Glass con il maestro Roberto Beltrami.

Cornelia Parker si è ispirata al lampadario a sei bracci rappresentato nel famoso dipinto di Jan van Eyck del 1434, I coniugi Arnolfini e, per replicarlo ha usufruito di una doppia collaborazione. La fornace Salviati ha realizzato il corpo centrale in vetro soffiato, mentre Nicola Moretti ha tradotto in tre dimensioni i contorni traforati e complessi dei bracci grazie a un taglio laser ad acqua su fusione in vetro.

AZ

SUNSET IN YOUR POCKET

Gli studenti della classe 5A della Scuola Abate Zanetti e il maestro Eros Raffael con Vetri Speciali hanno progettato e realizzato un lampadario protagonista di una rivisitazione minimalista e contemporanea del classico Rezzonico, ispirato all’ambiente lagunare. Le tre braccia, poi, sono state montate su una struttura metallica.

Pae White ha affidato alle mani di Simone Cenedese e della sua fornace la realizzazione di un lampadario in cui 72 nastri in vetro di Murano danno forma a un tramonto californiano, momento fugace reso visibile a qualsiasi ora nel cuore di Venezia. L’artista esplora luminosità e transitorietà trasmesse e conservate nel vetro.

THE ARNOLFINI PORTRAIT (Once Removed), 2023

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Mostra ideata e prodotta da Exhibition conceived and developed by

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M9 è un progetto di M9 is a project by www.m9museum.it


christmaslight CONTEMPORARY

Il bosco delle meraviglie La Biennale illumina Forte Marghera Dopo la chiusura da record della 18. Mostra di Architettura, la Biennale non lascia la sede espositiva di Forte Marghera e lancia una nuova iniziativa, unendosi ai festeggiamenti natalizi e trasformando l’oasi del Forte in un luogo incantato, dove l’arte muta in inattesa meraviglia. Il 15 dicembre con un party con dj-set a partire dalle ore 18, inaugura l’albero-installazione panoramico X-Tree, rivisitazione architettonica e contemporanea del classico abete di Natale, una scultura luminosa e ecologica in metallo ossidato, legno e neon flessibili, arricchita di luci, suoni e immagini, realizzata dallo studio 1024 Architecture di Parigi (Pierre Schneider e François Wunschel). Interamente percorribile grazie a una scala interna, X-Tree offre ai visitatori la possibilità di accedere (liberamente, ogni giorno fino al 7 gennaio, dalle 14 alle 16) a una terrazza belvedere posta a 25 metri d’altezza, dove sarà possibile scattare foto panoramiche e selfie da una prospettiva inedita, resa ancor più suggestiva dalle luci e dai suoni che animeranno l’installazione al tramonto. Trovare la strada per l’X-Tree o per arrivare alla Laguna non sarà difficile: per orientarsi sarà sufficiente passeggiare seguendo i due percorsi acustici e luminosi che partono dall’ingresso del Forte. Lo studio 1024 Architecture ha realizzato anche l’installazione Field, una rielaborazione site-specific dell’opera Core, presentata alla mostra Electro nel 2019, negli spazi della Biennale CIMM (Centro di Informatica Musicale e Multimediale) al Parco Albanese. Field è un viaggio sensoriale e visivo che, grazie all’implementazione della tecnologia di spazializzazione, trasforma la musica in volumi di luce dinamica, incarnandola in una forma spaziale, vibrante e oscillante per creare scenografie digitali. Prima partecipazione della Biennale al Natale metropolitano non poteva che essere ad alto tasso contemporaneo, restituendo quella giusta alchimia tra ricerca, innovazione e intrattenimento, lasciando tutti ancora una volta stupiti. Tra luci sfavillanti e quelle troppo poco presenti, l’azione della Biennale dimostra ancora una volta come la linea del contemporaneo possa essere elemento di coesione e di visioni altre, possibili, non inimmaginabili.

Natale con la Biennale 15 dicembre-7 gennaio 2024 Forte Marghera-Mestre www.labiennale.org

Another record-setting Biennale just ended, but the Biennale won’t leave its exhibition site on the mainland, at Forte Marghera, which will be turned into a place of magic thanks to the power of art. The programme will start on December 15, 6pm with a DJ set and the unveiling of panoramic installation X-Tree, a modern, architectural reinterpretation of the classic Christmas tree. A luminous, ecological sculpture in oxidized metal, timber, and neon, with lights, sounds, and images, X-Tree is a creation of Studio 1024 Architecture in Paris. Visitors will be able to enter the actual sculpture and walk to a 70-foot-tall terrace and enjoy a different perspective on the city. This is the Biennale’s first participation to Venetian Christmas, which adds a touch of modernity, research, innovation, and entertainment.

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Concerti, spettacoli, balletti, circo, divertimento, tradizione e fuochi

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Origine controllata e garantita La Cappella Marciana che abbiamo il privilegio di ascoltare al giorno d’oggi discende direttamente dall’antica Cappella della Serenissima Repubblica in San Marco ed è stata la cappella del doge di Venezia per cinque secoli. I primi documenti che attestano la presenza di una formazione vocale attiva presso la Cappella Ducale di Venezia risalgono al 1316, per cui si può affermare che la Cappella Marciana è una delle più antiche istituzioni musicali che vi siano al mondo. Un altro elemento di rilievo è costituito dall’enorme quantità di opere musicali nate nei secoli per essere eseguite dalla Cappella Marciana nella Basilica Ducale. La produzione dei circa duecento maestri operanti nella Basilica supera abbondantemente quella di tutte le altre istituzioni musicali del globo. Marco Gemmani è il trentaseiesimo Maestro di Cappella della Basilica di San Marco, incarico che in passato hanno rivestito musicisti come Andrea e Giovanni Gabrieli e Claudio Monteverdi. Le continue esecuzioni della Cappella Marciana da lui guidata, durante le funzioni liturgiche di tutto l’anno, sono divenute ormai un punto fermo per chi vuole ascoltare musica di rara bellezza in un’ambientazione che non ha eguali al mondo. Il 19 e 20 dicembre il tradizionale doppio concerto ospitato dalla Basilica propone un repertorio fatto su misura, Selva Morale e Spirituale: Vespro di Natale di Claudio Monteverdi, a rinvigorire un rapporto tra Venezia e il musicista che non potrebbe davvero essere più saldo: il compositore di Cremona, che a Venezia riposa nella Basilica dei Frari, è protagonista assoluto di un concerto che vede la collaborazione tra la Cappella Marciana e la Schola Cantorum Basiliensis, in collaborazione con la Procuratoria di San Marco. ENG St. Mark’s Basilica hasn’t always been a public church. In fact, it began its life as the Duke’s private chapel. Its choir, known as Cappella Marciana, traces its history back to at least 1316, making it one of the oldest living musical institutions in the world. Another notable element is the quantity of music that has been composed expressly for the Cappella Marciana: about two hundred choirmasters arranged a repertoire that knows no equals. Marco Gemmani is the current choirmaster. The performances of his choir are well known to anyone who finds beauty in the highest forms of music performed in an environment that cannot be replicated anywhere else. On December 19 and 20, Claudio Monteverdi’s Selva Morale e Spirituale: Vespro di Natale will show what words cannot. Concerto di Natale 19, 20 dicembre Basilica di San Marco www.teatrolafenice.it

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Variazioni Mahler La Stagione Sinfonica 2023-24 della Fondazione Teatro La Fenice si apre il 9 e 10 dicembre con la prestigiosa bacchetta del texano Robert Treviño, che alla testa dell’Orchestra e Coro del Teatro La Fenice dirige la Terza Sinfonia di Gustav Mahler, nel solco di una lunga linea progettuale ormai di molte Stagioni legata al compositore austriaco. La Sinfonia n. 3 di Mahler è tradizionalmente avvicinata alla Seconda e alla Quarta: le tre partiture, composte tra il 1884 e la fine del secolo, sono dette “del Wunderhorn” perché legate all’attrazione che il compositore austriaco sentì in quegli anni per le poesie popolari di Ludwig Achim von Arnim e Clemens Maria Brentano, raccolte nell’opera romantica Des Knaben Wunderhorn, un monumento di canti folcloristici che idealizza la civiltà medioevale cristiana e le tradizioni nazionali tedesche insieme ai valori della spontaneità e del candore. Ma gli echi del Wunderhorn sono solo una delle suggestioni extramusicali che costituiscono la linfa della Terza Sinfonia: l’opera nacque infatti con una serie di titoli e sottotitoli che Mahler attribuì in momenti diversi alla Sinfonia nel suo insieme e ai singoli tempi. L’influenza della visione metamorfica di Nietzsche è evidente anche al di là del passo tratto da Also sprach Zarathustra intonato dal contralto nel quarto movimento. L’esecuzione vedrà la partecipazione del contralto Sara Mingardo, e accanto al Coro del Teatro La Fenice diretto da Alfonso Caiani sarà coinvolto anche il coro di voci bianche dei Piccoli Cantori Veneziani, condotto da Diana D’Alessio.


© Michele Crosera

Forza della natura Con l’apertura della Stagione Sinfonica si rinnova il consueto appuntamento con le conferenze di approfondimento: il concerto di sabato 9 dicembre è infatti introdotto da un incontro a ingresso libero con il musicologo Roberto Mori, che illustra il programma musicale nelle Sale Apollinee del Teatro. ENG The 2023-2024 Symphony Season at the Fenice Theatre will open on December 9 and 10 together with guest conductor Robert Treviño, guiding the resident orchestra and choir in Mahler’s third symphony which, together with the second and fourth, was composed in the late 1800s. These came to be known as the Wunderhorn (magic horn) Cycle, due to the influence of the folk literature collection of the same name by Ludwig Achim von Arnim and Clemens Maria Brentano. Said influence is but one of the several extra-musical suggestions that characterizes Mahler’s Third. The influence of Nietzschean metamorphic vision is apparent even ignoring the words taken from Thus Spoke Zarathustra, in the contralto’s line, fourth movement. The resident choir will be joined by contralto Sara Mingardo and the Piccoli Cantori Veneziani children’s choir, conducted by Diana D’Alessio. The symphony season is complemented by conferences: on Saturday, December 9, musicologist Roberto Mori will discuss the upcoming programme. Entry free of charge. Robert Treviño 9, 10 dicembre Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it

La Stagione sinfonica 2023-24 del Teatro La Fenice prosegue il 15, 16 e 17 dicembre con il concerto del direttore d’orchestra e pianista sudcoreano Myung-Whun Chung, alla guida dell’Orchestra del Teatro La Fenice nell’esecuzione della Sinfonia n. 6 in fa maggiore op.68 Pastorale di Ludwig van Beethoven e di Le Sacre du printemps di Igor Stravinskij. Myung-Whun Chung ha un rapporto privilegiato con Venezia, «Un amore nato quarant’anni fa – ci spiega – che si è sviluppato ed è cresciuto nel tempo. Un amore che sento forte verso l’Italia, verso Venezia e verso il Teatro La Fenice». Il programma del concerto sta particolarmente a cuore al direttore sudcoreano: «Si tratta di brani che si ispirano fortemente alla Natura, la Sinfonia di Beethoven vuole esprimere proprio la bellezza e l’incanto dell’elemento naturale. Potremmo invece definire Le Sacre du printemps come un’espressione quasi barbarica, primordiale, che guarda alla forza della Natura come elemento da sottolineare». Myung-Whun Chung inizia l’attività musicale come pianista, debuttando all’età di sette anni e vincendo a ventuno il secondo premio al Concorso Pianistico Cajkovskij di Mosca. Dal 1987 al 1992 è Direttore Principale invitato del Teatro Comunale di Firenze, tra il 1989 e il 1994 Direttore Musicale dell’Opéra de Paris-Bastille e, dal 1997 al 2005, Direttore Principale dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma. Nel 2023 è stato nominato Direttore Emerito della Filarmonica della Scala. Ha diretto molte delle orchestre più prestigiose del mondo, fra cui i Berliner e i Wiener Philharmoniker, e vanta numerose registrazioni per la Deutsche Grammophon, tra le quali Turangalila Symphonie di Messiaen, Lady Macbeth of Mtsensk di Shostakovich. In Italia gli sono stati conferiti il Premio Abbiati e il Premio Toscanini. In Francia nel 1992 gli è stata assegnata la Légion d’Honneur, mentre nel luglio 2013, la Città di Venezia gli ha consegnato le chiavi della città per il suo impegno verso La Fenice, che a sua volta gli ha conferito il premio Una vita nella musica. ENG More symphony at Fenice: on December 15, 16, and 17, a concert with Korean pianist and conductor Myung-Whun Chung, guiding the resident orchestra in Beethoven’s Pastoral and Stravinsky’s Le Sacre du printemps. Chung enjoys a privileged relationship with Venice “I feel in love with Venice forty years ago – says he – and love only grew stronger over time.” The concert’s programme is particularly dear to the conductor, “this is music that takes strong inspiration in Nature. Beethoven’s symphony expresses the beauty and the enchantment for everything natural. We might otherwise define Le Sacre du printemps as an almost barbaric, primordial expression, a depiction of nature’s very strength.” Myung-Whun Chung worked at the City Theatre in Florence 1987 to 1992, was the Musical Director at the Paris Opera-Bastille 1989 to 1994, and the director-general of the National Music Academy ‘Santa Cecilia’ in Rome 1997 to 2005. In 2013, Venice gave Chung the keys to the city. Myung-Whun Chung 15-17 dicembre Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it

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christmasdiary IN VENICE CONCERTS

Joyful, Joyful Doppio registro Subito dopo aver concluso ad ottobre il Festival Mondi riflessi, come di consueto seguito da un folto pubblico che fedele affolla la sala concerti del Palazzetto Bru Zane, il Centre de musique romantique française ha annunciato l’uscita dell’album Aux étoiles per la Bru Zane Label, a testimonianza di un fervore musicale che non conosce pause e che non ragiona mai per compartimenti stagni, parte di un corpus culturale che Bru Zane porta avanti in città da diversi anni. Dicembre prosegue in questo solco con “due appuntamenti in uno”, vale a dire una conferenza e un concerto che il 6 dicembre si passano il testimone in rapida successione. Alle 17.30 è la conferenza Il clarinetto romantico a intrattenere il pubblico con il relatore Alessandro Carbonare e la moderatrice Marianne Jugan: partendo da Karl Maria von Weber fino a Brahms, il clarinetto è stato senza dubbio lo strumento a fiato più in voga nel periodo romantico, ma ciò che colpisce soprattutto è il ruolo del clarinetto nel repertorio romantico francese. L’appuntamento è l’occasione per mettere in luce questo periodo chiave nella storia di uno strumento che, fino a oggi, ha saputo mantenere la sua popolarità sia presso gli aspiranti musicisti nei conservatori, che per i compositori. La conferenza è seguita dal concerto Stelle di Natale, con lo stesso Alessandro Carbonare al clarinetto, Ludovica Rana al violoncello e Aki Kuroda al pianoforte, in musiche di Strohl, Farrenc, Holmès e Bonis: tra le opere composte da donne nell’Ottocento – molto meno numerose di quelle dei colleghi uomini – si trovano spesso brani per strumenti poco amati al di fuori dell’orchestra sinfonica. Questo vale per il flauto, ma anche per il clarinetto, che ha trovato un terreno di espressione particolarmente fertile proprio in Louise Farrenc, Augusta Holmès e Rita Strohl.

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Double registry

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After producing music festival Mondi Riflessi last October, the Centre de musique romantique française announced the release of album Aux étoiles (lit. ‘to the stars’) via their own private label, showing how passion for music knows no rest, also thanks to the large corpus of French romantic music that Palazzetto Bru Zane has been maintaining in Venice since years. Looking forward to December, their programme lists a conference and a concert on December 6: at 5:30pm, Alessandro Carbonare and Marianne Jugan will discuss Il clarinetto romantico, followed by concert Stelle di Natale, starring Carbone himself at the clarinet, Ludovica Rana at the cello, and Aki Kuroda at the Piano. Music by Strohl, Farrenc, Holmès, and Bonis— also an important testimony of the production of female French composers of the era.

Stelle di Natale 6 dicembre Palazzetto Bru Zane bru-zane.com

Sarà per le ritmiche energiche e sincopate tenute spesso dal battito delle mani, sarà per le blue notes che vanno a influenzare le armonie e le melodie, ma i brani Gospel sembrano perfetti per restituire il calore e la festa del periodo natalizio. Accade anche a Venezia, dove numeri poderosi e le scenografie sgargianti, che strizzano l’occhio al celebre musical The Greatest Showman, sono offerti da Big Vocal Orchestra nell’ormai tradizionale appuntamento con il concerto di Natale al Teatro Goldoni, sabato 9 e domenica 10 dicembre. Diretta dal poliedrico artista del vetro di Murano, Marco Toso Borrella, la Big Vocal Orchestra è la più grande formazione d’Italia e d’Europa con i suoi oltre 200 elementi, e ha in serbo anche per quest’anno uno spettacolo straordinario di voci, musica, danza e teatro arricchito da effetti di luce e video mozzafiato. Vero e proprio fenomeno artistico nato in seno alla città di Venezia e divenuto celebre in tutta Italia, questo unico enorme coro possiede una sorprendente capacità di coinvolgere il pubblico, che viene letteralmente ‘travolto’ dall’imponente effetto della quantità di voci, impegnate in un repertorio assolutamente originale e imprevedibile che interpreta sempre con grande impatto scenico ed emotivo. Con The Greatest Show la Big Vocal Orchestra porta sul palcoscenico un concerto-spettacolo unico, con brani che spaziano attraverso numerosi generi musicali diversi: dalle colonne sonore


HARLEM GOSPEL CHOIR

di film a celebri brani di musical, dagli spirituals, al contemporary gospel, alla polifonia classica passando per alcuni capolavori del pop-rock internazionale fino a opere classiche, il tutto con arrangiamenti originali accompagnati da intense letture teatrali, coreografie e effetti speciali. Una musica accattivante, coinvolgente, allegra, perfetta per lasciarsi avvolgere dal clima delle feste. ENG It must be because of the energetic, syncopated rhythms that follow clapping, it may be because of the blue notes influencing harmony and melody, but Gospel music are just perfect to render the warmth and festive nature of Christmas. It happens in Venice, too, thanks to Big Vocal Orchestra, performing in their Christmas concert at Goldoni Theatre on December 9 and 10. Conducted by Marco Toso Borrella, the Big Vocal Orchestra is the largest European formation with its over 200 singers, and promises a beautiful show of voice, music, dance, and theatre. He orchestra is a real art event born right here in Venice, and grew in fame thanks to its surprising ability to involve the audience, amazed by the imposing effect of the sheer number of voices and their original, unpredictable repertoire, always performed with great scenic and emotional impact. With The Greatest Show, the Big Vocal Orchestra stages a unique show, with songs from all kinds of genres: film scores, musicals, spirituals, gospel, classic polyphony, pop, rock, and classical, all accompanied by dance, recitals, and special effects. Big Vocal Orchestra – The Greatest Show 9-10 dicembre Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

È il più famoso coro gospel d’America, uno dei più celebri in tutto il mondo e uno dei più longevi, da più di 30 anni sulle scene: fondato nel 1986 da Allen Bailey per le celebrazioni in onore di Martin Luther King, l’Harlem Gospel Choir è formato dalle più raffinate voci e dai migliori musicisti delle Chiese Nere di Harlem e di New York. Scelti anche dagli U2 nel 1988 per il video di I Still Haven’t found What I’m Looking For, in oltre 30 anni di grandiosa carriera l’Harlem Gospel Choir ha sempre cercato di oltrepassare barriere culturali unendo nazioni e persone e condividendo attraverso la propria musica il messaggio di amore, pace e armonia con migliaia di persone di nazioni e culture diverse. Il nuovo show li vedrà cantare i più famosi brani della tradizione gospel, da Oh Happy Day ad Amazing Grace, alternati a brani gospel contemporanei, jazz e blues, con qualche incursione nel pop, e un emozionante tributo a Whitney Houston, che celebrerà i 60 anni di una delle voci più potenti e influenti del pop di tutti i tempi. 14 dicembre Gran Teatro Geox-Padova zedlive.com

SEGUITANDO LA GRAN STELA

Fondazione Benetton invita tutti a festeggiare il Natale con il concerto Seguitando la gran Stela, alla Chiesa di San Teonisto, rinnovando l’antica tradizione contadina che nei giorni delle feste vedeva cantori e musicisti andavano di casa in casa cantando intonando La Ciara Stea e i repertori tradizionali del Natale popolare, accompagnati da bambini vestiti da Re Magi e dalla Stella che annunciava la nascita del Bambino Gesù. Il programma, che vede protagonista l’ensemble cadorino Na Fuoia, è dedicato interamente al Natale, alla riscoperta di questi repertori, cantati e strumentali che arrivano dalla notte dei tempi, raccolti direttamente dagli ultimi suonatori tradizionali. Nel concerto proposto, l’incontro fra i generi musicali classico, antico e folk crea un fortissimo momento di suggestione e condurrà ancor di più nella tradizione dei giorni delle feste natalizie. Il progetto Na Fuoia rappresenta un ponte fra tradizione e modernità, nell’ottica di conservare e rinnovare la musica tradizionale delle Dolomiti bellunesi, ed è il risultato di oltre vent’anni di ricerca e lavoro sulla tradizione musicale di quelle terre maestose e fragili, dichiarate nel 2009 patrimonio mondiale Unesco. 26 dicembre Chiesa di San Teonisto-Treviso www.fbsr.it

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christmasdiary THEATRES

More Falstaff, more Falstaff!

UN NATALE DA CIRCO

Diabolico tartan Fine anno a teatro anche al Goldoni di Venezia con uno dei testi più celebri di Shakespeare, Le allegre comari di Windsor, in cui l’autore inserisce il meglio del proprio repertorio: l’amore contrastato tra giovani, equivoci, scambi, travestimenti e beffe. In scena dal 28 dicembre all’1 gennaio, l’originale versione diretta da Andrea Chiodi trasporta il microuniverso shakespeariano di Windsor e tutti i suoi personaggi in una sorta di country club immaginario, dove il tartan domina sovrano, dai costumi alle scene: le sue linee e i suoi quadrati evocano i confini e le gabbie dell’ipocrita conformismo borghese dell’epoca. Leggenda vuole che Shakespeare scrivesse The Merry Wives of Windsor in soli 15 giorni per soddisfare il desiderio della regina Elisabetta I che, stregata dal pingue personaggio dell’Enrico IV, al grido di «More Falstaff, more Falstaff!», diede i natali a questa fortunata commedia al femminile, in cui le donne non sono le “allegre comari” del titolo (classico esempio di lost in translation), ma sono donne indipendenti, scaltre, libere di pensare e agire. Tra vibranti giochi di farse, danze e colpi di scena, con l’iconica Eva Robin’s nei panni di Mrs Quickly a tessere il filo che unisce tutti gli inganni, le Mogli di Windsor si avventano sul miserabile Falstaff, reo di aver tentato di ingannarle, e con tutta la loro arguzia se ne vendicano facendosene beffe davanti all’intera città, che dalla sua disgrazia trae gran giovamento e sollazzo. D’altro canto, come scrive Angela Demattè che cura l’adattamento, «serve una vittima, travestita da grasso potente borioso, perché un paese si accontenti delle sue piccole cose e non si deprima dell’essere ormai relegato al margine delle grandi decisioni politiche». Un monito che il Bardo aveva lanciato oltre quattro secoli fa, ma che sarebbe meglio tenere sempre presente, soprattutto in tempi di buoni propositi… Le allegre comari di Windsor 28 dicembre-1 gennaio 2024 Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

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BIENNALE

Elizabeth I

Siamo abituati a salutarla a novembre e rivederla non prima di gennaio o febbraio, con il Carnevale dei Ragazzi, ma quest’anno per la prima volta anche a Natale la Biennale accompagna le feste con un ricco calendario di iniziative a Mestre, dedicate ad un pubblico eterogeneo e particolare attenzione ai giovani e ai ragazzi. Il Teatro del Parco Albanese, o Bissuola, si fa ‘tendone’ e da mercoledì 20 dicembre a sabato 6 gennaio (ore 17) ospita una rassegna di circo-teatro con cinque spettacoli su prenotazione dedicati a bambini, ragazzi e famiglie, realizzati da compagnie di circo contemporaneo, con acrobazie, giocoleria e musica dal vivo. Madame Rebiné, Collettivo Clown, Teatro Necessario, Teatro nelle Foglie e Nando & Maila presentano spettacoli che affrontano con ironia e leggerezza temi sociali e didattici come la libertà di espressione, l’inconscio e l’infanzia attraverso un linguaggio comico universale, capace di coinvolgere ed emozionare spettatori di ogni età. Circo teatro 20 dicembre-6 gennaio 2024 Teatro del Parco Albanese-Mestre www.labiennale.org


Un bacio di puro amore

Un tutù con i baffi

Torna il tradizionale appuntamento con il balletto di Santo Stefano al Teatro Toniolo (ore 19.30), per trascorrere una serata nel mondo fiabesco de La bella addormentata, tra castelli e foreste incantate. Consacrazione del romanticismo, basato sul racconto di Charles Perrault, La bella addormentata è celebrato come uno dei vertici del balletto classico, dove la musica eterea di Piotr Tchaikovsky si fonde armoniosamente con la sublime coreografia di Marius Petipa. A ricreare in scena la magia del celebre brano, il Russian Classical Ballet, nato a Mosca nel 2005 sotto la direzione di Evgeniya Bespalova, con un cast che rappresenta la quintessenza della tradizione della danza classica russa, formatosi nelle prestigiose scuole di Mosca, San Pietroburgo, Novosibirsk e Perm. Oltre alle abbaglianti esecuzioni dei solisti e del corpo di ballo, la produzione del Russian Classical Ballet offre uno spettacolo visivo straordinario grazie a costumi barocchi e dettagli realistici che trasformano il palcoscenico in un mondo di onirica bellezza, dove sulla malvagità trionfa il vero amore.

Chi lo dice che tutù e scarpette da punta siano solo per le ballerine? Les Ballets Trockadero de Montecarlo (“Trocks” per gli amici) è un’eccentrica e irriverente compagnia americana, composta esclusivamente da uomini, che si diverte a sfidare le convenzioni e parodiare il balletto classico rivisitando in chiave moderna e dissacrante l’antica tradizione dei ballerini en travesti. Bisogna ricordare infatti che fino alla fine del 1600 – quando la prima ballerina donna, Mademoiselle De Lafontaine, iniziò a calcare il palco dell’Opéra di Parigi – la danza fu prerogativa unicamente maschile: come nel teatro, i ruoli femminili dei balletti erano interpretati da uomini mascherati. Cigni, silfidi, spiritelli acquatici, romantiche principesse o angosciate dame vittoriane: i Trocks, senza sforzo apparente, volteggiano graziosi su scarpette giganti con solide fisicità maschili avvolte in vaporosi tutù, giocando con affetto, ironia e intelligenza con i tratti più iconici del balletto, gli incidenti più comuni, le isterie delle più celebri étoiles...

26 dicembre | Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

15-17 dicembre | Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

© Sascha Vaughan

Passaggio cosmico

Che festa dai cugini!

Quest’anno il gran galà di Capodanno è a Teatro, al Toniolo, con il Gran Gala du Cirque, inedito spettacolo con un cast rinnovato che annovera i migliori performer contemporanei. Come in un sogno, nella nuova edizione dal titolo Multiversal, si alternano sulla scena interpreti circensi tra i più creativi al mondo, in un sorprendente show di teatro-circo a metà tra la suspense del circo classico e il fascino della coreografia, tra poesia e comicità. Il pluripremiato quartetto di mimi ucraini Dekru guida il pubblico in un multiverso composto da mondi in continua espansione. Tra giocolieri, clown, equilibristi, acrobati e danzatrici aeree, il filo conduttore tipico del nouveau cirque si rifrange, come in un caleidoscopio, nel susseguirsi di narrazioni diverse che restituiscono le mille sfaccettature dell’esistenza ed esplorano gli infiniti spazi fuori e dentro l’essere umano. Doppio appuntamento con le meraviglie del multiverso, il 31 dicembre alle 21.30 e l’1 gennaio alle 18, per chiudere o aprire l’anno in bellezza.

Difficile prevedere cosa avrà in serbo l’irresistibile duo comico veneziano – per la verità i cugini sono nati a Murano, dove hanno iniziato sotto la guida di Lino Toffolo – per il tradizionale spettacolo di Capodanno 2024, che andrà in scena il 30 dicembre alle 21.15, il 31 dicembre alle 22.30, con brindisi di mezzanotte a seguire, e l’1 gennaio alle 16.30. Quel che è certo è che trascorrere il Capodanno con Carlo & Giorgio è come trascorrerlo in famiglia, e non solo per la ‘loro’ strampalata famiglia Baldan, che tanto li ha resi celebri, ma perché hanno saputo conquistare il cuore di un pubblico che li segue fedelmente da 25 anni, riempiendo teatri e piazze fino all’immancabile sold-out. Annunciando il nuovo spettacolo, i due artisti non possono astenersi dal fare un piccolo bilancio:«Guardiamo dal palco un anno “vissuto pericolosamente”, tra crisi economica, emergenza climatica, confusi da novità tecnologiche e cambiamenti sociali di ogni tipo e…? E ci ridiamo su, per augurarvi e augurarci un 2024 più sereno o almeno per aspettarlo insieme col sorriso».

31 dicembre; 1 gennaio 2024 | Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

30, 31 dicembre; 1 gennaio 2024 | Teatro Corso-Mestre dalvivoeventi.it

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christmasdiary IN VENICE NEW YEAR’S EVE

Passaggio obbligato Attesissimo come da copione il tradizionale appuntamento con il Concerto di Capodanno in Fenice, che anche quest’anno viene trasmesso in diretta televisiva su Rai1. A dirigere la ventunesima edizione del prestigioso evento è Fabio Luisi, che guida l’Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice e i due solisti, il soprano Eleonora Buratto e il tenore Fabio Sartori. Il programma musicale si compone di due parti, come tradizione vuole: una prima esclusivamente orchestrale con l’esecuzione della Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73 di Brahms, e una seconda parte dedicata al melodramma, con una carrellata di arie e passi corali dal repertorio operistico più amato che si concluderà con «Va, pensiero, sull’ali dorate» dal Nabucco e con il brindisi «Libiam ne’ lieti calici» dalla Traviata di Giuseppe Verdi. Una variazione obbligatoria di percorso si registra con l’omaggio ai settant’anni della televisione italiana, Che spettacolo la TV, con un medley musicale delle sigle più amate del palinsesto. Questa seconda parte del programma viene trasmessa in diretta televisiva da Rai1 alle 12.20 del giorno di Capodanno e riproposta in differita su Rai5 alle 18.15, mentre l’intero concerto è fruibile su Rai Radio3 lunedì 1 gennaio 2024 alle 20.30 e su Rai5 giovedì 8 febbraio 2024. Ma entriamo nel merito del programma musicale: la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73 venne composta quasi di getto, nell’estate del 1877 durante il felice periodo di vacanza trascorso a Pörtschach, in Carinzia, e poi completata a Lichtental, nei pressi di BadenBaden, dove Brahms si era recato per il compleanno di Clara Schumann. Questa pagina sinfonica di assoluta bellezza debuttò il 30

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dicembre 1877 nell’esecuzione dei Filarmonici di Vienna diretti da Hans Richter, ottenendo fin da subito un immediato e sincero successo. La seconda parte della scaletta propone una serie di brani amatissimi del repertorio lirico firmati Verdi, Puccini e Ponchielli, ma non solo. Prende il via dal coro di Giuseppe Verdi tratto dai Due Foscari, opera eseguita a ottobre proprio alla Fenice dopo un’assenza che durava dal 1977: «Alla gioia… Tace il vento, è queta l’onda». A seguire, l’intermezzo orchestrale dalla Manon Lescaut di Puccini farà da introduzione a due pagine celeberrime dalla Tosca, interpretate rispettivamente dal tenore e dal soprano: «E lucean le stelle» e «Vissi d’arte». Ancora il Coro del Teatro La Fenice è protagonista nel brano della Traviata di Giuseppe Verdi «Di Madride noi siam mattadori». Segue poi l’omaggio alla televisione italiana in occasione del suo settantesimo compleanno, con un medley delle sigle più celebri del suo storico palinsesto: dall’apertura della trasmissione Guglielmo Tell alla sigla dell’Eurovisione, passando per le musiche divenute iconiche di Tg1, Carosello, Che tempo fa, Studio Uno, Pinocchio e Gian Burrasca. Il programma prosegue con i grandi classici del repertorio melodrammatico: di Puccini saranno eseguiti il coro a bocca chiusa e «Un bel dì vedremo» da Madama Butterfly; e «Nessun dorma» da Turandot; di Ponchielli la splendida Danza delle ore dalla Gioconda. Il finale, come ormai consuetudine, vede tre brani corali di grandissima presa: «Va, pensiero, sull’ali dorate» dal Nabucco di Verdi, «Padre augusto» dalla Turandot di Puccini e l’immancabile brindisi «Libiam ne’ lieti calici» di nuovo dalla Traviata, con immancabile battimani.

The way forward

ENG

One of the poshest events in the Venetian musical panorama: the New Year’s Concert at the Fenice Theatre. Conducting the resident orchestra and choir is Fabio Lusi, flanked by soprano Eleonora Buratto and tenor Fabio Sartori. The programme features, as is always the case, two sections The first is strictly orchestral: Brahm’s Symphony No. 2 in D major, Op. 73. The second is all about opera, a melange of arias and choirs from the most famous melodramas, ending with Va, pensiero from the Nabucco and Libiam ne’ lieti calici from the Traviata. Since this year is the seventieth anniversary of Italian TV broadcasts, an added programme of TV musical themes is added. About the symphony: Brahms composed it quite quickly in the summer of 1877, during a merry family vacation in southern Austria, and finished in Baden-Baden, Germany, where Brahms was visiting Clara Schumann for her birthday. The work premiered on December 30, 1877, in Vienna, to meet instant, well-deserved success.

Concerto di Capodanno 29, 30, 31 dicembre; 1 gennaio 2024 Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it


ICE SKATING

Raggi nella notte Inconfondibili profili architettonici illuminati a giorno, sagome che si stagliano imponenti nella notte, repentine nel cambiare tonalità per pochi secondi, istanti di passaggio attraverso la mezzanotte che restano impressi nella memoria come fotografie dell’album di ricordi che custodiamo per tutta la vita. Venezia non delude mai, del resto... come potrebbe? Lo spettacolo di Capodanno sull’acqua è un modo unico di salutare l’anno che se ne va e dare il benvenuto a quello in arrivo in un luogo magico, capace di donare l’impagabile sensazione di essere nel posto giusto al momento giusto per godersi l’attimo degli attimi, in uno straordinario rito collettivo. Riva degli Schiavoni, Riva Ca’ di Dio, Riva San Biagio, Riva Sette Martiri (i fuochi non sono visibili da Piazza e Piazzetta San Marco) sono la platea dove godere di uno spettacolo che è un’apoteosi di luci e colori, per una città che non può che specchiarsi meravigliata nella Laguna riscoprendosi cambiata ma per fortuna ancora e sempre fedele a se stessa. Che la notte di San Silvestro sia il momento in cui lasciarsi tutto alle spalle o conservare quante più cose possibili, il vero must è trascorrere la mezzanotte inondati dall’incanto dei mille colori e bagliori che illuminano il cielo veneziano.

Dress code: cappello di lana, rigorosamente con pompon, caldi guanti alle mani, preferibilmente muffole, e ovviamente pattini da ghiaccio con lame affilatissime (in caso di necessità da noleggiare in loco). Le piste di pattinaggio in Campo San Polo a Venezia e in Piazza Ferretto a Mestre hanno aperto i battenti e aspettano grandi e piccini, appassionati e principianti, per volteggiare sul ghiaccio al ritmo delle più belle hit natalizie. E se preferite godervi lo spettacolo senza cimentarvi, musica, animazioni ed esibizioni artistiche di giovani professionisti intratterranno anche chi indugia a bordo sorseggiando una tazza fumante di cioccolata. ENG Few things say “Christmas” as loud as an afternoon at the ice-skating rink with the notes of the most beautiful Christmas songs. Don your pom-pom hat and warm mittens, get high on a cup of chocolate, and off you go. Again, this year, the rinks are in Campo San Polo Venice, and in Piazza Ferretto Mestre. They are open every day and you can rent skates on the remises. Athletes will occasionally show up to entertain the public nursing their warm beverage, but fear not, try your hand and take a tumble, that’s the fun part!

Rays in the night

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The amazing skyline of Venice shines bright under the midnight moon, its shapes standing out in the night and going through all shades and hues for a few instants. Burned in our eyes and our hearts, these are images we will cherish for a lifetime. Venice never disappoints us, and how could that even be possible? The fireworks show will accompany us to the end of the year and the beginning of a new one while standing in a place of magic, the priceless feeling of being in the right place and the right time to live the moment of all moments in the place of all places. A collective rite, heads upwards, with the long embankment of Riva degli Schiavoni, Riva Ca’ di Dio, Riva San Biagio, Riva Sette Martiri as the stage of the city admiring itself in the mirror of the lagoon waters. An image that cannot be replicated anywhere else in the world. May New Year’s Eve be the moment to leave everything behind or to hold onto as much as possible, the real must is to spend midnight immersed in the enchantment of a thousand colors and gleams that illuminate the Venetian sky. Spettacolo pirotecnico 31 dicembre Bacino di San Marco www.veneziaunica.it

Fino 13 febbraio 2024, Campo San Polo Fino 7 gennaio 2024, Piazza Ferretto-Mestre events.veneziaunica.it

REGATA DELLE BEFANE Imbacuccate, bardate da scialli dai colori improbabili e non proprio avvenenti nell’aspetto, le protagoniste di questa regata in Canal Grande brillano per spirito agonistico, ben determinate ad arrivare per prime al traguardo. Sono tante, tantissime, provengono da ogni latitudine. Braccia poderose a tradire un fisico non proprio femminile – in realtà si tratta di veri e propri veterani del remo over 55 scelti attraverso accurate selezioni –, le Befane si lasciano accogliere dall’abbraccio della folla che festante ne celebra l’arrivo tra cioccolata calda, vin brulè e caramelle, per salutare insieme il nuovo anno e la fine delle feste. ENG They’re many, so many, and they come from every latitude. Dressed in unlikely garments of questionable fashion, the other-than-stunning ladies known as Befane are the protagonists of a surprisingly competitive rowing race on the grand canal. Strong arms over an unfeminine build (have you realized they’re actually men over 55 in full drag?), the Befane give the crowd one more reason to celebrate with hot chocolate, mulled wine, and candy. 6 gennaio 2024 h. 12 Canal Grande, arrivo Ponte di Rialto events.veneziaunica.it

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christmastaste

Alberto Fol Executive chef The Gritti Palace

a cura di Fabio Marzari

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Intervista Alberto Fol

PROFUMO DI NATALE Sin da quando ho iniziato a lavorare al menù, una cosa mi è stata subito chiara: volevo portare le persone nei luoghi dove sono nato, cresciuto, formato. Attraverso questi piatti, volevo raccontare una storia: la mia

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a cucina delle feste è di per sé sontuo-

sa, ricca di elementi preziosi che arricchiscono le tavole imbandite di sapori unici, se poi si tratta della cucina di un albergo, importante e universalmente conosciuto come The Gritti Palace, allora diventa facile parlare di trionfi della tavola. Ho avuto l’occasione, anzi meglio la fortuna, di poter gustare i piatti preparati dall’executive chef Alberto Fol e dalla sua brigata di cucina nel grande tavolo condiviso dell’Epicurean School del Gritti durante una cena a novembre. La carta messa a punto e realizzata da Fol ha saputo esprimere in modo convincente, con una sintesi efficace, i profumi di una passeggiata in montagna uniti ai frutti della terra e a quanto nasconde un bosco, se solo lo si sa guardare con attenzione e rispetto, e anche, in omaggio a Venezia e alla sua Laguna fino al mare, una proposta basata sulla ricchezza ittica. Il suo menù è costruito sulla forza di diversi elementi e illustra non solo la variegata identità gastronomica del Veneto, ma le origini stesse dello chef: nato a Treviso, figlio delle Dolomiti, che a Venezia ha trovato la sua casa o meglio i suoi fornelli in grado di stupire positivamente palati di ogni nazionalità e provenienza. Alberto Fol ha una lunga esperienza professionale e conosce il mondo degli alberghi praticamente da sempre, nipote e figlio di albergatori, apprezza il microcosmo e la babele di lingue e culture che si possono incontrare in un hotel come The Gritti Palace, dove è tornato dopo oltre vent’anni. Proprio al Gritti aveva mosso i primi passi come commis di Celestino Giacomello, allora a capo delle cucine. Non si poteva trascurare l’opportunità di dare voce ad Alberto Fol per un racconto sulla sua cucina di Natale, tra ricordi e proposte blasonate per gli ospiti durante le festività al Gritti. Quali i suoi ricordi di bambino circa la cucina delle feste? I miei ricordi sono legati soprattutto alla montagna e durante le festività non mancava mai la cacciagione e il profumo che arrivava dalla cucina economica alimentata a legna. Ancora adesso, che vivo in pianura, nella mia casa di Mogliano Veneto, quando ho progettato la cucina, ho subito pensato alla stufa economica, secondo me il suo utilizzo per cucinare rappresenta una delle cose più romantiche al mondo, mi piace moltissimo usarla. Solo

la stufa economica, rigorosamente a legna, può regalare quei profumi che derivano dal cucinare ad esempio un cotechino a bassa temperatura, serve molto tempo perché sia pronto e così anche le carni, il brodo. Cucinare sulla stufa a legna mi dà proprio l’idea di casa, di festa. Quei profumi non si ottengono con nessun altro metodo di cottura, né col gas né con l’induzione. Queste cucine economiche un tempo erano abbastanza grandi e ci stavano un mucchio di pentole sopra e il calore veniva distribuito in base alla distanza dal fuoco e di conseguenza anche i tempi di cottura erano diversi. A proposito delle feste natalizie mi ricordo benissimo quando arrivava da noi in montagna un caro amico di mio padre che aveva un ristorante a Venezia con l’automobile carica di ogni tipo di pesce freschissimo. Un tempo, e ho quasi 50 anni, ma sembrano passati secoli rispetto ad oggi, da noi in montagna quasi non si trovava il pesce, che invece ora si trova dappertutto, di ottima qualità e con grande varietà di scelta. Per me il pesce che arrivava direttamente da Venezia significava anche poterlo assaggiare e conoscere nuove ricette, come i bolliti veneziani, la granseola, il granciporro, le cappe lunghe, i moscardini, il baccalà mantecato. Tutto questo pesce veniva preparato per la cena della Vigilia, il pranzo di Natale era tradizionale con i tortellini in brodo di cappone, le carni, gli arrosti, i bolliti con la salsa verde e il cren. Cosa propone il menù delle feste al The Gritti Palace? Abbiamo dei piatti della tradizione natalizia e abbiamo ideato menù differenti per la cena della Vigilia di Natale, per la cena di gala di San Silvestro e per il brunch di Capodanno. Nel periodo delle festività non facciamo mancare per citare alcuni piatti, uno strudel di cappone con la verza, i tortellini, una zuppa di pesce alla buranella, il bollito misto. Proponiamo inoltre l’astice in pasta croccante con una salsa tartara a base di yogurt di capra, che prendiamo in Cansiglio, con zenzero e germogli invernali, e il raviolo “murrina”, ispirato nella forma e nei colori alla lavorazione muranese, fatto con zucca, calamaretti, ostriche e ricci di mare con salse preparate con nero di seppia, il rosso dei ricci, il verde dell’alga spirulina. I pandori e i panettoni a lievitazione naturale che vengono offerti agli ospiti sono preparati da noi con farine


Alberto Fol © Daniele Nalesso

selezionate, così come tutta la pasticceria di cui ci occupiamo direttamente. Io da bambino preferivo il pandoro, in realtà non mi piacevano i canditi che trovavo nel panettone. Adesso che li facciamo in casa, valorizzando al massimo la materia prima con arance, cedri, bergamotto, limoni di agricoltura biologica, è cambiata completamente la percezione del prodotto. Gli stranieri apprezzano molto il panettone, lo chiedono più del pandoro, forse perché è più conosciuto. Per la Vigilia avremo un pralinato alla nocciola con confettura di mandarino e mandorla, invece per la cena di San Silvestro ci sarà un sorbetto un po’ insolito che prepariamo con un rinfresco di panna acida e caviale e poi un fondente al cioccolato Tulakalum e un crumble al caffè Kopi Luwak, quel caffè particolare e molto pregiato che arriva dall’Indonesia, con una composta di lamponi. Chef Fol, quale il suo piatto iconico del Natale? Niente è meglio secondo me dei tortellini, quelli piccoli, in brodo di cappone, magari potendo con sopra una grattata di tartufo! Amo anche i bolliti di carne accompagnati dalle salse e lo zampone con le lenticchie. C’è qualche piatto della cucina estera che pensa si potrebbe proporre per il Natale? Non mi viene in mente nulla che farei mio, su queste cose sono rimasto fermo ai prodotti tipici della nostra tradizione che ancora molti stranieri non conoscono. Preferisco far conoscere e diffondere la nostra cucina. Quello che propongo è un inno alla biodiversità del territorio, dove convivono ambienti e climi diversi. Rispettando la stagionalità posso attingere a una dispensa pressoché infinita di ingredienti e prodotti, che mi offrono la possibilità di lavorare su una proposta solida, centrata, ma anche estrosa e divertente.

C

hristmas cooking is rich enough as it is, but if we are to step

foot in a place where opulence and lavishness are the mot d’ordre, like The Gritti Palace, we shall expect no less than a triumph at every dinner table. Executive chef Alberto Fol presented his latest menu, a beautiful combination of tastes from our hill country to the north and the richness of Venetian seas. The different elements combine perfectly and show the greatest respect for the fruits of the earth. Christmas childhood memories My memories are all about our mountains. First thing coming to mind is certainly game, and the smell of a lit woodstove. Though I live in the plains, now, I wanted a woodstove in my kitchen. There’s nothing like it, it’s so romantic, and I love using it. only woodstoves can give out that smell, can cook a perfect cotechino, can slow cook broth, meat. It just feels like home, like holidays. Woodstoves used to be quite big and could fit several pots and pans atop. Back when I was a kid, eating seafood was unusual in the Alps. A family friend from Venice used to bring us some, and that’s how I got to know all the typical Venetian recipes: boiled fish, crab, squid, cod… that was for Christmas Eve. On Christmas Day, we had a meat menu: tortellini, roasts, boiled meat with all the typical sauces… At the Gritti We will serve both traditional Italian Christmas fare and different menus for Christmas Eve, for New Year’s Day gala, and for New Year’s Day brunch. There will be capon and cabbage savoury pastry, tortellini, fish soup, boiled meat, lobster in crust with goat yogurt tartar sauce, and pumpkin, squid, oyster, and sea urchin dumplings. Pandoro and panettone are homemade, as is all pastry. For Christmas Eve, we’ll add a hazelnut praline dessert with tangerine and almond jelly, while on New Year’s Eve, a sorbet with Tulakalum chocolate and a Kopi Luwak crumble with raspberry jelly. My favourite will always be the tortellini, though, the small ones, bathed in capon broth. Oh, and a few truffle shavings on top! I love boiled meat and zampone with lentils. Some foreign inspiration I am a very traditional person. I’d rather our international guests be acquainted, as much as they can, with the many Italian dishes that are less known. My goal is to be instrumental in the knowledge of these many beautiful recipes. Also, this is a celebration of our biodiversity, our different environments and climates. While respecting seasonality, we have access to a limitless pantry of ingredients and products, which allow me to work on a very solid, focused menu that can also be whimsical and fun. The Gritti Palace Campo Santa Maria Del Giglio, San Marco 2467 www.marriott.com

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THE VENICE VENICE HOTEL 5631 FESTIVE TREATS CANNAREGIO AND

FAMILY

FUN

VENICE (IT)

SWEETS VIN BRULÈ HOT CHOCOLATE

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M’ART

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CANNAREGIO


christmastaste LA TAVOLA DELLE FESTE

Pandoro o panettone, importante non farlo mancare nella tavola delle feste

© La cucina italiana

Di seguito la nostra selezione di campioni della dolcezza in grado di esaltare il profumo del Natale moltiplicando il gusto della tradizione

PANETTONE FATTO PER BENE – TRE MARIE, un panettone solidale che già nel nome “fatto per

bene” include un’attenta e capace realizzazione da parte di Tre Marie, una certezza di bontà, unitamente a una importante funzione sociale nell’acquisto, a favore di EMERGENCY, a sostegno del lavoro nei loro ospedali nel mondo e del diritto alla cura per tutti. La lavorazione prevede tre diversi impasti con l’aggiunta di uvetta sultanina, scorzette profumate di arance siciliane e pregiati cubetti di cedro Diamante, per un gusto pieno, ricco e responsabile.

shop.emergency.it

IGINIO MASSARI, il re dei pasticcieri italiani propone i suoi lievitati in versione tradizionale o con diverse varianti, tutte da acquolina in bocca. Perfetti negli ingredienti e buonissimi per il palato i suoi panettoni o i suoi pandori sono acquistabili online o nei pop-up store delle stazioni ferroviarie di Venezia Santa Lucia o Venezia Mestre. www.iginiomassari.it

MARTESANA, l’autentica tradizione milanese di una

bottega storica. Oltre alla versione tradizionale del panettone meneghino, assai originale è il Panetùn de l’Enzo, cioccolato e albicocca, in cui si incontrano due icone come il Panettone e la Sacher. Una glassa al cioccolato fondente racchiude una farcitura di albicocche in confettura e semi-candite, una vera e propria esplosione di gusto.

www.martesanamilano.com

ALAJMO, una collezione di Natale che si arricchisce e cambia ogni anno con gusti e combinazioni studiati, sperimentati e assaggiati da Max e la sua squadra di pasticceri. Vengono realizzati a mano, uno ad uno, nel laboratorio Mamma Rita partendo da un impasto con lievito madre, una lievitazione in due fasi e l’utilizzo, in alcuni, di olio extravergine di oliva per renderli più leggeri. www.alajmo.it

PERBELLINI, l’Offella d’Oro è il capostipite dei dolci lievitati di Verona, la sua ricetta è datata 1 ottobre 1891. Giovanni Battista Perbellini modificò la ricetta di un dolce tradizionale veronese chiamato “Nadalin” arricchendo la pasta di burro e uova, rendendola quindi più soffice e morbida.

www.perbellini.com

BAGHI’S, il panettone tradizionale fatto lievitare e cotto in

vaso di vetro Weck, con arancio candito e uvetta, prodotto artigianalmente con farina macinata a pietra da grano italiano, lievitazione con solo lievito madre vivo, burro ottenuto per centrifuga e uova fresche a guscio da allevamenti locali, rotte una ad una, separando tuorlo e albume manualmente.

www.baghis.com

GHIGO, passando da Torino nel periodo natalizio da non perdere una delle più fantasmagoriche delizie che possano capitare al palato: la Nuvola, un ricco pandoro ricoperto di crema al burro e spolverato di zucchero a velo. Vale il viaggio! www.pasticceriaghigo.it

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shopping&more Lo shopping più originale a Venezia e dintorni

a cura di Mariachiara Marzari

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XMAS AND THE CITY


REGALI PREZIOSI

CHRISTMAS IS SERVED

Per respirare la magia unica del Natale, un mix di tradizione, luci scintillanti, rosso e oro a perdita d’occhio, verde degli alberi addobbati e vetrine eleganti ricolme di magnifici regali, quell’atmosfera che si respira da Harrods a Londra, alle Galeries Lafayette a Parigi o da Saks e Macy’s a New York, il luogo perfetto a Venezia è il Fondaco dei Tedeschi e come ogni cosa in questa città è davvero unico. Ogni anno l’incanto del Natale si rinnova, quest’anno la sua architettura sapientemente in bilico tra antico e contemporaneo (restauro di Studio OMA/Rem Koolhaas) si trasforma in una fabbrica incantata. Tra cloche e vassoi ricchi di delizie i visitatori troveranno un mondo nuovo e goloso, dove moda, accessori, bellezza, design e gioielli si fondono in una sinfonia di gelatine, cioccolato e candy, un’esperienza unica che va oltre lo shopping. Nel segno dei tempi, tutti i materiali utilizzati per ricreare la calda veste natalizia del Fondaco sono sostenibili e le luci rigorosamente a basso impatto, illuminando in un abbraccio avvolgente tutti gli spazi e in particolare la corte e la sequenza di archi dell’edificio cinquecentesco. L’esperienza dello shopping è connotata dall’alta artigianalità, in equilibrio tra arte, design e tradizione. La proposta è ineguagliabile: dai migliori marchi della moda, della gioielleria, dell’orologeria e del beauty, con una esclusiva “galleria delle fragranze”, agli oggetti iconici di home decor e alla grande varietà e altissima qualità dell’offerta food, con panettoni di alta pasticceria, i vini più prestigiosi e molto altro. Fondaco dei Tedeschi, Rialto, Campo San Bortolomeo | www.dfs.com/it/venice

CHRISTMAST M’ART

In linea con la filosofia di The Venice Venice Hotel, uno stile veneziano inedito e assolutamente contemporaneo con architettura, moda, arte e design che si fondono tra loro per raccontare la storia delle avanguardie più influenti nel panorama artistico internazionale del secolo scorso. Un nuovo hotel che diventa da subito attore principale in città per il suo carattere metropolitano e internazionale, per lo stile unico e una visione che è stata chiamata post-venezianità o stile post-veneziano, a raccontare la Venezia di domani. Diverso nella filosofia e nell’offerta ma al tempo stesso luogo aperto alla città, non solo agli ospiti, ha al suo interno un originalissimo shop con pezzi unici di moda e design che si è trasformato ora in un autentico Christmas M’Art. Oggetti, abiti, giocattoli, libri, profumi di produzione diretta Venice Venice, con una selezione di altre aziende e piccole produzioni principalmente di artigianato che offrono una versione originale e urbana dei mercatini natalizi, dove originalità e unicità sono ingredienti fondamentali. The Venice Venice Hotel, Cannaregio 5631 | venicevenice.com

MERRY FABRICA

Fabrica, centro di ricerca per la comunicazione di Benetton Group, apre le sue porte per Merry Fabrica. Un Pop up Christmas Market unico nel suo genere, che quest’anno raddoppia, non più un giorno solo ma due, sabato 16 e domenica 17 dicembre dalle 10 alle 22. Shopping, workshop per grandi e piccini, musica dal vivo, street food e tanta creatività immersi nella bellissima architettura di Tadao Ando. L’evento è un’occasione imperdibile per quanti vogliono andare alla ricerca di idee regalo letteralmente originali e uniche, circondati dalle atmosfere sospese della bellissima architettura di Tadao Ando. Qui non c’è niente di tradizionale, il Christmas market lo fanno i makers – secondo il gergo dei fabricanti – cioè coloro che sono stati selezionati per partecipare, tutti con un’attenzione particolare all’uso responsabile dei materiali e con il denominatore comune dell’originalità, dell’unicità e dell’artigianalità. Molto ampia l’offerta dei prodotti: abbigliamento, bijoux, accessori moda, arte floreale, articoli per bambini, oggetti di design e di arredo, stampe d’artista, illustrazioni, libri, prodotti biologici, semi per l’agricoltura urbana. Tra tutti il Fabrica Store, con produzioni numerate di artisti del network di Fabrica. Merry Fabrica ha tutti gli ingredienti di un originalissimo Christmas Party: la musica live e lo street food ad altissimo tasso di originalità. Fabrica, Catena di Villorba (Treviso) | www.fabrica.it

I notiziari televisivi amano rispolverare nel periodo natalizio l’espressione: “corsa ai regali”. Vorremmo, almeno nel caso di Venezia che ci fosse una corsa sì, ma in vaporetto, per raggiungere l’isola della Giudecca, dove fino al 21 dicembre EMERGENCY ha creato nella sua sede un temporary shop con prodotti artigianali provenienti dai Paesi in cui l’Associazione opera ed è presente o da realtà solidali che collaborano con la Ong. Dai cesti e tessuti dall’Uganda agli accessori realizzati con materiali di riciclo, dai dolci natalizi preparati nella casa circondariale di Ragusa, alle magliette dell’associazione. Per chi cerca l’originalità a tutti i costi le proposte di Vagamondi con il progetto nato in Sri Lanka che produce materiale da cartoleria a partire dagli escrementi degli elefanti. Solo per citare alcune delle numerose, originali e solidali proposte. EMERGENCY ha ideato anche delle idee-regalo virtuali: basta infatti un contributo online ed è possibile sostenere direttamente il lavoro dell’associazione in Italia e nel mondo, con l’acquisto di giubbotti-salvagente per la nave Life Support, di farmaci e materiale sanitario per un neonato in terapia intensiva in Afghanistan, una visita medica gratuita a un paziente nel politruck, l’ambulatorio mobile di EMERGENCY aperto a tutti per visite gratuite in Italia, pacchi spesa per un mese, beni di prima necessità per una famiglia. EMERGENCY Venezia Giudecca 212 shop.emergency.it

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26 dicembre a Venezia

Dal 1947 in Italia il 26 dicembre, Santo Stefano, è diventato festivo con lo scopo di prolungare di un giorno il ponte di Natale, diventando tra le festività la giornata per eccellenza più rilassante e distesa. I pranzi e le cene in famiglia dei giorni precedenti (il 26 dicembre al massimo si consumano gli avanzi) si sostituiscono con passeggiate, sciate o attività all’aria aperta, visite ai parenti, giochi – tra tutti la tombola – e l’immancabile cinema. Noi, dopo aver percorso Venezia alla ricerca delle più belle Natività e presepi tra chiese, scuole e collezioni e aver seguito la stella cometa alla ricerca delle raffigurazioni dei Re Magi (Epifania), quest’anno abbiamo voluto raccontare la storia di Santo Stefano e naturalmente offrire un nuovo percorso di scoperta tra arte, leggenda e tradizione. Seguiteci!

