VENEZIA NEWS - JUNE 2024 - #288

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288 JUNE 2024 venice city guide EXHIBITIONS MUSEUMS CONCERTS THEATRES FILMS&SERIES
FOOD&DRINKS Mensile di cultura e spettacolon° 288anno 28Giugno 2024 spedizione in A.P. 45% art.2 comma 20/Blegge 662/96DCI-VE Salt Encrustations #3, Lake Magadi, Kenya, 2017 (detail) © Edward Burtynsky, Courtesy Nicholas Metivier Gallery, Toronto € 3,00 ENGLISH INSIDE Free AS A BIRD BIENNALE ARTE + BIENNALE TEATRO SPECIAL ISSUE
CLUBS
Oil Bunkering #9, Niger Delta, Nigeria, 2016 (detail) photo © Edward Burtynsky, courtesy Flowers Gallery, London In collaboration with Partner Educational activities Media partner Official partner Under the patronage of M9 is a project by

21.06.24 > 12.01.25

CURATED BY MARC MAYER
M9
MUSEO DEL ’900 VENEZIA MESTRE
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Philippe Halsman, Jean Cocteau, New York City, 1949. © Philippe Halsman / Magnum Photos

Jean Cocteau La rivincita del giocoliere

13.04 16.09.2024

Dorsoduro 701, 30123 Venezia guggenheim-venice.it

5 Con il sostegno di I programmi educativi sono realizzati con il sostegno di Main sponsor
Free as a bird It’s the next best thing to be
John Lennon, Free as a Bird, 1977
editoriale
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FABIO, LA NOSTRA VOCE LIBERA

Il 15 maggio ci ha improvvisamente lasciato Fabio Marzari. Un trauma per tutti noi e per la moltitudine di persone che hanno avuto il piacere e la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo, ma anche semplicemente di leggerlo nei suoi sempre coinvolgenti e brillanti pezzi che da anni hanno connotato le pagine più importanti del nostro magazine. Questo numero di Venezia News che avete tra le mani non avremmo mai voluto si aprisse così; ma così facendo, abbiamo pensato che non ci fosse modo migliore per avere Fabio ancora con noi. Sarà sempre con noi, mentalmente, spiritualmente, ma anche tangibilmente, su carta, qui. Sì. Questo lungo e appassionato ricordo che qui di seguito leggerete vuole essere tutt’altro che un ritratto agiografico di quella che è stata la nostra miglior penna, anzi. Vuole essere, o perlomeno vorrebbe essere, più semplicemente un saluto vivo e aperto, libero come straordinariamente libero era lui. Soprattutto, pur avendolo scritto io di getto, col cuore e la testa a dettare insieme le parole, vorrei che venisse letto come un saluto appassionato collettivo, perché so di interpretare ciò che tutti noi di Venezia News, nessuno escluso, sente, ha sentito e sentirà sempre per lui: un affetto sconfinato, una stima inestimabile. Siamo tutti abbracciati stretti in particolare a Mariachiara, sorella di Fabio, energia pulsante irrinunciabile di questa nostra intensa avventura editoriale e sua anima “gemella”.

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di Massimo Bran

editoriale

Ogni mattina, ma poi pure di pomeriggio e la sera, quando chiudiamo e ci salutiamo, tutti qui in redazione ci pizzichiamo la guancia destra e pure quella sinistra ancora increduli, convinti di essere tutti in un set di un film distopico. Fiction crudele, ma fiction, sì. Qualcuno ci dica che non è vero, per favore. I nostri occhi smarriti questo imprecano da infiniti giorni, nient’altro. Da poco meno di un mese, ma sembra già una vita, ci ha lasciato il nostro indiscusso Ministro della Fantasia, il Signor F, sì, il nostro Fabio Marzari. Un’assenza, un vuoto semplicemente per noi incontemplabili. Fabio (per nome e basta lo chiamerò qui, che altro?) era sinonimo di Libertà. Il suo attraversare i nostri giorni, i nostri spazi fisici e mentali, il nostro viaggiare aperto attraverso i mille linguaggi della cultura e del vivere conviviale raccontando, scrivendo storie di vita vissuta in divenire nel segno dell’alta qualità, ebbene sì, ha rappresentato la più strepitosa espressione di libertà che abbiamo avuto la fortuna di incontrare in questa appassionante, indipendente avventura editoriale.

Quando pensava, quando elaborava i contenuti, per poi trasformarli in parole, dette e scritte, raramente si costringeva in un canovaccio predefinito, con temi stretti e sanciti attorno ai quali poi dipanare il racconto, la testimonianza. No, il tema, per quanto naturalmente vivo in lui sin dall’inizio sottotraccia, andava formandosi e delineandosi compiutamente in libera progressione, espressione profonda di un lungo volo affabulatorio libero, talvolta apparentemente anche troppo. Ma anche quando eccedeva, mai alla fine avevi la sensazione di essere stato condotto in maniera disorganica fuori tema, per l’appunto. Se si fosse cimentato nel jazz, genere frequentato in verità da lui poco rispetto alla sua amata musica classica, in particolare la lirica come ben sanno gli amici della Fenice, sarebbe stato sicuramente un campione del free jazz. Sì, lui era davvero il nostro Ornette Coleman!

Mi sono chiesto quale potesse essere il primo aggettivo, la prima parola adeguata a definire l’essenza stringente per noi del suo esistere. Ne ho passate in rassegna decine e decine, quasi tutte restituenti in maniera congrua e aperta, spesso originale, questa sua essenza. Alla fine, però, ho “declinato” su una delle parole, delle qualifiche forse tra le più banali, percorse, prevedibili utilizzate nell’atto di ricordare una persona… speciale. Speciale, sì, semplicemente questo innanzitutto. Perché Fabio lo era davvero una persona Speciale, in tutto e per tutto. Già lo vedo, però, lì corrucciato a lanciarmi un’occhiataccia indispettita delle sue per averlo costretto in una gabbia di pura prevedibilità. Quindi mi smarco subito, ci mancherebbe! È facile del resto farlo, perché chiunque lo abbia conosciuto perlomeno abbastanza bene sa che il suo essere speciale stava tutto nella sua ingarbugliata, intrigante complessità. Fabio era come un sublime dolce multistrato (questa sì che gli piacerebbe, da amante e

super esperto di dolci sopraffini quale era), una sorta di torta millefoglie i cui vari strati però erano costituiti da creme diverse, senza che ciò producesse un catastrofico pasticcio gustativo. Anzi! Non si sa come, già, eppure la teoria di infiniti contrasti e contraddizioni, di variegate sfaccettature che componevano la sua poliedrica personalità alla fine, dopo aver aspramente combattuto tra di essi/e, si componevano in una disposizione armonica semplicemente inarrivabile. Per semplificare, perché per restituire davvero i risvolti umani, culturali, professionali di quest’uomo per sempre ragazzo servirebbe almeno l’intero numero che avete tra le mani, la sua identità era caratterizzata da due poli per così dire opposti e insieme però complementari: quello che mi piace definire il suo Polo Sud, caratterizzato da una viscerale passione per la vita, da un fuoco incessantemente alimentato da una divorante curiosità, e il suo opposto, il Polo Nord, abitato dal suo inimitabile aplomb, espressione di una riservatezza inscalfibile, di un’eleganza misurata, tanto naturale quanto poi mirabilmente affinata negli anni, che erano insieme i suoi strumenti migliori per dissimulare quel fuoco che ardeva luminoso nel suo profondo sud, necessari per assecondare la sua costitutiva allergia all’espressione scomposta e inopportuna dei propri sentimenti, della propria interiorità. Una dialettica serrata quella che quotidianamente metteva in atto tra questi suoi due poli, tra i quali si dispiegavano circolarmente decine e decine di paralleli fatti di altrettante e più nuances.

Chi lo ha conosciuto e frequentato più assiduamente sul suo versante pubblico, in società come si diceva un tempo, ha avuto la fortuna di abitare più il suo Polo Nord, la sua parte più emersa e quindi nota, connotata da quella straordinaria classe, da quell’ironia sorniona, da quell’eleganza di gesti, sguardi, parole che conquistavano indistintamente chiunque gli si avvicinasse attratto dalla sua misuratissima originalità nel proporsi, nel vivere insieme agli altri frammenti di vita. Il suo essere a tutti gli effetti il ritratto contemporaneo, quindi calato in pieno nel nostro tempo, del gentiluomo di sopraffina cultura rinascimentale (davvero Baldassarre Castiglione deve averlo conosciuto nella sua vita precedente prima di regalarci quello straordinario capolavoro della letteratura mondiale che risponde al titolo de Il Cortegiano ), oppure quello di un consumato Lord inglese tardo ottocentesco, era la ragione prima di quel profondo magnetismo che con apparente distacco emanava nei più svariati consessi in cui amava immergersi.

Fabio però, per chi invece ha avuto modo di frequentarlo nella sua quotidianità, per quanto ci riguarda professionalmente, anche se in lui il lato professionale e quello umano non erano mai separati da un confine nitidamente intellegibile, era molte altre cose: inquietudine, umoralità, incostanza, talvolta insofferenza… Un quadro di pulsioni, di disposizioni contrastanti che ha rappresentato il vero elemento arricchente della sua perso-

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nalità. Sai che noia la perfezione bella edulcorata! Amava stare seduto al nostro fianco in redazione, confrontandosi con i suoi colleghi sempre su un terreno libero e aperto, con quell’arguzia di pensiero e di espressione che contraddistinguevano ogni suo singolo dire e dialogare. Però non era quello che in gergo si definisce un redattore “da macchina”, vale a dire colui il quale contribuisce con distribuita costanza a consolidare mattonella per mattonella le fondamenta dell’edificio editoriale di un giornale. No, lui di questo edificio era il massimo decoratore, ne disegnava le linee emerse, dava il tocco, la cifra qualitativa del nostro scrivere e comunicare. Utilizzando una metafora calcistica, anche se non era propriamente un grande appassionato di sport, lui era lì davanti il nostro fantasista, il nostro fuoriclasse degli ultimi 20 metri di campo. Il Leo Messi di Venezia News Quando gli lanciavi la palla in avanti, quindi gli lasciavi penna libera (sempre!), eri sicuro che qualcosa di spiazzante ed imprevedibile sarebbe accaduto. Qualche volta poteva anche divorarsi un gol a porta vuota, ma nell’azione successiva eri ancora più certo che sarebbe stata magia. Era di fatto il nostro inviato speciale per eccellenza. Un giornalista di altri tempi, come ce ne sono ormai di rarissimi, ahinoi, oggigiorno. Aveva bisogno di uscire in strada, di entrare nelle case, nelle esperienze di chi incontrava, aveva insomma bisogno di respirare a pieni polmoni la vita per meglio poterla restituire. Non riusciva in alcun modo ad indossare abiti predefiniti. Aveva questa urgenza vitale di reinventare e reinventarsi perennemente, perché al di là delle normali idiosincrasie che come ognuno di noi possedeva, uno solo era il suo grande, totale nemico: la Noia. Tanto amava l’otium, quanto detestava la noia. La combatteva con ogni arma, propria ed impropria (si fa per dire), assecondando tutte le disposizioni che era in grado di esprimere a riguardo, ivi compresa la sua talvolta irritante, ma alla fine dannatamente simpatica, fanciullesca predisposizione all’imprevedibilità. Un paio di esempi. Come si diceva poc’anzi, non era propriamente un redattore da macchina. Quindi alla fine evitavi di coinvolgerlo in questa direzione di lavoro. Però se lui percepiva che lo facevi convinto che non sarebbe stato in grado di assolvere a questo strutturale, fondamentale compito del nostro lavoro editoriale, prontamente ti calava giù, quando meno te lo aspettavi, un paio di giorni “da macchina” esemplari. Oppure quando gli affidavi degli articoli che sapevi che solo lui avrebbe potuto scrivere così brillantemente e i cui contenuti però non lo accendevano, lo annoiavano. Eccolo allora lì inscurirsi, allontanarsi, tirarla infinitamente per le lunghe, sinché alla fine, dopo forti sollecitazioni a chiudere in particolare da parte di Mariachiara, ti presentava il pezzo perfetto, dove però “artatamente” era capace di infilare una frase inopportuna, talvolta assai disturbante, che sapeva lui per primo che sarebbe stata cassata, ma che beffardo, per prendere a martellate la noia,

lasciava lì per il puro gusto di provocare. E sai gli scontri titanici tra fratelli allora, eh eh…

Per lui, insomma, il lavoro era innanzitutto un gioco, ma maledettamente serio. Stare al suo fianco, mi si perdoni la seconda metafora sportiva, in questo caso ciclistica, era come correre quotidianamente un tappone dolomitico: salite al 15 % senza più fiato alternate a discese a rotta di collo di pura adrenalina. Talvolta era capace di condurti fuori tracciato, in strade non battute, dove smarrito venivi colto da un’improvvisa burrasca sguarnito di abbigliamento adeguato. Era quello il momento, allora, che dopo averti fatto andare fuori giri si toglieva la giacca per dartela, senza se e senza ma. Perché veniva prima di tutto il dare, il donarsi, che il proteggere sé stesso.

Una delle sue doti peculiari, che connotava in maniera pervasiva equivalentemente il suo essere soggetto privato e pubblico, il suo essere infine giornalista di razza, era quella capacità incredibile che possedeva nel far parlare al loro meglio le persone, i luoghi, gli oggetti, i manufatti artigianali così come le grandi opere d’arte che incrociava quotidianamente e con cui dialogava in modalità sempre proprie e nuove. Anche quando non era uno specialista in senso canonico di una materia, aveva quel dono di saper restituire mirabilmente il sapere e il sapore delle entità che attraversava. Eloquente a riguardo il tema del cibo, che per lui non significava parlare meramente di ottima cucina, bensì l’opportunità di far emergere il dato prima di tutto di alta e sana convivialità che un luogo e i suoi sapori sapevano regalare. Chi lo conosceva bene sa che era ghiotto di pochissime cose, in primis di formaggi e dolci. Erano nettamente di più le pietanze che neppure sfiorava di quelle che invece degustava. Eppure sapeva restituire come nessuno lo stare a tavola peculiare di ogni singolo ristorante, fosse uno stellato così come un’ottima osteria. Era apprezzato e amatissimo anche dagli operatori di questo mondo, che davvero mai più riusciremo a raccontare con equivalente finezza. Conosceva il mondo Fabio, gli dava naturalmente del tu pur prediligendo di norma il Lei (maiuscolo, sempre!!). Nel nostro lavoro abbiamo conosciuto e collaborato, e così sarà ancora e sempre, con decine e decine di professionisti della comunicazione, tra uffici stampa, addetti alle pubbliche relazioni, responsabili marketing. Bene, uno con le sue qualità innate nelle relazioni pubbliche davvero non l’ho però mai incontrato. Non poteva neanche considerarsi un canonico professionista di questo lavoro; lui era semplicemente un fuoriclasse di sommo dilettantismo, nel senso più alto di diletto, di piacere. In una parola, era il più grande Conversatore che io abbia mai conosciuto. Non finiva mai di sorprenderti. Eravamo continuamente basiti dalla disarmante capacità che possedeva di intessere relazioni in un lampo, che duravano poi per sempre, con una teoria infinita di figure apicali delle istituzioni culturali, a Venezia

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editoriale

così come in tutta Italia e non solo, della politica, del mondo delle arti, tutte. Senza mai farsi connotare neanche da un’infinitesima traccia di arrampicante affettazione, figuriamoci. Il tutto nasceva e scorreva fluido, in rapporti sempre alla pari, che lui sapeva valorizzare e vivere al meglio con elegante semplicità. Un approccio al prossimo che era perfettamente equivalente sia che si trovasse al cospetto, che so, di un ministro tedesco o francese, sia che si trovasse a condividere del tempo con le persone più umili o con i più giovani. Non conosceva altro modo che essere misuratamente sé stesso con gli uni e con gli altri, senza distinzione alcuna. Dote davvero rarissima questa. Un dono ben innaffiato nel tempo dall’esperienza naturalmente, ma sempre assolutamente autentico.

Era infine, anche se potremmo non finire davvero mai, un vero talebano della Bellezza. La ricercava e la percorreva incessantemente, viveva per e con essa in tutte le sue espressioni, minute o grandiose che fossero. Da cui l’amore profondo per la sua città, Venezia, motivo di emozione e di stupore quotidiani che lui percorreva e reinventava in forme sempre nuove, perché amava tradizionalmente la bellezza sì, ma al contempo, detestando per l’appunto la noia, prediligeva percorrerla restituendo costantemente visioni di essa nuove, costruite da angolazioni visuali sempre altre.

È davvero bello, quindi, che ci abbia lasciato con la sua ultima intervista (anche se in questo stesso numero firma un’altra, bellissima intervista a ricci/forte, curatori della Biennale Teatro) nello scorso numero di aprile/maggio a uno dei massimi difensori dello straordinario patrimonio artistico ed architettonico italiano, quel Salvatore Settis con cui ha mirabilmente dialogato anche e soprattutto attorno alle condizioni presenti e in divenire della sua, della nostra città, che naturalmente Settis conosce benissimo. Una Venezia per lui motivo anche di sconforto e rabbia per come è capace anno dopo anno di buttarsi via in maniera imperdonabile. Eppure questa nota angosciosa in lui prendeva subito una piega costruttiva, spingendolo a cercare voci nuove, alcune vergini, altre comunque non così autoctone, convinto com’era che ci fosse bisogno quanto mai di assoldare, di coinvolgere nuove persone, nuovi professionisti provenienti da ogni dove per ridare qualità innanzitutto residenziale a questa città in cui, come amava amaramente dire, il cognome e il nome più diffusi nei campanelli delle abitazioni sono Locazione Turistica. Lascia un vuoto a dir poco incolmabile Fabio qui, in questa casa di carta, ora anche digitale naturalmente, vicina ormai ai suoi trent’anni di vita, gli ultimi venti dei quali, o quasi, da lui accompagnati e segnati in maniera indelebile. Non posso che ripetere, e così sarà per sempre, la stessa, identica frase che ho scritto di petto il giorno stesso in cui ci ha lasciato e riportata in chiusura della nostra Newsletter di angoscioso commiato del 16 maggio

scorso: «Venezia News da oggi non sarà più la stessa cosa di

prima». Sarà ancora una voce intensa e vitale, eccome, glielo dobbiamo innanzitutto, e in molte direzioni presenti e nuove che percorreremo non potremo che ispirarci al suo approccio libero, indipendente, appassionato alla nostra amata cultura. Però in molte sue parti sarà qualcosa d’altro. Inevitabilmente. Personalmente mi mancherà un mondo, ma mi mancheranno soprattutto le piccole, grandi cose quotidiane che condividevamo. Una su tutte: come riuscirò mai ora a fare senza i nostri dialoghiconfronto sui massimi sistemi globali, nazionali, veneziani, la nostra reciproca rassegna stampa in chiave editoriale, entrambi tra gli ultimi panda a saccheggiare quotidianamente le edicole, in un tempo in cui i giornali quasi non li comprano più nemmeno i giornali? E poi un ludico, simpatico rammarico, quella partita a Trivial che da vent’anni dovevamo fare e che però mai abbiamo fatto, perché ci piaceva, ancor più che farla per davvero, immaginarcela. Lui nozionista strepitoso, io solo decente, però smanioso di metterlo almeno in difficoltà.

Mi avrebbe stracciato naturalmente, però…

Per davvero concludere con cuori e teste ancora a brandelli, non posso che dire che ci sentiamo, in primis io, davvero in debito con lui. Sì perché, fuori da ogni retorica, sono lucidamente consapevole del fatto che lui abbia dato più di quanto gli sia stato restituito. Un rammarico che non smetterà mai di fare male. Però una cosa spero e penso che siamo stati in grado di dargli, almeno una: uno spazio di totale libertà in cui potersi esprimere con compiuta pienezza. E per lui credo che non fosse poca cosa questa, alfiere della Libertà quale era come nessuno.

Che la terra ti sia lieve, nostro Ministro della Fantasia.

Ora ci rimettiamo al lavoro liberi, liberi, liberi, come degli uccelli in volo, sì. Quel volo in libertà che è sempre stato tuo e per sempre sarà.

P.S. Dal primo numero da noi direttamente editato di Venezia News nel lontano febbraio 1997, la sera prima di andare in stampa, reduce dalla visione di quel fantastico capolavoro documentaristico premio Oscar che è When We Were Kings sull’incontro boxistico del secolo a Kinshasa tra Alì e Foreman, decisi senza neanche pensarci un secondo che la nostra Guida Spirituale da riportare mensilmente in chiusura del colophon sarebbe stato da allora e per sempre “Il Più Grande”, Muhammad Alì. L’uomo che danzava come una farfalla e pungeva come un’ape, il più strepitoso interprete della Libertà nella storia dello sport, ma direi più estesamente nella storia del Novecento politico, sociale, mediatico. Bene, da oggi, e Alì se l’avesse conosciuto potete stare certi che avrebbe stappato la miglior bottiglia di champagne a portata di mano alla notizia di poter con lui condividere questo spazio, alla voce Guida Spirituale, anzi, Guide Spirituali, si aggiungerà un altro fuoriclasse della vita. Sì, lui, il nostro Ministro della Fantasia, e della Libertà naturalmente, Fabio Marzari.

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PAROLE a cura di Renato Jona

PIANGO

Piango, perché ho perso un amico speciale.

Piango, perché parlare di Te al passato mi sembra impossibile e non rispettoso.

Piango, perché il Tuo sorriso aveva tante espressioni, ma, nel corso degli anni, era rimasto quello di un bimbo, spontaneo.

Piango, perché non ho fatto a tempo a salutarTi.

Piango, perché mi manca accanto la Tua gentilezza, la Tua educazione, la Tua umanità, la Tua signorilità, il Tuo rispetto.

Piango, perché ricordo quanto sapevi capire la mia lieve presa in giro, la mia ammirazione per il Tuo apprezzamento per alcune golosità della vita.

Piango, pensando alla Tua capacità comunicativa, accompagnata dalla gioia di saper trasmettere sentimenti, notizie, annunci, pensieri, espressioni, sensazioni sempre rispettose, cultura.

Piango, ricordando il nostro incontro, gioioso, inaspettato, fugace, divertito, quando mi hai portato un numero speciale di Venews, amico “complice”, generoso, sorridente.

Piango, ripensando ai Tuoi incoraggiamenti silenziosi, quando mi sembrava superfluo scrivere, banale esprimere qualche osservazione, qualche riflessione.

Piango, ricordando che ancora dopo tanti anni, qualche volta sembrava ancora Tu facessi fatica a darmi del “tu”!

Ciao, Fabio, “Il Fratellone”! Buon viaggio. Sicuramente questa momentanea separazione non ci dividerà !

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CONTENTS

coverstory (p. 18 ) BURTYNSKY Extraction / Abstraction biennale teatro festival guide (p. 25 ) arte (p. 56 ) Intervista Claire Fontaine | 60. Biennale Arte –Stranieri Ovunque / Foreigners Everywhere Leoni: Mataaho Collective, Karimah Ashadu | Foreigners Everywhere / Italiani Ovunque | National Participations: Australia, Francia & Dalton Paula, Padiglione Venezia, Intervista Marco Bartolini – Padiglione Italia, Messico, Malta, Ucraina, Kosovo, Estonia, Montenegro | Collateral Events: Yoo Youngkuk, Ewa Juszkiewicz, Passengers in Transit, Josèfa Ntjam, Lee Bae, Robert Indiana, Andrzej Wróblewski | Not Only Biennale: Palazzo Diedo, Affinità elettive, The Prince of Goldsmiths, The Golden Way, Sarah Revoltella, Christoph Buchel, Art Night Venezia, Intervista Chiara Dynys, Li Chevalier, Lucia Veronesi, Jean Cocteau, Nebula, Your Ghosts are Mine, William Kentridge, Wael Shawky, Pierre Huyghe, Julie Mehretu, Zeng Fanzhi, Willem de Kooning, Ilya and Emilia Kabakov, Intervista Micky Hoogendijk, Mariko Mori, Austin Young/Fallen Fruit, Invisible Questions That Fill the Air, Amendola. Burri, Vedova, Nitsch, Helmut Newton, Monique Jacot, Arne Quinze, Eduard Angeli, Walton Ford, Roma Lepanto, Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia, Federica Marangoni, Intervista Franca Lugato – Grand Hotel Venezia | Galleries storie (p. 132 ) Un acquario di vetro alla stazione di Venezia musica (p. 138 ) Cantori Veneziani | Il Volo | Pooh | Umberto Tozzi | Giovanni Guidi | Hank Roberts-Filippo Vignato | Tania Giannouli | 105 Summer Festival | Venezia Suona | Bissuola Live | Sherwood Festival | Verona Jazz Festival | Summer Mira Sound | La Pagoda Des Bains 1900 | Il Muretto | More Venezia | James Ferraro classical (p. 152 ) Ariadne auf Naxos | Federico Maria Sardelli | Markus Stenz | Il Tamerlano | Musikàmera | Musica con le Ali | Trame Sonore | In principio era l’Acqua | 101 Arena Opera Festival theatro (p. 160 ) Titizé. A Venetian Dream | Eleonora Duse 100 | Scene di Paglia | Archivio de Bosio cinema (p. 166 ) Kinds of Kindness | 81. Mostra del Cinema: Peter Weir, Isabelle Huppert, Sveva Alviti | Très Court International Film Festival | Supervisioni | Intervista Mario Brenta e Karine de Villers | Cinefacts etcc... (p. 176 ) Intervista Álvaro Enrigue | Mestre Bookfest | Festival Aqua | Giacomo Stipitivich. Nel nome dell’oro | Alessandro Marzo Magno. I Leoni di Venezia citydiary (p. 185 )

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52. BIENNALE

TEATRO

Stefano Ricci and Gianni Forte produce their last, much anticipated Theatre Biennale, calling performers and audiences to reflect and externalize their inner selves, under the aegis of shared transcendence.

biennale teatro festival guide p. 25

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60. BIENNALE ARTE

Uprooting, adapting, belogning, identity are the features of a Venice Art Biennale that populates the whole city. Curator Adriano Pedrosa called the highest number of artists recorded for an enlarged, inclusive vision on modernity arte p. 56

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ART NIGHT 13

Local University Ca’ Foscari invites you for a great night out on June 22: museums, exhibitions, foundations, theatres, libraries, galleries to celebrate our very own art night! Venezia News’ digital map will guide you dusk to dawn. arte p. 96

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COVER STORY

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Salt Encrustations #2 & #3, Lake Magadi, Kenya, 2017, BURTYNSKY Extraction / Abstraction, M9, 2024

Il dittico mostra gli effetti surreali del sodio naturale lasciato sulla superficie del letto del lago Magadi in Kenya sul fondo di un cratere vulcanico. Sorprendentemente, il lago è noto anche per i suoi fenicotteri. Prima che il lago evapori completamente dopo la stagione delle piogge, lasciando dietro di sé il sodio senza vita, i fenicotteri e altri uccelli trampolieri si nutrono dei microrganismi che prosperano nelle acque salmastre del lago.

ENG This diptych shows the surreal effects of naturally occurring sodium left on the surface of the lakebed at the bottom of a volcanic crater. Surprisingly, Lake Magadi is also known for its flamingos. Before the lake evaporates completely after the rainy season, leaving lifeless sodium behind, flamingos and other wading birds feast on the microorganisms that thrive in the lake’s briny waters.

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CANTORI VENEZIANI

Two hours of great music in Piazza San Marco with the Cantori Veneziani choir performing Ennio Morricone’s unforgettable score for TV drama Marco Polo musica p. 138

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ARIADNE AUF NAXOS

Director Paul Curran and conductor Markus Stenz take to Fenice Theatre a glaring example of opera metatheatre thanks to the genius of Richard Strauss and Hugo von Hofmannstahl. High opera and farce live side by side on stage. classica l p. 152

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The Biennale Arte Guide

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Salt Encrustations #3, Lake Magadi, Kenya, 2017 (detail) © Edward Burtynsky, Courtesy Nicholas Metivier Gallery, Toronto

In my work, I’ve pursued a journey of creating a visual language that puts our dilemma in front of us without diverting our eyes or our attention. In the infinite universe of possibilities, the pursuit of beauty and the archetypes that are deeply embedded in our collective human consciousness feels like a worthy endeavour

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EDWARD BURTYNSKY EXTRACTION / ABSTRACTION

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Salt Ponds #4, Near Naglou Sam Sam, Senegal, 2019 (detail) © Edward Burtynsky, Courtesy Nicholas Metivier Gallery, Toronto Magadi Soda Company #1, Lake Magadi, Kenya, 2017 (detail) © Edward Burtynsky, Courtesy Nicholas Metivier Gallery, Toronto

Estrazione e astrazione, attorno a questa assonante dualità si sviluppa l’ampia monografica dedicata a Edward Burtynsky ospitata in anteprima italiana all’M9 –Museo del ’900 dopo il debutto alla Saatchi Gallery di Londra. In oltre quarant’anni di carriera il fotografo canadese ha attraversato il mondo testimoniando la complessa relazione tra Uomo e Natura e catturando gli effetti altrimenti invisibili che industrializzazione e sviluppo hanno impresso sul nostro Pianeta come segni indelebili su un corpo ferito. Eppure, queste cicatrici della Terra nelle grandi fotografie di Burtynsky si trasformano in immagini di struggente bellezza che restituiscono ipnotiche visioni immersive, paesaggi seducenti e sublimi visioni a volo d’uccello in cui i confini tra etica ed estetica sembrano dissolversi. Curata da Marc Mayer, già direttore della National Gallery of Canada e del Musée d’Art Contemporain di Montreal, l’esposizione raccoglie oltre 80 fotografie di grande formato, 13 murales ad alta definizione, un’esperienza di realtà aumentata e una sezione inedita, Archive of Process, che mostra gli strumenti e le fotocamere utilizzate dal fotografo per realizzare quelle che egli definisce “le mie incursioni industriali su larga scala nel pianeta”. Fa parte della mostra anche un’installazione multischermo dal titolo In the Wake of Progress (Sulla scia del progresso). Realizzata nel 2022 e proiettata in varie occasioni in spazi densamente commerciali, su schermi solitamente occupati dalla pubblicità, l’opera mostra valanghe di rifiuti metallici, detriti e fanghi avvelenati come contrappunto allo stordimento del consumismo. Mentre il mondo affronta la realtà del cambiamento climatico e del degrado ambientale, il lavoro di Burtynsky è più rilevante che mai e si erge come un potente monito che tuttavia non assume mai i toni della predica, invitando piuttosto alla riflessione e sfidando l’osservatore a considerare il proprio ruolo nell’ecosistema globale. Attraverso il suo obiettivo, più rivelatore che punitivo, Burtynsky ci costringe a guardare più da vicino, a pensare più profondamente e ad agire con maggiore responsabilità. Marisa Santin

Extraction and abstraction – this is the assonant duality at the centre of the extensive career survey dedicated to Edward Burtynsky, presented for the first time in Italy at the M9 – Museum of the 20th Century after its debut at the Saatchi Gallery in London. Over more than forty years, the Canadian photographer has traveled the world, documenting the complex relationship between human beings and Nature and capturing the otherwise invisible effects that industrialization and development have imprinted on our planet like indelible marks on a wounded body. Yet, these scars of the Earth in Burtynsky’s large photographs transform into images of poignant beauty that provide hypnotic immersive visions, seductive landscapes, and sublime bird’s-eye views where the boundaries between ethics and aesthetics seem to dissolve. Curated by Marc Mayer, former director of the National Gallery of Canada and the Musée d’Art Contemporain in Montreal, the exhibition gathers over 80 large-format photographs, 13 high-definition murals, an augmented reality experience, and a new section, Archive of Process, showcasing the tools and cameras used by the photographer. The exhibition also includes a multi-screen installation titled In the Wake of Progress. Created in 2022 and presented on various occasions in densely commercial spaces, on screens usually occupied by advertising, the work shows tons of metallic litter, debris, and poisoned sludge as a counterpoint to the daze of consumerism. As the world faces the reality of climate change and environmental degradation, Burtynsky’s work is more relevant than ever and stands as a powerful warning that never adopts a preaching tone, instead inviting reflection and challenging the observer to consider their role in the global ecosystem. Through his lens, more revealing than punitive, Burtynsky forces us to look closer, think more deeply, and act more responsibly.

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BURTYNSKY Extraction / Abstraction 21 giugno 2024 – 12 gennaio 2025 M9 – Museo del ‘900, Mestre www.m9museum.it
Burtynsky on the Bonneville Salt Flats, USA, 2008. Photograph by Joseph Hartman

cover story

EXTRACTION / ABSTRACTION

BIO

La carriera di Edward Burtynsky si è evoluta di pari passo con i maggiori cambiamenti tecnologici della fotografia dalla sua invenzione, nel 1839. Il suo lavoro ha infatti anticipato innovazioni che sono poi diventate caratteristiche standard del mezzo, come l’acquisizione digitale a distanza e la stampa digitale. Nel 1986 ha fondato Toronto Image Works, un servizio di elaborazione e stampa fotografica per artisti che gli ha permesso di accedere alle attrezzature e alle tecniche più recenti, man mano che si affacciavano sul mercato. Da allora ha proseguito la propria attività imprenditoriale nel campo della realtà aumentata e della stampa 3D, entrambe estensioni della fotografia.

ENG Edward Burtynsky’s career has evolved in tandem with the major technological changes in photography since its invention in 1839. His work has, in fact, anticipated innovations that later became standard features of the medium, such as remote digital capture and digital printing. Burtynsky’s establishment of Toronto Image Works in 1986 – a photo processing and printing service for fellow artists – gave him access to the latest equipment and techniques as they emerged on the market. Since then, he has pursued his entrepreneurial practice in the fields of augmented reality and 3D printing, both extensions of photography.

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Saw Mills #2, Lagos, Nigeria, 2016 (detail) © Edward Burtynsky, Courtesy Nicholas Metivier Gallery, Toronto
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Uralkali Potash Mine #1, Berezniki, Russia, 2017 (detail) © Edward Burtynsky, Courtesy Nicholas Metivier Gallery, Toronto
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Festival Guide

IL CORAGGIO DI SOGNARE

Il Festival sarà un invito a perdersi per ritrovarsi, a lasciarsi avviluppare dal buio per emergere alla luce...

Impareggiabile coppia artistica di autoriregisti Stefano Ricci e Gianni Forte, o ricci/forte come si firmano dal 2005, si congedano dal loro ruolo di Direttori Artistici di Biennale Teatro al termine di un mandato quadriennale iniziato nel 2021, tradottosi un mirabolante percorso di scoperta che ci ha permesso di viaggiare tra svariati mondi, scandagliando territori fino ad allora ignoti attraverso la loro peculiarissima visione sempre dettata da una curiosità pulsante, vitale.

Niger et Albus, questo il titolo della 52. Biennale Teatro, si presenta come «un’avventura senza uguali, rimanendo per gli spettatori uno spazio di desiderio, meraviglia, crocevia di dibattiti e confronti, irradiando risolutamente la vitalità della città di Venezia, e non solo».

Dal 15 al 30 giugno, continuano i Direttori, «una line-up di straordinari artisti poetico-visionari si mobiliterà per risvegliare le coscienze e delineare i contorni di un futuro più desiderabile, squarciare universi inesplorati squassando il nostro orizzonte di routinaria attesa, stupendoci con performance indimenticabili, offrendo un biglietto di A/R per un altrove trasversale».

Siamo giunti al traguardo di questo vostro mandato. Ci avete guidato negli anni attraverso un prisma di colori e visioni poetiche, partendo dal Blue, che nel 2021 ci ha traghettato fuori dalla pandemia, passando nel 2022 per il Rot/Rosso, un teatro-terapia per orientare il paziente confuso nel riappropriarsi della propria storia, per poi immergerci nei toni brillanti di Emerald, che lo scorso anno è stata una vera e propria infusione di nuova speranza. Ci lasciate – almeno per il momento – con Niger et Albus, “bianco e nero”: cosa si nasconde dietro a questo titolo? Quale sortilegio dobbiamo aspettarci per il 52. Festival di Teatro della Biennale? NIGER et ALBUS, due parole che evocano l’eterna danza tra il Nero e il Bianco, due non colori, simboli di un dualismo ancestrale. La 52. edizione si avvolgerà in questo manto binario, invitando il pubblico a una ricognizione appassionata delle proprie realtà interiori. Lontani

52. Festival Internazionale del Teatro - Niger et Albus 15-30 giugno www.labiennale.org

dall’iridescenza abbagliante dei colori che distraggono e sovrastano, il Nero e il Bianco diventeranno specchi della nostra essenza, guide per una spedizione emotiva verso una consapevolezza più autentica. In questo scenario, le narrazioni prenderanno forma in una visione poetica, dove le domande fondamentali sull’esistenza saranno affrontate con una sensibilità unica: «Chi siamo? Perché viviamo? Da dove veniamo e dove sta andando l’Umanità?». Questi interrogativi risuoneranno nelle performance, negli spettacoli, nelle installazioni, nelle Master Class e mise en lecture diventando tappe di una fuga onirica che si ergerà come antidoto al Presente frenetico e opprimente. Saranno le storie di vita, amore, legami, separazioni, scomparse a intrecciarsi, a formare una trama coesa che cercherà di dare significato al nostro essere. La ricerca di trascendenza ci porterà a esplorare una foresta di parole e silenzi, di azioni e riflessioni. In questo spazio, la musica del dubbio metodico si farà strada, risuonando con le inquietudini del nostro tempo. NIGER et ALBUS, una lente magica attraverso la quale osservare il Teatro come un prodigioso percorso di scoperta e riconciliazione con le nostre verità più intime. Così, tra le ombre del Nero e i bagliori del Bianco, il Festival della Biennale Teatro sarà un invito a perdersi per ritrovarsi, a lasciarsi avviluppare dal buio per emergere alla luce, cercando di risvegliare in noi una connessione potente con la nostra natura, conducendoci in un folgorante viaggio che promette di manifestarsi tanto spiazzante quanto rivelatore.

In questi quattro anni avete portato a Venezia autori, registi, attori e performer che difficilmente avremmo avuto modo di incontrare al di fuori del circuito Biennale. Leoni come Kae Tempest, Samira Elagoz, Christiane Jatahy, Krzysztof Warlikowski, registi di culto come Milo Rau, che ritroviamo con molto piacere quest’anno, Boris Nikitin, i formidabili FC Bergman, o Bashar Murkus e, ancora Caden Manson e Peeping Tom, per citarne solo alcuni… Quale la “formula segreta” di ricci/ forte per riuscire a stupirci ad ogni festival?

In quanto Direttori Artistici, il nostro approccio è simile a quello di un giardiniere utopista-fantasticatore che

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a cura di Chiara Sciascia e Fabio Marzari biennale teatro
Stefano Ricci e Gianni Forte
Biennale Teatro
Intervista
Direttori

semina con cura e attende pazientemente la fioritura di piante straordinarie. Ascoltiamo le voci del mondo, captiamo i segnali del cambiamento e tentiamo di tradurli in una programmazione che non conosce limiti, che accoglie la diversità e celebra l’innovazione. Quindi la “formula segreta” non è altro che un’alchimia di intuizioni e passioni, un tessuto che si nutre di visioni audaci, di empatia, di un’incessante ricerca di bellezza e verità, di una curiosità insaziabile verso l’Umanità e le sue infinite sfaccettature. Anche questo Festival, quarto e ultimo del nostro mandato, sarà concepito come un mosaico vivo, composto da frammenti di storie, di sguardi, di emozioni che si intrecceranno per creare un arazzo di esperienze uniche e possibilmente irripetibili. Non ci siamo mai limitati a scegliere artisti, ma abbiamo cercato sempre anime che vibrassero in sintonia con il battito contemporaneo, che osassero scandagliare territori inesplorati e che sfidassero le convenzioni del teatro. Registi, autori e performer, come i Back to Back Theatre e i Gob Squad, solo per citare i Leoni d’Oro e d’Argento 2024, sono selezionati non solo per il loro innegabile talento, ma per la loro incessante capacità di portare una luce nuova, differente e perturbante, di aprire porte verso universi inaspettati, di infrangere barriere, di creare connessioni simbiotiche con il pubblico, rivelando verità nascoste attraverso le loro opere. La magia di tutte le artiste e di tutti gli artisti partecipanti a questa 52. edizione sta nel loro coraggio di sognare e nel loro impegno a realizzare quei sogni: non saranno semplici ospiti, ma co-creatori di un rito di passaggio, di un tragitto collettivo, insieme ad ogni singolo spettatore, per rendere la Biennale Teatro un luogo di metamorfosi continua. Il loro sarà un incoraggiamento a lasciarci sorprendere, a essere vulnerabili, a vivere il Teatro non solo come spettacolo, ma come esperienza totalizzante che ci cambia nel profondo, un’occasione per riscoprire noi stessi e il mondo attraverso gli occhi di chi osa guardare oltre l’orizzonte.

La vostra rabdomantica ricerca sulla nuova creatività si traduce efficacemente in Biennale College Teatro, che ci ha permesso e ci permette di scoprire e seguire i percorsi

Playwrights and directors Stefano Ricci and Gianni Forte, or ricci/forte as they present themselves since 2005, left their position as Art Director of the Venice Theatre Biennale after a four-year tenure, which took us into worlds and territories that we had never thought theatre belonged. Niger et Albus (Latin for ‘black & white’) is the title of the 52nd Theatre Biennale, promising to be “an adventure with no equals, and for the audience, a space for desire, marvel, and debate.”

We are looking at the final year of your tenure. You took us on a journey of colourful and poetic visions, starting with your 2021 production – Blue – and following with your 2022 Rot/Rosso, a therapy theatre production that guided a confused patient to reappropriate their own story, and with Emerald, a veritable injection of hope. What will we find in Niger et Albus?

Black and White – not two colours, but a symbol of ancestral duality. The 52nd Theatre Biennale will be all about this binary, and will invite the audience to assess their inner reality. Far from glaring hues that do nothing but dazzle and overwhelm us, the Black and the White will be the mirrors of our essence, guiding us into a more authentic self-awareness. In this scenario, narrations will take the form of poetic vision, where the essential questions on existence will be answered with unique sensitivity. Who are we? Why are we alive? Where do we come from, and where is humankind going? These questions will echo throughout the performances, shows, installations, in our Master Classes and mise-en-lecture, each a step into a dreamlike escape, an antidote to the hectic, oppressing present. We will see stories of life, love, relationships, separation, demise, all weaving into a consistent plot. Theatre can be an amazing journey of discovery and reconciliation with the truths we hold most intimately. The shadows of Black and the brilliance of White will invite us to lose ourselves, find ourselves back, enjoy the embrace of darkness, and emerge into light again, allowing for a deeper connection with our nature.

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© Andrea Avezzù

biennaleteatro

NIGER ET ALBUS

RICCI/FORTE

di nuovi drammaturghi, registi e performer. In che modo si è sviluppato il percorso del College durante il vostro mandato e quali sentimenti suscita in voi il bilancio di questa esperienza?

Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane, affermava Calvino. Lo smarrimento, unito a un’inesauribile energia creativa, è un bene che va salvaguardato. Personalmente, ritengo il College di Biennale Teatro la sfida e il tesoro più prezioso di questo mandato; creare una struttura che catalizzi, sostenga e accompagni la ricerca drammaturgica/performativa/registica dovrebbe essere il primo comandamento di ogni paese civile. Sappiamo bene che non è questa la realtà e Biennale, negli ultimi quattro anni, rimane uno dei pochi avamposti contro il disinteresse comune verso quella dimensione unica e prodiga che è la gioventù. Confrontarsi con il nuovo, invece di difendere la polvere, dovrebbe rientrare in ogni statuto.

Nelle vostre parole, Niger et Albus ci invita ad immaginare un mondo migliore e più armonioso attraverso la ricerca dei mezzi necessari per costruirlo. Com’è un mondo migliore e più armonioso nella visione di ricci/forte? Quale futuro vi augurate, auspicate, immaginate? Qualunque futuro appare migliore del presente, sempre che sia accompagnato da azioni, perché gravido di variabili ossigenanti. Sui perimetri immaginati posso parlare unicamente per me [Stefano Ricci n.d.r.] auspicando una liberazione eschilea: «agli dèi chiedo la liberazione dalla presente pena, da questa vigilanza che di anno in anno a lungo dura»; l’attesa di una fiamma gioiosa, annunciatrice, che altri non è che la tolleranza, la curiosità, la comprensione e il rispetto della differenza come valore, la presa in carico di una responsabilità culturale per lo sviluppo di un paese che vive nel presente.

I progetti dopo Biennale Teatro vi vedranno impegnati singolarmente. L’esperienza forte ed esaltante di un duo ha bisogno, immaginiamo, di successivi, ulteriori tratti di strada da compiersi singolarmente. Dove vedremo Stefano Ricci e Gianni Forte?

Stefano Ricci_Tra gli spazi di quel lemma citato – singolarmente –ci sono tutti i prodromi per una manifestazione rigenerante verso un altrove auspicato.

Gianni Forte_Dopo la Biennale Teatro, si apriranno sentieri iniziatici “altri” che si snoderanno in direzioni diverse, entrambe arricchite dall’esperienza condivisa, dall’eredità artistica costruita insieme. Due voci soliste che seguiteranno a risuonare, ciascuna con il suo timbro, ciascuna con la propria personalissima melodia. Gianni Forte si dedicherà a nuovi progetti teatrali e letterari, intraprendendo un cammino solitario ma altrettanto fecondo di scoperte, come quella più recente della traduzione. Nella sezione “Vuoti di memoria” per una casa editrice estera, sta rilanciando e riportando alla luce poetesse/poeti, autrici/autori francofoni straordinari e dimenticati da tempo, continuando a scrutare le dinamiche dell’animo umano, interrogando la realtà, trasformando ogni opera in un’indagine interiore e esteriore. Così, mentre il sipario cala su un capitolo, si aprirà un ulteriore e stimolante scenario, dove ognuno seguirà la sua rotta con quell’impegno e fervore che hanno caratterizzato i loro oltre vent’anni di collaborazione.

Over the years, you invited to Venice authors that we might have never met outside the Biennale Circuit. What is your secret formula?

As Art Directors, our approach is similar to that of a utopian, fantasist landscaper who sows with care and patiently waits for beautiful plants to blossom. We listen to the voices of the world, capture the signals of change, and try to translate them into a programme that shall have no boundaries, one that welcomes diversity and celebrates innovation. Our ‘secret formula’ is nothing but an alchemy of intuition and passion, a network that grows on daring vision, empathy, research of beauty and truth, and insatiable curiosity for Humankind.

Our upcoming Biennale will be a living mosaic of fragments of stories, looks, feelings that intersect into a tapestry of unique, hopefully unrepeatable experiences. We didn’t just pick different artists, but we strived to look for souls that vibrate in tune with modernity, that dare explore the unexplored, that challenged the conventions of theatre. Directors, playwrights, performers – like Back to Back Theatre and Gob Squad, have been picked for their undeniable talent, yes, but also for their ability to bring a new, different, even disturbing light, and to open portals onto unexpected universes. They can create new symbiotic connections with their audience and reveal hidden truths with their art.

Your excellent scouting also shows in the Biennale College programme, which will allow us to discover the up-and-coming talents in the world of theatre. How did you develop the programme over your tenure, and how do you feel about the work you did?

Sometimes, one feels incomplete, though he’s really just young, once said author Italo Calvino. Bewilderment, paired with creative energy, is something we should treasure. Personally, I think the Biennale College is the highest challenge and the most precious work of our mandate: to build something that catalyses, supports, and accompanies drama, performance, and theatre in general should be the first imperative of a civilized country. We know this is far from the truth and the Biennale is one of the few toeholds against the prevalent disinterest towards youth affairs. To confront the new, instead of preserving dust, should be paramount.

Your next projects will be carried out individually. Where are we going to see you next?

SR_The answer lies in that very word – individually – therein are the prodromes of regeneration into wished-for elsewhere…

GF_After the Venice Theatre Biennale, other paths will take us in different directions, all enriched by our shared experience. I will work on both theatre and literature as a solo player onto a path that promises beautiful discoveries, like the world of translation. There are long-forgotten francophone authors that need to be rediscovered, and will help investigate the dynamics of the human soul, question reality, turning each work of art into an inner and outer inquiry. So, as the curtains drop on one chapter, we are looking forward to a further, stimulating stage, where each can follow their path with that commitment and excitement that they had over the twenty-plus years of working together.

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Elogio dell’unicità

Da Geelong, centro vittoriano in Australia, i Back to Back Theatre arrivano per la prima volta in Italia a ricevere il Leone d’Oro alla Carriera della 52. Biennale Teatro. Sulla scena dal 1987, Back to Back Theatre si è negli anni andata ad affermare come una delle compagnie più innovative del panorama internazionale, facendo della disabilità un potente strumento di indagine artistica. Attraverso un significativo corpus di lavori che mettono in discussione i presupposti di ciò che è possibile fare in teatro, Back to Back «disintegra con ferocia poetica ogni pregiudizio, ogni stigma di compassione: se il corpo ha limiti espressivi, tali demarcazioni in scena diventano a loro volta grammatica differente – si legge nella motivazione di Stefano Ricci e Gianni Forte – [...] dove la diversità è portatrice di amplificazione di conoscenza, di inclusione, per curare le deformità di consapevolezza di noi apparenti abili». A Venezia presentano il loro Food Court, un lavoro del 2008 sul bullismo in cui domina la straordinaria potenza visiva e l’estetica punk di Back to Back Theatre, eccezionalmente accompagnati dalla cult band australiana The Necks, che improvviserà una traccia sonora diversa per ogni performance. In attesa di vivere quella che viene definita una “near-death experience in una periferia delle meraviglie”, incontriamo il direttore artistico Bruce Gladwin e l’attore Scott Price.

Quali le ragioni che vi hanno spinto oltre trent’anni fa a scegliere il Teatro come palcoscenico privilegiato per raccontare le vostre storie coraggiose, sfacciate, inclusive, radicali e politicamente impegnate? Come i linguaggi della drammaturgia si sono evoluti in questi anni?

Bruce Gladwin_Scott, uno dei nostri attori, è con noi da diciassette anni e io sono direttore artistico da venticinque. Né io né lui siamo membri fondatori, ma entrambi teniamo fede alle priorità e agli obiettivi che sono sempre stati propri della compagnia. Con me come direttore artistico la compagnia ha consolidato la sua filosofia, il suo metodo e anche la capacità logistica di indagare, creare e produrre una grande varietà di lavori. Lavori che sfidano le aspettative del pubblico e la loro idea di quale tipo di persone possano fare teatro e quali no. Il linguaggio del nostro teatro dipende sempre e comunque da chi vi partecipa.

“Back to Back”, letteralmente “schiena contro schiena”: quale il significato assoluto che il collettivo ha voluto restituire con questo nome?

Scott Price_Il significato è il senso per il lavoro: alzarsi ogni mattina e produrre l’arte migliore possibile. Fare quello che ti piace. Questo è fare teatro.

Ricci e Forte nella motivazione dell’assegnazione del Leone d’Oro affermano: «La loro è una parabola visionaria di comunicazione che disintegra con ferocia poetica ogni pregiudizio...». Quale la vostra definizione di normalità e di diversità?

SP_Che cosa è normale? La società dovrebbe guardarsi allo specchio e chiedersi: vale la pena fare questa domanda? Siamo tutti unici, ciascuno in modo diverso.

«Se il corpo ha limiti espressivi, tali demarcazioni in scena diventano a loro volta grammatica differente...» (Ricci/Forte). Questo percorso di ricerca, scoperta, elaborazione, superamento sembra essere diventato negli anni manifesto esistenziale del nostro contemporaneo. Quali elementi portanti del vostro teatro costituiscono una reale analisi della nostra società?

SP_Non ci sono limiti, ci siamo solo noi e il palcoscenico, nient’altro nel mezzo. Lavoriamo nel modo migliore possibile. Il nostro pubblico viene per svago – e lo ottiene – ma anche per sentirci dire che la società può fare schifo.

Nelle vostre opere, un ruolo importante riveste l’improvvisazione, che declinate sia a breve che a lungo termine. Quale processo creativo “unico” e personale sollecitate nei protagonisti?

E come prende avvio un nuovo progetto?

SP_Scegliamo le idee migliori tra quelle che destano il nostro interesse; facciamo il tipo di teatro che noi stessi vorremmo andare a vedere come pubblico, oppure scegliamo i ruoli che più vogliamo interpretare.

BG_Cominciamo col raccogliere le idee, compiliamo una lista di idee che stimolano il nostro interesse o la nostra curiosità, studiamo, ne parliamo con gli esperti. La nostra curiosità ci spinge a cercare la connessione tra due cose che si pensava fossero molto diverse. Improvvisiamo e mettiamo assieme piccole performance. Tutto è documentato e messo a copione, poi miglioriamo le bozze e diamo forma alla storia e alla crescita dei personaggi.

Il Leone d’Oro della Biennale Teatro 2024 giunge a coronamento di un palmarès nazionale e internazionale di grandissimo rilievo (contiamo almeno 22 premi tra nazionali e internazionali). Quale significato assume per voi questo riconoscimento?

SP_Significa veramente molto, è un vero onore ricevere questo premio. Fino ad ora per me il Leone d’Oro era qualcosa che leggevo solo sul giornale. BG_Non avevamo mai fatto tournée in Italia prima d’ora. Già il solo poter esibirsi alla Biennale è un’emozione incredibile, ma addirittura ricevere un premio davvero ci fa capire che il nostro lavoro è stato apprezzato e incluso, in qualche modo, in un canone.

Al Teatro Piccolo Arsenale il 28 e 29 giugno l’attesa è naturalmente grande per la prima nazionale di Food Court Cosa vedremo in scena e quale sfida sarà per il pubblico?

SP_Il nostro lavoro si concentra sul tema del bullismo, che è un fenomeno universale e per alcuni di noi anche molto personale. Potere e Cura sono due temi essenziali del nostro lavoro.

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cura di Mariachiara Marzari biennale teatro Leone d’Oro alla Carriera Intervista Back to Back Theatre Bruce Gladwin Artist director Scott Price Actor
a

Non ci sono limiti, ci siamo solo noi e il palcoscenico

In praise of uniqueness ENG

From Geelong, Australia, Back to Back Theatre visit Italy for the first time to receive the Golden Lion for Lifetime Achievement at the 52nd Venice Theatre Biennale. In business since 1987, Back to Back Thetatre established themselves as one of the most innovative theatre companies worldwide, turning disability into a powerful tool of artistic research. A substantial set of plays question the tenets of what can and cannot be done on a theatre stage. Back to Back are in Venice with Food Court, a 2008 piece on bullying dominated by their punk aesthetics’ extraordinary visual presence. They will be accompanied by Australian cult band The Necks, who will improvise music for each of their performances. While we wait to see what has been called a “near-death experience in the outskirts of wonderland”, we met art director Bruce Gladwin and actor Scott Price.

What prompted you, over thirty years ago, to pick theatre as the stage for your brave, bold, inclusive, radical, and political stories? How has the language of drama evolved since?

Bruce Gladwin_Scott has been an actor with the company for 17 years and myself for 25 years as the Artistic Director. We were not the founding members of the company but we try to continue on the priorities and objectives.

In my time, the company has consolidated its philosophy, methodology and logistical capacity to investigate, create and deliver a dynamic range of works which challenge audiences’ expectations as to who can make theatre. The language of the drama we make has always depended on who is in the ensemble.

Back to Back – what is the absolute meaning that your collective labelled as such?

Scott Price_It means a sense of work. Getting up in the morning and making great art. Doing what you love and that is theatre.

In their motivation for the Golden Lion Award, Ricci and Forte stated: “A visionary parable of communication that with poetic ferocity disintegrates every prejudice”. What is your personal definition of normalcy and difference?

SP_What is normal? Human society should take a hard look at themselves and ask - is this question worth asking? We are all unique in our different ways.

“If the body has expressive limitations, on stage these demarcations themselves become a different grammar.” (Ricci/Forte). This journey of research, discovery, elaboration, and overcoming seems to be the existential manifesto of modernity. What essential elements in your art are a real analysis of our society?

SP_There are no limits, there is just us and the stage, there is nothing in between us. We perform at our best. The audience gets entertainment but they also get us saying that society can be shit.

In your works, improvisation is essential, both long- and short-term. What unique and personal creative processes do you encourage in your protagonists? How do you start a new project?

SP_We pick the best ideas that interest us, we make work we want to see ourselves, or roles that we want to play.

BG_We start with collecting ideas, we assemble a large list of thoughts that engage our interest or curiosity, we research and speak to experts. We are curious to draw lines of association between two things that were thought to be unalike. We improvise and build small performance moments. Everything is documented then scripted, we refine drafts, shaping narrative and character arcs.

The 2024 Golden Lion at the Theatre Biennale comes after a long list of national and international awards – over 22. What meaning does the award have for you?

SP_It means a lot, it’s an honour to be receiving this award. I’ve heard about The Golden Lion through news reports.

BG_Italy is a country we have never toured to before. Just to be performing at The Venice Biennale is an absolute thrill, but to receive the award feels our work is being acknowledged with some significance in the greater canon.

At Teatro Piccolo Arsenale, on June 28 and 29, Food Court will have its Italian premiere. What will we see on stage? And how will the audience be challenged?

SP_The performance deals with bullying, it’s universal and for some of us in the company it is very personal. ‘Power’ and ‘care’ are two ongoing themes in our work.

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Photo Jeff Busby

Fabbricanti di stelle

Gob Squad, Leone d’Argento della 52. Biennale Teatro. La motivazione scritta dai direttori Stefano Ricci e Gianni Forte è senza mediazioni: «per essere tra i più profondi, poetici, politici, innovativi artisti del linguaggio teatrale nel mondo».

Un collettivo, anzi una “gang”, si definiscono così i sette membri fondatori del gruppo nel lontano 1994 a Nottingham, poi stabilitisi a Berlino. Il loro teatro non vive solo in palcoscenico, ma in qualunque luogo della vita quotidiana ed è caratterizzato da una ricerca incessante dell’incontro con l’Altro. Un’importante critica tedesca Barbara Behrendt così scrive a riguardo: «dietro la cortina delle banalità si nascondono verità filosofiche... una scuola di empatia che fa del suo meglio per capire la vita di un’altra persona». L’occasione era la loro performance Is Anybody Home, ove una persona banalmente incontrata veniva invitata a salire sul palco su un grande letto, mentre alcuni attori esploravano il suo appartamento cercando dettagli della sua vita o talvolta di immedesimarsi nei suoi pensieri attraverso gli oggetti trovati. In ogni loro spettacolo il contatto con il pubblico, per quanto faticoso, è ricercato incessantemente. Nel loro testo programmatico, Joined Forces Audience Participation in Theatre Performing Urgencies, dichiarano esplicitamente: «Il diciannovesimo secolo è stato il secolo degli attori, il ventesimo fu il secolo dei registi, il ventunesimo è quello degli spettatori». A Venezia vedremo Creation, tratto da The Picture of Dorian Gray, una riflessione sul passare del tempo, sulla morale e la morte, sulla bellezza come moneta, valore che si vorrebbe preservare, che invece «è come un fiore e non si può conservare se non congelandolo, cioè facendolo morire». L’altro allestimento, Elephants in Rooms, visibile tutti i giorni del Festival a Forte Marghera, è un percorso attraverso quattordici stanze di artisti provenienti da ogni parte del mondo girato durante la pandemia e nella conseguente reclusione

Cerimonia di consegna 16 giugno Ca’ Giustinian

Creation (Picture for Dorian) 15, 16 giugno Teatro Piccolo Arsenale

Elephants in Rooms 15-30 giugno Forte Marghera, Mestre

in casa, ove la finestra restava l’unico sguardo sul mondo esterno. Con simpatia ed empatia li intervistiamo.

Quest’anno tagliate il traguardo dei trent’anni di attività insieme, davvero molti. Quale la molla che vi spinge a continuare la ricerca, il contatto sicuramente faticoso con il pubblico, mettendo in atto in qualche modo una continua provocazione al fine di riflettere profondamente sullo stato del mondo?

La risposta più semplice è che dobbiamo farlo. Il mondo è un posto confuso, pauroso, emozionante e magico. Fare arte è il modo migliore per processare il modo in cui reagiamo al suo cospetto, il modo per dire al nostro pubblico «noi la pensiamo così e ci sentiamo così, e voi?». L’altra cosa che ci permette di andare avanti è che siamo una squadra, un collettivo. Ci diamo man forte e siamo presenti l’uno per l’altro quando serve. Possiamo condividere tutto, il bello e il brutto, l’allegro e il triste, provando a restituire questo nostro vissuto al nostro pubblico creando situazioni il cui scopo è innanzitutto condividere emozioni. Mostriamo che non siamo soli.

Abbiamo letto con molto interesse il vostro testo del 2016 e siamo in attesa di sentire/vedere Creation (Picture for Dorian) . Continuate a ritenere vera l’affermazione che il nostro sarà il secolo non più degli attori e dei registi, bensì degli spettatori?

Nella prima parte di Creation (liberamente ispirato dal personaggio per eccellenza di Oscar Wilde, Dorian Gray) abbiamo impostato una relazione triangolare tra

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a cura di Loris Casadei
teatro
d’Argento
biennale
Leone
Intervista Gob Squad
Gob Squad – Photo Garret Davis / Capture Imaging

artista, opera d’arte e spettatore. Un artista può creare l’opera più profonda in assoluto, ma ha bisogno che qualcuno la guardi perché possa avere un qualche impatto o significato nel mondo. L’opera non è completa senza spettatore. Per questo assegniamo al nostro pubblico una parte attiva nelle nostre produzioni; sono liberi di entrare nell’immagine loro stessi se vogliono. Le nostre opere devono essere accessibili, non chiuse. È per questo che le portiamo lì dove c’è la gente: per strada, in stazione, nei negozi… Coi nostri lavori più recenti abbiamo prestato grande attenzione a chi sedeva tra il pubblico, a chi insomma guardava il nostro lavoro. Chi, invece, ha scelto di non venire? E come possiamo cambiare le cose? Una possibile risposta è uscire dalla nostra bolla e cercare di portare queste persone sul palcoscenico e creare insieme a loro, accompagnandole nel cuore del progetto, permettere loro di raccontare le proprie storie con parole loro.