SANTO STEFANO, CARPACCIO E IL DOGE

christmastrekking a cura di Franca Lugato


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Chiesa di San Giorgio Maggiore

Scuola di Santo Stefano


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VITTORE CARPACCIO 1_Santo Stefano e sei suoi compagni consacrati diaconi da san Pietro, 1511, Berlino, Gemäldegalerie 2_Predica di Santo Stefano, 1514, Parigi, Louvre 3_Disputa di Santo Stefano, 1514, Milano, Pinacoteca di Brera 4_Lapidazione di Santo Stefano, 1520, Stoccarda, Staatsgalerie

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STORIE DI SANTO STEFANO


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L

cata a Santo Stefano è stata fissata al 26 dicembre, subito dopo la nascita di Gesù, proprio per metterne in evidenza la sua vicinanza. Stefano è infatti il primo martire della cristianità, più comunemente definito il “protomartire”, cioè il primo cristiano ad aver dato la vita per testimoniare la propria fede in Gesù Cristo e per la diffusione del Vangelo. A Venezia il culto per questo Santo è ben rappresentato, non solo dalla monumentale e bellissima chiesa gotica a lui dedicata proprio in Campo Santo Stefano, sorta alla fine del XIII secolo per volere degli Agostiniani che tanto lo veneravano, ma anche grazie alla tradizione delle sue reliquie giunte a Venezia nel 1110 e conservate sull’isola di San Giorgio Maggiore. Sede di uno dei più antichi monasteri benedettini, completamente ricostruito in forme rinascimentali, la chiesa di San Giorgio è co-titolata a Santo Stefano, come si vede chiaramente in facciata con la presenza delle statue di Giorgio e Stefano entro nicchie e all’interno della chiesa con l’altare a lui dedicato. Era tradizione che il doge il 26 dicembre, tra gli appuntamenti annuali che lo vedevano protagonista, sfilasse in processione per far visita alle reliquie del Santo e che seguisse un “allegro” banchetto che segnava l’inizio del lungo Carnevale di Venezia che durava fino al giorno delle Ceneri. Come spesso accadeva in città il sacro e profano si contaminavano! Ma facciamo un passo indietro e andiamo a riscoprire la storia di Stefano, e per farlo non potevamo trovar miglior narratore di Vittor Carpaccio, storyteller d’eccezione, permettendoci così di omaggiare anche il Maestro e chiudere in bellezza – è il caso di dirlo – il 2023, anno carpaccesco, al quale abbiamo dedicato nutrite pagine di Venews. Il pittore veneziano realizza tra il 1511 e il 1520 il suo ultimo straordinario ciclo di teleri narrativi per la confraternita di Santo Stefano, tra le più antiche associazioni devozionali di Venezia. Fondata nel 1298, la prima sede si trovava all’interno della chiesa degli eremiti agostiniani di Santo Stefano, ma già nel 1437 i confratelli decidevano di dotarsi di una nuova sede eretta di fronte alla chiesa stessa. La composizione sociale di questa

a celebrazione liturgica dedifraterna vide l’emergere nei decenni successivi, in corrispondenza dell’esecuzione della decorazione interna, di un cospicuo nucleo di lapicidi di provenienza lombarda, ed è molto probabile che la sovrabbondanza di architetture, elementi scolpiti, cippi, ninfei, obelischi che costellano i teleri di Carpaccio derivi proprio da queste presenze. Ricordiamo che Stefano è protettore di diaconi, frombolieri, muratori, scalpellini, selciatori, tagliapietre… La decorazione interna della Scuola di Santo Stefano culminò con la realizzazione dei dipinti per la Sala dell’Albergo al piano superiore, un ciclo di cinque teleri di Carpaccio e una pala di Francesco Bissolo (Trittico di Santo Stefano, con Sant’Agostino e San Nicola da Tolentino), che oggi si trova a Brera. Osservando attentamente la facciata dell’edificio di fronte alla chiesa esiste ancora un bassorilievo quattrocentesco murato che riproduce, all’interno di una cornice trilobata, Stefano incoronato da pietre, con il libro e la palma del martirio, suoi inconfondibili attributi, venerato dai confratelli inginocchiati. Le soppressioni napoleoniche non mancarono di smantellare il patrimonio pittorico della Scuola, ora diviso tra diversi musei, ad eccezione di un dipinto andato disperso, ma noto attraverso un disegno del pittore oggi conservato agli Uffizi che raffigura Stefano condotto in giudizio. Carpaccio narra una vicenda spirituale che è alle radici del Cristianesimo, ispirandosi, come spesso faceva, alla Legenda Aurea di Iacopo da Varazze, anche se nei suoi teleri la figura di Stefano ruota attorno al ruolo di predicatore e servitore della chiesa nascente. L’antefatto, narrato negli Atti degli Apostoli, è relativo ai violenti contrasti tra ebrei ellenisti e ebrei palestinesi riguardo al trattamento delle vedove dei greci: per calmare le proteste gli apostoli affidano a sette diaconi, tra cui Stefano, la distribuzione quotidiana di cibo in precedenza assegnata alle vedove. Stefano, dopo la consacrazione a diacono, inizia a compiere miracoli e prodigi che, uniti a una fervida attività predicatoria, scatenano l’invidia degli ebrei che infliggeranno tormenti al giovane Stefano fino all’atroce lapidazione e alla morte.

Nella Consacrazione di Stefano e degli altri diaconi (Berlino, Staatliche Museen) del 1511, il pittore mette in scena l’ordinazione del giovane Stefano da parte di San Pietro attraverso l’impositio manus avvenuta sui gradini del Tempio di Salomone a Gerusalemme, che Carpaccio trasforma in una chiesa cristiana dal sapore classicheggiante, inserita in un contesto che vuole richiamare una città ideale fondata sulle rovine del mondo pagano. Oltre ai sette diaconi e agli apostoli, posti all’estremità destra del tempio, una folla di persone dai bellissimi abiti variegati assiste al rito. Nella Predica di Santo Stefano (Parigi, Louvre) del 1514, il Santo parla alla popolazione di Gerusalemme sopra un antico podio con una mano rivolta verso il cielo sotto lo sguardo assorto di una folla rapita di cristiani, ottomani, mammalucchi e greci. Carpaccio mette in evidenza le doti di Stefano di brillante predicatore del verbo divino. Sembra una statua antica sullo sfondo di una Gerusalemme fantastica. Nella Disputa di Santo Stefano (Milano, Brera) del 1514, forse il più noto della serie, sotto un raffinato portico in stile lombardesco l’abilità di Stefano come oratore è messa alla prova con gli anziani ebrei. Il giovane diacono enumera i punti della discussione con le dita della mano sotto lo sguardo sconcertato degli interlocutori. I bellissimi libri, resi con effetti di magistrale trompe-l’oeil, suggeriscono il tema della disputa accademica, ma sono quei personaggi in toga nera e rossa che colpiscono per la loro realistica presenza, forse sono proprio i committenti del pittore, quei confratelli architetti e scultori lombardi. Nella Lapidazione di Santo Stefano (Stoccarda, Staatsgalerie) del 1520, il Santo, inginocchiato con lo sguardo rivolto verso una visione celestiale, viene condannato per blasfemia e lapidato a morte da una folla inferocita nei pressi di Gerusalemme. Nella scena affastellata da folla abbigliata in abiti ottomani, si nota una figura che siede tra i mantelli dei carnefici in basso a sinistra: è Saulo di Tarso che di lì a poco vivrà la sua conversione al cristianesimo sulle vie di Damasco.


CANDY CANE LANE

Chi ha interpretato Willy Wonka in passato ci ha regalato personaggi indimenticabili, che la gente amerà per sempre. Per questo motivo si trattava di andare oltre, gettare il cuore oltre l’ostacolo Paul King

GALLINE IN FUGA: L’ALBA DEI NUGGET

Dopo 23 anni dal primo film scopriamo che fine hanno fatto Rocky, Gaia e le altre galline. Dopo essere scappati con successo dall’allevamento dei Tweedy in modo audace e rischioso, hanno scoperto un’isola idilliaca, dove l’intero pollaio può vivere in armonia, senza correre alcun rischio a causa degli umani. L’intera popolazione delle galline si trova però di fronte ad un nuovo e minaccioso pericolo sulla terraferma: l’inaspettato ritorno della signora Tweedy. Dal 15 dicembre Netflix

WISH

WONKA

di Paul King (USA) Finora lo abbiamo visto interpretato da Gene Wilder e da Johnny Depp: ora il celebre cioccolataio Willy Wonka torna al cinema grazie a Timothée Chalamet. La regia è di Paul King, che prosegue la sua collaborazione con il produttore David Heyman dopo il successo di Paddington (2014) e Paddington 2 (2017). Il film vuole essere un prequel che narra le origini del personaggio nato dalla penna dello scrittore Roald Dahl, ripercorrendo tutte le peripezie affrontate in gioventù per riuscire a coronare il sogno di aprire una fabbrica di cioccolato. Il film ripercorre la giovinezza di Willy, la cui vita era stata sino a ora un mistero. Viene raccontata la sua infanzia e come un semplice ragazzo sia riuscito a diventare il possessore di un’azienda di dolciumi nota in tutto il mondo, ma soprattutto come, o meglio, dove Willy Wonka abbia incontrato per la prima volta i fidati Oompa-Loompas.

Dal 14 dicembre al cinema 54

La storia di Chris, padre di famiglia ossessionato da un contest locale che ogni anno decreta la casa più bella in termini di decorazioni natalizie. Determinato più che mai a vincere, ogni anno tenta di superare se stesso e le aspettative della sua famiglia, che tuttavia non condivide esattamente il suo entusiasmo. Entrato accidentalmente in uno shop natalizio, Chris incontra Pepper, all’apparenza un’innocua commerciante che gli offre la possibilità di esaudire il suo desiderio più grande… Dall’1 dicembre Prime Video

KIDS

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Film, serie, uscite in sala

a cura di Davide Carbone

Disney ci racconta come è nata la stella dei desideri. Il film è ambientato a Rosas, landa dei desideri dove i sogni possono avverarsi, e ha come protagonista Asha, una ragazza di 17 anni che ha tanto a cuore la sua comunità. Una sera la giovane fa un’appassionata richiesta alle stelle in cielo e il suo desiderio viene esaudito da una forza cosmica, Star, una piccola palla dall’energia sconfinata. Insieme a Star, Asha si batterà contro terribili nemici per mettere in salvo la sua comunità. Dal 21 dicembre In tutti i cinema


FERRARI

di Michael Mann (USA) È l’estate del 1957. Dietro lo spettacolo della Formula 1, l’ex pilota Enzo Ferrari è in crisi. Il fallimento incombe sull’azienda che lui e sua moglie Laura hanno costruito da zero, dieci anni prima. Il loro matrimonio si incrina con la perdita del loro unico figlio, Dino. Ferrari lotta per riconoscerne un altro, avuto con Lina Lardi. Nel frattempo la passione dei suoi piloti per la vittoria li spinge al limite quando si lanciano nella pericolosa corsa che attraversa tutta l’Italia: la Mille Miglia. «Ho cercato di far rivivere le passioni e il fascino di Enzo – spiega Micheal Mann –, la sua arguzia pungente, la devastante perdita del figlio, le sfuriate teatrali, il bisogno di un rifugio emotivo, la tragedia, la monumentale scommessa su una singola gara e la lotta per la sopravvivenza: tutti elementi che sono entrati in collisione in quattro mesi del 1957».

Dal 14 dicembre al cinema

AQUAMAN E IL REGNO PERDUTO di James Wan (USA)

Quindicesimo e ultimo capitolo del DC Extended Universe, il franchise di supereroi provenienti dai fumetti della DC Comics e distribuiti dalla Warner Bros. La sceneggiatura è stata realizzata nuovamente da David Leslie Johnson-McGoldrick, sulla base di un’idea concepita dal regista insieme a Jason Momoa, l’attore protagonista che veste i panni del re di Atlantide. Le riprese del film sono iniziate a gennaio 2022 e hanno avuto luogo in diverse location, tra cui il Regno Unito e la Nuova Zelanda. Sono diversi gli attori che tornano ad interpretare i ruoli del primo capitolo: Jason Momoa a parte, Patrick Wilson torna a vestire i panni di Orm - fratello e nemico di Aquaman - come anche Amber Heard è di nuovo Mera, la regina di Atlantide. Yahya Abdul-Mateen torna a vestire i panni del malvagio Black Manta, mentre Nicole Kidman è la potente Atlanna.

Dal 20 dicembre al cinema

ONE LIFE

di James Hawes (USA) La vera storia di Nicholas Winton (Anthony Hopkins), un agente di borsa britannico figlio di genitori ebrei tedeschi. Negli anni ‘30, l’uomo salvò centinaia di bambini dallo sterminio nazista. Siamo in Cecoslovacchia alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, Winton ha 29 anni e crea un piano di salvataggio, noto come Operazione Kindertransport, che prevede il trasporto di centinaia di bambini tra cui molti ebrei, fuori dal Paese prima dell’inizio del conflitto. Grazie a questa operazione, i piccoli furono nascosti e si salvarono dai campi di concentramento. Nicholas Winton volle reagire all’apatia e all’indifferenza del Governo e riuscì a far scappare un totale di 669 bambini prima che la missione venisse interrotta a causa della chiusura dei confini. Il suo impegno fu riconosciuto pubblicamente solo negli anni ‘80, quando ebbe l’occasione di incontrare nuovamente gran parte degli allora bambini a cui salvò la vita.

Dal 21 dicembre al cinema

IL RAGAZZO E L’AIRONE di Hayao Miyazaki (Giappone)

Ambientato a Tokyo nel 1943, racconta la storia di un ragazzino di dodici anni di nome Mahito. Siamo in piena Guerra del Pacifico e un terribile incendio in un ospedale uccide sua madre Hisako. Suo padre Shoichi si risposa con Natsuko, sua zia. La famiglia decide di trasferirsi e in Mahito cresce il forte desiderio di poter rivedere sua madre. Un giorno, giocando tra le rovine di una torre, il ragazzino incontra un Airone grigio che gli presta le sue piume per costruirsi delle frecce. Quando trova un libro che sua madre voleva regalargli con delle annotazioni scritte da lei, Mahito si interroga a lungo sulla vita e sulla morte, anche parlandone con suo zio. Sarà proprio l’Airone a mostrargli la strada per un mondo fantastico, dove la morte finisce e la vita trova un nuovo inizio…

Dall’1 gennaio 2024 al cinema

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christmasscreenings CINEFACTS

a cura di Marisa Santin

COUCH STORIES Incoerenti consigli per fredde serate in caldo divano

Jurassic World: Dominion

Il terzo sequel della seconda trilogia dell’universo Jurassic Park riporta nel cast i primi protagonisti della saga (Laura Dern, Sam Neill e Jeff Goldblum) e introduce una novità che è figlia dei tempi. I dinosauri ora vivono liberi sulla Terra, sono una specie da proteggere e per loro si invoca un punto di vista “animalista”. Naturalmente questo equilibrio è destinato a spezzarsi.

Dal 4 dicembre | Prime Video

Odio il Natale 2

Torna la serie ambientata tra Chioggia e Venezia che smonta con ironia l’idea del felice Natale. Pilar Fogliati, nei panni di Gianna, è una giovane donna che cerca l’amore nel periodo più critico dell’anno… per chi è solo. Chiara Bono e Fortunato Cerlino fra le nuove aggiunte nel cast.

Dal 7 dicembre | Netflix

The Crown 6 – parte 2

La prima parte si è conclusa con la morte di Diana e Dodi Al Fayed a Parigi. La seconda si concentra su William e sull’inizio della sua relazione con Kate Middleton, ma racconta anche il percorso verso le nozze di Carlo e Camilla. Vero è che tra la quinta e la sesta serie è mancata la Regina Elisabetta e ora The Crown ha tutto un altro sapore…

Dal 14 dicembre | Netflix

Maestro

Diretto e interpretato da Bradley Cooper, il racconto biografico di Leonard Bernstein si concentra sulle vicende che hanno scandito la vita personale e artistica di un gigante della musica, dalle composizioni di opere sinfoniche, jazz e per il teatro di Broadway all’amore della sua vita, l’attivista e attrice costaricana Felicia Montealegre (Carey Mulligan).

Dal 20 dicembre | Netflix

Restrospettiva Aki Kaurismäki In occasione dell’uscita nelle sale del suo ultimo film (Foglie al vento, premio della giuria al Festival di Cannes 2023 e candidato a rappresentare la Finlandia ai prossimi Premi Oscar) MUBI mette a disposizione un’esaustiva rassegna del regista finlandese, da L’uomo senza passato a La fiammiferaia. Un’occasione per scoprire o riscoprire un cineasta dallo stile inimitabile.

Per tutto il mese di dicembre | MUBI 57


christmasbooks

Strenne natalizie, buona lettura!

a cura di Fabio Marzari

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L.

Infanzia. Ma non quella di Tolstoj CasadeiLibri Editore

Un manager di una grande multinazionale, ormai vecchio, decide di lasciare una memoria della sua vita ai figli. Narcisismo o un aiuto per la conferma di una loro identità? Non sappiamo, ma è anche la storia di un secolo ormai scomparso e tra poco dimenticato visto dagli occhi di un bambino. Spostare la memoria un poco in là, oltre l’oblio totale. Questo racconto dedicato all’infanzia, è il primo, di questo manager anonimo seguiranno in successione altre tre porzioni di vita.

MARINO FOLIN

Inventario. Le cose e la casa

Marsilio

Raccontare la biografia di un uomo attraverso gli oggetti. Si sfogliano le pagine come si entra in una casa, ci si accomoda su una sedia, ci si lava le mani in cucina o in bagno, ci si ferma su un divano a osservare Venezia riquadrata dalle finestre. In un mondo in cui tutti siamo portati a dire «io», Marino Folin offre un’autobiografia nella quale stare comodi, sottolineando quanto gli oggetti siano ciò che ci rende umani. Usciamo dal Paradiso Terrestre vestendoci, cioè accumulando oggetti, ed entriamo nell’umano continuando a farlo.

JON FOSSE

MURAKAMI RYÛ

La nave di Teseo

Atmosphere Libri

Melancholia Vol.1-2 1853. Il giovane pittore Lars Hertervig, allievo all’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, è un’anima irrequieta, divisa tra l’insicurezza verso il suo talento e l’amore per Helene Winckelmann, la figlia della sua padrona di casa. L’ossessione di Lars per Helene, accesa da furiosi deliri sessuali, diventa così strabordante da costringere la famiglia della ragazza ad allontanarlo dalla stanza in cui alloggia. Un limbo che, inesorabilmente, lo conduce alla follia, in un labirinto della mente a cui soltanto la sorella maggiore, Oline, può avere accesso. 1991. Uno scrittore trentenne, Vidme, resta affascinato da un quadro di Hertervig e vuole raccontarlo in un romanzo. Ma i tormenti di quel pittore attraversano i secoli e arrivano sulla pagina di Vidme, che dovrà combattere, per scrivere il libro, anche contro i propri fantasmi.

Audition

Aoyama, quarantaduenne regista e produttore di documentari ha perso la moglie a causa di una grave malattia, vive a Tôkyô con il figlio adolescente Shigehiko e decide di risposarsi dietro insistenza di quest’ultimo. Per trovare la compagna ideale, grazie alla collaborazione dell’amico Yoshikawa, accetta di organizzare una falsa audizione e finisce per innamorarsi della ventiquattrenne ex ballerina Asami, travagliata da un’infanzia infelice, per la quale sviluppa una vera e propria ossessione. La sua scelta, apparentemente perfetta, segnerà un’atroce discesa negli inferi della sofferenza.


Vivere senza leggere è pericoloso, ci si deve accontentare della vita, e questo comporta notevoli rischi Michel Houellebecq JIRI WEIL

Sul tetto c’è Mendelssohn Einaudi

Un romanzo corale ambientato nella Praga occupata dai tedeschi. Heydrich ordina di rimuovere la statua di Mendelssohn dal tetto del Conservatorio. Ma l’impiegato del Comune, aspirante SS, non conosce la storia della musica e pensa di buttar giù la statua col naso più grosso. Che è Wagner. Non mancano episodi ben più drammatici, alcuni strazianti. In tutti i racconti del libro si respira un’atmosfera assurda, in cui si può morire per futili motivi o ci si può salvare per un colpo di fortuna. Tutto è aleatorio e slegato da ogni logica.

JACOPO VENEZIANI

La Grande Parigi 1900-1920. Il periodo d’oro dell’arte moderna Feltrinelli

Ottobre 1900. Dopo un viaggio di trenta ore, due giovani artisti arrivano alla Gare d’Orléans, carichi di bagagli e attrezzi del mestiere, ma soprattutto di sogni. Si chiamano Pablo Picasso e Carlos Casagemas. Fuori li aspetta, immensa ed elettrizzante, Parigi, il luogo in cui ogni artista vuole essere. Ovunque rimbomba il brulicare minaccioso ed eccitante della grande metropoli, con le sue luci, i teatri e i locali notturni, ma anche con le sue librerie e le nuove gallerie d’arte. Un viaggio che ci conduce dal 1900 al 1920, anni di straordinario fervore culturale e indicibile catastrofe. In compagnia di artisti come Picasso, Matisse, Modigliani, Soutine, Chagall, Brâncusi, di singolari poeti come Guillaume Apollinaire, Max Jacob e Jean Cocteau, di eroine silenziose come Berthe Weill, Fernande Olivier e Jeanne Hébuterne.

AA.VV.

VERONICA RAIMO

Exorma

Einaudi

Buon Natale Perfidia I racconti di Natale più comici, surreali, intensi, strampalati, perturbanti, ironici, graffianti e paradossali. Si narrano Natali inaspettati, per lo più comici, esilaranti, svagati, poetici, ma anche cinici, problematici o addirittura perturbanti. Ventitré racconti e ventitré illustrazioni tra Babbi Natale precari, imprese dannunziane, fantasmi salutisti che scrivono, crisalidi natalizie e cronisti inaffidabili (cosa è successo veramente la notte in cui è nato Gesù?). Agli autori e alle autrici di questi racconti non manca una buona dose d’ironia e quella lucidità che permette di osservare la realtà nelle sue contraddizioni andando oltre l’ordine rasserenante e conciliante delle cose.

La vita è breve, eccetera Durante una scossa di terremoto una donna si trova a letto con un uomo, ma quello non è il suo letto e lui non è il suo fidanzato. Inizia così uno di questi undici racconti irriverenti, comici e amari insieme. Una scrittrice in crisi cede alle richieste via via più insidiose dell’anziana vicina, con inaspettate ricadute sul suo romanzo. Una promessa della danza scopre con il suo maestro le possibilità del proprio corpo, e del proprio piacere. Mentre un aereo si schianta contro un grattacielo, una ragazza di «bella presenza» ma dai denti strani progetta la fuga dalla villa degli zii, ben difesa da una schiera di nani da giardino, e da un arsenale di armi nell’armadio. Eccetera...

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La colonna di Capo Sunio a Venezia

storie

UN BASTIMENTO CARICO DI...

A. Zatta, Carta della Grecia e dell’arcipelago, 1788, part. Evidenziato Capo Sunio, qui denominato Capo Colonni

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Mise a profitto il Casoni quei tronchi ch’erano adatti, gli uni soprapponendo agli altri sormontati da un capitello e li rimanenti, che per qualsiasi motivo non potevansi utilizzare, servirono a basamento della colonna stessa E. A. Cicogna, Delle Iscrizioni veneziane di Camillo Tonini

N

ell’autunno del 1826 dall’Egeo giunse a Venezia “Il Giusto”, un brick (bricco) da traspor-

to comandato dall’Alfiere Vito Celigoi con il pesante carico di rocchi di una colonna prelevati dal Tempio dorico di Poseidone a Capo Sunio, eretto nel V secolo a. C. sul promontorio meridionale dell’Attica. Questo luogo denominato nelle carte nautiche e geografiche dell’epoca anche come Capo Colonna/e per le residue colonne ben visibili dal mare, era un valido punto di orientamento per le numerose imbarcazioni dirette a Egina e Atene e per quelle che incrociavano sulle rotte tra il Peloponneso, l’arcipelago greco e le coste turche. “Il Giusto” faceva parte della flotta austro-veneta con base a Venezia, residuo dell’Armada Serenissima passata alla fine della Repubblica all’Imperial Regio governo asburgico e comandata dal Viceammiraglio Amilcare Paolucci, Marchese delle Roncole. Questi, di nobile famiglia modenese, al servizio della Marina napoletana fino al 1799, poi di quella francese, con cui aveva combattuto la pirateria in Mediterraneo e gli inglesi, era stato incaricato dal 1806, nel periodo del Regno d’Italia, della riorganizzazione dell’Arsenale di Venezia e dei porti adriatici. Dal 1814 l’alto ufficiale veniva integrato nella Marina austro-veneta della quale, con brillante carriera, divenne comandante in capo ininterrottamente dal 1824 al 1844. Ai tempi dell’arrivo della colonna da Capo Sunio, pur dichiarandosi neutrale nei confronti del conflitto greco-turco, la squadra navale veneziana incrociava nell’Egeo guidata dalla nave ammiraglia “Bellona”. Il compito strategico era quello di difendere gli interessi commerciali della Casa d’Austria, sostenendo la flotta turca con rifornimenti di munizioni e viveri e, con sequestri e rappresaglie, di reprimere nelle popolazioni elleniche i focolai rivoluzionari accesi fin dal 1821 per la lotta d’indipendenza dal dominio ottomano. In questo contesto storico si inserisce l’azione di Paolucci: prelevare una colonna di Sunio tra quelle già a terra collassate nel 1825, imbarcarla e portarla a Venezia. L’impresa non era dettata da nobili sentimenti culturali e di conservazione come quelli che, nel solco della grande tradizione dello Statuario Veneto e delle prestigiose collezioni nobiliari della Serenissima, ispiravano i collezionisti veneziani del primo Ottocento, quali Giacomo Nani, Giovanni Davide Weber, Teodoro Correr, Emanuele Cicogna, Giannantonio Moschini, per citare solo i più noti. Le motivazioni che avevano indotto Paolucci alla profanazione del monumento della Grecia antica andavano cercate, piuttosto, nella consuetudine militare di procacciarsi trofei di guerra nelle azioni belliche da vantare poi in patria a futura propria immortale memoria. D’altra parte anche la flotta francese, ma specialmente quella inglese, che navigavano per quei mari nello stesso periodo, non si astennero da atti di saccheggio di reperti di antichità classica, a volte e in parte risarciti sotto la forma di modestissimi acquisti. Anche lo stesso Tempio di Poseidone era già stato privato di alcune sue parti di pregio, prima dell’azione del Paolucci. L’esempio era partito all’inizio del secolo e in particolare da come erano andate le cose per il Partenone di Atene, quando il diplomatico inglese Thomas Bruce conte di Elgin, con più acume culturale, ma con non meno cinismo, aveva imbarcato per l’Inghilterra le metope dell’insigne monumento greco, con statue e altri marmi decorati dell’Acropoli ateniese, per cederle poi al British Museum di Londra, aprendo da allora un contenzioso internazionale tra i due Stati non ancora risolto. Ma ritorniamo alla nostra storia. Il bastimento di Celigoi sbarcò il suo pesante carico in Arsenale senza che fosse stato ancora stabilito quale potesse essere la destinazione e il reimpiego della colonna in Venezia. Il rocco inferiore già allora mostrava segni dell’imbragatura sulla circonferenza, danneggiata durante le operazioni di carico o scarico. I perni di legno – i duroni –, che servivano a tenere saldamente sovrapposti i rocchi della colonna, vennero raccolti da Giovanni Casoni – architetto dell’Imperial Regia Marina, ingegnere idraulico, appassionato cultore di archeologia – che aveva pubblicato i disegni nella sua Guida per l’Arsenale di Venezia, edita nel 1829, con dedica in prefazione ad Amilcare Paolucci, e affidati al canonico Giannantonio Moschini perché li conservasse tra le altre memorie nel Museo del Seminario alla Salute.

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storie CAPO SUNIO LA COLONNA

La colonna del Tempio di Poseidone a Capo Sunio nel giardino della Palazzina Briati a Venezia

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G. Pavan, Ricostruzione grafica della colonna originale del Tempio di Poseidone e di quella conservata a Venezia

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storie CAPO SUNIO LA COLONNA

Il Tempio di Poseidone a Capo Sunio in una stampa dell’Ottocento

Il sito archeologico di Capo Sunio

Dallo stesso Casoni, sostenuto da Giovanni Davide Weber, imprenditore e antiquario di origine tedesca, ma naturalizzato veneziano, venne avanzata la proposta di porre la colonna davanti alla porta monumentale dell’Arsenale accanto ai due leoni di Delo portati a Venezia da Francesco Morosini. Si intendeva così celebrare l’Imperatore d’Austria Francesco I e mostrare un segno tangibile dei successi navali ottenuti dalla squadra veneta nel Levante. Il progetto però non ebbe seguito e qualche tempo dopo, nel 1830, Paolucci ordinò a Casoni di trasferire i rocchi nel giardino del suo palazzo, già della famiglia Erizzo, che sorgeva sul canale adiacente la chiesa di San Martino e lì rimontare la colonna. «Mise a profitto il Casoni quei tronchi ch’erano adatti, gli uni soprapponendo agli altri sormontati da un capitello e li rimanenti, che per qualsiasi motivo non potevansi utilizzare, servirono a basamento della colonna stessa». Suona così la testimonianza diretta riportata nelle sue Iscrizioni Veneziane da Emanuele Cicogna, il dotto erudito veneziano che aveva seguito da vicino tutta la vicenda, la quale dall’aulico pubblico intento celebrativo aveva oramai preso più banalmente un risvolto del tutto personale. Questa prima ricostruzione non durò però a lungo, perché qualche tempo dopo la fortuna di Paolucci declinò, accusato di non essere intervenuto con la necessaria energia a debellare i sentimenti patriottici indipendentisti diffusi tra i suoi ufficiali, alcuni dei quali iscritti alla Carboneria e alla società segreta Esperia. Tra questi i fratelli Bandiera; in particolare il più giovane, Emilio, addirittura all’epoca prestava servizio come aiutante del Paolucci e, dallo stesso autorizzato a leggere la posta d’ordinanza, era riuscito a intercettare un messaggio dell’Alto comando con il quale veniva ordinata la sua cattura. Questo gli permise di fuggire e mettersi in salvo. Paolucci, per ciò inquisito, fu costretto a un rapido e anticipato pensionamento a seguito del quale lasciò Venezia per ritirarsi nel 1844 nel castello del Catajo nei Colli Euganei, dove finì i suoi giorni un anno dopo. Da allora il palazzo Erizzo passò di proprietà ad Angelo Busetto, detto “Bubba”, ricco commerciante, il quale acquistò nel 1855 l’area dove c’era la fabbrica di vetro e cristalli di Giuseppe Briati, sulla fondamenta che ora prende il suo nome, nei pressi della Chiesa dei Carmini. Qui vi costruì un «elegante casino con giardino con rimasugli di greche e romane antichità. Fra queste sono alcuni ruderi di

Il promontorio di Capo Sunio visto dal mare

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Ritratto di Amilcare Paolucci, Viceammiraglio della Marina Austro-Veneta

una greca colonna scannellata portata a Venezia dal Viceammiraglio Amilcare Marchese Paolucci». Questa ancora la testimonianza di Emanuele Cicogna apparsa nel 1863, dove egli stesso proponeva, ritenendo il tempio di Poseidone dedicato a Minerva, di affiggere una lapide, peraltro mai realizzata, che ricordasse l’intera storia. DAL TEMPIO DI MINERVA AL CAPO SUNIO AMILCARE MARCHESE PAOLUCCI VICEAMMIRAGLIO COMANDANTE SUPERIORE DI MARINA E DELLA VENETA SQUADRA IN LEVANTE QUESTE RELIQUIE IN VENEZIA PORTATE NEL MDCCCXXVI E NEL PROPRIO GIARDINO A S. MARTINO ERETTE NEL MDCCCXXX ANGELO BUSETTO BUBBA DELLE PATRIE COSE AMANTISSIMO IN MEMORIA DI QUELLA ILLUSTRE SPEDIZIONE QUI RIPONEVA NEL MDCCCLXII Da allora la colonna del Tempio di Poseidone venne per lungo tempo dimenticata, non oggetto di studio né segnalata dalle guide turistiche, perché confinata in uno spazio privato e ricoperta dalla rigogliosa vegetazione di una pianta di glicine. Si deve la sua ‘riscoperta’ a Luigi Beschi, insigne archeologo, formatosi all’Università di Padova e passato poi come professore ordinario di Archeologia e Storia dell’arte greca e romana in diverse università italiane, prima di approdare alla Scuola archeologica italiana di Atene. In un suo articolo apparso nel 1972 – Disiecta membra del tempio di Poseidon a Capo Sunio – oltre a ricostruire la storia dell’importante reperto veneziano, ha dato notizia di un’altra colonna dello stesso tempio e sottratta nello stesso periodo, che venne trasportata dall’ammiraglio inglese sir Augustus Clifford nel parco del Duca di Devonshire a Chatsworth. Un altro rocchio sempre appartenente allo stesso complesso monumentale è stato rintracciato al British Museum.

Ritratto di Giovanni Casoni, Direttore delle Fabbriche Marittime e dei Lavori Idraulici nell’I.R. Arsenale di Venezia

Attualmente la colonna è all’interno del giardino della Palazzina Briati, area pubblica dove ha sede un Istituto dell’Università di Ca’ Foscari. Si presenta montata su base con cinque rocchi sovrapposti invece degli otto originari, mancando del primo elemento e, come risulta evidente nella ricostruzione grafica, per la mancanza di continuità lungo il profilo verticale rastremato, di altri due elementi tra il secondo e il terzo rocchio e tra il quarto e quinto. Sopra la base del capitello dorico è stato collocato un incongruo leone ottocentesco. Motivo di interesse sono tre scritte sulla pietra, incise dagli equipaggi di alcuni bastimenti di passaggio a Capo Sunio: ZEPHIR Bric Du ROI 1816; AUNE 1814; FLEUR DE CHEVALIER 1822.

PER SAPERNE DI PIÙ G. Casoni, Guida per l’Arsenale di Venezia, G. Antonelli, Venezia 1829, ristampa a cura di P. Ventrice, Cierre Edizioni, Verona 2011 E. A. Cicogna, Delle Iscrizioni Veneziane, Vol. VI, part. II, Giunte finali, p. 952, Venezia 1863 L. Beschi, Disiecta membra del tempio di Poseidon a Capo Sunio, in “Annuario della Scuola Archeologica di Atene e delle Missioni italiane in Oriente”, Vol. XLVII-XLVIII (1969-1970), Poligrafico dello Stato, Roma 1972. In appendice allo stesso articolo di G. Pavan, Osservazioni tecniche sulla colonna suniese di Venezia I. Favaretto, Collezioni di antichità e cultura antiquaria a Venezia e nel Veneto al tempo della dominazione austriaca, in Il Veneto e l’Austria, cat. mostra a cura di S. Marinelli, G. Mazzariol, F. Mazzocca, Milano, 1989 A. Zorzi, Marinai sotto altre bandiere, in Storia di Venezia, Vol. XII, Il Mare, a cura di A. Tenenti, U. Tucci, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1991 G. Dissera Bragadin, La marina Veneta dal 1797 al 1849, Venezia 2010

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VOCE DEL VERBO ABITARE

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Il Premio Pietro Torta per il restauro di Venezia viene assegnato, sulla base dello statuto, a soggetti che si distinguono nel promuovere o realizzare importanti interventi di restauro e recupero del patrimonio architettonico, ambientale o infrastrutturale di Venezia. Rilevando il ruolo e la responsabilità sempre maggiori delle comunità nell’esprimere istanze consapevoli e percorrere soluzioni sostenibili, facendosi soggetti attivi dei processi di rigenerazione e di manutenzione continua delle città, il Premio viene assegnato a tutti i Cittadini veneziani che con ordinaria straordinarietà si impegnano quotidianamente per mantenere Venezia città viva e attuale. Premio “Pietro Torta” per il restauro di Venezia 2023 (motivazione)


© Ateneo Veneto

di Massimo Bran

P

remio Torta, 37. edizione. Un premio, come molti di voi

sapranno ma che non è mai tempo perso ricordare, istituito dall’Ateneo Veneto nel 1974 in memoria dell’ingegner Pietro Torta, appassionato cultore dell’opera di restauro del patrimonio edilizio della città, al fine di riconoscere l’importante opera di vari soggetti distintisi nel promuovere o realizzare interventi di rilievo nel restauro e nel recupero del patrimonio di Venezia. Lo scorso 25 novembre, sempre all’Ateneo Veneto, la Commissione premiante ha deciso quest’anno di assegnare questo credibile riconoscimento niente di meno che, ‘semplicemente’, a una comunità, ai cittadini veneziani che più o meno tenacemente persistono a dirsi e ad essere tali in una città che di civitas ha sempre meno. Le esemplari parole, non saprei davvero definirle in altro modo, che la Presidente della Commissione del Premio Maura Manzelle ha utilizzato per descrivere nel discorso di assegnazione del Premio, che qui di seguito pubblichiamo dovutamente e convintamente per intero, restituiscono il senso vivo di questo riconoscimento nel segno della quotidiana concretezza. Una semplice, asciutta parola, eterno e costitutivo verbo del nostro esistere in questo Pianeta, restituisce a nostro avviso la sintesi stringente del senso profondo di questa riflessione: abitare. Ci sembra che l’intera, articolatissima argomentazione di Maura Manzelle giri tutta intorno a questo dato direi esistenzialmente primordiale dell’homo sapiens che intende vivere tra i suoi simili, facendosi insieme ad essi comunità. Abitare, sì. Aggiungeremmo l’impresa di abitare in una città che per cifra urbana,

storica, sociale, economica, culturale da sempre ha fatto dell’abitare il dato costitutivo della propria identità proprio per la complessità di questa dimensione dello stare al mondo, qui particolarmente esaltata dalla conformazione fisica e urbana di una città altra, quando in luoghi per così dire “normali” questa stessa dimensione è regolata da grammatiche assai più elementari o, per meglio dire, “canoniche”, semplificando, s’intende. Abitare è la parola chiave di questo Premio Torta 2024 perché è lemma che rimanda al quotidiano di tutti coloro i quali vivono, attraversano, respirano questa città, senza steccato alcuno tra nativi, acquisiti, ospiti temporanei, e facendolo la trasformano con azioni di pura resilienza, interventi che non possono che disporsi dialetticamente al cospetto di un fragile equilibrio millenario e proprio per questo sorprendentemente resistente. Ci piace credere, per chiudere, che questo Premio non cerchi consolazioni retoriche guardando alle solite minoranze virtuose, bensì che rappresenti oltre un oggettivo riconoscimento per chi davvero quotidianamente cesella l’idea sostenibile dell’abitare in questo luogo unico, anche e soprattutto un invito, in particolare verso l’alto a questo punto, alla luce della quasi irreversibile erosione dei presupposti propriamente abitativi della città, a crederci, a spendersi per rendere sempre più diffuse e percorribili le opportunità abitative a Venezia. Dove l’abitare non significa esclusivamente trovare un tetto dove potersi riparare dignitosamente, bensì più estesamente vivere questa città come va davvero vissuta, ossia da città, con tutte le sue articolate attività, occasioni, energie. In forma e sostanza altamente normali.

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PREMIO TORTA PER IL RESTAURO 2023 MAURA MANZELLE

Per un progetto di restauro e innovazione Intervento di Maura Manzelle Ciclicamente – spesso a seguito di grandi eventi metereologici con conseguenti disastri o in tempi recenti a fronte di numeri impressionanti di visitatori – riprendono gli accorati appelli che segnalano la preoccupante condizione di rischio in cui versa Venezia e che richiedono azioni volte a “salvarla”. Le questioni di fondo appaiano ricorrenti e appartengano ormai all’idea che la comunità internazionale ha di Venezia, delle sue problematiche ma anche del suo fascino decadente: il rapporto con le condizioni ambientali particolarmente severe nei confronti della durabilità dei materiali, la scarsa utilizzabilità dei piani terra degli edifici che non sia quella commerciale, la necessità di un’azione costante di controllo di un ambiente fortemente antropizzato quale quello lagunare, lo spopolamento, l’abbandono della città da parte delle attività produttive, e così via. Questo modo di leggere le indubbie fragilità della città in funzione di un bisogno di salvezza deve portarci a riflettere su questo concetto – “salvezza” – chiedendoci da cosa-da chi, per chi, oltre ovviamente come pensiamo Venezia debba essere salvata. Non dobbiamo “salvare” la città dalla trasformazione, soprattutto se leggiamo questo elemento insito nella sua storia come condizione connaturata al suo esistere e al suo continuare ad esistere, con dinamiche che hanno modificato non solo i suoi edifici, o l’organizzazione urbana, ma l’intera sua estensione, sedime, forma, e l’ambiente: potremmo dire che la resilienza, nel senso di capacità di un sistema a qualsiasi scala di accogliere i cambiamenti, reagendo e agendo per adattarsi al mutamento, è stata sperimentata qui da tempo immemore, ma forse il concetto non è sufficiente ad affrontare le nuove sfide. Infatti, già molte riflessioni sviluppate su Venezia nel corso del ‘900 – da Le Corbusier ai docenti dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, alle Scuole CIAM, a architetti, urbanisti, storici, economisti di rilevanza internazionale – hanno inteso favorire la visione di una città “viva” proprio quando si iniziava a pensare a come preservarla, spostando l’attenzione dal restauro di singole architetture monumentali alla considerazione dell’unità del centro storico come fatto spaziale e sociale complesso e unitario. Non dobbiamo neppure salvare la città da chi non vi risiede: città di mercanti, di scambi, di innovazione, Venezia non ha mai fondato la sua identità sull’esclusione – forse sulla gestione delle diversità e delle specificità – e oggi inoltre la società in cui viviamo richiede di pensare in modo maggiormente complesso al concetto di “cittadino” includendo diverse accezioni: coloro che frequentano la città con stabilità o per periodi; che la abitano per periodi più o meno lunghi; che lo fanno per motivi familiari, o lavorativi, o di studio; che la abitano per scelta; che la frequentano per turismo ed ancora sarebbe necessario esaminare nel dettaglio le varie declinazioni possibili del turismo; e così via. A questa complessità sarebbe necessario prestare maggiore attenzione e approfondimento, sviluppando la distinzione tra “residenti” e

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“non residenti” nella valutazione della profonda differenza dei servizi richiesti, ma evitando una polemica che per alcuni tratti appare sterile e anacronistica, e principi di esclusione di un tipo di abitante a favore di un altro, ricominciando a parlare di mixité come di una risorsa e di processi di uso compatibile della città o, meglio, di come “abitare” in senso lato la città, favorendo le condizioni dello “stare qui” in considerazione di un grande patrimonio immobiliare sottoutilizzato o inutilizzato. Forse semplicemente non dobbiamo salvare Venezia, nel senso di sottrarla da una condizione di pericolo – ovviamente tralasciando in questa sede gli oggettivi pericoli ambientali che richiedono interventi su grande scala –, ma comprendere maggiormente le dinamiche contemporanee e consentire alla città di assumere all’interno di queste un ruolo appropriato. Ma un altro quesito è necessario porsi per stabilire l’obiettivo del nostro agire: si tratta ancora di una “città”? Quali sono le condizioni affinché una città sia una città e non altro – ad esempio una rovina archeologica, un parco a tema, un set cinematografico, una meta del turismo di calamità, e così via? L’etimologia ci indica il termine città dal latino civı̆tas-atis “condizione di civis” e “insieme di cives”: il suo essere luogo di abitanti è quindi una condizione basilare, la città deve essere abitata per essere tale. Il termine abitare a sua volta ci consente di riflettere – chiudendo il cerchio – sul concetto di appropriatezza del ruolo della città prima accennato, richiamando le comuni radici con il termine abito, ciò che più ci aderisce e si conforma al nostro corpo: il concetto stesso di abitare stabilisce un nesso imprescindibile tra contenuto e contenente – tra cives e civitas, tra abitanti e città. Rapporto, quello tra una città e i suoi abitanti, che ha caratteri tanto materiali che immateriali, ma che definisce l’una in relazione all’altro. Il ripristino – non si può più parlare di mantenimento, forse siamo già oltre – delle condizioni per cui Venezia possa essere ancora considerata una città passa quindi attraverso la possibilità di abitarla, di viverla, ognuno con motivazioni diverse, tempi diversi, modalità diverse, ma tutte concorrenti a dinamiche appropriate alla necessaria mixité e alla particolare, oggettiva, fragilità della città. La domanda «per chi intervenire?» ha già qui una possibile risposta: per i suoi cittadini. Come intervenire a Venezia ha – da sempre – richiesto capacità specifiche, innovative, di altissimo livello: nulla in città può essere fatto in modo scontato, non gli interventi strutturali, non il riuso dell’esistente, non le nuove costruzioni, non gli aggiornamenti impiantistici per adeguare gli edifici alle richieste odierne di comfort e alle condizioni di conservazione delle opere d’arte, non le opere per consentire la frequentazione ad un’utenza allargata, priva per quanto possibile di barriere architettoniche, non i trasporti privati, non i trasporti pubblici, né quelli delle persone, né quelli delle merci. Ma Venezia è anche la città ove i bambini possono uscire da soli, non vi sono code da fare in auto, qualunque punto è raggiungibile a piedi o con un tra-


ghetto: la città ha sempre ripagato gli sforzi dei suoi abitanti con una altissima qualità della vita, fatta di elementi materiali e immateriali in una simbiosi unica. Chiunque si soffermi a riflettere su una attività quotidiana non trova l’equivalente nel modo di farlo a Venezia e per questo in molti ambiti è stata e viene ancora oggi assunta come città-laboratorio, caso estremo che può concorrere a risolvere problematiche altrove presenti anche se in modo diverso, oltre che emblema del confronto tra fragilità di un centro storico e pressione delle dinamiche contemporanee: anche la richiesta di sostenibilità ha avuto qui un primo terreno di prova. Per contro, appunto, è necessario che tutto sia pensato per questa specifica situazione, ma non solo: è anche necessario che tutte le azioni che in questa città si attuano – azioni esperte di amministratori, gestori, professionisti, o azioni dei cittadini – si compongano ad affrontare situazioni che presentano fattori mai affrontati prima. Infatti le dinamiche turistiche sono mutate e lo sono i numeri di afflusso; anche le modalità produttive sono mutate e possono trovare in città solo alcuni innovativi sviluppi; il numero di lavoratori dediti a professioni qualificate è basso in relazione alle medie regionali e quindi è necessario ripensare a quali tipi di lavoro attivare in città; i motivi dello spopolamento sono nuovi; le richieste di comfort sono mutate e i cittadini hanno diritto di vedere soddisfatte le loro aspettative; sono necessarie nuove politiche per la residenza e quindi alloggi, servizi, trasporti adeguati; le condizioni climatiche stanno cambiando, così come quelle ambientali. È quindi necessario assumere, per quanto Venezia possieda una connatura resilienza e molto sia stato fatto, che le dinamiche in atto hanno un carattere di novità e richiedono quindi una attenzione nuova, che esca da una concezione “salvifica” per affrontare il dibattito e la ricerca su come la città possa, invece che essere sottratta ai rischi della contemporaneità, essere messa in grado di interpretarla in modo appropriato alla sua particolare condizione. Preservare il senso di appartenenza ad un luogo fa sicuramente parte del come intervenire sul luogo stesso, grazie alle dinamiche che questo mette in atto in termini di cura costante e capillare, ripetuta nel tempo, di capacità di far emergere temi nodali, capacità di proporre e attuare soluzioni non scontate, e – in termini tecnici – di manutenzione continua, conservazione programmata, che a scala dell’intera città può essere garantita solo attraverso un’azione congiunta della società civile, degli istituti culturali, degli enti amministrativi e della politica. Il sentirsi parte fondamentale di un luogo, essere cittadini, è un valore immateriale che deve essere preservato e forse – questo sì – salvato anche per il processo di reciproca determinazione tra la tutela del bene materiale e la sua vitalità che riesce ad attivare. E il lavoro è una condizione che motiva il vivere in una città. Registrando l’importanza che sta assumendo nelle città europee la discussione sulle esigenze e le compatibilità tra residenti, abitanti, turisti e le attività promosse dalla cittadinanza in molti centri storici italiani e Comunitari, l’approccio più innovativo e da seguire con attenzione forse è proprio costituito dalla volontà delle comunità locali – portatrici di cura, di responsabilità, di esigenze quotidiane – di riappropriarsi di ambiti di progettualità nei centri storici. La consapevolezza sia delle problematiche che degli obiettivi imprescindibili è patrimonio della comunità abitante che si è sempre fatta carico delle difficoltà dell’intervenire per garantire le condizioni di vivibilità della città.

Aggiungo un ulteriore elemento di riflessione: le recenti crisi globali, da quella energetica e climatica, a quella economica a quella pandemica, le nuove dinamiche turistiche, stanno imponendo strategie volte a un diverso approccio all’abitare che, oltre a puntare al “consumo zero di suolo” e quindi alla rigenerazione dell’esistente, porti a rispondere a istanze di nuovi standard abitativi, all’efficientamento energetico, alla produzione di energie alternative, alla coerente gestione infrastrutturale e trasportistica, con soluzioni comuni e condivise, che spesso richiedono anche un salto di scala, un approccio territoriale e non solo progetti alla scala edilizia, caso per caso. Tutte le “azioni” di uso e di riuso dell’esistente, anche di piccola o media entità, corrispondono ad altrettante “azioni” di restauro, rigenerazione, innovazione che trovano necessariamente soluzioni puntuali e parallelamente determinano un cumulo di impatti strutturali, ambientali e paesaggistici con conseguenze che, visto l’aumento esponenziale degli interventi, deve essere oggetto di una riflessione. In un contesto compatto, quale quello di un centro storico, è notorio il potenziale riverbero di ogni intervento strutturale operato su un edificio negli edifici attigui; le questioni legate al controllo del microclima negli edifici, trovando soluzione individuali – addirittura per ogni singola unità abitativa – provocano una ridondanza di sistemi impiantistici, senza economia di scala e con grande impatto paesaggistico; medesime considerazioni si possono estendere all’introduzione di nuovi sistemi di distribuzione verticale per ogni edificio... Si potrebbe continuare ad individuare azioni che operano un potenziale danno dato dagli esiti della somma degli interventi o anche, semplicemente, uno spreco di risorse. Ciò significa che è necessario estendere l’attenzione – e non sottovalutare – i piccoli interventi diffusi per la conservazione e la trasformazione della città, plaudendo ai cittadini che se ne fanno carico e incoraggiandoli a svolgere questo indelegabile compito con sempre maggiore consapevolezza e spirito reagente, propositivo. Ciò significa anche che ognuno, nell’ambito delle azioni che gli competono, ha la possibilità di intervenire in una direzione piuttosto che in un’altra e questa scelta deve essere compiuta nella consapevolezza delle conseguenze e degli obiettivi. La questione coinvolge molti saperi che devono intrecciarsi – da quelli economici ed amministrativi per attivare un programma di finanziamenti e incentivi della innovazione del costruito a scapito del nuovo consumo di suolo, a quelli delle competenze tecniche che devono portare un approccio innovativo e complesso per scala di progettazione e integrazione delle soluzioni – con consapevolezza e con l’ambizione di poter costituire un modello per l’innovazione sostenibile degli interventi negli insediamenti storici italiani e europei. Infine – ma nel senso di soluzione di sintesi – l’intreccio coinvolge l’architettura, che deve appropriarsi di questo ambito di intervento che richiede spesso la rinuncia a una autorialità esibita, per dare, con i suoi strumenti, un apporto che consenta di giungere a esiti formali risolti – in altre parole alla bellezza anche nelle piccole cose.

[Tratto da Premio Pietro Torta per il restauro di Venezia. XXXVII edizione Anno 2023 a cura di Maura Manzelle e Francesco Trovò]

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Intervista Luca Massimo Barbero

SECONDO CASSETTO DALL’ALTO

arte

In questo momento storico di abbreviazione della memoria, consegnare alla Biennale materiali ancorati al presente e mettere a disposizione degli studiosi documenti che possono essere consultati nella loro versione originale assume una dimensione vitale

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Photo Andrea Avezzù, Courtesy La Biennale di Venezia


di Mariachiara Marzari e Fabio Marzari

P

ersonalità positivamente complessa, estre-

mamente vitale e polimorfa negli interessi e nella formazione, Luca Massimo Barbero è un autorevole storico dell’arte, curatore di arte moderna e contemporanea e fotografo. Una mostra, in corso a Ca’ Giustinian dal titolo Un Diavolo Amico, celebra un’importante, nuova e fondamentale collaborazione: l’acquisizione da parte dell’ASAC dell’archivio di Luca Massimo Barbero, un archivio vivo e in continua espansione, che si arricchirà progressivamente e che lui stesso continuerà a utilizzare. La Biennale conferma così l’indirizzo e il programma dell’Archivio Storico/Centro Internazionale della Ricerca sulle Arti Contemporanee: ospitare archivi e fondi, anche di terzi, che affrontano e si misurano con i temi legati alle arti contemporanee e al contempo ampliare la sua missione come luogo sempre più aperto, vitale e generativo, volto ad attivare nuove opportunità di ricerca per giovani studenti e appassionati ricercatori. «Per definire la scelta di Luca Massimo Barbero – ha dichiarato Roberto Cicutto, Presidente della Biennale di Venezia – utilizzo la parola “gesto” nella sua accezione semantica più ampia (movimento, espressione di un sentimento, atto motivato da ragioni profonde) perché sconfigge in maniera chiara la concezione di un archivio a cui si lascia qualcosa perché venga solo conservata. In questo caso si lascia qualcosa affinché aumenti la sua capacità respiratoria e cresca in un contesto che può valorizzarla rendendola fruibile dal più largo pubblico possibile». La mostra presenta una prima tranche di materiali dall’archivio di Luca Massimo Barbero, che saranno esposti a rotazione nei mesi successivi, in una sorta di carotaggio volto a rivelare i numerosi aspetti della sua personalità e del suo metodo di studio e curatela. Disegni, fotografie, appunti estratti dai quaderni di bozzetti, storyboard, cataloghi, oggetti, tutti materiali che testimoniano la quarantennale pratica curatoriale che contraddistingue internazionalmente il suo percorso professionale. «Luca Massimo Barbero – afferma Nicolas Ballario, che firma il testo introduttivo della mostra – è il più artista tra i curatori, che con migliaia di bozzetti e di appunti più che progetti ha costruito un diario, che, come questo archivio, continuerà a evolversi e cambiare e cancellare sé stesso». Iniziamo proprio dal significato di archivio. Perché, a differenza delle donazioni che prevedono per così dire “materiale morto”, il tuo è un archivio vivant, un archivio in fieri, in divenire, qualcosa che c’è e continua a muoversi? Lo chiamiamo per comodità archivio, anche se in realtà quello che emerge in mostra è proprio una sorta di luogo e metodo, un vero opificio del curatore. Sono tutti gli strumenti, io li chiamo così, della mia ricerca, del mio lavoro, siano essi le corrispondenze, i vecchi fax, i libri, i cataloghi antichi, la fototeca, piuttosto considerevole, le collezioni di fotografia, le mie fotografie, i blocchi di appunti; sono tutti i materiali che concorrono a formare quello che chiamo “il mio immaginario”. Il cacciatore d’immagini articola, orchestra, come si dice sul terreno registico, restituisce e condivide con il pubblico la Luca Massimo Barbero. Un Diavolo Amico La Biennale di Venezia, Portego di Ca’ Giustinian, San Marco www.labiennale.org

Photo Andrea Avezzù, Courtesy La Biennale di Venezia

sua personale visione. Così nascono le mostre, nascono le pubblicazioni, nascono i libri di fotografia. È questa forma di vitalità del pensiero che in fondo emerge chiara anche nella mostra Un Diavolo Amico. Tutto questo “magma” ha trovato curiosamente l’interesse della Biennale, che in questo momento sta imprimendo all’ASAC una direzione di vitalità, una nuova fruibilità attiva e complice di un grandissimo giacimento di idee. È stato un incontro straordinario; sono veramente onorato, il tutto riporta ad una comunanza strettissima di visioni. In sintesi nel mio archivio non c’è il passato, c’è il pensiero vivo, immanente, in continua evoluzione, e tutto ciò che c’è nell’archivio concorre a costituire quello che sto facendo anche ora, in questo momento. È la mia stessa identità. Il la di questo caleidoscopico archivio: quando e come nasce l’idea di iniziare a conservare tutto? Il tutto ha preso il via ritagliando le immagini di De Chirico, ricercando e trovando un luogo per raccoglierle, per poi cominciare a descriverle, studiarle, comporle. C’è sempre stata questa forma di raccolta dati che potremmo definire “analogica”. Sono sempre stato un grande lettore, accompagnato da quest’idea di dare vitalità alle parole e alle immagini. Per costruire la mostra a Ca’ Giustinian ho riscoperto, riaprendo alcuni bloc notes, che le idee, gli appunti, gli schizzi rimangono vitali; c’è tutto lì dentro, l’alto e il basso, c’è un pensiero, c’è una poesia di Sandro Penna piuttosto che di Emil Cioran, ma ci sono anche i pugili, i numeri di telefono, gli appunti sugli amici, le conversazioni sugli artisti, insomma, c’è tutto il mio lavoro, il mio personale mondo. Un caos controllato che spero la mostra riesca a restituire compiutamente.

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arte

LUCA MASSIMO BARBERO UN DIAVOLO AMICO Un archivio è quanto di più personale ci possa essere di un individuo. Tuttavia la mostra non è in nessun modo un’autocelebrazione, quanto piuttosto materiale vivo di riflessione, illuminante per gli addetti ai lavori perché trasmette un metodo che se nell’archivio appare non definito, acquista chiarezza e lucidità nel risultato finale di una mostra o di un catalogo. Un Diavolo Amico è una mostra romantica e personalissima, nel senso che è chiaro che è tuo quell’archivio, non può essere di nessun altro, ma al contempo fa emergere il dato tecnico di un metodo di ricerca rigoroso. La mostra non vuole assolutamente essere autocelebrativa, ma certamente è molto personale. Per esempio ho voluto utilizzare nelle pareti del Portego il doppio colore, giallo e blu, che sono due elementi cromatici che mi caratterizzano assai. Il primo, il giallo, è il colore della sala da pranzo della mia prima casa a Venezia, mentre il secondo, il blu, che ho utilizzato normalmente per le mie mostre, è stato definito dal «Corriere della Sera» il “Blu Barbero”. Tutto ciò per affermare ancora una volta come l’immaginario sia fondamentale: il privato entra nel pubblico e si mescola, tuttavia per me è tutto privato, tutto è molto personale. La sorpresa della mostra sta proprio nello scoprire da un lato il Barbero ordinato, maniacale, pignolo, lo storico, lo studioso, che fa forse il lavoro più lungo e certosino redigendo cataloghi ragionati di artisti come Consagra, sette anni e mezzo di lavoro, o Fontana, cinque anno il primo e sei anni e mezzo il secondo, lavori metodici, costitutivi; dall’altro il Barbero che sembra in fondo non lavorare mai, che viaggia, che fotografa, che prende appunti e disegna, che scherza. Conciliare in Italia l’immagine dello studioso con una persona “fuori dagli schemi” è molto difficile. Per questo vedo il mio immaginario come “il diavolo amico”, che alimenta la mia passione profonda per le immagini, che mi spinge a “cacciarle”, a rimetterle in circolazione potendole osservare utilizzando una diversa lente. È il metodo Barbero che esce, o meglio il metodo Barbero con la persona Luca Massimo che lavora, gioca, si intrattiene e mette insieme vari elementi per produrre poi determinati lavori. Facendo un lavoro immateriale, come tutti a diverso livello svolgono nella variopinta galassia della cultura, alla fine la produzione che ne esce è apparentemente intangibile perché fatta di idee. Troviamo interessante in questo tuo progetto in particolare la possibilità di mettersi a nudo per poter raccontare come nasce il lavoro di curatore, svolto ad un livello altissimo. Gli artisti, soprattutto quando disegnano, mostrano il loro lato più intimo. Io ho inventato un modo di dire: «Il tempo che passa dalla testa alla mano», cioè avere un’idea e portarla direttamente sulla carta, fissarla attraverso un disegno, uno schizzo, per darne sviluppo compiuto, visualizzarla. In mostra troviamo per esempio i disegni abbozzati dell’allestimento della mostra sullo Spazialismo o quelli che fissano i pensieri su come avrei voluto impostare il catalogo di Peter Greenaway, o ancora le mie lezioni alla Scuola Holden di Torino. Ho bisogno in diretta di passare dal cervello alla mano ed è per questo che – cosa che ha sorpreso molti – disegno, faccio degli schizzi. Mi piace perciò l’idea che in mostra ci sia un assaggio di tutto questo; ovviamente l’archivio è molto altro e di più, qui ho voluto esporre esemplificazioni pratiche, visive, dirette, una parte del tutto.