Guardando i vostri lavori viene naturale pensare al Living Theater o, che so, a Andy Warhol. Ma forse è un’associazione superficiale… Nel corso di questi anni quali sono stati i punti e gli spunti di riflessione che avete ricavato da altri autori? Andy Warhol è stato certamente una nostra fonte di ispirazione, sì. Abbiamo scritto interi pezzi sui suoi primi film, quelli della serie su attività di vita quotidiana come Eat, Haircut, Kiss, Sleep, Kitchen, Screen Tests… Li abbiamo rifatti come spettacolo dal vivo: Gob Squad’s Kitchen (You’ve never had it so good). In questo “film dal vivo” ci sostituiamo gradatamente a membri del pubblico, che a loro volta ci sostituiscono sulla scena. È un film che ha bisogno di pubblico per esistere. Ci piaceva molto la definizione, la creazione, da parte di Warhol, del termine “superstar”, che poteva applicarsi a chiunque frequentasse la Factory all’epoca. Non erano per forza perso-

Quando interagiamo con pubblico e passanti… li solleviamo e li presentiamo come le vere star dell’evento, come dei preziosi objets

trouvés

Starmakers ENG

The 52nd Venice Theatre Biennale art directors Stefano Ricci and Gianni Forte awarded the Silver Lion to Gob Squad, in their words “among the most deep, poetic, political, innovative theatre artists in the world.” A collective, or rather a ‘gang’ as they fashion themselves, the seven members got together in Nottingham in 1994 and later moved to Berlin. They make theatre in any place where life happens, and they do it by continuously establishing connections with the Other. In all their shows, contact with the audience is pursued at all costs. Their programme, Joined Forces Audience Participation in Theatre Performing Urgencies, clearly states: “The nineteenth century was a century of actors. The twentieth century was a century of directors. The twenty-first century is a century of spectators.”

At the Biennale, we shall see Creation, loosely inspired by The Picture of Dorian Gray. It is a reflection on the passing of time, on morals, on death, and on beauty as currency. Their other installation, Elephants in the Room, is an itinerary through fourteen artist rooms coming from all over the world, who took videos during the pandemic and their windows were the only outlet to the outside world.

In 2024, you will celebrate your thirty years of theatre together. What encourages you to keep researching, to keep interacting with your audience, to stage intellectually curious acts that make us want to reflect on the state of the world?

The simple answer is that we need to. The world is a confusing, frightening, exciting, and magical place. Making art is the best way we have found of processing our response to it, to tell our audiences “This is what we think and feel. How about you?”

And the other thing that keeps us going is that we are a gang, a collective, where we can pick each other up and be there for each other when needed. We bounce off each other, so we can share the good and the bad stuff, the ups and the downs. And we try to convey that feeling to our audiences by creating situations where we see and feel each other – where we are not alone.

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biennaleteatro

LEONE D’ARGENTO GOB SQUAD

ne con un qualche talento o formazione specifici, ma semplicemente individui dotati di una certa allure che a Warhol piaceva mostrare davanti alla cinepresa. A noi di Gob Squad piace innalzare il concetto, la dimensione del banale e del quotidiano. Questo desiderio ha sempre informato i nostri lavori, sin dall’inizio. Quando interagiamo con pubblico e passanti proviamo a rielaborare a modo nostro esattamente quanto si faceva alla Factory: li solleviamo e li presentiamo come le vere star dell’evento, come dei preziosi objets trouvés

Oltre a Warhol, siamo stati ispirati da molti altri scrittori, film, video pop e artisti nel corso degli anni, tra cui:

Maggie Nelson, On Freedom e The Argonauts a proposito di libertà, cura, giustizia e identità.

Emma Kay, Worldview, sullo scrivere di storia.

Naomi Klein, This Changes Everything, No Logo, a proposito di ecofemminismo e su come salvare il futuro.

Sheila Heti, How should a person be, Motherhood, sulle contaminazioni tra memoria, finzione e filosofia.

Ian McEwan, Saturday, Machines Like Us, sul progresso tecnologico, l’intelligenza artificiale e i problemi morali che sollevano.

David Byrne, True Stories (film, 1986) e Stop Making Sense dei Talking Heads. Victor Fleming, The Wizard of Oz (film, 1939).

La finestra è un simbolo che ricorre nelle creazioni di grandi poeti e scrittori, dalla Tabacaria di Pessoa al Betrachtung di Kafka. In Elephants in Rooms che ruolo le assegnate?

Sia finestre che dipinti hanno una cornice, un rettangolo che definisce i confini di quanto può essere visto. Gli spettatori di Elephants in Rooms

vedono le persone sui quattordici schermi come i personaggi di un dipinto. Le persone nel video, tuttavia, stanno lì a guardare fuori dalla finestra. Quindi gli spettatori vedono, incorniciate, persone che guardano fuori da un’altra cornice. Le finestre sono membrane tra pubblico e privato, tra ciò che si sceglie di mostrare e ciò che rimane nascosto, inaccessibile alla vista.

Non vi definite compagnia teatrale, ma piuttosto “gang”. Quali sono stati i rituali di iniziazione e di accoglimento nel gruppo?

Se decidiamo di accogliere un nuovo attore cerchiamo di metterlo a suo agio. Gli diciamo «sei qui per recitare te stesso, non un ruolo immaginario, quindi non puoi sbagliare: basta essere te stesso». Abbiamo anche una versione tutta nostra, estrema, di darci il cinque che rasenta il pericoloso. La cosa più importante per i nuovi membri è sentirsi parte del gruppo, farsi una risata insieme, andare d’accordo. Prima diventiamo amici, poi colleghi.

Ogni gruppo che si rispetti ha un totem, qual è il vostro?

C’è un vestito in paillettes dorate che abbiamo usato in molti spettacoli negli ultimi trent’anni. Non ne vuole sapere di rovinarsi e dà a chi lo indossa il potere magico di creare connessioni con pubblico e passanti. Questo vestito significa eccentricità e divertimento ed è un invito a risplendere.

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Creation (Pictures for Dorian) - Photo David Baltzer Bildbuehne

We read with much interest your 2016 text, and we are looking forward to seeing and listening to Creation. Do you still believe that our century won’t be all about actors and directors, but about audiences?

At the beginning of Creation (loosely inspired by Oscar Wilde’s character, Dorian Gray) we set out the triangular relationship between artist, art object, and viewer. The artist can make the most profound object in the world, but it needs an audience to look at it if it is going to have any impact and meaning for the world. It isn’t complete without them. So, we often give our audiences an active part in our performances where they are free to come into the picture themselves if they want. We want our work to be accessible, not closed. That’s why we have often taken it to places where the people are: the streets, a station, shops, etc. With our recent projects, we have been very concerned with who is sitting in the audience watching our work in these theatres. Who is not coming here and why? And how can we change that? One answer is to try and get out of our bubble and try to bring those people on stage and co-create with them, in the heart of the project. Let them tell their stories, in their words.

It feels natural, looking at your work, to think of Living or Warhol, though this might be a superficial association… Over the course of the years, which authors inspired you, and on what issues?

Andy Warhol was indeed a source of inspiration for us, and we based a whole piece on his early films portraying ordinary real life activities like Eat, Haircut, Kiss, Sleep, Kitchen, Screen Tests… by doing some kind of reenactment of these films as a live film performance called Gob Squad’s Kitchen (You never had it so good) In this live film we gradually all replace ourselves with members of the audience who then carry on playing us in the film. It’s a film that needs its audience in order to carry on. We were mainly fascinated in Warhol’s definition and creation of the term Superstars which could be anyone who was hanging out in the Factory at that time. Not necessarily people with a certain training or skill, just people with a certain ‘aura’ that he liked to portray and bring out in front of the camera. Gob Squad likes to elevate the mundane and everyday life. That desire was there from the start. And when we interact with audiences and passers-by, we like to do the same –lift them up and present them as the real stars of the evening, some kind of precious objects trouvés. Apart from Warhol, we have been inspired by lots of authors, films, pop videos and artists over the years. Here is just some of them:

Maggie Nelson, On Freedom and The Argonauts on topics of freedom, care, justice, and identity

Emma Kay, Worldview, on writing history.

Naomi Klein, This Changes Everything, No Logo on the subjects of ecofeminism and how to save the future

Sheila Heti, How should a person be, Motherhood on the mashup of memoir, fiction and philosophy

Ian McEwan, Saturday, Machines Like Us on the subject of technological progress and AI and the moral questions it all comes with… David Byrne, True Stories (Film, 1986) and the Talking Heads’ Stop Making Sense

The Wizard of Oz (Film by Victor Fleming, 1939)

Windows are a recurrent symbol in the work of many poets and authors, from Pessoa’s Tabacaria to Kafka’s Betrachtung. In Elephants in Rooms, what role do you assign windows?

Both windows and paintings have a frame, a rectangle that defines the edge of what can be seen. The viewers of Elephants in Rooms regard the people on the 14 screens as characters in a painting. The people on video, however, are busy gazing out of their windows. So the viewers look through one frame at people gazing out of another. Windows form a membrane between what is public and what is private, what is chosen to be revealed, and what remains hidden, just out of sight.

You don’t call yourself a theatre company, rather a gang. What initiation rituals do you perform when someone new joins in?

If they are a performer, we try and put them at ease, we tell them “you are playing yourself, not a fictional role, so you can’t do it wrong. All you have to do is be yourself”. We also have an extreme version of a high-five: a way of clapping hands together with a slightly dangerous level of impact. The most important thing for new members and coming together is that we can have a laugh together, that we get on. We were friends first before collaborators.

Every gang worth its name has a totem, what is your totem? There is a golden sequined glitter suit which has appeared in many shows over the past 30 years. It refuses to wear out, and conveys magical powers of connecting to audiences and passers-by to all who wear it. And we have worn it all across the years and the world on various bodies and projects. It stands for drag, fun, and an invitation to shine.

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Gob Squad – Photo Jade Manaide

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Ritratto musicale di vita quotidiana Grainyte · , Lapelyte · e Barzdžiukaite · e la resilienza dell’uomo comune

«Intelligente, affascinante e sottilmente sovversivo. Qualsiasi critica all’intrappolamento capitalista e all’ossessione consumistica possa essere implicata, viene trasmessa con sottigliezza e arguzia». Così il New York Times ha definito lo spettacolo di Vaiva Grainyte · , Lina Lapelyte · e Rugile · Barzdžiukaite · che arriva ora a Venezia dopo aver attraversato diversi palcoscenici e festival dall’Europa agli Stati Uniti alla Cina, raccogliendo il plauso pressoché unanime della critica. Scenografia minimale, luci fredde che richiamano un luogo asettico e un accompagnamento musicale sobrio ma estremamente evocativo, Have a Good Day! è ambientato in un anonimo supermercato, dove dieci cassiere svelano intimi pensieri e storie personali cantando arie liriche. Ognuna di loro è un mondo a sé: la donna anziana che trasmette positività, la madre single preoccupata di arrivare a fine mese, l’ex studentessa che si lamenta di una laurea in storia dell’arte sprecata a causa della mancanza di un’occupazione adeguata… Insieme rappresentano il microcosmo di una società che passa spesso inosservata e che durante i 60 minuti dello spettacolo (più o meno il tempo che può capitare di perdere a fare la spesa) si trasforma in una sinfonia di vite ordinarie e straordinarie al tempo stesso, svelate nella loro unicità e complessità. Il pubblico è invitato a entrare nelle loro esistenze ascoltando frammenti di sogni, preoccupazioni e desideri mentre i “beep” dei codici a barre scandiscono il ritmo della routine. Le tre artiste non sono nuove a esperimenti di critica sociale mescolata alla quotidianità. Alla Biennale Arte del 2019, con Sun & Sea (Marina) si aggiudicarono il Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale trasformando il Padiglione della Lituania in una spiaggia illuminata artificialmente. Un gruppo di vacanzieri-performer sdraiati in costume da bagno cantavano a turno una litania di preoccupazioni, dai banali accorgimenti per prevenire le

scottature alla profonda angoscia per le imminenti catastrofi naturali, in un tableau vivant che il pubblico osservava dall’alto di un ballatoio. La produzione delle tre artiste si concentra oggi come allora su temi come la precarietà lavorativa, l’alienazione, la ricerca di senso nella monotona routine e la concezione contemporanea del tempo libero, innescando una riflessione sulle disuguaglianze sociali e sul valore dell’individuo in una società dominata dal consumo e dalla produttività. L’unione delle loro diverse pratiche artistiche (Barzdžiukaite è regista cinematografica, Grainyte · è poetessa e scrittrice e Lapelyte · è compositrice e performer) dà luogo a opere che celebrano il valore e la resilienza delle persone comuni in una continua sovrapposizione di teatro, musica e arte, invitandoci a prestare attenzione alla melodia nascosta nelle piccole cose di tutti i giorni. Marisa Santin ENG Minimalist set design, cold lighting, and a sober yet highly evocative musical backdrop, Have a Good Day! by Vaiva Grainyte, Lina Lapelyte and Rugile Barzdžiukaite is set in an anonymous supermarket where ten cashiers sing their intimate thoughts and personal stories. Together, they represent the microcosm of a society that often goes unnoticed and that, during the 60-minute performance (roughly the time one might spend at a supermarket), transforms into a symphony of lives both ordinary and extraordinary. The audience listens to fragments of dreams, worries, and desires as the beeps of barcode scanners dot the rhythm of routine.

At the 2019 Venice Biennale, with Sun & Sea (Marina), the three artists won the Golden Lion for Best National Participation, transforming the Lithuanian Pavilion into a beach where a group of vacationer-performers sang in turn a litany of concerns, from banal tips on preventing sunburn to anxiety about looming natural disasters. Their reflection focuses, now as then, on themes such as job insecurity, alienation, the search for meaning in monotonous routines, and contemporary concepts of leisure, highlighting the value of the individual in a society dominated by consumption and productivity.

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Have a
18, 19 giugno Teatro alle Tese,
Vaiva Grainyte, Lina Lapelyte, Rugile Barzdžiukaite
Good Day!
Arsenale
Photo Modestas Endriuska

Catastrofi e scintille L’universo surreale di Miet Warlop dal dramma alla magia

Nata nel 1978 nelle Fiandre, Miet Warlop, diplomata all’Accademia reale di Belle Arti di Gand e attiva in tutta Europa, è una delle artiste più influenti della scena contemporanea, costantemente premiata per i suoi lavori, a partire dal suo spettacolo di debutto Huilend Hert (cervo che piange), Premio della Giuria del KASK Franciscus Pycke e Premio del Pubblico al festival TAZ di Ostenda nel 2004, fino all’ultimo One Song – Histoire du Théâtre IV che ha ottenuto il Premio VSCD Mimo/Performance all’annuale Festival del Teatro olandese e il premio della critica in Francia. Che la sua ricerca riguardi le arti visive, il teatro o la performance, la cifra è quella della commistione: nei suoi lavori coesistono felicemente linguaggi diversi – dove spesso quello parlato è l’ultimo in termini di importanza – con esiti di forte impatto. «Per me il palco è un luogo dove le cose si incontrano». Leggendo del suo lavoro, una delle prime descrizioni che si incontrano è quella di “Teatro dell’Oggetto” ( Object Theatre ): nel magico mondo di Miet Warlop, gli oggetti di tutti i giorni hanno un’anima, a volte ancora più ricca e disturbata di quella degli esseri umani. Entrambi questi aspetti fondanti, la commistione di linguaggi e il teatro dell’oggetto, si ritrovano in After All Springville: Disasters and Amusement Parks prima italiana di uno spettacolo del 2021 (che è a sua volta una rivisitazione dell’iconico Springville di una quindicina di anni fa) in cui la tragica storia di una comunità fallita viene raccontata con la leggerezza di un cartone animato. Al centro del martoriato universo di Springville c’è una casa di cartone che emette sbuffi di fumo colorato, trampolino per l’immaginazione dal quale saltano fuori creature surreali: un tavolo apparecchiato dotato di gambe e braccia umane, un uomo vestito di verde che si lancia dalle finestre per portare fuori un sacco dell’immondizia, un quadro elettrico pronto all’esplosione, figure umane non completamente sviluppate. Miet Warlop mette in scena un lavoro altamente coreografico, di grande impatto visivo, in cui agli attori viene chiesto di entrare a far parte di un meccanismo perfettamente oliato di collisioni cronometrate al secondo, poiché molti di loro non possono vedere cosa accade sulla scena, e di conseguenza anche lo spettatore è chiamato a giudicare la pièce con l’orecchio e non solo con l’occhio. In scena si susseguono a ritmo irregolare diverse mini-catastrofi, in un crescendo di surreali tableaux vivants, finché lunghi tubi colorati si aprono sopra il pubblico, alcuni lentamente e altri velocemente, in un finale noncontrollato, costruito in modo che la gente si chieda «e questo dove va?». Un disastro a forma di parco divertimenti. Livia Sartori di Borgoricco

Shambles ENG and sparks

Born in the Flanders in 1978, Miet Warlop graduated from the Royal Academy of Fine Arts in Ghent and grew to become one of the most influential contemporary playwrights. She collected award after award with her debut show Huilend Hert (lit. ‘the crying heart’). Whether she works on visual arts, theatre, or performance art, her style is all about mixture: in her works, we can appreciate different languages beautifully coexisting, and often, spoken word is the last in order of importance. Her After All Springville: Disasters and Amusement Parks is the tragic story of a failed community depicted with cartoon-like levity. At the centre of Springville is a cardboard house that shoots plumes of coloured smoke – a platform for imagination bringing about surreal creatures, like a dining table with human arms and legs, a green-clad man jumping out of the window to take the trash out, an electrical panel on the verge of explosion, underdeveloped human figures. Miet Warlop stages a highly choreographic work of great visual impact, a work that has actors become part of a perfectly functioning mechanism of collisions timed down to the last second. It pays to add that most actors cannot see what happens on stage, which means the audience also must judge the play with their ears, and not with their eyes only. On stage, irregular intervals separate different mini-catastrophes, in a crescendo of surreal substories, until long coloured pipes open on top of the audience, some quickly some slowly, in an uncontrolled finale that will make us wonder where all of this is going. An amusement park-shaped disaster.

Miet Warlop

Springville: Disasters and Amusement Parks

19, 20 giugno Tese dei Soppalchi, Arsenale

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Photo Reinout Hiel

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NIGER ET ALBUS

Senza voltarsi indietro Dall’Iran la corsa in nome della libertà di Amir Koohestani

Nato a Shiraz, in Iran, nel 1978, Amir Reza Koohestani è annoverato tra i più influenti registi e drammaturghi iraniani contemporanei. Dopo gli studi a Manchester torna a Teheran, dove i suoi lavori lo consacrano capofila di un movimento di rinascita del teatro nel suo Paese. Dopo una breve esperienza come performer, si dedica alla scrittura di testi teatrali per il Mehr Theatre Group a Teheran, tra cui The Murmuring Tales (2000), pluripremiato e acclamato dalla critica.

A soli 23 anni scrive e mette in scena Dance On Glasses, che lo porta alla ribalta internazionale attirando l’attenzione di numerosi direttori artistici e festival teatrali europei. Seguono le opere teatrali Recent Experiences, dal testo originale degli scrittori canadesi Nadia Ross e Jacob Wren (2003); Amid the Clouds (2005); Dry Blood and Fresh Vegetables (2007); Quartet: A Journey North (2008); Where Were You on January 8th? (2009); Ivanov (2011); The Fourth Wall, dalla commedia originale England di Tim Crouch, 2012, presentato cento volte in una galleria d’arte a Teheran. Nel 2012 il film Modest Reception, con scenografia a quattro mani assieme a Mani Haghighi, vince il NETPAC Award al Festival di Berlino. Con il suo stile poetico, Koohestani esplora nei testi la vita quotidiana di personaggi imprigionati nella confusione della propria realtà, osservandoli attraverso la lente del simbolismo critico. Dopo la pandemia, che sospende i tour della compagnia per due anni, il regista iraniano nel 2023 dà alla luce Blind Runner, che fa il suo folgorante debutto al Kunstenfestivaldesarts di Bruxelles e ritroviamo in scena per Biennale Teatro il 20 e 21 giugno. Liberamente ispirato e profondamente dedicato alla vicenda della giornalista Niloofar Hamedi, la prima a denunciare il pestaggio che causò la morte di Mahsa Amini, Blind Runner intreccia vicenda politica e privata e corre come i suoi personaggi tra video e palcoscenico, in sessanta minuti di racconto mozzafiato.

Una donna, prigioniera politica in Iran, convince il marito ad aiutare una ragazza rimasta cieca durante una manifestazione ad allenarsi per correre la maratona di Parigi. Gli allenamenti avvicinano a tal punto i due runner che, portata a termine la corsa, balena in loro l’idea di fuggire dal Paese e raggiungere l’Inghilterra attraversando il tunnel sotto la Manica. Una missione quasi impossibile, da compiere nelle sole cinque ore tra il passaggio dell’ultimo treno della sera e il primo del mattino. Una corsa cieca, sfrenata, dai confini claustrofobici della prigione verso l’ignoto: passo dopo passo, emerge la visione poetica della fatica, della cura reciproca, della libertà verso cui ci lanciamo senza sapere cosa incontreremo. C.S.

No looking ENG back

Born in Shiraz, Iran, in 1978, Amir Reza Koohestani is one of the most influential Iranian playwrights and directors. He studied in Manchester before going back to Tehran, where his work spearheaded a rebirth trend in Iranian theatre. Koohestani works mainly with the Mehr Theatre Group. One of their most notable works is The Murmuring Tales of 2000. Aged 23, he wrote and staged Dance on Glasses, which propelled him to international fame. His poetic style explores the daily lives of characters imprisoned in the confusion of their own reality, observing them through the lens of critical symbolism. After the pandemic, the Iranian director released Blind Runner, which will be staged at Biennale on June 20 and 21. Inspired by, and dedicated to, Niloofar Hamedi, the first person to denounce the brutality of Mahsa Amini’s murder, Blind Runner blends the private and the political in a sixty-minute story running in video and on stage.

Amir Reza Koohestani

Blind Runner

20, 21 giugno Teatro alle Tese, Arsenale

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Photo Benjamin Krieg
NEBULA B ASEL ABBAS AND RUANNE ABOU-RAHME GIORGIO ANDREOTTA CALÒ S AODAT ISMAILOVA BASIR MAHMOOD C INTHIA MARCELLE AND TIAGO MATA MACHADO DIEGO MARCON ARI BENJAMIN MEYERS CHRISTIAN NYAMPETA FONDAZIONE I N BETWEEN ART FILM 17.04—24.11 2024 COMPLESSO D ELL’OSPEDALETTO VENEZIA

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NIGER ET ALBUS MUTA IMAGO

La danza della memoria

Intervista Muta Imago

di Loris Casadei

Muta Imago è una compagnia teatrale nata a Roma nel 2006 grazie a Claudia Sorace, regista, e Riccardo Fazi, dramaturg e sound artist, ma programmaticamente «composta da tutte le persone che sono state, sono e saranno coinvolte nella realizzazione dei lavori». Tre sorelle (2023), tratto dall’omonima opera di Cechov, si inserisce, dopo Ashes (2022) e Sonora Desert (2021), in un più ampio progetto di indagine tramite racconto teatrale del rapporto tra tempo, memoria e identità.

In scena troviamo le tre sorelle in una “danza della memoria e del desiderio”, impegnate a ricercare il senso del proprio passato e del presente e ancora non rassegnate al futuro che le attende, una predestinazione scandita implacabilmente dalla musica dal vivo di Lorenzo Tomio (The writer with no hands del 2017 sino al recente Mur del 2023).

Sofisticate le luci di Maria Elena Fusacchia, con tonalità talvolta molto ricche e talvolta seppiate, sbiadite come la memoria; luci attive protagoniste che continuamente si spengono e accendono, seguendo, un poco come il coro dell’antica tragedia greca, e sottolineando quanto avviene in scena. Sagomatori e luci di taglio delimitano e avvolgono le bravissime performer Federica Dordei, Monica Piseddu, Arianna Pozzoli, che riescono a far danzare anche le mani, non solo i corpi. Approfondiamo.

Cechov è il maestro del teatro delle emozioni, dove ogni personaggio risulta imprigionato nella sfera delle proprie pulsioni. Nel vostro spettacolo invece portate in scena eventi solo apparentemente senza senso, che però alla fine lasciano intravedere una trama. Potete approfondire il significato del ricordare nel vostro testo?

Il nostro spettacolo porta in scena gli eventi del dramma di Cechov per come questi vengono riattraversati, reincarnati e rivissuti dalle tre protagoniste, Olga, Masa e Irina. La nostra memoria non funziona in maniera lineare: il nostro presente è costantemente infestato da ciò che ricordiamo e da ciò che desideriamo; i nostri corpi, le nostre menti si spostano in continuazione nel tempo malgrado noi, malgrado il controllo che pensiamo di avere su noi stesse/i. Spesso questo movimento accade al di fuori di qualsiasi nesso logico o casuale. Siamo particelle che vibrano e continuano a vibrare in relazione a ciò che è accaduto e che accadrà, guidate da una misteriosa sincronicità che a volte, come scriveva Virginia Woolf nella sua autobiografia,

Muta Imago

Tre sorelle

22, 23 giugno Tese dei Soppalchi, Arsenale

si manifesta improvvisa. E per un istante, per un frammento di tempo infinitesimale, ci sembra di cogliere un senso.

Nella storia della Compagnia incontriamo Georges Perec, Jack London, Hermann Melville e il suo scrivano Bartleby, che… stops to be adherent, to adapt himself to the request of the society. Come si inserisce Tre sorelle nel percorso di ricerca di Muta Imago?

Il primo compito di un regista credo sia quello di leggere: immergersi in storie, racconti, drammi immaginati da altre/i prima di lui. Farsi attraversare da mondi lontani finché non se ne incontra uno che fa venir voglia di compiere un viaggio. Spesso, in passato, abbiamo lavorato su testi di narrativa: romanzi, racconti brevi, perfino saggi. Da qualche anno abbiamo avviato un processo di ricerca dedicato alle drammaturgie scritte appositamente per il teatro. Le Tre sorelle di Cechov rappresenta un primo gesto di scoperta di questo percorso, pur inserendosi all’interno di un cammino di indagine sul rapporto tra tempo, memoria e identità che la compagnia porta avanti da anni.

In uno dei suoi ultimi racconti, Nella bassura (o nella conca), ad una donna che ha perso il proprio bambino Cechov sembra voler insegnare che anche ad un uccello sono date solo due ali e non quattro, eppure anche solo con queste può volare. Così anche all’uomo non è necessario sapere tutto. Il vostro messaggio sembra invece essere un invito ad ampliare la propria visione con sensibilità, per giungere ad una maggiore comprensione degli altri e della realtà. Come avete operato per restituire al meglio questa vostra disposizione nella pièce teatrale?

Si tratta di immaginare delle possibilità di incontro, delle chiavi di accesso a possibilità altre di percezione. Ogni nostro spettacolo,

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Photo Gaia Adducchio

ogni nostro progetto aspira a trovare lo spazio e il tempo perché un incontro vero, reale, possa accadere. Un incontro con sé stessi, prima ancora che con gli altri e la realtà.

Ci piace lavorare su tutto ciò che nella nostra contemporaneità viene taciuto, dimenticato, soppresso, magari perché non ritenuto funzionale, utile, positivo. Si tratta di sentimenti sotterranei, nascosti, spettri dimenticati per troppo tempo o volutamente sopiti; modalità di incontro del reale che troppo a lungo nella quotidianità tendiamo a dimenticare e che invece ci caratterizzano in quanto esseri umani. Lo stupore, la disperazione, emozioni come l’amore e la nostalgia ne fanno parte.

In questa opera sembrano avere un ruolo fondamentale la luce e le ombre, effetti riservati ad un teatro frontale, che porta ad un temporaneo abbandono del discorso programmatico degli spazi liberi, come in Racconti Americani / Fare un fuoco. Oggi, 2024, quale la visione di Muta Imago per il teatro del futuro?

In questo momento crediamo sia importante lavorare per dare vita e possibilità di esistenza a tutti quei teatri e a quelle forme di teatro che si occupino veramente del presente, un presente critico, complesso e straordinariamente problematico, che merita di essere attraversato con pienezza al fine di poter anche soltanto immaginare un futuro.

Crediamo sia importante lavorare per dare vita e possibilità di esistenza a tutti quei teatri e a quelle forme di teatro che si occupino veramente del presente, un presente critico, complesso e straordinariamente problematico

The dance ENG of remembrance

Muta Imago (Latin for ‘silent image’) is a theatre company established in Rome in 2006 by director Claudia Sorace and playwright and sound artist Riccardo Fazi as well as, by extension, “everyone who has ever been, or will be, involved in the production of our plays.” Three Sisters, an adaptation of Chekhov’s work, comes after Ashes of 2022 and Sonora Desert of 2021. Together, the three are an investigation on the relationship between time, memory, and identity.

The theme of remembering in your play.

Our play stages Chekhov’s story as it is retraced, reincarnated, and lived again in each of the three protagonists: Olga, Masha, and Irina. Our memory does not work linearly: our present is continuously interfered with by everything we remember and everything we desire. Our bodies, our minds, keep moving despite us, despite the control we think we have on them. Often, this happens beyond the scope of anything logical or causative. We are vibrating particles guided by a mysterious synchronization that sometimes, for a split second, allows for some sense.

Three Sisters as part of Muta Imago’s research programme.

The first duty of a theatre director is to read, to immerse in stories, tales, dramas imagined by someone else before them. We need to let faraway worlds pass through us before we meet one that inspires us to make a sort of journey. For a few years, we have been doing exactly this with theatre pieces. Chekhov’s Three Sisters is a first foray into this itinerary.

To widen our vision, to get a better understanding of reality and of others. It’s all about imagining possibilities, encounters, access, and perceptions. Every show we produce, every project, aims at finding the space and the time for a real encounter to happen. It is ourselves we shall meet, even earlier than reality and others. We love to work on anything that modernity is silent on, forgets, or suppresses, maybe because it is not deemed functional, useful, positive. It’s all about underground, hidden feelings, which we neglected for too long, and about modes of dealing with reality that all too often we forget about, but they are truly what make us human: amazement, despair... even love, or homesickness.

A vision for your future.

At this moment, we believe it is important to work to give life and a possibility of existence to all those forms of theatre that are really about the present. A critical, complex, extraordinarily problematic present that deserves to be lived fully to get but a chance, for us, to imagine some future.

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NIGER ET ALBUS

Falliti di successo

Intervista Luanda Casella

di Loris Casadei

Luanda Casella si definisce ufficialmente una «scrittrice, storyteller e performer brasiliana, che vive e lavora in Belgio dal 2006», artista residente all’NTGent di Gand. Le sue opere si presentano come spunti di riflessione sulla società in cui viviamo e sul modo in cui la viviamo. Già nel 2020 il suo Killjoy Quiz prendeva di mira i talent show, da X Factor a Got Talent, per indagare l’ossessione occidentale per il successo e la felicità che si suppone ne derivi. Sulla scia di Shoshana Zuboff, Casella sembra adombrare che oggetto di scambio non siano più solo le informazioni, ma le persone stesse con le loro esperienze di vita, e che il sistema di controllo sociale non si basi più sulla repressione, quanto piuttosto sulla seduzione. Commedia tragica, Elektra Unbound ritorna sul tema dell’esporsi nel mondo dello spettacolo: una giuria deve selezionare tra tre candidati l’interprete che vestirà i panni di Elettra. Ad un personaggio in Sofocle di donna volitiva e irremovibile si contrappongono tre attori i quali, pur decisamente aspirando al ruolo, rivelano a tratti il fallimento e la disillusione della propria vita. Una sofferenza nascosta, negata a sé stessi, perché nella nostra società i pensieri negativi vanno allontanati, il dolore non ha cittadinanza, bisogna evitarlo.

Da seguire con interesse sono anche le musiche di Pablo Casella, che associa un tema ad ogni personaggio, senza dimenticare il coro, che riflette il possibile giudizio e umore del pubblico, così come il fascinoso gioco di luci e la scenografia di Shizuka Hariu, visionaria designer celebre per i suoi allestimenti ‘spaziali’ a Tokio, Londra, Monaco.

Elettra: Sofocle, Euripide, Hofmannsthal, Yourcenar. Quale fonte ha ispirato di più il suo lavoro?

Siamo partiti dalla traduzione di Anne Carson dell’Elettra di Sofocle, ma dal momento che stavamo lavorando su una commedia ci sono anche molti riferimenti al modo in cui Euripide ritrae lo stesso personaggio: la sua forza iperbolica, le esagerazioni…

Clitennestra, dopo secoli di condanna, sta vivendo ora una sorta di processo di rivalutazione, vedasi, tra gli altri, l’ultimo lavoro di Bob Wilson. Che valori assegna al personaggio nella sua pièce?

Elektra Unbound prende la forma di un’audizione, quindi Clitennestra non è strettamente un personaggio della recita, salvo i momenti in cui gli attori provano la scena in cui lei incontra Elettra sulla soglia del palazzo e cominciano a litigare. Clitennestra è comunque presente nei personaggi delle madri delle tre attrici, con cui ciascuna ha un rapporto molto conflittuale. Il mio personaggio rappresenta anch’es-

Non c’è inizio, non c’è fine, ma solo un infinito scorrere tra diverse emozioni. La società dell’affettazione, più che dell’affetto

so una sorta di figura materna, che secondo molti sembra prendersi cura dello spirito di Clitennestra. La mia ispirazione, tuttavia, è Cassandra. Lua è una regista teatrale piena di rancore che crede di essere visionaria e vive nella paura che la sua profezia, una tragica morte sul palcoscenico, non si avveri.

Set design firmato Shizuka Hariu, magnifica sintesi tra mito classico greco e programmi trash tv. Vede dei legami tra questi due mondi?

Nel disegnare la scena io e Shizuka ci siamo confrontate spesso su come portare le scene di questi talent show televisivi, che sono molto drammatici, nel mondo del teatro. Ci siamo ispirati alla teoria camp, l’arte dell’esagerazione, e con la costumista Jo De Visscher abbiamo deciso per un’estetica surreale: vestiti monocromi, luce blu fredda, montagne appese, una “rampa verso il successo” che non porta da nessuna parte…

Abigail, Emma, Bavo, le tre concorrenti. Che profilo psicologico ha loro assegnato?

Ciascun “attore” è stato ispirato da figure tragiche moderne così come le abbiamo trovate sui social media: la diva-bambina dimenticata autolesionista per attirare l’attenzione, quella ossessionata dalla bellezza che rincorre un intervento di chirurgia estetica dopo l’altro, il ricco viziato che ha perso il contatto con la realtà. Ognuno ritrae anche un aspetto diverso del carattere di Elettra: quello chiassoso, quello dipendente dagli uomini, il privilegiato.

In tutta la sua produzione sembra emergere una forte critica nei confronti della capacità umana di comunicare, non solo in tv o nei nuovi media, ma anche in letteratura o nella conversazione. Una nuova Società dello spettacolo, da Guy Debord a Luanda Casella… Credo che tutte le mie opere teatrali abbiano a che fare con il fallimento della comunicazione umana. Ho volutamente scelto di lavorare con media popolari e sovvertirli per avviare un dibattito su quanto sia precario il mondo dei media. In Elektra Unbound, il modo di operare di Tik Tok ha influenzato il processo drammaturgico: non c’è inizio, non c’è fine, ma solo un infinito scorrere tra diverse emozioni. La società dell’affettazione, più che dell’affetto. Guy Debord è sicuramente un altro punto di riferimento. Il suo lavoro è rimasto fondamentale per molti anni, ma anche Psicopolitica. Il neoliberismo e le nuove tecniche del potere di Byung-chul Han è stato di grande ispirazione.

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Successful ENG failures

Luanda Casella calls herself “a Brazilian author, storyteller, and performer, who has been living and working in Belgium since 2006”. A resident artist at NTGent, her work aims at making us reflect on society and the way we live in it. Back in 2020, her Killjoy Quiz satirized talent shows, from X Factor to Got Talent – an investigation on the western obsession for success and the happiness purportedly coming from it. Following Shoshana Zuboff, Luanda Casella seems to think that the object of exchange is not only information, but people and their life experiences themselves, and that the social control system is not based on repression anymore, rather on seduction. A tragic comedy, Elektra Unbound is back on the theme of show business: a jury must pick, from a shortlist of three, the actress to play Elektra. While Sophocles’ character was that of a strong-willed woman, the three actresses reveal the failure and the disillusionment in their lives.

Electra: Sophocles, Euripides, Hofmannsthal, Yourcenar –which source inspired you the most in your work?

Our reference was Anne Carson’s translation of Sophocles’ Electra, but because we were making comedy, there were lots of references to how Euripides portrays the character of Electra, her hyperbolic drive, the exaggeration…

Clytemnestra, after centuries of scorn, is now being re-evaluated, as in Bob Wilson’s latest work. What role for her character in your play?

Elektra Unbound takes the format of an audition, so Clytemnestra wasn’t directly a character in the play, except for the moments when the actors ‘rehearse’ the scene where she meets Elektra on the threshold of the palace and they have an argument. Clytemnestra is though present in the characters of the three actors’ mothers, with whom they all seem to have a very problematic relationship. My character also represents a sort of mother figure, who many read as caring for the spirit of Clytemnestra. However, my inspiration was Cassandra. I play a bitter theatre director who sees herself as a visionary, and lives in fear that her own prophecy, to die a very tragic death on stage, won’t come true.

The set designed by Shizuka Hariu is a perfect blend of classical Greek mythology and trash TV. What do these worlds have in common, in your view?

In the process of creation of the set, Shizuka and I had several conversations about how to bring this very dramatic set of television talent shows to the realm of theatre. We were very inspired by Camp theory, the art of exaggeration, and together with costume designer Jo De Visscher, we wanted to give otherworldly aesthetics to the piece. Monochrome outfits, cold blue light, hanging mountains and a ‘ramp to success’ leading nowhere.

Abigail, Emma, Bavo are the three contestants. What psychological profile did you assign each of them?

Each of the ‘actors’ in the piece were inspired by tragic contemporary figures found on social media: the child celebrity who self-harms for attention, the beauty-obsessed who incessantly undergoes cosmetic procedures, and the filthy rich who’s lost touch with reality. Each of them also portrayed a different aspect of the character of Elektra; the loud, the male-dependant, and the privileged.

Throughout your production, there seems to be harsh criticism of human communication ability, not only in TV and new media, but also in literature and conversation. A new Society of the Spectacle from Guy Debord to Luanda Casella…

I guess all my theatre pieces are about the failure of human communication. I purposefully choose to work with popular communication channels and subvert them to generate a conversation about how precarious the media can be. In Elektra Unbound, Tik Tok mechanics influenced the way the stories were written, with no beginning, no end, an endless swiping through emotions, the society of ‘affect’. Guy Debord was definitely a reference, his work stays relevant after so many years, but also the book Psychopolitics: Neoliberalism and New Technologies of Power by Byung-Chul Han was a great inspiration.

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Photo Michiel Devijver

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Sovversioni in passamontagna rosa Markus Öhrn sbarca a Venezia con i Fag Fighters

Il 25 e il 26 giugno la Biennale Teatro presenta alle Tese dell’Arsenale, Phobia, una fantasia anarchica e sovversiva sui luoghi comuni dichiarati, latenti e inconfessati della società contemporanea. L’artista e regista svedese di base a Berlino, Markus Öhrn intreccia il suo stile eccessivo, nitido e quasi fumettistico a quello da indagine documentaristica del fotografo e artista polacco Karol Radziszewski per denunciare la violenza e gli stereotipi che ancora oggi ruotano attorno alle minoranze di genere. Ma non solo. In quest’opera si accusa anche la finta tolleranza, la presunta accettazione, l’ipocrisia di chi si fa sostenitore delle istanze di genere per questioni di marketing e immagine. Emerge una domanda come fil rouge di quest’opera: che cos’è l’omofobia? È solo la violenza esplicita e l’odio espresso direttamente, o è qualcosa che si nasconde nelle prospettive di integrazione diffuse da individui che desiderano porre delle norme? Sul palco, irrompono i Fag Fighters, un commando gay creato da Radzieszewki nel 2007. I Fag Fighters sono un’unità fittizia di guerriglia urbana che opera ai margini della società tradizionale, segnando il proprio territorio con firme scritte su graffiti e commettendo atti di violenza, inclusa la violenza sessuale. Il marchio identificativo dei Fag Fighters sono i loro passamontagna rosa. Questo gruppo in Phobia si confronta con i membri di una famiglia e con i rappresentanti del mondo degli affari e dell’arte. Markus Öhrn e Karol Radziszewski presentano alla Biennale la loro brutale lezione su una storia poco conosciuta e non raccontata della Polonia. L’ala destra polacca percepisce infatti la comunità gay come una minaccia mortale per l’ordine sociale. Radziszewski intercetta e amplifica questo discorso conservatore basato sugli stereotipi e lo trasforma in una fantasia asociale, anarchica, sovversiva. Phobia funge da critica ironica e tagliente della società moderna. Gli autori esaminano la questione della violenza e della stigmatizzazione degli stereotipi che circondano gli individui LGBTQ+ con i Fag Fighters, L’esame critico da parte dei creatori di questi tre ambiti: famiglia, affari e cultura, serve come pretesto per approfondire lo sfruttamento dei gruppi minoritari, spinti dal desiderio di costruire il proprio capitale simbolico, accumulare ricchezza o rafforzare l’autorità.

Pink ENG balaclavas

On June 25 and 26, the Venice Theatre Biennale will present Phobia, an anarchic, subversive fantasy play on the latent, unavowed cliches of modern society.

The Swedish-born, Berlin-based artist and director pairs his exuberant, clear style with the documentary-like photographic investigation of Polish photographer Karol Radziszewski to denounce the violence and the stereotypes that still exist about sexual minorities. It doesn’t end there: this show denounces feigned tolerance, superficial acceptance, and the hypocrisy of those who support gender issues only for reasons of convenience and appearance.

Fag Fighters are a gay commando founded by Radziszewski in 2007. They are a fictional urban guerrilla unit that operates at the margin of traditional society, marking their territory with graffiti and committing violence, including sexual violence. They are known for their pink balaclavas.

Markus Öhrn and Karol Radziszewski present at Biennale a brutal lecture on stereotypes and subversion, an ironic critique on modern society, and a critical examination of family, business, and culture.

Markus Öhrn Phobia 25, 26 giugno Teatro alle Tese, Arsenale

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Photo Maurycy Stankiewicz

Se il Matto se ne va Le variazioni contemporanee di Tim Crouch su Re Lear

Tim Crouch torna a Venezia con la prima italiana del suo ultimo spettacolo Truth’s a Dog Must to Kennel (2022). Crouch, classe 1964, già vincitore di un Obie Award (l’oscar del teatro Off Broadway) è attore, regista, drammaturgo di fama internazionale. Soprattutto, però, Tim Crouch è inglese, e in quanto tale, per sua stessa ammissione, necessariamente «tutto inizia con William Shakespeare. La sua influenza può essere avvertita nel modo in cui scrivono tutti i drammaturghi, ancora oggi, e come scrittore non faccio eccezione». Celebri e premiate sono le sue riscritture del Bardo, come I, Shakespeare, un insieme di cinque monologhi per il pubblico giovane che sono veri e propri spin-off delle tragedie e delle commedie shakespeariane, o The Complete Deaths messo in scena con gli Spymonkey, in cui vengono rappresentate sul palco tutte le 75 morti descritte nelle opere del Bardo, compresa la mosca schiacciata da Tito Andronico. Più in generale, i lavori di Crouch, pur nella loro diversità, sono accomunati da un’instancabile sperimentazione di forme teatrali anti-rappresentative che esplorano a fondo la questione del rapporto con lo spettatore, messo al centro dell’esperienza teatrale. Spazio quindi a linguaggio essenziale ma evocativo, ambienti minimali, poche immagini ma molta immaginazione, creando una drammaturgia che è considerata una delle punte della ricerca teatrale britannica contemporanea. In uno dei suoi spettacoli più celebri, An Oak Tree, il secondo attore in scena è un membro del pubblico scelto a caso ad ogni replica, e senza di lui o di lei lo spettacolo non potrebbe esserci, rispondendo al tentativo di Crouch di generare un senso di autorialità nel pubblico «perché credo che così sia molto più interessante». Shakespeare, dicevamo. In Truth’s a Dog Must to Kennel Crouch sale sul palco e munito di un (finto) visore VR entra in un teatro virtuale, dove sta andando in scena un classico King Lear. Un pubblico finto sostituisce un pubblico vero, mentre l’autore racconta quello che vede agli spettatori in sala chiedendo loro uno sforzo di immaginazione collettiva. Non è ancora arrivato l’intervallo quando il Fool, il buffone di corte che accompagna Lear (ma nella traduzione italiana del termine si perde il doppio registro di buffone/follia), lascia il palcoscenico. Il personaggio se ne va prima che il mondo venga distrutto. Prima che il re venga accecato. Perché Shakespeare lo fa sparire nel bel mezzo dell’opera? Era perché non riusciva a salvare il mondo con una risata? L’idea di Crouch è che se ne sia andato perché ne aveva abbastanza. Truth’s a Dog Must to Kennel (verso che proprio il Fool pronuncia nel primo atto del Re Lear ) è una sprezzante e divertente riflessione sul futuro del teatro, sui lockdown e sull’eccessiva digitalizzazione, una pièce che si chiede cos’è diventato il teatro dopo la pandemia: è come uscire da una caverna nelle quale siamo stati rinchiusi ed esplorare il nuovo paesaggio che ci troviamo di fronte. Livia Sartori Di Borgoricco

What if the ENG madman leaves?

Tim Crouch will be in Venice with his latest show, Truth’s a Dog Must to Kennel (2022). Crouch is an Englishman and, he admits as much, knows that “everything begins with Shakespeare.” His famed re-writings I, Shakespeare are a collection of five monologues for a younger audience and a spin-off of Shakespeare’s comedies and drama. The Complete Deaths, staged with Spymonkey, is the composition of the seventy-five deaths to be found in the Bard’s oeuvre – this includes Titus Andronicus’ swatting a housefly. More generally, Crouch’s work is diverse, yet always leaning on the side of anti-representational experiments. His pieces explore the issue of the relationship with the audience, who are the focus of the theatre experience. There’s room for essential, though evocative, language, minimal scenes, few images, and much imagination. His work is considered one of the most advanced research programmes in contemporary British theatre. In one of his most famous shows, An Oak Tree, the second actor to step on the stage is a randomly picked audience member. Without them, the show cannot go on, and in turn, their participation embodies what Crouch sees as the audience’s authorship.

In Truth’s a Dog Must to Kennel, Tim Crouch is on stage, wearing a (fake) VR visor. He enters a virtual theatre, where King Lear is being produced. A fake audience replaces the real one, while the author describes what he sees to the real audience, asking for an imagination effort.

Arsenale

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Tim Crouch Truth’s a Dog Must to Kennel 26, 27 giugno Sala d’Armi, Photo Stuart Armitt

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Con gli occhi dei bambini
Sul filo della tragedia, il grande ritorno di Milo Rau

Hiroshi Tada, gran maestro giapponese dell’Aikido, nella sua biografia racconta i bombardamenti americani del 1945 su Tokio, visti con gli occhi di un ragazzino di quattordici anni, quando dormiva a scuola per vigilare contro eventuali incendi. Racconta, senza enfasi o particolari emozioni, ciò che vede, come si potrebbe raccontare un tramonto o stendere i panni dopo il bucato. L’orrore della guerra è nel lettore, non nelle semplici parole di un ragazzo. Questa sarà anche la lezione di Milo Rau nel suo Medea’s Children Poco interessa la Medea di Euripide, che dopo aver ucciso il fratello, per vendicarsi del tradimento di Giasone, uccide anche i figli nati dalla loro unione. Né la strega raccontata da Seneca, né l’amante tradita di Corneille. Milo Rau trascura anche la rivalutazione tarda di Christa Wolf, di Medea donna sacrificata di un universo maschilista, di Alvaro che la vede vittima del razzismo o quella di Pasolini, che la colloca al centro dello scontro tra civiltà rurale, la Colchide, e l’avvento di un nuovo mondo cittadino, la civile Tessaglia. Qui la voce è data ai ragazzini, che discutono delle loro famiglie, delle loro passioni e fanno le prime riflessioni sulla morte che li sfiora intorno.

Ricordiamo un importante lavoro precedente di Milo Rau, Five Easy Pieces, del 2016 dove anche viene data voce ai bambini. Il pretesto è il caso Marc Dutroux, il mostro di Marcinelle, che negli anni ‘90 rapì, violentò ed assassinò numerose adolescenti. Traspare la lezione di un suo maestro, il sociologo Pierre Bourdieu: a venir messa in risalto è la violenza simbolica e talvolta concreta dei ceti dominanti che impongono il loro universo di produzioni ideali non solo come legittime, ma come le uniche veritiere. Per cogliere l’importanza dell’intervento di Milo Rau sarebbe necessario in realtà scrivere un intero libro. Nasce a Berna, ma studia Parigi, Zurigo e Berlino, giornalista, drammaturgo, regista teatrale, cineasta, nel 2007 fonda la compagnia di ricerca teatrale e editoriale Istituto Internazionale di Omicidio Politico. Tra i suoi testi tradotti in italiano L’arte della resistenza e Perché il teatro Lo abbiamo conosciuto bene nella 50. edizione di Biennale Teatro. Abbiamo visto i suoi film Orestes in Mosul. The making of, The Congo Tribunal, Familie, The New Gospel e in scena La Reprise. Histoire (s) du théâtre

Nel suo Manifesto di Ghent del 2018 scrive «Non si tratta più di dipingere il mondo, ma di cambiarlo. L’obiettivo non è rappresentare il reale, ma rendere la rappresentazione essa stessa reale». Ricerca di semplicità e impegno civile: «almeno una produzione per stagione deve essere provata o replicata in una zona di crisi o di guerra, senza infrastrutture culturali». Abbandono del mito del regista: «l’autorialità spetta esclusivamente a coloro che sono coinvolti nelle prove e nelle repliche qualunque sia la loro funzione e a nessun altro». Anche il pubblico veneziano non potrà restare passivo e nè potrà limitarsi a provare emozioni, ma verrà chiamato in causa nel dare giudizi e offrire la propria riflessione. Loris Casadei

Through the eyes ENG of children

Japanese Aikido master Hiroshi Tada wrote in his memoir about the 1945 American bombing of Tokyo seen through the eyes of a fourteen-year-old boy who slept in school to keep an eye on possible fires. Tada uses little emphasis and shows little emotion in his stories – the horror of war is in the eye of the reader, rather than in the simple words of a teenager. This will also be Milo Rau’s lesson in Medea’s Children. The classical character of Medea has little weight on Rau’s interpretation, which is instead based on the voices of kids discussing their families, their passion, and, tentatively, death.

Milo Rau was born in Bern, Switzerland, and educated in Paris, Zurich, and Berlin. A journalist, playwright, theatre director, and filmmaker, he founded theatre and film production company International Institute of Political Murder in 2007. His Ghent Manifesto of 2018 explains how “It’s not just about portraying the world anymore. It’s about changing it. The aim is not to depict the real, but to make the representation itself real.” A quest for simplicity and social commitment: “at least one production per season must be rehearsed or performed in a war zone, an attempt to bring cultural infrastructure to where it’s needed most.” Forsaking the myth of the director: “The authorship is entirely up to those involved in the rehearsals and the performance, whatever their function may be –and to no one else.”

Milo Rau

Medea’s Children

29, 30 giugno Teatro alle Tese, Arsenale

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Photo Michiel Devijver

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DA N I E L B U R E N , S O S TA CO LO R ATA P E R H OT E L C I P R I A N I , L AVO R O i n s i t u , 2 02 3 F r om 4 A pr i l t o 3 0 S e pt e m

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ELIA PANGARO

Come una moto in mezzo al mare

Intervista

Elia Pangaro è il danzatore e performer vincitore del bando internazionale 2024 che Biennale College dedica alle performance sitespecific, pensate per esterni, per luoghi di vita quotidiana della città. Nato a Perugia nel 1997, ha già riscosso numerosi riconoscimenti, non ultimo quello di miglior danzatore al Corpo Mobile Festival di Roma 2023. Il tutto dopo aver consumato un vasto apprendistato, in particolare con Afshin Varjavandi e la INC – InNprogressCollective, in un processo di continua ricerca nel «raccontare la contemporaneità… attraverso il linguaggio del corpo, mescolando danze urbane, hip hop e street dance». Oggi Elia Pangaro sta sviluppando progetti più sofisticati. In Bolide | Deus ex machina, ad esempio, la ricerca si concentra sul significato dell’accelerazione sociale come nuova forma di totalitarismo, sull’incessante aumento di consumo e di produzione nel nostro quotidiano, pur fortemente differenziato nei vari poli del mondo.

Quali sono le condizioni che permettono all’individuo di entrare in risonanza con il mondo? A sfida si risponde con altra sfida: sarà interessante allora capire se gli spettatori vivranno Bolide, per riprendere Walter Benjamin, come Erlebnis o Erfahrung, ovvero un’esperienza presto dimenticata o un’esperienza che lascerà un segno e indurrà alla riflessione. Nella performance si avvarrà della affascinante e brava Polina Sonis, artista originaria di Samara e poi di stanza a San Pietroburgo, anche se ormai in perpetuo movimento, da Tel Aviv a Berlino, dai laghi norvegesi a Venezia.

La sua performance è avvolta nel mistero. Il titolo Bolide sembra alludere ai corpi celesti con annessa luminosità e rumori, dal greco “proiettile”, ma all’uomo comune ricorda le auto sportive. Iniziamo da qui: perché questo titolo? Se vi è una rappresentazione, cosa ci racconta?

Sapevo sarebbe stata una performance sull’accelerazione e sulla velocità fin da subito, perché questo era il punto di partenza di questo mio lavoro. Insieme con le prime idee mi è subito venuto in mente il titolo Bolide, che avrebbe rimandato all’estetica “veloce” della performance. Si è poi accostato a completarlo il termine deus ex machina, come se il processo di accelerazione culturale fosse un deus che ci impone delle scelte, anche indirettamente. Il Bolide è il personaggio nella performance che rimane fermo, in potenza di accelerazione, passivo al cospetto dei bolidi che sfrecciano intorno e ai “detriti” lasciati da essi: una moto da corsa in mezzo al mare, inutile.

L’urban dance ha ricevuto la propria incoronazione al Maggio Musicale Fiorentino con la straordinaria opera Lo Specchio Magico di Fabio Vacchi del 2016, ormai un classico. Lei si riconosce ancora in questa corrente artistica? Sarebbe in grado di definire meglio il cuore di questa danza?

Le tecniche urbane hanno sicuramente formato radicalmente il mio modo di muovermi e di pensare il movimento; è stato il mio primo approccio alla danza. Nonostante le mie radici tecniche siano fondate su house, popping, tutting, breaking etc., ed oltre al mio vocabolario gestuale anche le mie scelte drammaturgiche siano influenzate da ciò, non mi riconosco pienamente nella corrente delle danze urbane.

In ogni caso tutte le tecniche urbane hanno al loro interno un rigore, una disciplina non distanti neppure da quelle della danza classica. È stato proprio questo elemento che per anni mi ha tenuto incollato al loro studio, ricercando costantemente di migliorare virtuosismi e tecnicismi in ogni minuto dettaglio.

Poi quello che ricerco al momento non sono purismi, ma piuttosto contaminazioni, non solo tra diverse tecniche di danza, ma anche tra diversi campi artistici. Una sorta di vitale interdisciplinarità.

In un’intervista ad un quotidiano della sua città lei sembra invitare ad una riflessione sulla realtà che ci circonda con una sorta di avvertimento su possibili difficoltà di comunicazione

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Elia Pangaro Bolide | Deus ex machina 23-30 giugno Via Garibaldi, Castello

Quello che ricerco al momento non sono purismi, ma piuttosto contaminazioni, non solo tra diverse tecniche di danza, ma anche tra diversi campi artistici

e comprensione del reale. In questo suo percorso hanno giocato di più i testi di suo padre Giorgio Pangaro sulle rivolte in Blade Runner o l’esperienza sulla morte in collaborazione con lo psichiatra Maurizio Venezi? O meglio, rivolgendo la domanda in campo più aperto, quali sono state le esperienze più significative per la maturazione del suo percorso umano, esistenziale?

Seppur io non abbia mai letto nulla di quello che ha scritto mio padre, la sua influenza nell’idea di questa performance è per me chiara. Una influenza che viene dall’educazione ricevuta da entrambi i miei genitori, che ci hanno tenuto (me e mio fratello) lontani da un certo tipo di informazione e intrattenimento, segnatamente dagli schermi dei telefoni e della televisione. Cosa che in seguito ha determinato per contrappunto in me una sorta di super-esposizione, che è poi uno dei temi principali in Bolide. Non sono queste le cose sulle quali ho riflettuto nel momento in cui ho pensato alla performance, ma hanno sicuramente influito indirettamente sulla mia prospettiva a riguardo.

La volontà di creare questa performance è nata dopo diverse conversazioni con amiche e amici impegnati in altri progetti, dopo le quali ho incominciato a leggere alcune cose, tra cui le teorie di Hartmut Rosa sull’accelerazione sociale, uno dei fondamentali punti di partenza della mia ricerca per Bolide. Poi il panorama si è ampliato ad altri campi ancora e ho preso spunti sia da correnti artistiche contemporanee che da trend mainstream, fino a che sono riuscito a convogliare tutta questa teoria di esperienze in questa performance progettata e realizzata insieme alla danzatrice Polina Sonis. Lo step successivo, a completare il tutto, è stato il lavoro svolto con i sound designer (Robert Lagerman e Federico Tansella) per costruire la colonna sonora, che sarà un elemento fondamentale della performance stessa.

Per tornare dunque al nucleo della domanda, le esperienze che mi hanno fatto maturare sono state innumerevoli e non le potrei menzionare tutte, ma di fondamentale importanza sono stati gli incontri e gli scambi con la moltitudine di persone che ho avuto la fortuna di incontrare e con alcune di lavorare.

In qualità di coreografo e performer quale il suo sogno progettuale dopo Venezia?

Mi trovo in un momento della mia carriera in cui ho un grande desiderio sia di lavorare come performer per altr* coreograf* e regist* sia di creare miei lavori. Finora, fortunatamente, sto riuscendo a conciliare le due cose.

In ogni caso ho già diversi progetti in preparazione con Darlingbuds, il collettivo con cui collaboro: video, installazioni, performance…

Riding a motorcycle ENG on the sea

Elia Pangaro is the dancer and performer who won the Biennale College bid for site-specific performances. Born in 1997, Pangaro worked with Afshin Varjavandi and INC – InNprogressCollective, and is currently working on sophisticated projects such as Bolide | Deus ex machina, a research on social acceleration as a new form of totalitarianism and on the incessant increase in production and consumption in our world.

Your upcoming piece is shrouded in secrecy. The title Bolide (‘meteor’) seems to allude to celestial bodies, but it might also mean ‘bullet’ or ‘high-performance car’. How did you come up with this title?

I knew from the get-go this was going to be a performance on acceleration and speed, it was the essential concept of my work. Bolide points at the speed aesthetics of the piece. Deus ex machina completes the term, explaining how the cultural acceleration process is a deus that imposes a set of choices on us, however indirectly. The bolide is the character that stands still, accelerating only in potential, and passive viz. the bolide that dart around him, like a motorcycle in the middle of the sea – utterly useless.

Do you see yourself as part of the urban dance trend?

‘Urban’ styles certainly shaped my motions and my way of thinking about motion. They were my first approach to dance, in fact. While my techniques belong to the world of house, popping, tutting, breaking, etc… I don’t fully recognize myself in any of the current urban dance trends. At any rate, all urban styles are rigorous, and as disciplines, they are not that far removed from classical ballet. This is what made me stick with them and keep researching virtuosity in every last detail. What I am currently working on, though, is not purism, but contamination. Contamination between different dance techniques as well as different art fields. A sort of vital interdisciplinarity.

What influenced you in your maturity as an artist and as a person?

Certainly, I have been sheltered from the influence of screen – smartphones and television, as I was growing up. This later turned into a sort of super-exposition, which is one of the main themes in Bolide. I didn’t reflect much on these topics as I was designing the performance, but surely they had some influence on my perspective.

Friends who worked on different projects encouraged me to read more, like Hartmut Rosa’s essays on social acceleration. Then I widened the scope of my research and I found interesting points in both modern art currents and mainstream culture. I eventually included it in my work with input from dancer Polina Sonis. The following step was adding sound design, designed and integrated by Robert Lagerman and Federico Tansella. Back to your question, experiences that made me mature are so many I cannot possibly list them. The most important have been the meetings and exchanges with the many people I got to know, and especially the ones I worked with. I am also looking forward to collaborating with other choreographers and directors. Darlingbuds, the collective I’m in, will soon release new videos, installations, and performance projects.

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NIGER ET ALBUS COLLEGE

Una stanza tutta per sé

Fondatore con l’attrice Sara Bonci della compagnia sperimentale Cantiere Artaud, con base ad Arezzo dal 2016, Ciro Gallorano è il vincitore del bando College Teatro Regia Under 35 e, dopo la prima fase di creazione nel 2023, quest’anno presenta Crisalidi, spettacolo in assenza di parole ispirato alla vita e all’opera di Francesca Woodman, fotografa prodigio morta suicida nel 1981, a soli ventidue anni. In Crisalidi l’occhio/spettatore, quasi osservando dal buco della serratura, è testimone dell’esistenza liminare di una donna-effigie della figura dell’artista, indifesa e onnipotente al tempo stesso, intenta a fermare e immortalare lo scorrimento del tempo. L’atmosfera rarefatta è interrotta da lampi di amenità e di gioco, reminiscenze melanconiche della stanza dei giochi dalla quale si esce alla fine dell’infanzia. La donna agisce in una stanza che rievoca quella più celebre di Virginia Woolf, la proiezione del suo mondo interiore: un interno fatiscente dalle mura crepate in cui si trova dispersa, fuori dallo spazio e dal tempo, e dal quale non potrà mai uscire. Nei momenti di sospensione, di conclusione di un’azione per lei significativa, emerge un’altra figura, suo doppio scisso e incarnazione di sollievo e rovina. I corpi delle attrici Sara Bonci e Andreyna De la Soledad, sensuali, impudichi, multiformi, alienati, si nascondono, assorbiti dall’atmosfera fitta e umida interagiscono con questo luogo atemporale e di incubazione, si mimetizzano facendosi oggetto tra gli oggetti, assenza e presenza, diventando loro stessi opera d’arte.

ENG Ciro Gallorano won the Biennale College Theatre Award for directors under 35. His upcoming play is Crisalidi, a wordless show inspired by the life and work of Francesca Woodman, a prodigy photographer who died by suicide in 1981. She was only twenty-two years old. In Crisalidi, the eye – the audience – seems to peep through a keyhole, witnessing the liminal existence of woman portraying the archetype of female artist, defenceless and almighty at once, working on stopping and memorializing the flow of time. The bodies of two actresses, Sara Bonci and Andreyna De La Soledad, are sensuous, obscene, multiform, alienated. They hide, get absorbed by the atmosphere, and interact with the atemporal concept of incubation.