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Photo Andrea Avezzù, Courtesy La Biennale di Venezia

Ad ogni modo forse sì, è il metodo Barbero, chiamiamolo pure così: una specie di ossessione felice e la compagnia intrigante di questo “diavolo amico”, che ho voluto come titolo della mostra e che deriva da un disegno di Tancredi, in pratica una dedica speciale a uno dei miei grandi amori. I termini “archivio”, “artista”, “regista” ritengo restituiscano a pieno tutto quello che ho fatto. Desideravo che queste mie curiosità, approfondimenti, studi fossero condivisi con il pubblico, fossero condivisi con e attraverso il mio lavoro. Adesso non c’è niente di più bello che condividere anche questo pezzo di me. Utilizzo sempre questa parola: “condividere”, che non significa in questo caso studiare me o il mio metodo, bensì comprendere questa vitalità per farci, come dico sempre, “inciampare”, magari inducendoci a studiare artisti meno noti, ad individuare relazioni meno evidenti tra artisti nazionali e internazionali, a cogliere le varie pieghe di un percorso non lineare. Un percorso sicuramente meno canonico rispetto a quello di uno storico dell’arte, pur essendo io uno storico dell’arte molto precisino! La decisione e la scelta di condividere questo tuo percorso con La Biennale: come è nata questa relazione attorno a questo sorprendente, intrigante progetto? Si potrebbe dire che il tutto sia nato da una “provocazione” del Presidente Cicutto il quale, nell’evoluzione impressa all’ASAC per portare ulteriore vitalità a questo settore fondamentale della Biennale e trasformarlo in un archivio in evoluzione e movimento, mi ha invitato a condividere il mio archivio ancora magmatico e in continuo divenire. Ciò ha acceso un desidero di condivisione che ha scatenato una reazione. Da lì, la realtà ha superato l’immaginazione. Si è trattato, quindi, di una straordinaria coincidenza culturale, più che astrale. Una volta accesa la scintilla, il Presidente è poi venuto nel mio studio e così più volte Debora Rossi, Direttore dell’Archivio Storico; da questa frequentazione è nata l’idea e la collaborazione. Era da tempo che peraltro mi chiedevo cosa fare delle bellissime fotografie storiche di Cameraphoto, che rappresentano episodi straordinari della Biennale di Venezia dal 1948 al 1981. Le cose si sono poi dipanate naturalmente, al punto che oggi ritengo sia quasi un’evoluzione inevitabile essere qui, ora, con una mostra e con il mio archivio parte integrante dell’ASAC. L’Archivio Storico e le Biennali stesse sono state nella mia formazione di storico dell’arte un nutrimento; il mio punto di partenza, il viaggio senza spostarsi, e Venezia, grazie alla Biennale ha un’antenna sintonizzata sulla contemporaneità mondiale.


caso uno sfarzo intellettuale, uno sfarzo che viene messo a disposizione di tutti. È una parte della responsabilità che sento oggi di avere, ossia quella di trasmettere un vissuto e un lavoro di decenni all’esterno, agli altri. Di condividerlo, come dicevo. Che senso avrebbe tenere tutto questo deposito solo per sé? Sono molto soddisfatto di metterlo a disposizione qui ora, perché l’ASAC sta funzionando molto bene negli ultimi anni, ritrovando nuova linfa e valore. Un posto vitale che mi restituirà vitalità. Io sarò lì e tra l’altro non solo idealmente, ma anche fisicamente, perché sarò a disposizione per rispondere a domande o per discutere di idee: questo è il dato davvero interessante di tutta questa operazione.

Photo Andrea Avezzù, Courtesy La Biennale di Venezia

Com’è cambiata la tua curiosità nel corso degli anni? La mia curiosità è diffusa, è sempre in movimento grazie alle nuove connessioni che ci permettono di raccogliere informazioni e allargare i confini relazionali anche con persone non necessariamente addette ai lavori. Questi nuovi orizzonti espansi hanno conseguentemente determinato un’accesa crescita della mia produzione. Ad esempio le prossime mostre, una sarà a Seul e un’altra ancora ad Hong Kong, mi spingono ad allargare sempre più i confini della mia curiosità, mantenendo però sempre vive e salde le radici del mio indagare l’arte contemporanea, continuando a tal fine a frequentare gli studi dei giovanissimi – vedi il progetto Venice Time Case, nato su Instagram (@lucamassimobarbero e @venicetimecase) – o dei grandi artisti con cui collaboro da tempo. È un’idea alternativa alle puntate ufficiali del mondo dell’arte, una mia alterità rispetto alla figura globe-trotter del curatore.

Ci sono persone all’interno di una città che sanno veramente utilizzare la città stessa come volano verso l’universo mondo. Tu indubbiamente sei uno di quelli, perché non hai utilizzato Venezia, ma Venezia è stata per te semplicemente un medium. Ti riconosci in questa immagine? Io ho due grandissimi amori: le immagini e Venezia. Di entrambe sono al servizio, sono uno strumento. Non c’è luogo in cui non cerchi di portare Venezia. La concepisco ancora come un porto, non è un caso che il mio studio sia a Porto Marghera e non in un palazzo del Settecento. E la Biennale è il grande porto internazionale dove Venezia come un tempo può essere un punto unico di riferimento, perché ci sono mille Biennali in giro per il mondo, ma la Biennale di Venezia è La Biennale, l’unica. A un’amica che mi ha detto: «Guarda, basta con questa cosa che non sei nato qui, tu sei più internazionale dei veneziani», ho risposto: «Guarda, ogni veneziano dovrebbe essere internazionale per vocazione». Venezia appartiene a chi la ama: si è veneziani se ci si sacrifica, se a lei ci si dedica con passione e dedizione, e io credo di farlo.

Come continuerà, dopo la mostra, questa avventura con l’ASAC? La cosa è interessante perché il mio archivio adesso verrà inventariato, ovviamente studiato; ci sarà un gruppo di persone che ci lavoreranno, ma soprattutto continuerà a ricevere materiali, paradossalmente in tempo reale, cioè verranno inventariati, catalogati, studiati e implementati anche tutti gli appunti prodotti per questa mostra. Nel futuro verrà istituito un Fondo Luca Massimo Barbero dove sarà possibile avere tutte le mie pubblicazioni e accedere a documenti, materiali, scoperte, approfondimenti, immagini e altro ancora. Tra l’altro comprenderà anche la mia produzione fotografica, i miei scatti della serie Candidi Come Colombe Astuti Come Serpenti, oltre cento stampe originali. Entrerà quindi all’ASAC anche una parte più personalmente artistica. E con le mie fotografie verrà depositata anche tutta la progettualità editoriale, compresi i menabò dei libri della ginnastica e soprattutto della lotta libera, comprese due copie di «Venezia News» n. 127 del Luglio-Agosto 2008, primo magazine ad aver pubblicato una mia foto ufficiale in copertina: ho due copie intonse, non le ho neanche aperte, nel secondo cassetto dall’alto, parte destra della cassettiera, zona centrale. Quindi anche tutti i miei notes, i blocchi di viaggio, i pensieri, tantissimi autoritratti, gli appunti, i libri, le cose disegnate da me. Nell’archivio ci sarà proprio tutto. Si direbbe quasi che la ritrosia sabauda è stata messa proprio da parte a favore dello sfarzo serenissimo, in questo

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arte IN THE CITY MAESTRI

Marcel Duchamp, De ou par Marcel Duchamp ou Rrose Sélavy (Boîte-en-valise), 1935-1941 Venezia, Collezione Peggy Guggenheim (Solomon R. Guggenheim Foundation, New York)

Nel nome del padre Duchamp e la seduzione della contemporaneità Come possiamo definire il valore di un’opera d’arte? E la copia o rielaborazione può essere considerata essa stessa opera d’arte? La domanda si pone sin dalla prima definizione di opera d’arte o di copia, se già Platone parlava di riflesso e di ombre e di copie ingannevoli della realtà. A dar valore artistico alla copia e alla riproducibilità, rivoluzionando e cambiando per sempre il concetto stesso di opera d’arte, è uno degli artisti e delle menti più geniali della nostra contemporaneità. Marcel Duchamp è non solo un artista geniale e radicale, è anche il “padre” più influente di gran parte dell’arte contemporanea, che senza il suo pensiero e il suo modo di agire non avrebbe nessuna ragione di essere. Andando contro la famosa visione di Walter Benjamin sulla perdita di valore della copia, Duchamp afferma, e mette in pratica, che tutto può essere copia e originale allo stesso tempo, se così l’artista lo vuole la sua firma su qualsiasi oggetto è quello che dà valore e trasforma l’oggetto, anche il più usuale e banale, in opera d’arte. Ora, per la prima volta, la Collezione Peggy Guggenheim gli dedica un’esposizione dal titolo Marcel Duchamp e la seduzione della copia. Curata da Paul B. Franklin, tra i massimi esperti dell’artista, la mostra presenta sessanta opere eseguite nel corso di tutta la sua carriera tra il 1911 e il 1968, con lavori famosi e iconici quali Nu descendant un escalier, Jeune homme triste dans un train, nonché le celeberrime Monna Lisa. Una gran parte delle opere esposte proviene dalla collezione privata di Attilio Codognato, recentemente scomparso, che ha iniziato ad acquistare le opere di Duchamp, tra cui stampe, collages, ready-made e fotografie, fin dagli anni ‘70. La copia, il doppio, l’altro da sé Duchamp lo crea e lo vive con l’invenzione straordinaria del suo alter ego femminile Rrose Sélavy, un travestimento che simboleggia lo specchio ambivalente di tutta la sua opera, in cui l’artista diventa il ready-made di sé stesso. Peggy Guggenheim conosce Duchamp a Parigi nel 1923, lui diventa

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amico e la fondamentale figura di riferimento quando le consiglia i lavori contemporanei che la mecenate poi acquista. È lui che la forma, la introduce all’arte contemporanea, la aiuta a scegliere le opere migliori che poi diverranno importanti all’interno della sua collezione. Questo rapporto così stretto e intenso viene rappresentato in modo affascinante in mostra con la iconica de ou par Marcel Duchamp ou Rrose Sélavy (Boîte- en- valise). Si tratta di una valigetta in pelle con serratura Louis Vuitton in cui Duchamp riunisce, come in un museo in miniatura portatile, 69 opere tra le sue più celebri, i lavori di una vita. La realizzazione è un lavoro certosino di ricerca presso i collezionisti, di documenti, lettere, riproduzioni, insomma un viaggio affascinante a scala ridotta di copie, che si dipanano in un contenitore a scomparti e pannelli scorrevoli. Ne realizza 24 copie (copie di copie, idea geniale!) e Peggy acquista la prima edizione deluxe. Solo l’assemblaggio di un esemplare richiede più di dieci giorni di lavoro meticoloso, oltre alla realizzazione delle miniature da disporre nella valigia. Ogni copia è caratterizzata da una creazione originale, posta nel coperchio della valigia, in quello per Peggy c’è il coloriage, ovvero il prototipo per la riproduzione della collotipia (la tecnica usata per le riproduzioni miniate). Qui si raggiunge il massimo del gioco ironico tra l’originale e la copia. Dopo aver ricevuto la sua boîte, Walter Arensberg scriverà a Duchamp in una lettera: «Lei ha inventato un nuovo tipo di autobiografia… realizzata come uno spettacolo di marionette. Lei è diventato il burattinaio del suo passato». Probabilmente le boîtes sono davvero una nostalgica operazione artistica, ironica, intelligente, dirompente di conservare la lunga storia artistica di uno degli artisti più significativi e influenti della nostra epoca. Maria Laura Bidorini Marcel Duchamp e la seduzione della copia Fino 18 marzo 2024 Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni www.guggenheim-venice.it


COSTELLAZIONI

Marcel Duchamp, À propos de jeune sœur (A proposito di sorellina), ottobre 1911 New York, Solomon R. Guggenheim Museum

In the name of the father

La squadra è di quelle vincenti; quattro musei tra i più visitati al mondo in tre continenti diversi: il Museo Solomon R. Guggenheim di New York, la Collezione Peggy Guggenheim a Venezia, il Guggenheim Museum di Bilbao e il futuro Guggenheim Abu Dhabi. Entrerà a far parte del mondo Guggenheim a partire dal primo giugno 2024, Mariët Westermann, nominata direttrice e CEO. Porta con sé una profonda conoscenza della storia dell’arte, dei musei, della ricerca, dell’educazione, con esperienza nella gestione di istituzioni e attività filantropiche e nelle relazioni internazionali. «Le aspirazioni e le complessità – ha dichiarato Mariët Westermann – che mi hanno sinora motivata mi hanno anche preparata ad aiutare il Guggenheim a realizzare il suo pieno potenziale come costellazione di musei uniti in una missione e radicati nei rispettivi ambienti e rispettive comunità».

ENG

How can we define the value of art? Can copies and elaborations be considered art themselves? The question is as old as time, given how Plato spoke of reflections and shadows and deceiving copies of reality. To give artistic value to copies and reproducibility, thus revolutionizing and changing forever the idea of artwork, was one of the greatest geniuses of our age, Marcel Duchamp. Duchamp is not only a radical, genius artist, he is also the most influential figure in the world of modern art, which without his conceptual contributions, would not exist at all. By countering Walter Benjamin, who sustained the loss of value of a copy, Duchamp affirmed that anything can be an original and a copy at once. When the artist decides to, he can sign any piece, and that’s what gives it value, no matter how common and ordinary it may be. For the first time now, the Peggy Guggenheim Collection dedicated Duchamp an exhibition: Marcel Duchamp and the Lure of the Copy. Curated by Paul B. Franklin, one of the most renowned experts on Duchamp, the exhibition presents sixty pieces representing successive stages in the artist’s career 1911 to 1968, and includes Nu descendant un escalier and Jeune homme triste dans un train. A large part of the art comes from Attilio Codognato’s private collection. Codognato, who died recently, started buying Duchamps in the 1970s. The copy, the double, the alter ego were staples for Duchamp, who created his feminine alter ego Rrose Sélavy – the artist becoming his own ready-made artwork. Duchamp and Peggy Guggenheim met in Paris in 1923. It was he who educated her in modern art and helped her pick her first buys. This iconic relationship will be illustrated in the exhibition with de ou par Marcel Duchamp ou Rrose Sélavy (Boîte- en- valise), a briefcase containing 69 miniatures of Duchamp’s most famous art.

DIREZIONI

Passaggio di testimone: Luca Molinari, che ha guidato il Museo del ‘900 di Mestre nell’ultimo triennio con grande determinazione e risultati importanti sul piano locale e nazionale, passa la direzione a Serena Bertolucci, laurea all’Università degli Studi di Genova e diploma post laurea in Storia dell’Arte e delle Arti Minori all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Direttrice uscente di Palazzo Ducale a Genova, professionista esperta e competente, dal primo gennaio 2024 inizierà a lavorare per consolidare e rafforzare ulteriormente il ruolo di M9 come centro culturale metropolitano. «Per questa nuova fase della mia esperienza lavorativa – ha dichiarato Serena Bertolucci – ho scelto M9 con la mente e con il cuore; con la mente perché è una sfida importante che coniuga cittadinanza e memoria, pubblico di prossimità e di lontananza, visione e concretezza; con il cuore perché operare all’interno di un contesto di cultura applicata non solo alla rigenerazione, ma alla costruzione di un futuro partecipato è ciò che amo fare di più».

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arte IN THE CITY MAESTRI

Vediamoci al Museo Intervista Claudio Spadoni di Mariachiara Marzari Non poteva essere diversamente, Rivoluzione Vedova all’M9, straordinaria mostra-installazione dedicata al grande artista veneziano, è stata prorogata fino al 7 gennaio 2024. Un grande successo che premia l’intuizione del Museo e della curatrice, Gabriella Belli, di offrire l’esplorazione della storia del Novecento attraverso l’arte e raccontare un Maestro che più di tutti si è fatto interprete del suo tempo. Un invito, per quanti non l’abbiano ancora fatto, a visitare la mostra che vogliamo condividere con una guida speciale, il professore Claudio Spadoni, che è stato protagonista a novembre di uno degli incontri organizzati da M9 di approfondimento della mostra, alla scoperta di sempre nuove sfumature della geniale grandezza e modernità di Emilio Vedova. In questi mesi la mostra al Museo M9 sta mostrando in maniera approfondita aspetti della vita, pensiero e azione artistica di Emilio Vedova. Da tutto ciò emerge una figura gigante del Novecento. Quale in sintesi la sua RIVOLUZIONE formale e concettuale? La grande mostra che il Museo del ‘900 ha dedicato ad Emilio Vedova, curata da Gabriella Belli, viene ad ulteriore conferma non solo, com’è ampiamente riconosciuto, del suo ruolo di grande protagonista del secolo scorso, ma soprattutto della peculiarità del suo percorso artistico, sempre indissolubilmente legato alle sue posizioni etico-ideologiche. Già dagli esordi, da certi disegni giovanili di drammatica, intensissima partecipazione, il suo lavoro si può dire caratterizzato dal principio del segno-impegno, ovvero da una continua partecipazione morale ad eventi storici che fa tutt’uno con una prorompente vena espressiva. Se si considera il panorama artistico internazionale dal secondo conflitto agli anni Cinquanta, caratterizzato in particolare dal clima dell’Informel (Informale), con una diffusa crisi della fiducia progettuale, delle utopie e i miti delle avanguardie storiche, con un ripiegamento individualistico spinto in diversi casi all’estremo, si comprende bene come Vedova rappresenti una singolare eccezione. Vediamo la sua vicenda artistica continuamente esposta in un coinvolgimento espresso dall’immediatezza gestuale della sua pittura, ma anche nel ricorso a materiali diversi, come per rendere l’azione pittorica ancor più partecipe della realtà. E se questa non può essere considerata di per sé una scelta “rivoluzionaria”, tenendo conto dei precedenti di alcuni artisti di certe avanguardie del primo Rivoluzione Vedova Fino 7 gennaio 2024 M9 – Museo del ‘900-Mestre www.m9museum.it

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© Marco Cappelletti

Novecento – da quelle russe al Dada, al Surrealismo, per non dire degli anticipi di Boccioni – certo diverso è il senso della contaminazione, se così si può chiamare, messa in atto da Vedova. Ho sempre pensato, ed egli stesso ne conveniva, che il suo lavoro avesse toccato il mutamento moderno del “tragico” nella sua caduta nella dimensione banale, nello svuotamento di ogni valore non prettamente economico, di cui anche i materiali vili, “bruti e impuri” – l ‘espressione è di Celant – sono la figura tangibile. Un tragico che quotidianamente si ripropone nel mondo sotto varie forme ma quasi anestetizzato dai media, e che Vedova ha interpretato e denunciato quotidianamente nel suo lavoro, talora scandito in cicli con esemplare impegno morale. E per certi aspetti, sono rivoluzionarie invenzioni espressive i Plurimi, ma anche i Tondi, così come l’ideazione di Spazio/plurimo/luce per l’Expo di Montreal; o ancora certe “drammatiche emersioni di tranches iconiche” prese dalla stampa, come lacerti di moderne anamorfosi . La personalità di Vedova e il suo essere al centro del suo tempo, rendono chiaro come la sua arte sia fortemente radicata ma al contempo seminale e assolutamente contemporanea. Quali elementi fondamentali della sua personalità artistica segnano il ponte tra modernità e contemporaneità? Se un rivoluzionario deve necessariamente pensare-agire nel proprio tempo, anche in questo Vedova ha rappresentato un caso sui generis. Notissima è la sua formazione sulle architetture veneziane, la pittura di Tintoretto, le Carceri di Piranesi. Poi, uno sguardo alla modernità europea dell’Astrattismo geometrizzante (ma anche al “dinamismo plastico” boccioniano): una fase di lavoro non proprio corrispondente al suo temperamento e dunque presto sfociata in un più libero fluire di una pittura quasi visceralmente gestuale. In realtà Vedova non ha mai messo in atto una rimozione di memorie che ha sempre sentito costitutive della sua storia. Si può capire che siano stati fatti spesso dei riferimenti ad artisti coevi o comunque considerati congeneri, come ad esempio alcuni protagonisti statunitensi dell’Action painting. Ma non c’è dubbio che il retroterra culturale di Vedova, intriso di memorie storiche, abbia reso il suo lavoro sostanzialmente diverso, inconfondibile. La sua stessa venezianità sempre ostentata, il legame col paesaggio lagunare con le particolari luci, le atmosfere, e appunto tutto il tessuto storico-geografico della città


FOLCLORE E MISTICISMO

restano come un retaggio inabolibile, anche per una figura come Vedova dalle diramate frequentazioni di ambienti e contesti culturali internazionali. Ricordo bene come una volta di fronte ad una grande tela cui stava lavorando – un raro privilegio essere con lui mentre dipingeva –mostrandomi una zona, in basso, di un fondo torbido mi indicò le acque limacciose della Giudecca. Senza, ovviamente, che questo comportasse un naturalismo mimetico. Un così profondo rapporto con Venezia non ha rappresentato mai un limite alla sua apertura al mondo e al suo impegno, frutto di una libertà intellettuale costantemente difesa. Anche per questo ad un certo punto è diventato un riferimento per artisti, in particolare d’area tedesca, poi assurti a loro volta ad una notorietà internazionale. La mostra rende fisicamente chiara, grazie ad un allestimento che è sua volta un progetto installativo, il ruolo dello spazio e del movimento nei lavori di Vedova. Quale la dimensione dell’arte del Maestro? L’esposizione, la più impressionante fra le tante di Vedova viste in musei, fondazioni, gallerie di prim’ordine, grazie allo stupefacente allestimento di Alvisi Kirimoto, Massimo Alvisi, Junko Kirimoto e Silvia Rinalduzzi, con la sapiente regia di Gabriella Belli, restituisce, nelle diverse tappe di una intensissima vicenda artistica, proprio il carattere, la personalità prorompente di Vedova. Che emerge fin dalle prove giovanili come le tempere del Diario partigiano, dove già si coglie un temperamento espressionista nutrito anche di memorie tintorettiane; e il Diario di Corea, i dipinti dedicati a Varsavia e Per la Spagna degli anni Sessanta, testimonianze di una partecipazione morale sempre vigile e incondizionata. Ed è poi una inusitata immersione ambientale in cui si ritrova il visitatore tra la serie dei Plurimi di Absurdes Berliner Tagebuch, con una pittura che si espande in diversi brani spaziali su tavole di legno e carte, corde, cerniere metalliche. E quindi il ciclo di Dischi e Tondi dipinti da ambo i lati, disposti in un altro ambiente da esplorare nel mutare degli scenari pittorici e simbolici, per giungere infine nella stazione di ...in continuum, compenetrazioni/traslati: un centinaio di tele disposte senza un ordine convenzionale, appoggiate alle pareti, accatastate, sovrapposte, accumulate, in un’ambientazione di inedite coordinate spazio-temporali. C’è tutto Vedova in questo allestimento testimone di una inesauribile vena creativa e di una inesausta tensione morale.

Marc Chagall, Rabbino n. 2 o Rabbino di Vitebsk, 1914-22, Ca’ Pesaro © Chagall ® by SIAE 2023

Un’opera emblematica, acquisita dal Comune di Venezia alla Biennale del 1928 e parte fondamentale della collezione di Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna. Un maestro, poeta del colore, pittore della fantasia e del sogno, incredibile protagonista della grande rivoluzione artistica operata dalle Avanguardie nel Novecento. Una mostra, narrazione articolata di un periodo della storia dell’arte fondamentale. È CHAGALL. Il colore dei sogni, a cura di Elisabetta Barisoni, organizzata da Fondazione Musei Civici Veneziani al Centro Candiani di Mestre. Punto di partenza ideale della mostra è, dunque, il capolavoro di Ca’ Pesaro Rabbino n. 2 o Rabbino di Vitebsk (1914–1922). Nel 1914 Chagall rientra in Russia da Parigi; vuole restare a Vitebsk solo qualche mese ma resta bloccato dallo scoppio della guerra e vi rimane fino al 1922. In quegli anni recupera il legame con il mondo ebraico dell’infanzia, espresso attraverso le immagini della cittadina natale. Qui è ambientata la prima versione del dipinto, Ebreo in bianco e nero o Rabbino di Vitebsk del 1914 (oggi al Kunstmuseum di Basilea). Secondo il racconto dell’artista, a Vitebsk incontra per caso un anziano e lo veste con gli abiti del padre usati per la tradizionale preghiera del mattino dei giorni feriali. La figura è descritta con grande precisione, dal tallit sulle spalle e i tefillin sulla fronte e sul braccio sinistro, al kippà in testa, mentre gli occhi sono malinconici e la bocca ripresa nell’atto di salmodiare. Lo sfondo sottolinea la massima concentrazione sul soggetto: nessuna pausa descrittiva, tutto è costruito su incastri di forme geometriche e superfici bianche e nere. CHAGALL. Il colore dei sogni Fino 13 febbraio 2024 Centro Culturale Candiani-Mestre www.muvemestre.visitmuve.it

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arte IN THE CITY MAESTRI

Italico Brass, Partita di calcio a Sant’Elena, Collezione privata Courtesy lineadacqua

Cercando la luce Il pittore di Venezia, cronista accurato, divertito e partecipe La sovraesposizione mediatica di Venezia dovrebbe renderci poco attenti, una carrellata infinita di frame potrebbe renderci indifferenti, e invece no, riusciamo ancora a stupirci, anzi a entusiasmarci davanti un tramonto o al riflesso della luna che spunta nel cielo. Se poi tutto ciò è reso magistralmente in un serie di dipinti della prima metà del Novecento, dove Venezia è ritratta con attente pennellate, capaci di catturare tutte le varianti atmosferiche della luce lagunare, non possiamo che esserne rapiti. Non serve scomodare gli impressionisti per questa esperienza visiva, ma scoprire o meglio riscoprire un pittore acclamato in vita e poi a lungo dimenticato, che tra Otto e Novecento apre alla modernità e alle suggestioni della pittura en plein air, per raccontare una Venezia inedita, viva, pulsante, popolare: Italico Brass. Il Pittore di Venezia. La mostra, in corso a Palazzo Loredan, curata da Pascaline Vatin e Giandomenico Romanelli, è proprio da non perdere. Per Italico Brass (Gorizia, 1870–Venezia, 1943) Venezia sarà il vero punto di arrivo e il suo irrinunciabile orizzonte. Qui deciderà di lavorare e vivere nell’abitazione di San Trovaso, con la moglie russa Lina Rebecca Vigdoff, incontrata a Parigi. Italico Brass. Il Pittore di Venezia Fino 22 dicembre Palazzo Loredan-Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti Campo Santo Stefano, San Marco 2945

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A Venezia, dove frequenterà gli ambienti e le persone che contano – grandi imprenditori, intellettuali, gerarchi e artisti – sarà impegnato in iniziative culturali importanti, inserito nei comitati scientifici di celebri mostre d’arte curate negli anni Trenta dall’amico Nino Barbantini (su Tintoretto, Tiziano e Veronese) o coinvolto in iniziative di arredo e scenografia del Canal Grande in occasione delle più importanti festività. Sempre a Venezia acquisterà e s’impegnerà nel lungo restauro della diroccata e semi abbandonata Abbazia Vecchia della Misericordia, che diventerà sede del suo atelier e della sua celebre collezione d’arte antica, oltre che il fascinoso e ascetico luogo d’incontro di artisti, giornalisti, intellettuali e maggiorenti. Tra regate, campielli animati di gente, ponti di barche montati di anno in anno, “campassi erbosi” e calli, con i suoi dipinti Brass ci accompagna – nelle sale dell’esposizione e in città – in una passeggiata sorprendente nella sua Venezia, «con l’occhio e il gusto di un uomo d’arte capace di innumerevoli “variazioni sul tema”, per una lettura sempre mutevole e inedita grazie al suo magico utilizzo dei colori, della luce, dell’acqua e dei cieli, di cui è scrutatore inesausto e geniale». Una Venezia quasi “minore”, certamente non monumentale, ma mai banale e stereotipata. Una Venezia luogo di vita dunque e d’ispirazione. M.M.


Ritratto della nobildonna Marina Nani Donà

Rosalba Carriera, Ritratto di William Murray, Marchese di Tullibardine (part.), Collezione privata

Vizi e virtù Per quasi mezzo secolo le corti d’Europa cercarono di accaparrarsi i servigi di Rosalba Carriera (1673–1757), artista più celebre del Settecento, eppure, nonostante i frequenti inviti e le generose proposte, salvo tre soggiorni alla corte del re di Francia, del duca di Modena e a quella dell’Imperatore a Vienna, rimase a Venezia dove lavorò incessantemente, per tutta la vita. E proprio a Venezia e naturalmente a Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento, a 350 anni dalla nascita, l’artista viene ricordata con una mostra speciale, perchè incredibili e rare sono le opere in mostra: si tratta di 36 miniature su avorio. Rosalba Carriera infatti, oltre a dedicarsi al ritratto a pastello, fu una straordinaria pittrice di miniature, sulle tabacchiere prima e poi su avorio. Proprio a lei è dovuta la fortuna di questo genere, elevato da pratica “minore” e artigianale a pari dignità delle opere su tela. Attraverso una tecnica innovativa e una grande abilità Rosalba Carriera riesce a portare, per la prima volta, sulla minuscola superficie dei fondini d’avorio la pennellata sciolta e vibrante della pittura su tela. Il successo fu immediato. Non ci fu viaggiatore che durante il suo soggiorno veneziano non ambisse a farsi fare un ritratto in miniatura della Carriera. La mostra a Ca’ Rezzonico è un’opportunità quanto mai unica per ammirare lavori di straordinaria fragranza e delicatezza, classici dell’arte del Rococò, istantanee della dolce vita dei nobili in cui ritroviamo i protagonisti di quella società mondana e galante della quale Rosalba ha fissato gli umori, il carattere e le vanità in modo impareggiabile. La sua maestria restituisce anche un ricco patrimonio di dettagli sull’abbigliamento e sulle acconciature, espressione del gusto e dello stile della sua epoca, un fedele spaccato della storia della moda della prima metà del XVIII secolo. ENG For a good half-century, European courts fought over artist Rosalba Carriera (1673–1757) who, bar a few trips in France, Modena, and Vienna, chose to spend her whole professional and personal life in Venice. At Ca’ Rezzonico, the Museum of the Venetian 1700s, we shall commemorate Rosalba Carriera with a special exhibition comprising 36 miniature paintings on snuffboxes and on ivory. In fact, we owe her the fortune of the miniature genre, once considered minor, later dignified on par with painting on canvas. Her art enjoyed immediate success. Travellers to Venice queued up to have their likeness painted on some tiny item or other. This exhibition is a great chance to enjoy fragrant, delicate Rococo art and a glimpse into the life of eighteenth-century nobility. Rosalba Carriera, miniature su avorio Fino 9 gennaio 2024 Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento Veneziano, Dorsoduro 3136 carezzonico.visitmuve.it

La collezione perduta Opere di Bellini, Tiziano, Tintoretto, Bassano, «nove quadri cavati da Paolo Veronese riportati in lana» e soprattutto il «ritratto in piedi con armatura di fero del Carpacio» (ora a Madrid, Collezione Thyssen-Bornemisza) erano tra i capolavori attestati – più di 97 di pregio e 37 opere minori – nella dimora di Santa Fosca della nobildonna veneziana Marina Nani Donà (1711–1790), che a sua volta aveva ereditato dall’ingente patrimonio della Famiglia Nani, proveniente dal leggendario Palazzo Barbaro a Sant’Eufemia, alla Giudecca. Alla morte della nobildonna il patrimonio fu lasciato in donazione al “Pio Loco” delle Penitenti di San Giobbe (ora IPAV), ma venne in gran parte disperso dopo la caduta della Serenissima. Tuttavia ora una bella mostra a Palazzo Contarini del Bovolo riunisce parte di questa collezione – 28 furono i dipinti salvati –, svelandone l’affascinante storia. Spicca in mostra il Ritratto della nobildonna Marina Nani Donà, di pittore ignoto, raffigurata con una veste per metà di un rosso acceso e per metà di un azzurro intenso, mentre tiene in mano un campanello che prende da un tavolino accanto a lei, dov’è appoggiata una clessidra con le ali: oggetti che alludono all’inesorabile trascorrere del tempo. Alla Collezione Nani appartiene anche una serie di sei tele di soggetto biblico di Carl Loth, Giovanni Antonio Fumiani, Gregorio Lazzarini, Sebastiano Ricci e Gaetano Zompini, ora in mostra, certamente destinate all’arredo di un unico ambiente di Palazzo Barbaro Nani. I dipinti presentano un’evidente, voluta uniformità nella scelta dei temi e nel loro svolgimento quanto a taglio compositivo, per lo più a tre quarti di figura, a una generale classicità d’impostazione scenica, all’affinità degli effetti drammatici. ENG Art by Bellini, Titian, Tintoretto, Bassano, Veronese, Carpaccio was among the collection once belonging to Venetian noblewoman Marina Nani Donà (1711–1790), who in turn inherited it from the Nani branch of her family. At her death, Marina left her art collection to a local charity, but it was lost after the fall of Venice in the late 1700s. An exhibition at Palazzo Contarini del Bovolo put back together part of it – 28 pieces out of the original 97 – and will tell us more about its fascinating story. Included in the collection is a portrait of Marina, by an unknown artist, and a biblical cycle by different artists, though showing obvious stylistic unity, arguably a commission intended for the décor of a single room at the Palazzo. La Collezione Marina Nani Donà Palazzo Contarini del Bovolo, San Marco 4303 www.gioiellinascostidivenezia.it

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Ritratto di signora L’Ottocento, una storia di carattere La riproposizione critica della mostra Il Ritratto veneziano dell’Ottocento, a cento anni di distanza da quel fatidico 1923 in cui la seppe organizzare in velocità e nello stesso luogo, l’allora direttore di Ca’ Pesaro Nino Barbantini (Eugenio per l’anagrafe, Ferrara 1884-Venezia 1952), coadiuvato da studiosi quali Gino Fogolari, Giulio Lorenzetti e Giuseppe Fiocco, si configura oggi come un grande affresco sociale e di costume del Triveneto attraverso un’ingente selezione di dipinti, disegni e sculture, eseguiti da artisti popolari e meno noti. Ritratti che non cessano di affascinare il pubblico per l’intensità dei loro volti e mode, alcune delle quali ancora non dissimili dalle nostre, facendo trasparire passioni ed esistenze colte nella loro “semplicità elegante” o “responsabile sfacciataggine”, vissute tra mondanità e intimità aristocratiche e borghesi. Alcuni cambi d’identità, riguardanti autori di opere o gli effigiati stessi, a causa di mutati metodi di studio o ritrovamenti di opere e documenti dispersi, costituiscono la più motivata difesa al rifarsi della mostra stessa, giustificando così l’omaggio a Barbantini, che seppur incorso in inevitabili errori di attribuzione, già nel 1945 asseriva che «Le esposizioni dovrebbero servire, per l’appunto o soprattutto, a mettere in discussione quello che va discusso, mentre ad archiviare ciò che è indiscutibilmente lodevole o glorificabile dovrebbero servire i musei». Un criterio condivisibile e valevole per i curatori odierni della mostra Elisabetta Barisoni e Roberto De Feo, ma anche per gli autori di saggi in catalogo, quali Nico Stringa, Alessandra Tiddia e Cristina Beltrami, per gli schedatori e per le generazioni future. È un dato di fatto che, per motivi di spazio e in forza di nuove acquisizioni museali, spesso nei musei le collezioni permanenti perdano la loro caratteristica di permanenza, mediante slittamenti di opere che periodicamente ‘ruotano’ o finiscono nei depositi museali in attesa di venire riscoperte. L’attualità della memoria è nel sentimento del racconto visivo d’epoca che si fa perdurante testimonianza nel congiungersi con il presente, cogliendone l’intima essenza e infondendogli nuova linfa. Non me ne vogliano gli altri autori in mostra se qui di seguito accogliamo una affascinante e significativa selezione di solo ritratti di signora. Il veneziano Francesco Hayez unisce in un’immagine geniale, mito e realtà, ideale icona italica di romantica classicità romana vicina a Correggio ed Ingres, sublimando corpo e ardore di spirito nel filo rosso che scivola e circonda la sensuale posa del nudo allungato di schiena e in controluce della ballerina Carlotta Chabert (Rovereto, Mart), passionale Venere “capitolina” tra la purezza delle colombe. L’umore pensoso e malinconico insieme all’infelicità della salute precaria tutta ottocentesca eppure senza età, grava nella posa studiata per alleviare la fatica dei lunghi tempi di posa de La contessa Beatrice Salvi Anselmi (Vicenza, Museo Civico di Palazzo Chiericati), ritratta dal vicentino Giovanni Busato, a ricordare silenziosamente colei che nel 1848 fu la prima a gettare il vessillo tricolore a sventolare fuori del suo palco veneziano alla Fenice. Diafani merletti di Burano descritti con accuratezza e verosimiglianza tattile, per non dimenticare la tradizione, emergono sia nei polsi che nel colletto de La Contessa Giuseppina Muzzarelli Roux (1855-60, Bassano del Grappa, Museo Civico) del sandrighese Pietro Roi, che

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Felice Schiavoni, La baronessa Angela Reinelt, Ca’ Pesaro - Galleria Internazionale d’Arte Moderna

ritrae la sensibile collezionista che donò la sua sostanziosa collezione d’arte al Museo di Bassano, così come nella scollatura che lascia scoperte le spalle di una enigmatica e “non ancora baronessa Reinelt” ma presumibilmente nubile Angela Fassetta (1850, Venezia, Ca’ Pesaro), con la sua delicata peonia in mano, simbolo di una antica, nuova promessa d’amore che si rinnova oltre la morte di cui è portatrice nel dipinto schiavonesco (si lasciò alle spalle il lutto di persone amate e degli stessi artisti e collaboratori triestini Natale e Felice Schiavoni, padre e figlio). I pizzi ritornano superbamente anche nel merletto ad ago del colletto di Margherita Donati (Venezia, Ca’ Pesaro), moglie dell’artista milanese Guglielmo Stella, insegnante e direttore della Regia Scuola Veneta d’Arte applicate a Venezia, fondata ufficialmente nel 1872 e ancora oggi Liceo Artistico Statale Michelangelo Guggenheim, con percorsi che spaziano dalle arti figurative al design di tessuti, vetro, metallo, con l’ausilio della grafica e del multimediale. Intramontabili pendenti a goccia, simbolo di vitalità e virtù, rinsaldano i legami familiari di madre in figlia, siano essi di corallo (la genitrice Anna Adani Baldassini) o di perle (le figlie Luigia, Elena e Giovanna, che sposò il pittore Lattanzio Querena di Clusone che ritrasse lei, le sorelle e la suocera, una ad una, in differenti angolazioni). La Giovane Signora sorridente e senza nome (1858) del pittore Gian Francesco Locatelli, di agiata famiglia veneziana, dal capo velato e un bianco scialle con fiori rosa, potrebbe essere ispirata a Linda (Leonilde), moglie del noto pittore Guglielmo Ciardi. La vecchiaia “impegnata” che nella stanchezza delle sue rughe e nello sguardo fisso ai problemi, rischia di far perdere lucidità, è raffigurata mirabilmente in Virginia Sartorelli (Venezia, Ca’ Pesaro), opera del pordenonese Michelangelo Grigoletti, ed assume l’aspetto di una anziana donna dal volto ‘levigato’, i capelli nascosti da una impalpabile cuffia di pizzo e fiori, la cui giovinezza della pelle ancora rosea si accompagna alla profondità di un temperamento arguto: degna ambasciatrice di un secolo, l’Ottocento, che cerca di resistere, senza invecchiare. Luisa Turchi Il Ritratto veneziano dell’Ottocento Fino 1 aprile 2024, Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Venezia capesaro.visitmuve.it


WHO’S WHO

Photo Lisa Chesini

Dell’anima non mi importa Arte moderna e voci del presente: Ca’ Pesaro mette in dialogo Il ritratto veneziano dell’Ottocento con Me stesso e io, il personalissimo sguardo contemporaneo di Maurizio Pellegrin, due mostre per indagare un genere di rappresentazione, il ritratto appunto. Mai una vera riproduzione meccanica del volto come la fotografia, il ritratto mette in gioco la sensibilità dell’artista: il processo creativo, la scelta del soggetto, le fattezze, la posa, l’espressione, le finalità dell’opera sono interpretate secondo il gusto e secondo le caratteristiche dell’arte e del tempo in cui l’artista opera. Maurizio Pellegrin, nato a Venezia nel 1956 e residente a New York, interviene negli spazi di Ca’ Pesaro, in due momenti diversi offrendo riflessioni sull’identità, su sé stesso e sulla propria storia. La prima sala presenta le riflessioni dell’artista intorno alla propria identità e alla visione di sé e del proprio percorso. Agli immaginari autoritratti della testa di Pellegrin presa di profilo su campiture colorate si alternano rappresentazioni della città di origine, Venezia, esposti insieme a occhi e volti di altre memorie che emergono dai disegni e dagli appunti del passato (104 Eyes and 1 Black Dot, 2011 e Drawings, 1984-2002). In The Others, 18th and 19th Century Portrait, nella seconda sala, riadattamento del lavoro Memoria e permanenza, l’opera si compone di più di cinquecento fotografie di fine Ottocento e inizio Novecento e da piccoli oggetti o tessuti che intervallano la sequenza dei ritratti, richiamandone idealmente le palette di colori, forme o dettagli. Un’installazione che si compone come una sorta di autoritratto ideale e universale. Pur concentrandosi sulla memoria, il lavoro vuole tracciare una nuova condizione della comunicazione, dove il passato diviene una riserva di energia, che trova la sua espressione nello spostamento e nella vibrazione. La mostra è curata da Elisabetta Barisoni e promossa da Marignana Arte, in collaborazione con Galleria Michela Rizzo e Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro. ENG The conversation between modern art and contemporary voices finds its expression at Ca’ Pesaro through a significant exhibition dedicated to the Venetian portraits of the nineteenth century. This exhibition features the contemporary perspective of Maurizio Pellegrin, a prominent interpreter of our time. Born in Venice in 1956 and currently residing in New York, Pellegrin has divided his exhibition into two parts. The initial section showcases the artist’s contemplations on his identity, vision of self, and personal history. Imaginary self-portraits of Pellegrin’s profile intertwine with depictions of his native city, Venice. These are juxtaposed with the eyes and faces of other memories emerging from past drawings and notes. One of his works, titled ‘The Others’, comprises over a hundred portraits from the eighteenth and nineteenth centuries. This collection incorporates objects and textiles, occasionally revealing a human presence that might not always be immediately evident. In a way, these pieces form his virtual self-portrait. Maurizio Pellegrin. Me stesso e io Fino 1 gennaio 2024 Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna capesaro.visitmuve.it

A partire da maggio 2023, nel suo studio fotografico in Campo San Giacomo dall’Orio, l’artista e fotografo francese Pierre Maraval ha ritratto moltissime donne veneziane che incarnano e si riconoscono nel motto “We care, we dare” (Noi ce ne prendiamo cura, noi osiamo). Il lavoro è stato caratterizzato da una “viralità spontanea”: sono state le prime donne a essere fotografate che hanno invitato altre donne a far parte del progetto indipendentemente da età, origine o status sociale. Da qui è nato il progetto Mille Donne di Venezia, promosso dall’organizzazione non-profit Sumus, che rende omaggio alle donne veneziane e in particolare al loro impegno per creare un mondo migliore e per un futuro più pacifico e sostenibile da lasciare in eredità alle generazioni future. Mille ritratti fra cui anche 25 riproduzioni di donne che hanno segnato la storia della città, come la filosofa Elena Corner Piscopia, la poetessa Moderata Fonte e il soprano Barbara Strozzi, formano una galleria continua di volti intensi, ironici, timidi, sorridenti, seri, sornioni, imbronciati, tristi, seducenti, che occupa pacificamente gli spazi monumentali di Ocean Space nella ex Chiesa di San Lorenzo. ENG A thousand portraits of contemporary Venetian women photographed by Maraval in summer 2023 are the outstanding centerpiece of the exhibition, promoted by the non-profit organization Sumus. Since May 2023, French artist and photographer Pierre Maraval portrayed the many Venetian women that identify in the motto “We care, we dare”. It all started with a small group of portrayees, then, by word of mouth, more and more came to participate in the project. Mille Donne di Venezia (lit. ‘a thousand women of Venice’) compose a gallery of faces, emotions, moods, and feelings that claim their space at the monumental complex Ocean Space at San Lorenzo Church. Mille Donne di Venezia Fino 20 gennaio 2024 Ex Chiesa di San Lorenzo, Campo San Lorenzo, Castello 5069 sumus.community

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Trilogie contemporanee A Palazzo Bonvicini, artisti alla ricerca del proprio Ego Approcci molto diversi per uno stesso tema, molto attuale e molto dibattuto: l’Ego. Ego come sé, letteralmente dal latino “Io”, prima persona singolare; ego come soggetto pensante, mediatore tra conscio e inconscio. Ego come consapevolezza di sé, della propria identità. Ego come EGO, la mostra di Fondation Valmont, in corso a Palazzo Bonvicini, dove l’artista si interroga sul suo ruolo nel mondo contemporaneo. Didier Guillon, Vangelis Kyris e Anatoli Georgiev, Carles Valverde sono stati invitati a dare le loro risposte con opere che prendono forma nelle magnifiche sale del XVI secolo, ponendosi in dialogo tra loro. L’Homme Pensant di Didier Guillon si compone di dieci sculture, tutte in materiale riciclato color bronzo, giganti busti solo abbozzati che suggeriscono l’idea di uomini urlanti intrappolati in corpi sconosciuti che non riconoscono come propri. Il risultato è una sorta di tentativo di rivoluzione dell’ideale classico, dove l’artista è chiamato a rappresentare l’assenza della bellezza stessa. L’Ego è inteso come consapevolezza del sé artistico. Vangelis e Anatoli firmano a quattro mani la serie Raiment of the Soul, intensi ritratti fotografici stampati su tela e successivamente ricamati con filo oro. Le figure ritratte in costumi risalenti a due secoli fa, sembrano emergere dal fondo nero e acquisire man mano una aurea luminosità e un rilievo che le rende assolutamente iconiche. I due artisti raccontano di un Ego responsabile in egual misura di tutti gli aspetti positivi e negativi della specie umana. «La vanità del fotografo lo rende una figura divina e gli fa acquisire un Ego molto sviluppato. Il mio obiettivo come fotografo non è immortalare la forma umana quanto piuttosto fermare il tempo, esaltare i sentimenti e valorizzare la memoria» spiega Vangelis. A queste fotografie viene aggiunta da Anatoli una terza dimensione attraverso i suoi ricami: «il mio lavoro di ricamo è strettamente legato all’Ego attraverso i sensi, in particolare vista e tatto. Faccio rivivere i ricami dei tempi passati attraverso il mio ego. Me stesso». Il lavoro di Carles Valverde si focalizza invece sull’individualità dell’elemento: «Un elemento che è identico a tutti gli altri. Questo elemento egoistico compone il suo Ego a partire da un altro. È il suo elemento identico che consente tutte le possibili combinazioni e quindi la creazione di Ego individuali».

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Modern trilogies

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Very different attitudes for the same topic, very current and much discussed: ego. Ego as self, literally the Latin word for ‘I’, the thinking subject, the mediator between the conscious and the subconscious. The awareness of oneself, of one’s identity. EGO is Fondation Valmont’s exhibition at Palazzo Bonvicini and an invitation to artists. Didier Guillon, Vangelis Kyris and Anatoli Georgiev, Carles Valverde have been invited to participate with their art. Guillon’s L’Homme Pensant is a set of ten sculptures, all in bronze-coloured recycled material, that look like screaming men trapped in bodies they cannot recognize and don’t feel like their own. Vangelis and Georgiev produced Raiment of the Soul, a series of intense photo portraits printed on canvas, then embroidered with gold thread. The people in the portraits are dressed in vintage costumes and seem to emerge from the black background to acquire golden lightness and texture. Valverde’s art focuses on the individuality of the element, “an element that is the same as all the others. This egotistical element builds its own Ego starting from another. It is its identical element that allows all other combinations, hence the creation of individual egos.” EGO Fino 25 febbraio 2024 Fondation Valmont, Palazzo Bonvicini, Santa Croce 2161/A fondationvalmont.com


Franco Rubartelli, Veruschka, head-to-head with a cheetah, 1967, Vogue © Condé Nast

Seduzione visiva Sette immagini al femminile nella mostra di Palazzo Grassi Nei primi anni del XX secolo la fotografia è ancora considerata un’arte minore, ma inizia a prendere terreno e a sostituire le illustrazioni delle migliori riviste patinate. Il percorso di Chronorama restituisce appieno questa trasformazione ponendola in parallelo alla storia delle edizioni Condé Nast, di cui Pinault Collection ha recentemente acquisito parte degli archivi. Articolata in decenni, dagli anni ‘10 agli anni ‘70, la mostra è un viaggio attraverso oltre 400 illustrazioni e fotografie apparse in riviste quali «Vogue», «Vanity Fair» e «The New Yorker», che restituiscono la sensibilità estetica di un’epoca attraversata da profonde trasformazioni. I cambiamenti di gusto riguardano ambiti quali l’abbigliamento, l’architettura e l’arredamento, ma le immagini esposte a Palazzo Grassi rendono evidente anche un’evoluzione nella rappresentazione della donna, che proviamo qui a ricostruire in sintesi attraverso 7 immagini, una per ogni decennio. Nel 1908 l’editore e uomo d’affari Condé Montrose Nast rileva e rilancia a New York la rivista «Vogue», trasformandola in una pubblicazione rivolta a una clientela d’élite; otto anni più tardi è pronto a guardare oltreoceano in vista dell’apertura delle prime redazioni europee a Londra e a Parigi. La copertina del numero di giugno 1916 è affidata all’illustratrice Helen Dryden e alla sua Donna in piedi in una gondola, una donna capace di condurre di persona un’imbarcazione e che probabilmente sta visitando Venezia da sola. Negli anni ‘20 New York è all’apice dello splendore e Parigi si attesta quale centro nevralgico delle avanguardie artistiche. La fine della Guerra e del periodo di recessione sprigiona un’energia che si tramuta in fermento creativo. Nel 1927 George Hoyningen-Huene immortala Joséphine Baker, artista, performer, musa delle avanguardie nonché esponente della resistenza francese, fervente ambasciatrice della lotta contro il razzismo e sostenitrice del movimento per i diritti civili

negli Stati Uniti. Mentre la crisi finanziaria del ‘29 e le prime avvisaglie della Seconda Guerra mondiale mitigano la folle esuberanza dei Roaring Twenties, le pubblicazioni Condé Nast rendono ancora più esplicita l’aspirazione al lusso, alla mondanità e alla leggerezza. Tenniste in un campo su una terrazza contro lo skyline di Manhattan (1931), della fotografa documentarista Margaret Bourke-White, evoca perfettamente il trionfo della società del tempo libero. Ma l’avvento del nazismo e lo scoppio della Seconda Guerra mondiale cambiano ogni cosa. Durante una missione in Bretagna come reporter di guerra, la fotografa americana Lee Miller cattura l’Interrogatorio di una donna francese con il capo rasato perché accusata di aver fraternizzato con i tedeschi (1944). Gli Stati Uniti escono dalla guerra come superpotenza vincitrice e chiedono al mondo di conformarsi ai propri standard. È l’“età d’oro della moda” e nel 1953 Robert Doisneau fotografa Coco Chanel che scende le iconiche scale della sua maison a Parigi. Le modelle si impongono sempre più nell’immaginario collettivo fino a essere accolte come dive. È il caso di Twiggy, icona della Swinging London, e di Veruschka, pioniera del body painting, immortalata nel 1967 “testa a testa con un ghepardo” da Franco Rubatelli. Infine, è Helmut Newton il protagonista degli anni ‘70, un decennio che farà dell’erotismo un aspetto essenziale del fascino esercitato dalla moda e dalla bellezza. Nel suo scatto Lisa Taylor, Saint-Tropez (1975) un uomo anonimo diventa oggetto di desiderio di una donna forte, indipendente e sensuale, rovesciando il codice della donna-oggetto. Marisa Santin Chronorama. Tesori fotografici del 20° secolo Fino 7 gennaio 2024 Palazzo Grassi www.pinaultcollection.com/palazzograssi

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arte IN THE CITY PORTRAITS

Nei tuoi occhi Alle Procuratie Vecchie sfilano i personaggi più “visionari” del XX secolo Francis Giacobetti è considerato uno dei fotografi più rivoluzionari per l’eccellenza e la varietà del suo lavoro: fotogiornalismo, moda, nudi, ritratti. Nato a Marsiglia nel 1939, Giacobetti è completamente autodidatta. Dal fotogiornalismo, ben presto si rende conto di preferire i ritratti e, dopo una carriera folgorante, nel 1971 e nel 1972 assume la direzione artistica del Calendario Pirelli, alla costruzione del quale solo i più grandi nomi della fotografia di nudo internazionale possono contribuire. Visionario, ha inventato un apparecchio per fotografare gli occhi: «È un piccolo segreto – racconta il fotografo Giacobetti –, ma ciò che fa, più o meno, è far brillare la luce ai lati degli occhi anziché direttamente dentro di essi. In questo modo possiamo vedere il disegno degli occhi in rilievo, cosa che non è possibile se li illumini direttamente con la luce. Naturalmente, questo non è uno strumento ottico. Le mie immagini non hanno nulla a che fare con la scienza, la medicina o l’anatomia; il mio interesse è solo nella loro bellezza». Il risultato è VISION, l’incredibile progetto artistico del fotografo francese Francis Giacobetti, curato da Thomas Sorrentino, che fino al 15 gennaio 2024 trova forma espositiva a Venezia nei meravigliosi spazi al secondo piano delle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco. Una galleria di oltre 100 immagini composte da doppi ritratti in bianco e nero e iridi colorate dei personaggi più “visionari” del XX secolo: artisti, scienziati, ballerini, governanti, fisici, primi ministri, operatori di pace. Come li definisce lo stesso Giacobetti sono “Tesori Universali” contemporanei, uomini e donne che hanno ispirato la nostra epoca con le proprie idee, professionalità, scoperte, ideali e valori. La mostra si sviluppa su 1000 metri quadrati, articolata in 15 sezioni: immagini gigantesche accompagnate da didascalie e citazioni a corredo delle foto stesse raccontano la vita e l’impatto che questi personaggi hanno prodotto nel quotidiano di ciascuno di noi. Il visitatore potrà immergersi nel mondo profondo del “visionario”, entrando nel flusso di riflessioni e meditazioni che emergono dal percorso espositivo. La rassegna è organizzata da Baluze ed Encore Productions, con la coproduzione di Spiazzi e la partnership di VIP, in collaborazione con Civita Mostre e Musei.

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Aung San Suu Kyi

Dalai Lama Tenzin Gyatso

Stephen William Hawking

VISION is his incredible artistic project, curated by Thomas Sorrentino, on display until 15th January 2024 on the second floor of Procuratie Vecchie at St. Mark Square in Venice. A gallery of more than 100 images made of double black and white portraits and coloured iris of the 20th century most “visionary” people: artists, scientists, dancers, rulers, physicists, prime ministers, peace makers: “contemporary Universal Treasures” as Giacobetti likes to call them. Men and women who most inspired the values of our time thanks to their ideas, discovers and ideals. The exhibition covers 1000 square meters divided into 15 sections: huge images commented with captions and quotations tell the life and the impact that each of these people has had in our daily life. The visitor becomes part of the flow of thoughts and meditations that the exhibition itself suggests. The exhibition is organized by Baluze and Encore Productions, together with the coproduction of Spiazzi and VIP partnership, in collaboration with Civita Mostre e Musei.