Lingue di rabbia

Dopo averne presentato la mise en lecture durante la scorsa edizione, Stefano Fortin, vincitore del bando College Autori Under 40 (2022/23), torna sul palcoscenico della Biennale insieme alla regista Giorgina Pi con la messa in scena in forma definitiva del suo spettacolo, Cenere Diplomato nel 2014 all’Accademia del Teatro Stabile Veneto e già presente alla Biennale Teatro 2020 di Antonio Latella con George II, per la regia di Alessandro Businaro, Fortin porta ora un testo che prende spunto dalla vicenda del vulcano islandese Eyjafjöll, che nel 2010 tornò attivo paralizzando l’Europa a causa dell’enorme quantità di cenere immessa nell’atmosfera. «Certi avvenimenti o anche certi sentimenti – ha dichiarato l’autore in un’intervista – invece che essere più forti nel momento magari in cui li si prova, pesano di più per la loro durata nel tempo, per le loro conseguenze sul lungo termine, come la rabbia; cioè la rabbia istantanea passa, mentre se la rabbia è un continuum e quindi soffoca, diventa un sentimento che ha una presa nella vita molto più forte». Una sensazione di soffocamento, perdita, solitudine che permea lo spettacolo per tutta la sua durata. Tre quadri distinti rappresentano altrettante prese di parola: quella di un figlio reticente chiamato dai genitori a fare colazione; quella di un poliziotto che deve informare una coppia di genitori della morte del figlio; quella di una vittima che parla di sé e di ciò che le è accaduto. Alle voci dei personaggi in scena si aggiunge quella dell’autore, presenza viva e mutevole che interviene in prima persona, attraverso note sempre diverse per ogni specifico allestimento, offrendo al pubblico un commento a caldo e chiamandolo direttamente in causa. C.S. ENG Stefano Fortin, the winner of the Under 40 Biennale College contest in the Authors section, is back on stage at Biennale with director Giorgina Pi to stage his show Cenere (lit. ‘ashes’). A graduate of the Teatro Stabile del Veneto academy, Fortin’s play is inspired by the story of Icelandic volcano Eyjafjöll, which erupted in 2010 and paralyzed Europe with the mass of cinders it shot into the atmosphere. A sense of smothering, loss, solitude permeates the show in all its runtime. Three different tableaux represent as many enunciations: a recalcitrant son that is being asked to breakfast by his parents, a police officer tasked with informing two parents their son died, and a victim talking about themselves and what happened to them.

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Ciro Gallorano Crisalidi 15, 16 giugno Tese dei Soppalchi, Arsenale
Fortin Cenere 21, 22 giugno Sala d’Armi, Arsenale
Stefano
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù

Il meglio deve ancora venire Metamorfosi necessarie

Rosalinda Conti compie i suoi studi con Dacia Maraini, Lucia Calamaro, Chiara Lagani e Marco Martinelli, conseguendo il master in Drammaturgia e Sceneggiatura presso l’Accademia Silvio d’Amico, diplomandosi con Roberto Cavosi. Tra i suoi lavori, Ma io per te amore mio del 2012, selezionato al Roma Fringe Festival, Quando vai via e Le cose che abbiamo perso nel fuoco, pubblicati in due antologie per Editoria & Spettacolo, Non dimenticar le mie parole del 2013, menzione speciale per il miglior monologo all’Offanengo film festival, Tom segnalato al Premio Hystrio – scritture di scena, i mockumentary Io e Lei andati in onda su Sky Arte, Uccellini del 2021 e, vincitore del bando Drammaturgia 2023 di Biennale College Teatro, Così erano le cose appena nata la luce, di cui vedremo la mise en lecture il 26 e 27 giugno nelle Sale d’Armi dell’Arsenale. Nel testo di Conti, quattro personaggi, definiti da altrettante lettere (M, O, T, H), rappresentano quattro individui e al tempo stesso l’umanità intera mentre osserva inesorabilmente la propria fine e ciò che lascia dietro di sé. Cosa accadrebbe se gli esseri umani, semplicemente, sparissero? Così erano le cose appena nata la luce «è una mia personale fantasia sull’estinzione – reale – nella quale siamo immersi. La fantasia consiste unicamente nel modo in cui questa estinzione si compie – scrive l’autrice –, nel modo in cui gli esseri viventi cessano di esistere, ovvero attraverso una regressione biologica. In effetti, nessuno in questa storia cessa di esistere, nessuno muore e nessuno sparisce nel nulla – sebbene possa all’inizio sembrare così –, invece tutto si riavvolge e si semplifica, la morte non è che la morte delle nostre sembianze umane».

A dirigere la mise en lecture Martina Badiluzzi, dal vivaio di Biennale College, tra le più apprezzate giovani registe italiane.

ENG Rosalinda Conti studied with Dacia Maraini, Lucia Calamaro, Chiara Lagani, and Marco Martinelli, and graduated in Drama and Screenwriting at a prime drama academy in Italy. Her work has been noted at festivals, and she authored several novels. The show that earned her the 2023 Biennale College Award, Così erano le cose appena nata la luce (lit. ‘Thus stood things as light came into being’) will be read on June 26 and 27 at the Arsenale. Four characters, four letters (M, O, T, and H), represent four individuals and, at the same time, all of mankind as it stands passively before its own demise. What would happen if human beings just disappeared? “Nobody actually ceases to exists, dies, or disappears – even though it may seem that way – instead, everything evolves and simplifies.”

Vincitrice del bando Biennale College Autori 2023, Eliana Rotella (Pavia ,1994), autrice, drammaturga e dramaturg sia per la danza che per la prosa, presenta quest’anno Livido, un testo visionario presentato in forma di mise en lecture con la firma del regista Fabio Condemi, già ospite di Biennale College Teatro. Il tragico mito di Ovidio trova nuova forma nel testo della drammaturga pavese che, ripercorrendo la vicenda di Eco e Narciso, ricostruisce la storia di un segno e della sua guarigione. «Avete presente quando vi trovate addosso un livido e non vi ricordate come ve lo siete fatto?». Parte da qui lo spettacolo firmato da Rotella, «il livido in questione è la spia di un rifiuto: il corpo sfruttato del mondo affrontato con un’azione trasformatrice, un girotondo di rielaborazione verso l’utopia di una organizzazione collettiva rizomatica, un inedito umanesimo», scrivono ricci/forte nella motivazione. I Direttori di Biennale Teatro definiscono quella di Eliana Rotella «Una riflessione amara sull’egotismo del nostro tempo contemporaneo […] sulla mancanza di ascolto, su una claudicanza arborescente; sulla facoltà, mediante la risemantizzazione, di scoprire una pluralità d’essere».

Sul palco tra le ombre nere lasciate da un incendio, Eco, Narciso e, tra loro, Ovidio. Ovidio è il nome dato a chi racconta la storia, una storia che ha vissuto davvero. Nella piega del gomito di Eco si nota un livido verde, enorme, incastonato come una gemma nell’epidermide della ninfa. Il colore verde indica che la contusione è in via di guarigione: «È del dopo che Ovidio vuole parlare. Della sopravvivenza, della ricostruzione. Degli infiniti modi che ci immaginiamo per rimanere in vita».

ENG The winner of the 2023 Biennale College competition in the Authors section, Eliana Rotella presents Livido (lit. ‘bruise’), a visionary story based on Ovid’s myth of Echo and Narcissus and a reconstruction of sign and healing. “You know when you see you got bruised, but cannot remember how it happened?” – that’s where Rotella’s show begins.

“The bruise in question is the clue for an act of refusal: the exploited body of the world seen via transformative action, a merry-go-round of re-elaboration that aims at the utopia of a rhizomatic collective, an original kind of humanism – thus ricci/forte in the motivation of the award – a bitter reflection on the egotism of modernity.”

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Rosalinda Conti Così erano le cose appena nata la luce 26, 27 giugno Sale d’Armi, Arsenale Eliana Rotella Livido 27, 28 giugno Sala d’Armi, Arsenale Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù
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biennaleteatro

NIGER ET ALBUS COLLEGE

Un bacio di vero amore Sogni e risvegli per le belle addormentate di Carolina Balucani

Dopo averne apprezzato durante la scorsa edizione l’emozionante mise en lecture, Addormentate, il testo vincitore del bando College Drammaturgia 2022, firmato da Carolina Balucani va in scena nella sua forma definitiva con il nuovo titolo, Sleeping Beauty, per la regia di Fabrizio Arcuri, prodotto dalla Biennale di Venezia, Cranpi e La Corte Ospitale. Una festa finita, una radura nel bosco, una maledizione ignota che colpisce le quattro giovani creature al centro della scena, riducendole al sonno. Si sono ferite con un ‘fuso’ e ora le mani sporche di rosso le isolano dal resto del mondo, non gli resta che cadere addormentate, sole ma insieme nel destino e nel sogno. Per il tempo di quel sogno il pubblico viene calato nei tormenti dell’anima di quattro giovani sulla soglia dell’età adulta, intenti a confrontarsi con delle ferite che rappresentano il rapporto con la famiglia, con la propria identità, con la società. In un’onirica ed esuberante ‘danza al massacro’, le addormentate e gli addormentati di Balucani attraversano le proprie ferite e quelle dei compagni di sventura, condividendole, in alcuni casi portandole a galla, perché solo facendo nostra la sofferenza altrui e aprendoci verso l’Altro da noi, ci sarà concesso finalmente – grazie al “bacio di vero amore” – di ridestarsi nella consapevolezza e ritrovarci rinnovati. Scrive Arcuri nelle note di regia: «Il testo di Carolina Balucani è un fiume in piena di parole. Le scene procedono per accumulo, al punto che è impossibile immaginare davvero una scenografia per questo spettacolo, perché bisognerebbe trasferire il mondo in scena. Anche le didascalie sono così traboccanti di informazioni che c’è un personaggio che è costretto a raccontarcele. Tutto questo è un esubero di vitalità, la vitalità che gli adolescenti hanno nell’affacciarsi alla vita, con tutte le loro paure e la loro voglia di vivere [...] Una metafora sui cigni in volo mentre emigrano chiosa il testo. Lascia intravedere una possibilità per tutti nell’essere comunità. Una comunità che si occupa di ogni singolo elemento e che non lo lascia indietro e che si organizza affinché ogni cosa sia condivisa [...] Proiezioni e schermi faciliteranno la creazione dei diversi ambienti e l’interpretazione degli attori ci aiuterà a entrare in intimità con loro e a ricevere queste piccole confessioni notturne che sono sofferenza ma anche liberazione». Chiara Sciascia

True love’s ENG kiss

Last year, we appreciated an emotional reading of Addormentate, the first prize-awarded piece at the 2022 Biennale College, Drama section. For this year, the piece grew into a fully-fledged show, Sleeping Beauty, directed by Fabrizio Arcuri and co-produced by the Biennale. The party is over: a wood clearing, a curse imposed on the four young beauties at the centre of the stage, condemning them to deep slumber. They pricked their fingers on a ‘spindle’ and now their hands soiled in blood isolate them from the rest of the world. We in the audience are invited into a world of tortured souls and to look at wounds that represent familial relationships, identity, society. Director Fabrizio Arcuri commented: “Carolina Balucani’s text is a flood of words: scenes pile on top of one another to the point that we cannot really set a stage for this show – we would need the entire world. Staging indications are so detailed that we cast an actor just to read them to us. This means overwhelming vitality, the same vitality adolescents have as they face adult life, with all their fears and exuberance.”

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Carolina Balucani Sleeping Beauty 29, giugno Tese dei Soppalchi, Arsenale Addormentate, Courtesy La Biennale di venezia - Photo Andrea Avezzù
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OUR 2024 PROJECTS IN VENICE

GREENHOUSE

Portugal National Pavilion at ACP - Palazzo Franchetti (II Noble Floor)

MALATH-HAVEN

Oman National Pavilion at Palazzo Navagero Gallery

THE ART OF SEEING - STATES OF ASTRONOMY

Georgia National Pavilion at Palazzo Palumbo Fossati

THE BLUE NOTE

Côte d’Ivoire National Pavilion at San Trovaso Art Space

THE NEIGHBOURS

Bulgaria National Pavilion at Sala Tiziano - Centro Culturale Don Orione

VLATKA HORVAT: BY THE MEANS AT HAND

Croatia National Pavilion at Fabrica33

WAN ACEL. TULI BAMU, TURI BAMWE, WE ARE ONE

Uganda National Pavilion at Bragora Gallery

BREASTS

ACP, Fondazione IEO Monzino, Contemporis ETS at ACP - Palazzo Franchetti (Mezzanine Floor)

DANIEL PEŠTA. SOMETHING IS WRONG

Museum Montanelli at Tana Art Space

DOMANI

Jacques Martinez at SPARC* - Spazio Arte Contemporanea

GYÖNGY LAKY & REBECCA TABER. BETWEEN WORLDS

Mima Begovic Art Projects at Magazzino Van Axel

H2O VENEZIA: DIARI D’ACQUA / WATER DIARIES

Lapis Lazuli: artE in collaboration with Fondazione Barovier&Toso at SPUMA

HENRI BEAUFOUR. PORTRAITS IMAGINAIRES

curated by Valerio Dehò at Palazzo Pisani Santa Marina

HUGO McCLOUD. NEW WORKS

Luce Gallery at Palazzo Contarini Polignac

INFINITY ART

Pahsi Lin at Cavana ai Gesuati

LEAPS, GAPS AND OVERLAPPING DIAGRAMS

Loris Cecchini at Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano

MARIA KREYN. CHRONOS

Ministry of Nomads Foundation at Chiesa Anglicana

MEMO AKTEN. BOUNDARIES

Vanhaerents Art Collection at Chiesa di Santa Maria della Visitazione

PASSENGERS IN TRANSIT

193 Gallery - Collateral Event at Ex Farmacia Solveni

REZA ARAMESH. NUMBER 207

MUNTREF and ICA MIAMI at Chiesa di San Fantin

MONGOL ZURAG: THE ART OF RESISTANCE

U. Tsultem, Herron School of Art+Design and Mongol Zurag Society at Garibaldi Gallery

THE ROOTED NOMAD

Kiran Nadar Museum of Art at Magazzini del Sale 5

TRANSCENDENCE

Wallace Chan at Cappella di Santa Maria della Pietà

ULYSSES: WE ARE ALL HEROES

Fondation Valmont at Palazzo Bonvicini

YOUR GHOSTS ARE MINE: EXPANDED CINEMA, AMPLIFIED VOICES

Qatar Museums at ACP - Palazzo Franchetti (I Noble Floor)

MUSEUM / GALLERY EXHIBITIONS NATIONAL PAVILIONS

Intervista Claire Fontaine

THE TITLE

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Arsenale, Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello

Artista collettiva creata nel 2004, Claire Fontaine non è un gruppo di artisti che si manifestano attraverso un brand che li raccoglie tutti, non è una societas di individualità che hanno scelto la strada dell’anonimato (quanti l’hanno fatto in questi decenni? Da Banksy a Blu, ai Residents, ai Wu Ming…). No: è un’artista che esiste solo come nome e che opera attraverso i suoi due assistenti, Fulvia Carnevale e James Thornhill. Sono loro ad agire in nome e per conto di Claire Fontaine, sono loro a rilasciare le interviste. Nessun desiderio di anonimato, quindi, solo di superare la soggettività estrema da sempre identificata come il modo in cui l’artista si presenta in società. Lo stesso nome di Claire Fontaine fa riferimento all’opera fondamentale di Marcel Duchamp, l’orinatoio intitolato Fontaine (1917), e a una marca francese di quaderni scolastici, Clairefontaine: e già il nome diventa la loro prima opera, il loro primo ready-made. Perché Claire Fontaine è un’artista readymade, che utilizza per le sue opere neon, monete, bandiere, frasi scritte col fumo, mattoni. Per Claire Fontaine l’arte è un dialogo complicato e rischioso con le idee, le memorie, le percezioni, le rimozioni sociali. Forte ispirazione sono gli scritti di Carla Lonzi, critica d’arte e attivista militante, co-fondatrice nel 1970 insieme all’artista Carla Accardi e alla giornalista Elvira Banotti del gruppo femminista italiano Rivolta Femminile. L’attenzione costante data alle parole, affascinanti per la loro ambivalenza e potenza, si traduce in opere su neon o LED che scandiscono messaggi. Tra intimazioni e incitamenti alla riflessione, tra turbamento e fascinazione, questi giochi di luce veicolano energie ed emozioni singolari, donando materialità alle parole e facendole interagire con il mondo esterno, cambiando così la lettura della realtà che le circonda. Alterando la percezione degli spazi coinvolti, Claire Fontaine provoca una presa di coscienza quanto mai necessaria per interrogarci sulle grandi sfide del presente. Per Dior nel 2020, prima collaborazione con Maria Grazia Chiuri, Claire Fontaine ricopre la passerella della sfilata AW20 di carta da giornale –rimando a una delle sue installazioni precedenti, Newsfloor – creando un ‘rumore visivo’, un dialogo artistico autentico tra l’arte femminista e la creazione in tutte le sue forme. Completava l’installazione una serie di neon sospesi dal soffitto sopra la passerella che riportavano frasi dal potente significato come “Women’s Love is Unpaid Labour”, “Feminine Beauty Is a Ready Made”, “Patriarchy = Climate Emergency” e “Consent”. Ora Claire Fontaine ‘presta’ il titolo alla Biennale Arte 2024, Foreigners Everywhere (ovvero Stranieri Ovunque ), tratto da una serie di lavori al neon realizzati e riproposti in diverse declinazioni. Stranieri Ovunque potrebbe voler significare un concetto che esprime la congiuntura attuale in cui la crisi della soggettività si fonde con la crisi della politica e della sua legittimità di rappresentanza. E questa situazione di vuoto politico, manageriale, sociale – e di come questo vuoto si rifletta nel mondo e nel mercato dell’arte –è quella in cui si aggira Claire Fontaine con la sua analisi lucida e tragica: di ogni emergenza attuale, di ogni problema (da quello climatico a quello geopolitico, da quello del lavoro a quello della rappresentanza politica) sappiamo tutto delle sue premesse, ma non sappiamo come risolverlo.

Claire Fontaine is a collective artist created in 2004. It is not a group of artists working together under a brand, it is not a society of individuals who have chosen to be anonymous (many of them have done so in recent decades, from Banksy to Blu, to the Residents, to Wu Ming...). No, she is none of them, she is an artist who exists only as a name and who works through her two assistants, Fulvia Carnevale and James Thornhill. They act on behalf of Claire Fontaine and they are the ones who give interviews.

No desire for anonymity but just the desire to overcome that subjectivity which has always characterized an artist in society. The name Claire Fontaine is related to Marcel Duchamp’s fundamental work, the urinal entitled Fontaine (1917) and to a French brand of school notebooks (Clairefontaine), the name by itself is their first work, their first ready-made. As a matter of fact Claire Fontaine is a readymade artist, who creates her works making use of neon, coins, flags, smoke written sentences, bricks. To her, art is a complicated and risky dialogue with ideas, memories and perceptions. She is very much inspired by Carla Lonzi’s writings, an art critic and a militant activist, who founded in 1970, together with artist Carla Accardi and journalist Elvira Banotti the Italian feminist group “Rivolta Femminile”. Her constant attention to words which captivate both for their ambivalence and power, becomes neon or LED works conveying clear messages. Creating a sort of intimation and incitement to reflection, these upsetting and at the same time fascinating plays of light give off singular energies and emotions, making words interact with the outside world and giving a new meaning to the reality that surrounds them. By altering the perception of the spaces involved, Claire Fontaine provokes a certain awareness which is fundamental to question the great challenges of the present. On the occasion of AW20 fashion show in 2020, Claire Fontaine, in her first collaboration with Maria Grazia Chiuri for Dior, covered the catwalk with newspaper – a reference to one of her previous installations, Newsfloor – creating a ‘visual noise’, an authentic artistic dialogue between feminist art and creation in all its forms. The installation was completed by a series of neon signs hanging above the catwalk reproducing phrases with powerful meanings, such as: “Women’s Love is Unpaid Labour”, “Feminine Beauty Is a Ready Made”, “Patriarchy = Climate Emergency”, and “Consent”. Now Claire Fontaine ‘lends’ the title to the Biennale Arte 2024, Foreigners Everywhere, taken from a series of neon works created and re-proposed in different situations. Foreigners Everywhere could be meant to express a concept linked to the current circumstances in which the crisis of subjectivity merges with the crisis of politics and its legitimacy of representation. Claire Fontaine makes a very lucid and tragic analysis of the present situation characterized by a political, managerial and social void and how this void is reflected in the world and art market. Her analysis underlines that we know everything about every current emergency, every problem (from climate to geopolitical, from work to political representation questions) but we don’t know how to solve them.

FOREIGNERS EVERYWHERE

Claire Fontaine

Giardini e Arsenale

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STRANIERI OVUNQUE CLAIRE FONTAINE

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arte
Photo Fausto Brigantino

Due parole, Stranieri Ovunque, che raccolgono un mondo e che dal 2004 ad oggi Claire Fontaine ha ammantato di sempre nuovi e profondi significati in base ai contesti in cui sono state ‘pronunciate’. Da dove è partita e dove è arrivata l’opera? E quale ‘confine’ fisico e metafisico definisce oggi come manifesto Biennale?

Stranieri Ovunque è l’enigmatica firma di un volantino indirizzato ai migranti trovato da noi a Torino all’inizio degli anni 2000. Abbiamo raccolto il potenziale di queste due parole ambigue, le abbiamo tradotte in lingue diverse e illuminate come fossero sottotitoli dello spazio in cui erano installate. Abbiamo iniziato questa serie di lavori vent’anni fa. Stranieri Ovunque in lingua Tupi è già stato il titolo di una mostra curata da Adriano Pedrosa nel 2009, ma averlo scelto come titolo della Biennale lo trasforma radicalmente. Appropriandosi di un’appropriazione, il curatore ne ha cambiato la funzione, come accade con il ready-made, eccetto che qui è un’opera d’arte che accoglie come rifugiati tutte le altre. Questa Biennale è stata pensata dal punto di vista del Sud globale nel momento in cui il numero dei rifugiati è il più alto mai registrato sul pianeta e diversi conflitti terrificanti insanguinano il presente in modo irreparabile. Ci auguriamo che porti strumenti per affrontare emotivamente e criticamente queste tragedie.

Sia nella costruzione simbolica di Claire Fontaine che nelle sue opere sembra evidente la volontà di superamento della soggettività come ricatto storico dell’autorialità, del culto dell’artista. È davvero così?

I tempi sono maturi per comprendere quanto danno abbia fatto l’individualismo capitalista e quanto deboli siano diventate le soggettività costruite su questo paradigma che non mette al centro la relazione umana nella costruzione del proprio senso del sé. L’intersoggettività fisica ed esperita è la fonte principale di senso delle nostre vite e soprattutto della creazione. È bello parlare di ricatto rispetto alla concezione odierna della soggettività, perché di fatto il programma di ogni identità è di assomigliare sempre a se stessa, corrispondere alle aspettative di chi la forgia (famiglia, lavoro, società, stato), mentre invece la soggettività è un divenire; le nostre vite sono dei processi non lineari, dei continui movimenti in direzioni imprevedibili, non delle marce a tappe forzate in un percorso produttivo.

Sembra di capire che per Claire Fontaine l’arte non ha a che fare con la paura, la disperazione, né con il bisogno dell’artista di entrare in relazione con i corpi sociali. In effetti, date la sensazione di non essere a disagio in una stanza vuota… No, per niente. Passiamo la vita in stanze vuote, come la maggior parte degli artisti. La solitudine non è una cosa da temere, è essenziale alla creatività e all’equilibrio mentale. È anche la condizione per apprezzare la collettività.

Dalle letture delle sue interviste come dalla visione delle sue opere Claire Fontaine dimostra di possedere un rigore intellettuale degno di un logico matematico e una visione degli orizzonti temporali degna di un abile analista finanziario. Tuttavia, le sue analisi sulla società e sull’arte non sfiorano mai né il cinismo né l’opportunismo: non solo sono condivisibili, ma sembrano anche dotate di una partecipata consapevolezza, di una dolorosa saggezza sui rischi del futuro prossimo venturo. Come si aggiorna il pensiero di Claire Fontaine e come di conseguenza si esprime il suo lavoro? È una domanda trabocchetto? Ci sembra troppo lusinghiera… Gli artisti hanno l’immensa fortuna di non essere incatenati a nessuna classe sociale. Incontrano persone ricche, povere, ignoranti, colte, interessanti, noiose; se lo desiderano possono mantenere

These two words, Foreigners Everywhere, bring together a whole world. From 2004 to today Claire Fontaine has kept giving them new and profound meanings, according to the contexts in which they were “pronounced”. Where did the work start from and where has it arrived? And what physical and metaphysical ‘boundary’ defines it today as a manifesto for the Biennale?

Stranieri Ovunque (Foreigners Everywhere) is the enigmatic signature of a flyer addressed to migrants found by us in Turin at the beginning of the years 2000s. We have collected the potential of these two ambiguous words, we have translated them into different languages and illuminated them as if they were subtitles of the space in which they were installed. We started this series of works twenty years ago. Stranieri Ovunque in old Tupi language has already been the title of an exhibition curated by Adriano Pedrosa in 2009, but being chosen as the title of the Biennale radically transforms it. By appropriating an appropriation, the curator has changed its function, as it happens with an object when it becomes a readymade, except that here it is a work of art that shelters all the others, like refugees. This biennial was conceived from the standpoint of the Global South at a time when the number of refugees worldwide is the highest ever registered and several terrifying conflicts are staining the present with blood beyond repair. We hope it will bring tools to emotionally and critically address these tragedies.

Both in the symbolic construction of Claire Fontaine and in her works, there seems to be a clear intention to overcome subjectivity as a historical blackmail of authorship, of the cult of the artist. Is it really so?

Times are ripe to evaluate the extent of the damage caused by capitalist individualism and to see how weak the subjectivities built upon this paradigm have become, because it doesn’t put human relationships at the center of the construction of people’s sense of self. Physical and experienced intersubjectivity is the main source of meaning for our lives and ultimately the condition for creativity. It is nice to talk about blackmail to address today’s conception of subjectivity, because in fact the program of identity in general is to always remain the same, in order to meet the expectations of those who shape it (family, work, society, state) while subjectivity is instead in the becoming. Our lives are non-linear processes, continuous movements in unpredictable directions, not forced stages marches within a productive path.

It seems that for Claire Fontaine art has nothing to do with fear, desperation, nor with the artist’s need to relate to social bodies. In fact, she gives the feeling of not being uncomfortable in an empty room…

No, not at all. We spend our lives in empty rooms, like most artists. Loneliness is not something to fear, it is essential to creativity and mental balance. It is also the condition for appreciating the community.

From the readings of her interviews as well as from the viewing of her works Claire Fontaine seems to possess an intellectual rigor worthy of a mathematical logician and a vision of time horizons worthy of a skilled financial analyst. However, her analyses of society and art never border on cynicism nor opportunism: not only are they plausible, but they also seem to have a collective awareness, a painful wisdom regarding the risks of the upcoming future. How does Claire Fontaine keep up with her time and how does this affect her work?

Is this a tricky question? It seems too flattering... Artists have the immense luck of not being chained to any social class, they

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STRANIERI OVUNQUE CLAIRE FONTAINE

la loro mente completamente aperta e cercare di comprendere quello che accade con meno pregiudizi possibile, possono insomma coltivare la libertà. Naturalmente facendolo si trovano in una posizione spossante che crea un’infinità di complicazioni che la maggior parte delle persone preferisce evitare. Dato che noi diciamo che il nostro lavoro è un’investigazione sull’esperienza di essere vivi nel ventunesimo secolo, con Claire Fontaine non abbiamo scelta e manteniamo sia il cuore che la mente aperti, ma potremmo provarci tutt*.

Un concetto importante nel suo sistema estetico e produttivo è quello dello human strike, dello sciopero umano. Da cosa l’uomo dovrebbe scioperare?

Tanto per cominciare dovremmo scioperare contro le identità di genere: “l’uomo”, per esempio, è un’idea astratta e opprimente per l’umanità e va rivisitata alla luce della tossicità del patriarcato. La nostra consapevolezza attuale del rapporto tra produzione e riproduzione mostra che la riappropriazione dei mezzi di produzione da parte della classe operaia non sarebbe ormai più risolutiva di nulla; i nostri metodi produttivi non sono sostenibili e ci stanno sprofondando sempre più nel disastro ecologico. Sono i nostri rapporti con il mondo, con le risorse della nostra energia, col lavoro, sono i nostri desideri che andranno radicalmente trasformati. Il campo di battaglia di queste lotte non è più solo la differenza di classe, ma la soggettività e il modo in cui è costruita; lo sciopero non può limitarsi al campo professionale, deve investire il relazionale, in cui la nostra complicità con gli oppressori è più difficile da scardinare. Il lavoro relazionale è diventato una vera e propria miniera sia nel campo professionale che in quello dei social; contribuiamo costantemente alla riproduzione di una società invivibile in tanti modi diversi (con il lavoro di cura gratuito o mal pagato, con l’accettazione di condizioni di sopravvivenza psicologicamente e materialmente disumane, con la paura di denunciare l’orrore che ci circonda). Dissociarsi da ciò che nelle nostre relazioni anche informali rende possibili l’oppressione e la solitudine, l’angoscia e la depressione, ci permette di entrare in sciopero umano e trovare compagni e compagne di lotta. Abbiamo iniziato con l’identità di genere perché la società patriarcale è strutturata su dei ruoli fissi: l’identità maschile oscilla tra l’onore e la vergogna e la donna che vi orbita intorno è co-responsabile del lato verso cui l’ago pende nell’esistenza dell’uomo che accompagna. Questo è uno dei primi meccanismi da far esplodere: se salta, salterà tutto il resto – come dice Paul Preciado.

Adriano Pedrosa offre una nuova visione di Sud come concetto e prospettiva. Perché Claire Fontaine ha scelto il Sud? Potremmo darvi le risposte ovvie che sono naturalmente vere (sul cibo, la gente, il tempo). In realtà abbiamo scelto Palermo per il suo rapporto con la resilienza, perché convive con le sue ferite e trova modi di coesistere con l’irreparabile, l’imperfezione, l’incuria. Tutti i problemi della nostra civiltà si vedono molto più chiaramente dal Sud. Il problema del capitalismo è che si accompagna a una forma di riscrittura del reale, una propaganda pubblicitaria che si incarna (Debord la chiamava la società dello spettacolo), che rende invisibili tutte le possibilità e le occasioni che potrebbero salvarci dal disastro presente. Dal Sud invece si vedono benissimo.

meet rich, poor, ignorant, cultured, interesting, boring people, if they wish they can keep their minds completely open and try to understand their present with as little prejudice as possible, they can, in short, cultivate freedom. Of course, by doing so they put themselves in an exhausting position that creates countless complications and most people prefer to avoid them. For us, as we say that our work is an investigation upon the experience of being alive in the twenty-first century, within Claire Fontaine we have no choice and we must keep both our hearts and minds open, but we could all try to do it.

An important concept in her aesthetic and creative system is that of the human strike. What should the man strike from?

To begin with, we should strike against gender identities: “man” for example is an abstract and oppressive idea for humankind and must be revisited in light of the toxicity of patriarchy. Our current awareness of the relationship between production and reproduction shows that the re-appropriation of the means of production by the working class would no longer solve anything; our production methods are not sustainable and are plunging us deeper and deeper into ecological disaster. It is our relationships with the world, with the resources of our energy, with work, it is our desires that will need to be radically transformed. The battlefield of these struggles is no longer just class difference, but subjectivity and the way in which it is constructed, the strike can no longer be limited to the professional field, it must involve the relational space, in which our complicity with the oppressors is more difficult to unhinge. Relational work has become a real mine both in professional and social fields, we constantly contribute to the reproduction of an unlivable society in many different ways (with free or poorly paid care work, with the acceptance of conditions of psychologically and materially inhuman survival, with the fear of reporting the horror that surrounds us). Dissociating ourselves from what in our relationships, even informal ones, makes oppression and loneliness, anguish and depression possible, allows us to go on human strike and find companions in the struggle. We started with gender identity because patriarchal society is structured upon fixed roles: male identity oscillates between honor and shame and the woman who orbits around it is co-responsible for the side towards which the needle leans in the existence of the man that she accompanies, this is one of the first mechanisms to destroy: if it breaks, everything else will break– as Paul Preciado says.