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VISION by Francis Giacobetti Fino 15 gennaio 2024 Procuratie Vecchie, San Marco 105 www.vision-exhibition.com


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arte

IN THE CITY PHOTOGRAPHY

Il mondo di Chim Occhio, cuore e fiuto: gli scatti immortali di David Seymour Un gondoliere si avvia con la sua gondola verso la stazione di rifornimento della Esso sul Canal Grande: l’immagine iconica è stata realizzata da David Seymour nel 1950. In quell’occasione il fotografo realizzò un importante reportage dedicato a Venezia caratterizzato da uno sguardo attento, curioso e a volte ironico: momenti di vita quotidiana o particolari specifici della città lagunare, come gli onnipresenti colombi. Fotografie “veneziane”, ora parte della mostra monografica David “Chim” Seymour. Il Mondo e Venezia. 1936-56, a cura di Marco Minuz, ospitata al Museo di Palazzo Grimani, dal 6 dicembre al 17 marzo 2024. Documenti, lettere e riviste d’epoca accompagnano un’ampia selezione di immagini, circa 150 fotografie, esposte in progressione cronologica tra il 1936 e il 1956, che documentano i più importanti reportage di David Seymour, come la Francia del 1936, la Guerra Civile spagnola, l’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, il progetto del 1948 Children of War, commissionato dall’UNICEF e dedicato agli orfani di guerra, Israele ed Egitto negli anni ‘50. A questi si aggiungono la serie Ritratti e Personalità, nonché il nucleo di foto realizzare a Venezia. David Szymin nacque nel 1911 a Varsavia da una famiglia di editori che realizzavano opere in yiddish ed ebraico. Dopo aver studiato stampa a Lipsia, chimica e fisica alla Sorbona negli anni Trenta, Szymin decise di rimanere a Parigi. David Rappaport, un amico di famiglia proprietario della celebre agenzia fotografica Rap, gli prestò una macchina fotografica. Il talento di Szymin non passò inosservato e presto i suoi scatti iniziarono ad apparire su alcune riviste come Paris-Soir e Regards con lo pseudonimo di “Chim”, un diminutivo del suo cognome più breve e facile da pronunciare. Attraverso Maria Eisner e la nuova agenzia fotografica Alliance, Chim incontrò Henri Cartier Bresson e Robert Capa. Dal 1936 al 1938 Chim testimoniò la Guerra Civile spagnola cercando di scovare e ritrarre nelle sue fotografie attimi di normalità sfuggiti alla guerra, quasi a volerne conservare intatta la bellezza. Allo scoppio della Seconda Guerra mondiale si trasferisce a New York, dove adotta il nome di David Seymour. Nel 1947, insieme a Cartier-Bresson, Robert Capa, George Rodger e William Vandivert, fonda a New York l’agenzia Magnum Photos. Seymour decide di concentrare i suoi reportage in Europa, quasi come fosse un tentativo di riconnettersi con le sue origini. Nel 1948 riceve un importante incarico dall’UNICEF: documentare le condizioni in cui versano 13 milioni di David “Chim” Seymour. Il Mondo e Venezia. 1936-56 6 dicembre-17 marzo 2024 Museo di Palazzo Grimani, Ramo Grimani, Castello 4858 polomusealeveneto.beniculturali.it

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Venice, Italy, 1950 © David Seymour, Magnum Photos

bambini sopravvissuti alla Seconda Guerra mondiale, in cinque diverse nazioni europee. Persona discreta, riservata, uomo di grande cultura e dotato di una capacità introspettiva fuori dal comune, David Seymour riuscì a intercettare le emozioni traboccanti dall’anima dei suoi soggetti e ad immortalarle su pellicola, come traspare dai suoi scatti delicati, intensi, unici e speciali. Dopo la morte di Robert Capa nel 1954 divenne presidente di Magnum. Morì il 10 novembre 1956, quando, viaggiando nei pressi del Canale di Suez per fotografare uno scambio di prigionieri, fu ucciso dal fuoco di una mitragliatrice egiziana. «Chim usava la sua macchina fotografica come un medico utilizza lo stetoscopio, e faceva una diagnosi al cuore dei suoi soggetti. Il suo era troppo vulnerabile», affermò, dopo la sua morte, l’amico di sempre Henri Cartier-Bresson. M.M. ENG A gondolier veers towards a gas station on the Grand Canal: David Seymour’s iconic photograph of 1950 epitomizes his perceptive, curious, often ironic eye. Exhibition David “Chim” Seymour. Il Mondo e Venezia. 193656, curated by Marco Minuz, will open at Palazzo Grimani from December 6, 2023 to March 17, 2024. Documents, letters, and contemporary magazines accompany a large selection of photographs, about 150, sorted by date. 1936 France, the Spanish Civil War, post-WWII Europe, and the 1948 project Children of War, sponsored by the UNICEF and dedicated to war orphans, and pictures from Israel and Egypt in the 1950s. David Szymin was born in Warsaw in 1911 in a family of publishers. He studied printing in Leipzig, then science at the Sorbonne in Paris, where he decided to settle. A family friend and owner of a photo agency, David Rappaport, lent Szymin a camera. His talent as a photographer soon became apparent, and his photographs ended up on Paris-Soir and Regards, signed Chim for easier pronounciation. Chim died in 1956, then president of the Magnum agency, by the Suez Canal. He was documenting a prisoner exchange and was shot by Egyptian fire.


Persone in fuga dalla Libia durante gli scontri tra ribelli e forze pro-Gheddafi. Ras Jdir, Tunisia © Paolo Pellegrin / Magnum Photos

Sulla strada Paolo Pellegrin, testimone della contemporaneità «Occhi impauriti e sguardi interrogativi stritolano la tragicità dell’evento in una tenaglia mortificante. E Paolo Pellegrin è lì, in mezzo a loro, coperto dalle ceneri di un dolore asfissiante e intento a costruire un ponte emozionale capace di trasmettere, sotto forma di immagine, le vivide ferite della vicenda» (Denis Curti). La grandezza e l’intensità di Paolo Pellegrin rendono riduttivo qualsiasi tentativo di catalogare il suo lavoro: certamente fotografo per l’incredibile lucidità di visione e la capacità di rendere la superficie dell’immagine monocroma, sia nel bianco e nero che nel colore, una materia polverosa e satura, nitida e diafana al contempo; completamente reporter per l’istinto dell’attimo, della situazione, del ritratto necessario, testimone e insieme partecipe; assolutamente poeta, per la capacità di sospensione di ogni istante che rifiuta la retorica del vedere; sicuramente uomo, per l’umanità del suo sguardo e la sensibilità unica che gli ha permesso di andare sempre al di là dello scatto. Nato a Roma nel 1964, ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma e poi fotografia all’Istituto Italiano di Fotografia. Membro dell’agenzia Magnum dal 2005, è stato pubblicato tra gli altri da «The New York Times», «TIME», «Newsweek». Molti i riconoscimenti ricevuti, dal W. Eugene Smith Grant in fotografia umanistica al Photographer of the Year, passando per il Robert Capa Gold Medal Award. Oltre 300 scatti compongono la sua mostra L’orizzonte degli eventi, curata da Denis Curti e Annalisa D’Angelo, realizzata in collaborazione con Magnum Photos e organizzata da Marsilio Arte e da Studio Pellegrin, aperta al pubblico fino al 7 gennaio 2024 a Le Stanze della Fotografia sull’isola di San Giorgio. Un’antologica che copre l’arco di tempo dal 1995 al 2023 e spazia da servizi realizzati nelle zone di drammatici conflitti, come in Iraq e a Gaza, a quelli su problematiche ambientali, come lo tsunami in Giappone e gli incendi in Australia, agli scatti sui cambiamenti climatici in corso, immortalati nelle immagini che ritraggono l’Antartide, fino ai suoi reportage negli Stati Uniti, tra i rifugiati a Lesbo e molte altre missioni che il fotografo ha compiuto nel buco nero della storia raccontando un’umanità che pochi colgono e raggiungono. Un’esperienza visiva ad alto tasso emozionale, dove le storie si sommano divenendo racconto universale e necessaria denuncia, in cui la fotografia non è soltanto una fotografia. «Pretendere che le fotografie esistano è indispensabile. Un mondo senza fotografie mi farebbe paura. Voglio far parte di un mondo dove le fotografie entrano nello spazio pubblico – afferma Pellegrin –, innescano un dialogo sociale». E nella mostra a Le Stanze della Fotografia Paolo Pellegrin ci è riuscito, le sue immagini mettono in discussione presunte verità per contribuire alla costruzione di un nuovo contemporaneo. Mariachiara Marzari

On the road

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Paolo Pellegrin’s greatness and intensity make it plain impossible to label his work. Certainly, he is a photographer of incredible lucidity and ability in both monochrome and colour rendering, he is an all-around reporter in his instinctual sense for the instant, for situation. He is a witness and a participant. He is a poet in his ability to frame each instant out of any embellishment. He is certainly a man, for the humaneness in his eye and the unique sensitivity that allowed him to go beyond any single shot. Born in Rome in 1964, Pellegrin studied architecture and photography. A member of Magnum since 2005, his pictures have been published in the New York Times, TIME magazine, Newsweek. Over 300 pictures make up exhibition L’orizzonte degli eventi, curated by Denis Curti and Annalisa D’Angelo in cooperation with Magnum Photos, open until January 7, 2024 at Le Stanze della Fotografia in San Giorgio Island. Iraq, Gaza, the tsunami in Japan, fires in Australia, climate change, refugees, mission after mission in to the black holes of history to salvage a humanity that only a few can understand and touch. Paolo Pellegrin. L’orizzonte degli eventi Fino 7 gennaio 2024 Le Stanze della Fotografia, Isola di San Giorgio Maggiore www.lestanzedellafotografia.it

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arte

IN THE CITY PHOTOGRAPHY & MORE

Il cacciatore di storie «Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Il mondo invece crede che sia viceversa […] Ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o che scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie», scriveva Dino Buzzati. Buzzati, Venezia e la Pop Art, mostra in corso fino al 25 febbraio al Centro Culturale Candiani, apre una nuova prospettiva sulla vita e sull’opera di uno degli autori italiani più influenti e celebrati del XX secolo, in una narrazione inedita che esplora l’affascinante connessione tra Buzzati e la rivoluzionaria Pop Art americana. Veneziano di adozione, Buzzati aveva un forte legame con la città che spesso ha influenzato la sua narrativa. La laguna e la sua atmosfera unica hanno ispirato molte delle sue opere. Il senso di mistero, la suggestione del surreale e l’elemento fantastico che caratterizzano la sua scrittura trovano spesso riscontro nelle ambientazioni e nei paesaggi veneziani. Ma a Venezia Buzzati conosce anche la Pop Art, la scopre durante le Biennali, ne viene folgorato, la osserva maniacalmente con la sua deformazione professionale da cronista attento ad ogni dettaglio, viaggiando a New York per conoscerne i maggiori artisti, incontrandoli nei loro studi e annotando in un quadernetto di appunti ogni particolare. La mostra, nata dalla collaborazione tra Centro Culturale Candiani, Associazione Dino Buzzati e Università Ca’ Foscari di Venezia, presenta una selezione di oltre 40 delle sue opere, alcune inedite e mai esposte al pubblico, offrendo la rara occasione di scoprire quel Buzzati pittore e grafico sconosciuto ai più. Buzzati, Venezia e la Pop Art Fino 25 febbraio 2024 Centro Culturale Candiani-Mestre www.culturavenezia.it/candiani

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Luigi Ferrigno, Burano, la finestra del pescatore, 1960

In punta di piedi Fondazione Querini Stampalia e lo sguardo attento di Luigi Ferrigno Nel corso di oltre cinquant’anni, Luigi Ferrigno ha osservato e documentato Venezia, superando gli stereotipi da cartolina e restituendone l’unicità e le molteplici contraddizioni. Uno sguardo attento, capace di entrare nelle pieghe della quotidianità, di soffermarsi sullo scorrere del tempo e sui temi di un’Italia divisa, negli anni del dopoguerra, tra l’euforia della libertà e le difficoltà della ricostruzione. Ma anche un approccio discreto, che restituisce scorci inattesi e punti di vista mai scontati, iscrivendo appieno Ferrigno nel solco di quella che viene definita “fotografia umanista”. La mostra Appunti fotografici. La Venezia di Luigi Ferrigno a cura di Lorenza Bravetta alla Fondazione Querini Stampalia, dal 17 dicembre al 1 aprile 2024, presenta per la prima volta al pubblico un insieme organico dell’attività di questo fotografo che attraversa la seconda metà del Novecento e si affaccia al nuovo millennio. Un racconto in punta di piedi fatto di istantanee che, come appunti presi nel corso di tutta una vita, restituiscono uno scrigno prezioso per rileggere la Venezia contemporanea. È qui che si sviluppano e si intrecciano la sua vita – matrimonio, nascita della figlia, quarant’anni di lavoro in vetreria – e l’attività di fotografo amatore attraverso tre fasi temporali e stilistiche che si riflettono in altrettante sezioni in mostra, che inizia e si conclude con due paesaggi, solo apparentemente diversi e lontani tra loro. Luigi Ferrigno sceglie il linguaggio della fotografia per raccontare una storia, la sua e quella di una città, con le piccole e grandi trasformazioni che, nell’ultimo mezzo secolo, l’hanno segnata. Appunti fotografici. La Venezia di Luigi Ferrigno 17 dicembre-1 aprile 2024 Fondazione Querini Stampalia, Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.querinistampalia.org


Foto Giorgio Giacobbi, Palle di neve a San Marco, 1954, Circolo Fotografico La Gondola - Venezia

Poesia silenziosa Venezia e la neve in mostra alla Fondation Wilmotte A Venezia la neve è un evento straordinario che trasforma la città d’acqua in un paesaggio incantato. Anche se di solito è di breve durata, poiché il clima lagunare tende a farla sciogliere rapidamente, la città si trasforma come avvolta in un manto magico che annulla la percezione del confine tra terra e acqua. I fiocchi di neve scendono lentamente sui campi e i canali, riflettendo la luce soffusa del sole invernale. Le gondole ormeggiate sono avvolte in coperte di neve bianca come i tetti dei palazzi e i ponti che diventano magiche passerelle innevate. Il silenzio della città è rotto solo dal suono soffice dei passi sul manto nevoso, mentre il Canal Grande si trasforma in una striscia d’argento tra le antiche architetture. È un momento sospeso nel tempo in cui la bellezza di Venezia si fonde con la delicatezza della neve, creando una scenografia indimenticabile. In questo contesto la Fondation Wilmotte, in collaborazione con il Circolo Fotografico La Gondola e con l’Archivio della Fondazione Querini Stampalia attraverso il fondo Luigi Ferrigno, presenta nello spazio della Galleria in Fondamenta dell’Abazia la mostra Venezia bianca. Quarantanove fotografie che compongono un articolato percorso espositivo diviso in tre temi principali: Piazza San Marco, gondole e persone, scatti in cui si possono ammirare scene di bambini che scambiano sorrisi compiaciuti lanciandosi in divertenti battaglie di palle di neve, dove la città diventa il luogo di giochi e di avventure invernali per un’esperienza che porteranno con sé e nei loro ricordi per tutta la vita. A Venezia, gli abitanti e i visitatori si mescolano tra di loro, ogni passo lascia una traccia e crea un contrasto visivo tra il bianco

della neve e il nero delle impronte. Le fotografie di Marino Bastianello, Roberto Capuis, Libero Dell’Agnese, Sergio Del Pero, Luigi “Gigi” Ferrigno, Gaetano Gabbia, Giorgio Giacobbi, Manfredi Manfroi, Laura Martinelli, Sergio Moro, Gino Residori, Fulvio Roiter, Bruno Rosso, Luciano Scattola, Toni Schena rappresentano un’ode alla bellezza eterna e mutevole di questa città, una testimonianza del suo spirito resiliente di fronte alle sfide della natura. Di notevole interesse documentale oltre che estetico, sedici cartoline postali esposte in mostra e provenienti da un album recuperato da Luisa Mogavero che oggi ne è la proprietaria. Esse custodiscono la memoria collettiva di un fenomeno unico e suggestivo; alcune hanno nel margine inferiore i timbri a secco “Foto Giacomelli Venezia” e “Ferruzzi Venezia”, due dei più noti studi fotografici veneziani attivi nella prima metà del Novecento. Le cartoline risalgono infatti al 1929, anno in cui un’intensa ondata di gelo ghiacciò la laguna veneziana facendo registrare la temperatura straordinaria di 12 gradi sottozero. L’evento sensazionale, cristallizzato nella memoria di un inverno in cui il clima si irrigidì al punto che «la gente camminava sul mare, tanto che si sarebbe potuto arrivare fino a Mestre a piedi», viene registrato fotograficamente e quindi diffuso tramite il mezzo della cartolina postale. L’immagine fissata diventa un oggetto che passa di mano in mano e giunge fino a noi. Venezia bianca 2 dicembre-3 marzo 2024 Fondation Wilmotte Fondamenta dell’Abazia, Cannaregio 3560 www.fondationwilmotte.fr

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arte

IN THE CITY PROSPETTIVE

L’artista è tutt’uno, sempre

Questioni in sospeso Progetto espositivo indipendente e continuo di arte dal vivo ideato nel 2012 e curato dal duo di artisti VestAndPage (Verena Stenke e Andrea Pagnes), cocurato da Anja Foerschner (ECC Performance Art), Marta Jovanovic (G12 Hub), Francesco Kiais (Mind the GAP) e Agustin Arguello & Gabriel Lyons (PAV), VENICE INTERNATIONAL PERFORMANCE ART WEEK 2023 torna a Palazzo Mora, dal 15 al 17 dicembre, per l’ottava edizione dal titolo doppio (che comprende le due diverse sezioni espositivi e live) DigiLabAir | Emergencies of the Contemporary. Un’edizione che vede artisti e performer di consolidata esperienza internazionale sfidare le proprie pratiche artistiche nel tentativo di proporre nuovi punti di vista sulle reali emergenze del contemporaneo. DigiLabAir, la parte espositiva, è composta da 24 opere video basate su performance, 15 delle quali realizzate durante residenze d’arte digitale, ospitate dalle associazioni culturali no-profit europee dei cinque partner del progetto. La parte live, Emergencies of the Contemporary, si compone di un fitto programma di performance dal vivo con artisti emergenti e riconosciuti a livello internazionale che affrontano questioni urgenti come emarginazione, povertà, emergenza climatica, migrazione, accessibilità, uguaglianza sociale e di genere, giustizia e pace. ENG An independent exhibition project created in 2012 by art duo VestAndPage (Verena Stenke and Andrea Pagnes) with Anja Foerschner, Marta Jovanovic, Francesco Kiais, and Agustin Arguello & Gabriel Lyons. The upcoming staging of the continuous exhibition will see the participation of international artists and performers, who will show their art and their points of view on modernity. 24 performance-based pieces of video art for the main exhibition, plus a programme of live performances on marginalization, poverty, climate emergency, migration, accessibility, social equity, justice, and peace. VIII VENICE INTERNATIONAL PERFORMANCE ART WEEK 15-17 dicembre Palazzo Mora veniceperformanceart.org

Il duplice volto dell’artista e scultore Umberto Mastroianni si scorge nell’ambivalenza delle sue opere. La mostra Figure e Astrazioni 1931– 1936, in corso fino al 18 gennaio 2024 a Palazzo Pisani Revedin, a cura di Victoria Noel-Johnson e Marco di Capua, ricostruisce attraverso un ampio corpus di opere la scissione artistica di Mastroianni avvenuta durante il Secondo conflitto Mondiale e la Resistenza, momento in cui la sua opera viene segnata da un irreversibile cambio stilistico. «Per capire un artista bisogna abbracciare le sue stagioni, non ha senso giudicarlo da una sola stagione. […] L’artista è tutt’uno sempre», diceva lo stesso Mastroianni. Nel periodo pre-bellico, lo stile di Mastroianni rimanda all’arcaico, all’antico e alle forme classicheggianti: i principali soggetti mitologici e religiosi rappresentati sono in terracotta e in bronzo. Le opere giovanili sono pervase da un “senso poetico straordinario”, aveva commentato Cesare Brandi. Una sintesi emblematica della prima fase sono le opere Ragazzo fiorentino (1931), Novizio (1934), i Nudi e il Mezzo busto, opere prevalentemente caratterizzate da immobilità e sguardo ieratico. Successivamente le forme rappresentate dall’artista diventano dinamiche, astratte e geometriche, infatti egli traduce la visione futuristica nella creazione di nuovi linguaggi innovativi e inesplorati, così da divenire il primo astrattista della scultura italiana di rilievo internazionale. I bronzi e gli acciai definiti “barocchi e rivoluzionari”, le sculture dedicate ai caduti, sanciscono quella che Argan aveva definito “poetica della resistenza”. La brutalità trasmessa dall’artista è presente nei 50 cartoni esposti a Venezia con le originali cornici a “cassetto”, che ricoprono il periodo astratto dal 1949 al 1992. Il modo in cui la carta è pressata, incisa e ondulata è il testimone più autentico dell’animo inquieto dell’artista; inoltre le linee infondono energia esplosiva, dirompenza e scontro di valori. I suoi lavori suggeriscono l’immediatezza della creazione e i titoli suggestivi, quali Fantasie astrali, Tauromachia e Motore spaziale, infondono il desiderio di scoperta ed esplorazione di universi paralleli. La trasformazione dell’arte di Mastroianni è il riflesso di un cambiamento sociale in atto, il passaggio da un mondo equilibrato a un altro all’insegna della modernità. Caterina Caseti ENG The two faces of artist and sculptor Umberto Mastroianni is apparent in the ambivalence of his works. Exhibition Figure e Astrazioni 1931–1936, at Palazzo Pisani Revedin until January 18, 2024, presents a collection of art by Mastroianni created in the immediate post-WWII years, a time that profoundly changed the artist’s style. Before the war, his style was all about the archaic, the ancient, and the classical: his mythological and religious subjects are shaped in terracotta and bronze. “An extraordinary poetic sense”, commented critics. In following years, his shapes grew dynamic, abstract, geometrical: Mastroianni translated futuristic visions into new, unexplored languages, earning his place as the first Italian abstract sculptor of international renown. Umberto Mastroianni. Figure e astrazioni 1931–1996 Fino 18 gennaio 2024 Palazzo Pisani Revedin www.fondazionemastroianni.it

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arte IN THE CITY GALLERIES

GALLERIA ALBERTA PANE MICHELE SPANGHERO L’esprit de l’escalier

2 dicembreDecember-2 marzoMarch, 2024

MARINA BASTIANELLO GALLERY FABRIZIO GAZZARRI FinoUntil 31 dicembreDecember

«Un anno fa io e Fabrizio ci siamo incontrati e abbiamo parlato del mio e del suo lavoro ed è lì che è nata l’idea di fare una mostra di sue opere scultoree. Poi con grande dolore Fabrizio ci ha lasciati. Mantenendo il suo desiderio e l’impegno che avevo preso, d’accordo con Mariablu e Giulia, abbiamo deciso di estendere la mostra anche nella galleria di Venezia con opere pittoriche, rendendo in questo modo omaggio a Fabrizio». Marina Bastianello Fabrizio Gazzarri inizia a dipingere nello studio di suo padre scultore e decide di dedicarsi all’esperienza dell’arte. Ma è la duratura collaborazione con Emilio Vedova, prima come allievo, poi come assistente e infine con nume tutelare della Fondazione intitolata al Maestro, che caratterizza il lavoro di una vita di Fabrizio Gazzarri. Tuttavia l’artista ha sempre portato avanti la sua personale ricerca artistica che attraverso le due mostre-omaggio emerge prepotentemente, liberata da ogni credito e da ogni controllo. Le sue sculture emanano un magnetismo spirituale capace di far entrare lo spettatore in una dimensione altra, sgorgano dal cratere per condensarsi tra cielo e terra, in un regno intermedio. I suoi dipinti monocromi sono il risultato di un equilibrio sottile ma assoluto, in perfetta sintonia col tutto. ENG The late Fabrizio Gazzarri began painting in his sculptor father’s studio – that’s where his passion for art was born. It was with painter Emilio Vedova, though, that this passion would grow into Gazzarri’s lifetime commitment. First a pupil of Vedova, then assistant, then driving force of the foundation in Vedova’s name. Gazzarri also furthered his own art research, which we can appreciate in two exhibitions. Unindebted, free of any outside control, his sculptures, emerging from a crater and condensing midway between earth and sky, emanate a kind of spiritual magnetism that will accompany us into an alien dimension. His monochrome paintings display a subtle, absolute balance in perfect tune with wholeness. Cannaregio 1865 A, Venezia Via Pascoli 9/c-Mestre www.marinabastianellogallery.com

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Artista poliedrico, Michele Spanghero (Gorizia, 1979) è di formazione sia letteraria che musicale. Partendo dall’espressione diderottiana di fine Settecento, L’esprit de l’escalier, la mostra nella Galleria Alberta Pane si snoda tra opere scultoreo-installative, fotografie e disegni, in un gioco di tensioni, ideali e formali, in cui l’utilizzo del suono si fa concettuale. Dissimulando e al contempo smascherando, Spanghero concepisce lavori stratificati nel tempo in cui l’assenza e l’impossibilità della memoria sono centrali; forma e pensiero vengono a coincidere talvolta con una quasi miracolosa tensione ideale e strutturale, talvolta con una poetica rassegnazione di fronte all’impossibilità di far sentire la propria voce o di cogliere l’inafferrabile. Michele Spanghero propone una riflessione caustica e sensibile, in cui i ripensamenti, le riconsiderazioni e le incertezze proprie del fare artistico diventano forma, sostanza e tacita affermazione di senso. ENG A versatile artist, Michele Spanghero (Gorizia, 1979) found inspiration in Diderot’s expression L’esprit de l’escalier to compose an art exhibition comprising figurative sculpture, installation, photography, and drawings connecting in a game of ideal and formal tension where the use of sound overflows into the conceptual. By dissimulating and unveiling at once, Spanghero conceives layered art that show how absence and the impossibility of retaining memory. Shape and thought verge towards one another and coincide in an almost miraculous ideal and structural tension, oftentimes showing poetic resignation in front of the impossibility of making one’s voice heard. Calle dei Guardiani, Dorsoduro 2403/h albertapane.com


APLUSA GALLERY HÔTEL-DIEU

PALAZZO LOREDAN DAVIDE BATTISTIN Genesis

15 dicembreDecember-18 febbraioFebruary, 2024

Ci si può perdere e ritrovare nella Venezia onirica, surreale, extra-ordinaria per colori e atmosfere di Davide Battistin (Venezia, 1970), che è divenuto cantore ricercatissimo My Way – Or Nothing At All | @veniceartfactory veniceartfactory.org 8 dicembreDecember-5 gennaioJanuary, 2024 di una città evanescente quanto profondamente reale nel sentire dei veneziani. Questa di Armando Bozzola non è una moCon Genesis, Battistin fa un passo ulteriore stra. È una messa in scena, una performane guarda alle origini, alle acque paludose e ce, uno show. E lo show coincide con la vita agli isolotti a pelo d’acqua da cui i veneziani di Armando, dice la verità sul suo essere, vollero “lanciarsi alla conquista del mondo”, che è sempre un mostrarsi. perché è “nella stra-ordinarietà della sua Pittore ottantacinquenne autodidatta, progenesi” che risiede la forza immaginifica di viene da un contesto sociale difficile, cominquesta città. cia a lavorare a undici anni, ma sviluppa in L’artista «mai intimorito dal peso potenzialtotale autonomia una viscerale passione per mente opprimente delle infinite descrizioni la bellezza, il colore, la natura, la sua città, visive di Venezia», osservava Ian Warrell, Venezia. E poi per la musica, in particolare estrae dunque con la sua pittura «l’essenza per Frank Sinatra, con cui avverte una constessa della materia di cui è fatta Venezia» sonanza alle soglie dell’identificazione. e mostra nella luce e nel colore la «quintesNegli anni Ottanta e Novanta ha esposto senza della scintilla creativa di un popolo fianco a fianco con artisti già affermati, che illuminò l’umanità per un millennio»; epspesso guadagnandone la stima. Miro pure inevitabile appare un senso di profonda Romagna gli testimonia a più riprese il suo inquietudine. apprezzamento. Edmondo Bacci gli dice che «I so cocai dovaria svolar in tuto el ENG You can get lost and find back mondo» (I suoi gabbiani dovrebbero volare your way in a dreamlike, extraordinary in tutto il mondo). Venice thanks to the colours and atmospheres by Davide Battistin (b. Venice, ENG This, by Armando Bozzola, is 1970). Battistin earned fame in the art not an exhibition. It is a staging, a perforworld for his refined idylls, so close to the mance, a show, and the show coincides real sentiment Venetians have for their with Armando’s life, it tells the truth about city. With Genesis, the artist takes a step his being, which is always a show. An forward and looks back to the origins of eighty-five-year-old self-taught painter, Venice, to the marshy waters and shallow Bozzola comes from a difficult social backislets that propelled Venetians to conquer ground. He started working at the age of the world. In the words of Ian Warrel, the eleven, to later develop a visceral passion artist “never fearing the potentially oppresfor beauty, colour, nature, and his city, sive weight of visual descriptions of Venice, Venice. And then for music, in particular uses his art to extract the essence of the for Frank Sinatra, with whom he feels a matter itself Venice is made of, showing in consonance on the threshold of identifilight and colour the bright creative spark cation. Edmondo Bacci tells him that ‘i so of a people that enlightened the world for a cocai dovaria svolar in tuto el mondo’ (Your thousand years.” seagulls should fly all over the world).

8 DECEMBER 2023 - 5 JANUARY 2024 FinoUntil 27 gennaioJanuary, 2024 SPARC* - SPARC* SPAZIO ARTE CONTEMPORANEA | SAN MARCO 2828A - VENICE Il nome Hôtel-Dieu significava nel MedioevoMONDAY - ARMANDO FRIDAY | 10AM - 6PM BOZZOLA

il più grande alloggio della città. Era gratuito per i poveri, mentre ai ricchi veniva chiesto di pagare per il loro soggiorno. A plus A e School for Curatorial Studies Venice hanno aperto il primo Hôtel-Dieu a Venezia. Il turismo di massa, la sistematica vendita di Palazzi storici a grandi catene alberghiere e la trasformazione di appartamenti in bed&breakfast stanno determinando un improponibile aumento degli affitti di case e studi, tant’è che numerosi artisti sono costretti ad abbandonare la città e una galleria di arte contemporanea a convertirsi in una struttura ricettiva. Nell’Hôtel-Dieu agli artisti – Giulia Maria Belli, Alessandro Bevilacqua, Thomas Braida, Ornella Cardillo, Simone Carraro, Francesco Casati, Nina Ćeranić, Weichao Chen, Nebojša Despotović, Daria Dmytrenko, Jingge Dong, Bruno Fantelli, Greta Ferretti, Leonardo Furlan, Enej Gala, Bogdan Koshevoy, Giulio Malinverni, Anna Marzuttini, Alesssandro Miotti, Sebastiano Pallavisini, Anastasiya Parvanova, Edison Pashkaj, Barbara Prenka, Simone Rutigliano, Pierluigi Scandiuzzi, Mattia Varini, Francesco Zanatta – è stato assegnato un posto letto da allestire e personalizzare. ENG In medieval France, Hôtel-Dieu was the name of the largest dwelling in town. Free for the poor, it required a fee of its wealthier patrons. A plus A and the School for Curatorial Studies Venice opened the first Hôtel-Dieu in Venice. Mass tourism, the selling of historical palazzos to hotel chains, and the transformation of apartments into B&Bs made housing so expensive that many artists had to leave the city. This Hôtel-Dieu will house several artists, who will also be allowed to personalize their living spaces. San Marco 3073 www.aplusa.it

Spazio Arte Contemporanea Campo Santo Stefano, San Marco 2828/a www.veniceartfactory.org

Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti Campo Santo Stefano, San Marco 2945 lineadacqua.gallery

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arte

NOT ONLY VENICE REVIEW

Sacro furore El Greco, dalla Grecia alla Spagna passando per Venezia Ruolo fondamentale nella riscoperta di El Greco lo ricoprì senz’altro lo storico dell’arte Rodolfo Pallucchini, milanese di nascita, veneziano d’adozione, che negli anni ‘30 del secolo scorso tirò fuori il pittore candiota dall’oblio in cui era sprofondato. Magnifico punto di partenza per lo studioso all’epoca in cui ricoprì l’incarico di ispettore della Galleria Estense di Modena, come oggi per la preziosa mostra in corso a Milano a Palazzo Reale El Greco: un pittore nel labirinto, è il Trittico di Modena: piccolo capolavoro che nella misura ridotta ricorda ancora gli altaroli portatili molto diffusi nella tradizione pittorica cretese, mentre nella qualità cromatica accesa fatta di velature di colore, nella ricchezza degli sfondi non più piatti e dorati, nella complessità iconografica del racconto che anima le scene sacre, lascia trasparire la mano di un artista che aveva già abbandonato la maniera greca per abbracciare lo stile veneziano, rispondendo probabilmente alle richieste della committenza, la famiglia Grimani per cui fu eseguito. Bellissimo il Monte Sinai che si accende in pennellate fluide, il paesaggio che sfuma alle spalle dell’Adorazione dei pastori, mentre il Salvatore giganteggia sugli altri personaggi per incoronare il cavaliere cristiano, alludendo al trionfo della chiesa militante sull’eresia, tra angeli, demoni, virtù teologali e dannati che fuoriescono dalle fauci spalancate di un mostro marino. Originario di Creta, isola greca sotto il dominio della Serenissima, Dominikos Theotokopoulos nacque nel 1541 a Candia, ma sin da giovanissimo sembrava inevitabile che cercasse fortuna proprio a Venezia, allora dominante dall’Adriatico all’Egeo, e dove sperava di apprendere la nuova e moderna “lingua latina”, affrancandosi da quel modo di dipingere “alla greca”. Considerato come rappresentante di quei “madonneri” che dalla Grecia alla Serenissima tra ‘400 e ‘600 avevano ibridato uno stile, fondendo antinaturalismo bizantineggiante e naturalismo veneziano, a lungo in realtà fu penalizzato da questa etichetta riduttiva, forgiata proprio da Pallucchini, che accomunando pittori e opere di livello molto diverso, ne aveva appiattito e inflazionato i picchi qualitativi. L’importante mostra milanese, curata da Juan Antonio Garcia Castro, Palma Martinez-Burgos Garcia e Thomas Clement Salomon, riunisce fino all’11 febbraio 2024 una quarantina di opere frutto di importanti prestiti internazionali, facendo emergere El Greco a tutto tondo e meritatamente quale straordinario interprete di un’epoca difficile imperniata sui dettami controriformistici, ma altrettanto svelandolo come inaspettato anticipatore di una modernità che dal suo tempo lo proietta fino alle avanguardie del XX secolo. Un viaggio espositivo che si snoda attraverso cinque momenti scanditi in precise aree tematiche, partito dal Bivio iniziale, passando per il meditato Dialogo con l’Italia che si traduce in un idioma pittorico già divenuto latino grazie all’immediato confronto in mostra tra capolavori; in questa sezione sono proposti, uno a fianco all’altro, l’emaciato, tormentato, livido San Giovanni Battista nella versione del cretese e quello imperioso e statuario del Tiziano maturo da cui El Greco: un pittore nel labirinto Fino 11 febbraio 2024 Palazzo Reale-Milano www.palazzorealemilano.it

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Madonna col Bambino e Santa Martina e Sant’Agnese, National Gallery of Washington © Courtesy National Gallery of Art, Washington

aveva assorbito l’uso del colore a tocchi, persino sfumandolo nei contorni come faceva il maestro; la luce velata capace di costruire corpi e di esaltare panneggi di Jacopo Bassano accende una sua crepuscolare Orazione nell’orto, mentre il Tintoretto con le sue molteplici Ultime cene gli aveva senz’altro consentito di sperimentare l’idea della profondità dello spazio attraverso la torsione dei corpi. Quei corpi che si allungano nel passaggio a Parma, dove tra Correggio e Parmigianino si consolida in Theotokopoulos la sua personale interpretazione del Manierismo che renderà uniche, iconiche le sue figure, che sembrano risucchiate in cielo. Ecco allora quelle tinte acide e i colli allungati che si ritrovano nelle Sacre Famiglie o nell’aulico San Martino e il Mendicante di Washington, mentre le architetture, che a lungo valsero al dipinto l’attribuzione al Veronese, si aprono come una quinta cinematografica sulla Guarigione del cieco, dal profondo valore didascalico nella sua rilettura controriformistica del soggetto iconografico. Traspare dalle opere a carattere religioso la straordinaria capacità di El Greco di comunicare il senso del sacro, tanto che Dipingendo


Laocoonte, National Gallery of Art Washington © Courtesy National Gallery of Art, Washington

Adorazione dei pastori, Museo Colegio del Patriarca © Real Colegio Seminario de Corpus Christi / Mateo Gamón

la santità ha reso i gesti espressivi più delle parole. Mani amorevoli e aperte che accarezzano nelle Sacre conversazioni, mani legate come quelle di Cristo al Calvario o sulla croce, supplici e intrecciate in San Pietro o nella Maddalena a invocare il perdono per il tradimento, incrociate sul petto nel San Francesco in preghiera. Ma altrettanto, il volto è «una spia delle emozioni connessa direttamente al cuore, mentre gli occhi erano ritenuti i canali di entrata e di uscita degli affetti del corpo», spiega in catalogo Palma Martinez-Burgos Garcia. Sguardi fissi o rivolti al cielo, lacrime che invocano perdono e penitenza, nella sacra teatralità di El Greco diventano eloquenti più di qualsiasi predica dal pulpito. Del resto è proprio quello che i dettami religiosi quasi imponevano e ai quali lui stesso si adeguò creando archetipi e dando vita ad una sorta di pedagogia della Controriforma. Quasi a voler sancire un recupero delle sue origini, il tema L’Icona, di nuovo ritorna alla fissità frontale dei volti, raffigurati perlopiù a mezzobusto e su fondo scuro. Emblematica la Veronica con il volto santo, che si svela come una sorta di Sacra Sindone esibita in un gioco di luci e ombre frutto di una assoluta, raggiunta maturità espressiva. Il labirintico viaggio di formazione di El Greco, che in Italia non aveva ottenuto il successo sperato, troppa la concorrenza sia a Venezia che a Roma, si concluderà in Spagna con la speranza di divenire pittore alla corte di re Felipe II. Carattere difficile e prezzi eccessivi per il mercato castigliano, uniti a uno stile iconograficamente forse troppo originale ed eversivo per essere compreso, lo costringerà a ripiegare su Toledo, un ambiente lontano da mode e correnti, dove trovò amici e committenti fedeli e dove morì nel 1614. Relegata sullo sfondo, la città spesso rappresentata realisticamente, forse ricordandosi anche della mappa veneziana del de’ Barbari, o come visionaria raffigurazione tra storia e mito, irrompe in uno dei suoi capolavori: il Laocoonte, unica opera d’argomento mitologico è un omaggio al gruppo scultoreo visto a Roma dove, riscoperto nel 1506 sul monte Esquilino, era divenuto fonte di ispirazione per pittori e scultori. Nella sua versione, il sacerdote troiano punito da Atena per aver rivelato l’inganno del cavallo di Troia, viene trasformato in una esibizione di corpi lividi ed emaciati mentre lottano e si contorcono tra le spire dei serpenti, in una esasperazione muscolare delle carni ad accentuare il dramma del padre costretto ad assistere per sua colpa alla morte dei figli. Sullo sfondo, Ilio esce dal suo pennello con le forme di una Toledo murata riconoscibile dalle guglie della cattedrale, in una resa delle architetture che pare anticipare di tre secoli le straordinariamente soluzioni cubiste di Cézanne, laddove i volti sciolti, le carni trasparenti e i corpi svuotati di peso, sembrano aver ispirato le pennellate che, tre secoli dopo, avrebbe liquefatto Francis Bacon. Michela Luce

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Appunti fotografici. La Venezia di Luigi Ferrigno a cura di Lorenza Bravetta

17.12.23 - 01.04.24 Venezia, Fondazione Querini Stampalia

martedì-domenica 10-18 Castello 5252, Santa Maria Formosa T. +39 041 2711411 fondazione@querinistampalia.org www.querinistampalia.org

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con il contributo scientifico di

in collaborazione con


arte

NOT ONLY VENICE MAESTRI

Sindrome di Stendhal Caravaggio, San Girolamo, Galleria Borghese, Roma

Segni del tempo Conoscenza e crescita s’intrecciano all’infinito nello scorrere del tempo, un moto circolare incessante in cui si alternano le fasi della vita di ogni essere umano. È questa la suggestione che accomuna tre capolavori assoluti, opere di straordinaria bellezza, ora riuniti in una mostra alla Basilica Palladiana di Vicenza: San Girolamo di Caravaggio, Le quattro età dell’uomo di Antoon Van Dyck e un inedito lavoro dell’artista contemporaneo vicentino Arcangelo Sassolino, No Memory Without Loss, realizzato appositamente per l’evento. Curata da Guido Guido Beltramini e Francesca Cappelletti, organizzata da Marsilio Arte, l’esposizione Caravaggio, Van Dyck, Sassolino. Tre capolavori a Vicenza offre un’atmosfera sospesa tra passato e presente, in cui l’implacabile scorrere del tempo viene fissato dalle pennellate dei Maestri. San Girolamo di Michelangelo Merisi detto Caravaggio, realizzato nel 1606 e custodito nella celebre Galleria Borghese a Roma, viene raffigurato come uomo di studi dedito alla conoscenza. I toni freddi e caldi della tela evocano magistralmente il rincorrersi degli opposti, la vita e la morte, il passato e il futuro e, in generale, lo scorrere inesorabile del tempo. Il moto ciclico del tempo torna anche in una delle opere più importanti dei Musei Civici di Vicenza, Le quattro età dell’uomo del pittore fiammingo, Antoon Van Dyck. Le età del titolo sono personificate dai personaggi: del bambino dormiente, l’infanzia; dalla fanciulla, la giovinezza; dall’uomo armato sedotto dalla donna, la maturità; dall’anziano sullo sfondo, la vecchiaia. Arcangelo Sassolino si misura fisicamente con la materialità catturando il tempo dell’instabilità, della trasformazione e del perpetuo divenire delle cose. Caravaggio, Van Dyck, Sassolino. Tre capolavori a Vicenza 16 dicembre-4 febbraio 2024 Basilica Palladiana-Vicenza www.mostreinbasilica.it

Una strana sensazione o meglio “sindrome” colpisce il visitatore (e probabilmente lo stesso Rubens) nell’attraversare le magnifiche e avvolgenti sale di Palazzo Te a Mantova. Si crea una strana affinità elettiva tra il visitatore e il pittore fiammingo, una sensazione di piacevole oblio, quasi schiacciati da tanta bellezza e unicità dello spazio espositivo, oltre che delle opere stesse. L’immaginifica popolazione di divinità e di testi antichi inventati, citati e immortalati da Giulio Romano a Palazzo Te furono infatti la palestra ideale per il colto Rubens. L’intellettuale rinascimentale, che si era alimentato durante gli anni della sua formazione culturale di questo materiale latino e greco attraverso testi e immagini, trovava qui il luogo perfetto per immergersi nei sogni antichi. Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà, fino al 7 gennaio 2024 – assolutamente da non perdere –, è un viaggio all’interno di “scatole delle meraviglie”, dove tutto sembra dialogare fitto e dove l’occhio del visitatore rimbalza di continuo dalle opere di Rubens alle pareti affrescate da Giulio Romano, per tornare, abbagliato, all’opera con una consapevolezza nuova. L’esposizione, infatti, curata da Raffaella Morselli, con la collaborazione di Cecilia Paolini, mette in luce il dialogo con i miti e l’interpretazione di Giulio Romano e la sintonia mai interrotta con il Rinascimento e la favola mitologica di Rubens: è qui che l’artista fiammingo tramuta il suo mondo in un linguaggio universale capace di parlare a tutte le corti d’Europa. Sotto il tetto di Palazzo Te, Rubens si converte da fiammingo a italiano, uomo nuovo universale, che oltrepassa i confini religiosi, geografici e politici, per inventare un nuovo linguaggio che è, a tutti gli effetti, internazionale. Una lingua figurativa europea, la prima della Storia dell’arte. Di opera in opera, con lo sguardo continuamente rapito da Giulio Romano e da Rubens, passano tutte le suggestioni intellettuali rinascimentali, che dimostrano visivamente come quest’arte sublime si sia sedimentata come canone universale ed estetico, eredità artistica fondamentale. Articolato in 12 sezioni, che seguono il percorso di visita di Palazzo Te, il progetto espositivo, caratterizzato da più di 50 opere di Rubens provenienti dai più importanti musei d’Europa, approfondisce le tematiche più affascinanti e prolifiche del pensiero di Rubens: dal mito all’idillio della natura, alla sfida del potere, dalla lezione di Giulio alla storia romana e alla filosofia che genera civiltà. L’arte come sublime pratica della libertà. M.M. Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà Fino 7 gennaio 2024 Palazzo Te-Mantova www.centropalazzote.it

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arte

I libri, la realtà e l’arte

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Vincent tra le righe Al Mudec un inedito approccio al pittore dei Girasoli In una riga scritta al fratello Theo: «I libri, la realtà e l’arte sono una cosa sola per me», Vincent sintetizzava il suo pensiero, scelto come leitmotiv della mostra allestita fino al 28 gennaio al Mudec di Milano, Vincent Van Gogh. Pittore colto, a cura di Francesco Poli con Mariella Guzzoni e Aurora Canepari. Uscendo dallo stereotipo tragicointimistico spesso fin troppo enfatizzato, a volte persino a discapito della vera grandezza del genio olandese, la mostra ne restituisce l’immagine di intellettuale cresciuto attraverso specifici interessi culturali, attento a dare forma a una sua poetica della pittura, maturata attraverso una tecnica che poggiava su insegnamenti assimilati confrontandosi con artisti contemporanei, visitando mostre e musei. Nata dalla collaborazione con il Kröller-Müller di Otterlo, museo che da solo varrebbe il viaggio in Olanda e che dopo Amsterdam possiede tra dipinti e disegni la più ricca collezione di opere del Maestro, grazie al prestito di una quarantina di pezzi l’esposizione propone un percorso cronologico e tematico che parte dall’amore di Vincent per i libri, citati più volte nella corrispondenza con Theo, suo più fidato mentore, illustrando la fascinazione che l’artista subì per il Giappone molto di moda nella Parigi dell’epoca. Altrettanto fondamentale e decisivo nella sua scelta di divenire pittore fu l’influenza esercitata dall’artista francese Jean-Francois Millet da cui nacque in Van Gogh l’attenzione ai temi sociali, con uno sguardo rivolto ai poveri e ai lavoratori della terra o delle miniere. Si nutrono di questi argomenti le sue letture esposte in mostra come fossero quadri: religiose, infatti fu un profondo conoscitore della Bibbia, storiche tanto che si addentrò nella monumentale Storia della Rivoluzione francese di Michelet, attente ai diritti degli emarginati e stimolate da La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe, romanzo focalizzato sulla condizione degli schiavi d’America. Da questi spunti elaborò Le portatrici del fardello, L’angelo della sera, o gli Zappatori proposti nelle intense versioni a matita, gessetto, acquerello. Opere nate nella prima fase della vita di Van Gogh, quando nel nord brumoso dell’Olanda e nel Borinage si impegnò tra il 1879 e 1880 come predicatore tra i minatori. Del breve passaggio ad Etten, dove vivevano i genitori, sono presenti alcuni disegni scuri, raffiguranti la Donna che pela le patate, dettaglio preparatorio alla grande tela di Amsterdam, o Donna col gatto che cuce, entrambe ripiegate in una posa assorta, in interni spogli e modesti, toni e soggetti che riprenderà anche in seguito. All’Aia, dove visse tra il 1881 e 1882, incontra Sien, una giovane prostituta incinta con un figlio, che Vincent spera di salvare dalla sua condizione e la ritrae triste e sofferente sul letto di morte, presente in mostra una intensa versione a tecnica mista. Periodo in cui si interessò all’illustrazione, attratto dal naturalismo di Émile Zola che lesse avidamente, e dal realismo di Dickens che aveva lucidamente e impietosamente rappresentato lo sfruttamento e la povertà nelle strade di Londra. Nell’autunno del 1883 si trasferì a Neuen e in due anni di dedizione al disegno e alla pittura nacquero una serie di opere dai toni terrosi, tra queste la sua prima grande composizione, I mangiatori di patate.

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La mostra si accende con i dipinti del periodo parigino, tanto che nell’ambiente della Ville lumière la sua tavolozza diventa materica, fatta di pennellate scomposte e vibranti di energia, ispirate alla ricerca dei pittori pointilliste che aveva da poco conosciuto, basate sulle scoperte scientifiche di Chevreul. Sono a confronto paesaggi di Signac e di Maximilien Luce studiati dal suo sguardo attento, immortalato nel suo famoso Autoritratto ed esposto vicino ad un chiaro, luminoso Interno di ristorante crepitante nel tocco, quasi il colore si fosse animato. La curiosità di Van Gogh viene attratta da quel giapponismo che imperversava a Parigi a seguito delle Esposizioni Universali del 1867 e 1878; fu coinvolto da mercanti come Siegfried Bing, lesse avidamente riviste specializzate che lo spinsero a entrare nel mondo di Hiroshige e Hokusai. Linee sinuose, che anticipano l’Art Decò, campiture piatte di colore, figure stilizzate vengono da lui assorbite e reinterpretate, diventando esplosioni di colore o dettagli di fiori nei prati nei quali si immerge e che circondano il suo sguardo. Elementi che torneranno come un sottinteso leitmotiv nei paesaggi del periodo di Arles dove cercò nella luce assolata e tersa nuova ispirazione, come lui stesso dirà «qui sono in Giappone». Bellissimi i Pini al tramonto o il Burrone dalle tonalità che sfumano in pennellate azzurre che ricordano evidentemente le onde di Hiroshige, o il monte Fuji, rappresentato più volte da diverse angolazioni da Hokusai. Che Vincent Van Gogh sia uno dei pittori più amati, che solo il suo nome nell’incipit di una mostra attragga visitatori da ogni parte del mondo, che i suoi dipinti risultino sempre al top dei record per case d’asta come Christie’s e Sotheby’s che se lo contendono con aggiudicazioni a sei zeri, dai 39 milioni di dollari per i Girasoli ai 53 milioni degli Iris battuti nel 1987, dai 62 milioni per Natura morta con margherite e papaveri agli 82 milioni per Ritratto del dottor Gachet nel 1990, fino al più recente Paesaggio con cipressi aggiudicato per 117 milioni di dollari nel novembre 2022, fa parte della cronaca dell’arte. Ma ad attrarre è anche la sua biografia legata all’immagine di un genio tormentato da drammi esistenziali alla ricerca della solitudine circondato dalla natura, fino al punto di decidere volontariamente di essere internato nell’ospedale psichiatrico di Saint Remy e tanto da arrivare a suicidarsi a soli 37 anni. Chiuso nella clinica di Saint Paul de Mausole si tuffa nella lettura dei suoi vecchi amori, da Shakespeare a Dickens, trovando pace alla sua inquietudine tra le pagine dei libri o immaginandosi all’aperto, immerso nella natura o sotto un cielo notturno e stellato. Tornato brevemente a Parigi per la nascita del figlio del fratello Theo nel maggio del 1890, mentre il successo e la curiosità attorno alla sua opera stava montando, si trasferì a luglio ad Auvers sur Oise, finché un bagliore, un colpo di pistola, lo riportò nel buio. Michela Luce Vincent Van Gogh. Pittore colto Fino 28 gennaio 2024 Mudec-Milano www.mudec.it


sono una cosa sola per me Vincent Van Gogh

Ritratto di Joseph-Michel Ginoux, 1888 Autoritratto, 1887

Gli zappatori, 1880

Moulin de la Galette, 1886

Il burrone, 1889

Natura morta con statuetta in gesso e libri, 1887

© Kröller-Müller Museum, Otterlo

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PAROLE E TAVOLE DI LEGNO Cos’è una canzone? Tre accordi di chitarra, uniti al potere della parola

musica

Patti Smith

100


di Massimo Macaluso

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a attraversato, sarebbe più appropriato dire ‘cavalcato’, gli anni ’60 e ‘70 fino ai giorni nostri, diventandone testimone e indiscussa protagonista di costume e arte. Vera e propria icona sopravvissuta a oceani tempestosi e nello stesso tempo irripetibili, la “sacerdotessa” del rock nella sua carriera di oltre quarant’anni ha vissuto pienamente fino in fondo quel periodo dandone interpretazione in tutte le sue forme d’arte, attraverso la musica, la fotografia, la poesia, i romanzi, la pittura e la scultura, lasciando il suo segno indelebile in ogni sua espressione. Amata, discussa, potente ed idealista, Patti Smith resta vero e proprio mito del rock per tutte le generazioni a seguire, e, senza dubbio alcuno, tra gli artisti più influenti di sempre. È uscita indenne dalle trasgressioni e dalle atmosfere fumose della Factory di Andy Wharol, ha avuto una lunga relazione con Robert Mapplethorpe, il fotografo vera icona degli anni ’70-‘80, diventandone la Musa ispiratrice, protagonista di alcuni suoi ritratti rimasti indimenticabili. Già, quando le copertine dei vinili non erano ‘solo’ copertine, ma vere opere d’arte. Oltre tutto questo, con un carisma capace di ipnotizzare migliaia di adepti è diventata una sorta di sciamana, a partire dal periodo punk per arrivare alla New Wave degli anni ‘80. Se il rock è una sorta di sacro rito che “non potrà mai morire”, non poteva trovare una sacerdotessa migliore a celebrarlo. E come tale è passata alla storia della musica. Cantante, cantautrice e poetessa, Patricia Lee Smith, in arte Patti Smith, nasce il 30 dicembre 1946 a Chicago, Illinois. Nel 1950 si trasferisce con la famiglia a Philadelphia e poi nel New Jersey. Maggiore di quattro figli, Patti è sempre stata una bambina alta, allampanata, malaticcia, con un occhio sinistro pigro. Comportamenti timidi che mai avrebbero fatto pensare che Patti avrebbe potuto trasformarsi nella rockstar innovativa che sarebbe poi diventata. «Quando ero una ragazzina – ha avuto modo di dichiarare più volte – ho sempre saputo che avevo qualcosa di speciale dentro di me. Voglio dire, non ero attraente, non ero molto comunicativa, non ero molto intelligente, almeno a scuola. Non ero nulla di tutto ciò, e non ho mai dimostrato al mondo che ero qualcosa di speciale, ma ho avuto questa enorme speranza per tutto il tempo ed è questo lo spirito che mi ha mantenuto forte…ero una bambina felice perché avevo la sensazione che sarei andata oltre il mio corpo fisico». Erano gli anni ’60 quando, poco più che ventenne, si trasferisce nella vibrante New York per trovare la propria strada. Il resto è storia: dalla chiacchierata relazione con il fotografo Robert Mapplethorpe fino alle primissime esibizioni nello storico CBGB’s nel Lower East Side di Manhattan, senza tralasciare il contratto con l’etichetta Arista e la pubblicazione di Horses, semplicemente uno dei migliori album della storia del rock. Patti Smith si è presto quindi conquistata di diritto un posto nell’Olimpo delle leggende del rock, scrivendo pagine di poesia che ha consegnato alla letteratura, ispirata dal ‘maestro’ Arthur Rimbaud. Spesso citata da illustri colleghi come grande fonte di ispirazione, da Michael Stipe (R.E.M.) a Morrissey e Johnny Marr (The Smiths), da Madonna agli U2 e a molti altri ancora, ha addirittura presenziato con una prolusione da par suo alla cerimonia di consegna del Nobel per la letteratura a Bob Dylan, il tutto per espresso desiderio del premiato, come noto allergico ad apparire da protagonista a cerimonie pubbliche, in primis a quelle a lui dedicate. Brani come People Have The Power, Gloria (cover del brano dei Them di Van Morrison), Dancing Barefoot e Because The Night (scritta per lei dall’amico Bruce Springsteen) sono vere e proprie pietre miliari della musica e dell’immaginario collettivo. E ancora oggi, alla tenera età di 77 anni, la troviamo in tour, magari un po’ (ma solo un po’) ammansita dagli anni, e forse dai numerosi lutti per le persone care perse negli anni, ma con la stessa sana rabbia e lo stesso carisma che ha portato in giro per tutti i palchi del mondo attraverso tre o quattro generazioni. Forse ancora sputando sul palco, come farebbe un vecchio marinaio che ha attraversato oceani e tempeste per tutta la vita. Godetevela ancora una volta, ne vale davvero la pena.

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he is an icon who survived stormy oceans, she is a priestess of rock who, over forty years of amazing career, interpreted her world in all art forms: photography, poetry, writing, painting, sculpture, leaving an indelible sign on all forms of creative expression. Loved, debated, powerful idealist, Patti Smith is a myth of rock and one of the most influential artists ever. Her charisma hypnotized millions, and she grew into a shaman of sorts, and if rock is an undying ritual, there couldn’t be a better priestess to celebrate it. That’s what earned her a place in the history of music. Patricia Lee Smith was born in Chicago in 1946. In 1950, she moved with her family to Philadelphia, and then to New Jersey. The eldest of four siblings, Patti was a shy kid. Nobody thought she would grow into a rockstar. “When I was a kid, I had an absolute swagger about the future […] I wasn’t attractive, I wasn’t very verbal, I wasn’t very smart in school. I wasn’t anything that showed the world I was something special, but I had this tremendous hope all the time. I had this tremendous spirit that kept me going... I was a happy child, because I had this feeling that I was going to go beyond my body physical... I just knew it.” Back in the 1960s, in her early twenties, Patti Smith moved to New York to find her voice. The rest is history, from her much-gossiped relationship with Robert Mapplethorpe to her first gigs at CBGB in the Lower East Side, to her contract with Arista Records, to the release of Horses, one of the best rock albums ever. Often cited as inspiration by fellow rockers like Michael Stipe, Morrissey, Johnny Marr (The Smiths), Madonna, and U2, her songs People Have The Power, Gloria, Dancing Barefoot, and Because The Night are milestones of rock music. Even today, at the tender age of 77, we can follow her on tour. Enjoy her concerts one last time, they’re really worth it.