Adriano Pedrosa offers a new vision of the South as a concept and perspective. Why did Claire Fontaine choose the South?

We can give you the obvious answers that are naturally true (about food, people, weather). Truly we chose Palermo for its relationship with resilience, because it lives with its wounds and finds ways to coexist with the irreparable, the imperfection, the neglect. All the problems of our civilization can be seen much more clearly from the South. The problem of capitalism is that it comes with a form of rewriting of reality, the advertising propaganda that is embodied (Debord called it the society of the spectacle) that makes invisible all the possibilities and opportunities that could save us from the present disaster. From the South, however, they are clearly visible.

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Giardini, Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Matteo de Mayda

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STRANIERI OVUNQUE LEONI

Il regno della luce La Biennale

celebra la sacralità del sapere ma¯ori

Nell’assegnare il Leone d’Oro a Mataaho Collective per la migliore partecipazione a Foreigners Everywhere, la giuria della 60. Biennale Arte ha sottolineato la potenza evocativa dell’installazione che attraversa poeticamente lo spazio amplificata dalle impressionanti dimensioni: «una prodezza ingegneristica che è stata resa possibile solo dalla forza e dalla creatività collettiva del gruppo», con un «abbagliante modello di ombre proiettate sulle pareti e sul pavimento [che] rimanda a tecniche ancestrali e fa pensare a usi futuri delle stesse». Formato dalle artiste ma¯ori Bridget Reweti, Erena Baker, Sarah Hudson e Terri Te Tau, Mataaho Collective ha dedicato l’ultimo decennio alla creazione di ampie installazioni in fibra che richiamano gli intricati intrecci della vita e dei sistemi di sapere ma¯ori. Uno degli elementi centrali del loro lavoro è il takapau, una stuoia finemente tessuta tradizionalmente utilizzata nelle cerimonie, in particolare durante il parto. Nel mondo ma¯ori, il takapau assume un significato profondamente sacro, in quanto simbolo del momento della nascita, segnando la transizione tra il regno della luce (Te Ao Marama) e il regno degli dei (Te Ao Atua). L’utero, nella concezione ma¯ori, è considerato uno spazio sacro in cui i bambini sono in connessione diretta con le divinità, conferendo alla nascita un’aura di sacralità e mistero. L’installazione Takapau, che accoglie i visitatori all’entrata delle Corderie dell’Arsenale, incorpora materiali che includono tiranti e attrezzi utilizzati per mettere in sicurezza e sostenere carichi in movimento. I nastri riflettenti che compongono l’installazione sono gli stessi usati per realizzare gli equipaggiamenti di sicurezza dei lavoratori in ambienti di lavoro rischiosi. Spesso abbinati a colori fluorescenti, queste uniformi sono progettate per essere notate, anche se le persone che le indossano sono spesso destinate a rimanere invisibili. La scelta dei materiali e l’attenzione ai dettagli riflettono dunque la volontà del collettivo di mettere in luce l’importanza della comunità e del lavoro collettivo, valori fondamentali nella cultura ma¯ori. L’installazione, osservabile da molteplici prospettive, rivela un’intricata struttura attraverso un gioco di luci e ombre che filtra attraverso i motivi intessuti, creando un ambiente multisensoriale – materiale e immateriale – che avvolge il visitatore proprio come un grembo materno, infondendo un senso di fiducia e sicurezza. Marisa Santin

Realm ENG of light

One of the central elements of the Mataaho Collective’s work is the takapau, a finely woven mat traditionally used in ceremonies, particularly during childbirth. In the Ma¯ori world, the takapau holds a profoundly sacred meaning, symbolizing the moment of birth and marking the transition between the realm of light (Te Ao Marama) and the realm of the gods (Te Ao Atua). The womb, in Ma¯ori conception, is considered a sacred space where children are in direct connection with the deities, conferring an aura of sanctity and mystery to birth. The installation, which welcomes visitors at the entrance of the Arsenale, incorporates materials that include straps and tools used to secure and support moving loads. The tapes that make up the installation are the same ones used to create safety gear for workers in hazardous work environments. Often paired with fluorescent colors, these uniforms are designed to be noticed, even though the people wearing them are often destined to remain invisible. The choice of materials and attention to detail thus reflect the collective’s desire to highlight the importance of community and collective labor, fundamental values in Ma¯ori culture. The installation, observable from multiple perspectives, reveals an intricate structure through a play of light and shadow filtering through the woven patterns, creating a multisensory environment – both material and immaterial – that resembles a maternal womb, instilling a sense of trust and security.

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FOREIGNERS EVERYWHERE MATAAHO COLLECTIVE. Takapau Arsenale
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello

Scene di vita a Lagos I ‘ragazzi’ di Ashadu, tra patriarcato e vulnerabilità

Con una formazione come pittrice e una carriera maturata nella video arte, il lavoro dell’artista britannico-nigeriana Karimah Ashadu (1985, Regno Unito) ritaglia un preciso spazio di elaborazione artistica trasformando quello che inizialmente può sembrare un classico documentario in un’opera di potente impatto creativo. Già in Plateau, video installazione presentata nell’ambito della mostra Penumbra, promossa da In Between Art Film al Complesso dell’Ospedaletto nel 2022, l’artista dava voce a classi di lavoratori spesso invisibili. Il video ritraeva un gruppo di minatori di stagno nella regione del Jos Plateau in Nigeria mostrando corpi maschili mentre setacciano faticosamente il fango e spostano secchi d’acqua in gesti ripetitivi. In Plateau lo sguardo dell’artista rimane sempre vicino ai lavoratori stremati, le cui gestualità testimoniano la lotta per la sopravvivenza utilizzando tecniche manuali ereditate. Con il suo nuovo lavoro, Machine Boys, presentato alla 60. Biennale Arte, l’artista sposta l’attenzione sulle condizioni di vita dei mototaxi, conosciuti colloquialmente come okada, nella megalopoli di Lagos in Nigeria, dove l’artista è cresciuta. All’Arsenale, la proiezione di Machine Boys avviene in una stanza viola, colore ispirato dai fari di uno dei motociclisti, ed è accompagnata da un’installazione scultorea in ottone, Wreath, un rilievo intrecciato di pneumatici simile a un medaglione che suggerisce concetti di commemorazione e legittimità. Nel 2022, a seguito di numerosi incidenti e dell’impossibilità di regolamentare l’economia informale degli okada, l’amministrazione della città ha imposto un divieto che ha reso passeggeri e conducenti passibili di reclusione. Con uno sguardo lucidamente femminista, Ashadu esplora le conseguenze di questo divieto, concentrandosi sulle abitudini e sulle sfide quotidiane dei guidatori di okada, che incarnano una particolare concezione di mascolinità. Fra le righe il film mette in luce la loro vulnerabilità, offrendo un ritratto intimo e complesso degli ideali patriarcali nigeriani. Machine Boys ha guadagnato il plauso della Giuria della Biennale Arte, che ha attribuito a Karimah Ashadu il Leone d’Argento per un promettente giovane partecipante a Foreigners Everywhere, riconoscendole la forza di stravolgere «le ipotesi di genere sullo sguardo e su ciò che è considerato appropriato commemorare», un tributo ad un’opera che esplora con sensibilità e profondità tematiche di vulnerabilità, identità e resistenza, offrendo una riflessione potente e necessaria sulle condizioni socio-economiche e culturali della Nigeria contemporanea. M.S.

Life scenes ENG in Lagos

With a background in painting and a career in video art, the work of British-Nigerian artist Karimah Ashadu carves out a distinct space of artistic elaboration, transforming what initially appears to be a classic documentary into a work of powerful creative impact. Already in Plateau, a video installation presented as part of the exhibition Penumbra, promoted by In Between Art Film at the Complesso dell’Ospedaletto in 2022, the artist gave voice to often invisible working classes. The video depicted a group of tin miners in the Jos Plateau region of Nigeria, showing male bodies strenuously sifting mud and moving buckets of water in repetitive gestures. With her new work, Machine Boys, presented at the 60th Venice Biennale, the artist shifts her focus to the living conditions of motorcycle taxi drivers, colloquially known as okada, in the megacity of Lagos in Nigeria, where the artist grew up. In 2022, following numerous accidents and the inability to regulate the informal economy of the okada, the city administration imposed a ban that made passengers and drivers liable to imprisonment. With a lucidly feminist gaze, Ashadu explores the consequences of this ban, focusing on the habits of the okada drivers, highlighting their vulnerability, and offering an intimate and complex portrait of Nigerian patriarchal ideals.

FOREIGNERS EVERYWHERE

KARIMAH ASHADU. Machine Boys Arsenale

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Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù

arte

Avenida Paulista

Alle Corderie Adriano Pedrosa rende omaggio a Lina Bo Bardi

Attraverso le Corderie dell’Arsenale il cammino ideato da Adriano Pedrosa per la sua Foreigners Everywhere – Stranieri Ovunque, tema e titolo della 60. Biennale Arte, porta alla sezione Italiani Ovunque, che si apre all’esperienza sublime di un viaggio attraverso l’Atlantico fino al cuore dell’Avenida Paulista.

Per chi ha avuto il privilegio di visitare la collezione permanente del Museu Masp a San Paolo, la sensazione è insieme di eccitante familiarità e di estraniamento per il ritrovamento di un’esperienza unica ricreata lontano dal suo luogo di appartenenza. Per i brasiliani il sentimento è di orgoglio nel sentirsi protagonisti tra i protagonisti, per tutti gli altri visitatori immagino che la sensazione sia di meraviglia expografica, di apprezzamento per un linguaggio creativo che l’architetta Lina Bo Bardi ha costruito nel momento di genio che l’ha resa eterna. Un vasto tratto delle Corderie è infatti popolato dai famosi cavalletti da lei progettati, rivisitati dallo studio paulista Metro Arquitetos, realizzati in vetro, legno e cemento, materiali per eccellenza prescelti dal Modernismo brasiliano. Ispirata all’idea di togliere dalla parete e collocare tra la gente l’opera d’arte, la sua visione di pinacoteca toglie all’immagine per restituire all’oggetto, mostrando il lato oscuro della storia della pittura. Il verso dei dipinti, infatti, acquista dignità e suscita curiosità per i dettagli di vita delle opere raramente offerti al pubblico. L’allestimento è perfetto per le Corderie, dove il flusso di visita è bidirezionale e l’esperienza cambia a seconda del percorso intrapreso tra i cavalletti che occupano omogeneamente lo spazio.

Pedrosa offre qui al pubblico della Biennale, quindi, la possibilità di vivere un ritaglio felice della storia dell’arte italo-brasiliana attraverso questa sezione denominata Italiani Ovunque, il cui titolo tuttavia, se non fosse per le dichiarazioni del curatore, offre più di una interpretazione. Proporre una sezione caratterizzata dall’identità italiana diasporica è un progetto necessariamente complesso, con questioni aperte che vanno dallo sradicamento all’adattamento, alla ridefinizione delle aspettative, dei sentimenti di appartenenza e di identificazione del migrante. Potrebbe anche essere letta con i connotati negativi del pensiero decoloniale brasiliano, che racconta l’immigrazione europea di fine Ottocento come stigma di una politica di stato di branqueamento, di sbiancamento della cittadinanza brasiliana che, con l’abolizione della schiavitù, era diventata di maggioranza afrodiscendente. Delle tante possibilità di approfondimento che il soggetto della mostra offrirebbe, ad ogni modo la condizione di straniero, il luogo di nascita sulla carta d’identità pare davvero essere il criterio identitario prediletto da Adriano Pedrosa, che in questa sezione rappresenta a tutti gli effetti il vero tratto connettivo, di coerenza con il resto della mostra. Oltre al dato anagrafico del luogo di nascita, determinante per la categorizzazione, Pedrosa ha prediletto per questa sezione principalmente artisti italiani cresciuti nelle Americhe, proponendo opere di collocazione storica diversa. La selezione delle opere esposte è a servizio della valorizzazione del progetto di allestimento di Lina Bo

Bardi, la cui apertura si offre ancora oggi a interpretazioni ed espressioni creative assai composite, pur dentro i limiti del cavalletto. Rimane al visitatore l’ampia visione storica offerta, grazie alla quale si è indotti ad approfondire, contestualizzandole per l’appunto storicamente, le poetiche dei singoli artisti. Figure del calibro di Eliseu Visconti, presente con un suo celebre autoritratto, di Alfredo Volpi, di Anita Malfatti, di Waldemar Cordeiro, fondatore del movimento Ruptura e presente con un’opera forse non adeguatamente rappresentativa, di Anna Maria Maiolino, anche lei immensa, Leone d’Oro alla Carriera conferitole proprio da Pedrosa in questa edizione della Biennale.

Concluderei citando le parole autobiografiche di Amadeo Luciano Lorenzato, presente anche lui nella sezione Italiani Ovunque, un uomo bianco europeo che incorpora in arte lo spirito della diaspora italiana in lotta per emanciparsi dalla condizione di subalternità:

«Non si sottomette a nessuna scuola/ Né a questa o quella tendenza/ Non appartiene a nessuna cricca/ Dipinge tutto ciò che stuzzica la sua fantasia» (Lorenzato, 1948)

Lucio Salvatore

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Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello

Italians ENG

Everywhere

As you walk through the Corderie hall at Arsenale, you’ll follow the path Adriano Pedrosa created for the main exhibition at the Art Biennale: Foreigners Everywhere down to subsection Italians Everywhere and to the starting point of a journey across the Atlantic to Sao Paulo. If one ever visited the MASP Museum in São Paulo, they will feel exciting familiarity and curious alienation for such an experience being held thousands of miles away from its place of origin. Brazilians must be proud to be protagonists among protagonists, while all other visitors will love this expo-graphic marvel and the appreciation for creative language that architect Lina Bo Bardi designed in a moment of genius that eternalized her. In fact, a large section of the Corderie is populated with the easels she designed, revisited by São Paulo’s studio Metro Arquitetos, made with glass, lumber, and concrete –the same materials to be found in Brazilian modernism. Inspired by the idea of taking the art off the wall and allowing visitors to walk around it, Bo Bardi’s vision of a painting gallery chips away at the mere ‘image’ to give back to the ‘item’. This kind of staging is perfect for the Corderie, where visitors walk both ways.

Adriano Pedrosa welcomes the Biennale public into a happy corner of Italian-Brazilian art history. To offer a section on the Italian diaspora is a necessarily complex task, with open issues that range from uprooting to adaptation, redefinition of expectations, sense of belonging, identification of the immigrant. Different, polarizing interpretations must be given proper attention, too, as Italians Everywhere might also be read under the negative connotation theorized by Brazilian decolonization doctrine, which sees late-nineteenth century immigration to Brazil as a branqueamento, a whitening of Brazilian citizenry. At any rate – what seems to be the criterion for the inclusion in the exhibition’s subsection is the place of birth, binding it all together.

Curator Pedrosa also included Italians who grew up in the Americas, more generally, and art of diverse historical connotation. Visitors will love the far-reaching scope of the historical offer, which allows to understand and contextualize the production of every individual artist, like Eliseu Visconti (present with his famous self-portrait), Alfredo Volpi, Anita Malfatti, Waldemar Cordeiro (the founder of the Rupture movement), and the immense Anna Maria Maiolino, whom Pedrosa awarded the Golden Lion for Lifetime Achievement.

We shall end this short presentation with a few verses from Amadeo Luciano Lorenzato’s memoir. Lorenzato is himself present in the Italians Everywhere section.

“He bows before no school

Neither to this or that fashion

He belongs to no clique

He paints whatever strikes his fancy”

FOREIGNERS EVERYWHERE Italiani Ovunque Corderie, Arsenale labiennale.org

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Lina Bo Bardi, Cavaletes de vidro, 1968/2024 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere Riproduzione autorizzata dall’Instituto Bardi - Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello

arte

NATIONAL PARTICIPATIONS

GIARDINI

Memoriale vivente L’albero di Moore guarda alle origini della First Nation

«Come l’acqua scorre attraverso i canali di Venezia fino alla laguna, poi all’Adriatico e agli oceani, connettendoci tutti sulla Terra, così i sistemi di parentela aborigeni includono tutti gli esseri viventi in una rete più ampia di relazioni. Siamo tutti uno e condividiamo la responsabilità di prenderci cura di tutti gli esseri viventi. kith and kin è un memoriale dedicato a ogni essere vivente che sia mai esistito, uno spazio per una riflessione silenziosa sul passato, sul presente e sul futuro». Così Archie Moore descrive il suo progetto per il Padiglione australiano alla Biennale Arte, vincitore del Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale 2024. L’artista ha lavorato per mesi per disegnare a mano con il gesso un monumentale albero genealogico della First Nation. Il vasto murale ripercorre le sue parentele kamilaroi e bigambul indietro nel tempo, fino a comprendere gli antenati comuni a tutti gli esseri umani. L’utilizzo delle parole “kamilaroi” e “bigambul” rivendica, inoltre, le iniziative di riscoperta della lingua indigena, mentre i vuoti indicano le invasioni coloniali, i massacri, le malattie e gli esodi. Archie Moore, sempre sensibile al problema dell’estinzione delle lingue native australiane, in particolare degli idiomi che appartengono al proprio retaggio familiare, estende dunque la sua indagine all’impatto che la colonizzazione inglese ha avuto sulle popolazioni indigene, stimolando un recupero del senso di appartenenza alla terra. Moore parte da una posizione di forza piuttosto che di deficit, sottolineando l’importanza della sovranità continua dei popoli delle Prime Nazioni e celebrando l’esistenza ininterrotta delle culture più antiche del mondo, invitandoci a riflettere sul fatto che, mentre è impressionante che le culture e le società primigenie siano esistite per oltre 65.000 anni, è ancora più miracoloso che rimangano forti, resilienti e resistenti dopo un periodo di colonizzazione così aggressivo. Una vasca d’acqua posta al centro dello spazio riflette il gigantesco albero genealogico di Moore amplificandone l’impatto, mentre tutto attorno pile di documenti forniscono al visitatore un impianto didattico e informativo, trasformandosi in una sorta di memoriale basato su rapporti medici legali e documenti d’archivio relativi alla storia familiare dell’artista. Intrisa di lirismo e forza estetica, l’opera di Archie Moore crea uno spazio di riflessione e consapevolezza, unendo il passato e il presente in una narrazione potente e necessaria che ci invita a riconoscere e affrontare le conseguenze della colonizzazione, celebrando al contempo la resilienza e la persistenza delle culture indigene. Marisa Santin

Living ENG memorial

Archie Moore worked for months on-site, hand-drawing with chalk a monumental genealogical tree of the First Nation. The use of the words “Kamilaroi” and “Bigambul” also claims his initiatives of rediscovering the indigenous language, while the gaps in the tree indicate colonial invasions, massacres, diseases, and exoduses. Aiming to extend his investigation into the impact that English colonization had on indigenous populations, stimulating a recovery of the sense of belonging to the land, the artist starts from a position of strength rather than deficit, highlighting the importance of the continuous sovereignty of First Nations peoples and celebrating the uninterrupted existence of the world’s oldest cultures. Moore invites us to reflect on the fact that, while it is impressive that ancient cultures and societies have existed for over 65,000 years, it is even more astounding that they remain strong, resilient, and resistant after such an aggressive period of colonization. The Australian Pavilion, winner of the Golden Lion for best national participation at the Biennale Arte, thus transforms into a space of reflection and awareness, uniting the past and present in a powerful and necessary narrative that invites us to recognize and address the consequences of colonization, while simultaneously celebrating the resilience and persistence of indigenous cultures.

AUSTRALIA kith and kin Giardini

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Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Matteo de Mayda

Orario [Opening Hours]

20.04 30.09 h. 11 19

01.10 24.11 h. 10 18

Chiuso il lunedì [Closed on Mondays]

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#BiennaleArte2024 labiennale.org
La Biennale di Venezia labiennale la_Biennale BiennaleChannel

arte

NATIONAL PARTICIPATIONS GIARDINI

Il profumo dell’anima

Venezia, Coco Chanel, Julien Creuzet e Dalton Paula

Venezia è stata forse la città più amata da Coco Chanel per la sua bellezza infinita e per la straordinaria fonte di ispirazione e fascino che ha sempre sprigionato, non solo per la ricchezza bizantina e orientale, per la fioritura gotica e la linearità rinascimentale, ma anche perché la couturière, nata sotto il segno del leone, era anch’essa una leonessa, fiera e rivoluzionaria come Venezia, città per eccellenza rappresentata dal leone.

L’arte è sempre stata un elemento fondamentale per Coco e il Chanel Culture Fund continua la sua missione perseguendo l’obiettivo di offrire visibilità ad artisti del panorama contemporaneo e in particolare ora a Venezia, in occasione della 60. Biennale Arte, nel sostenere e sponsorizzare Julien Creuzet, invitato a rappresentare la Francia.

Ai Giardini, l’artista caraibico originario della Martinica, Creuzet ha creato negli spazi fortemente caratterizzati del Padiglione francese un’opera immersiva intensa, mescolando musica, delicati video di un mare in pericolo, installazioni fatte di cera, fili colorati e oggetti trovati sulla battigia trasportati dall’Oceano. Il titolo e il Padiglione stesso sono come una poesia – Attila cataracte ta source/aux pieds des pitons verts/finira dans la grande mer/gouffre bleu/nous nous noyâmes/dans les larmes marées de la lune – in cui l’artista si racconta, la traversata dell’Oceano, la migrazione, il sentirsi stranieri. Noi, visitando il Padiglione francese ci sentiamo immersi in questo oceano che porta una speranza per un mondo migliore.

All’Arsenale, i magnifici ritratti dell’artista brasiliano Dalton Paula, vincitore dello Chanel Next Prize, riconoscimento che viene assegnato ogni due anni a dieci artisti da tutto il mondo che si sono distinti come innovatori della propria disciplina, ci colpiscono per la loro straordinarietà. Il ritratto è spesso associato a personaggi ricchi, famosi, maschi e bianchi. In una società come quella brasiliana, con una storia importante di schiavitù e colonizzazione, i neri non sono ritratti e men che meno hanno un nome e una storia.

Dalton Paula, invece, dipinge intimi ritratti di brasiliani neri dimenticati, sconosciuti, usando foto rare che trasforma in dipinti intensi e suggestivi, dando un volto a chi non ha mai avuto un riconoscimento nella storia. Sono volti e corpi di afrobrasiliani della diaspora, schiavi o ex schiavi, spesso dipinti con la capigliatura d’oro, poiché molti di loro in Africa erano re e principesse. Il processo artistico di Paula si concentra soprattutto sui terreiros, luoghi di culto brasiliani, e i quilombos, comunità di ex schiavi, dando con la sua arte voce, memoria e volto a chi non l’ha mai avuto.

Irene Machetti

The scent ENG of soul

Venice might have been Coco Chanel’s favourite city, for its beauty, certainly, though also for the charm and inspiration it commands: Byzantine and Oriental riches, Gothic flowering style, Renaissance-era consistency… Chanel was a lioness, too, proud and revolutionary like Venice has always been. The Chanel Culture Fund’s mission is to offer visibility to modern artists. On occasion of the 60th Venice Art Biennale, the Fund will support Julien Creuzet, representing France. The Martinican-born artist created an intense piece of immersive art by mixing together music, videos of troubled seas, wax installations, coloured threads, and salvaged objects that the Ocean deposited on the beach. Further artists sponsored by the Chanel Culture Fund are at the Arsenale, like Brazilian Dalton Paula, who also won the Chanel Next Prize. Paula paints portraits of black Brazilians who had been forgotten or were otherwise unknown, giving a face to those history didn’t recognize properly in a country that had a history of slavery and colonization. Dalton Paula focuses on terreiros – places of worship – and quilombos – communities of formerly enslaved people.

FRANCIA

Julien Creuzet Giardini

STRANGERS EVERYWHERE

Dalton Paula Arsenale

www.chanel.com

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Julien Creuzet, Padiglione Francia - Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello Dalton Paula, Pacifico Licutan, 2024 Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello

arte

NATIONAL PARTICIPATIONS GIARDINI

Poetico Sestante Coordinate dello spazio comune

Foreigners Everywhere / Stranieri ovunque : la 60. Biennale Arte si apre così, come a dire che «tutti sono stranieri in ogni luogo» non solo quindi che «gli stranieri – intesi come altri da noi – sono dappertutto», perché anche noi, siamo stranieri in cammino, da sempre. Ma da quando, e soprattutto, fino a quando? E cosa ci accomuna in questo «sentirci un po’ stranieri o in questo nostro mai sentirci completamente appartenenti ad un popolo piuttosto che ad un altro, in nome della ricerca della libertà, o meglio del sogno di una libertà che non ci si stanca di raggiungere mai?».

Tralasciando ogni sorta di pregiudizio comune, vero o presunto, assieme all’accusa di mancare di patriottismo, almeno in Italia, la risposta a questo quesito, pare suggerita proprio dal Padiglione Venezia ai Giardini, a cura di Giovanna Zabotti.

Ancora una volta, nell’anno dedicato ai 700 anni dalla morte di Marco Polo, occorre pensare alla Serenissima come crocevia di popoli da Oriente ed Occidente, il cui fascino permane ancora oggi, pur con tutte le criticità del caso. Se “Sestante” è lo strumento ottico per misurare l’altezza di un astro sull’orizzonte o la distanza angolare fra due punti della volta celeste, e “Domestico” ha a che fare con la “domus”, ovvero la casa, si tratta di comprendere la natura di questo Sestante domestico, quasi fosse un “focolare” da accendere, o da condividere, se compreso in uno spazio comune.

Quattro sono gli autori principali del Padiglione Venezia: Safet Zec, Pietro Ruffo, Vittorio Marella e Franco Arminio, oltre alla partecipazione dell’Accademia di Belle Arti con Gaia Agostini e Besnik Lushtaku e i vincitori del concorso Artefici del Nostro Tempo. Ruffo ricrea nel Padiglione la sua Immagine del mondo come “Nostra casa”, con il suo The Woodland’s Archive, pareti tappezzate con immense scaffalature di legno, ripiene di cilindri di carte intelate e arrotolate su sé stesse come papiri millenari di paesaggi e storie da vivere, pronte ad essere dipanate o vissute e che in lontananza assumono la consistenza di alte vetrate luminose, come quelle di una cattedrale, mentre due enormi globi di legno sui loro piedistalli, troneggiano dal pavimento rivestiti da carte inchiostrate come miniature, un Constellation Globe di segni zodiacali e stelle e un Migration Globe cosparso su tutti i lati da uccelli neri in volo a coprire l’assenza o il vuoto di continenti tracciati solo nei loro contorni o confini.

Accompagnano i nostri passi alcuni versi di Arminio, che ondeggiano al vento come tende, tratti dai Canti della gratitudine e da L’infinito senza farci caso. È il credere «nei furiosi, nei folli, negli esclusi» e in «chi cerca una comunità dove non ci sia differenza di valore fra i morti e i vivi, le mucche e gli umani» persino fra «le piante e i sassi e le sedie» che hanno una mente, perché «ogni creatura è qui per essere vista e sognata» ed «è ora di accendere le nostre anime, ardere commossi per ogni letizia ed ogni pena»… e ancora, «abbiamo bisogno di un luogo: ci vuole una mano, una casa, un sorriso, qualcosa che ci faccia da perimetro […] amare è costruire un luogo, cioè un pezzo di mondo con un dio dentro». È poesia visiva, si incarna nel dipinto di Vittorio Marella di un uomo e

una donna abbracciati che si rifugiano in loro stessi, illudendosi di scomparire, protetti solo da una gigantesca duna verticale di sabbia e incuranti dell’orizzonte lontano o del cielo sopra di loro, nel canto di un amore che si ripete da Adamo ed Eva e fa dire solo, reciprocamente, che «il tuo respiro riempie il mondo. Ti presenti così e questa non è la mia prima volta, è stare al mondo per la prima volta». Scriminature di capelli sono come lische di strade, sentieri tracciati di flebile luce. E poi… in fondo, la Street Art che conduce invece ad uno “studio d’artista” che ha quasi il sapore di una profana e sacra cappella, fatta di tele incompiute al cavalletto e di opere appese, di tragedie e di rinascite, di volti straziati e corpi feriti tenuti in braccio, di mani giunte, di lacrime e di pani da poter toccare, di preghiere e di sacrifici, di armadi aperti come finestre di alberi verdi, di scale da salire per dipingere scogliere e bianchi spiriti, le apparizioni vere e immaginate di Safet Zec, artista della vita che continua dopo la morte. Perché, come suggerisce Arminio, soppesando le parole una ad una: «la prima cosa è far entrare il dolore, pensare che c’è un padre che sta piangendo, c’è un ragazzo che non sa nulla della morte di sua sorella, c’è la trama della storia. Tutto è diventato pretesto per dire come la pensiamo. Ma questo è il tempo di allietarsi per le gioie degli altri e di soffrire per chi soffre. L’umanità non è un luogo, è una conquista». Una conquista di ogni giorno, come quella di un bambino che emerge con un’ancora da una vasca, scultura del belga Koen Vanmechelen all’esterno del Padiglione: un giardino fiorito sull’acqua che accoglie e saluta chi entra e chi esce. Luisa Turchi

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PADIGLIONE VENEZIA Sestante domestico Giardini www.labiennale.org
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Matteo de Mayda

Poetic ENG Sextant

To navigate within our own emotional realm, a travel tool is essential: an ‘emotional sextant’ guiding the exploration of our inner landscape. In an alternating display of painting and poetry, the exhibition space provides an immersion into the roots of one’s nature, seeking awareness of what cannot be considered “home” due to its distance or foreignness. The Venice Pavilion 2024, titled Home Sextant and curated by Giovanna Zabotti, aims to explore a condition that is not geographical, linguistic, or social, but rather affective –focused on the search for oneself and one’s emotional and sentimental completeness. Feeling at home is undoubtedly a sensation, but often, in the common imagination, it is solely tied to a place or various places where we feel free to be ourselves. This project addresses this dynamic intimately by choosing the languages of poetry and painting for the visitor to immerse themselves in. Home Sextant is a tool for exploration through history and our inner selves, nature, and love, featuring works by Pietro Ruffo, Safet Zec, Vittorio Marella, and the young artists from the Accademia di Belle Arti in Venice, with a particular perspective provided by the artists from the “Artefici del Nostro Tempo” competition. Outside the Pavilion, a grand pool of flowers and lights, adorned with a glass sculpture by Koen Vanmechelen, will greet visitors, offering a space for contemplation.