Patti Smith 14 dicembre Teatro Malibran www.teatrolafenice.it

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musica LIVE

Sardegna elettronica

Se non ci fosse Calcutta… I generi musicali? Teneteveli pure YouTHeater, progetto artistico multidisciplinare dedicato ai giovani del Settore Cultura del Comune di Venezia, presenta l’8 dicembre al Teatro del Parco il concerto di Daniela Pes. Sospesa tra tradizione sarda, elettronica e folk, la musicista e cantautrice nasce nel cuore della Gallura nel 1992 e si laurea al triennio di Canto Jazz del Conservatorio di Sassari. Assieme a Dora Scapolatempore fonda i The Dalthes, duo arpa e voce che ripropone in chiave elettronica jazz vari repertori, esibendosi in tre concerti all’Harp Festival di Rio De Janeiro nel 2016. Da sempre piacevolmente immersa nel flusso della musica, come cantante, strumentista e musicista elettronica, il suo è un talento multiforme. Il 14 aprile 2023 ha pubblicato il suo primo album, Spira, prodotto da Iosonouncane, lavoro che l’ha vista impegnata negli ultimi tre anni e traccia una sintesi esaustiva delle molte vite musicali da lei fino a questo momento vissute. Oltre alla laurea in Canto Jazz il suo curriculum annota una borsa di studio ai Seminari Estivi di Nuoro Jazz diretti da Paolo Fresu che la porta a esibirsi su palcoscenici internazionali che ne testano la presenza scenica e la grande disinvoltura musicale con cui spazia tra più generi con grande incisività. Completano il quadro il Concorso Andrea Parodi del 2017 (dove vince il premio della critica, giuria internazionale, miglior musica e miglior arrangiamento), il premio Miglior Musica e il premio Nuovoimaie a Musicultura, nel 2018. E parlando di riconoscimenti, la ciliegina: il suo album d’esordio Spira vince la Targa Tenco 2023 come Miglior Opera Prima. La troviamo al Teatro del Parco in trio, assieme a Mauro Barucco e Mariagiulia Degli Amori. Daniela Pes 8 dicembre Teatro del Parco-Mestre www.comune.venezia.it

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«Se non esistessero i soldi, noi due dove saremmo?»: così recitano i primi versi di Coro, canzone che dà il via ad un album che ha suscitato emozioni ed opinioni tanto numerose quanto varie. Un album che porta un titolo (e un’immagine di copertina) ironico e beffardo quanto il suo autore: Relax. Calcutta, pseudonimo di Edoardo D’Erme, sparisce dalla scena il 22 settembre 2021 con un post su Instagram per poi riapparire sullo stesso social esattamente 20 mesi dopo, annunciando il titolo del suo nuovo disco e le date del nuovo tour, che passerà dalle nostre parti il 14 dicembre, precisamente alla Kioene Arena di Padova. Ma se non ci fosse Calcutta, noi cosa ascolteremmo? Resteremmo in balia di trapper machisti e pataccari, del gangsterismo da piani alti di Fedez, del poppettino facile facile dei Pinguini, dei producer più paraculo del momento, Takagi & Ketra, con cui lo stesso Calcutta aveva flirtato nel 2016 per Oroscopo. Forse un passo falso, forse un passo obbligato. Invece, Calcutta c’è. E il mainstream se lo mangia col talento. Perché il suo Relax, sì, ha tradito definitivamente l’indie italiano (che poi, cos’è?) ma ci ha consegnato un autore che fa piazza pulita di tutto e di tutti. Tanto da arrivare al cuore di giovanissimi, spodestando chi ha conquistato le vette seguendo la corrente. Lui, Calcutta, questa corrente – il mainstream appunto – l’ha appena reinventata. Ma veniamo al disco. Sembra contenere numerosi parallelismi relativi a canzoni scritte da lui in precedenza, ma rielaborate in chiave più malinconica e matura, a dispetto delle numerose e magistrali virate pop. Uno dei numerosi rimandi si trova nel singolo 2minuti, che in un verso dice: «Poi camminare così, ad occhi chiusi», come se l’artista confermasse di aver finalmente «reimparato a camminare», con riferimento alla nota hit del 2015 Cosa mi manchi a fare. Edoardo oggi riesce a camminare con tanta facilità che non serve nemmeno tenga gli occhi aperti, come se quella sua profonda e dolorosa ferita dopo tanto tempo si fosse rimarginata completamente. Come se la sua identità, sempre messa in discussione in ogni verso che brilla di sensibilità e di fragilità, di ironia e di desiderio, d’amore, di critica sociale velata e dolente, si fosse finalmente definita. E non avesse più paura di se stessa. E questa è solo una delle tante autocitazioni che uniscono il nuovo disco ai precedenti, suggerendo una crescita personale del cantautore. Cosa è accaduto, in questi anni di ‘assenza’? Non avremo mai una risposta, perché intorno a Calcutta aleggia un certo mistero, espresso non solo da versi che sanno essere ermetici e beffardi, ma anche dal modo in cui Edoardo si presenta, da come si atteggia, da come si svela al mondo. Ed è questa sua enigmaticità che rende Calcutta un artista unico nel panorama italiano di oggi. D’accordo, ora è mainstream, come di se stesso aveva beffardamente dichiarato con l’omonimo – e bellissimo – album del 2015, conscio forse che il suo talento non poteva limitarsi alla sola etichetta di ‘artista indie’. Ma Edoardo, che appunto il mainstream lo ha reinventato, conserva quello spirito, quell’indole orgogliosamente indie con cui si era fatto notare nei primi anni Dieci e che oggi lo ha reso un nuovo classico della musica cantautorale italiana. Anche se poi, direbbe lui, «sembriamo tutti falliti». Riccardo e Veronica Triolo Calcutta 14 dicembre Kioene Arena-Padova www.zedlive.com


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musica CONCERTI

Pacchetto completo Per Laura Pausini i tour su scala mondale sono diventati ormai la norma, artista internazionale per eccellenza che ha costruito il proprio successo proprio basandosi su un seguito che non conosce latitudini. Reduce dal successo di #LAURA30, l’incredibile maratona live che l’ha vista esibirsi in tre special performance in 24 ore sui palcoscenici di New York, Madrid e Milano, per festeggiare trent’anni di carriera senza precedenti, Laura Pausini torna con un tour mondiale destinato a partire da Roma in dicembre con ben cinque date al Palazzo dello Sport. Sarà un grande ritorno live quello di Laura Pausini che, dopo l’Anteprima World Tour in Piazza San Marco a Venezia e in Plaza de España a Siviglia, concerti memorabili destinati a rimanere a lungo negli occhi e nelle orecchie di chi c’era, porterà la sua musica nei più prestigiosi palasport del mondo. Laura ritrova quindi il suo pubblico con uno show che ne esalta il repertorio e con tutta la nuova musica che segnerà il nuovo capitolo della sua storia. «Non andavo in tour dal 2019, – spiega – è stata la cosa che mi è mancata di più in assoluto. Quando con Paolo, da marzo mio marito, abbiamo pensato al nostro viaggio di nozze, ci siamo guardati negli occhi e abbiamo capito entrambi che il miglior modo per festeggiare ed essere davvero felici era ritornare sul palco. Il nuovo tour mondiale sarà quindi un lungo viaggio di nozze». Parliamo di un’artista capace di superare nelle stime di vendita i 70 milioni di dischi distribuiti nel mondo, racimolando qualcosa come 255 dischi di platino e moltissimi riconoscimenti nel corso di una carriera trentennale che nel recente passato l’ha vista trionfare anche in ambito cinematografico, con il Golden Globe vinto nell’aprile 2021 per la miglior canzone originale Io sì (Seen) scritta con Diane Warren e Niccolò Agliardi e colonna sonora del film La vita davanti a sé, con regia di Edoardo Ponti ed una fantastica interpretazione firmata Sophia Loren. La ragazza che cantava (e canta ancora) La solitudine nel 1993 a Sanremo di strada ne ha fatta tanta, senza scordare mai ogni paio di scarpe che in quel cammino l’hanno accompagnata, ogni suola consumata facendo il mestiere dei sogni, vissuti rigorosamente ad occhi aperti. Daniele Pennacchi Laura Pausini 6, 7 gennaio 2024 Fiera di Padova www.friendsandpartners.it

Dove eravamo rimasti? Per fortuna ci hanno ripensato. O semplicemente hanno aggiustato il tiro, dopo essere stati massacrati da domande del tipo «Quando tornate insieme?» e «Ma non vi eravate sciolti?». E allora, anziché esibirsi in sorrisetti di circostanza o frasi fatte, atteggiamenti che gli Elio e le Storie Tese proprio non sono capaci di adottare, eccoli cavarsi d’impiccio organizzando un tour teatrale che li vede al Toniolo di Mestre il prossimo 11 dicembre, con un titolo dei loro: Mi resta un solo dente e cerco di riavvitarlo. Portatori sani di un’ironia semplicemente disarmante, gli Elio e le Storie Tese sono prima di tutto grandissimi musicisti. Se avete avuto la fortuna e il ‘coraggio’ di assistere ad uno dei loro concerti non sarà passata inosservata una padronanza della tecnica musicale di prim’ordine, che lungo l’arco di tutta la carriera li ha fatti spaziare allegramente tra diversi generi musicali, spesso anche all’interno di un medesimo brano. Gli spettatori del Toniolo si troveranno di fronte, secondo le parole stesse del regista dello spettacolo, Giorgio Gallione: «Una radiografia folle e ragionata della nostrana Terra dei Cachi 2023 dove gergo, ironia, incursioni surreali e filosofia assurdista disegnano un bel paese italiota grottesco e contemporaneo, popolato di bellimbusti modaioli e adrenalinici o di improbabili ammaestratori di cozze, di onorevoli poco onorati o di coltivatori biologico/transgenici, di bizzarri animali da bestiario fantastico o da hippies ormai imbolsiti e fuori tempo massimo. Canzoni, monologhi, scherzi musicali, performance strumentali virtuosistiche e sciagurate, come è nello stile mitico e identitario del gruppo. Grande capacità musicale e talento compositivo al servizio di un racconto deflagrato e sempre sorprendente, dove metodo e follia, genio e sregolatezza incrociano continuamente strade e ispirazioni. Un concerto teatrale senza un attimo di tregua, dove lo sguardo dissacrante e giocoso di Elio e le Storie Tese genera comicità e paradosso. Uno sberleffo ironico e autoironico, dove il Riso o il Comico non sono mai digestivi, ma piuttosto sovversione del senso comune, strumenti del pensiero divergente, ludica e ragionata aggressione alla noia. Uno sguardo beffardo e esilarante che attraverso la musica e le canzoni crea divertimento, spiazzamento e stupore… perché, dice il poeta, senza lo stupore c’è soltanto l’ovvio». Allora, siete abbastanza disorientati? Elio e le Storie Tese 11 dicembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it

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musica CONCERTI

L’eccezione alla regola

Francesca Calearo da Vicenza, classe 2002, di mestiere fa la cantautrice. Nota al mondo come Madame, nei pochi anni di professione fino a questo momento collezionati, di carriere ne ha vissute diverse, di varia natura e tutte cariche di senso e significato. Aveva 16 anni quando diffuse attraverso il proprio canale YouTube Sciccherie, che ben presto divenne un tormentone online anche grazie alla condivisione innescata da un video in cui ad ascoltare il pezzo rap era Cristiano Ronaldo, titolare di un uditorio di diverse centinaia di milioni di follower. Quel pezzo dal beat incalzante e dalla prosa frenetica, a volte quasi incomprensibile, ci aveva fatto capire una cosa, tra le tante: ci trovavamo di fronte a qualcosa di nuovo, semplicemente incapace di passare inosservato. Quello che lascia sbigottiti, parlando di Madame, è la quantità e la qualità di collaborazioni instaurate con artisti di riferimento del panorama musicale italiano, solo in apparente contrasto con il numero di album fino a questo momento realizzati dall’artista, ‘solamente’ due, Madame del 2021 e L’amore del 2023: il suo secondo album è uscito il 31 marzo e ha debuttato in testa alla Top Album FIMI. Quattordici tracce in cui racconta dell’amore nelle sue più varie sfaccettature. L’amore per Madame è come una brezza sottile che aleggia tra gli esseri umani, viventi e non, e proprio come l’aria, se non ci fosse, non ci sarebbe modo di esistere. Nell’album vivono molte donne: una prostituta, una ninfomane, una donna potente, una donna sottomessa, l’amica Matilde, una bambina, Madame stessa. «Queste donne che racconto – spiega l’artista – sono solo alcune e come tutte vivono l’amore, il sesso, l’intimità, l’intensità, il dolore, la mancanza, l’ossessione, la privazione, la dipendenza, la gioia, l’energia e le forti emozioni». L’8 dicembre Zedlive porta al Geox di Padova la più giovane vincitrice di due Targhe Tenco per il miglior album d’esordio e per la miglior canzone, Voce, che si è aggiudicata anche il Premio Lunezia e il Premio Bardotti entrambi per il miglior testo, a conferma dello status di cantautrice d’eccezione. Accanto ai riconoscimenti per il valore musicale e letterario, Madame ha collezionato finora 38 certificazioni tra platino e oro in soli quattro anni e ha conquistato il pubblico in un tour sold-out che ha confermato quanto sia nata per cantare e stare sul palco. Davide Carbone Madame 8 dicembre Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com

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Il cammino non si ferma Spesso descrivendo la carriera dei cantautori italiani ci si trova di fronte a percorsi che hanno attraversato un momento buio, un frangente in cui la vicinanza tra pubblico e artista si è sfilacciata, quasi sul punto di rompere il magico legame che si crea fra musicista e uditorio. Non è il caso di Claudio Baglioni, semplicemente un “classico vivente”, capace di firmare alcuni tra i brani più memorabili della storia della musica italiana, basti citare Piccolo grande amore, Mille giorni di te e di me, Avrai o La vita è adesso. Titolare di un successo travolgente di pubblico che dura ancora oggi, più forte che mai, arriva a Padova il prossimo 30 gennaio con aTUTTOCUORE, un progetto visionario ideato e realizzato con Giuliano Peparini, che ne cura direzione artistica e regia teatrale. Fondendo insieme l’intuizione del teatro-totale di Richard Wagner a quella elaborata da Walter Gropius del teatro ricavato rimodulando spazi e architetture già esistenti, Claudio Baglioni dà vita a un Rock-Opera-Show ambientato in un futuro a-temporale, con citazioni che partono dalla notte dei tempi per spingersi fino a epoche futuribili. Una scaletta incalzante raccoglie 38 straordinari successi senza tempo di un repertorio che non ha eguali, ricco di brani-manifesto che sono entrati a far parte di diritto nel linguaggio e nella cultura del Paese e che continuano ad esercitare un fascino immutabile verso generazioni di ascoltatori. Uno spettacolo in cui dominano di sicuro le coreografie, con 550 costumi originali disegnati e realizzati appositamente per questi live, i movimenti scenici, le proiezioni e gli spazi e i tagli di luce creati dai 450 corpi illuminanti concepiti dal light designer Ivan Pierri. Ben 101, infatti, gli artisti sul palco: 21 polistrumentisti della band-orchestra diretta da Paolo Gianolio e 80 tra coristi, ballerini, performer, tra i quali 28 giovani artisti dell’Accademia Internazionale del Musical – alcuni al loro esordio in una produzione così importante – curati da Enrico Sortino, diretti dal maestro Francesco Di Nicola, con la direzione musicale di Tommaso Vittorini. Claudio Baglioni 29-30 gennaio 2024 Fiera di Padova www.zedlive.com


Le cose che abbiamo

Interminati spazi

La Premiata Forneria Marconi, PFM per tutti, nasce discograficamente nel 1971 e si caratterizza da subito per uno stile distintivo che combina la potenza espressiva della musica rock, progressive e classica in un’unica, affascinante, entità. Una band allargata, innovativa per l’epoca in cui fece il debutto sulle scene, guadagnando rapidamente un posto di rilievo sulla scena internazionale, entrando nel 1973 nella classifica di Billboard (per Photos Of Ghosts) e vincendo un disco d’oro in Giappone. In occasione del quarantennale dei live con Fabrizio De André e a vent’anni dalla scomparsa del genio musicale genovese, la PFM porta al Teatro Corso di Mestre il 27 gennaio PFM canta De André – Anniversary, tour che celebra il fortunato sodalizio con Faber che scandì un’epoca: un solo tour, trentuno date tra il 21 dicembre 1978 e l’1 febbraio 1979. Il più grande cantautore e la rock band numero uno si unirono, il primo con la sua voce perentoria e la chitarra acustica, i secondi con performance da migliaia di watt. Per rinnovare l’abbraccio tra rock e poesia, alla scaletta originale saranno aggiunti anche brani tratti da La buona novella. PFM canta De André – Anniversary avrà sul palco una formazione spettacolare, con due ospiti d’eccezione: Michele Ascolese, chitarrista storico di Faber, e la magia delle tastiere di Flavio Premoli. Fabrizio disse: «La nostra tournée è stata il primo esempio di collaborazione tra due modi completamente diversi di concepire e eseguire le canzoni. Un’esperienza irripetibile perché PFM non era un’accolita di ottimi musicisti riuniti per l’occasione, ma un gruppo con una storia importante, che ha modificato il corso della musica italiana. Ecco, un giorno hanno preso tutto questo e l’hanno messo al mio servizio…». PFM canta De André – Anniversary arriva dopo l’intenso tour mondiale che ha riscosso un travolgente successo dal Giappone alle Americhe passando per il Regno Unito, per poi fare tappa nel nostro Paese lungo tutta l’estate. Durante i concerti, oltre ai più grandi successi del suo vastissimo repertorio, la PFM ha presentato anche brani tratti dal nuovo album Emotional Tattoos, uscito in tutto il mondo il 27 ottobre.

Argo 16 era il codice identificativo radio di un velivolo Douglas C-47 Dakota in carico al 306º Gruppo del Reparto volo dello stato maggiore dell’Aeronautica Militare Italiana: l’aereo precipitò nella zona industriale di Porto Marghera il 23 novembre 1973, poco dopo il decollo dall’aeroporto di Venezia-Tessera, causando la morte dei quattro membri dell’equipaggio, in un episodio della cronaca italiana ancora avvolto da una densa coltre di mistero. Argo16 è il nome che dal 2017 si è dato l’ex Spazio Aereo, locale nato nell’ottobre 2013 nel ventre del parco tecnologico VEGA come centro indipendente di produzione multidisciplinare, grazie alla collaborazione tra artisti visivi, musicisti e professionisti con consolidata esperienza nel campo della progettazione e produzione culturale. Un cambio di nome che tuttavia non ha mutato di una virgola lo spirito programmatico che ha portato alla creazione di uno spazio aperto al nuovo, per definizione, un luogo che chiunque può chiamare ‘casa’, spazio in cui la libertà di espressione è dogma imprescindibile. L’unico passaggio da completare è dotarsi di tessera associativa ACSI (5€ di spesa, validità di un anno), prima di potersi calare anima e corpo in una realtà capace di offrire grandi performance musicali a prezzi davvero contenuti. Dopo un novembre che ha registrato ben 7 diversi concerti tra cui quello di Marta del Grandi e quello del duo indonesiano sperimentale Senyawa, formato da Rully Shabara e Wukir Suryadi, dicembre offre (per il momento) due differenti occasioni di ricerca musicale. Il 7 dicembre tocca a Pulse #269, evento che celebra diverse declinazioni musicali con una delle sue line up più vaste e diversificate. Una lunga notte di talenti italiani e internazionali che si muovono tra le fessure della techno, della bass music e dell’elettronica sperimentale come Akiko, Norf live, ojoo, JASSS e Marco Maldarella. Il 9 Casablanca (pseudonimo di Giovanni Fumiani) presenta il suo nuovo album in studio, Non solo qui ed ora, astrazione spaziotemporale dove passato, presente e futuro si fondono in un unico grande viaggio musicale dal soul all’elettronica, passando per il jazz, il pop e il cantautorato italiano. Ad arricchire la serata i live di 197molins e Imber, due degli artisti emergenti più interessanti della scena indie locale, e il dj-set di Basqviat, habituè in Via delle Industrie.

PFM canta De Andrè 27 gennaio 2024 Teatro Corso-Mestre www.dalvivoeventi.it

Argo16 7, 9 dicembre Marghera argo16.it

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classical

IL SUONO ALLINEATO

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La consapevolezza chiara, inesorabile, dolorosa, che quella sera attraversammo un momento magico, in cui un avvenimento artistico si intersecò con la storia di una città e di un Paese

Photo Lorenzo Capellini. Courtesy Archivio della Biennale


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er celebrare il centenario della nascita del grande compositore veneziano Luigi Nono (29 gennaio 1924), la Biennale di Venezia presenta un progetto speciale dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee (ASAC) con il riallestimento della sua opera Prometeo. Tragedia dell’ascolto. Prodotta dalla Biennale Musica nel 1984, l’opera va in scena dal 26 al 29 gennaio 2024 nella Chiesa di San Lorenzo, ora Ocean Space / TBA21–Academy, scenario della prima esecuzione, con prenotazioni esclusivamente online aperte dal 30 novembre al prezzo unico di 15 € (10 per gli studenti). “Tragedia composta di suoni, con la complicità di uno spazio” come la definì Nono stesso, il Prometeo del 1984 fu un evento memorabile che vide coinvolti nella creazione e nell’esecuzione Claudio Abbado alla direzione dell’orchestra, Emilio Vedova e Renzo Piano per l’allestimento, Massimo Cacciari per il testo, con la regia del suono di Hans Peter Haller e Alvise Vidolin. L’opera ha avuto nel tempo diverse riedizioni, ma torna per la prima volta nel luogo per cui era stata concepita, la Chiesa di San Lorenzo restaurata da Fundación ThyssenBornemisza Art Contmporary (TBA21). Il progetto speciale di riallestimento ha coinvolto l’ASAC e la Fondazione Archivio Luigi Nono, che hanno concluso un accordo per trasferire i materiali nel Centro Internazionale della Ricerca sulle Arti Contemporanee della Biennale, in corso di realizzazione all’Arsenale. Prometeo. Tragedia dell’ascolto fa parte del percorso di valorizzazione del trasferimento del Fondo Luigi Nono, insieme a una Giornata di studi dedicata e rientra nei Progetti speciali ASAC. Prosegue quindi il dialogo fra le arti che La Biennale ha intrapreso nel 2020 con la mostra Le muse inquiete. La Biennale di Venezia di fronte alla Storia, realizzata al Padiglione Centrale ai Giardini, e proseguito nel 2022 con Archèus. Labirinto Mozart a Forte Marghera. La nuova avventura di Prometeo vede protagonisti il direttore Marco Angius, punto di riferimento della musica contemporanea a livello internazionale, alla testa dell’Orchestra di Padova e del Veneto. Con loro i fuoriclasse del flauto e della tuba Roberto Fabbriciani e Giancarlo Schiaffini, che con il mago del suono Alvise Vidolin al live electronics e Massimo Cacciari, curatore dei testi, erano già stati partecipi della prima leggendaria edizione. Accanto, importanti solisti a completare i complessi strumentali e vocali: Carlo Lazari alla viola, Michele Marco Rossi al violoncello, Emiliano Amadori al contrabbasso; le voci dei cantanti Rosaria Angotti, Livia Rado, Chiara Osella, Katarzyna Otczyk, Marco Rencinai, e le voci recitanti Sofia Pozdniakova e Jacopo Giacomoni, oltre al Coro del Friuli Venezia Giulia. Prometeo. Tragedia dell’ascolto 26-29 gennaio 2024 Chiesa di San Lorenzo www.labiennale.org

di F.D.S.

I

n quei giorni del settembre 1984 – probabilmente non era la “prima” del 25, ma il 26 o il 27 – anch’io entrai nella Chiesa di San Lorenzo, mi sedetti sulle poltroncine da regista destinate al pubblico e partecipai all’ascolto, ma Nono avrebbe preferito parlare di ‘visione’, del Prometeo. Purtroppo non ricordo nulla di quella sera, o meglio, ne conservo una memoria subliminale, una serie di sensazioni percettive, come illuminate per un attimo da una luce accecante che poi si estingue nel buio. In quegli anni la mia memoria gagliarda ed impertinente propria degli anni del liceo era stata messa a dura prova da una ventina di esami di Giurisprudenza, per superare alcuni dei quali avevo letteralmente imparato a memoria libroni di un migliaio di pagine, e ne era uscita parecchio malconcia. Un po’ come il corpo di un’atleta che riesce a portare a termine una maratona ma ne esce così provato da non potere più affrontare imprese simili. Fatto sta che davvero di quella sera di 39 anni fa non ho nessun ricordo preciso e definito. Sempre in quel periodo tenevo un diario, erratico e incostante, e sono andato a consultare il quaderno relativo al settembre 1984. Non ho trovato nulla che riguardasse quella sera, però ho trovato un appunto su Prometeo, che fa così: «Prometeo è incatenato alla luce del Citerone, i suoi piedi calpestano da anni la stessa sabbia, è diventato cieco per troppa luce. Narciso annega nello stagno che puzza di escrementi, nella palude che riflette altro che il confine della sua ombra». Dubito sia farina del mio sacco, ma non saprei attribuire un autore a queste righe. Peraltro cosa c’entra il Citerone con Prometeo? Il Citerone è un monte molto legato al mito greco: nei suoi boschi Zeus celebrò le nozze con Era, Atteone trasformato in cervo fu sbranato dai suoi stessi cani, Orfeo suonava la sua cetra in onore di Dioniso, Edipo fu abbandonato per scongiurare l’oracolo, i Niobidi furono trafitti dalle frecce di Apollo e Artemide per punire l’arroganza della loro madre Latona. Ma Prometeo era incatenato ad una vetta del Caucaso, non sul Citerone. E cosa c’entra Narciso con Prometeo? Se possibile, questa citazione, quand’anche fosse riferita al Prometeo di Luigi Nono, infittisce d’oscurità e mistero la già nera notte della mia memoria. E allora cerchiamo di sforzarci a mettere sulla carta quei bagliori che illuminano per un attimo il vuoto e trasformano la memoria precisa, fotografica, circostanziata in percezioni vaghe e indefinite. La prima percezione che mi porto dietro da quella sera è la frenesia degli occhi, che vagavano da un punto all’altro all’interno dell’arca progettata da Piano, senza posarsi mai su di un’immagine che ‘soddisfacesse’ la vista. Certamente vedevo alcuni musicisti che suonavano ai livelli superiori dell’arca, o parti dei loro corpi, ma soprattutto vedevo gli altri spettatori. Dalla ricostruzione che ho tentato di fare attraverso le foto di scena le sedie per il pubblico non erano disposte in un unico senso, ma formavano una specie di ferro di cavallo, per cui all’assenza visiva dei creatori del suono corrispondeva un eccesso ottico degli spettatori. E se il Prometeo nasce proprio dalla volontà cocciuta e limpidissima di Nono di farla finita con la forma convenzionale del teatro musicale e creare una frattura tra il vedere e l’ascoltare, allora quella mia inquietudine visiva di allora deve essere letta come un segnale che la scommessa del compositore era vinta. Rendere impossibile all’ascoltatore di concentrarsi su di un punto di convergenza ottica qual è la figura del direttore, dalla quale si riproietta un altro cono visivo allargato a comprendere l’orchestra, nella sua totalità e nella specificità di ogni singolo musicista. Questo credo fosse il senso dell’arca lignea del Prometeo: trasportarci tutti verso la tragedia dell’ascolto ottenuta attraverso questa negazione del ‘vedere il suono’, che dall’Ottocento in poi si era sostituito come un virus al fatto di ‘ascoltare’ il suono. La seconda percezione non è fisica come la prima, ma probabilmente si struttura nel tempo a partire da quella sera lontana del settembre 1984, e si va ingigantendo man mano che il ricordo dei Titani si va facendo sempre più struggente. Ed è la consapevolezza chiara, inesorabile, dolorosa, che quella sera attraversammo un momento magico, in cui un avvenimento artistico si intersecò con la storia di una città e di un Paese. Questo momento magico fu anche un punto di non ritorno, come in ogni movimento dialettico, un punto-limite passibile solo di segnare, da allora in avanti, un confine inavvicinabile. E non sto parlando tanto della qualità musicale del Prometeo, quanto dello sforzo e dell’impegno collaborativo che furono necessari per varare l’impresa del Prometeo, e che mi sembrano ancora più importanti della musica in sé. Nono, Cacciari, Piano, Vedova, Abbado: Basaglia era morto da qualche anno, se fosse stato ancora in vita mi sarebbe piaciuto venisse coinvolto anche lui nella progettazione di questa impresa. Una città e una istituzione culturale hanno messo insieme le menti migliori di una generazione, li hanno fatti lavorare e progettare insieme un’opera radicale, assoluta, il frutto di un allineamento astrale unico. Sono fiero di esserci stato, in quella serata del settembre 1984, e ci sono giorni in cui il ricordo di quella sera, anche se, come vi ho spiegato prima, è del tutto assente nella mia mente, mi scalda un po’ il cuore. 109


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classical LUIGI NONO PROMETEO

The aligned sound

Renzo Piano, Prometeo

Il Nono risorto, nei ricordi 25 settembre 1984, Venezia, Chiesa di San Lorenzo. Prima esecuzione assoluta del Prometeo di Luigi Nono, diretto da Claudio Abbado. È facile cadere nella trappola della nostalgia e un po’ anche nello sgomento, specie rendendomi conto che si parla di qualcosa avvenuto quasi 40 anni fa e io allora c’ero tra il pubblico nella chiesa sconsacrata ad ascoltarlo. Ero un ragazzetto e mi stavo avvicinando alla musica, quella seria, in un periodo come quello, caratterizzato in Città da una vastissima produzione culturale; capitava usualmente in Fenice di ascoltare i maggiori interpreti della scena mondiale, impegnati nelle opere del repertorio classico o in concerti sinfonici. Per uno studente del Ginnasio come me rappresentava un’incredibile emozione poter vivere una stagione così intensa di ascolti e, lo ammetto, frequentare abitualmente il teatro d’opera e quello di prosa era motivo di orgoglio o, come si direbbe ora, ‘di tirarsela’ un po’. Quell’invito giunto per la prima assoluta di Prometeo a San Lorenzo, una chiesa rimasta chiusa per molto tempo dove non ero mai entrato, e l’ascolto di un’opera di musica contemporanea, rappresentava un’occasione da non lasciarsi in alcun modo sfuggire. Ero consapevole che non sarebbe stato facilissimo accedere a quel mondo musicale per iniziati, con i testi del giovane filosofo già al tempo barbuto, Massimo Cacciari, la cui fama era per me legata al fatto di essere figlio del pediatra di quando ero bambino, una distanza allora ancora temporalmente misurabile non in ere geologiche, come invece sarebbe oggi. Venne quindi il giorno in cui, accompagnato da zia Lidia, per me una seconda adorabile mamma, che amava Venezia sopra ogni cosa, varcammo la soglia della chiesa. Il ricordo indelebile rimane quello vissuto all’ingresso, in un luminoso tardo pomeriggio di fine estate, in cui le regole del teatro tradizionale erano state sconvolte dall’ambientazione scelta da Renzo Piano nel creare una gigantesca cassa armonica in cui a differenti livelli si trovavano il pubblico e gli interpreti, distribuiti in più punti per avvolgere col suono l’intera struttura lignea di contenimento. Un movimento sonoro che fisicamente si snodava da più parti e già ancor prima dell’inizio l’impressione netta fu quella di trovarsi spettatori di qualcosa di fortemente innovativo e completamente differente rispetto alle nostre abitudini. E poi il geniale Maestro Abbado alla direzione, già preceduto da chiara fama, e un pubblico diverso, internazionale e molto attento e felice di assistere al nuovo lavoro di Luigi Nono. Blufferei affermando di essere stato immediatamente folgorato dall’ascolto, ero piuttosto incuriosito da tanto ardimento e da suoni non di presa immediata, così difformi da quelle armonie cui i miei giovani padiglioni auricolari erano avvezzi. Tuttavia ne uscii molto felice per la condivisione collettiva con un pubblico autorevole e infinitamente più consapevole di me rispetto alla “tragedia dell’ascolto”, che offriva spunti di riflessione e di scoperta in grado però di modificare le mie instabili certezze da ragazzo in via di apprendimento. Non ricordo male parole di zia Lidia contro di me per averla portata/costretta a sentire Prometeo, non ebbi mai modo di sapere se per affetto o per altro. Fabio Marzari

ENG

The Venice Biennale celebrates the hundred years since local composer Luigi Nono’s birth (January 29, 1924) with a new staging of Nono’s opera Prometeo. Tragedia dell’ascolto. Once produced by Biennale Musica in 1984, the piece will be performed on January 26 to 29 at the San Lorenzo Church. The first execution of the Prometeo was a memorable event that saw the participation of conductor Claudio Abbado and of artist Emilio Vedova and architect Renzo Piano for the staging. Philosopher Massimo Cacciari worked on the libretto, and Hans Peter Haller and Alvise Vidolin curated sound direction. The opera has been staged elsewhere, too, and for the first time now it is back to the place it premiered, the San Lorenzo Church, thanks to Fundación Thyssen—Bornemisza Art Contemporary (TBA21). The new, special staging is the result of the concerted effort by the Biennale’s Historical Archive and the Fondazione Archivio Luigi Nono. Prometeo. Tragedia dell’ascolto is part of an ongoing project on Nono and other contemporary artists who worked with the Biennale. Luigi Nono thought it was about time to set opera free from the constraints of image and narration, focusing instead on the relationship between time and space, once penalized by ingrained common practices in traditional theatres and concert halls. What Renzo Piano created for the Venetian premiere of the Prometeo is a special place that makes it possible to use different ways to spread sound spatially and liberate the listening experience. We will be looking at a non-scenography, a kind of architectural device built to match the needs of the music and of the listening experience.

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classical CONCERTS

Opera per burattino C’era una volta un pezzo di legno… La fiaba Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi, originale e ricca di allegorie, da sempre coinvolge persone di tutte l’età e continua a essere riprodotta e adattata in diverse versioni. La storia si presta a vari livelli di interpretazione e le chiavi di lettura possono andare dal semplice al complesso, a seconda del messaggio che si intende veicolare. Comprensibile quindi che se ne sia ricavata anche un’opera musicale, con il compositore Pierangelo Valtinoni su libretto di Paolo Madron che ha scelto di eludere il contenuto moralistico presente nella fiaba focalizzandosi sugli episodi più consoni a essere riprodotti in un’opera musicale. Nello specifico la trama è incentrata sul rapporto tra il protagonista e la figura paterna, cioè Geppetto. La fiaba musicale si divide in due atti, inizia con la creazione del burattino in legno da parte di Geppetto e finisce con il riavvicinamento tra Pinocchio e il padre, da cui consegue la trasformazione del protagonista da pezzo di legno in bambino vero. Il lavoro di Valtinoni e Madron che arriva al Malibran dal 18 al 24 gennaio con recite dedicate anche alle scuole era già stato creato nel 2001, revisionato nel 2006 e nel 2019, riscuotendo grande successo sia in Italia che all’estero. Il ritmo drammaturgico incalzante e coinvolgente si sposa perfettamente con le avventure e le marachelle del protagonista. La musica è un rimando all’esperienza personale del compositore, il quale attinge da diverse esperienze musicali e asseconda anche ritmi classificati come esotici, jazz, latinoamericani e caraibici senza tralasciare lo spazio dedicato alle percussioni. Allo stesso tempo la narrazione musicale è ispirata ai grandi della musica come Ravel, Puccini e Bernstein. I personaggi contenuti in Le avventure di Pinocchio sono rappresentati da soprano, basso baritono e accompagnati da diversi cori, mentre il palcoscenico è arricchito dalla presenza di cinquantasette bambini-attori, sei cantanti adulti e un’orchestra variopinta. Infine, come evidenziato dal regista Gianmaria Aliverta, la messa in scena di episodi e costumi ricorda l’atmosfera degli anni Quaranta del secolo scorso. L’intento dell’opera non è quello di elaborare una nuova versione di Pinocchio, bensì di evidenziare l’atemporalità della fiaba riprendendo determinati elementi per associarli alla contemporaneità, in quanto ciò che muta nel corso dei secoli è solo la forma e mai la sostanza. Caterina Caseti

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Puppet opera

ENG

Collodi’s Pinocchio is an original fairy tale rich in allegory that will never cease to amaze and inspire us. The story lends itself to different interpretations, and readings can range from the simple to the complex, adapting to the message you want to convey. It is no surprise that Pinocchio would be adapted as an opera. Composer Pierangelo Valtinoni put in music a libretto by Paolo Madron, who chose to set aside the moralistic content of the original work to focus on aspects that would show best in opera. Specifically, the plot of the opera is centred on Pinocchio relationship with his father, Geppetto. The work by Valtinoni and Madron will be staged at Malibran Theatre on January 18 to 24. The drama has interesting rhythm, and pairs perfectly with Pinocchio’s mischief. The music is a reference to the composer’s personal experience, drawing from different musical worlds: exotic, jazz, Latino, and Caribe sound as well as an important drum score. The influence of Ravel, Puccini, Bernstein is apparent. Accompanying the soprano, bass, and baritone protagonists are fifty-seven child actors, a further six adult singers, and a diverse orchestra. Director Gianmaria Aliverta invited us to appreciate the costumes and staging, too, both inspired by Italian 1940s fashion. The goal of this opera is not to create an altogether new version of Pinocchio, but to highlight the timeless content of the story by pairing its tenets with modern elements, for what changes through time is always appearances, and never the substance.

Pinocchio 18, 19, 20, 24 gennaio 2024 Teatro Malibran www.teatrolafenice.it


Sulle note degli Anni Venti Come anticipato dal titolo, gli “Anni Venti” diventano il principale riferimento musicale di questa nuova stagione di Musikàmera in partenza da gennaio, per mettere in evidenza quanto e come ogni primo ventennio di ciascun secolo sia stato contrassegnato da diverse rivoluzioni musicali. A partire dagli anni Venti del Quattrocento fino ad arrivare a questo secolo, i brani più significativi delle rispettive epoche vengono ripresi con il fine di coglierne le caratteristiche principali. La programmazione dell’anno si basa su progetti intrapresi negli anni scorsi come l’esecuzione della musica da camera di Brahms e la versione integrale dei trii di Mendelssohn, Schumann e appunto Brahms iniziata nel 2022. Significativa la sezione dedicata al Novecento Storico Italiano unita a una commemorazione sui 350 anni dalla morte di Giacomo Carissimi, oltre ai centenari dalla morte di Giacomo Puccini e Ferruccio Busoni e i 150 anni dalla nascita di Arnold Schönberg. L’evento più atteso del cartellone è indubbiamente il concerto di Daniil Trifonov classe 1991, uno dei pianisti più acclamati al mondo, spesso ospite nei maggiori festival, istituzioni e palcoscenici internazionali. La carriera del pianista è tutt’ora in ascesa, tanto da essere definito come uno dei più sorprendenti musicisti di quest’epoca. Daniil Trifonov si esibisce il 27 gennaio al Teatro Malibran nelle musiche di Rameau, Mozart, Mendelssohn e Beethoven. Altrettanto celebre è il nome del pianista e direttore d’orchestra russo Michail Pletnev, che vedremo a maggio impegnato nei Preludi di Chopin e Skjrabin. A concludere la stagione, nel novembre prossimo, la violinista olandese Janine Jansen insieme al pianista belga Denis Kozhukhin, con Sonate di Brahms e Romanze di Clara Schumann. In questa variegata e ambiziosa edizione non poteva mancare la presenza di giovani soprani talentuosi, quartetti di fiati e il duo violino-pianoforte tipico della musica da camera. L’alto livello e la vastità del repertorio musicale scelto da Musikàmera a Venezia la impone come una delle maggiori istituzioni concertistiche italiane e internazionali. Caterina Caseti ENG The first twenty years of any century harboured musical revolutions—that’s the thesis of the upcoming show by Musikàmera. Starting with the 1420s to end in the current century, the most meaningful pieces of music of each era are offered for reflection. The music has been picked from Musikàmera’s repertoire, and includes Brahms, Mendelssohn, Schumann, and an important section of Italian early-twentieth-century art. The most anticipated concert in the programme is certainly the one by Daniil Trifonov. Born in 1991, Trifonov is one of the world’s most appreciated pianists, and will play at Malibran Theatre in Venice on January 27 (Rameau, Mozart, Mendelssohn, Beethoven). Just as famous is the name of Russian pianist and conductor Michail Pletnev, who will play Chopin and Skryabin. Closing the programme is Belgian pianist Denis Kozhukin (Brahms, Clara Schumann). Seeing as how diverse and ambitious this programme is, we will be happy to see the typical chamber music formations of wind quartets and piano and violin duos. Quality and vastness of the musical repertoire make Musikàmera one of the most important concert productions in Italy and abroad. Musikàmera 17, 18, 25, 27 gennaio 2024 Teatro La Fenice, Teatro Malibran www.musikamera.org

Il dire e il fare Di recente istituzione, l’ensemble Aquae Sonus Resonantia nasce dall’incontro di musicisti di formazione veneziana, che hanno in comune l’interesse e la passione per la musica barocca. Enzo Caroli al traversiere, Marco Rosa Salva al flauto dolce, Alberto Casarin alla viola da gamba, Dario Pisasale alla tiorba e Noriko Fujimoto al clavicembalo salgono su un palcoscenico unico al mondo come quello dell’Auditorium Lo Squero sull’Isola di San Giorgio il 16 dicembre, con un programma che comprende musiche di Georg Philipp Telemann, Antonio Lotti, Christopher Simpson, Paolo Benedetto Bellinzani, Johann Hieronymus Kapsberger, Georg Friedrich Handel, Benedetto Marcello, personalità legate tanto alla storia della musica quanto a quella della città di Venezia. Ennesima occasione, quindi, per godere di un concerto ospitati da un luogo che riesce a coniugare alla perfezione forma e sostanza: la prima è data, se ce ne fosse bisogno, dalla quinta in vetro offerta dall’Auditorium, uno sguardo aperto sulla laguna che oggettivamente nessun altro posto al mondo è in grado di offrire; la sostanza rimanda invece a eventi messi in scena in un contesto sonoro e tecnologico all’avanguardia, perfetto per concerti di natura differente, classica come jazz, ad unire prosa e musica e accrescere la godibilità di un’esperienza sonica a tutto tondo. Davide Carbone ENG Recenty-formed ensemble Aquae Sonus Resonantia was founded by baroque music experts Enzo Caroli, Marco Rosa Salva, Alberto Casarin, Dario Pisasale, and Noriko Fujimoto, each specializing on vintage musical instruments. The group will perform at Auditorium Lo Squero, in San Giorgio Island, on December 16, on a programme that includes Georg Philipp Telemann, Antonio Lotti, Christopher Simpson, Paolo Benedetto Bellinzani, Johann Hieronymus Kapsberger, Georg Friedrich Handel, Benedetto Marcello—composers who are as much important in the history of music as they are in the history of Venice. The concert will be a welcome occasion to visit a place that blends perfectly form and substance: a glass-decorated auditorium with an open view on the Venetian Lagon and a technologically apt theatre, perfect for any kind of concert. Aquae Sonus Resonantia 16 dicembre Auditorium Lo Squero-Isola di San Giorgio Maggiore www.asolomusica.com

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classical CONCERTS

La storia dal vivo © Michele Crosera

Tutti lo vogliono Il barbiere di Siviglia è la commedia per antonomasia, la più famosa al mondo per lo stile oratorio, la verve comica e la ricchezza del repertorio musicale. L’opera tutt’ora è apprezzata per le sue perle musicali divenute immortali tra cui Largo al factotum, La calunnia, Una voce poco fa e Zitti zitti, piano piano. L’allestimento creato da Bepi Morassi nel 2002 e che torna alla Fenice tra gennaio e febbraio è considerato particolarmente riuscito. La gestione dello spazio pensata da Lauro Crisman si concretizza in un teatro caratterizzato da enormi tendaggi con personaggi dai costumi colorati e bizzarri. Per riuscire al meglio nell’interpretazione di questa opera occorre lasciarsi guidare da leggerezza, immaginazione e accuratezza. L’avvincente sentimento che il conte di Almaviva, interpretato da Nico Darmanin, nutre nei confronti di Rosina, interpretata da Marina Comparato viene rivelato all’astuto barbiere Figaro, Alessandro Luongo; questo si offre di aiutare il Conte a far breccia nel cuore della sua amata. Le peripezie che i personaggi dovranno affrontare rendono la commedia più divertente e coinvolgente e la musica riflette appieno la dinamica degli eventi che si svolgono, contribuendo al successo della rappresentazione teatrale. Tra tutti i personaggi spicca di sicuro Figaro, che con la sua arguzia e simpatia è il deus ex machina incontrastato dell’opera. Caterina Caseti ENG The Barber of Seville is the comedy, the most famous in the world for its style, its verve, and the richness of its music. Today, the opera still enjoys cult status for its immortal musical pieces, such as Largo al factotum, La calunnia, Una voce poco fa, and Zitti zitti, piano piano. The 2002 staging by Bepi Morassi will be back at Fenice Theatre in January and February, as it is considered particularly fortunate: large curtains all around and gaudy, bizarre costumes for each character. To best interpret the opera, we shall let ourselves be guided by levity, imagination, and a bit of precision. The feelings that Count of Almaviva, interpreted by Nico Darmanin, harbours for Rosina, played by Marina Comparato, are revealed to cunning barber Figaro (Alessandro Luongo), who offers the Count his help to win over Rosina. So far, so good… Il barbiere di Siviglia 26, 28 gennaio 2024 Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it

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Nato nel 1979 a Venezia dalla collaborazione tra un gruppo di musicisti e il compositore Claudio Ambrosini, l’Ex Novo Ensemble rappresenta una realtà di riferimento nel panorama internazionale della musica nuova. La continuità del lavoro comune, la coerenza artistica e professionale hanno consentito al gruppo di acquisire un carattere e un suono che gli sono riconosciuti dal pubblico e dalla critica dei principali festival e rassegne europei. L’impegno portato nell’approfondimento del linguaggio musicale contemporaneo è in seguito divenuto punto di partenza per la rilettura del repertorio classico e particolarmente di alcune pagine affascinanti, destinate ad organici rari e tuttora poco note. A dicembre le occasioni di vedere dal vivo questa storica formazione saranno ben quattro tra Venezia e Mestre, con concerti all’Auditorium De Michelis del Museo M9, alla Fenice e al Conservatorio Benedetto Marcello. Il 5 dicembre al Conservatorio, un concerto dedicato al ventennale della morte di Luciano Berio con la presenza di allievi della Scuola di Musica Elettronica e un repertorio contemporaneo che vede la prima esecuzione assoluta di Libro Secondo di Claudio Ambrosini. Lo stesso Ambrosini che, il giorno dopo all’M9, è narratore e direttore di un appuntamento dedicato questa volta alla memoria di Bruno Maderna, intitolato Fare serenate ai satelliti. Il 12 dicembre alla Fenice, una nuova collaborazione tra Ex Novo Ensemble e personalità artistiche di spicco, in questa occasione la soprano Monica Baccelli, mentre il 20, si torna al Conservatorio con Il suono veneziano, con musiche di Ambrosini e Maderna e regia sonora di una certezza quale Alvise Vidolin. ENG Founded in Venice in 1979 by a group of performers and composer Claudio Ambrosini, Ex Novo Ensemble is an important presence in the international world of New Music. The continuity of their work and their artistic and professional consistency allowed them to develop a character and a sound appreciated by public and critics alike. Their commitment in the study of modern musical language later became a reason for the re-reading of classical repertoire, specifically, rare and obscure pages of vintage music. In December, we shall be able to see Ex Novo Ensemble four times in Venice and Mestre. On December 12, at Fenice Theatre, the Ensemble will perform with soprano Monica Baccelli, while on the 20, they will be at the Venice Conservatory with Il suono veneziano, with music by Ambrosini and Maderna. Ex Novo Musica 2023 5, 6, 12, 20 dicembre Conservatorio B. Marcello, Teatro La Fenice, M9-Museo del ‘900 www.exnovoensemble.it


Quel colore che non sbiadisce Il tempo è testimone Non si arriva per caso ad allestire la 38. edizione di una Stagione musicale, soprattutto in tempi bui che vedono rassegne pluriennali spazzate via in un battito di ciglia dall’impietosa scure dei bilanci. La Stagione di musica da camera e sinfonica del Teatro Toniolo arriva a questo compleanno con artisti e formazioni musicali di fama internazionale, insieme a giovanissimi talenti che si stanno imponendo sulla scena musicale. Il 15 dicembre al Candiani la voce umana e la voce degli strumenti musicali sono al centro del concerto del Duo Dragonfly, composto da Danusha Waskiewicz e Naomi Berrill, inserito nella sezione 6 suonato? Stagione giovane inaugurata lo scorso anno. Dragonfly è un atlante dove musica colta e popolare rovesciano le attese di chi si pone all’ascolto, a partire dalle inscalfibili Variazioni Goldberg di Bach. Tornando al Toniolo il 20 dicembre, spazio a Frammenti. La musica a me, un progetto dedicato ai giovani, ideato dall’atelier Atelier Elisabetta Garilli, già attivo in città nella fortunata collaborazione con Palazzetto Bru Zane. Un concerto che unisce un profondo valore simbolico e una indiscussa qualità musicale è quello che apre il 2024, il 9 gennaio, con la Kharkiv Chamber Orchestra (Ucraina) insieme a Fabrizio Meloni, primo clarinetto solista della Scala di Milano. Il progetto è nato in un momento storico e politico internazionale estremamente doloroso e vede una formazione tutta al femminile, data l’impossibilità per i musicisti di sesso maschile di lasciare un Paese quotidianamente impegnato in drammatici combattimenti. ENG Thirty-eight is a big number as far as music festivals go. The upcoming chamber and symphony season at the Toniolo Theatre sees the participation of internationally renowned artists and ensembles as well as young talents that are quickly finding their place in the musical scene. On December 15, at the Candiani Cultural Centre, human and instrumental voices are the protagonists of a show by Duo Dragonfly (Danusha Waskiewicz and Naomi Berrill), an atlas of high and folk music that will surprise all audiences, starting with Bach’s Goldberg Variations. Back at Toniolo Theatre, on December 20 atelier Elisabetta Garrilli will present Frammenti. La musica a me, while on January 9, the Kharkiv Chamber Orchestra (its female components only, due to the ongoing draft in Ukraine) and Fabrizio Meloni will perform together for a highly symbolical concert. Stagione Concerti 2023.24 15, 20 dicembre; 9 gennaio 2024 Teatro Toniolo, Centro Culturale Candiani-Mestre www.comune.venezia.it

«Ennio Morricone è il mio compositore preferito e quando dico compositore intendo metterlo nella medesima categoria di Mozart», firmato Quentin Tarantino. Sembra davvero opportuno che il compagno dell’ultima fase della vita di Ennio Morricone sia il cineasta che più di tutti ha portato al pubblico la fusione di cinema di serie B e serie A, le stesse due dimensioni in cui si è sempre mosso Morricone, a prescindere dalla sua fama e dal suo prestigio. Una distinzione, quella tra generi musicali, che assieme alla diatriba su dove debba essere collocata l’opera di un genio musicale riconosciuto non ha semplicemente motivo di esistere, surclassata dall’oggettiva, travolgente bellezza di brani legati ad un immaginario collettivo, che le immagini fotografiche amplificano, riverberano nel tempo. Il 27 gennaio il Teatro Goldoni ripercorre la carriera del Maestro attraverso la selezione di alcuni capolavori tratti da film come The Hateful Eight, dello stesso Tarantino, C’era una volta in America dell’amico fraterno Sergio Leone, la struggente Gabriel’s Oboe di Mission e le commoventi musiche di Nuovo Cinema Paradiso. La sfida che Omaggio a Morricone. Musiche da Oscar si propone è quella di celebrarlo in un modo diverso dal solito, discostandosi da rielaborazioni pedisseque del suo repertorio. Protagonista della serata, diretta e ideata dal Maestro Andrea Albertini, sarà la voce solista di Angelica Depaoli, con special guest d’eccezione Susanna Rigacci, soprano italo-svedese che dal 2001 è stata la voce solista di Morricone nel mondo e ora ha scelto di continuare a cantarlo in esclusiva con L’ensemble Le Muse e Andrea Albertini. ENG “As far as I’m concerned, Ennio Morricone is my favourite composer. And when I say favourite composer, I don’t mean movie composer, that ghetto. I’m talking about Mozart, Beethoven, Schubert.” It seems just about right that the artistic companion of Morricone’s last years was the filmmaker that, above all else, authored a perfect blend of A-series and B-series cinema, the same two environs that Morricone worked on. A distinction in genres that has no reason to exist, surpassed as it is by the overwhelming beauty of music that is now part of the cinematic culture of each of us and, amplified by the film’s images, echoes across time. On January 27, Goldoni Theatre will present a focus on Morricone’s career with music from The Hateful Eight, Once Upon a Time in America, Mission, and Cinema Paradiso starring soloist Angelica Depaoli and soprano Susanna Rigacci. Omaggio a Morricone. Musiche da Oscar 27 gennaio 2024 Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

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DANZANDO IN UN CARILLON So che un amore può diventare bianco come quando si vede un’alba che si credeva perduta

theatro

Alda Merini

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© Rosellina Garbo


di Chiara Sciascia

C

’è un luogo in cui il tempo si smarrisce tra le note di canzoni conosciute,

dove l’amore danza attraverso le generazioni unendo passato, presente e futuro in un abbraccio senza fine. È da qui, dal palco incantato dello spettacolo Il tango delle capinere, che risuona una melodia intima che esplora l’animo umano. La pièce, nata dal genio della regista e drammaturga siciliana Emma Dante, trae ispirazione dalla sua Trilogia degli Occhiali e riporta in scena, oltre dieci anni dopo e con gli stessi interpreti, i due amanti dello studio performativo Ballarini. Ma se in Ballarini la coppia compariva e scompariva in un lampo, «qui invece c’è un tempo in cui rimangono – racconta la regista –, un tempo in cui entriamo nella loro casa, li ascoltiamo fare l’amore, li vediamo litigare. Sono più presenti, disegnati in maniera più lineare, ma continuano a non avere un nome, non si chiamano, non hanno nomi. […] Quando si vive per tanto tempo con qualcuno non lo chiami più, perché è come se facesse parte di te. Non ha più un nome la persona che sta con te da una vita, e quindi “Lui e Lei” può appartenere a tutti noi; “Lui e Lei” siamo noi». Ciò che prende forma da una scena nuda, essenziale, delimitata da due grandi bauli ai lati e tenuemente illuminata da ghirlande di romantiche lampadine, è la narrazione avvincente di due anime, una coppia per l’appunto senza nome, ma ricca di vita, intrappolata nella solitudine degli ultimi giorni. I protagonisti, magistralmente interpretati da Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, attori storici della compagnia della Dante – coppia dentro e fuori la scena –, trascinano il pubblico in un viaggio di emozioni, sussurri e gesti, trasformando il palco in un caleidoscopio di ricordi. Il sipario si alza su un’anziana signora, china su un baule, intenta a tirarne fuori un mare di oggetti da cui scaturiscono i momenti più intensi della sua esistenza. È accompagnata dallo spirito del suo defunto marito, entrambi ballano tra le maschere della vecchiaia, tra pillole e risate, tra baci e abbracci. Fin dal titolo, la musica diviene motore drammaturgico di questa epopea emotiva, attraversando una maratona di successi italiani, da Se mi vuoi lasciare di Michele a Natale di De Gregori, da Watussi di Vianello a Fatti mandare dalla mamma di Morandi, a Ba ba baciami piccina di Rabagliati, che con il loro magnetismo pop richiamano i personaggi al rituale del ballo, mentre percorrono a tappe un viaggio a ritroso nel tempo. Entrambi perdono un po’ alla volta i connotati della vecchiaia: si liberano delle maschere, si spogliano con frenesia, lanciano in aria i vestiti, rinvigoriscono e ringiovaniscono ad ogni strato di vita che si levano di dosso. Ogni passaggio rivela frammenti di una storia condivisa, simbolica, evocata soprattutto attraverso gli oggetti: coriandoli, pacchetti regalo di un passato Natale, una bottiglia di spumante stappata alla mezzanotte di un Capodanno memorabile… Il racconto ci guida verso l’incontro iniziale, quel momento in cui le due anime scelgono di amarsi di un amore che con il tempo diventa “pagina bianca”, come lo definisce la stessa Emma Dante, che nelle note di regia riporta gli struggenti versi di Alda Merini: «So che un amore/ può diventare bianco/ come quando si vede un’alba/ che si credeva perduta». Dipanandosi all’indietro come un film, lo spettacolo sgrana istantanee di una vita piena, gioiosa e dolorosa al tempo stesso. È una coreografia dei ricordi, una danza nostalgica e malinconica in cui le parole diventano quasi superflue e i corpi si fanno racconto, racchiudendo l’intimità di una relazione senza tempo. «Ognuno di noi può trovare dentro questo carillon tutte le cose della sua esistenza – ha dichiarato Emma Dante all’indomani del debutto nella sua Palermo –, è molto semplice, è uno spettacolo semplicissimo, una ballata, è un omaggio ai nostri genitori e alla loro generazione, per me in particolare è un omaggio a mio papà che è molto anziano. […] C’è poco testo, c’è poca filosofia, se non la filosofia della vita, che alla fine è la cosa più banale di tutte». Il tango delle capinere diventa così un atto d’amore verso le radici, un’ode alla vita, al suo caos e alla sua bellezza, che trova eco nei cuori di chiunque abbia amato, riso, pianto, vissuto.

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here is a place where time thins out between the notes of well-known tunes, where love dances across generations and makes one of past, present, and future in endless embrace. Here, on the enchanting stage of Il tango delle capinere, echoes a beautiful melody that touches the human spirit. The theatre piece by Emma Dante follows her Trilogia degli Occhiali (lit. ‘The Spectacle Trilogy’) ten years later, casting the same actors as the two lovers in her performative study Ballarini, though while in Ballarini, the couple disappeared and reappeared in bursts, here – says Dante – they stay on stage as we follow them into their house, we see them fight and make love, present as they are in linear fashion. The two lovers remain nameless. When you live with someone long enough, their name doesn’t matter anymore. They are part of you. Him and her – that’s us, that’s all of us. Husband-and-wife actor couple Sabino Civilleri and Manuela Lo Sicco take the audience in a journey of emotion, murmur, gestures. A kaleidoscope of memories. The play begins with an elderly lady crouching down in front of a trunk. From there, she takes out item after item, each recalling an intense moment of her existence. Accompanying her is the spirit of her late husband, dancing with her. Music is the driving force of the epos, a marathon of Italian pop taking us back in time as the two protagonists free themselves from the masks of old age, take off their clothes, and grow younger and younger. Each passage is a fragment of shared history and symbols as the story guides us to the moment they first met, the moment two souls choose a kind of love that can be best described, again in Dante’s words, as a blank page. Running backwards, the play combines snapshots of a full, joyful, painful life: a choreography of memories, a nostalgic, melancholic dance where words are unnecessary. The bodies are their own stories, keeping within them the intimacy of a timeless relationship. “Each of us can find in this music box anything about their existence. It is quite simple, this show, it is a ballad, an homage to our parents and to their generation. For me, it is an homage to my father. There is little text, little philosophy, if but for some life philosophy, which is the simplest of all.” Il tango delle capinere is a testimony of love for the one’s roots, an ode to life, to its chaos and beauty, that anyone who ever loved, laughed, cries, or lived can understand. Il tango delle capinere 14-17 dicembre Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

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theatro RITRATTI

DIALOGHI

Photo Germana Cabrelle

Su i sipari Giancarlo Marinelli, nuovo direttore di Arteven Giancarlo Marinelli ha assunto l’incarico di direttore generale di Arteven. Figura di spicco del teatro e della cultura nazionale, in qualità di drammaturgo, regista e organizzatore di stagioni teatrali, scrittore di romanzi di successo quali 11 e, prima ancora, Ti lascio il meglio di me, Il silenzio di averti accanto, Dopo l’amore, succede a Pierluca Donin, prematuramente scomparso nei mesi scorsi. Cinque anni fa Marinelli era stato nominato direttore artistico di Arteven e si era assunto il ruolo di “sentinella”, intendendo che il compito di un custode non deve essere solamente quello di conservare: «Quando si ha per le mani un tesoro, questo necessita di frutti, di moltiplicazioni, di ulteriore sviluppo e ricchezza». Già con Donin era iniziato il progetto di portare il teatro fuori dal teatro e col patrocinio di Unesco e la collaborazione del Teatro Olimpico di Vicenza, di cui Marinelli è stato direttore artistico, si sono occupati importanti luoghi del Veneto, città e borghi. «Siamo partiti con la lettura di Milk Wood di Dylan Thomas, che è andato a Cortina, a Vicenza, a Vittorio Veneto e ha avuto un grande successo. Abbiamo proposto Di là dal fiume tra gli alberi di Ernest Hemingway, che è partito da Taormina arte per approdare a Caorle, Pieve di Soligo e Vicenza, ottenendo una grande risposta. Portare il teatro nel paesaggio e poi il paesaggio nel teatro [...]». Massimo Zuin, che è presidente dell’Associazione, così ha voluto salutare la nomina: «Grazie al prezioso contributo di Giancarlo Marinelli, le programmazioni multidisciplinari e i teatri di Arteven sono tornati a conseguire numeri sbalorditivi. Quelli appena trascorsi sono stati anni molto difficili a causa della pandemia che ha comportato chiusure totali e parziali degli esercizi teatrali, ripartenze subito interrotte e altre limitazioni tanto necessarie quanto terribili. Nonostante tutto, Arteven non si è mai fermata e soprattutto non ha mai fermato il rapporto con il suo pubblico. Finiti gli anni bui che hanno caratterizzato quasi un triennio teatrale, Arteven e tutti i suoi teatri sono tornati a volare più in alto di prima. E là dobbiamo continuare a volteggiare, magari incrociando il sorriso del nostro compianto Direttore Pierluca Donin, da cui questo e altri successi vengono. E a cui ogni altro cielo che sapremo percorrere vogliamo dedicare...». Marinelli così ha replicato: «Per volare nella smisurata bellezza di quel cielo, ci vogliono ali forti e ciò che in questo momento avverto come non mai. Qualcosa di naturale e di indispensabile. Certo la felicità, certo l’orgoglio ma anche la paura». Buon lavoro, Direttore! F.M.