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arte

L’ascolto

Intervista Massimo Bartolini

di F.D.S. e Mariachiara Marzari

Nella sua pratica Massimo Bartolini utilizza linguaggi e materiali –dalle piccole opere-bozzetto assemblate in studio alle complesse sculture sonore fino alle fotografie, ai video e alle opere performative – in modi non convenzionali. Con un atteggiamento di estrema apertura ha orientato il suo percorso verso una continua scoperta e indagine del linguaggio dell’arte, cercando incessantemente il materiale più adatto per dare forma a un’esigenza espressiva e a una possibilità narrativa. L’artista considera il fare e il fruire l’arte come un percorso di conoscenza: di se stessi, del proprio rapporto con il mondo, della possibilità di relazione con l’altro. Questo percorso diventa assoluto in Due qui / To Hear, tema e titolo del Padiglione Italia alla 60. Biennale Arte, facendo della musica e dell’ascolto per l’appunto il filo conduttore dell’istante espositivo, che diventa gioco visivo, tattile e sonoro in cui “perdersi” e “ritrovarsi” nello spazio e nel tempo. La capacità di ascoltare, dunque, come strumento di conoscenza di se stessi, oltre che di attenzione agli altri, che passa attraverso il contributo di Gavin Bryars, uno dei grandi protagonisti della musica di ricerca degli ultimi cinquant’anni, e Caterina Barbieri e Kali Malone, che condividono un’attenzione per le proprietà immersive, meditative, quando non addirittura spirituali, della materia sonora. A ‘dirigere’ lo spazio delle Tese delle Vergini Luca Cerizza, curatore del Padiglione. Artista e curatore condividono un interesse per questi territori sonori già dalla fine degli anni ’80 e dalla seconda metà degli anni ’90, ossia dagli esordi delle loro rispettive carriere. Uso di riferimenti alla storia della musica e del suo linguaggio, sia a livello narrativo che espressivo, e collaborazioni con musicisti e organizzazioni di mostre di matrice sonora attraversano entrambi i percorsi e alcuni dei momenti di collaborazione tra i due. Il progetto per il Padiglione Italia, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, ritorna su questi territori. Incontro e ascolto, relazione e suono. Cerizza e Bartolini definiscono una rete di relazioni e collaborazioni, dando vita a un progetto collettivo che si incarna non solo nella realizzazione delle opere in mostra ma anche in un ricco public program

Alla radice del suo progetto per il Padiglione Italia c’è l’idea dell’ascolto come elemento fondativo di una relazione (con se stessi, gli altri, la natura, la tecnologia). Come se si immaginasse che anche la creatività dell’arte divenisse agente di una epokè, di una necessaria sospensione del dire, del fare,

per affermare prima di tutto la supremazia dell’ascoltare.

Quale la sua idea?

Dall’ascolto si è colti alle spalle, non sempre si può decidere se ascoltare o no. Questo modera l’impulso all’onnipotenza che impera nell’ovest del mondo. L’ascolto è un mondo parallelo pieno di esperienze, pieno di opportunità. È un mondo sorprendente se solo decidessimo di praticarlo. In arte ci sono stati grandi artisti come Pierre Schaeffer, R. Murray Schafer, Pauline Oliveros, oggi Georg Haskell, che hanno indicato luoghi e modalità di percorrenza dell’ascolto. Il mio lavoro pone l’udito sullo stesso livello della vista: li metto chiaramente sul medesimo piano, dando corpo al suono e dematerializzando i corpi.

Cosa rappresenta la musica per lei e la sua arte?

La musica per la mia vita rappresenta quel momento dove l’aria si tinge di qualcos’altro da me. Dove sono nel mio mondo, ma non lo riconosco più. È il viaggio più economico che abbia mai fatto.

La musica è trasporto, viaggia sull’aria, attraversa il corpo e riesce ad aprire a un altro modo di relazionarsi con l’altro e il mondo.

I tre musicisti coinvolti nel suo progetto sono diversi tra loro, ma accomunati da un approccio compositivo ed esecutivo sperimentale ma minimalista, immersivo ed emozionale.

Può illustrarci perché sono stati scelti Caterina Barbieri, Kali Malone e Gavin Bryars?

Per ragioni diverse che poi hanno rivelato molte affinità. Gavin Bryars è un mio grande riferimento sin da quando ero appena uscito da scuola. Nella musica di Gavin si può sostare, c’è sempre il posto per respirarci dentro. È un maestro e un nuovo vecchio amico.

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ITALIA Due qui / To Hear Tese e Giardino delle Vergini, Arsenale
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ARSENALE
PARTICIPATIONS
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù

The ENG Listening

In his practice, Massimo Bartolini uses languages and materials –from small sketch-works assembled in the studio to complex sound sculptures, photographs, videos and performances – in unconventional ways. With an attitude of extreme openness, he has oriented his practice towards an ongoing discovery and investigation of the language of art, incessantly searching for the most suitable material to give shape to a need for expression and narrative possibility. Bartolini considers making and enjoying art a journey of knowledge of oneself, of one’s relationship with the world, and of the possibility of relating to others, and this becomes absolute in Due qui / To Hear, the theme and title of the Italian Pavilion at the 60th Art Biennale. Music and listening are the subject of the exhibition, which becomes a visual, tactile and sound game in which one can “lose oneself” and “find oneself” in space and time. The ability to listen, therefore, as a tool for self-knowledge, as well as for attention to others, which characterises the work of Gavin Bryars, one of the most important figures in the experimental music of the last fifty years, and of Caterina Barbieri and Kali Malone, who share an interest in the immersive, meditative, even spiritual, properties of sound. The Pavilion’s curator, Luca Cerizza, will be “directing” the Tese delle Vergini space. Artist and curator have shared an interest in these sonic territories since the beginnings of their careers, respectively at the end of the ‘80s and in the second half of the ‘90s. The use of references to the history of music and its language, both on a narrative and expressive level, collaborations with musicians, and the organisation of sound-based exhibitions

Dall’ascolto si è colti alle spalle, non sempre si può decidere se ascoltare o no

have been a feature of the practices of both and several of the collaborations between the two.

The project for the Italian Pavilion, promoted by the General Directorate for Contemporary Creativity of the Ministry of Culture, returns to these territories of encounters and listening, relationships and sound. Cerizza and Bartolini define a network of relationships and collaborations that bring to life a collective project which is embodied not only in the creation of the works on display, but also in a packed programme of public events.

At the root of your project for the Italian Pavilion is the idea of listening as a foundational element of a relationship (with oneself, others, nature and technology). As if one imagined that the creativity of art also became the agent of an epokèof a necessary suspension of saying and doing to affirm first of all the supremacy of listening. What is your idea?

Listening catches you from behind - you can’t always decide whether to listen or not. This moderates the impulse towards omnipotence that reigns in the West. Listening is a parallel world full of experiences and opportunities. It’s a surprising world, if only we decide to practice it. In art there have been great artists like Pierre Schaeffer, R. Murray Schafer, Pauline Oliveros and today Georg Haskell who have pointed to places and to ways of listening. My work sets hearing on the same level as sight: I clearly put them on the same level, giving body to sound and dematerialising bodies.

What does music represent for you and your art?

In my life, music represents that moment where the air is tinged with something other than me. Where I’m in my own world, but I no longer recognise it. It’s the cheapest journey I’ve ever taken. Music is transportation, it travels through the air, through the body, and manages to open up another way of relating to others and to the world.

The three musicians involved in his project are each different from the other, but share an experimental yet minimalist, immersive and emotional approach to composition and performance. Can you tell us why Caterina Barbieri, Kali Malone and Gavin Bryars were chosen?

For various reasons, which later revealed many affinities. Gavin Bryars has been an important reference point for me since I finished school. You can remain inside Gavin’s music, there is always a place to breathe in it. He is a master and a new old

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arte

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Kali Malone e Caterina Barbieri sono invece un invito condiviso con Luca Cerizza. Nella musica di Kali appaiono strade di ascolto sospese, fragili, intese come miraggi e prodotte dagli armonici di una tessitura pensata come un viatico. Ritrovo questo anche nel lavoro di Caterina, anche se la formazione di tale mondo sospeso non è qui analogica ma elettronica, avviene a livello atomico, su un’altra scala.

L’ascolto richiede un inizio e una fine, un’uscita dal e un ritorno al silenzio. A partire dalla partitura 4’33’’ di John Cage settant’anni fa, il silenzio è diventato una pulsione cui tendere ma quasi impossibile da raggiungere. Qual è per lei, oggi, il significato del silenzio?

Credo che ogni giorno per sempre, in tutto il mondo, ci dovrebbe essere un’ora di silenzio totale. Il silenzio andrebbe insegnato a scuola. Il silenzio è scuola. Il silenzio è empatia.

L’unica concessione del suo progetto alla dimensione figurativa è nella statua che troveremo all’entrata del Padiglione, dedicata al Buddha Bodhisattva. Perché questa presenza estranea alla cultura occidentale, se si eccettuano tuttavia alcuni pensatori sommi come Schopenhauer e Nietzsche?

Non è così estranea, si definisce, si denomina solo in modi diversi. Il Bodhisattva è un maestro che rinuncia all’illuminazione per aiutare gli altri a trovare la via. Ci sono molte figure così anche in Occidente; per dirne una Gesù…, anche se nel regime monoteista tale figura, per sua natura, diventa meno graziosa e sempre affannata a fare qualcosa. Questo Bodhisattva per converso non fa nulla. Pensa. Non agisce. Il non agire corrisponde nel mondo delle sensazioni al silenzio nel mondo dell’ascolto. Il silenzio del movimento. Il Bodhisattva che Pensa, solo con la sua postura, ci dice la cosa più importante di tutte, credo…

ILLY ART CONVERSATIONS

Una Casa, un Caffè e degli Ospiti, niente di più ordinario. Eppure, è proprio il perimetro di casa il primo confine tra “noi” e “loro”, tra “dentro” e “fuori” ma soprattutto, tra ciò che è familiare e ciò che è strano, o meglio, straniero. Su questo spazio liminale si innestano le Illy Art Conversations 2024, una serie di incontri dedicati al mondo dell’arte contemporanea con interventi di artisti, curatori e storici dell’arte che nel vivace salotto di The Human Safety Net indagano il modo in cui l’arte può superare le barriere linguistiche e culturali, incoraggiare la relazione con l’altro e farsi promotrice della giustizia sociale in un mondo in cui tutti siamo Foreigners Everywhere, talvolta proprio a casa nostra.

Tre le conversazioni previste, rispettivamente il 3, 11 e 27 giugno sempre alle 18.30, alle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco. Il primo incontro ospita un dialogo tra Michael Anastassiades, designer e artista, e Alberto Salvadori, curatore e direttore della Fondazione ICA, Milano, moderati da Valentina Raggi, caporedattrice di AD, impegnati a sviluppare il tema The borders of ideas, sull’idea del limite.

Il secondo incontro, dal titolo Padiglione Italia, l’11 giugno, vede protagonisti Massimo Bartolini e Luca Cerizza, rispettivamente artista

friend. Kali Malone and Caterina Barbieri instead are a shared invitation with Luca Cerizza. In Kali’s music, suspended, fragile paths of listening appear, perceived as mirages and produced by the harmonics of a texture conceived as a viaticum. I also find this in Caterina’s work, the difference being simply that the formation of this suspended world is not analog but electronic, and occurs at an atomic level, on another scale.

Listening requires a beginning and an end, an exit from and a return to silence. Since John Cage’s score for 4’33’’ seventy years ago, silence has become a force to strive for but one which is almost impossible to achieve. What is the meaning of silence for you today?

I believe that every day forever, across the entire world, there should be an hour of total silence. Silence should be taught in school. Silence is school. Silence is empathy.

The only figurative concession of your project is the statue which we find at the entrance of the Pavilion dedicated to the Buddha Bodhisattva. What is the meaning of this presence, which is foreign to Western culture, except for in the work of great thinkers such as Schopenhauer and Nietzsche?

It’s not really that foreign, it’s just called different things. The Bodhisattva is a master who renounces enlightenment to help others find the way. There are many figures like this in the West too, for example Jesus... even though in the monotheistic regime this figure, by its very nature, becomes less graceful and always anxious to do something. This Bodhisattva, on the other hand, does nothing. He thinks. He doesn’t act. Not acting corresponds in the world of sensations to silence in the world of listening. The silence of movement. I think that with his posture alone, the Thinking Bodhisattva tells us the most important thing of all...

e curatore dell’opera installativa Due Qui/To Hear negli spazi delle Tese delle Vergini all’Arsenale. Angela Vettese stimolerà la discussione sui temi dell’ascolto e della reciprocità, poiché «Ci si incontra per ascoltarsi e per ascoltare l’altro» (vedi intervista sopra).

Il terzo incontro, il 27 giugno, si caratterizza per un animato dialogo dal titolo Art for Social Impact fra l’artista iraniana Mehrnoosh Roshanaei e l’artista americana Tracey Snelling, autrice dell’installazione About Us, curata da Luca Massimo Barbero e recentemente inaugurata nell’Art Studio al terzo piano delle Procuratie Vecchie, che racconta il presente delle nostre città attraverso le vite di chi le abita, e Farian Sabahi, professoressa, ricercatrice e giornalista esperta del Medio Oriente. L’incontro sarà moderato dalla giornalista Antonella Benanzato. Tre incontri da non perdere per ricordare come a volte per cancellare il confine tra “noi” e “loro” basta aprire una porta.

I posti sono disponibili fino ad esaurimento, previa iscrizione alla mail rsvp@illy.com.

3, 11, 27 giugno h. 18.30

The Human Safety Net, Procuratie Vecchie (terzo piano) illy.com

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arte

NATIONAL PARTICIPATIONS ARSENALE

La

tavola

Artista messicano ma di origini tedesche e libanesi, Erick Meyenberg racconta il Messico attraverso l’analisi degli imponenti flussi migratori che ne hanno contrassegnato la storia. Intere comunità hanno abbandonato il Paese in cerca di un futuro migliore, ma molto elevato è anche il numero di profughi di diverse nazionalità che si sono rifugiati in Messico per ragioni politiche, sociali o economiche. Più che un racconto, la videoinstallazione di Meyenberg è una poetica evocazione delle vite dei migranti, siano essi stranieri in Messico o messicani all’estero. Al centro dello spazio una tavola, apparecchiata con sculture in ceramica che fondono elementi dal Messico, dall’Italia e dall’Albania, invita “passanti e viaggiatori” a sentirsi a casa propria e a riflettere, allo stesso tempo, sulla natura iterativa dei viaggi e sulla condizione umana, alla perenne ricerca di radici in un mondo transitorio. L’installazione rielabora in chiave simbolica un’esperienza personale dell’artista che, nel 2019, ebbe modo di fare visita a degli amici in Italia, una famiglia emigrata più di trent’anni prima dall’Albania. Meyenberg rimase colpito da come, ormai italiani a tutti gli effetti, continuassero a celebrare le festività e a cantare le canzoni di entrambi i Paesi. Quando la “terra” di origine è lontana o impossibile, il cibo e la musica diventano portatori di appartenenza e il pranzo condiviso diviene emblema di radicamento e di connessione con i legami culturali e le tradizioni di origine. M.S.

ENG A Mexican artist with German and Lebanese origins, Erick Meyenberg tells Mexico’s story through the analysis of the massive migratory flows that have marked its history. Entire communities have left the country in search of a better future, while a significant number of refugees from various nationalities have sought refuge in Mexico for political, social, or economic reasons. Meyenberg’s video installation is not just a narrative, but a poetic evocation of the lives of migrants, whether they are foreigners in Mexico or Mexicans abroad. At the center of the Pavilion, a table set with ceramic sculptures blending elements from Mexico, Italy, and Albania invites ‘passersby and travelers’ to feel at home. The installation symbolically reinterprets a personal experience of the artist who, in 2019, visited some friends in Italy, a family who had emigrated from Albania over thirty years earlier. When the land of origin or upbringing is distant or inaccessible, food and music become carriers of belonging, and the shared meal becomes an emblem of grounding and connection with cultural ties and traditions.

MESSICO Ci allontanavamo, tornavamo sempre Sale d’Armi, Arsenale | www.pabellonmexico.inba.gob.mx

Segni di passaggio

La mostra del Padiglione maltese incorpora disegno contemporaneo, riferimenti storici e tecnologia digitale, rappresentando il frutto delle ricerche a cui si è dedicato Matthew Attard (1987, Malta) sui temi dell’intelligenza artificiale e sulla tecnologia digitale applicata al disegno. L’assonanza tra “I” (io) e “eye” (occhio) suggerita dal titolo rimanda alla natura sia oggettiva che soggettiva dell’approccio artistico di Attard, oltre a fare riferimento all’uso dell’eye-tracker, uno strumento dotato di sensori per registrare il movimento degli occhi, utilizzato per disegnare e per suggerire un parallelo tra la materialità del disegno e il concetto immateriale delle azioni umane nel tempo. L’artista trae ispirazione da una serie di graffiti storici a tema navale rinvenuti sulla facciata di diversi siti votivi maltesi, incisi nella pietra da anonimi marinai o da semplici passanti come segni di fede e di speranza che attraversano il Mediterraneo. Questi disegni risuonano in qualche modo ancora oggi, nell’epoca di internet, della tecnologia informatica avanzata e dell’intelligenza artificiale, attivando una viva riflessione sul rapporto tra umanità e tecnologia. L’aver lasciato il proprio segno può essere interpretato come una forma di resa da parte dei nostri antenati navigatori, una convinzione che il regno spirituale potesse influenzare gli esiti dei loro sforzi. L’atto di condividere dati personali online e fidarsi dei progressi tecnologici riecheggia questo gesto. Entrambi implicano elementi di fede cieca, la convinzione che entità sconosciute – che siano forze spirituali o complessi sistemi digitali – proteggeranno e guideranno gli individui attraverso i rispettivi percorsi. M.S. ENG The exhibition of the Maltese Pavilion incorporates contemporary drawing, historical references, and digital technology, representing the result of research undertaken by Matthew Attard (1987, Malta) on the themes of artificial intelligence and digital technology applied to drawing. The assonance between “I” and “eye” suggested by the title refers to both the objective and subjective nature of Matthew Attard’s artistic approach, as well as to the use of the eye-tracker, a tool equipped with sensors to record eye movement, used for drawing and to suggest a parallel between the materiality of drawing and the immaterial concept of human actions over time. Attard draws inspiration from a series of historical naval graffiti found on the facades of various Maltese votive sites, etched into stone by anonymous sailors or simple passersby as signs of faith and hope. These drawings resound somehow even today, in the age of Internet, advanced computer technology, and artificial intelligence, inviting us to reflection on the relationship between humanity and technology.

MALTA I Will Follow the Ship Artiglierie, Arsenale | IG @iwillfollowtheship

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direzione della Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù

Rete di protezione Monito da un Paese in guerra

Attraverso esperienze personali di guerra ed emigrazione, il progetto ucraino esplora concetti di unità, resilienza e azione collettiva durante un conflitto. Il Padiglione è strutturato attorno al lavoro di quattro artisti. Work di Oleksandr Burlaka è un’installazione architettonica costituita da tessuti di lino risalenti agli anni ‘50. La scelta dei materiali evoca le tradizioni sartoriali ucraine, simbolo di una cultura che cerca di mantenere le proprie radici nonostante le avversità. Il film Civilians. Invasion di Daniil Revkovskyi e Andrii Rachynskyi è un montaggio di video provenienti da fonti open source e canali YouTube privati che racconta i primi giorni dell’invasione russa, offrendo uno sguardo crudo e immediato sugli eventi attraverso gli occhi dei civili. Con Best Wishes, progetto realizzato con la collaborazione di un gruppo di persone neurodivergenti, Katya Buchatska sfida i cliché linguistici utilizzati in tempo di guerra analizzando, in particolare, come le espressioni convenzionali di saluti e auguri possano trasformarsi in risposta a traumi ed esperienze collettive. Infine, Comfort Work, di Andrii Dostliev e Lia Dostlieva, esamina con ironia gli stereotipi che circondano i rifugiati ucraini in Europa. Attraverso un approccio giocoso, l’opera permette a chi ha vissuto l’esperienza dello sfollamento di reclamare la propria autonomia decisionale, mettendo in discussione le percezioni preconcette della società ospitante. Oltre al progetto principale all’Arsenale, il Padiglione ha attivato, in collaborazione con l’agenzia creativa ucraina Bickerstaff.734, la Bomb Shelter Map of Venice, distribuendo per calli e campi una serie di volantini rossi con indicati i luoghi che potrebbero servire da rifugio antiaereo. In una delle città più belle, sicure e turisticamente mappate al mondo, la Bomb Shelter Map of Venice rappresenta un potente contrappunto e un monito per ricordare che in nessun luogo la pace può essere data per scontata. Marisa Santin

Safety ENG net

Through personal experiences of war and emigration, the Ukrainian project explores concepts of unity, resilience, and collective action during a conflict. The Pavilion is structured around the work of four artists. Work by Oleksandr Burlaka is an architectural installation made from linen fabrics dating back to the 1950s. The choice of materials evokes Ukrainian tailoring traditions, symbolizing a culture striving to maintain its roots despite adversity. The film Civilians. Invasion by Daniil Revkovskyi and Andrii Rachynskyi tells the early days of the Russian invasion through the retrieval of videos found from open-source and private YouTube channels. With Best Wishes, a project realized in collaboration with a group of neurodivergent individuals, Katya Buchatska focuses on the problematic use of linguistic clichés during wartime. Finally, Comfort Work by Andrii Dostliev and Lia Dostlieva analyzes the stereotypical perceptions regarding Ukrainian refugees abroad. In addition to the main project at the Arsenale, the Ukrainian Pavilion, in collaboration with the creative agency Bickerstaff.734, has launched the Bomb Shelter Map of Venice, distributing a series of red flyers throughout the city indicating locations that could serve as bomb shelters. In one of the most beautiful, safe, and tourist-mapped cities in the world, the Bomb Shelter Map serves as a powerful counterpoint and a reminder that peace can never and nowhere be taken for granted.

UCRAINA

Making

d’Armi, Arsenale; vari luoghi in città | www.bombsheltersvenice.org

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Net
Sale
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù

arte

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IN THE CITY

Eco silenziosa

Menzione speciale alle lavoratrici di Doruntina Kastrati

All’indomani della guerra che sconvolse i Balcani, il massiccio impiego di manodopera femminile nelle industrie leggere del Kosovo generò nelle donne un’illusione di indipendenza finanziaria e di paritetica partecipazione sociale. Le lavoratrici si ritrovarono in realtà intrappolate in un sistema che perpetuava i tradizionali ruoli professionali di genere, lasciandole economicamente vulnerabili e politicamente marginali. Attraverso le forme lucide e fredde delle sue geometrie, l’installazione scultorea di Doruntina Kastrati, dal titolo The Echoing Silences of Metal and Skin, offre uno sguardo penetrante sulla complessità della condizione femminile nel contesto post-bellico del Paese. In particolare, il progetto di Kastrati rielabora l’esperienza di dodici lavoratrici di una fabbrica di lokum (dolce turco) a Prizren, la seconda città più grande del Kosovo e città natale dell’artista. A causa dei ritmi estenuanti e delle molte ore di lavoro svolto in piedi, molte di loro hanno subito interventi di sostituzione del ginocchio. Le sculture metalliche riprodotte nello spazio kosovaro, modellate sulle noci che vengono utilizzate come ingredienti nei lokum, richiamano nella forma gli impianti metallici nei loro ginocchi caricandosi di un significato simbolico che allude alla loro condizione di operaie precarie e sfruttate. Nell’opera di Kastrati riecheggia il pensiero di Hannah Arendt. Nel suo libro La condizione umana del 1958 la filosofa tedesca sosteneva che nel momento stesso in cui si viene a creare un ambito in cui le questioni di giustizia e ingiustizia non sorgono, o, se lo fanno, vengono immediatamente eliminate, non siamo più nel regno delle questioni umane, ma in un’organizzazione sociale in cui le cose devono solo ‘funzionare’, un’organizzazione che, anziché uomini e donne con le loro capacità imprevedibili e molteplici, richiede solo ‘lavoratori’ addestrati e confinati a un numero limitato di funzioni. Con la sua installazione, che la Giuria della 60. Biennale Arte attribuendole una menzione speciale ha definito “piccola ma potente”, Doruntina Kastrati ci ricorda che il femminismo non è semplicemente una questione di genere; si tratta di cambiare le dinamiche di potere che hanno lasciato le donne economicamente dipendenti dagli uomini, relegate a ruoli secondari nella società e troppo spesso vittime delle conseguenze della violenza maschile. Marisa Santin

Silent ENG echoing

Through the sleek and cold forms of her geometries, Doruntina Kastrati’s sculptural installation offers a penetrating glimpse into the complexity of the female condition in the post-war context of Kosovo. Specifically, Kastrati’s project reinterprets the experience of twelve workers from a lokum (Turkish sweet) factory in Prizren, the second-largest city in Kosovo and the artist’s hometown. Due to grueling rhythms and many hours of standing work, many of them underwent knee replacement surgeries. The metallic sculptures reproduced in the Kosovar space, modeled on the nuts used as ingredients in lokum, evoke the metallic implants in their knees, carrying a symbolic meaning that alludes to their condition as precarious and exploited workers. Kastrati’s work echoes the thought of Hannah Arendt. In her 1958 essay The Human Condition, the German philosopher argued that the moment an environment is created where issues of justice and injustice do not arise, or if they do, are immediately eliminated, we are no longer in the realm of human affairs, but in a social organization where things are merely supposed to ‘function,’ an organization that, instead of men and women with their unpredictable and manifold capacities, only requires trained ‘workers’ confined to a limited number of functions.

KOSOVO

The Echoing Silences of Metal and Skin Museo Storico Navale | 2024.pavilionofkosovo.com

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Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù

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Immaginario autentico

Nigeria, una Partecipazione che colpisce dritta al cuore e alla testa

Il tema scelto da Adriano Pedrosa per la sua Biennale, Stranieri Ovunque –Foreigners Everywhere offre un’opportunità unica di esplorare i racconti di intersezionalità culturale, migrazione e globalizzazione, in profonda risonanza con l’esperienza africana. In questa edizione numerose sono le nazioni dell’Africa che si presentano alla Biennale per la prima volta o tornano per presentare i propri talenti artistici al mondo, tra questi la Nigeria per la seconda volta presente come Partecipazione Nazionale e quindi con un proprio padiglione a Palazzo Canal a Dorsoduro, tra campo San Barnaba e Campo Santa Margherita. Una mostra ambiziosa e multiforme intitolata Nigeria Imaginary, organizzata da Aindrea Emelife, curatrice del Museo d’Arte dell’Africa Occidentale (MOWAA), che riunisce un gruppo di otto artisti nigeriani di diverse generazioni, sia del Paese che della diaspora: Tunji Adeniyi-Jones, Ndidi Dike, Onyeka Igwe, Toyin Ojih Odutola, Abraham Oghobase, Precious Okoyomon, Yinka Shonibare CBE RA e Fatimah Tuggar.

Secondo Emelife, Nigeria Imaginary evoca lo spirito del pionieristico Mbari Club, un centro di attività culturali interdisciplinari post-indipendenza animato dalla convinzione che l’arte sia un “dovere verso la nazione”. Il Padiglione reinterpreta questo concetto attraverso il prisma di una nuova generazione di artisti che esplorano gli immaginari passati, presenti e futuri della Nigeria. Le questioni decoloniali sono affrontate attraverso la potente installazione di Yinka Shonibare che interroga lo status degli oggetti d’arte africani sottratti durante la colonizzazione. Sotto forma di tempio, Monument to the Restitution of the Mind and Soul sembra restituire la dimensione spirituale di questi artefatti. Il Padiglione include anche opere relative all’attualità, in particolare alle violenze della polizia perpetrate durante il movimento sociale END SARS che ha scosso il Paese nel 2020. Ne è un esempio impressionante l’installazione Blackwood: A Living Archive di Ndidi Dike, costituita da manganelli sui quali sono etichettati i nomi e le date di nascita e di morte dei giovani nigeriani che hanno subito queste violenze. L’artista collega il suo lavoro al movimento Black Lives Matter. Presentata all’interno di un bellissimo palazzo veneziano residenziale del Settecento, rapidamente restaurato per l’apertura della Biennale, la mostra evidenzia la tensione tra il passato coloniale dell’Europa e le necessarie narrazioni contemporanee di giustizia e restituzione culturale dell’Africa. Delphine Trouillard

Authentic ENG imagery

The 60th Venice Art Biennale – Foreigners Everywhere is a unique opportunity to explore the fields of cultural intersectionality, migration, and globalization, which resonate particularly well with the African experience. Several African nations participated in the current Biennale for the first time, or are back to show their talent to the world. Nigeria is at its second participation with its own National Pavilion. The exhibition, called Nigeria Imaginary, is curated by the Museum of West African Art’s curator Aindrea Emelife and unites eight Nigerian artists of different generations, both living in Nigeria and elsewhere. Nigeria Imaginary evokes the spirit of the trailblazing Mbari Club, a cultural centre funded shortly after the country’s independence on the premise that artmaking is a duty to one’s own country. Decolonization is debated in Yinka Shonibare’s installation, questioning the status of African artworks taken away during colonization. Monument to the Restitution of Mind and Soul seems to replay the spiritual dimension of this art. The Pavilion also includes art related to current events, in particular the police brutality occurrences of 2020. Blackwood: A Living Archive by Ndidi Dike is an installation of batons labelled with the names, dates of birth, and dates of death of the young Nigerians who succumbed to brutality.

NIGERIA

Nigeria Imaginary Palazzo Canal, Dorsoduro 3121 www.nigeriaimaginary.com

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Ndidi Dike, Blackhood. A Living Archive, 2024, Nigeria Imaginary, 2024, installation view Yinka Shonibare CBE RA, Monument to the Restitution of the Mind and Soul, 2023 Nigeria Imaginary, 2024, installation view Courtesy Museum of West African Art (MOWAA) - Photo Marco Cappelleti Studio

Il labirinto dei lupi

Giganti che combattono (o danzano?), un enorme serpente ai loro piedi, moltitudini di animali, soprattutto cicogne, che dall’alto osservano l’agire umano, donne piangenti che avanzano lente, mitiche sirene appena uscite dall’acqua che sembrano volersi asciugare al sole, gatti sonnolenti con nascondigli privilegiati, mille volti di persone che occhieggiano dalle pareti di una piccola cappella, sancta sanctorum che richiama alla memoria le decorazioni votive di una antica chiesa. L’artista Edith Karlson, chiamata a rappresentare l’Estonia alla 60. Biennale Arte, fin da subito colpita dallo spazio raccolto ma al contempo monumentale della Chiesa delle Penitenti, la riempie di sculture in cemento e argilla ricreando suggestioni che risalgono alla simbologia medioevale per esplorare le pulsioni umane primitive contemporanee nella loro banalità e solennità, interrogandosi sulla possibilità di redenzione in un mondo che non ne è mai degno. La mostra Hora Lupi è spettacolare e al contempo intima, quasi la messa in scena di una commedia amara, non a caso realizzata in collaborazione con il drammaturgo Eero Epner che contribuisce a costruire l’atmosfera emotiva della mostra. In un continuo rimando tra passato e presente, tra mito e realtà, Karlson usa lo spazio pieno di crepe e fessure dove si insinua la polvere dei secoli, segni inesorabili dello scorrere del tempo, come metafora dell’essere umano, triste e incompleto, e del “nostro mondo di oggi”. Una narrazione esistenziale della natura animalesca degli esseri umani, dove la sincerità e la schiettezza dell’istinto possono assumere una forma brutale e violenta, ma anche poetica e a volte un po’ assurda, dolce e malinconica. M.M.

ENG Edith Karlson’s exhibition Hora lupi explores primitive human urges in their banality and solemnity; it also wonders whether any redemption is possible in a world that doesn’t deserve it. The church, where the exhibition takes place, helps to create the right emotional atmosphere to tell the animal nature of human beings, who show their different sides: brutal and violent, poetic and vaguely ridiculous, or gentle and melancholic.