Quando l’11 gennaio prossimo al Toniolo di Mestre Pietrangelo Buttafuoco si troverà a parlare di Pirandello, dovrà ancora assumere la presidenza della Biennale. Sarà interessante poter ascoltare l’intellettuale dichiaratamente di destra che ha tuttavia sempre coltivato una posizione da pensatore fuori dal coro, critico della società del pensiero unico, discettare di Pirandello in un dialogo a due voci con Giancarlo Marinelli. Un côté quasi futurista, con due intellettuali molto bene informati sui fatti e molto amici tra loro: Buttafuoco, paladino di una Sicilia universale, teatrale, tragica, che da sempre considera matrigna dell’eterna commedia italiana, e Marinelli, uomo di teatro, dalla triplice veste di commediografo, regista, dirigente. In un periodo come il presente in cui di giganti non vi è neppure l’ombra, ma in cui molti vorrebbero atteggiarsi come tali, assumendone comportamenti e abiti mentali, il pretesto di un racconto dai toni elevati diviene occasione per saggiare, auspicabilmente senza tifoserie, la capacità di un pensiero di andare oltre gli steccati ideologici. C’è un tema profondo, ricorrente, parlando dei mitici Giganti che vogliono impadronirsi del potere celeste, universale, vengono sconfitti quando sembrano avere vinto. I giganti, che hanno completamente abdicato alle ragioni dell’interiorità e dello spirito per correlare la loro esistenza solo a una dimensione materiale, non hanno tempo per l’arte e attraverso l’uccisione di Ilse, che invece dell’arte voleva nutrirsi e nutrire il popolo, si consuma la tragedia della morte dell’arte nella società moderna. Fabio Marzari

Dialogo tra Giganti della Montagna: Buttafuoco incontra Pirandello 11 gennaio 2024 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it

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theatro SPETTACOLI

© Nurith Wagner-Strauss - Wiener Festwochen

La chiave dell’esistenza Ritorno a Venezia per il collettivo catalano El Conde de Torrefiel Il destino di Anna Luca De Fusco raccoglie l’audacissima sfida di mettere in scena una delle pietre miliari della storia della letteratura, portando sotto i riflettori l’animo inquieto di Anna Karenina e l’intricata rete di connessioni con i personaggi che la circondano. Anna paga il prezzo della sua estrema sensibilità e il desiderio di vivere pienamente la propria vita, in una società governata dall’ipocrisia e dal perbenismo borghese. L’adattamento del romanzo, risultato della collaborazione con il drammaturgo Gianni Garrera, non pretende certo di trasferire sulla scena teatrale tutte le complessità psicologiche e letterarie dell’opera che Tolstoj pubblicò per la prima volta a puntate tra il 1875 e il 1877. Il taglio registico mette piuttosto a fuoco le vicende e i meccanismi attorno alla protagonista, magistralmente interpretata da Galatea Ranzi, concentrando l’attenzione sulle tre coppie del racconto, intese come metafore di altrettanti destini diversi: quello maledetto ma pieno di passione di Anna, Vronskij e Karenin, quello amaro e fallimentare di Oblonskij e Dolly, quello sereno e benedetto di Levin e Kitty. L’evocativa scenografia dello spettacolo richiama un’imponente stazione ferroviaria, spettro dell’infausto destino che incombe sulla protagonista, e si avvale di proiezioni di gusto cinematografico secondo un meccanismo metateatrale spesso ricorrente nei lavori del regista. La regia di De Fusco valorizza l’origine letteraria del romanzo, enfatizzando i pensieri dei diversi personaggi e la narrazione stessa, regalando al pubblico un’esperienza coinvolgente che attraversa le emozioni umane più profonde. Anna Karenina 1-3 dicembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it

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Dopo aver presentato il pluripremiato La plaza (2018) alla 51. Biennale Teatro lo scorso giugno, El Conde de Torrefiel, visionario collettivo catalano formato Pablo Gisbert e Tanya Beylar nel 2010, torna a Venezia, ospite della rassegna Asteroide Amor per l’ultimo spettacolo della stagione, Una imagen interior, in scena al Teatro Goldoni il 20 dicembre alle ore 20. Per chi ha assistito a La plaza, ma anche per tutti gli altri, da non perdere l’occasione di immergersi nell’esplorazione del concetto di realtà e riflettere sul potere del teatro e della rappresentazione in un’era contrassegnata dalla saturazione di immagini. Partendo dalla perpetua lotta tra percezione soggettiva e realtà (si presume) oggettiva, attraverso il testo scritto da Gisbert e portato in scena come un flusso di coscienza digitale su uno schermo sospeso, Una imagen interior apre davanti al pubblico una dimensione, o meglio, una serie di dimensioni parallele stranianti e contraddittorie, dove visual art, gesto performativo e un potente stimolo sonoro si fondono andando a creare una sensazione ipnotica, al limite dello sconcerto. «Lo spettacolo [...] propone un esercizio poetico, che sonda i fondamenti del concetto di finzione, proponendo l’erotismo dell’immaginazione come alternativa radicale alla stabilità delle immagini che ci governano. I corpi in scena “lavorano” la materia e la parola – si legge nelle note di regia –, per costruire di fronte agli occhi dello spettatore dei possibili paesaggi, a metà strada tra il fantastico e il concreto, con l’obiettivo di far dialogare poeticamente le possibilità offerte dal desiderio e la tirannia del linguaggio come strumento che determina leggi e valori comuni. L’artificio presentato nello spazio teatrale, luogo originario della finzione, cerca di rappresentare una soluzione impossibile per evocare in scena l’energia poderosa e conflittuale dell’esistenza». ENG Catalan visionary art collective El Conde de Torrefiel (Pablo Gisbert and Tanya Beylar) are back in Venice to perform in the last act of Asteroide Amor theatre programme. Their Una imagen interior, due at Goldoni Theatre on December 20, is an exploration of the concept of reality and on the power of theatre and representation. The show is a digital stream of consciousness, a set of alienating and contradictory parallel dimensions where visual art, performance, and powerful auditory stimuli blend to generate quasi-hypnotic disconcert. From the director’s notes: “The show offers a poetic exercise that scans the basis of the concept of fiction and the eroticism of imagination as radical alternative to the stability of the images that govern us. Performers knead matter and word to build a landscape in front of us.” Una imagen interior 20 dicembre Teatro Goldoni www.unive.it/asteroideamor


Photo Tommaso Le Pera

Vite da guitti Preparatevi, perché qua si ride. Si ride di gusto, apertamente, perché Uomo e Galantuomo è un meccanismo comico perfetto che sembra scritto oggi, non centouno anni fa. Primo testo in tre atti di Eduardo De Filippo, dal gusto “scarpettiano”, racconta la storia di una compagnia di attori in male arnese scritturati per una serie di recite in uno stabilimento balneare. Ad impegnarsi però non ci pensa nessuno, ognuno indaffarato a procurarsi il pasto quotidiano e distratto dalle proprie vicende personali che arrivano a coinvolgere, in una spassosa spirale di intrecci amorosi e scambi di persone, anche qualche rappresentante della nobiltà. Fino allo scioglimento finale, quando per alcuni l’unica possibile via d’uscita sarà imboccare con decisione la strada della finta pazzia. La regia, firmata da un attento conoscitore di Eduardo come Armando Pugliese, oscilla sapientemente tra tradizione e innovazione: perché mentre sarebbe quasi sacrilego mettere mano alla struttura di un classico dai tempi comici perfetti, l’interpretazione dei personaggi principali si arricchisce di suggestioni e si adatta al contemporaneo. Ecco, quindi, il capocomico Gennaro De Sia (Geppy Gleijeses, al suo settimo spettacolo di Eduardo) che riunisce in sé Totò, Gustavo de Marco, Chaplin, o Alberto De Stefano (Lorenzo Gleijeses) che imbocca la strada del surreale. In scena anche Ernesto Mahieux, David di Donatello per L’imbalsamatore di Garrone, che vestirà i panni del Conte Tolentano. Intorno a temi cari al teatro di De Filippo, come la lotta tra ricchezza e povertà e il perbenismo di nobili e borghesi, una pura matematica teatrale costruisce quadri di coinvolgente divertimento, dalla scena delle prove in albergo, figlia della grande matrice del teatro comico napoletano, in cui un suggeritore maldestro, continuamente frainteso dagli attori, ne combina di tutti i colori, alla gag dal sapore americano del bicchiere di acqua e amarena bevuto sempre dalla persona sbagliata. Livia Sartori di Borgoricco Uomo e galantuomo 12-14 gennaio 2024 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it

Photo Gianmarco Chieregato

Che fine han fatto gli dei? Alessio Boni e Iaia Forte portano l’Iliade al Toniolo Dal 23 al 28 gennaio al Teatro Toniolo di Mestre, sei repliche de Iliade. Il gioco degli dei con Alessio Boni e Iaia Forte. A dieci anni dalla sua costituzione, dopo I Duellanti e Don Chisciotte, il gruppo teatrale del Quadrivio riscrive e mette in scena l’Iliade per specchiarsi nei miti più antichi della poesia occidentale e nella “guerra di tutte le guerre”. Alessio Boni è interprete e regista di questo nuovo spettacolo ispirato al poema omerico, ma anche coautore insieme a Roberto Aldorasi, Francesco Niccolini e Marcello Prayer. È dunque ancora la grande letteratura classica ad attrarre l’artista, che nella scorsa stagione è stato molto apprezzato per la rilettura del Don Chisciotte di Cervantes. Incentrata sulla guerra di Troia, l’Iliade offre a Boni e alla sua compagnia l’occasione di osservare lo strano mondo delle divinità classiche, dei miti più antichi e della guerra, argomento che purtroppo non cade mai in disuso. «Sono causa di tutto ma non hanno colpa di nulla, capricciosi, vendicativi, disumani: sono gli dei immortali, e la loro commedia è la tragedia degli uomini, da sempre. Da un po’ di tempo però qualcosa è cambiato: sono diventati pallidi, immagini sbiadite dell’antico splendore, hanno perso i loro poteri e non sanno spiegarsi né come né quando sia iniziato il loro tramonto» immaginano i registi nelle loro note. «Non s’incontrano dai tempi di Elena, Achille, Ettore, Andromaca, Priamo, Ecuba, Agamennone, Patroclo, Odisseo e degli altri personaggi di cui si divertivano a muovere i fili del destino, ma oggi un misterioso invito li riunisce tutti, dopo tanto tempo. Chi li ha invitati? E per quale motivo?». Uno spettacolo che racconta un mondo in cui l’etica del successo non lascia spazio alla giustizia e gli uomini non decidono nulla, ma sono subiti dagli dei in una guerra senza vincitori né vinti. La coscienza e la scelta non sono ancora cose che riguardano gli umani: la civiltà dovrà attendere ancora per conoscere la responsabilità personale e tutto il peso della libertà da quegli dei. La scelta dell’Iliade è legata ad un obiettivo preciso: quello di riempire il teatro di giovani. «L’Iliade – dichiara Boni – ha tutte le carte in regola per garantire questo risultato […] Di primo acchito l’Iliade sembra una grande esaltazione della guerra. In realtà ci sono dei momenti di grazia e pace, come quando Andromaca supplica Ettore di non partire. Questo è il messaggio che vogliamo condividere: possiamo essere tutti portatori di pace, se lo vogliamo». Iliade. Il gioco degli dei 23-28 gennaio Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

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theatro

TEATRO DI CITTADINANZA

Io considero il mondo per quello che è: un palcoscenico dove ognuno deve recitare la sua parte William Shakespeare, Il Mercante di Venezia

Il prezzo del futuro Intervista Mattia Berto di Mariachiara Marzari Attore, regista, direttore artistico e formatore teatrale, Mattia Berto è prima di tutto un cittadino veneziano consapevole che il bene comune deve essere mantenuto e coltivato da una comunità attiva, solo in questo modo è possibile salvare questa nostra amata città. Laureato in tecniche artistiche e dello spettacolo presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e formatosi con maestri di fama internazionale quali, per citarne uno tra tutti, Maurizio Scaparro, Mattia Berto è stato direttore artistico della stagione dei ragazzi del Teatro Dario Fo di Camponogara e per dieci stagioni del Teatrino Groggia a Venezia. Quest’ultimo ha rappresentato, sul territorio, un’esperienza di rigenerazione urbana unica nel suo genere. La forte convinzione che il teatro debba essere uno strumento di indagine sociale e un fatto di comunità lo ha portato, negli ultimi anni, a teorizzare il suo Teatro di Cittadinanza capace, grazie anche alla sinergia con il Teatro Stabile del Veneto e con altre istituzioni cittadine e del territorio, di animare, e di continuare ad animare, luoghi inaspettati di Venezia. Cittadini di tutte le età e di tutti i vissuti sono i suoi attori, in un’idea totalizzante di inclusione e condivisione cruciale per contribuire a formare una comunità consapevole. Un teatro partecipato e necessario, rappresentazione oltre la scena, che entra in città e occupa spazi che assumono significati altri. Il 16 dicembre, in due repliche per 70 spettatori alla volta alle ore 15 e 17, Mattia Berto porta in scena il nuovo atto performativo collettivo del Teatro di Cittadinanza, frutto di mesi e mesi di lavoro: SHYLOCK. Venezia oltre il denaro? Un nuovo capitolo che ancora una volta assume significati fondamentali per Venezia, non solo per l’azione di aggregazione di un tessuto cittadino “da proteggere”, ma anche per i temi scottanti che entrano nei gangli vivi della città stessa e, drammaticamente, dell’attualità. Com’è nata l’idea del nuovo laboratorio SHYLOCK. Venezia oltre il denaro? Il 16 dicembre è per il Teatro di Cittadinanza e per Venezia una data importante. Grazie all’ospitalità del Presidente del Tribunale, il Dott. Salvatore Laganà, il nostro progetto di teatro di comunità arriva, per la prima volta, all’interno del Tribunale di Venezia a Rialto, a distanza di un anno dalla proclamazione del “Manifesto del Teatro di Cittadinanza” in Piazza San Marco. È un grande onore essere il primo a portare il teatro in un’aula di tribunale e mi riempie di gioia che un’altra importante istituzione SHYLOCK. Venezia oltre il denaro 16 dicembre Tribunale di Venezia, Rialto Mercato www.teatrostabileveneto.it

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cittadina abbia aperto le porte al teatro e alla comunità. Sarà la prima azione in città del nuovo progetto che ho ideato per il Teatro Stabile del Veneto, da molti anni divenuto una delle case del Teatro di Cittadinanza. Dopo aver abitato i campi e le calli, gli hotel, i giardini e le case private, indagando dei temi classici del nostro territorio quali la relazione tra i veneziani e i foresti, le buone pratiche di cura degli spazi cittadini, la dimensione verde e sostenibile, la dimensione privata delle case, la complessa rete dell’accoglienza di chi vuole vivere qui e molti altri temi vivi di Venezia, quest’anno la riflessione che sto condividendo con i partecipanti ai laboratori è legata al rapporto tra la città e il denaro e al rapporto personale che ognuno di noi ha con esso. L’idea nasce dalla storia stessa di Venezia, una città da sempre legata al commercio e che grazie ad esso e alle ricchezze conseguenti è divenuta un incredibile crocevia di scambi culturali, dei quali ancora oggi tutti godiamo. Nel nostro lavoro i classici sono sempre fonte di ispirazione per stimolare la costruzione drammaturgica, che parte dal materiale vivo e attivo donato dai partecipanti ai laboratori. Cittadini, dunque, che a partire dal Mercante di Venezia di William Shakespeare hanno creato una scrittura nuova e inedita, prendendo semplicemente a pretesto la figura del mercante per eccellenza: Shylock. Denaro non solo da condannare, ma anche strumento utile per ripensare la città del domani. Un progetto di Teatro di Cittadinanza che ha assunto sempre più connotazioni di vero e proprio movimento di sensibilizzazione e di appropriazione, assumendo caratteristiche uniche nel contesto veneziano. Quali i traguardi raggiunti e le risultanze di questo percorso? E quali i nuovi obiettivi? Il Teatro di Cittadinanza è un’incredibile e ricchissima avventura di comunità a Venezia. Per me è stato il naturale proseguimento del lavoro di rigenerazione del Teatrino Groggia che, in sinergia con mpg.cultura e il settore produzioni culturali del Comune di Venezia, ho avuto la possibilità di dirigere per dieci stagioni. Oggi la casa del Teatro di Cittadinanza è la città, con tutte le istituzioni pubbliche e private che hanno voglia di contribuire a questo progetto di rigenerazione culturale, umana e urbana. Un collettivo aperto a tutte le generazioni, che volge lo sguardo dritto sulla contemporaneità, sui luoghi che amiamo e sulla storia del nostro territorio. Mi piace pensare e sono sempre più convinto che il teatro sia un incredibile strumento di aggregazione, per questo considero il Teatro di Cittadinanza non come una scuola per attori, ma piuttosto come una rete virtuosa, solidale, dove ci si sente parte di un processo condiviso. Sarebbe bellissimo se a Venezia ci fossero altre esperienze teatrali come


la nostra e proprio per questo spesso sento il bisogno di viaggiare per confrontarmi con altre comunità. Siamo stati a tale scopo, così, in molti e differenti altri contesti urbani, tra cui Vicenza, Treviso, Cagliari, Firenze, Cortina d’Ampezzo. Credo che Venezia, per il suo essere scena perenne e per le trasformazioni che sta vivendo, sia il luogo ideale per questo laboratorio, tuttavia comincio a pensare che forse tutte le città dovrebbero avere un presidio di Teatro di Cittadinanza per curare le relazioni, per mantenere viva una comunità, per far sentire le persone meno sole e per non far morire quel gioco incredibile che la scena e il teatro ci offrono. La partecipazione al laboratorio teatrale è in costante aumento, con partecipanti di età compresa tra i 20 e i 70 anni coinvolti per sei mesi. Quali gli elementi fondamentali del successo di questo progetto e quali le rilevanze che emergono da questa voglia di essere parte di qualcosa di vivo e attivo tra senso di appartenenza e svago, di essere una città e al contempo di mettersi in gioco personalmente? Il nuovo laboratorio del Teatro di Cittadinanza ha raggiunto la quota di 60 partecipanti divisi in due gruppi e vi è pure una lista d’attesa di altri cittadini! Credo che il successo del progetto sia dovuto al desiderio e alla voglia di stare insieme. Sono anni complessi, siamo circondati da guerre e violenza e l’idea di provare a ripensare insieme il domani diventa necessaria e vitale. Abbiamo bisogno di sentirci meno soli in città e forse, proprio per questo, vogliamo prenderci tempo e spazio dove poter tessere nuove relazioni. Credo fortemente che la forza e il successo del Teatro di Cittadinanza stia proprio nell’idea che il fare insieme è molto più forte che il fare da soli. Oltre il Teatro di Cittadinanza vi sono altri progetti o sogni nel cassetto che troveranno realizzazione nel 2024? Mio obiettivo del 2024 sarà garantire in città esperienze e presidi del Teatro di Cittadinanza per tutte le generazioni: ho in mente un progetto per i più piccoli, uno per gli adolescenti e uno per gli over 70. Continuerò la mia collaborazione con AIPD – Associazione Nazionale Persone con Sindrome di Down – e cercherò nuovi ponti e connessioni con altre realtà del territorio e non solo. Sogno, dunque, un Teatro di Cittadinanza diffuso, che animi i luoghi e li tenga vivi; un modello da esportare – permettetemi la follia – in tutte le città italiane.

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theatro SPETTACOLI

Una gran diavoleria Perché non si vede mai la moglie del signor Ponza, nuovo segretario della Prefettura appena trasferitosi in una città di provincia insieme a quella che sembra essere sua suocera, la signora Frola? Chi è, questa donna che non esce mai di casa? È davvero la figlia della signora Frola, che il marito tiene segregata perché è pazzo? Oppure quella donna è morta tra le macerie di un terremoto e la moglie del segretario è tutt’altra persona, ma la madre non si rassegna alla perdita? Il mistero manda in crisi la piccola comunità pettegola, che messa di fronte a una situazione che non riesce a definire in modo univoco avvia un’indagine che diventa il motore del testo. Un po’ come in un poliziesco, andando però alla ricerca non dell’assassino ma del pazzo. È Ponza? O la signora Frola? Ve lo diciamo già, ché tanto con Pirandello non siamo a rischio di spoiler: possedere la verità oggettiva è solo una pia illusione, e il confine tra follia e saggezza è estremamente labile. L’allestimento scelto dal regista Geppy Gleijeses, che ha coinvolto due grandi artisti contemporanei come il musicista Teho Teardo e il videoartista Michelangelo Bastiani, evoca un senso d’inquietudine e mistero perfettamente in linea con lo spirito del testo, crea un ambiente rarefatto in cui i personaggi si muovono come figure evanescenti, pronte a dissolversi nel nulla, in un effimero gioco di specchi e riflessi. I personaggi dello spettacolo, prima di entrare in scena in carne e ossa, appaiono agli spettatori come ologrammi tridimensionali di donnine e omini alti 50 centimetri, piccoli perché piccola è la loro visione delle cose, mentre inutilmente si affannano per scoprire una verità che non esiste. Il trio di attori protagonisti, Milena Vukotic (Signora Frola), Gianluca Ferrato (Signor Ponza) e Pino Micol (Laudisi, l’alter ego di Pirandello in scena) è a dir poco strepitoso. Livia Sartori di Borgoricco Così è (se vi pare) 16-18 gennaio 2024 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it

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I meandri dell’Io Stefano Massini, nel magma onirico freudiano Stefano Massini è lo scrittore italiano vivente più rappresentato sui palcoscenici internazionali, e il primo ad aver vinto un Tony Award, l’Oscar del teatro. Dopo l’immenso successo del suo Lehman Trilogy, che continua ad essere messo in scena in giro per il mondo – e di molte altre scritture teatrali che abbiamo visto in questi anni proprio nel circuito dello Stabile del Veneto, come 7 minuti, Occident Express o Eichmann. Dove inizia la notte –, Massini torna sul palco in prima persona portando in una nuova veste il suo decennale lavoro su L’interpretazione dei sogni, una riflessione più matura e profonda rispetto al romanzo di successo e allo spettacolo da esso tratto, portato in scena da Fabrizio Gifuni qualche anno fa. In scena dal primo al centesimo minuto, Massini mette la sua trascinante forza narrativa al servizio di uno spettacolo liberamente ispirato e tratto dagli scritti del padre della psicanalisi, portando sul palco la storia, le fasi attraversate da Freud per arrivare a elaborare la sua teoria: non folgorazione momentanea, bensì un lungo percorso fatto di incontri, come quelli con il politico o la cameriera di casa. Il parallelismo tra sogno e teatro permea l’intero spettacolo: è evidente fin da quel titolo originario del volume freudiano che alludeva a una vera e propria “drammaturgia onirica”, e nello stesso modo in cui il teatro viene spesso bistrattato perché relegato nell’ambito del superfluo, così accadde anche a Freud agli inizi, messo alla berlina per una cosa che poi si è rivelata fondamentale. E poi, ci dice Massini «Il teatro, se non altro nelle sue vette più alte, è sempre un po’ una seduta psicanalitica camuffata». Lo spettacolo si regge sul continuo confondersi di diverse voci narranti: Massini è il narratore esterno, è Freud stesso che prende la parola e poi è un terzo livello, intermittente come un baluginare, quando l’Io irrompe e il parlare è in prima persona, «Io, Stefano». In scena, fra le note di Enrico Fink, prende così forma un variopinto mosaico di personaggi che, narrando i propri sogni, compongono una sinfonia di possibili interpretazioni in cui lo stesso pubblico si riconosce e si ritrova. Dove andiamo quando sogniamo? Che cosa cerchiamo di dire a noi stessi in quello spazio sospeso? Perché sogniamo? Con quali regole si procede, nel fantasmagorico teatro del Sogno? Massini fa di Freud l’Omero dell’anima, e dell’Interpretazione dei sogni il racconto dell’uomo. Livia Sartori di Borgoricco L’interpretazione dei sogni 18-21 gennaio 2024 Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it


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theatro DANZA

Luci e ombre Nel Regno di Mezzo Ad essere sincera, non conoscevo Shen Yun Performing Arts. Guardavo distrattamente il flyer preso dal bancone del mio ristorante cinese preferito aspettando di pagare quando una delle cuoche, mia carissima amica, ha abbandonato i fornelli per fiondarsi a dirmi che dovevo assolutamente vedere quello spettacolo! Lasciando i clienti attendere i suoi celestiali ravioli, Lisa si è intrattenuta per confessarmi che prenderà un giorno di permesso – cosa più unica che rara per lei, vi assicuro – pur di assistere ad una delle recite della produzione 2024, in scena dal 29 al 31 gennaio al Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Abbiamo avuto solo un attimo per parlarne, ma il suo entusiasmo mi ha davvero incuriosito. Ho cercato così informazioni in rete, incappando in decine di recensioni esaltanti: critici e spettatori che definiscono lo spettacolo come “indescrivibile”, “da vedere con i propri occhi”, “da togliere il fiato”, e addirittura “un’esperienza capace di cambiare la propria visione della vita”. Ancor più incuriosita, sono andata a visitare il sito della Compagnia, dove si trovano il trailer della nuova produzione e video dei precedenti lavori, e devo ammettere di aver visto raramente qualcosa di tanto inaspettato, coinvolgente e spettacolare già soltanto sullo schermo. Scopro così che Shen Yun è la compagnia di danza classica cinese più importante al mondo, ma essendo formata da artisti sfuggiti all’oppressione totalitaria del regime comunista ha dovuto trovare casa negli Stati Uniti e a tutt’oggi ha il divieto di esibirsi in patria. Dalla sua sede di New York, oltre che con i tour internazionali, Shen Yun – letteralmente: “la bellezza degli esseri divini che danzano” – lavora da anni per mantenere vivi tutto lo splendore, la bontà e la saggezza che hanno contraddistinto cinque luminosi millenni di civiltà cinese, prima dell’avvento di un regime che è in contrasto con le tradizioni e la storia stessa del Paese. Negli spettacoli di Shen Yun la cultura classica cinese rivive attraverso danze e musiche straordinarie, eseguite dal vivo dall’orchestra, mentre decine di ballerini in coloratissimi costumi tradizionali si muovono all’unisono, librandosi quasi in volo, in un meccanismo perfetto di illusioni creato grazie a sorprendenti proiezioni video. Un’esperienza sicuramente da fare per aprirsi alla “meraviglia”, ma quella vera, non da spot televisivo… C.S. Shen Yun 2024 29-31 gennaio 2024 Teatro Nuovo G. da Udine-Udine it.shenyun.com

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Cristiana Morganti è una delle due uniche danzatrici italiane – l’altra è Beatrice Libonati – del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch, ad oggi insuperabile scuola di danza nella sua capacità di raccontare al pubblico qualunque cosa con il movimento del corpo e le espressioni facciali. Si racconta come Pina Bausch avesse la dote di distinguere la bontà di una corsa dei danzatori dal soffio d’aria che sentiva sul viso, lei, perennemente seduta ai bordi del tappeto con l’eterna sigaretta in mano. Ho seguito Cristiana sin dal 2012 a Londra in Der Fensterputzer, a Reggio nel 2014 con Jessica and Me, poi tra gli ultimi spettacoli, Fury Tale al Goldoni di Venezia, Moving with Pina nel 2020 al Verdi di Padova. Tutte queste creazioni sono da un lato un omaggio a Pina Bausch e dall’altro monologhi e riflessioni sulla propria storia e sul significato del proprio percorso artistico. Racconti brevi, pieni di humor e lievità, grevità e spensieratezza del vivere nella danza che si intrecciano. Il pubblico si diverte, catturato dal sorriso e dalle piccole malizie della protagonista. La nuova produzione, Behind the Light, ha qualcosa di diverso, più rigogliosa e matura, ma anche con una ombra preoccupata, che ne mitiga l’usuale allegria, lasciando però intatta l’ironia di Cristiana e la sua vena poetica. Uno spettacolo più ricco sicuramente per i video di Connie Prantera, “mystical anarcho feminist sound art performer”, e per il complesso disegno luci di Laurent Berger, che metterà a dura prova i responsabili luci dei diversi teatri. Restano anche le piccole provocazioni ammiccanti: se non ci sarà più un atto mancato di togliersi il reggiseno, ora il telo mare cadrà o non cadrà? Il pubblico sappia che non cadrà, almeno non è caduto nello spettacolo di marzo a Parigi al Theatre de la Ville (come insegna Baudrillard, si seduce di più con la fragilità che non con la nudità). Commenta Cristiana che la ripresa dopo l’era Covid non è facile, ma non ci convince: le vicende e vite personali per noi devono avere la giusta segretezza. In scena pochi oggetti, una poltrona gonfiabile, quasi a dire che i tempi della iconica sedia della Pina sono cambiati, un asciugacapelli – Cristiana una capigliatura fuori norma e debordante l’ha e ne è divenuta quasi simbolo –, un telefono, cecità dei tempi attuali nei confronti dell’altro, un microfono visto il ruolo pubblico e poco altro. Gli oggetti parlanti sono le mani, il viso, il corpo, i cui movimenti sono amplificati dalla ripresa video, e la voce con la sua inquietudine, allegria, ironia e ora anche velata malinconia. Loris Casadei Behind the Light 6 dicembre Teatro Verdi-Padova www.teatrostabileveneto.it


© Olivier Houeix

La grande sfida Le Stagioni di Vivaldi e Guido secondo Thierry Malandain Dal 10 gennaio al 14 gennaio, torna la danza al Teatro La Fenice con Les Saisons, spettacolo prodotto da Château de Versailles Spectacles. È l’unico balletto in programma nel cartellone del Teatro d’opera veneziano per questa stagione. Presentata lo scorso novembre a Parigi, si tratta di una creazione di Thierry Malandain che riunisce in un unico programma le Quattro Stagioni di Vivaldi e le Quattro Stagioni di Giovanni Antonio Guido, un altro autore contemporaneo del compositore veneziano che visse però a Parigi. Un progetto innovativo e senz’altro coraggioso quello di mettere a confronto due opere, completamente diverse. L’origine dell’idea è di Laurent Brunner, direttore di Château de Versailles Spectacles, e Stefano Plewniak, violinista e direttore d’orchestra dell’Opéra Royal di Versailles; le due personalità hanno concepito questo spettacolo per cambiare prospettiva nello sguardo verso questa forma di musica descrittiva legata alle stagioni. Le Quattro Stagioni di Vivaldi formano un ciclo di quattro concerti per violino intitolati semplicemente Primavera, Estate, Autunno e Inverno. Per ciascun titolo ci sono tre movimenti in cui il virtuosismo del solista è l’assoluto protagonista. Di novità, c’è il fatto che questi movimenti sono preceduti nello spettacolo da sonetti attribuiti a Vivaldi, che offrono una successione di scene agresti e celebrano la natura. Le Quattro Stagioni di Vivaldi sono tra le opere più eseguite e registrate, più utilizzate frequentemente negli spot pubblicitari, un inno universale alla natura che gode di immensa popolarità, forse anche troppa. Infatti, questa musica, talmente sfruttata, può generare anche una sorta di ‘rigetto’ da troppo ascolto. Pochissimo si sa invece della vita e delle opere dell’altro autore: Giovanni Guido, nato a Napoli attorno al 1675 e attivo a Parigi nel 1702 come maestro di musica di Filippo d’Orléans. Il compositore fu molto vicino al finanziere Crozat, che nel 1716 commissionò a Jean Antoine Watteau quattro quadri sul tema allegorico delle stagioni. Guido li metterà in musica attorno al 1717 con il titolo Quattro Stagioni dell’anno. Da Vivaldi a Guido, chi

avrà ispirato l’altro? Le Quattro Stagioni di Giovanni Antonio Guido dovrebbero apportare un tocco di aria fresca, un nuovo motivo di speranza in questa panoramica appiattita. L’opera del compositore è scritta nella forma francese della Suite di danze. Come Vivaldi, la partitura mette in musica quattro poesie anonime: i Caratteri delle stagioni. A dare lettura sul palcoscenico di questo confronto assai particolare è Thierry Malandain, oggi uno dei più importanti coreografi europei e internazionali, direttore del prestigioso Centre chorégraphique national di Biarritz, in Francia, dove nel 1998 è stato fondato il Malandain Ballet Biarritz. Il Malandain Ballet Biarritz ha un organico di 22 danzatori permanenti provenienti tutti da una formazione accademica classica, ma che il lavoro con Malandain rende moderni. Dopo il successo del loro spettacolo dedicato a Maria Antoinette, lo scorso anno, la compagnia torna alla Fenice per un’altra promessa di successo all’insegna della natura e della musica. Sarà pronta Venezia ad accogliere nuove stagioni oltre quelle di Vivaldi? Katia Amoroso ENG Ballet nights at Fenice Theatre on January 10 to 14 with Les saisons, a show produced by Château de Versailles Spectacles. Presented last November in Paris, its author Thierry Malandain used music from two compositions, both known as Four Seasons, one by Antonio Vivaldi, the other by Giovanni Antonio Guido. The piece by Vivaldi is certainly the most famous. Each of the seasons is dedicated three movements, preceded by a sonnet written purportedly by Vivaldi himself. The virtuosity of the soloist is absolute protagonist from start to finish. Little is known, on the other hand, on Giovanni Guido. Born in Naples around 1675, he worked mostly in Paris. His Four Seasons will bring some fresh air to our musical experience. Les Saisons 10-14 gennaio 2024 Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it

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theatro OMAGGI

© Marco Caselli

Divina emozione Artemis Danza celebra i cento anni di Maria Callas Forse è una storia tipica quella di Monica Casadei nel suo cammino verso e con la danza, ma non lo sappiamo. Di solito le biografie delle danzatrici e coreografe iniziano con il primo spettacolo: «Marion Barbeau entra nel 2008 prima ballerina all’Opera di Parigi…», oppure hanno un avvio nell’ambito familiare: «Judith Jamison impara piano e violino dal padre e a sei anni inizia scuola di danza…». Monica deve superare difficoltà già in famiglia, il padre, che diverrà in seguito il suo più fervido fan, desiderava per lei un lavoro “serio” e avrebbe visto volentieri le sue attività sportive nella squadra locale della pallacanestro. Poi la città, Ferrara, che non molto poteva offrire in termini di scuola. Nondimeno a sedici anni mette in piedi il suo primo assolo nel teatrino di Palazzina Marfisa d’Este. Dopo una laurea in filosofia su Platone e la danza – siamo negli anni ’80 –, ‘fugge’ prima a Londra poi a Parigi; vita certo non facile, ma può finalmente confrontarsi con i maggiori maestri del momento. Qui fonda nel 1997 la compagnia Artemis Danza. Al rientro in Italia, nel 1998, è in residenza prima al Teatro Due di Parma, poi nel 2014 al Teatro Comunale di Bologna. Suo maestro riconosciuto e anomalo nel mondo della danza è André Cognard Hanshi So Shihan. L’aikido rimane infatti sempre una sua grande passione e ancora oggi molti tratti delle sue coreografie ne rivelano tracce. Due i percorsi ben visibili nell’attività di Monica Casadei: l’incontro con altri saperi e civiltà, benemerito è AICA – Artemis Incontra Altre Culture con molteplici attività all’estero, dove forse è la Compagnia di danza italiana più conosciuta, e la continua ricerca di legare la danza alla grande tradizione lirica italiana. Nel 2011 dà vita al progetto “Verdi” con i brani Traviata, Rigoletto e

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Aida, mentre nel 2015 con il progetto “Puccini”, traspone in danza Carmen, Butterfly, Il Barbiere di Siviglia e la stupenda Tosca X, ancor oggi sui palcoscenici. Nel 2020 debutta Felliniana, una esplorazione del rapporto tra il mondo circense e la danza. Quello che vedremo il 15 dicembre nello stupendo Teatro Villa dei Leoni di Mira, in origine barchessa di Villa Contarini dei Leoni, è Private Callas, che ha avuto la sua prima mondiale pochi giorni or sono al Teatro Comunale di Ferrara. Racconta la coreografa: «Sono cento anni dalla sua nascita, ma per noi di Artemis la Callas è al centro dell’attenzione da sempre, la sua prima grande interpretazione fu Violetta in Traviata, e Traviata è stata la nostra prima opera lirica affrontata e raccontata in danza. Lo spettacolo nasce inoltre all’interno di una rassegna Corpi violati dedicata al tema della violenza sulle donne. E chi scegliere se non Maria Callas, rifiutata dalla nascita perché femmina (particolare sconosciuto al largo pubblico) e poi distrutta da un anemico rapporto con il potente Onassis? L’obiettivo e la difficoltà dello spettacolo per noi drammaturghi è stato rendere evidente allo spettatore questo lato, tra la celebre diva e la fragile donna. Ma c’è un secondo messaggio dedicato ai giovani: non arrendersi alle difficoltà, avere un sogno e crederci sino alla fine». Ci crediamo in questa promessa, la danza di Monica Casadei è intelligente, raffinata, ma sempre attenta al pubblico, che deve capire, emozionarsi, essere coinvolto nella storia e, quando capita, perché no, divertirsi. Loris Casadei Private Callas 15 dicembre Teatro Villa dei Leoni-Mira www.piccionaia.org


Mostra

12.03.23 — 07.01.24

CHRONORAMA

Venezia

Gian Paolo Barbieri, Benedetta Barzini, with a Valentino Poncho and Coppola e Toppo Jewelry, 1969, Vogue © Condé Nast

a Palazzo Grassi

Palazzo Grassi

Tesori fotografici del 20° secolo

Punta della Dogana Pinault Collection

pinaultcollection.com/palazzograssi 129


SHOWCASE PANDORA, DESIGN RITSUE MISHIMA

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OTTART.IT

Photo © Enrico Fiorese — Gallerie dell’Accademia di Venezia/su concessione del Ministero della Cultura


theatro

COMICI I SANSONI

SHOWS

Storia di un cantastorie

Sogno a tempo determinato

“Attori, comici, creatori e sognatori fieri”, come si autodefiniscono i fratelli siciliani Fabrizio e Federico Sansone, in arte I Sansoni, sono fortemente devoti alla comicità a sfondo comico-satirico, ma non disdegnano la risata d’istinto. Star del web con oltre 400 milioni di visualizzazioni, sono noti per la serie dedicata al “fastidio” e per i loro “web-metraggi”. Hanno debuttato a teatro nel 2018 con il loro primo spettacolo, Fratelli, ma non troppo!, che ha riscontrato un grande successo di critica e pubblico, debuttando nel 2021 a livello nazionale nei teatri italiani. Nel nuovo spettacolo, I Sansoni incarnano tutti gli stereotipi dei giovani sull’amore, sul lavoro, sulla società, sulla politica, per interrogarsi sul futuro, cercando una risposta concreta alla domanda: ma i ragazzi di oggi possono uscire da questo sogno a tempo determinato? Ovviamente… chiediamo per un amico! 14 dicembre h. 21 | Teatro del Parco-Mestre

GIOVANNI SCIFONI

Fra’ – San Francesco, la superstar del medioevo

Dal red carpet dell’80. Mostra del Cinema di Venezia, che lo ha visto protagonista del film L’ordine del tempo di Liliana Cavani, Edoardo Leo torna, attesissimo, al Teatro Toniolo dal 5 al 7 dicembre con il suo spettacolo, Ti racconto una storia. Letture semiserie e tragicomiche. Tra gli interpreti italiani più amati e popolari del piccolo e grande schermo, ma anche regista di talento, Edoardo Leo è ora impegnato nella tournée teatrale del suo reading, di cui cura sceneggiatura, regia e interpretazione, accompagnato dalla chitarra del fedele maestro Jonis Bascir. Il sipario si alza su tre lavagne zeppe di appunti scritti col gesso e un leggio nel centro, davanti al quale appare lui, Edoardo Leo. Quegli appunti sono ricordi, suggestioni, letture e pensieri che Leo ha raccolto dall’inizio della sua carriera a oggi: vent’anni di ritagli e parole trasformati in uno show coinvolgente, esilarante, che cambia forma e contenuto ogni volta a seconda di dove andrà in scena. «Come i cantastorie di un tempo, che andavano di città in città e ogni volta raccontavano una storia diversa», spiega Leo, alle prese con un lavoro trasversale che mostra quanto poesia e comicità siano in realtà vicine, spaziando tra autori classici come Calvino, García Marquez, Benni e Baricco, testi di giovani autori contemporanei, ma anche articoli di giornale, aneddoti, barzellette, storie vere e inventate, che permettono all’artista di tracciare un excursus personale che affianca risate e momenti di riflessione. Edoardo Leo – Ti racconto una storia 5-7 dicembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it

«Come parlare di San Francesco d’Assisi senza essere banali?», se lo chiede l’attore romano Giovanni Scifoni, perché Francesco piace a tutti, anche agli atei. Era un artista, le sue prediche erano capolavori folli, vere performance di teatro, giocava con la natura, recitava in francese, stravolgeva testi antichi. Il 24 dicembre si celebrano gli 800 anni del presepe di Greccio, un’idea geniale di Francesco. Il monologo di Scifoni, accompagnato da laudi medievali e strumenti antichi, esplora il potere persuasivo che la figura di Francesco ha ancora su di noi. Segue la vita del poverello di Assisi e il suo sforzo ossessivo nel raccontare il mistero divino in ogni forma, da quando predicava ai porci fino al Cantico delle Creature. Francesco cantava la bellezza dal buio della sua cella, cieco e afflitto dalla malattia. Nessuno ha mai raccontato Dio con tale creatività. Sapeva incantare, far ridere, piangere, cantare, ballare. 7 gennaio 2024 h. 16.30 | Teatro Toniolo-Mestre

OBLIVION Tuttorial

Dopo aver affrontato i capisaldi della cultura italiana e internazionale, incantati dal richiamo suadente del Metaverso, gli Oblivion si proiettano nello spazio-tempo con un nuovo spettacolo interamente dedicato alla contemporaneità. Dalle tendenze musicali del momento, alle serie tv più blasonate fino ad arrivare alla satira di costume, alla politica e all’attualità: tutto finisce nello spietato frullatore oblivionesco. Con il virtuosismo dei loro arrangiamenti, gli effetti sonori più avveniristici e quella innata voglia di distruggere gli schemi, gli Oblivion raccolgono la sfida epocale di guidarci verso una vera e propria trasfigurazione della realtà moderna per renderla meno complessa e ancora più idiota. Un anti-musical carbonaro a metà tra avanspettacolo e dj-set, che diventa una vera e propria guida per autostoppisti moderni adatta a tutti dalla gen. Alpha ai Boomer. 21 gennaio 2024 h. 16.30 | Teatro Toniolo-Mestre

CHIARA BECCHIMANZI Terapia di gruppo

Un flusso di coscienza inarrestabile ed esilarante per esplorare le idiosincrasie vecchie e nuove, gli stereotipi indistruttibili e quelli di cui dovremmo vergognarci, il politicamente corretto, le paure del contagio e il contagio delle paure. Chiara Becchimanzi presenta uno spettacolo dal format interattivo unico nel suo genere: una vera e propria terapia di gruppo, in cui potrebbe succedere di tutto, perché il pubblico è sempre coinvolto in prima persona, tanto da determinare la direzione, naturalmente del tutto improvvisata, che prenderà il discorso. La ‘terapeuta’ Becchimanzi ci invita a ridere di noi stessi, a conoscerci, a innamorarci, e perché no, a insultarci anche… per poi sentirci meglio di prima. Ovviamente, senza aver risolto nulla! 26 gennaio 2024 h. 21 | Teatro del Parco-Mestre www.dalvivoeventi.it

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MERAVIGLIOSA CREATURA Questo personaggio mi è piaciuto più di qualsiasi altro abbia mai letto: sperimenta il mondo nei suoi termini Yorgos Lanthimos

cinema

di Loris Casadei

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A

ll’origine, c’era un racconto. Un bel racconto dal titolo Poor Things. Se potete, prendete l’edizione inglese di Bloomsbury Publishing. Solo così potrete gustare il black verse ad imitazione di Shakespeare e i numerosi giochi di parole. L’autore è uno scozzese, Alasdair Gray (1934-2019), ma il racconto viene presentato, seguendo una lunga tradizione che va da Manzoni a Scott, da Cervantes a Jan Potocki o a Umberto Eco, come un antico manoscritto ritrovato. L’autore si presenta come «[…] a fat, balding, asthmatic, married pedestrian who lives by writing and designing things» e infatti i suoi libri sono tutti riccamente illustrati. Vi sono due ragioni per leggerlo prima di vedere il film. Da una lettura di parole, più lenta e meditativa di una visione cinematografica, si colgono infatti dettagli che sfuggirebbero (perché il gioco a terra frammentato delle Isole Britanniche, se non si cogliesse la pacata, ma ferma passione dello scrittore per la sua terra di Scozia?); poi per percepire il senso originario della sensualità che si esprimere nel racconto in frasi come: «Cercavo di ricordare il colore degli occhi di Bella, ma stavo ripensando alle sue sillabe tentennanti come perle che cadono ad una ad una su un piatto». Non corpi, ma emozioni. La storia ormai è nota: uno scienziato dall’aspetto austero e spaventevole recupera una donna annegata, incinta, e trapianta nel corpo il cervello del feto, riuscendo a riportarla in vita. Donna incantevole, ma senza freni inibitori, avrà voglia di conoscere e di sperimentare

tutto. Entra in scena il regista Yorgos Lanthimos e ne fa un film che ha subito vinto senza concorrenti il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia ed è proiettato agli Oscar prossimi. Ricchezza scenografica, fotografia ed effetti di pigmentazione eccezionali, costumi e un cast di attori di tutto rispetto, dalla protagonista Emma Stone passando tra gli altri a Mark Ruffalo e Willem Dafoe. Del regista ricorderete The Lobster (2015) e La Favorita (2018), Gran Premio della giuria sempre a Venezia. Viene sempre più spesso avvicinato alla Greek Weird Wave per la frequente bizzarria di alcune sue scene, come i 17 conigli della regina inglese ne La Favorita, incarnazione dei suoi 17 figli morti. Il copione è tratto dal romanzo, ma a dominare sono la recitazione e l’esposizione dello stupendo corpo di Emma Stone con tutta la carica di sensualità che trasuda. Molti, trascinati ad afferrare la direzione del vento, hanno parlato di femminismo. Non lasciatevi ingannare. Vi è anzi un peccato nascosto: il fascino erotico appartiene anche a un immaginario in cui Bella, il personaggio interpretato dalla Stone, è bambina ed ha mosse da bambina. Certo, con la crescita Bella diventerà potente e potrà concedersi ogni rivincita sugli uomini, ma non riuscirà mai a conoscere l’amore, che solo si può riconoscere ed avere se lo si è ricevuto. Due ore quindi di incantata ed eccitante visione, ma con un poco di amaro in gola o, da maschio, ambigua voglia di donare. Poor Things Dal 25 gennaio 2024 in sala


CIAK, SI GIRA! Dopo aver raggiunto una durata record di 118 giorni, precisamente a mezzanotte e un minuto dello scorso 9 novembre, lo sciopero che ha agitato Hollywood e l’intero mondo del comparto cinematografico è giunto a conclusione. La US Screen Actors Guild (Sag-Aftra), il sindacato che rappresenta attori e interpreti negli Stati Uniti, ha infatti raggiunto un accordo triennale con i principali Studios e con le piattaforme di streaming per la firma di un nuovo contratto collettivo, mettendo fine a una vertenza durissima su questioni non solo economiche ma anche relative all’uso delle nuove tecnologie, su tutte la ormai onnipresente AI, intelligenza artificiale, a sua volta in questi giorni attraversata dai forti tumulti societari di ChatGPT. La bozza prevede un accordo definito “storico” sui salari: la maggior parte dei minimi aumenterà del 7%, cioè due punti in più rispetto agli aumenti già negoziati dalla Writers Guild of America, ovvero il sindacato degli sceneggiatori e dalla Directors Guild, l’organizzazione dei registi. Aumentano anche i pagamenti residui per gli spettacoli trasmessi in streaming online e si rafforzano i contributi ai piani sanitari e pensionistici. La novità di contenuto più rilevante dell’intesa è la protezione degli attori rispetto all’uso dell’intelligenza artificiale nella creazione di contenuti video, una delle principali preoccupazioni del sindacato e diventata fulcro delle trattative: una delle questioni spinose era ad esempio il consenso all’uso dell’immagine degli attori da parte delle intelligenze artificiali anche dopo la loro morte, materia che sarà adesso regolata da un nuovo set di norme, secondo un prospetto che ha soddisfatto il sindacato. La vertenza, unita a quella degli sceneggiatori che si era chiusa alla fine di settembre, aveva paralizzato le produzioni cinematografiche e televisive in tutto il Paese, bloccando progetti attesissimi come il secondo capitolo di Dune o la nuova stagione di Stranger Things, imponendo il costosissimo rinvio di tutti i lungometraggi e gettando nel caos la programmazione dei palinsesti televisivi – tanto che gli Studios avevano fatto pressioni sui negoziatori perché arrivassero a un accordo. Secondo le prime stime riportate dal «Los Angeles Times» gli scioperi sono costati più di sei miliardi di dollari allo stato della California: il blocco delle produzioni ha causato un’interruzione di lavoro per tutte le categorie professionali che lavorano a un film o una serie, anche se non erano coinvolte dalle negoziazioni di un contratto migliore.

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cinema REVIEWS

L’istinto naturale Il cinema di Hamaguchi fa la scelta giusta In Evil Does not Exist il regista Ryūsuke Hamaguchi, Oscar al miglior film straniero con il suo precedente lavoro Drive My Car, usa un tocco leggero, documentaristico, per raccontare le vicende di questo piccolo centro rurale nelle vicinanze di Tokyo: più precisamente i rapporti umani e le discordie nate dal confronto-scontro con i rappresentanti di una società senza scrupoli mandati dalla città per convincerli ad accettare un’allettante proposta immobiliare. Ma è nel mostrare i personaggi immersi nella natura incontaminata che l’autore vuole trasmettere allo spettatore un messaggio che va oltre la materia, il consumismo ed il vile profitto: c’è qualcosa di ancestrale nel rapporto tra gli abitanti di quei luoghi e la natura che li circonda. Una simbiosi che fa vivere la popolazione in un equilibrio fragile, fatto di gesti ed abitudini impossibili da comprendere per uno straniero. Vengono narrate storie di persone semplici che difendono la terra in cui vivono e che non si lasciano circuire dai facili guadagni promessi da società di costruzione senza scrupoli: c’è l’idea di realizzare un glamping, fusione delle parole glamour e camping, per far aumentare il turismo e l’indotto economico, che comporterebbe, inevitabilmente, lo snaturare e depauperare i luoghi incontaminati dove da sempre vivono i protagonisti. In una riunione per decidere sull’attuazione del progetto viene posto il problema che l’acqua, elemento primigenio ed essenziale per la vita, verrebbe contaminata alla sorgente, con la costruzione del glamping; appare evidente, quindi, che questo andrebbe contro la filosofia di vita della comunità e perciò viene subito alla luce quale sia l’unica scelta giusta da prendere. Di fronte alla natura ed alla vita è talmente semplice fare le scelte giuste che sembra impossibile quanto l’uomo sia riuscito a devastare in modo forse irreversibile il pianeta in cui vive.

Il protagonista Takumi, che vive con la figlia di otto anni, si ritrova a dover fare i conti con scelte che potrebbero rompere il delicato equilibrio dei luoghi intorno a lui. Questo film, che è valso al regista il Leone d’Argento Gran Premio della Giuria all’80ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è frutto dell’ennesima collaborazione con la musicista Eiko Ishibashi, già autrice della partitura sonora di Drive My Car. Il connubio tra il regista e la musicista ha dato origine a due opere speculari tra loro: la performance cinematografica Gift, sorta di film muto con partitura dal vivo, ed il film Evil Does not Exist appunto. Le riprese di entrambi i lavori sono state realizzate vicino alla zona in cui vive Ishibashi, il villaggio di Mizubiki a Nagano, e come attori sono stati presi membri dello staff e abitanti del luogo, esperti degli ambienti naturali. Il protagonista, Hitoshi Omika, membrio dello staff di produzione de Il gioco del destino e della fantasia (2021), all’inizio della realizzazione di Gift faceva da autista per la ricerca delle location con il direttore della fotografia Yoshio Kitagawa: vedendolo in azione nel contesto naturale, Hamaguchi decide di elevarlo a personaggio principale. Una grande libertà espressiva ed una totale indipendenza creativa ha dato la possibilità al regista di poter sperimentare nuove prospettive e potenzialità del mezzo cinematografico. Siamo di fronte ad una sorta di cinema espanso dove le due opere cinematografiche si completano a vicenda, in un gioco di richiami e riflessi che avvolge lo spettatore. Andrea Zennaro Evil Does not Exist Dal 6 dicembre in sala

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cinema FESTIVAL

Fare, Rete Nuovi modelli di cooperazione cinematografica Già ‘solamente’ per essere nata nel 2020, anno in cui tutto si fermò e moltissime cose cambiarono, l’associazione Rete Cinema in Laguna merita elogi e le sue iniziative di essere segnalate ed esaltate, portatrici di una forza vitale che spinge ad immaginare una Venezia possibile partendo proprio dall’unione di intenti tra realtà e professionisti dell’audiovisivo della laguna veneta. Iniziative che vanno dalle proiezioni alla presenza di registi a conferenze su argomenti specifici, che il cinema ha aiutato a declinare e rendere più visibili, tangibili nella nostra mente grazie alla forza prorompente delle immagini. InLaguna Film Festival è il festival internazionale di cinema indipendente di cui Rete Cinema in Laguna si è dotata negli anni, quest’anno in programma alla Casa del Cinema dal 30 novembre al 3 dicembre, ad ingresso gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili. Il festival, arrivato alla sua terza edizione, propone un concorso internazionale con 12 film, tra lungometraggi, mediometraggi e cortometraggi, di fiction, documentario e animazione. A far parte della giuria ufficiale, tra gli altri, Tommaso Santambrogio, regista di Los Océanos son los Verdaderos Continentes, presentato in apertura alle Giornate degli Autori 2023 alla Mostra del Cinema di Venezia, e Nine Antico, graphic novelist, illustratrice e filmmaker francese. Come da tradizione, oltre al programma dei film in concorso, nelle giornate di sabato 2 e di domenica 3 dicembre, sono previsti vari incontri per professionisti e aspiranti del settore audiovisivo presso lo spazio ICI Venice, in Campo San Simeon Grando, da sempre fucina di progetti dalle potenzialità più disparate. Ad aprire la terza edizione di InLaguna Film Festival, Francesco Sossai regista de Il compleanno di Enrico. Ricordi d’infanzia di pomeriggi invernali, gli anni ’90 che stanno per finire e le feste a casa degli amichetti che non sempre si rivelano piacevoli come avremmo pensato: l’irriverente regista di Sedico (Feltre) inaugura così la nuova veste autunnale del festival, raccontandoci i ricordi vivi della sua esperienza a Cannes. Due giornate in collaborazione con Rete Doc e Fondazione Veneto Film Commission sviluppano invece l’aspetto “industry” della rassegna: panels, focus sulle maestranze e sulle case di produzione locali, incontri one-to one tra produttori, capireparto e giovani professionisti che si approcciano al mondo dell’industria cinematografica. InLaguna Film Festival 30 novembre-3 dicembre Casa del Cinema www.inlagunafilmfestival.com

SI RECITA A PROGETTO

In un periodo storico in cui le tecnologie immersive si stanno affermando tanto nel mercato europeo quanto in quello internazionale, il Centro Sperimentale di Cinematografia e la Regione Veneto uniscono le forze per fondare un nuovo polo innovativo, il CSC Immersive Arts, sull’isola di San Servolo a Venezia. La proposta formativa, frutto di un accordo di programma siglato un anno fa con l’Assessorato alla formazione della Regione Veneto, punta a esplorare e approfondire le possibili applicazioni della Realtà Estesa attraverso lo studio della loro evoluzione, così da poter intercettare la natura di un settore ancora in via di sviluppo. Il primo Lab del CSC Immersive Arts è in programma da giovedì 7 a martedì 12 dicembre, intitolato The Ecosystem of Immersive Production, un laboratorio intensivo rivolto a produttori dell’industria cinematografica e culturale che intendono acquisire competenze utili alla produzione di contenuti in Realtà Estesa. Gli esperti che guideranno i partecipanti sono Alexander Herrmann, uno dei più importanti creatori di gaming di questo tipo in Europa, e Agata di Tommaso, International Sales & Festival executive del settore distribuzione di Diversion Cinema. Da giovedì 14 a martedì 19 ecco il Lab VR Animation. Quill a tool for creative storytelling, dedicato allo storytelling immersivo per l’animazione e sonorizzazione di cortometraggi in Realtà Virtuale. Un focus sul software Quill, che permette di creare contenuti immersivi all’interno di un ambiente virtuale e di avere un riscontro immediato del processo di lavorazione. CSC Immersive Arts 7-12, 14-19 dicembre Isola di San Servolo www.fondazionecsc.it

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cinema RASSEGNE

Il talento delle scelte Circuito Cinema e la leggenda Bob

Nasceva un’attrice Anna Magnani è icona, sogno inquieto, donna estrema, attrice totale. Cinquant’anni fa se ne andava. In verità non servono ricorrenze per ricordarla e guardarla, in questo caso ricordarla con una rassegna di Circuito Cinema che registra due date a dicembre. I primi passi li ha mossi a teatro, negli anni Venti, alla scuola d’arte drammatica di Silvio D’Amico; e proprio lui in un colpo d’occhio ha capito che Anna non aveva bisogno di regole e impostazioni. Il possesso della scena, la voce, il ritmo erano già suoi, come fossero arrivati con lei mettendo piede in terra. Un talento naturale del quale la Magnani era consapevole e per il quale ha lottato per tutta la vita. Il cinema la coglie nel 1934 con La cieca di Sorrento, regia di Nunzio Malasomma. Un esordio felpato che però spalanca le porte a un cinema destinato a diventare indelebile. Da Teresa Venerdì di Vittorio De Sica a L’ultima carrozzella di Mario Mattoli; da Il bandito di Alberto Lattuada a L’onorevole Angelina di Luigi Zampa; da L’amore di Roberto Rossellini a Vulcano di William Dieterle. In mezzo e oltre ci sono Roma città aperta ancora con Rossellini, Bellissima di Luchino Visconti, poi il passo oltre confine, l’Oscar per La rosa tatuata di Daniel Mann, a seguire: George Cukor, Nunnally Johnson, Sidney Lumet (con Pelle di serpente, scritto per lei da Tennessee Williams). Sempre uguale e mutevole, imprime nelle storie un carattere forte e disperato, una voce squillante e roca, il suo viso scolpito in Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini e più in là, nel 1972, nel suo ultimo film per il grande schermo, Roma di Federico Fellini, prima di andarsene l’anno dopo, troppo presto. Raccontiamo Anna Magnani attraverso storie meno appariscenti, eppure folgoranti, con tre film per la tivù (girati nel 1971, regia di Alfredo Giannetti): Tre donne disegnate su di lei. Altre tre (Serafina, Gioia e Lady Torrance) sono la Anna d’oltreoceano, amatissima e indimenticabile. Elena Cardillo Anna Magnani. La rosa del cinema 7, 14 dicembre Videoteca Pasinetti www.comune.venezia.it

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Robert De Niro lo scorso 17 agosto ha festeggiato ottant’anni di vita, dei quali ben sessanta dedicati al cinema, in molteplici vesti: attore, regista, produttore e addirittura co-fondatore del Tribeca Festival. Nato da genitori entrambi artisti in uno dei quartieri simbolo di New York, il Greenwich Village, cresce a Little Italy assorbendo e rivendicando le origini italoamericane, tant’è vero che è in possesso pure della cittadinanza italiana dal 2006. Ancora prima di finire la scuola, decide che il suo destino è nella recitazione e, dopo solidissimi studi (anche all’Actors Studio), comincia a lavorare nel campo cinematografico facendosi subito conoscere per la maniacale preparazione dei ruoli. La sua carriera conosce una progressiva ed inarrestabile ascesa, grazie anche all’incontro con registi anch’essi italoamericani, come Francis Ford Coppola e, soprattutto, l’amico di una vita Martin Scorsese. Proprio Scorsese contribuirà nel 1981 a fargli avere il primo Oscar della carriera, scegliendolo come interprete del Jake LaMotta in Toro scatenato: ruolo per il quale De Niro si allenò per un anno insieme al vero LaMotta, guadagnando trenta chili per scolpirsi un fisico da pugile. L’anno dopo, da camaleonte, cambia genere gettandosi nel noir ed interpretando, con Robert Duvall, L’assoluzione (la cui sceneggiatura è firmata dalla grande scrittrice americana Joan Didion) nel ruolo dell’ambizioso monsignore Desmond Pellacy. Il suo film successivo è anche la quinta collaborazione con Martin Scorsese, Re per una notte (1983), diventato nel tempo un autentico cult, tanto da venire esplicitamente omaggiato nel recente e pluripremiato Joker di Todd Philips, con un cameo di De Niro stesso. Nove anni dopo tocca a un film politico, Indiziato di reato – Gulty by Suspicion, nel quale De Niro interpreta l’integerrimo regista David Merill che resiste alle pressioni del maccartismo anticomunista. Cinque anni dopo troviamo De Niro nell’intimista e toccante La stanza di Marvin (1996), che lancerà il talento di Leonardo Di Caprio, attore che De Niro segnalerà all’amico Scorsese, contribuendo a creare un altro notevole sodalizio artistico. In anni più recenti Stanno tutti bene, del 2009, è un remake dell’omonimo film di Giuseppe Tornatore (di diciannove anni prima e con Marcello Mastroianni come protagonista), dove De Niro interpreta il pensionato Frank Goode, impegnato in un viaggio per fare visita alla sua famiglia sparsa per tutti gli Stati Uniti. Matteo Polo Ottant’anni di un grande del cinema: Robert De Niro 5, 12, 19 dicembre Videoteca Pasinetti www.comune.venezia.it


SUPERVISIONI

The Palace, Roman Polansky

Dicono che il cinema è arte, intrattenimento, talvolta educazione, ma purtroppo è anche politica e distribuzione. Parlo di The Palace di Roman Polanski. Grandi investimenti privati e scarsissimi risultati al botteghino. La domanda sul perché è legittima. Polanski è un polacco naturalizzato francese, nato da genitori ebrei internati nei campi di sterminio. Da subito regista di successo, ricordiamo qui solo Cul de sac, Orso d’Oro a Berlino nel 1966, e Per favore non mordermi sul collo con la moglie Sharon Tate. Poi il primo fattaccio, la setta di Charles Manson fa irruzione in casa sua mentre il regista è via per lavoro e uccide la moglie, all’ottavo mese di gravidanza. Nel continente europeo continuano i successi di regia, da Chinatown (1975) a Inquilino del terzo piano (1976) sino a Il pianista, Palma d’Oro a Cannes nel 2005. Nuova battuta d’arresto nel 2009: arresti domiciliari in Svizzera, su richiesta statunitense. L’attività riprende con lo stupendo Carnage (la scena finale del criceto in palese indifferenza allo scontro tra adulti è ripresa nelle ultime sequenze di The Palace, dove pinguino e cane festeggiano a modo loro, estranei alle baldorie degli umani). Dopo Quello che non so di lei (2018) un altro fattaccio, un’accusa di violenza su una tredicenne. Poi Affare Dreyfuss (2019) e ora The Palace. Non si può parlare della sua regia senza affrontare il tema del grottesco, che nel cinema è narrazione di eventi assurdi e irreali, spesso deformando aspetti della realtà, di solito per una critica di aspetti del sociale, una messa alla berlina degli stereotipi (I Mostri di Risi 1963...). Ma al di là del celato bando distributivo americano, circuito imperante nelle multisale italiane, vi sono nel film elementi più sottili che lo rendono inviso. Prima scena. Siamo alla fine del 1999, in un grande e lussuoso albergo nelle Alpi svizzere dove si trovano i ricchi di tutto il mondo. Il direttore passa in rassegna il personale riprendendo le usuali scene di guerra prima di un’azione di commando. «Ricordatevi che l’umore

con cui i nostri ospiti usciranno da questa festa, avrà influenza su milioni di persone». Poi la seconda scena, nelle cucine, allestita in stile Charlie Chaplin in Tempi moderni. Vi è tutto un riferimento preciso da Bentham a Foucault, a David Lyon, a Chapoutot sulla nostra società come cultura della sorveglianza. Ma anche all’azienda come società con radici autoritarie, al pari di esercito, prigioni, ospedali. Inizia un carosello di parodie sui luoghi comuni: caviale che viene assaggiato come fosse cocaina, russi che arrivano con trolley pieni di soldi, guardie del corpo, auto dai vetri oscurati con allegre prostitute al seguito, ambasciatori che ormai hanno fatto il proprio tempo (la notte delle dimissioni di Eltsin e la celebrazione di Putin) con moglie facile agli effetti della vodka, gli americani che vogliono tutto grande anche se inutile. Anche il sesso appare aver perso smalto, all’ormai anziano divo sex symbol Bongo (interpretato da Barbareschi, bravo e raffinato attore e regista ma inviso a parte del mondo culturale), le ragazze sorridono e dicono: «Mia nonna mi ha parlato molto di voi». Tragica la parodia del nuovo idolo dei tempi d’oggi: il chirurgo estetico (qui De Almeida), sicuramente sudamericano, che finisce per curare il cagnolino di una contessa per indigestione di caviale, e non si scontano le battute delle sue clienti: «Cara, sembri ringiovanita di dieci anni» su volti che denunciano una devastazione totale. Anche la Svizzera non fa bella figura, nei locali interrati e adibiti a cassaforte dei tempi della guerra finirà chiuso il tesoro russo. Male la Polonia, ove una semplice famiglia di campagna continua a invocare un brodo, rifiutando ostriche e aragoste; male l’Italia, dove l’idraulico frontaliere finisce tra le braccia di una contessa ultra stagionata. A tutto questo si aggiunge una voluta, ricostruita bruttezza dei volti degli attori, in realtà maschere (ricordando le maschere come comuni raffigurazioni dei defunti), riflessione sul culto della bellezza e sul declino di un modello di società. Pochi gli spettatori che non troveranno elementi per detestarlo, eppure... Loris Casadei

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cinema CINEFACTS

a cura di Marisa Santin

K-POWER L’ex Segretario di Stato statunitense Henry Kissinger, Premio Nobel per la pace nel 1973 per aver negoziato il cessate il fuoco in Vietnam, è morto il 30 novembre scorso all’età di cent’anni. Da alcuni elogiato per l’abilità diplomatica e per il pragmatismo nella gestione delle relazioni internazionali, da altri criticato per l’approccio cinico e privo di considerazioni morali, fino ad essere accusato di violazione dei diritti umani, Kissinger rimane una figura controversa e polarizzante. Forse per questo il cinema non si è ancora addentrato in biopic a lui dedicati, anche se compare come personaggio chiave in molti film che trattano degli oscuri risvolti del potere.

Gli intrighi del potere - Nixon

di Oliver Stone (1995) Il film biografico di Stone include la figura di Henry Kissinger (Paul Sorvino) in qualità di Segretario di Stato durante l’amministrazione Nixon (Anthony Hopkins), descrivendo il ruolo che ebbe nella politica estera negli anni a cavallo dello scandalo Watergate. (Infinity)

The Trials of Henry Kissinger

di Eugene Jarecki (2002) Basato sul libro del giornalista e saggista Christopher Hitchens, il documentario esplora le accuse contro Kissinger riguardo alle sue decisioni politiche e al suo coinvolgimento in vicende quali la Guerra del Vietnam e il colpo di Stato in Cile. (YouTube)

Kissinger and Nixon

di Daniel Petrie (1995) Raccontato principalmente dal punto di vista di Kissinger (Ron Silver), il film esplora il ruolo che il Segretario di Stato ebbe nelle azioni diplomatiche che portarono al ritiro degli Stati Uniti dalla Guerra del Vietnam e agli accordi di pace di Parigi. (YouTube)

Salvador Allende

di Patricio Guzmán (2005) Il documentario parte dal ricordo di quell’11 settembre del 1973 in cui gli Stati Uniti favorirono il colpo di Stato in Cile. Kissinger ebbe un ruolo determinante nel convincere Nixon a sostenere il golpe che fece crollare il sogno di un paese pacifico e democratico, con l’eliminazione dell’allora presidente Allende. (IWonderfull)

Golda

di Guy Nattiv (2023) Presentato quest’anno al Festival di Berlino, il film è incentrato sulla figura di Golda Meir (Helen Mirren) durante il periodo della Guerra del Kippur e rende conto del controverso rapporto del Primo Ministro israeliano con Kissinger (Liev Schreiber). Uscito nelle sale italiane lo scorso agosto, il film sarà prossimamente in streaming sulle principali piattaforme.

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STEP INTO HISTORY ENTRA NELLA STORIA M9 – Museo del ’900 | Venezia Mestre Una casa aperta alle comunità, dove la storia aiuta a leggere il presente e offre strumenti per entrare nel futuro. A house open to communities, where history helps read the present and offers tools to step into the future.

m9museum.it IG/FB/TW @m9museum 141


UN SECOLO PER CINQUE LUNGHI ANNI M9 è una casa aperta, solida nelle sue fondamenta e, allo stesso tempo, da continuare a costruire e abitare assieme Luca Molinari di Fabio Marzari

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l primo dicembre 2023, M9 festeggia i suoi primi cinque anni di vita, offrendo a tutti gli amici un ricco fine settimana, nei giorni 2 e 3 dicembre, con mostre, visite guidate, musica, laboratori, proiezioni, dj-set. Non è stato un lustro facile, incluso un biennio segnato dalla pandemia, per il nuovo Museo in una città dormitorio, Mestre, senza un’anima culturale e alla ricerca da tempo di una propria identità. Eppure M9 con tenacia, caparbietà e autorevolezza ha saputo affrontare un percorso in salita che avrebbe fiaccato anche un prode stambecco, riuscendo ad imporsi indubitabilmente anche a livello nazionale come protagonista nella narrazione della storia del Novecento. Con grande flessibilità e apertura mentale i progetti di M9 hanno saputo spaziare nel campo dei temi del presente, con un parterre di ospiti e di iniziative che hanno calamitato l’attenzione di un pubblico sempre più affezionato e numeroso. Un landmark per l’intero territorio, da cui è partito un profondo processo di rinnovamento dell’intera città, che da periferia diffusa e anonima della blasonatissima Venezia è divenuta grazie all’energia “pulita” di M9 un centro capace di produrre in autonomia cultura e aggregazione sociale, aprendo l’offerta non solo culturale a gruppi di popolazione di differenti fasce anagrafiche. Da cattedrale, assai affascinante e innovativa firmata da Sauerbruch Hutton Architects, nel metaforico deserto di una città incolore, M9 è divenuto un policromo conteni-

tore di propulsioni positive, capaci di scatenare reazioni a catena in grado di risvegliare stabilmente dal torpore una Terraferma che viveva del complesso di inferiorità con la città Madre. Il successo della bellissima mostra Rivoluzione Vedova, prorogata fino al prossimo 7 gennaio, ne è un esempio. Cinque anni sono pochi per la vita di un individuo, per un Museo rappresentano addirittura un piccolo attimo, ma la strada intrapresa è quella di un’impresa destinata al successo, con un allargamento anche fisico degli spazi di M9 verso la città. Un Museo destinato sempre più a fare da traino per un intero centro urbano, fino, forse a divenire esso stesso il centro propulsore di un intero territorio. Una grande piazza, sempre più rintracciabile anche con lo sguardo, non più ingabbiata tra edifici dismessi o in via di dismissione, ma aperta e ben visibile anche da lontano, un’agorà in cui incontrarsi, discutere, trascorrere del tempo, leggere, mangiare e giocare sempre più presente nella definizione urbanistica e architettonica di una città che lentamente, ma inesorabilmente, sta trovando un equilibrio e una rinascita. M9 è stato il motore primo di un cambiamento, una scommessa ardua, un po’ folle che ha preso le mosse dal Novecento per guardare al futuro, che già oggi ha grandi ambiti di concretezza. Buon compleanno M9, ad multos annos! Buon Compleanno M9! 2, 3 dicembre M9 – Museo del ‘900-Mestre www.m9museum.it


INFOXICATION I dati sul consumo e sulla generazione di informazioni non ci sorprendono: mentre ogni secondo vede 6.000 nuovi tweet, 740.741 messaggi WhatsApp inviati e 694 post Instagram pubblicati, nuovi rapporti ci dicono che la capacità di attenzione dell’uomo si accorcia ogni anno (attualmente è di 8 secondi). Abbiamo più informazioni che mai, informazioni che crescono a un ritmo senza precedenti, e abbiamo perso la nostra capacità di concentrazione, attenzione e analisi. Da qui nasce un’ansia che si traduce in apatia e inazione. Nell’era dell’infossicazione, in cui i dati e le informazioni disponibili si trasformano in una luce eccessiva, finiamo per non vedere più i contorni del mondo che ci circonda e per vivere come accecati dai dati. M9 inaugura al primo piano del Museo un nuovo spazio multimediale: Infoxication, un percorso esperienziale progettato dallo studio Domestic Data Streamers di Barcellona, in co-produzione con il Disseny Hub (Museo del Design) della capitale catalana in occasione del Festival LLum BCN 2022. Per la prima volta in Italia, la mostra, specificatamente rimodulata per M9, intende far riflettere i visitatori sulla tossicità dell’eccesso di informazioni di cui disponiamo ogni giorno, sull’impatto che le continue notifiche di mail e messaggi da leggere producono sulla nostra capacità di attenzione, sull’ansia generata dalle infinite quantità di finestre aperte contemporaneamente sui nostri schermi. Il futuro in cui vogliamo vivere dipende interamente dai passi che compiamo oggi per plasmarlo. Infoxication, in questo senso, è molto più di un’esperienza immersiva, è l’inizio di un dialogo importante che deve avvenire alla ricerca di un domani migliore e più umano. INFOXICATION. Accecati dai dati Dal 2 dicembre M9 – Museo del ‘900-Mestre www.m9museum.it Photo Alessandra Chemollo

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GIOVANNI MONTANARO COME UNA SIRENA

L’uomo che voleva essere una favola Intervista Giovanni Montanaro di Elisabetta Gardin Una storia sorprendente, che non ti aspetti. Una storia avvincente, unica, ambientata nell’Ottocento ma assolutamente contemporanea. È Come una sirena, il nuovo lavoro di Giovanni Montanaro edito da Feltrinelli, un libro caratterizzato da una scrittura pulita, oserei dire perfetta. Ancora una volta Montanaro sa raccontare le sue storie con la consueta chiarezza, frutto di un profondo lavoro, di una grande precisione, che infonde alla sua narrazione quell’apparente semplicità che solo i veri scrittori hanno in dote. Narra le vicende avventurose della giovinezza di Hans Christian Andersen e in particolare ci racconta la nascita de La Sirenetta, una delle favole più note dello scrittore e poeta danese, autore peraltro di altre indimenticabili fiabe come La principessa sul pisello, I vestiti nuovi dell’imperatore, Il soldatino di stagno, Il brutto anatroccolo, La regina delle nevi e La piccola fiammiferaia. Andersen nasce ad Odense, in una famiglia povera in cui non manca l’amore. Tuttavia la guerra porta la miseria e rende aridi i cuori, infrange i sogni del padre ciabattino, la madre diventa alcolizzata. Alla morte del padre, diventato pazzo, la madre si risposa e Hans appena adolescente se ne va di casa sognando il teatro, come quel giocattolo che da bambino il padre aveva costruito per lui, e finalmente arriva in una Copenaghen «furente e tenebrosa, enorme, rumorosa». Ha grandi aspettative, ma la sua carriera nel mondo dello spettacolo viene subito stroncata. Prende lezioni di canto, di danza, di recitazione senza alcun risultato significativo, ritrovandosi in una classe di bambini mentre è già un ragazzo. È povero, però frequenta i salotti buoni, gode del favore e dell’amicizia delle più illustri famiglie, entra persino nelle grazie del Re, finché comincia a scrivere – «se scriveva stava bene» – e diventa uno dei più grandi autori del suo tempo. Il romanzo ci offre un’acuta riflessione sull’idea, sul percorso quasi mai lineare del talento. Andersen arriva al successo, conquista la fama mondiale solo dopo aver sbattuto la testa contro tanti fallimenti e delusioni, conseguendolo alla fine grazie alla sua enorme determinazione. Lui, adolescente bullizzato, spesso sopra le righe, inopportuno, alto, sgraziato, con una voce femminile, piedi enormi, abiti sgargianti, eccentrici, ha la percezione di non essere come gli altri. Da ragazzo soffre enormemente di questa sua condizione “altra”, mentre da adulto «si compiaceva della propria stravaganza», pur non perdendo mai le speranze e quella sua determinazione indefessa, che oggi è sempre più merce rara in una società dominata dalla fretta, dal tutto e subito, senza sforzi e fatica. Da un lato, quindi, questo suo essere risoluto, ostinato nel voler raggiungere il successo, dall’altro un’esistenza segnata dall’indecisione,

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da una sorta di eterna adolescenza che lo porta all’incapacità di scegliere un’identità anche sessuale e che, con profondo dolore, lo farà fuggire tutta la vita da un vero legame, sentimentale e carnale. Andersen attraverso le favole riesce a comunicare ciò che nella vita reale non sarebbe riuscito a dire: la paura, le emozioni, gli amori mai vissuti per ragazzi e ragazze, soprattutto per Edvard Collin, il figlio del suo protettore. L’amore è dunque un’altra componente fondamentale del libro, le contraddizioni dell’amore, l’impossibilità di esternare i propri sentimenti, la paura, le limitazioni imposte dalla società. Andersen fa dire alla sirenetta: «non ci si può fidare dell’amore: l’amore acceca, inganna, ci induce in errore… e poi finisce». Andersen è dunque la sirenetta che prova disperatamente ad amare; la bruciante delusione d’amore che lei prova quando il principe si sposa è la stessa che spacca il cuore dello scrittore quando Edvard decide di prendere moglie. Giovanni Montanaro è nato e vive a Venezia, ha studiato Giurisprudenza all’Università degli Studi di Padova, esercita la professione di avvocato. Ha pubblicato il suo primo romanzo, La croce Honninfjord, nel 2007 con Marsilio Editori, grazie al quale ha poi vinto il Vittorini Opera Prima; a questo romanzo sono seguiti Le conseguenze (Marsilio, 2009), Tutti i colori del mondo (Feltrinelli, 2012), Tommaso sa le stelle (Feltrinelli, 2014), Guardami negli occhi (Feltrinelli, 2017), Le ultime lezioni (2019) e Il libraio di Venezia (2020), che è anche un audiolibro letto dall’attrice Ottavia Piccolo per il Libro Parlato. Ha scritto per il teatro e collabora con riviste e quotidiani, soprattutto con il «Corriere della Sera». Chi è per lei Hans Christian Andersen? Fino a qualche anno fa era solo l’autore di alcune delle fiabe che leggevo da bambino e che già all’epoca mi sembravano diverse da tutte le altre. Più profonde, più speciali. Non c’è paragone tra la Sirenetta e Cappuccetto Rosso, per dire. Ma Andersen col tempo è diventato per me anche qualcosa d’altro. Un uomo, innanzitutto. Con un destino incredibile.


Hans Christian Andersen è davvero forse il più grande outsider della storia della letteratura

Cosa l’ha portata a scrivere questa storia? Come si è documentato e che ricerche ha dovuto fare? La scintilla si è accesa leggendo un articolo di una rivista inglese in cui si raccontava come Andersen avesse cominciato a scrivere le fiabe per raccontare innanzitutto sé stesso. In particolare La Sirenetta era stato il suo modo di raccontare un amore non corrisposto, che non riusciva a vivere fino in fondo, che provava per un ragazzo come lui, molto diverso da lui. Da lì ho letto tutto quello che Andersen ha scritto, romanzi, diari, lettere, poesie. È stato un lavoro lungo, faticoso e avvincente, durato quasi otto anni. Finché a un certo punto è brillata una seconda scintilla, ossia la decisione di scriverlo alternando prima e terza persona. In Come una sirena lei affronta temi profondi e senza tempo, quali la difficoltà di amare, di capire noi stessi, di decidere, di sentirsi diversi: quanto c’è di personale in tutto questo? Si è mai sentito una sirena? Devo dire che ognuno di noi approccia Andersen sentendosi molto distante. È il classico irregolare. La mia vita mi sembra diversissima dalla sua: non ho mai pensato a me stesso, francamente, come a una sirena. Ma poi la verità è che ci sono alcune pulsioni umane che ti avvicinano inevitabilmente a un autore così complesso e travagliato. Penso magari ai brufoli dell’adolescenza, o al sentirsi rifiutati, al non sentirsi all’altezza insomma, o al fatto che una persona che ami scelga di stare con qualcun altro. Sono sentimenti che probabilmente tutti intercettiamo in qualche momento della vita. Il suo romanzo è anche una riflessione sul talento. Lei come ha scoperto di esserne dotato, come l’ha coltivato e quali consigli può dare a riguardo ai giovani scrittori? La vita di Andersen fa capire che è solo con la tenacia, con la consapevolezza, con la capacità di adattarsi, di cambiare, di inventarsi e reinventarsi che si ottiene quel che si desidera. Andersen ce l’ha fatta, contro ogni pronostico. È davvero forse il più grande outsider della storia della letteratura.

«Il re è nudo». Oggi l’immagine sembra più che mai attuale. Quante cose ci ha detto Andersen... È anche il padre di Frozen, per dire. «Il re è nudo» è una frase molto forte, che dà il peso di quanto dobbiamo stare attenti al potere, alla falsità intrinseca del potere, ma anche alle fake news, ai cattivi consiglieri, alle illusioni. La vita ad Andersen ha consentito di conoscere tutto, in un arco di assoluti estremi che vanno dalla più fonda povertà alla frequentazione di una casa reale. Nelle sue fiabe c’è tutto e tutto profuma di autenticità, perché tutto è stato vissuto in prima persona. È per questo che è così credibile. Da piccolo amava le favole? La sua preferita? Senza dubbio Il brutto anatroccolo. Perché è quella che più ti interroga e perché finisce bene. E’ chiaro che ora, dopo questo lungo viaggio, sia molto legato anche alla Sirenetta. Molti suoi colleghi hanno successo con i podcast, vedi, tra i tanti, Carlo Lucarelli ad esempio. Per certi versi può considerarsi un ritorno alla tradizione orale. Lei si è già cimentato con questo strumento? Ha qualche progetto in proposito? Credo che raccontare sia un’avventura umana che si può fare in mille forme. Ho fatto podcast, sì, facevo per «Vogue» le vite dei grandi stilisti, perché mi piace raccontare. Ma nulla e nessuno mi può togliere il piacere di fissare una parola sulla carta o sullo schermo di un computer. È un movimento che ha a che fare con il fissarsi, il riconoscersi, il fare. Non c’è niente come la scrittura. Perché poi la ritrovi, la rileggi, è onnipotente, infinita. Siamo in clima natalizio mentre infuriano due guerre cruentissime al cospetto delle quali la politica internazionale è davvero, e a dir poco, preoccupante nel suo sostanziale immobilismo. In questo panorama dolente e desolante cosa si augura per il Natale? Qual è il suo ricordo più bello legato a questa festa? Il più bel ricordo sono i natali da bambino, in una famiglia molto grande. Nonni che non ci sono più, parenti, cugini. Ancora ci troviamo, ma col tempo è diverso. I primi natali sono sempre quelli che ti segnano. Cosa mi auguro per il futuro? Che gli uomini diventino meno imbecilli. Dalle guerre senza senso al modo in cui ancora certi uomini trattano le donne, sembra che siamo sempre fermi dentro la morsa della barbarie.

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etcc... MATTEO STRUKUL MARIANNA

La sventura della felicità Intervista Matteo Strukul di Elisabetta Gardin È da poco nelle librerie, edito da Nord-Sud, l’ultimo avvincente romanzo di Matteo Strukul Marianna. Io sono la Monaca di Monza, una storia dai toni appassionati che si legge tutta d’un fiato grazie alla meticolosa ricostruzione storica e alla scrittura fluida, curatissima, caratterizzata da atmosfere dark, tinte fosche e inquietanti che ci trasportano in un Seicento cupo, intriso di rosso sangue. Atmosfere che all’autore sono state ispirate da scrittori come Edgar Allan Poe, Melville e soprattutto da Nathaniel Hawthorne, in particolare dal suo capolavoro La lettera scarlatta. La vicenda di Marianna Virginia de Leyva, la Monaca di Monza, è nota a tutti per l’immortale ritratto delineato da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi. Nella scabrosa vicenda pubblicata da Strukul tutto è vero, tutto è meticolosamente documentato; la protagonista narra in prima persona, come in una confessione, la sua storia. Il libro si apre con Marianna, la monaca Virginia Maria dell’Ordine delle Umiliate di San Benedetto, rinchiusa in carcere, murata viva; «cinque braccia per tre» ripete a sé stessa per non impazzire e forse, al tempo stesso, per non dimenticare mai le terribili colpe di cui si è macchiata. Il suo è un calvario fatto di buio, topi, pulci, solitudine estrema, sta scontando la sua pena per i delitti di cui si è resa complice, tormentata dai ricordi. È una donna bellissima e sensuale, figlia del Conte Martin de Leyva y de La Cueva-Cabrera, feudataria di Monza, costretta da un padre assente a diventare novizia a tredici anni, che così facendo, avrebbe evitato la dispersione del proprio patrimonio, magari attraverso un conferimento di dote. Suor Virginia Maria de Leyva pronuncia i voti nel 1591, fa da maestra alle giovani educande, si sente forte per la sua posizione sociale, per la sua famiglia potente, ma arriveranno terribili cambiamenti. Tutto ha inizio il giorno in cui vede Gian Paolo Osio, affascinante rampollo di una famiglia molto potente e temuta, che abita a due passi dal convento. Fin dal primo momento che lo incrocia le provoca inquietudine; da quando posa lo sguardo su quel bel giovane viene travolta in un vortice di sentimenti da cui sarà impossibile uscire. Una passione bruciante, devastante, che non lascia spazio a nient’altro, annullando razionalità, pudori, convenzioni sociali. Si trasformerà ben presto, insomma, in un’ossessione che non le offrirà scampo alcuno: arriveranno i sensi di colpa, il tormento interiore, l’autopunizione, mortificando le proprie carni, fustigandosi, temendo di essere posseduta dal demonio. Gian Paolo Osio la trascinerà in efferatezze di ogni tipo: soprusi, matteostrukul.com

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© Marco Bergamaschi

omicidi, violenze, lussuria. Seguendo il suo amore malato e devastante, ucciderà Giuseppe Molteno, amministratore dei molti beni della monaca; in seguito commetterà altri due omicidi, uccidendo una novizia e lo speziale. Da allora non si fermerà più, togliendo di mezzo chiunque osi frapporsi al loro diabolico legame. Infrangerà le leggi umane e divine, si macchierà dei peccati più gravi. Da questa passione irrefrenabile Marianna partorirà un bambino nato morto e, più avanti, una bambina, Alma, che non rivedrà più perché affidata da Gian Paolo a una famiglia che se ne prenderà cura. A lei non rimarrà che ripensarla durante la prigionia, consumandosi nel proprio tormento. Alla fine saremo certo colpiti dall’orrore di tanta lucida spietatezza, da così tanti delitti, ma proveremo anche pietà per questa donna che in fondo non ha mai conosciuto l’amore vero. Matteo Strukul è nato a Padova nel 1973. Laureato in Giurisprudenza, dottore di ricerca in Diritto Europeo e membro della Historical Novel Society, ha esordito nella narrativa nel 2011 con La ballata di Mila, primo romanzo della fortunata trilogia pulp proseguita con Regina nera. La giustizia di Mila e Cucciolo d’uomo. La promessa di Mila. Da lì in poi è stato un susseguirsi incalzante e avvincente di romanzi, tra cui La giostra dei fiori spezzati, I Cavalieri del Nord e la quadrilogia sui Medici, grazie alla quale si è imposto nel panorama letterario internazionale. Tra le sue opere successive occorre citare Giacomo Casanova. La sonata dei cuori infranti, Inquisizione Michelangelo, Le sette dinastie, La corona del potere, Dante enigma, Storia di Mila, Il fuoco di Pandora, Il cimitero di Venezia, Tre insoliti delitti, Il ponte dei delitti di Venezia. Per i 400 anni del Teatro Goldoni di Venezia ha pubblicato Carlo Goldoni e la maledizione di Ircana. Cosa l’ha affascinata di questa figura tanto da dedicarle un libro? E in che cosa si differenzia dal ritratto indimenticabile che ne fece Manzoni ne I Promessi Sposi? Gertrude è nei Promessi Sposi il personaggio letterario che incarna Marianna de Leyva. Manzoni però tace l’intera sua storia, una volta monacata. Al punto che la sua fosca passione, vissuta con Gian Paolo Osio, ci viene solo suggerita attraverso una delle più riuscite ellissi della storia della letteratura: La sventurata rispose. Intuiamo


Mi dedicai alla preghiera. Anche se non riuscivo a concentrarmi. Il volto di Gian Paolo Osio mi tormentava. Quel sorriso sfacciato, quegli occhi di fiamma. Le sue offese come coltelli nel petto che qualcosa di terribile e straordinario sia avvenuto, ma non ne abbiamo contezza. Questo romanzo, invece, racconta proprio ciò che quelle tre parole contengono. Da sempre il personaggio di Marianna esercita su di me un fascino cupo e irresistibile e, in occasione dei 150 anni della morte di Alessandro Manzoni, ho capito che era giunto il momento di far conoscere la sua sanguinosa vicenda. Cosa c’è di contemporaneo in questa figura femminile? Il suo desiderio di libertà, di volontà di autodeterminazione, la sua capacità di conquista e gestione del potere, la sua forza di carattere, ma allo stesso tempo un malinteso concetto di passione che diviene ossessione e la conduce alla rovina. Trovo drammaticamente contemporaneo anche il tema della sopraffazione maschile ai danni delle donne. In questo senso Marianna fu vittima due volte all’inizio della propria vicenda: del padre che la obbligò a monacarsi e della superiora che le proibì di denunciare Gian Paolo Osio, reo di assassinio d’un servo dei de Leyva, temendo lo scandalo. Forse se quella denuncia fosse stata portata fino in fondo, la storia di Marianna sarebbe stata diversa. Vero è che con il ritiro delle accuse verso Osio, ella si sarebbe poi trasformata in carnefice anche per spirito di rivincita e vendetta nei confronti della superiora del convento, colpevole – ai suoi occhi – di ipocrisia e falsità.

vicino è Canaletto, protagonista de Il cimitero di Venezia e Il ponte dei delitti di Venezia. Non direi che mi identifico in lui, tuttavia è pur sempre vero che coinvolgendolo obtorto collo in tenebrosi affari ne faccio emergere, credo, l’aspetto umano, le fragilità, le inadeguatezze e al contempo il coraggio, l’amore per l’arte, la pittura vissuta come ragione di vita. Canaletto è stato uno dei più grandi artisti della storia e trasformarlo in investigatore sarebbe stata una forzatura. Scaraventarlo invece sulla scena di un delitto, per esservi invischiato suo malgrado, lo ha reso ai miei occhi molto più vicino. È completamente inadeguato ad affrontare una situazione del genere e l’inadeguatezza è una sensazione che conosco; allo stesso tempo Canaletto vive l’arte come salvezza, porto sicuro, rifugio alle offese della vita e per me vale lo stesso. Poi vive una grande storia d’amore che ho inventato ma che ritengo plausibile. Insomma, in Giovanni Antonio Canal, per come l’ho raccontato, ritrovo molti dei miei difetti ma anche qualcuno dei miei pregi.

Lei è autore di bestseller tradotti in più di 40 Paesi. Per questo romanzo ha già qualche richiesta dall’estero? Ritiene che potrà realizzarsi una riduzione cinematografica o teatrale del romanzo così come è già avvenuto per il suo Casanova ripreso dal fortunatissimo musical di Red Canzian? Al momento è presto per stabilire se ci saranno traduzioni o riduzioni cinematografiche o teatrali. Diciamo che il romanzo è subito entrato in classifica e questo lascia intuire che possano sussistere concrete possibilità per sviluppi futuri.

Lei è Direttore artistico dell’Associazione Sugarpulp, vera fucina di autori, con la quale pubblicate un magazine e organizzate eventi culturali. Cosa state progettando per il prossimo futuro? A dicembre organizziamo 800 Padova Festival, che si tiene dal 7 al 10 al Caffè Pedrocchi. Dedichiamo questa edizione ad Alessandro Manzoni in occasione del centocinquantenario della sua morte. Ci è parso che sia stata data poca attenzione quest’anno a un’occasione tanto importante ed è nostra volontà porre rimedio. Nella primavera del 2024, a Piove di Sacco, sarà la volta della decima edizione di Chronicae, il Festival Internazionale del Romanzo Storico, l’unico in Italia. Curioso, per un Paese che può vantare – proprio in Alessandro Manzoni – il padre del romanzo storico mondiale.

Nei suoi romanzi ha saputo delineare magistralmente grandi personaggi storici che appartengono all’immaginario collettivo. Chi tra tutti questi è il suo preferito? Si è mai identificato in qualcuno di loro? Fra i personaggi storici che ho raccontato forse quello che sento più

Come sarà il suo Natale? Ha qualche rito che ripete ogni anno? Spero di trascorrerlo in serenità e pace, con mia moglie Silvia. Prima della pandemia festeggiavamo il Natale quasi sempre a Berlino. Auspico di tornare a questa bella abitudine d’un tempo.

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etcc...

GIORNO DELLA MEMORIA 27 GENNAIO

PAROLE a cura di Renato Jona

MEMORIA: N Dall’articolo 1: «La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati» Dall’articolo 2: «In occasione del “Giorno della Memoria” sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione» Legge 20 luglio 2000, n. 211 148

el gennaio 2023 l’Ateneo Veneto ha presentato un libro molto interessante e importante del noto giornalista Aldo Cazzullo. Il titolo del libro è assai stimolante: Mussolini il Capobanda – Perché dovremmo vergognarci del fascismo. Già l’uso del condizionale dà l’occasione all’Autore di approfondire e discutere un tema fondamentale, certamente controverso, che troppo spesso vediamo trattato in modo frammentario, non organico, parziale o semplicemente superficiale. Cazzullo, giornalista brillante, serio, dalle idee chiare e dai ragionamenti elementari e logici, dotato di una penna facile, mai ambigua, usa sempre una prosa piana, molto comprensibile. Anche questa volta ci ha offerto un’analisi ineccepibile di un tema sempre più delicato, mano a mano che ci si allontana dagli avvenimenti (che taluno tende, forse perché interessato, a rendere controverso). Dalle osservazioni enunciate da vari oratori presenti, molto valenti, è emersa questa osservazione, a tutta prima inaspettata: «Con il fascismo abbiamo fatti i conti!». Viceversa, è stato subito aggiunto: «Non li abbiamo fatti con il fatto di essere stati fascisti e di averlo pure esportato!». Questa riflessione iniziale, molto chiara, che in effetti colpisce, ha stimolato vari approfondimenti. Uno di questi, semplice, mi è parso interessante e fondamentale per interpretare un modo di sentire oggi assai diffuso: fino al 1938 la sensazione, che è stata tramandata, è che il fascismo avesse voluto innovare e in questo ambito abbia fatto “anche cose buone”, poi sia incappato in due “incidenti di percorso”: le leggi razziali e l’alleanza con i nazisti. Questo modo singolare e auto-assolutorio di impostare la storia dell’epoca, raccontandola in questo modo “astigmatico”, direbbe un ottico, è assolutamente sbagliato, falso e scorretto; tuttavia, in effetti, non è raro incontrarlo in molti enunciati, in svariati scritti di un certo numero di persone (politicamente interessate?) e anche nel modo di sentire di certe persone superficiali, che si fidano del “sentito dire”, senza approfondire, senza risalire ai fatti come realmente sono accaduti. «Il fascismo non ritornerà», ha osservato molto acutamente la Presidente dell’Ateneo, Antonella Magaraggia, introducendo l’argomento e stimolando le interessanti discussioni che ne sono seguite, proseguendo: «ma ogni qualvolta la libertà, l’uguaglianza, la democrazia e i diritti civili vengono negati o anche soltanto messi in discussione, non significa che il fascismo stia ritornando, ma significa che le idee che il fascismo sostenne e impose con la forza non sono morte e noi dobbiamo combatterle!». È perciò indispensabile non dimenticare!


Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario Primo Levi

IMPORLA? E qui la successiva parte dei ragionamenti fatti in quella circostanza, ha portato avanti l’argomento. È stato notato, cosa molto grave, che la storia del Novecento nelle scuole superiori non è stata affrontata adeguatamente. Bisogna prendere praticamente atto che i giovani, non per colpa loro, non possono ricordare ciò che non hanno vissuto direttamente o conosciuto per averlo studiato seriamente. Non è stato loro insegnato in modo organico durante il percorso degli studi. Qualcuno, veramente preoccupato, ha anche suggerito che bisogna imporre la memoria alle nuove generazioni (e, dalla fine del fascismo a oggi, teniamone conto, se ne annoverano più di una!). Esistono poi anche, non scordiamolo, professionisti di comodo per creare una nuova storia al posto di quella realmente accaduta. In questa sede mi limito a ricordare il fenomeno, ma non desidero parlarne. Facendo qualche passo indietro, dobbiamo rilevare che negli ultimi decenni del secolo scorso, questo disagio, questo “vuoto culturale” veniva avvertito e sofferto in maniera sempre più pressante. Soltanto per fare un esempio, mi è caro ricordare quanto ha scritto Piero dello Strologo, persona di grande intelligenza, sensibilità e cultura, nel novembre del 1993, in occasione del cinquantennale della deportazione degli Ebrei genovesi: «Con il tempo la memoria diventa storia, la storia diventa sempre più asettica e la memoria sempre più dolorosa. Ma è anche il tempo in cui questa identità, in passato sofferta e tradita, spesso offesa, reclami partecipazione e offra a tutti la sua concezione etica della vita». Questa è una tra le tante segnalazioni allo Stato di un’esigenza morale e pratica di provvedere a stimolare e regolare la necessità della Memoria. E finalmente, all’inizio del XXI secolo il legislatore ha recepito la pressante esigenza di ricordare il vergognoso passato italiano, “l’incidente di percorso” delle leggi razziali: oggi se ne ricorda il nome, ma non tutti sarebbero in grado di inquadrarne il vero significato, né il vergognoso sviluppo. Non conoscono l’abbietta progressione del disprezzo e dei divieti. Sono iniziate isolando gli ebrei italiani, hanno fatto leva sull’argomento della razza inferiore stabilita per legge, dopo una battente campagna denigratoria e preparatoria, progressivamente li hanno privati di ogni diritto; le leggi hanno impedito loro di esercitare professioni, mestieri, impieghi, di frequentare scuole e via via le restrizioni diventavano sempre più intense e capillari, estendendo i divieti ai diritti minimi, essenziali per ogni cittadino. Le condizioni di vita erano diventate impossibili. Nel 1943 lo Stato addirittura li ha considerati nemici della patria, quindi passibili di arresto, internamento e addirittura di morte. E assieme alle leggi progressivamente restrittive sono state emanate circolari applicative feroci, nei confronti di questi cittadini, rei soltanto di essere nati ebrei.

Non va dimenticato che analogo trattamento mirava a colpire anche tutti coloro che si sono opposti al progetto di sterminio, dando coraggiosamente rifugio agli ebrei. Inoltre va ricordato che anche 800.000 soldati italiani furono deportati nei campi di concentramento e di loro, ben eroicamente 600.000 rifiutarono dignitosamente una condizione di vita più umana, pur di non collaborare con i nazisti, alleati del fascismo. Anche oltre 2000 Carabinieri subirono analogo trattamento per restare fedeli al loro codice d’onore. La Legge che finalmente lo Stato Italiano ha emanato nel luglio del 2000 (n. 211), detta “Legge della Memoria”, è costituita da un testo breve ed efficace: consiste in 2 soli articoli, chiari, semplici, che richiedono momenti di seria riflessione, di narrazione dei fatti, soprattutto da effettuare nelle scuole (di ogni ordine e grado), con il duplice scopo di conservare la memoria di quanto è accaduto nella storia italiana e di evitare che simili ingiustizie e vergogne abbiano la possibilità di ripetersi in futuro, che simili tradimenti statali non possano trovare mai più spazio. “Mai più”, conclude il testo di legge. Ma per applicare la legge non ci si deve limitare a ricordare, occorre agire, occorre che le persone anziane, ancora vive, sentano l’obbligo di raccontare, di far conoscere gli eventi, di trasmettere le loro esperienze. Non solo, occorre che facciano percepire l’atmosfera che si respirava sotto il regime fascista, considerata oggi inimmaginabile e assurda. D’altro canto i giovani devono interessarsi, prendere coscienza che è loro diritto sapere, informarsi e non devono adagiarsi sulle distrazioni più invitanti che l’attuale vita offre. Aldo Cazzullo, durante la presentazione del libro, ha fatto osservare che tra lo straripante pubblico accorso ad ascoltare la presentazione del suo libro, non era presente alcun studente. Forse, perciò, l’affermazione, suggerita, che è necessario “imporre” la memoria di ciò che è stato dal 1938 al 1945, sotto gli occhi di tutti, di tanti indifferenti, non è erronea, non è fuori luogo, va utilizzata nelle giuste forme. È uno sforzo che dobbiamo compiere tutti. Altrimenti la parola della legge resterà lettera morta, rimarrà soltanto una buona intenzione, un pio desiderio. Non abbiamo molto tempo davanti. Non lasciamoci distrarre da cose meno importanti e più attraenti del dovere. La memoria non deve essere un ricordo lontano, flebile, ma un’azione attenta, dinamica che si muove e va verso il futuro. E non dimentichiamo che il capitolo non è mai chiuso. Come ci ha ammonito Primo Levi: «È accaduto, quindi può accadere di nuovo!».

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FARE CAPPOTTO di Fabio Marzari

menu

I

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l loden verde è un cappotto che quasi tutti abbiamo usato o ancora utilizziamo regolarmente in inverno, per alcuni un vero e proprio segnale distintivo, due esempi per tutti: Massimo Cacciari e Mario Monti. Di origine povera e medievale, il tessuto grezzo loden veniva infeltrito e garzato per renderlo impermeabile e allo stesso tempo morbido, ma certamente non tinto. Via libera quindi alle sfumature che la lana delle pecore tirolesi permetteva: dal grigio chiaro a quello più scuro. Sarà solo nel XIX secolo che il cappotto diventerà “di moda”, dopo che la fabbrica Moessmer confezionerà un Loden bianco per l’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria, che lo rese tessuto d’elezione per le battute di caccia della nobiltà austro-ungarica: da qui il colore verdone, che permetteva di mimetizzarsi nella vegetazione. Come avrebbe detto qualcuno: “che c’azzecca” con la rubrica menù il loden? Siamo nei pressi di Brunico, al centro di un vasto parco storico dell’ex villa padronale della fabbrica di tessuti Moessmer, è qui che Norbert Niederkofler ha aperto il ristorante Atelier Moessmer, conquistando le 3 stelle Michelin a pochi mesi dall’apertura. In questo locale l’idea che accompagna Niederkofler da sempre – Cook the Mountain, una cucina di montagna consapevole, etica e sostenibile, realizzata con ingredienti di filiera derivati dal lavoro di allevatori, produttori e agricoltori rispettosi dei cicli naturali delle stagioni –, trova la sua espressione più alta. In tempi non sospetti e con grande lungimiranza, Niederkofler ha destrutturato l’archetipo dell’alta cucina sostituendo gli ingredienti esotici e costosi, con materie prime autoctone, spesso sottovalutate e sicuramente a basso impatto ambientale: «Oggi più che mai il costo del cibo ha raggiunto cifre da capogiro e dunque cucinare con prodotti di lusso, è sempre meno sostenibile. Da molti anni a questa parte la mia idea di cucina ha raso al suolo la concezione classica del fine dining, proponendo invece una filosofia incentrata su materie prime locali, valorizzazione della biodiversità, salvaguardia degli ecosistemi. A livello gastronomico questa è la strada del futuro...». Quaranta i posti disponibili all’Atelier Moessmer, una sala aperitivi all’ingresso e una biblioteca con un grande tavolo per le cene esclusive. Poi, una serra che ospita l’open kitchen, con posto per dodici commensali e, nel seminterrato, la cantina walk-in.

Rimanendo sempre in montagna, a Cortina, con una offerta gastronomica assai variegata e sibaritica, come si conviene a una località in cui la sobrietà dei villeggianti, specie durante le vacanze di fine anno, non è pratica diffusa, ci sono almeno un paio di locali che meritano una convinta approvazione: SanBrite e Alajmo Cortina. Per entrambi vale il principio di una autentica e raffinata semplicità nel saper offrire al meglio i sapori della montagna, con l’aggiunta di un incomparabile panorama dolomitico per prolungare con lo sguardo le piacevoli sensazioni offerte dalla tavola. SanBrite: malga sana, nomina sunt consequentia rerum, il nome stesso introduce alla qualità della sua cucina. Lo chef-patron Riccardo Gaspari attinge a piene mani dalle proprie produzioni e dal territorio; prelibatezze dove il ricordo e le tradizioni montane vengono rinfrescati con tocchi moderni, come per la parte finale e dolce del pasto con squisiti dessert realizzati senza l’aggiunta di ulteriori zuccheri. Una nota a parte merita la montagna di cremosissimo burro servito con un altrettanto fantasmagorico pane per iniziare al meglio. Nel fienile ai piedi delle Tofane, con vista privilegiata sulla conca ampezzana, dove è nato il mito dell’El Toulà, Alajmo Cortina è puro paesaggio montano con la formula unica e inimitabile della Famiglia ad accompagnare ogni momento. La declinazione del menu, i piatti e tutti gli abbinamenti sono concepiti e curati da Massimiliano Alajmo, coadiuvato dallo chef Mattia Barni, a cui è stata affidata la conduzione della cucina del ristorante. All’interno, un confortevole salotto adibito a zona bar accoglie gli ospiti prima di accedere ai due piani dedicati alle sale da pranzo. La ristrutturazione è stata considerevole soprattutto nel recupero del legno antico completamente rigenerato. L’ambientazione è particolarmente suggestiva, semplice e sofisticata, calda e accogliente, come si conviene ad un ambiente di montagna. Le stoviglie sono vecchi servizi Ginori, Bernardaud e Limoges, e sembrano uscire da una credenza di casa affiancati da elementi di servizio moderni e di effetto. Dai prodotti alle stoviglie, qui si celebra la montagna e tutto ciò che la caratterizza e distingue. Si valorizza la materia e lo si fa in maniera semplice, con un elogio al prodotto. Nella Wunderkammer dedicata alla cucina italiana, così viene definita la collezione di locali Alajmo sparsi in più paesi «ogni locale è completamente diverso dall’altro, con un solo denominatore comune che è il nostro DNA, rappresentato dalla qualità degli ingredienti, dal rispetto e dal sorriso».


Atelier Moessmer Norbert Niederkofler Via Walther von der Vogelweide 17, Brunico (BZ) www.ateliernorbertniederkofler.com

San Brite Frazione Alverà 200/E, Cortina d’Ampezzo (BL) www.sanbrite.it

Alajmo Cortina Località Ronco 123, Cortina d’Ampezzo (BL) www.alajmo.it

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A REFINED SETTING FO R C O NT E M P O R ARY C U I S I N E

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Immerse yourself in a dining adventure of infinite tastes at Restaurant Club del Doge, where an authentic gourmet cuisine pairs magnificently with an attentive service and a stunning location next to the Grand Canal. FOR RESERVATIONS, PLEASE CALL +39 041 794611 OR VISIT CLUBDELDOGE.COM THE LUXURY COLLECTION HOTELS & RESORTS


menu TASTE

Consigli per l’acquisto Champagne, un mondo a parte Senza alcuna velleità, col solo intento di fornire alcune indicazioni di base nella scelta di uno champagne, ecco alcuni semplici consigli per l’acquisto. Innanzitutto va detto lo Champagne prende vita per la maggior parte con un assemblaggio dei tre principali vitigni: il Pinot Noir, il Pinot Meunier e lo Chardonnay, coltivati in cru, cioè villaggi o comuni. In commercio si trovano champagne blanc de blancs (bacca bianca), ricavati utilizzando solo l’uva Chardonnay, oppure blanc de noirs (bacca nera), ottenuti assemblando solo uve nere di Pinot nero o Meunier. Esistono anche rosé, ottenuti assemblando vini bianchi con vino rosso. Lo champagne Millesimé è ottenuto dai vitigni di una sola annata e Cuvée e Gran Cuvée ricavati da un mix di vitigni diversi. Il colore dello champagne cambia in base alle sue caratteristiche: la prevalenza di Chardonnay dona allo champagne una nuance gialla con riflessi verdi, mentre una predominanza di vini neri riporta a leggeri riflessi rossi. I vini rosé vanno dal pallido al rosa intenso, passando attraverso tonalità più o meno decise a seconda dell’assemblaggio. Anche il gusto dello champagne cambia al palato, lo Chardonnay, il Pinot blanc e il Pinot gris hanno di solito una struttura leggera, aerea, e sono più vivaci, mentre il Pinot noir e il Meunier danno vita ad uno champagne di maggiore rotondità. Quelli a prevalenza di Meunier invece hanno toni più golosi, mentre i vini a prevalenza di Pinot nero hanno maggiore struttura e corpo. Come afferma Vincent Chaperon, chef de cave di Dom Pérignon, probabilmente il marchio più celebre tra gli Champagne: «Il gusto non è solo una questione di palato, è un percorso, un’esperienza intima e personale», nella quale l’aspetto fisico ed emotivo coesistono. Lo champagne viene spesso definito un vino “verticale”, ovvero tutti i fattori che contribuiscono alle sue qualità: atmosfera, territorio, vite e suolo, si possono collocare su una linea retta che minimizza qualunque intervento esterno per alterarle. Ad esempio le vigne non vengono irrigate artificialmente, poiché il suolo gessoso della Champagne trattiene l’acqua piovana e garantisce alle viti l’umidità ideale per prosperare. Nel suo assemblage risuonano tanto la tipicità del terroir locale, nel quale sono cresciute, quanto il momento climatico che ne ha segnato la crescita e la vendemmia. Secondo la visione Dom Pérignon fare champagne oggi significa innanzitutto «prendere le misure necessarie affinché il nostro terroir recuperi tutto quello che gli è stato tolto», concependo la vigna come un ecosistema e non come una risorsa da sfruttare. Santé! Marzio Fabi

A toast!

ENG

You read the New Year’s Concert programme at Fenice: every year, without fail, it ends with a chorus from Verdi’s Traviata, Libiamo ne’ lieti calici. What does it mean, though? Here you go, it means: let’s sip from our merry goblets. OK, what shall we drink, then? Verdi doesn’t say, but I’ll go out on a limb and say that champagne is probably the right choice. Let’s talk champagne, then. You may know that champagne is made with a blend of three varieties: Pinot Noir, Pinot Meunier, and Chardonnay. You can have blanc de blancs, which uses Chardonnay exclusively, or blanc de noirs, which uses the other two. Rosé is a blend of red and white (I only spelled it out for a sense of completeness). Chardonnay, Pinot blanc, and Pinot gris are usually light, airy, and lively, while Pinot noir and Meunier are more rounded. Going all-in on Meunier, you’ll gain in palatability, while Pinot noir is all about structure and body. They say champagne is a ‘vertical’ wine, meaning that is strongly influenced by all contributing factors: atmosphere, territory, vine, soil. All must align, and no external help will be needed. An example: no irrigation is necessary, because chalky Champagne soil holds rainwater well, and nourishes the plants accordingly. As the assemblage phase nears, all features of the characteristic terroir will resonate – or should. Says Dom Pérignon: “our terroir will take back anything we took from it” because, in all seriousness, we do live in an ecosystem. Cheers!

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ARCHITECTURE

ART

DISCOVERY

EXPERIENCE

ARCHITECTURE SCALA CONTARINI DEL BOVOLO check gioiellinascostidivenezia.it for opening hours info: cultura@fondazioneveneziaservizi.it | +39 0413096605

ART SALA DELLA MUSICA plan your visit: booking@fondazioneveneziaservizi.it

DISCOVERY COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO plan your visit: booking@fondazioneveneziaservizi.it

EXPERIENCE CHIESA DI SANTA MARIA DELLE PENITENTI get in touch: art@fondazioneveneziaservizi.it

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gioiellinascostidivenezia.it


reservations a cura di Fabio Marzari

Aspettando Marco Polo Un primo assaggio di Carnevale

Il Carnevale 2024 è destinato per ragioni di calendario ad esaurirsi in fretta, ma non per questo è meno meritevole di essere festeggiato in maniera adeguata, specie a Venezia. Ad Oriente. Il mirabolante viaggio di Marco Polo è il titolo dell’edizione di quest’anno, che trae spunto dalle celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Marco Polo, avvenuta l’8 gennaio 1324. In attesa di conosce il programma ufficiale del Carnevale che inizierà il 27 gennaio (fino al 13 febbraio), suggeriamo di annotare sul proprio carnet de bal quelli da non perdere. L’esploratore veneziano con i suoi viaggi in terre lontanissime e piene di leggende ha ispirato uno dei balli più esclusivi del Carnevale, quello che avrà luogo sabato 3 febbraio all’Heureka con il suggestivo titolo: Sospiri d’Amore tra seta e profumi d’Oriente. Marco Polo ed il viaggio della Seta. In collaborazione con Atelier Pietro Longhi, la serata si snoderà all’interno degli spazi eleganti e ovattati, intimi e sontuosi di questa dimora veneziana divenuta un hotel di indiscutibile fascino, un angolo nascosto della città in cui l’incanto e la suggestione si rincorrono in un silenzio che è quasi musica, interrotto solo dal suono di qualche raro viandante. Il canovaccio prevede il racconto del più grande viaggiatore della storia, che durante il suo lungo peregrinare attraverso la via della Seta ha avuto l’opportunità di incontrare affascinanti e seducenti nobildonne di paesi lontani. Una serata che inizia con un aperitivo, rigorosamente in maschera, per proseguire con una cena formale dai sapori d’Oriente servita al piano nobile, per finire con balli scatenati fino a quando le forze non avranno fiaccato la voglia di fare festa. L’appuntamento dell’Heureka è garanzia di divertimento, di ottima organizzazione e di partecipa-

zione convinta alla festa da parte degli ospiti, che entrano completamente nello spirito dei personaggi che si trovano a rivestire, abbigliati con gli abiti a tema forniti da Atelier Longhi. Altro appuntamento imperdibile è quello di sabato 10 febbraio, quando alla Scuola Grande della Misericordia andrà in scena, è letteralmente il caso di dire, il Ballo del Doge, edizione numero 31 dal titolo: Carnival Obsession. Si tratta della festa in costume più sfarzosa del Carnevale di Venezia, un vero e proprio spettacolo, ideato e diretto da Antonia Sautter, che sa trasformare la fierezza storica dei luoghi veneziani che ospitano il ballo in un circo delle meraviglie, in cui sfarzo, eccessi, divertimento si fondono in una notte d’incanto che è stata più volte considerata come un evento di portata planetaria, a cui bisognerebbe partecipare almeno una volta nella vita. Il giorno seguente, l’11 febbraio, a Palazzo Pisani Moretta un maestro indiscusso delle cerimonie come Stefano Nicolao presenta la sua creatura, Venetian Reflections. Una festa completa con tanto di ricca cena placée in uno dei palazzi più belli affacciati sul Canal Grande, in una autentica atmosfera settecentesca in cui poter rivivere i fasti di un’epoca di grandi splendori e di quasi decadenza, dando sfogo alla voglia di compiere un viaggio a ritroso nel tempo in una Venezia capitale del divertimento senza confini. I costumi dell’Atelier Nicolao, che ripercorrono con rigore filologico le mode dell’epoca, impreziosiscono l’atmosfera unica delle sale del Palazzo e tutto diventa un sogno, che se anche dovesse svanire all’alba rimarrà impresso per sempre nella memoria dei partecipanti.

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lirica S t a g i o n e

e balletto

LES CONTES D’HOFFMANN Jacques Offenbach

direttore Antonello Manacorda regia Damiano Michieletto nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con Sydney Opera House, Royal Opera House of London, Opéra de Lyon

24, 26, 28, 30 novembre, 2 dicembre 2023 / Teatro La Fenice

2023 2024

LES SAISONS

LIBERAMENTE ISPIRATO ALLE QUATTRO STAGIONI DI VIVALDI

Antonio Vivaldi e Giovanni Antonio Guido coreografia Thierry Malandain direttore e violino Stefan Plewniak Malandain Ballet Biarritz

nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con Opéra Royal de Versailles, Festival de Danse de Cannes, Opéra de Saint-Etienne Teatro Victoria Eugenia, Ballet T Ville de Donostia San Sebastian, Malandain Ballet Biarritz

IL BARBIERE DI SIVIGLIA Gioachino Rossini

direttore Renato Palumbo regia Bepi Morassi allestimento Fondazione Teatro La Fenice

26, 28 gennaio, 1, 3, 7, 9, 11, 13 febbraio 2024 Teatro La Fenice

10, 11, 12, 13, 14 gennaio 2024 / Teatro La Fenice

LA BOHÈME Giacomo Puccini

direttore Stefano Ranzani regia Francesco Micheli

MARIA EGIZIACA

MEFISTOFELE

direttore Manlio Benzi regia Pier Luigi Pizzi

direttore Nicola Luisotti regia Moshe Leiser e Patrice Caurier

Ottorino Respighi

Arrigo Boito

nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice

nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice

8, 10, 12, 14, 16 marzo 2024 / Teatro Malibran

12, 14, 17, 20, 23 aprile 2024 / Teatro La Fenice

DON GIOVANNI

IL TAMERLANO

direttore Robert Treviño regia Damiano Michieletto

direttore Diego Fasolis regia Fabio Ceresa

ARIADNE AUF NAXOS

allestimento Fondazione Teatro La Fenice

nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice

16, 17, 18, 19, 21, 22, 23, 24, 25 maggio 2024 Teatro La Fenice

7, 9, 11, 13, 15 giugno 2024 / Teatro Malibran

allestimento Fondazione Teatro La Fenice nel 100° anniversario della morte di Giacomo Puccini

2, 4, 6, 8, 10 febbraio 2024 / Teatro La Fenice

Wolfgang Amadeus Mozart

Antonio Vivaldi

Richard Strauss

direttore Markus Stenz regia Paul Curran nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Bologna

21, 23, 25, 27, 30 giugno 2024 / Teatro La Fenice

TURANDOT Giacomo Puccini

direttore Francesco Ivan Ciampa regia Cecilia Ligorio allestimento Fondazione Teatro La Fenice nel 100° anniversario della morte di Giacomo Puccini

30 agosto, 3, 8, 14, 18 settembre 2024 / Teatro La Fenice

LA FABBRICA ILLUMINATA Luigi Nono

ERWARTUNG Arnold Schönberg

direttore Jérémie Rhorer regia Daniele Abbado

LA VITA È SOGNO Gian Francesco Malipiero

direttore Francesco Lanzillotta regia Valentino Villa nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice

31 ottobre, 3, 5, 7, 9 novembre 2024 / Teatro Malibran

nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice nel 150° anniversario della nascita di Arnold Schönberg e nel 100° anniversario della nascita di Luigi Nono

13, 15, 17, 19, 22 settembre 2024 / Teatro La Fenice

PINOCCHIO Pierangelo Valtinoni

OPERA PER LE SCUOLE direttore Marco Paladin regia Gianmaria Aliverta allestimento Fondazione Teatro La Fenice

18, 19, 20, 24 gennaio 2024 / Teatro Malibran

MARCO POLO

Studenti di composizione del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia

OPERA PER LE SCUOLE direttore Luisa Russo regia Emanuele Gamba Orchestra e Coro del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Venezia prima rappresentazione assoluta

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice

maestro del Coro Alfonso Caiani

18, 19, 20, 21 aprile 2024 / Teatro Malibran

Main Partner

156

Call center Hellovenezia (+39) 041 2722699 www.teatrolafenice.it

Direzione Generale

SPETTACOLO


december2023-january2024

In the Bleak Midwinter... festivals, music, architecture, art, theatre, dance, and cinema!

citydiary

agenda pag. 159 exhibitions pag. 166 etcc... pag. 167

157


RENDIAMO I LUOGHI DELLA CULTURA A MISURA DI PERSONA. IN TUTTA ITALIA.

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Venezia | Torino| Firenze | Roma | Napoli | Palermo 158


agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

07

:musica

DicDec

sabatoThursday

DINOSAURI

Folk rock “youTHeatre“

Teatro del Parco-Mestre h. 21

MARCO CASTELLI & MARCO PONCHIROLI Jazz

Al Vapore-Marghera h. 20

AKIKO | NORF LIVE OJOO | JASSS MARCO MALDARELLA Musica elettronica

Argo16-Marghera h. -Marghera h. 22

08

venerdìFriday

Fellini tribute

Laguna Libre h. 21

DANIELA PES

Musica elettronica “youTHeatre“

Teatro del Parco-Mestre h. 21

UNFORGETTABLE JAZZ Jazz

Al Vapore-Marghera h. 20

MADAME Pop

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

sabatoSaturday

BIG VOCAL ORCHESTRA

World music

Teatro Goldoni h. 19

THE POLICE PROJECT Police tribute

Al Vapore-Marghera h. 20

197MOLINS | IMBER CASABLANCA BASQVIAT DJ SET Musica elettronica

Argo16-Marghera h. -Marghera h. 22

10

domenicaSunday

BIG VOCAL ORCHESTRA

World music

Teatro Goldoni h. 16/19

11

giovedìThursday

PATTI SMITH

lunedìMonday

ELIO E LE STORIE TESE Musica d’autore

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

24 Soul

TIDES

26

Teatro Malibran h. 21

Rock

Al Vapore-Marghera h. 20

HARLEM GOSPEL CHOIR Whitney Houston tribute

domenicaSunday

FELICIA PORTER 4TET

Rock

Laguna Libre h. 21

martedìTuesday

venerdìFriday

Rock

Al Vapore-Marghera h. 20

16

sabatoSaturday

ENRICO CRIVELLARO BAND Jazz

Al Vapore-Marghera h. 20

MAX GAZZÈ Pop

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

17

domenicaSunday

FIDBACK

Rock

Al Vapore-Marghera h. 20

21

mercoledìWednesday

GOIABUM

World music

Al Vapore-Marghera h. 20

29

venerdìFriday

BROTHER CHARLIE AND FRIENDS World music

Al Vapore-Marghera h. 20

31

domenicaSunday

NILZA COSTA 4TET

Soul

Laguna Libre h. 21

GenJan

06

sabatoSaturday

giovedìThursday

LAURA PAUSINI

SUMMERTIME CHOIR

Fiera di Padova h. 21

Gospel

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

22

venerdìFriday

THE COMBAT CLASH Clash tribute

Al Vapore-Marghera h. 20

23

sabatoSaturday

DISCOZENITH LAGUNA

World music

Al Vapore-Marghera h. 20

PANARIELLO VS MASINI Pop

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

Teatro Corso-Mestre h. 21

29

lunedìMonday

30

27

15

De Andrè tribute

Al Vapore-Marghera h. 20

CALCUTTA Kioene Arena-Padova h. 21

sabatoSaturday

PFM CANTA DE ANDRÈ

CLAUDIO BAGLIONI

World music

Indie

27

MAGICAL MYSTERY QUINTET

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

THE FRAGILE

FELLINI IN JAZZ

09

14

Pop

07

domenicaSunday

LAURA PAUSINI

Pop

Fiera di Padova h. 21

19

venerdìFriday

THE ROSE

Musica d’autore

Fiera di Padova h. 21

martedìTuesday

CLAUDIO BAGLIONI

Musica d’autore

Fiera di Padova h. 21

INDIRIZZI AL VAPORE

Via F.lli Bandiera 8-Marghera argo16.it

ARGO16

Via delle Industrie, 27/5-Marghera argo16.it

KIOENE ARENA

Via San Marco 53-Padova www.zedlive.com

FIERA DI PADOVA

Via Tommaseo 8-Padova www.friendsandpartners.com

GRAN TEATRO GEOX Via Tassinari 1-Padova www.zedlive.com

LAGUNA LIBRE

Fondamenta Cannaregio www.lagunalibre.it

TEATRO CORSO

Corso del Popolo 31-Mestre www.comune.venezia.it

TEATRO GOLDONI

San Marco 4650/B www.teatrostabileveneto.it

TEATRO DEL PARCO Via Gori 11-Mestre www.comune.venezia.it

Janis Joplin tribute

TEATRO MALIBRAN

20

TEATRO TONIOLO

Al Vapore-Marghera h. 20

sabatoSaturday

E.L. SQUAD

Campiello del Teatro 5873 www.teatrolafenice.it Piazzetta Malipiero-Mestre www.comune.venezia.it

Hip hop

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

159


agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

05

:classical

DicDec

martedìTuesday

EX NOVO ENSEMBLE

Daniele Ruggieri flauto Carlo Lazari violino Aldo Orvieto pianoforte Alvise Vidolin, Leonardo Zoleo regia sonora Musiche di Ambrosini, Berio, Maderna “Ex Novo Musica 2023”

Conservatorio Benedetto Marcello h. 17.30

06

mercoledìWednesday

EX NOVO ENSEMBLE

Claudio Ambrosini voce narrante Musiche di Maderna “Ex Novo Musica 2023” Auditorium M9-Mestre h. 17.30

ALESSANDRO CARBONARE clarinetto LUDOVICA RANA violoncello AKI KURODA pianoforte

Musiche di Strohl, Farrenc, Bonis “Stagione 2023” Ingresso/Ticket € 15/12 Palazzetto Bru Zane h. 19.30

09

sabatoSaturday

ROBERT TREVIÑO

Sara Mingardo contralto Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Piccoli Cantori Veneziani Musiche di Mahler “Stagione Sinfonica 2023-2024” Ingresso/Ticket € 110 Teatro La Fenice h. 20

10

domenicaSunday

ROBERT TREVIÑO

Sara Mingardo contralto Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Piccoli Cantori Veneziani Musiche di Mahler “Stagione Sinfonica 2023-2024” Ingresso/Ticket € 110 Teatro La Fenice h. 17

12

martedìTuesday

EX NOVO ENSEMBLE MONICA BACELLI

mezzosoprano

Musiche di Maderna, Debussy, Malipiero “Ex Novo Musica 2023” Ingresso/Ticket € 20 Teatro La Fenice h. 20

15

venerdìFriday

DUO DRAGONFLY

Danusha Waskiewicz viola e voce Naomi Berrill violoncello e voce Musiche di Britten, Bach, Purcell “6 suonato? Stagione giovane” Ingresso/Ticket € 15/10 Centro Culturale Candiani-Mestre h. 19.30

MYUNG-WHUN CHUNG

Orchestra del Teatro La Fenice Musiche di Beethoven, Stravinskij “Stagione Sinfonica 2023-2024” Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 20

16

sabatoSaturday

AQUAE SONUS RESONANTIA

Musiche di Telemann, Handel, Marcello “Musica a San Giorgio 2023” Ingresso/Ticket € 33/11 Auditorium Lo Squero h. 16.30

MYUNG-WHUN CHUNG

Orchestra del Teatro La Fenice Musiche di Beethoven, Stravinskij “Stagione Sinfonica 2023-2024” Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 20

17

domenicaSunday

MYUNG-WHUN CHUNG

Orchestra del Teatro La Fenice Musiche di Beethoven, Stravinskij “Stagione Sinfonica 2023-2024” Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 17

19

martedìTuesday

CAPPELLA MARCIANA MARCO GEMMANI direttore

Musiche di Monteverdi Schola Cantorum Basiliensis “Stagione Sinfonica 2023-2024”

Ingresso su invito/Admission upon invitation Basilica di San Marco h. 20

20

mercoledìWednesday

EX NOVO ENSEMBLE

Claudio Ambrosini direttore Alvise Vidolin, Alessandro Di Vita regia sonora Musiche di Ambrosini, Bellon, Maderna “Ex Novo Musica 2023”

Conservatorio Benedetto Marcello h. 17.30

CAPPELLA MARCIANA MARCO GEMMANI direttore Musiche di Monteverdi Schola Cantorum Basiliensis “Stagione Sinfonica 2023-2024”

Ingresso su invito/Admission upon invitation Basilica di San Marco h. 20

29

venerdìFriday

CONCERTO DI CAPODANNO FABIO LUISI direttore

Eleonora Buratto soprano Fabio Sartori tenore Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Musiche Brahms, Verdi, Puccini Ingresso/Ticket € 420/25 Teatro La Fenice h. 20

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

Musiche di Gioachino Rossini Direttore Giuliano Carella Regia Paolo Giani Cei Orchestra di Padova e del Veneto “Stagione Lirica 2023-2024”

Musiche di Gioachino Rossini Direttore Giuliano Carella Regia Paolo Giani Cei Orchestra di Padova e del Veneto “Stagione Lirica 2023-2024” Ingresso/Ticket € 110/40 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

GenJan

01

lunedìMonday

CONCERTO DI CAPODANNO FABIO LUISI direttore

Eleonora Buratto soprano Fabio Sartori tenore Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Musiche Brahms, Verdi, Puccini Ingresso/Ticket € 420/25 Teatro La Fenice h. 11.15

09

martedìTuesday

KHARKIV CHAMBER ORCHESTRA FABRIZIO MELONI clarinetto

Musiche di Bach, Rossini, Holst “Stagione 2023.2024” Ingresso/Ticket € 25/15 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

17

mercoledìWednesday

Ingresso/Ticket € 110/40 Teatro Verdi-Padova h. 20.45

ANDREA MASTRONI basso MATTIA OMETTO pianoforte

30

Ingresso/Ticket € 30/15 Teatro La Fenice h. 20

sabatoSaturday

CONCERTO DI CAPODANNO FABIO LUISI direttore

Eleonora Buratto soprano Fabio Sartori tenore Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Musiche Brahms, Verdi, Puccini Ingresso/Ticket € 420/25 Teatro La Fenice h. 17

31

Musiche di Schubert “Musikàmera”

18

giovedìThursday

PINOCCHIO

Opera in due atti Musiche di Pierangelo Valtinoni Direttore Marco Paladin Regia Gianmaria Aliverta “Stagione Lirica e Balletto 20232024” Teatro Malibran h. 11

domenicaSunday

CONCERTO DI CAPODANNO FABIO LUISI direttore

Eleonora Buratto soprano Fabio Sartori tenore Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Musiche Brahms, Verdi, Puccini Ingresso/Ticket € 420/25 Teatro La Fenice h. 16

160

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

ANDREA MASTRONI basso MATTIA OMETTO pianoforte Musiche di Schubert “Musikàmera”

Ingresso/Ticket € 30/15 Teatro La Fenice h. 20


19

venerdìFriday

PINOCCHIO

Opera in due atti Musiche di Pierangelo Valtinoni Direttore Marco Paladin Regia Gianmaria Aliverta “Stagione Lirica e Balletto 20232024” Teatro Malibran h. 11

20

sabatoSaturday

PINOCCHIO

Opera in due atti Musiche di Pierangelo Valtinoni Direttore Marco Paladin Regia Gianmaria Aliverta “Stagione Lirica e Balletto 20232024” Ingresso/Ticket € 30/20 Teatro Malibran h. 15.30

24

mercoledìWednesday

PINOCCHIO

Opera in due atti Musiche di Pierangelo Valtinoni Direttore Marco Paladin Regia Gianmaria Aliverta “Stagione Lirica e Balletto 20232024” Teatro Malibran h. 11

25

giovedìThursday

27

sabatoSaturday

PROMETEO. LA TRAGEDIA DELL’ASCOLTO

Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it

DANIIL TRIFONOV pianoforte

BASILICA DI SAN MARCO

Ingresso/Ticket € 15 Chiesa di San Lorenzo h. 19

Musiche di Mozart, Beethoven “Musikàmera” Ingresso/Ticket € 70/25 Teatro Malibran h. 20

OMAGGIO A MORRICONE. MUSICHE DA OSCAR Ensemble Le Muse Andrea Albertini Direttore Angelica De Paoli Voce solista Special Guest Susanna Rigacci Ingresso/Ticket € 60/34 Teatro Goldoni h. 21

28

domenicaSunday

PROMETEO. LA TRAGEDIA DELL’ASCOLTO

Regia di Antonello Pocetti, Antonino Viola Direttore Marco Angius Orchestra di Padova e del Veneto Ingresso/Ticket € 15 Chiesa di San Lorenzo h. 15.30

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

Musiche di Fano, Malipiero, Debussy “Musikàmera”

26

29

Ingresso/Ticket € 30/15 Teatro La Fenice h. 20

venerdìFriday

Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 15.30

AUDITORIUM M9

Via Giovanni Pascoli 11-Mestre www.m9museum.it

Piazza San Marco www.teatrolafenice.it

CENTRO CULTURALE CANDIANI Piazzale Candiani-Mestre www.comune.venezia.it

CHIESA DI SAN LORENZO

Campo San Lorenzo 5067 www.labiennale.org

CONSERVATORIO BENEDETTO MARCELLO

San Marco 2810 www.exnovoensemble.it

PALAZZETTO BRU ZANE San Polo 2638 bru-zane.com

TEATRO GOLDONI

San Marco 4650/B www.teatrostabileveneto.it

TEATRO LA FENICE Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it

TEATRO MALIBRAN Cannaregio 5873 www.teatrolafenice.it

TEATRO TONIOLO lunedìMonday

PROMETEO. LA TRAGEDIA DELL’ASCOLTO

PROMETEO. LA TRAGEDIA DELL’ASCOLTO

Ingresso/Ticket € 15 Chiesa di San Lorenzo h. 19

Ingresso/Ticket € 15 Chiesa di San Lorenzo h. 19

Regia di Antonello Pocetti, Antonino Viola Direttore Marco Angius Orchestra di Padova e del Veneto

AUDITORIUM LO SQUERO

Regia Antonello Pocetti, Antonino Viola Direttore Marco Angius Orchestra di Padova e del Veneto

Opera buffa in due atti Musiche di Gioachino Rossini Direttore Marco Paladin Regia Bepi Morassi “Stagione Lirica e Balletto 20232024”

SILVIA FRIGATO soprano ALDO ORVIETO pianoforte

INDIRIZZI

Regia di Antonello Pocetti, Antonino Viola Direttore Marco Angius Orchestra di Padova e del Veneto

Piazzetta Cesare Battisti Mestre www.comune.venezia.it

TEATRO VERDI

Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

Opera buffa in due atti Musiche di Gioachino Rossini Direttore Marco Paladin Regia Bepi Morassi “Stagione Lirica e Balletto 20232024” Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 19

161


agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

01

venerdìFriday

:theatro

DicDec

QUANDO ARRIVA BRISEIDE di Federico Malvaldi con Edoardo Barbone, Nick Russo, Maria Giulia Zini Regia Gledis Cinque “I Martedì de l’Avogaria 2023-24”

Teatro a l’Avogaria h. 21

ANNA KARENINA

di Lev Tolstoj Adattamento Gianni Garrera e Luca De Fusco Con Galatea Ranzi Regia Luca De Fusco “Stagione Teatrale 2023-24” Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

02

TI RACCONTO UNA STORIA Letture semiserie e tragicomiche

Scritto e diretto da Edoardo Leo Musiche di Jonis Bascir “Stagione Teatrale 2023-24” Ingresso/Ticket € 33/29 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

06

mercoledìWednesday

TI RACCONTO UNA STORIA Letture semiserie e tragicomiche

(vedi martedì 5 dicembre)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

BEHIND THE LIGHT

Coreografia, drammaturgia e interpretazione Cristiana Morganti Regia Cristiana Morganti, Gloria Paris “Calligrafie, rassegna di danza 23/24” Ingresso/Ticket € 29/8 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

ANNA KARENINA

07

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

Letture semiserie e tragicomiche

sabatoSaturday

(vedi venerdì 1 dicembre)

PICCOLI CRIMINI CONIUGALI

di Éric-Emmanuel Schmitt Traduzione di Sergio Tofano Con Anna Tringali, Giacomo Rossetto Regia di Giorgio Sangati Teatro Bresci “Mira, il Teatro fa centro 2023-24” Ingresso/Ticket € 22/18 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21

03

domenicaSunday

OLTRE QUI

La Piccionaia (età consigliata 1-5 anni) “A pesca di Sogni 2023-24” Ingresso/Ticket € 7 Teatrino Groggia h. 16

ANNA KARENINA

(vedi venerdì 1 dicembre)

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

IL DECAMERONE Tre novelle in musica

Teatrino di via Pasini Compagnia Merida “Fiabe Musicali 2023-24”

Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30

05

martedìTuesday

ZONA FRANCA

di e con Federica Mafucci “I Martedì de l’Avogaria 2023-24”

Teatro a l’Avogaria h. 21

162

giovedìThursday

(vedi martedì 5 dicembre)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

IL PRIMO SERVITORE

Ideazione e regia di Michele Modesto Casarin Soggetto di Marco Gnaccolini Pantakin Venezia “La Città a Teatro 2023-24” Ingresso/Ticket € 18/15 Teatro di Mirano h. 21

martedìTuesday

OLGA, LA STORIA DELLA FOGLIA CHE VIVEVA IN UN BAULE

di e con Ilaria Weiss Regia di Lara Parzon “I Martedì de l’Avogaria 2023-24”

Teatro a l’Avogaria h. 21

A CHRISTMAS CAROL

Balletto in un atto unico Coreografia di Letizia Giuliani Con la partecipazione di Scuola di Ballo del Veneto, La Danza Storica Aurora Giuliani Ingresso libero/Free entry Teatro del Parco-Mestre h. 20

13

Testi Marco Paolini e Michela Signori Consulenza alla drammaturgia Simone Tempia, Marco Gnaccolini Regia Marco Paolini Con Marco Paolini, Patrizia Laquidara “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

14

giovedìThursday

IL TANGO DELLE CAPINERE​​

Con Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco Regia Emma Dante “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/8 Teatro Goldoni h. 20.30

I SANSONI

Sogno a tempo determinato

“In piedi – Il potere delle parole”

TI RACCONTO UNA STORIA

12

BOOMERS

mercoledìWednesday

A CHRISTMAS CAROL (vedi martedì 12 dicembre)

Teatro del Parco-Mestre h. 20

L’ISPETTORE GENERALE

di Nikolaj Gogol Adattamento e regia Leo Muscato Con Rocco Papaleo “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

16

sabatoSaturday

SHYLOCK. VENEZIA OLTRE IL DENARO ​​ Progetto di Teatro di Cittadinanza a cura di Mattia Berto

Tribunale di Venezia h. 15/17

IL TANGO DELLE CAPINERE​​ (vedi giovedì 14 dicembre) Teatro Goldoni h. 19

TROCKS ARE BACK!

(vedi venerdì 15 dicembre)

Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

Ingresso/Ticket € 25 Teatro del Parco-Mestre h. 21

BOOMERS

BOOMERS

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

(vedi mercoledì 13 dicembre) Teatro Verdi-Padova h. 19

15

venerdìFriday

IL TANGO DELLE CAPINERE​​ (vedi giovedì 14 dicembre) Teatro Goldoni h. 19

TROCKS ARE BACK!

Direttore artistico Tory Dobrin Les Ballets Trockadero De Montecarlo “Stagione Teatrale 2023-24” Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

LA SCIMMIA

Testo originale di Giuliana Musso liberamente ispirato al racconto Una relazione per un’Accademia di Kafka Interpretazione e regia Giuliana Musso “youTHeater - Entrée” Ingresso libero/Free entry Teatro del Parco-Mestre h. 21

PRIVATE CALLAS

Ideazione, coreografia, scene, luci, costumi di Monica Casadei Sound design e creazioni video di Fabio Fiandrin Artemis Danza “Mira, il Teatro fa centro 2023-24” Ingresso/Ticket € 22/18 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21

BOOMERS

(vedi mercoledì 13 dicembre) Teatro Verdi-Padova h. 20.30

(vedi mercoledì 13 dicembre)

L’ISPETTORE GENERALE (vedi venerdì 15 dicembre)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

17

domenicaSunday

IL TANGO DELLE CAPINERE​​

(vedi giovedì 14 dicembre) Teatro Goldoni h. 16

JINN

Regia Simone Derai Drammaturgia Marco Menegoni e Piero Ramella Con Piero Ramella Anagoor – La Piccionaia “A pesca di Sogni 2023-24” Ingresso/Ticket € 7 Teatrino Groggia h. 16

TROCKS ARE BACK!

(vedi venerdì 15 dicembre)

Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

ABC DEL NATALE

Drammaturgia e regia Angelo Facchetti Teatro Telaio “Domenica a Teatro 2023-24” Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30

BOOMERS

(vedi mercoledì 13 dicembre) Teatro Verdi-Padova h. 16

L’ISPETTORE GENERALE (vedi venerdì 15 dicembre)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16


19

martedìTuesday

FREEVOLA

Confessione sull’insostenibile bisogno di ammirazione

di e con Lucia Raffaella Mariani “I Martedì de l’Avogaria 2023-24”

Teatro a l’Avogaria h. 21

TROCKS ARE BACK!

Les Ballets Trockadero de Monte Carlo “Calligrafie, rassegna di danza 23/24” Ingresso/Ticket € 32/8 Teatro Verdi-Padova h. 21

20

mercoledìWednesday

UNA IMAGEN INTERIOR

Ideazione El Conde de Torrefiel Testo, drammaturgia e regia Tanya Beyeler, Pablo Gisbert “Asteroide Amor 2023” Ingresso/Ticket € 14/8 Teatro Goldoni h. 20

23

sabatoSaturday

di e con Le Betoneghe Attrici: Giovanna Digito, Stefania Florian e Claudia Digito Musicisti: Cristian Ricci, Dante Borsetto Giovanni Buoro Teatro delle Arance “I Comici 2023-24” Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

martedìTuesday

LA BELLA ADDORMENTATA Balletto in un prologo e due atti Musiche di Pyotr Ilyich Tchaikovsky Coreografie di Marius Petipa Russian Classical Ballet Direzione artistica e costumi Evgeniya Bespalova “Stagione Teatrale 2023-24” Ingresso/Ticket € 35/30 Teatro Toniolo-Mestre h. 18

ABC DEL NATALE Teatro Telaio “Natale a Teatro”

Ingresso/Ticket € 6,5/5,5 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 17

30

domenicaSunday

GRAN GALA DU CIRQUE MULTIVERSAL

Da un’idea di Raffaele De Ritis e Alessandro Serena Mosaico Errante – Circo e dintorni “Stagione Teatrale 2023-24”

sabatoSaturday

CAPODANNO CON CARLO & GIORGIO

Con con Carlo D’Alpaos e Giorgio Pustetto

Ingresso/Ticket € 29/23 Teatro Corso-Mestre h. 21.15

Orchestra del Teatro La Fenice direttore e violinista Stefan Plewniak “Stagione Lirica e Balletto 2023-24” Ingresso/Ticket € 176/35 Teatro La Fenice h. 19

11

giovedìThursday

Ingresso/Ticket € 45/40 Teatro Toniolo-Mestre h. 21.30

LES SAISONS

CAPODANNO CON CARLO & GIORGIO

Ingresso/Ticket € 132/30 Teatro La Fenice h. 19

Con con Carlo D’Alpaos e Giorgio Pustetto

Ingresso/Ticket € 29/23 Teatro Corso-Mestre h. 22.30

GenJan

01

lunedìMonday

GRAN GALA DU CIRQUE MULTIVERSAL (vedi domenica 31 dicembre)

LE BETONEGHE D.O.C.

26

31

Ingresso/Ticket € 35/30 Teatro Toniolo-Mestre h.18

CAPODANNO CON CARLO & GIORGIO

Con con Carlo D’Alpaos e Giorgio Pustetto

Ingresso/Ticket € 29/23 Teatro Corso-Mestre h. 16.30

06

sabatoSaturday

POLLICINO SHOW

di Gruppo Ibrido Regia Cinzia Pietribiasi Artemis Danza “Domenica a Teatro 2023-24” Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30

LA NOTTE DEI REGALI

Compagnia Gianni Franceschini “Natale a Teatro” Ingresso/Ticket € 6,5/5,5 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 17

07

domenicaSunday

GIOVANNI SCIFONI

Fra’ - San Francesco la superstar del Medioevo

“I Comici 2023-24”

Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

10

mercoledìWednesday

LES SAISONS

Musiche di Antonio Vivaldi e Giovanni Antonio Guido Coreografia Thierry Malandain Malandain Ballet Biarritz

(vedi mercoledì 10 gennaio)

DIALOGO TRA GIGANTI DELLA MONTAGNA

16

martedìTuesday

L’ARTE DEL PAS DE DEUX

Conferenza di Franco Bolletta con proiezioni video “Percorsi della danza”

Ingresso libero/Free entry Teatro La Fenice, Sale Apollinee h. 18

COSI È (SE VI PARE)

di Luigi Pirandello Con Milena Vukotic, Pino Micol, Gianluca Ferrato Regia Geppy Gleijeses “Stagione Teatrale 2023-24”

Buttafuoco incontra Pirandello

Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

Ingresso libero/Free entry Teatro Toniolo-Mestre h. 18

17

Con Pietrangelo Buttafuoco e Giancarlo Marinelli

12

COSI È (SE VI PARE) venerdìFriday

LES SAISONS

(vedi mercoledì 10 gennaio) Ingresso/Ticket € 176/35 Teatro La Fenice h. 19

UOMO E GALANTUOMO

di Eduardo De Filippo Con Geppy Gleijeses, Lorenzo Gleijeses e la partecipazione di Ernesto Mahieux Regia Armando Pugliese “Stagione Teatrale 2023-24” Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

13

sabatoSaturday

LES SAISONS

(vedi mercoledì 10 gennaio) Ingresso/Ticket € 176/35 Teatro La Fenice h. 15.30

UOMO E GALANTUOMO (vedi venerdì 12 gennaio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

DA QUESTA SERA DI RECITA A SOGGETTO! Il metodo Pirandello

Ideazione, interpretazione e regia di Paolo Rossi “Mira, il Teatro fa centro 2023-24” Ingresso/Ticket € 22/18 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21

14

mercoledìWednesday

domenicaSunday

LES SAISONS

(vedi mercoledì 10 gennaio) Ingresso/Ticket € 176/35 Teatro La Fenice h. 15.30

UOMO E GALANTUOMO (vedi venerdì 12 gennaio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

(vedi martedì 16 gennaio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

18

giovedìThursday

COSI È (SE VI PARE)

(vedi martedì 16 gennaio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

WHITE ROOM

COB Compagnia Opus Ballet “Calligrafie, rassegna di danza 23/24” Ingresso/Ticket € 29/8 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

GL’INNAMORATI

di Carlo Goldoni Adattamento Angela Demattè Regia Andrea Chiodi “Stagione di Prosa 2023/24”

Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

19

venerdìFriday

L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI​​

Liberamente ispirato e tratto dagli scritti di Sigmund Freud di e con Stefano Massini “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/8 Teatro Goldoni h. 19

STUPIDA SHOW

Monologo di stand up comedy di Gabriele Di Luca Con Paola Minaccioni Carrozzeria Orfeo “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

GL’INNAMORATI

(vedi giovedì 18 gennaio)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

163


agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

:theatro

20

sabatoSaturday

L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI​​ (vedi venerdì 19 gennaio) Teatro Goldoni h. 19

OBLIVION

Tuttorial – Guida contromano alla contemporaneità

“I Comici 2023-24”

Ingresso/Ticket € 30/25 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

GL’INNAMORATI

(vedi giovedì 18 gennaio)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

21

domenicaSunday

L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI​​

(vedi venerdì 19 gennaio) Teatro Goldoni h. 16

OBLIVION

Tuttorial – Guida contromano alla contemporaneità

“I Comici 2023-24”

Ingresso/Ticket € 30/25 Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

CLITENNESTRA

da La casa dei nomi di Colm Tóibín Adattamento e regia Roberto Andò Con Isabella Ragonese, Ivan Alovisio Coreografie di Luna Cenere Teatro di Napoli – Teatro Nazionale “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

ODISSEO

Testo e regia di Giovanna Cordova Con Giuseppe Pambieri e con Imma Quinterno e Francesco Lunardi e con giovani attori di Tema Cultura Academy Coreografie SIlvia Bennett “Stagione di Prosa 2023/24”

ILIADE

Il gioco degli dei

(vedi martedì 23 gennaio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

IL FU MATTIA PASCAL

Ingresso/Ticket € 18/15 Teatro di Mirano h. 21

GL’INNAMORATI

9841/RUKELI

23

martedìTuesday

ILIADE

Il gioco degli dei

Testo di Francesco Niccolini liberamente tratto all’Iliade di Omero Drammaturgia di Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Francesco Niccolini, Marcello Prayer Con Alessio Boni e Iaia Forte Regia di Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Marcello Prayer “Stagione Teatrale 2023-24” Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

24

mercoledìWednesday

di e con Gianmarco Busetto Regia di Gianmarco Busetto ed Enrico Tavella Farmacia Zoo:é “Mira, il Teatro fa centro 2023-24” Ingresso/Ticket € 10 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21

CLITENNESTRA

(vedi mercoledì 24 gennaio) Teatro Verdi-Padova h. 19

26

venerdìFriday

ILIADE

Il gioco degli dei

(vedi martedì 23 gennaio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

INDIRIZZI TEATRINO GROGGIA

(vedi mercoledì 24 gennaio) Teatro Verdi-Padova h. 20.30

28

domenicaSunday

CALIFORNIA UNDER ROUTINE

Regia Antonio “Tony” Baladam Baladam B-side – La Piccionaia “A pesca di Sogni 2023-24”

ILIADE

(vedi martedì 23 gennaio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

DIFFERENZIO E RICICLETTA Una fiaba riciclata

Amici della Musica in collaborazione con Associazione Musicamorfosi “Fiabe Musicali 2023-24” Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30

IN BOCCA AL LUPO

Con Enrico De Meo, Valentina Grigò Scene e muppets Marco Lucci “Famiglie a Teatro 2023-24” Ingresso/Ticket € 6,5/5,5 Teatro di Mirano h. 15.30

Sant’Alvise, Cannaregio 3150 www.comune.venezia.it

TEATRO A L’AVOGARIA

Corte Zappa, Dorsoduro 1617 www.dalvivoeventi.it

TEATRO CORSO

Corso del Popolo 30-Mestre ww.teatro-avogaria.it

TEATRO GOLDONI

San Marco 4650/B www.teatrostabileveneto.it

TEATRO LA FENICE Campo San Fantin San Marco 1965 www.teatrolafenice.it

TEATRO MARIO DEL MONACO

Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it

TEATRO DI MIRANO

Via della Vittoria 75-Mirano www.piccionaia.org

TEATRO MOMO

Via Dante 81-Mestre www.culturavenezia.it

TEATRO NUOVO G. DA UDINE

CLITENNESTRA

Via Trento 4-Udine www.teatroudine.it

Teatro Verdi-Padova h. 16

TEATRO DEL PARCO

29

TEATRO TONIOLO

(vedi mercoledì 24 gennaio)

lunedìMonday

SHEN YUN 2024

Ingresso/Ticket € 119/80 Teatro Nuovo G. da Udine h. 20

30

martedìTuesday

SHEN YUN 2024

Parco Albanese-Mestre www.culturavenezia.it

Piazzetta Cesare BattistiMestre www.culturavenezia.it/toniolo

TEATRO VILLA DEI LEONI

Riviera S. Trentin-Mira www.piccionaia.org

(vedi lunedì 29 gennaio)

TEATRO VERDI

“In piedi – Il potere delle parole”

31

TRIBUNALE DI VENEZIA

Terapia di gruppo

Ingresso/Ticket € 15 Teatro del Parco-Mestre h. 21

(vedi martedì 23 gennaio)

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

(vedi mercoledì 24 gennaio)

Teatro Nuovo G. da Udine h. 20

mercoledìWednesday

L’ISPETTORE GENERALE

di Nikolaj Gogol Adattamento e regia Leo Muscato Con Rocco Papaleo “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

164

Teatro Nuovo G. da Udine h. 20

CHIARA BECCHIMANZI

ILIADE

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

(vedi lunedì 29 gennaio)

CLITENNESTRA

Shen Yun Performing Arts

CLITENNESTRA

Il gioco degli dei

(vedi martedì 23 gennaio)

25

giovedìThursday

SHEN YUN 2024

Il gioco degli dei

Il gioco degli dei

Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30

(vedi giovedì 18 gennaio)

ILIADE

Ingresso/Ticket € 7 Teatrino Groggia h. 16

Ideazione e regia Simone Guerro Teatro Giovani Teatro Pirata “Domenica a Teatro 2023-24”

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

sabatoSaturday

Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

dal romanzo di Luigi Pirandello Con Giorgio Marchesi Regia di Giorgio Marchesi e Simonetta Solder “La Città a Teatro 2023-24”

VOGLIO LA LUNA

27

Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it San Polo 1119 (Rialto, Mercato) www.teatrostabileveneto.it


01

venerdìFriday

:cinema

DicDec

INLAGUNA FILM FESTIVAL Proiezioni, incontri, presentazioni, matinée per le scuole e industry days Videoteca Pasinetti h. 9-21

02

sabatoSaturday

INLAGUNA FILM FESTIVAL (vedi venerdì 1 dicembre)

Videoteca Pasinetti h. 17-21

03

domenicaSunday

INLAGUNA FILM FESTIVAL

(vedi venerdì 1 dicembre)

Videoteca Pasinetti h. 16.30-21

05

martedìTuesday

INDIZIATO DI REATO

Regia di Irwin Rinkler (1991) “Ottant’anni di un grande del cinema: Robert De Niro”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

VENEZIA SALVA

07

giovedìThursday

TRE DONNE – 1943: UN INCONTRO

Regia di Alfredo Giannetti (1971) “Anna Magnani, la rosa del cinema” Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

MONICA IN THE SOUTH SEAS

Regia di Sami van Ingen e Mikka Taanila (2023) Al termine della proiezione Franca Tamisari e Matteo Benussi (Università Ca’ Foscari Venezia) dialogano con Sami van Ingen Introduce: Alessandro Mistrorigo (Università Ca’ Foscari Venezia) “CinemARTa – Zone di contatto” Teatro Ca’ Foscari h. 17.30

11

lunedìMonday

MORAGO. L’ARTE DI UNA VITA

Un documentario realizzato dalla classe quarta indirizzo Audiovisivo e Multimediale del Liceo Artistico Amedeo Voltejo Obici di Oderzo. Il progetto è a cura di Davide Lucatello. Il doc è presentato dall’artista Morago in dialogo con il prof. Lucatello.

Regia di Serena Nono (2013) Proiezione del film alla presenza della regista e di alcuni interpreti

Videoteca Pasinetti h. 17

PAOLO CONTE ALLA SCALA

LA STANZA DI MARVIN

Emergency Venezia h. 18

Il Maestro è nell’anima

Regia di Giorgio Testi (2023) “IMG Eventi Musicali”

IMG Cinemas Candiani-Mestre

06

mercoledìWednesday

PAOLO CONTE ALLA SCALA Il Maestro è nell’anima

(vedi martedì 5 dicembre)

IMG Cinemas Candiani-Mestre

DOVE NUOTANO I CAPRIOLI

Regia di Maria Conte (2021) “Paesaggi che cambiano 2023/24” Auditorium Spazi Bomben-Treviso h. 20.30

12

martedìTuesday

Regia di Jerry Zarks (1996) “Ottant’anni di un grande del cinema: Robert De Niro”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

13

mercoledìWednesday

HIDDEN MASTER: THE LEGACY OF GEORGE PLATT LYNES Regia di Sam Shahid (2023) “CHRONORAMA”

Teatrino di Palazzo Grassi h. 18.30

L’OCCHIO DI VETRO

Regia di Duccio Chiarini (2020) Precede la proiezione l’incontro con Alessandro Stellino, direttore artistico del Festival dei Popoli di Firenze, in dialogo con Marco Bertozzi (Università IUAV Venezia) “Carta Bianca” Multisala Rossini h. 18.30

14

giovedìThursday

TRE DONNE – L’AUTOMOBILE

Regia di Alfredo Giannetti (1971) “Anna Magnani, la rosa del cinema” Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

15

venerdìFriday

OLTRE MADERNA

23

martedìTuesday

IL CACCIATORE

(vedi lunedì 22 gennaio)

IMG Cinemas Candiani-Mestre

24

mercoledìWednesday

IL CACCIATORE

(vedi lunedì 22 gennaio)

IMG Cinemas Candiani-Mestre

Sperimentazioni audiovisive senza margini

Incontro con interventi di Roberto Calabretto (Fondazione Ugo e Olga Levi, Venezia) e Angela Ida De Benedictis (Fondazione Paul Sacher, Basilea). A seguire, proiezione di un film a sorpresa Videoteca Pasinetti h. 20.30

17

INDIRIZZI AUDITORIUM SPAZI BOMBEN

Via Cornarotta 7-Treviso www.fbsr.it

COMBO VENEZIA domenicaSunday

STRANGE WAY OF LIFE

Regia di Pedro Almodóvar (2023) “MUBI x Combo” Combo Venezia h. 18

19

martedìTuesday

STANNO TUTTI BENE

Ex Convento dei Crociferi Cannaregio 4878 thisiscombo.com

EMERGENCY VENEZIA Giudecca 212 www.emergency.it

IMG CINEMAS CANDIANI Piazzale Candiani-Mestre imgcinemas.it

Regia di Kirk Jones (2009) “Ottant’anni di un grande del cinema: Robert De Niro”

VIDEOTECA PASINETTI CASA DEL CINEMA

20

MULTISALA ROSSINI

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

mercoledìWednesday

LES DIABOLIQUES

Regia di Henri-Georges Clouzot (2054) “Alliance Française incontra Circuito Cinema”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

GenJan

01

lunedìMonday

IL RAGAZZO E L’AIRONE

San Stae 1990 www.culturavenezia.it/cinema San Marco 3997/a www.culturavenezia.it/cinema

TEATRINO DI PALAZZO GRASSI

San Samuele, San Marco www.pinaultcollection.com

TEATRO CA’ FOSCARI Calle Larga S. Marta Dorsoduro 2137 www.unive.it

VIDEOTECA PASINETTI CASA DEL CINEMA

San Stae 1990 www.culturavenezia.it/cinema

Regia di Hayao Miyazaki (2023) “Anime IMG Live” IMG Cinemas Candiani-Mestre

22

lunedìMonday

IL CACCIATORE

Regia di Michael Cimino (1978) “IMG Cult” IMG Cinemas Candiani-Mestre

165


APLUSA GALLERY HÔTEL-DIEU

FinoUntil 27 gennaioJanuary, 2024 San Marco 3073 www.aplusa.it

CA’ GIUSTINIAN LUCA MASSIMO BARBERO Un Diavolo Amico

La Biennale di Venezia Portego di Ca’ Giustinian, San Marco www.labiennale.org

CA’ PESARO/1 Il ritratto veneziano nell’Ottocento

exhibitions

Mostre a Venezia

FinoUntil 1 aprileApril, 2024 Galleria Internazionale d’Arte Moderna Santa Croce 2076 capesaro.visitmuve.it

CA’ PESARO/2 MAURIZIO PELLEGRIN Me stesso e io

FinoUntil 1 gennaioJanuary, 2024 Galleria Internazionale d’Arte Moderna Santa Croce 2076 capesaro.visitmuve.it

CA’ REZZONICO ROSALBA CARRIERA Miniature su avorio

FinoUntil 9 gennaioJanuary, 2024 Museo del Settecento Veneziano Dorsoduro 3136 carezzonico.visitmuve.it

CENTRO CULTURALE CANDIANI/1 CHAGALL Il colore dei sogni

FinoUntil 13 febbraioFebruary, 2024 Mestre, Piazzale Candiani muvemestre.visitmuve.it

CENTRO CULTURALE CANDIANI/2 Buzzati, Venezia e la Pop Art

FinoUntil 25 febbraioFebruary, 2024 Mestre, Piazzale Candiani www.culturavenezia.it/candiani

COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM MARCEL DUCHAMP e la seduzione della copia

FinoUntil 18 marzoMarch, 2024 Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 www.guggenheim-venice.it

FONDATION VALMONT EGO

FinoUntil 25 febbraioFebruary, 2024 Palazzo Bonvicini, Calle Agnello Santa Croce 2161/A www.fondationvalmont.com

FONDATION WILMOTTE Venezia bianca

2 dicembreDecember-3 marzoMarch, 2024 Fondaco degli Angeli, Fondamenta dell’Abbazia, Cannaregio 3560 www.fondationwilmotte.com www.prixw.com

166

FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA Appunti fotografici La Venezia di Luigi Ferrigno

17 dicembreDecember-1 aprileApril, 2024 Area Carlo Scarpa, Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.querinistampalia.org

GALLERIA ALBERTA PANE MICHELE SPANGHERO L’esprit de l’escalier

2 dicembreDecember-2 marzoMarch, 2024 Calle dei Guardiani, Dorsoduro 2403/h albertapane.com

LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA PAOLO PELLEGRIN L’orizzonte degli eventi FinoUntil 7 gennaioJanuary, 2024 Le Stanze della Fotografia Isola di San Giorgio www.lestanzedellafotografia.it

M9 – MUSEO del ‘900 Rivoluzione Vedova

FinoUntil 7 gennaioJanuary, 2024 Via Giovanni Pascoli 11, Mestre www.m9museum.it www.fondazionevedova.org

MUSEO DEL VETRO Cento anni di NasonMoretti Storia di una famiglia del vetro muranese FinoUntil 6 gennaioJanuary, 2024 Fondamenta Marco Giustinian 8 Murano museovetro.visitmuve.it

OCEAN SPACE Mille Donne di Venezia

FinoUntil 20 gennaioJanuary, 2024 Ex Chiesa di San Lorenzo, Campo San Lorenzo, Castello 5069 sumus.community

PALAZZO LOREDAN/1 ITALICO BRASS Il Pittore di Venezia

FinoUntil 22 dicembreDecember Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti Campo Santo Stefano, San Marco 2945 lineadacqua.com

PALAZZO LOREDAN/2 DAVIDE BATTISTIN Genesis

15 dicembreDecember 18febbraioFebruary, 2024 Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti Campo Santo Stefano, San Marco 2945 lineadacqua.com

PALAZZO MORA VIII VENICE INTERNATIONAL PERFORMANCE ART WEEK 15-17 dicembreDecember Strada Nuova, Cannaregio 3659 veniceperformanceart.org

PALAZZO PISANI REVEDIN UMBERTO MASTROIANNI Figure e astrazioni 1931–1996 FinoUntil 18 gennaioJanuary, 2024 San Marco 4013/A www.fondazionemastroianni.it

PROCURATIE VECCHIE/1 THE HUMAN SAFETY NET A World of Potential

(terzo piano) Piazza San Marco 105 www.thehumansafetynet.org

PROCURATIE VECCHIE/2 THE ART STUDIO The Hungriest Eye. The Blossoming of Potential by Arthur Duff FinoUntil 10 marzoMarch, 2024 (terzo piano) Piazza San Marco 105 www.thehumansafetynet.org

PALAZZO CONTARINI DEL BOVOLO La Collezione Marina Nani Donà

PROCURATIE VECCHIE/3 VISION by Francis Giacobetti

PALAZZO GRASSI CHRONORAMA Tesori fotografici del 20° secolo

SPARC* Spazio Arte Contemporanea ARMANDO BOZZOLA My Way – Or Nothing At All

San Marco 4303 www.gioiellinascostidivenezia.it

FinoUntil 7 gennaioJunuary, 2024 Campo San Samuele San Marco 3231 www.pinaultcollection.com

PALAZZO GRIMANI DAVID “CHIM” SEYMOUR Il Mondo e Venezia. 1936-56

6 dicembreDecember-17 marzoMarch, 2024 Museo di Palazzo Grimani Ramo Grimani, Castello 4858 polomusealeveneto.beniculturali.it

PALAZZO FORTUNY Ripensare il paesaggio vs Ripensare l’identità

FinoUntil 15 gennaioJanuari, 2024 San Marco 3958 fortuny.visitmuve.it

FinoUntil 15 gennaioJanuary, 2024 (secondo piano) Piazza San Marco 105 francisgiacobetti.fr

8 dicembreDecember 5 gennaioJanuary, 2024 Campo Santo Stefano, San Marco 2828/A www.veniceartfactory.org


GRAND CENTRAL LITERARY FESTIVAL Winter Edition 2023/2024

Rassegna letteraria di incontri con l’autore promossa dal bistrot Grand Central di via Piave e curata ed organizzata da Silvia Scagnetto.

ROBERTO TESSAN

etcc...

Incontri, laboratori, presentazioni, festivals

6 dicembre h. 18.45

Roberto Tassan presenta il suo libro Neuroni per comunicare - Divagazioni sul cervello sociale (Ad Astra, 2022) con il saggio della dottoressa Luana Semenzato Dialogare con se stessi - Fenomenologia e neurologia della meditazione. Modera l’incontro la dottoressa Germana Daneluzzi.

MACRÌ PURICELLI 13 dicembre h. 18.45

Giornalista e scrittrice, Macrì Puricelli presenta il suo libro Betta la mia casa è un albergo, edito da All Around Edizioni. Conduce l’incontro Annalisa Bruni.

ALBERTO BOTTARO 20 dicembre h. 18.45

Scegli di volerti bene è un libro che dona le basi per diventare il miglior alleato di sé stessi. Lo presenta l’autore, Alberto Bottaro, con Maurizia Rosada che conduce l’incontro.

LUCIANO GASPARINI 31 gennaio 2024 h. 18.45

Ricercatore di Simbologia Cerchiana, Luciano Gasparini presenta il suo libro, Cerchi nel grano - istruzioni per l’uso (Michael Edizioni). Grand Central, via Piave 5-Mestre www.facebook.com/ literaryfestivalmestre

MARZO MAGNO RACCONTA LA VITA DI GIACOMO CASANOVA 7 dicembre h. 17.30

Sono passati quasi 300 anni dalla nascita di Giacomo Casanova eppure il suo nome suscita ancora enorme interesse. Chi era davvero Giacomo Casanova? La storia di una vita straordinaria è narrata in questo nuovo libro di Alessandro Marzo Magno, Casanova (Bari-Roma, Laterza, 2023), che è insieme la biografia di uno dei veneziani più noti al mondo e un affresco originale dell’Europa del Settecento. Michele Gottardi e Antonio Trampus conversano con l’autore.

musicale a cura di Michele Nicolaci e Alberto Tacco, e alle 18, in Sala X, il concerto a cura del Dipartimento di Musica antica del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia con musiche di Verdelot, Galilei, Ratti e altri.

Gallerie dell’Accademia Campo della Carità, Dorsoduro 1050 www.gallerieaccademia.it

KIDS DAY

Laboratori gratuiti in Museo per bambini dai 4 ai 10 anni.

MUOVIAMOCI CON GINO SEVERINI! 10 dicembre h. 15

Osserviamo l’opera Mare=Ballerina (1914) di Gino Severini. Riusciamo a sentire il movimento del mare e la gioia della ballerina? L’energia del dipinto è così intensa che la cornice non riesce nemmeno a contenere le pennellate! Lasciamoci inspirare e creiamo dei dipinti “in movimento.”

GUARDARE LE STELLE CON RUFINO TAMAYO 17 dicembre h. 15

Volgiamo il nostro sguardo al cielo notturno per esplorare le costellazioni magiche nell’opera Corpi celesti (1946) di Rufino Tamayo!

Collezione Peggy Guggenheim Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 www.guggenheim-venice.it

FREE BOOKS DAY 13 dicembre h. 15.30

La Fondazione Giorgio Cini rinnova l’appuntamento con Free Books Day, l’evento dedicato al riuso più sostenibile della cultura ‘su carta’ e destinato a studenti, appassionati, collezionisti e studiosi che desiderano ampliare la propria biblioteca. Il 13 dicembre saranno messi a disposizione del pubblico libri, monografie, riviste, cataloghi e saggi selezionati dopo una lunga attività di inventario che ha interessato l’intero patrimonio librario. Acquistando una tote bag, con una donazione simbolica di 10 euro, sarà possibile riempirla gratuitamente con i titoli che si desiderano tra quelli presenti. Fondazione Giorgio Cini Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it

Sala Lettura, Ateneo Veneto Campo San Fantin, San Marco 1897 ateneoveneto.org

MARCEL DUCHAMP E LA SEDUZIONE DELLA COPIA

GASPARA STAMPA E LE ARTI

La mostra Marcel Duchamp e la seduzione della copia presenta un articolato programma di eventi collaterali per divulgare, approfondire e interpretare Duchamp e la sua pratica artistica.

10 dicembre h. 17

In occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita di Gaspara Stampa (1523–1554) e della pubblicazione del volume Gaspara Stampa: poi che m’hai resa Amor la libertade a cura di V. Surian, le Gallerie dell’Accademia presentano l’evento Gaspara Stampa e le arti: letteratura, pittura e musica a Venezia nel Cinquecento. In programma: alle ore 17 una passeggiata tra i dipinti a soggetto

Public Program

COPIA DELLA COPIA 14-15 dicembre h. 10-17.30

Corrent, ciascun partecipante riprodurrà un solo e unico soggetto infinite volte, sperimentando diverse tecniche di stampa, impressione, sviluppo in camera oscura e manipolazione delle immagini.

MARCEL DUCHAMP E LA SEDUZIONE DELLA COPIA 18 dicembre h. 17

Paul B. Franklin, studioso tra i massimi esperti di Duchamp, presenta la mostra da lui curata alla Collezione Guggenheim. Durante l’incontro, Franklin illustrerà la dirompente poetica dell’artista con un focus sui temi del progetto espositivo. OSSERVARE

LENTAMENTE MARCEL DUCHAMP

19 dicembre h. 15

Durante un workshop nelle gallerie, in un giorno di chiusura del museo, Paul B. Franklin invita il pubblico ad osservare le opere dell’artista in un tempo dilatato come durante una lentissima ma avvincente partita a scacchi.

Collezione Peggy Guggenheim Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 www.guggenheim-venice.it

ROSSINI, DE VENISE À PARIS 15 dicembre h. 18

Il ciclo L’Alliance Française de Venise au Palazzo Grassi torna al Teatrino per un incontro dal titolo Rossini, de Venise à Paris con Frédéric Vitoux, dell’Académie française, in dialogo con Bruno Racine, direttore di Palazzo Grassi – Punta della Dogana. Incontro in francese con traduzione simultanea in italiano. Teatrino di Palazzo Grassi San Samuele, San Marco www.pinaultcollection.com

VERGINE E MADRE

La maternità corporea di Maria 15 dicembre h. 17

Incontro pubblico: Vergine e madre. La maternità corporea di Maria: dogmi, rappresentazioni, simboli. Interventi di: Massimo Cacciari e Nadia Maria Filippini. Coordina Antonella Magaraggia. Aula Magna, Ateneo Veneto Campo San Fantin, San Marco 1897 ateneoveneto.org

LA CASA DELLE PAROLE 9 gennaio 2024 h. 18.30

Torna la Casa delle Parole, appuntamento dedicato agli amanti della letteratura. Ogni una selezione tematica di testi provenienti da tutto il mondo viene letta in lingua originale seguita dalla traduzione in italiano. A Gennaio, la parola del mese è Ali. Teatrino di Palazzo Grassi San Samuele, San Marco www.pinaultcollection.com

Partendo dall’assunto secondo cui copie e originali suscitano forme analoghe di piacere estetico, Marcel Duchamp riproduce alcuni suoi lavori ripetutamente e con tecniche diverse. Durante il laboratorio, ideato e condotto da Claudia

167


staff

Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 282-283 - Anno XXVII Venezia, 1 dicembre 2023 Con il Patrocinio del Comune di Venezia Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996 Direzione editoriale Massimo Bran Direzione organizzativa Paola Marchetti Relazioni esterne e coordinamento editoriale Mariachiara Marzari Redazione Chiara Sciascia, Davide Carbone Speciali Fabio Marzari Coordinamento Newsletter e progetti digitali Marisa Santin Grafica Luca Zanatta

Hanno collaborato a questo numero Katia Amoroso, Maria Laura Bidorini, Elena Cardillo, Loris Casadei, Caterina Caseti, Elisabetta Gardin, Renato Jona, Surur Eloisa Khachab, Michela Luce, Franca Lugato, Massimo Macaluso, Matteo Polo, Livia Sartori di Borgoricco, Fabio Di Spirito, Cesare Stradaioli, Camillo Tonini, Riccardo e Veronica Triolo, Luisa Turchi, Andrea Zennaro Si ringraziano Nico Zaramella, Mara Rumiz, Fabio Fazio, Alberto Fol, Maura Manzelle, Luca Massimo Barbero, Claudio Spadoni, Giovanni Montanaro, Matteo Strukul, Mattia Berto, Davide Terrin Traduzioni Andrea Falco Foto di copertina Nico Zaramella © worldwide reserved Illustrazioni Image by Toniatkach on Freepik lo trovi qui: Bookshop Gallerie dell’Accademia; Qshop (c/o Querini Stampalia, Santa Maria Formosa); Alef (c/o Museo Ebraico, zona Ghetto); Mare di Carta (Fondamenta dei Tolentini); Studium (zona S. Marco); Toletta, Toletta Cube e Toletta Studio (zona Campo San Barnaba) e in tutte le edicole della città. Direttore responsabile Massimo Bran Guida spirituale “Il più grande”, Muhammad Alì Recapito redazionale Cannaregio 563/E - 30121Venezia tel. +39 041.2377739 redazione@venezianews.it www.venezianews.it

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Stampa Chinchio Industria Grafica Srl Via Pacinotti, 10/12 - 35030 Rubano (PD) - www.chinchio.it La redazione non è responsabile di eventuali variazioni delle programmazioni annunciate

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VISION Francis Giacobetti

THE EXHIBITION

Discover the eyes and portraits of RAY CHARLES, NELSON MANDELA, THE DALAI LAMA, FIDEL CASTRO, AUNG SAN SUU KYI, LUCIANO PAVAROTTI, STEPHEN HAWKING and more than 100 personalities. VENEZIA, PIAZZA SAN MARCO 105, PROCURATIE VECCHIE NOV. 18TH 2023 - JAN. 15TH 2024

WWW.VISION-EXHIBITION.COM


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