Il paradigma della modernità

Basandosi sul concetto del filosofo italiano Giorgio Agamben, secondo cui il paradigma della modernità è il campo di concentramento, dove il sovrano esercita pieno potere sull’uomo privandolo del diritto alla vita, Darja Bajagic´ ha condotto per quasi due anni ricerche approfondite sull’isola di Mamula negli archivi del Montenegro. La fortezza di Mamula, costruita nel 1853 dal generale austro-ungarico Lazar Mamula e utilizzata come campo di concentramento fascista durante la Seconda Guerra mondiale, è stata recentemente trasformata in un hotel di lusso grazie a investimenti stranieri. Attraverso un’analisi approfondita della complessa storia dell’isola, l’artista affronta questioni che riguardano la valorizzazione della memoria collettiva e il nostro rapporto con il patrimonio storico condiviso. Il suo progetto esamina le relazioni di potere nel tessuto sociale contemporaneo e solleva questioni filosofiche critiche attorno al concetto di “Altro”, arrivando ad includere una riflessione sulle odierne modalità di ricezione, percezione ed esperienza delle immagini e di altre rappresentazioni visive. Nella sua pratica decennale, Bajagic´ ha spesso esplorato l’ambivalenza dell’immagine attingendo in modo coraggioso ad una vasta gamma di fonti, tra cui il dark web. Il suo approccio ad un’arte senza compromessi è ben sintetizzato dalle parole di Boris Lurie, a cui Bajagic´ ha dichiarato di ispirarsi. Sopravvissuto all’Olocausto, fondatore del movimento anti-establishment NO!art, Lurie sosteneva che «il prezzo della collaborazione nell’arte è – come nei campi di concentramento – un soffocamento escrementizio. Non è con la sottomissione, la freddezza, l’apatia, la noia che si crea la grande arte – non importa cosa ci dicano i cinici. L’ingrediente segreto è ciò che è più difficile da imparare – il coraggio». M.S.

ENG Based on the concept of philosopher Giorgio Agamben, according to whom the paradigm of modernity is the concentration camp, Darja Bajagic´ conducted thorough research for nearly two years on the island of Mamula and its fortress. Built in 1853 by the Austro-Hungarian general Lazar Mamula and used as a fascist concentration camp during World War II, it has recently been transformed into a luxury hotel. Through a profound analysis of the island’s complex history, the artist addresses issues regarding the valorization of collective memory and our relationship with shared historical heritage. Her project examines power relations in contemporary social environments and raises critical philosophical questions around the concept of the “Other,” even including a reflection on modern modes of reception, perception, and experience of images and other visual representations.

MONTENEGRO It Takes an Island to Feel This Good Complesso dell’Ospedaletto | IG @montenegro.pavilion.2024

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ESTONIA Edith
Chiesa
www.cca.ee
Karlson. Hora lupi delle Penitenti, Cannaregio 890 Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù Installation view, Estonian Pavilion Hora lupi - Photo Anu Vahtra Credits Estonian Centre for Contemporary Art

Li Chevalier I Hear the Water Dreaming

11th May - 15th September

Curated by Paolo De Grandis and Carlotta Scarpa

With scientific direction of Marta Boscolo Marchi

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Museo d’Arte Orientale Ca’ Pesaro, Santa Croce 2076 – Venezia

arte

COLLATERAL EVENTS

IN THE CITY

Verso l’infinito

Yoo Youngkuk e le sue poetiche montagne astratte

È un viaggio verso l’infinito quello in cui viene a trovarsi chiunque visiti la mostra dell’artista coreano Yoo Youngkuk (1916, Uljin – 2002, Seoul), pioniere della pittura geometrica astratta, ospitata alla Fondazione Querini Stampalia. Evento Collaterale alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte, A journey to the Infinite: Yoo Youngkuk a cura di Kim Inhye si basa essenzialmente su opere realizzate dall’artista negli anni Sessanta e Settanta, periodo in cui Yoo riesce finalmente a dedicarsi esclusivamente alla pittura, dopo i difficili anni del Secondo conflitto mondiale e della Guerra in Corea che lo costrinsero ad interrompere la sua attività pittorica. Isolandosi nel suo atelier, l’artista dà voce a quel profondo e sublime legame che da sempre nutre con i paesaggi naturali della città natale Uljin, in particolare con le montagne in perenne mutazione che continua ad esplorare come in un viaggio senza fine. Ed è proprio a una montagna che si ispira anche la disposizione della mostra stessa, snodandosi su tre livelli: dal piano terra, in particolare nell’Area Scarpa in diretto contatto con l’adiacente magnifico giardino giapponese, dove sono esposte le stampe e le opere litografiche dell’artista, al primo piano nella sala lettura della biblioteca dove viene offerta una “pausa di riflessione” in cui viene presentata la vita di Youngkuk attraverso un ricco archivio che include anche filmati e fotografie, nonché sue sperimentazioni diverse dalla pittura, per terminare al terzo piano in un’atmosfera da white cube, dove sono esposti una trentina di dipinti realizzati appunto tra gli anni Sessanta e Settanta. In questo ventennio si assiste a una progressiva evoluzione della sua arte che passa da forme più organiche e semplificate a forme più geometriche, nonché da toni naturalistici a tonalità intermedie che vanno oltre i contrasti dei colori primari dimostrando di aver saputo magistralmente integrare l’arte coreana con i moderni movimenti artistici occidentali, quali Surrealismo e Costruttivismo. Ciò che tuttavia contraddistingue la sua arte e che la mostra pone in debito risalto è il rapporto intimo e particolare che lega Yoo alla natura cangiante che lo circonda e che come una calamita attira il visitatore in quel vortice di colori accecanti e di forme strabilianti in cui si traduce il suo viaggio artistico e personale verso l’infinito. Patrizia Bran

Towards ENG infinity

Visiting the exhibition dedicated to the Korean artist Yoo Youngkuk at the Querini Stampalia Foundation is experiencing a real journey towards infinity. This is the most important exhibition of this artist’s works ever organized outside of Korea where he is recognized as a pioneer in abstract geometric painting. A Journey to the Infinite: Yoo Youngkuk curated by Kim Inhye essentially showcases works created by the artist in the 60’s and 70’s, a period in which Yoo was finally able to devote himself exclusively to painting. Isolating himself in his studio, the artist gives voice to that deep and sublime bond that he had always nurtured with the natural landscapes of his hometown, Uljin, in particular with the ever-changing mountains that he wanted to continue exploring as part of an endless journey. In these twenty years there is a progressive evolution of his art, from organic and simplified shapes to more geometric shapes and from naturalistic to intermediate tones that go beyond the contrasts of primary colours. What distinguishes his art is his intimate and peculiar relationship to the iridescent nature surrounding him which draws the visitor into a vortex of blinding colours and amazing shapes as part of his artistic and personal journey towards infinity.

A journey to the Infinite: Yoo Youngkuk Fondazione Querini Stampalia www.yooyoungkuk.org

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arte

COLLATERAL EVENTS IN THE CITY

La

Quali sono i confini del ritratto e quali effetti si possono ottenere attraverso la deformazione e la distorsione dei soggetti raffigurati? Attorno a questa domanda si sviluppa il lavoro di Ewa Juszkiewicz (1984, Danzica, Polonia), che nella mostra a Palazzo Cavanis, organizzata da Fundación Almine y Bernard Ruiz-Picasso, si confronta con la percezione stereotipata della bellezza femminile nella pittura classica sfidando le tradizioni figurative. Nei suoi ritratti, realizzati seguendo lo stile pittorico delle opere a cui si riferiscono (soprattutto di artisti europei del XVIII e XIX secolo), i volti vengono sostituiti da maschere mentre elementi quali simbolismo e fantasia, animale e soprannaturale, prendono il sopravvento sul realismo. L’osservatore è spinto a reimmaginare il volto dietro la maschera avventurandosi in territori concettuali e stilistici inesplorati. Tra le più rinomate pittrici polacche contemporanee, Juszkiewicz sfida così la percezione visiva dello spettatore equilibrando elementi umani e inumani all’interno delle sue opere e rilevando uno stile che è allo stesso tempo classico nella tecnica e sovversivo nel contenuto. M.S.

ENG What are the boundaries of portraiture, and what effects can be achieved through deformation and distortion? Ewa Juszkiewicz’s work revolves around this question, challenging figurative traditions and confronting the stereotyped perception of female beauty in classical European painting. In her portraits, made in a painting style reminiscent of the works to which they refer, faces are transformed into masks. This deliberate distortion allows Juszkiewicz to prioritize elements such as symbolism, imagination, animal and supernatural, over realism. As viewers engage with these portraits, they are encouraged to re-imagine the true face hiding behind the mask, venturing into a journey through uncharted conceptual and stylistic territories. Among the most renowned contemporary Polish painters, Juszkiewicz challenges the viewer’s visual perception balancing human and inhuman elements within her works and revealing a style that is both classic in technique and subversive in content.

Ewa Juszkiewicz. Locks with Leaves and Swelling Buds Palazzo Cavanis, Fondamenta Zattere ai Gesuati 920 www.fabarte.org

Essere sociale

Ispirato ai racconti dello scrittore angolano Jose Eduardo Agualusa, Passengers in Transit è un progetto multidisciplinare che esplora le sfide dell’essere straniero in una società globale, approfondendo le esperienze individuali e collettive in mezzo a questioni contemporanee quali discriminazione, guerra e cambiamenti climatici. Attraverso la lente di cinque artiste fra loro molto diverse – Joana Choumali, April Bey, Thandiwe Muriu, Christa David e Euridice Zaituna Kala – la mostra invita a riflettere in particolare su questioni di identità, genere, memoria e luogo, promuovendo una riflessione sulla rappresentazione dei corpi neri all’interno del mondo contemporaneo e speculando sui futuri possibili. Il progetto esorta gli spettatori a contemplare l’infinito viaggio alla scoperta di sé all’interno del contesto degli esseri sociali, attingendo alle proposizioni filosofiche di Emmanuel Lévinas e Bernhard Waldenfels, e rielaborando in chiave artistica il concetto di “diritto all’opacità” dello scrittore antillano Édouard Glissant (Martinica, 1913–2008), secondo cui ognuno ha il diritto di non essere compreso e di non comprendere l’Altro come risposta agli eccessi di definizione che possono generare stereotipi. M.S. ENG Inspired by the stories of Angolan writer Jose Eduardo Agualusa, Passengers in Transit is a multidisciplinary project that explores the challenges of being a foreigner in a global society, delving into individual and collective experiences amidst contemporary issues such as discrimination, war, and climate change. Through the lens of five very Afro-descent female artists – Joana Choumali, April Bey, Thandiwe Muriu, Christa David, and Euridice Zaituna Kala – the exhibition invites reflection particularly on issues of identity, gender, memory, and place, promoting a reflection on the representation of black bodies within the contemporary world and speculating on possible futures. The project urges viewers to contemplate the endless journey of self-discovery within the context of social beings, drawing on the philosophical propositions of Emmanuel Lévinas and Bernhard Waldenfels, and artistically reworking the concept of the “right to opacity” by Antillean writer Édouard Glissant (Martinique, 1913–2008), according to whom everyone has the right not to be understood and not to understand the Other as a response to the excesses of definition that can generate stereotypes.

Passengers in Transit Ex Farmacia Solveni, Dorsoduro 993-994 www.193gallery.com

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deformazione della Bellezza Thandiwe Mariu, The Perfect Masterpiece (2023), courtesy of 193 Gallery, Paris and Venice

Narrazioni ultraterrene Il mondo bio-mitico di Josèfa Ntjam

Prima mostra presentata fuori Berlino dalla fondazione itinerante LAS Art Foundation, swell of spæc(i)es è la rappresentazione di un ambiente ultraterreno realizzato dall’artista, performer e scrittrice Josèfa Ntjam attraverso l’assemblaggio di immagini, parole, suoni e storie come metodo per decostruire le grandi narrazioni alla base di discorsi egemonici. La pratica artistica di Ntjam esplora le dimensioni politiche e utopiche degli oceani, ricettacoli di storie di dominazione, dalla schiavitù alla colonizzazione, dal capitalismo alle crisi ambientali e umanitarie, ma anche di resistenza, emancipazione e creazione. In questo immaginario, il plancton è un punto di convergenza tra l’oceano profondo e lo spazio esterno, tra regni biologici e mitici, tra passati possibili e futuri alternativi. Articolata in due sedi, il cortile dell’Accademia di Belle Arti e l’Istituto delle Scienze Marine, la mostra propone un nuovo mito della creazione, plasmato da modi antichi ed emergenti di concepire l’universo. Nello spazio dell’Accademia di Belle Arti, progettato dallo studio di architettura UNAUNLESS, un prisma triangolare blu-viola sembra essere caduto dallo spazio intrecciandosi finemente con l’architettura rinascimentale dell’edificio. La sua sorprendente geometria è in contrasto con le forme organiche che emergono nell’ambiente interno, realizzate con materiali innovativi come la resina biosorgente e il micelio di reishi. Dal terreno emerge una forma simile a una membrana che diffonde frequenze elettroacustiche, mentre frammenti di narrazione si sprigionano da due “docce sonore” simili a meduse. Nel video proiettato sulla parete curva a LED, che mescola animazione 3D e filmati di acquari, si muovono alcuni personaggi interspecie, sintetizzati utilizzando l’intelligenza artificiale e altri strumenti digitali, tra cui modelli 3D di vita marina, scansioni di statue dell’Africa occidentale conservate in collezioni museali e riproduzioni di fotografie che ritraggono movimenti di indipendenza decoloniale. Nella Palazzina Canonica dell’ISMAR un’interfaccia basata sull’IA consente invece ai visitatori di generare le proprie specie ibride fondendo la raccolta di dati di Ntjam con le fotografie di plancton prodotte dal citometro a flusso dell’ISMAR, uno strumento utilizzato per classificare gli organismi trovati nei campioni d’acqua marina a 16 chilometri dalla costa. Popolando questo ecosistema virtuale di creature generate in loco, il pubblico è invitato a unirsi al processo di diffusione di storie ancestrali, diventando parte attiva della mostra. M.S.

Bio-mythical ENG worlds

An artist, performer, and writer, Josèfa Ntjam explores the political and utopian dimensions of the oceans, vessels of stories of domination but also of resistance, emancipation, and creation. In this imaginative landscape, plankton serves as a point of convergence between the deep ocean and external space, between biological and mythical realms. The exhibition is spread across two venues. In the courtyard of the Academy of Fine Arts, a blue-violet triangular prism seems to have fallen from space, intertwining with the Renaissance architecture of the building. Its geometry contrasts with the organic forms emerging within the interior environment, created using innovative materials such as bio-sourced resin and reishi mycelium. In the video projected on the curved LED wall, which blends 3D animation and aquarium footage, interspecies characters move, synthesized using artificial intelligence and other digital tools, including 3D models of marine life. At the Palazzina Canonica of ISMAR, an AI-based interface allows visitors to generate their own hybrid species by combining Ntjam’s data collection with photographs of plankton. By populating this virtual ecosystem with locally generated creatures, the public is invited to join the process of disseminating ancestral stories, becoming active participants in the exhibition.

Ntjam. swell of spaec(i)es

Fondamenta Zattere allo Spirito Santo Palazzina Canonica, CNR-ISMAR, Riva dei Sette Martiri www.las-art.foundation

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Josèfa Accademia di Belle Arti,

arte

COLLATERAL EVENTS

IN THE CITY

Immersioni rituali

L’artista coreano Lee Bae illumina la Fondazione Wilmotte

La Fondazione Wilmotte, fondata nel 2005 dal celebre architetto francese Jean-Michel Wilmotte, è impegnata in tutte le sue sedi internazionali a promuovere progetti espositivi in particolare di architettura, ma non solo, con un occhio di riguardo per i giovani. Così è da anni anche a Venezia, nel cuore di Cannaregio. Normalmente presenta progetti prodotti, o comunque direttamente accolti e promossi, da essa stessa. Qualche rara volta, quando davvero il progetto lo merita, ospita però progetti autonomi altri, non necessariamente legati a doppio filo con la Fondazione. È il caso quest’anno dell’Evento Collaterale della 60. Biennale Arte, Lee Bae – La Maison de la Lune Brûlée, organizzato da Hansol Foundation – Museum SAN e curato da Valentina Buzzi. La mostra presenta l’esplorazione dell’artista sudcoreano Lee Bae di un rituale centenario noto come Moonhouse Burning o daljip taeug profondamente radicato in Corea del Sud. Un rituale, coincidente con il 15esimo giorno del primo mese del calendario lunare, che si svolge in occasione della prima luna piena dell’anno riunendo l’intera comunità in una celebrazione unica e simbolica della cosmologia ciclica. Il nucleo del progetto è connotato dall’intrinseca connessione tra l’uomo e il mondo naturale, che l’esposizione indaga attraverso i temi del rinnovamento, della circolarità e dei ritmi armoniosi della natura, superando la dicotomia natura/cultura contemporanea. Il rituale è stato ripreso e restituito attraverso un’opera di videoarte, Burning (2024), ora proiettata attraverso sette proiettori sulle pareti del corridoio d’ingresso della Fondazione che conduce alla sala espositiva, all’interno della quale, trasformata in un disteso e avvolgente white cube da calpestare scalzi, i visitatori incontrano diverse installazioni, Brushstroke (2024), che si sviluppa sia sul pavimento che sulle pareti, rivestite con carta bianca attraverso una speciale tecnica chiamata marouflage. Opere dipinte con vernice a carboncino ricavata dalla combustione del legno del Moonhouse Burning. Al centro dello spazio un imponente monolite scolpito in granito nero dello Zimbabwe, Meok (2024), funge da punto focale per la

meditazione e la riflessione. Una scultura monumentale evocante il tradizionale bastoncino d’inchiostro coreano, usato storicamente nei circoli accademici e culturali coreani come mezzo per trasmettere la conoscenza attraverso le generazioni. Ultimo lavoro presente in sala l’opera su tela Issu du Feu (2024), dove i frammenti di carbone si trasformano in mosaici con riflessi e opacità contrastanti. Lo spazio espositivo rappresenta nel suo insieme un momento per sperimentare quello che le filosofie asiatiche riconoscono come “spazio negativo”: la nostra e l’altrui essenza si manifestano attraverso un’assenza che è complementare alla forza bruciante dell’opera video. Uscendo dalla sala, i visitatori attraversano infine una struttura effimera, Moon (2024), il cui percorso conduce alle acque veneziane. Il percorso simboleggia il rinnovamento e la connessione con l’atmosfera di Cheong-do che connota il rito del rogo in onore della luna.

La mostra di Lee Bae permette di compiere un viaggio interiore nel cuore della saggezza senza tempo della filosofia coreana, ponendo quesiti essenziali sul ruolo centrale delle antiche tradizioni nel nostro presente. Massimo Bran ENG Lee Bae pays homage to the Korean ritual of Moonhouse Burning (La Maison de la Lune Brûlée), which falls on the first day of the full moon each year. Images from this year’s festivities, which took place on February 24, unfold in a video that immerses visitors in an exhibition space occupied by monumental sculptures, canvas works, and charcoal paintings, engaging them in a suggestive experience that intertwines folklore, tradition, and contemporary art. The core idea of the exhibition lies in the intrinsic connection between man and nature, being explored through themes of renewal, circularity, and harmonious rhythms of nature.

Lee Bae - La Maison de la Lune Brûlée Fondation Wilmotte, Fondamenta dell’Abbazia Cannaregio 3560 www.leebaestudio.com

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Installation view © Alessandra Chemollo

Not only LOVE Robert Indiana, radicalmente pop

Quando ci si avvicina alla Pop Art il rischio è sempre quello di assecondare una certa disposizione per così dire cool, quasi a ricercare nelle sue espressioni più riuscite, ma anche in quelle meno felici, una sorta di immediatezza da copertina, su cui poi attorno e al di sotto ricamare trame concettuali, non di rado improbabili, nella finalità di dare consistenza profonda a una percezione per così dire “facile” di questi lavori, di queste opere apparentemente leggibili ai più. Insomma, tra tutte le correnti artistiche del Novecento, la Pop Art è come se necessitasse di più livelli di lettura, quasi non ci si capacitasse, non ci si accontentasse della sua a tratti spettacolare immediatezza. Che siano le serigrafie di Marilyn, di Mao, della Campbell’s Soup di Warhol o quelle multiple di Rauschenberg, che siano le bandiere e i bersagli di Jasper Johns o invece le opere fumettistiche di Roy Lichtenstein, pur con tutte le profonde differenze stilistiche ed estetiche che separano questi artisti e i loro lavori, al loro cospetto si vive sempre un’urgenza di scavare sotto l’immediatezza quotidiana, da entertainment mediatico, della loro resa finita. Uno scavo spesso vano, talvolta pretestuoso. Sì, perché questi lavori spesso possono bastare per quello che dicono ora e qui, anche intendo; perché è proprio nell’immediatezza di restituire il prosaico vivere il quotidiano dei consumi che riposa la loro prima, se non sempre primaria, essenza. Eppure, tra tutti i protagonisti di questa straordinaria stagione artistica ve ne sono alcuni che davvero utilizzando un linguaggio iconicamente pop parlano più di altri del recondito interiore e del personale politico, della complessità esistenziale e dei turbamenti sociali. Tra questi forse il più radicale a riguardo è stato Robert Indiana, protagonista di una straordinaria personale, Evento Collaterale della 60. Biennale Arte alle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco, dal titolo Robert Indiana: The Sweet Mystery, tratto da uno dei primi dipinti in cui Indiana ha inserito le parole, una pratica che caratterizzerà larghi

tratti della sua carriera. «Questa mostra esplora con meticolosa maestria l’uso che Indiana fa dell’autoreferenzialità per indagare profonde questioni metafisiche sulla natura della vita. Integrando nelle sue opere dettagli biografici intricati, Indiana crea non solo una narrazione personale, ma sottolinea anche i legami duraturi con i movimenti artistici radicali del passato in America. Attraverso una selezione tematica di opere, la mostra funge da portale che introduce una nuova generazione di spettatori alla prospettiva Pop peculiare e trascendentale di Indiana, mentre affrontano i loro pressanti dilemmi esistenziali in questo secolo». Nulla più di queste eloquenti parole del curatore Matthew Lyons potrebbero restituire al meglio la cifra estetica, poetica, più estesamente culturale di questo straordinario protagonista dell’età aurea dell’arte contemporanea americana del secondo Dopoguerra. Conosciuto dai più per la serie iconica LOVE, la mostra è un’occasione irripetibile per compiere un viaggio emozionale attraverso sei decenni del suo poliedrico percorso artistico, con l’opportunità di avvicinarsi ad alcune a dir poco significative opere giovanili, alcune delle quali rarissimamente esposte.

ENG A prominent figure in American art, Robert Indiana (1928-2018) was an influential leader of the Pop Art movement. However, he distinguished himself by addressing significant social and political issues, incorporating deep historical, literary, and biographical references into his works. Spanning six decades of his career, the exhibition offers a revealing perspective on his oeuvre, focused on the fundamental themes of spirituality, identity, and the human condition, essential for understanding the artist’s creative evolution.

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Robert Indiana: The Sweet Mystery Procuratie Vecchie (secondo piano), Piazza San Marco www.robertindiana.com Installation view at Yorkshire Sculpture Park, 2022. Photo: © Jonty Wilde, courtesy of Yorkshire Sculpture Park. Artwork: © 2024 Morgan Art Foundation Ltd./ Artists Rights Society (ARS), New York

arte

COLLATERAL EVENTS IN THE CITY

Passante dell’anima

Le autentiche visioni di Andrzej Wróblewski

La mostra monografica del pittore Andrzej Wróblewski (Vilnius, 1927 – Monti Tatra, 1957), promossa da Fundacja Rodziny Staraków, Evento Collaterale alla 60. Biennale Arte, ci permette di conoscere uno dei più noti artisti polacchi del Novecento, scomparso prematuramente prima dei trent’anni a causa di un incidente alpinistico. Le sue opere provengono dalla collezione privata postbellica di Anna e Jerzy Starak e dai Musei Nazionali di Varsavia, Breslavia e Lublino, mentre un video del 2015 diretto del celebre regista e amico dell’artista Andrzej Wajda (Suvalki, 1926 – Varsavia, 2016), che lo riteneva il più grande fra quelli della sua generazione, ricorda in particolare l’allestimento della mostra Recto/Verso a cura di Éric de Chassey, direttore dell’Accademia di Francia di Roma, per il Museo d’Arte Moderna di Varsavia.

Oli su tela e guazzi degli anni Cinquanta denotano l’apologia di un realismo figurativo e creativo di tipo emozionale, basato su gamme cromatiche incentrate sugli azzurri, verdi, rossi e gialli, in gradazioni forti o più spente nella resa pittorica, ad evocare sfumature di stati d’animo, storie congelate in una sospensione definita quanto atemporale.

In Break at work in Nowa Huta, quartiere industriale con le nuove acciaierie di Cracovia originariamente voluto da Stalin, protagonista è la vita in movimento, un proliferare di sguardi, idee e conversazioni in mezzo ad una città che cresce, incurante delle lotte fra Comunismo e Socialismo e che poi vedrà la messa in posa, più volte, di una Croce ad opera del vescovo Karol Wojtyla e la realizzazione di una chiesa consacrata come Arka Pana o Arca del Signore. Nella maggior parte delle sue tele si respira un perdurante senso di attesa immanente, ora più greve ora più sommesso, come quello tutto interiore del dipinto Look Out, It Comes! Air Raid, ove una madre distesa nella sua rotonda e corpulenta quanto impotente fragilità non può far altro che prendere atto di quello che l’aspetta, ovvero il sopraggiungere di una delle tante incursioni aeree, mentre stringe e trattiene tra le lenzuola i suoi figli appena nati e inconsapevoli dei perché di una guerra che sembra non aver fine. In The Queue Continues una naturale coda o fila assurge a “spazio mentale” di un destino antropico, racchiuso emblematicamente nell’apparente e ovvia semplicità di una qualsiasi sala d’attesa che si tinge però dei colori del sangue e delle montagne verdi: una momentanea sosta in fieri, nel mistero simbolico di tre sedie in successione. Nei due volti delle donne sedute in silenzio vi è stanchezza e rassegnazione o, al contrario, fiduciosa speranza di chi confida ignaro e privo di pregiudizio, senza però curarsi di quella sedia vuota alle spalle, un punto di domanda a segnare forse il ricordo di chi c’era e ora non c’è più e di chi ci sarà ancora, nell’indugio di una prospettiva umana che cela un senso di smarrimento tra apprensione e aspettative di vita, punto di vista dell’artista alla ricerca di una solidarietà che non sa

Andrzej Wróblewski (1927–1957). In the First Person Fino 24 novembre

Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 139/153 www.andrzejwroblewski.pl | www.starakfoundation.org

manifestarsi. Gli Horrors of War non possono che essere trasfigurati in Headless Fish, o “pesci mozzati, senza testa”, mentre il senso di morte, di alienazione e perdita collettiva come eredità di guerra assume in opere spezzate tra verismo, surrealismo e metafisica, le sfumature del blu celeste: dal singolo abito della Hunchback, o donna ingobbita in un interno, solitaria profuga di un’irrealtà che non ha confini, alle figure maschili e femminili dalla testa ai piedi di Liquidation of the Ghetto oppure di Execution. E se i suoi Chauffeurs sono in viaggio fra l’aldiquà e l’aldilà, il distacco personale di un lutto famigliare risuona muto in Married Couple with a Bouquet, in cui moglie e marito sono separati ma uniti in vita e morte dall’antitesi cromatica caldo-freddo dei toni emanati dai loro corpi, mentre l’ansia e la ricerca di serenità come volontà di riscatto nella realtà di tutti i giorni apre invece a tinte mescolate o più vivaci, tra memoria e contemporaneità, nella leggerezza del bikini rosso della giovane donna distesa in The Beach o in una moderna quanto divisa Lovers Walk, fino alle stilizzate Tombstones, sorta di chiavi astratte di un fecondo matrimonio. Wróblewski, che appare con occhiali in un Autoritratto su fondo giallo, affermava la sua volontà di preservare e innanzitutto cogliere una generalità reale e una comprensibilità onnicomprensiva, sentendosi come un figlio, un pole, un Polacco che è anche “polo”, cioè in prima linea, come un corridore che parte, sapendo di rimanere sempre un passante e comunque un consolatore Luisa Turchi

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Andrzej Wroblewski, Self portrait on the Yellow Background, 1949 Starak Collection - Courtesy © Andrzej Wroblewski Foundation

The soul’s ENG passer-by

A monograph exhibition on painter Andrzej Wróblewski (Vilnius, 1927 – Tatra Mountains, 1957), In the First Person is a collateral event of the 60th Venice Art Biennale. Wróblewski is one of the most famous Polish artists of the twentieth century, despite a life cut short before the age of thirty by a mountaineering accident. The art on exhibition comes from Anna and Jerzy Starak’s private collection as well as from the Polish State Museums of Warsaw, Wrocław, and Lublin. Oil on canvas and gouaches display figurative, creative realism of an emotional kind, based on strong hues of blue, green, red, and yellow for different moods and stories crystallized in some sort of atemporal suspension.

In Break at work in Nowa Huta – Nowa Huta being a working-class steel mill district in Krakow once developed on Stalin’s input – the protagonist is the motion of life, looks, ideas, and conversations accompanying a growing city, unconcerned with the fights between communists and socialists, and the place where bishop Karol Wojtyla would erect a cross and found the Lord’s Ark Church.

In most of Wróblewski’s art, we can perceive a sense of immanent expectation, sometimes heavier, sometimes subdued. Take Look Out, It Comes! Air Raid is a picture of a mother, lying heavily on the ground, waits impotently the air raid as she holds her dear babies, who know nothing about the reasons of a war with no ends in sight. In The Queue Continues, a queue grows into the ‘mental space’ of anthropological destiny, shown as the seemingly obvious metaphor of a waiting room painted in blood red and luscious green. In the faces of the two women sitting is tiredness, resignation, or maybe a hopeful expectation that is proper of those who know no prejudice and just wait, oblivious of all else. Andrzej Wróblewski, the artist, makes his appearance in a self-portrait on a yellow background. He maintained his intention to preserve and understand reality in general terms, a sort of omni-comprehensive understanding. He fashioned himself a child, a Pole – from Poland – though also one in pole position, a runner ready to race, fully knowing all he would ever be is a passer-by, consoling you from the sidelines.

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Andrzej Wroblewski, Married Couple with a Bouquet, 1949 Starak Collection - Courtesy © Andrzej Wroblewski Foundation Andrzej Wroblewski, The Queue Continues, 1956 Starak Collection - Courtesy © Andrzej Wroblewski Foundation

arte

NOT ONLY BIENNALE

IN THE CITY

L’eccezione come regola

Palazzo Diedo, il contemporaneo pulsante firmato Berggruen Foundation

Tra le molteplici valorizzazioni virtuose che la Biennale produce sul corpo vivo della città, sicuramente un posto di primo piano è occupato dalla composita teoria di palazzi restaurati, e talvolta proprio salvati dal degrado del tempo, al fine di ospitare progetti e mostre collaterali della Biennale Arte stessa. Ultimo di questa crescente sequenza di felici recuperi un imponente edificio sede per anni di una scuola elementare, quel Palazzo Diedo ora ritornato “in vita” grazie allo straordinario intervento voluto dalla Fondazione Berggruen, nuovo player strategico del sistema-arte in città come ben tutti sappiamo. Attraversare questi quattromila metri quadrati distribuiti in quattro piani il giorno della sua inaugurazione nei giorni delle vernici Biennale è stato qualcosa di davvero emozionante.

Siamo di fronte ad un percorso rigenerante davvero circolare: recupero riuscito di uno spazio enorme quanto meraviglioso; inaugurazione con una mostra che vede coinvolti una dozzina di artisti contemporanei di assoluto livello internazionale; il progetto concreto di ospitare residenze d’artista, quindi non solo esposizione, ma produzione d’arte; attività ed eventi in continuo divenire tra performances, film, talks, facendo del Palazzo un pulsante centro culturale permanente della città.

Con l’apertura della mostra Janus, curata da Mario Codognato, direttore di Berggruen Arts & Culture, in cui undici interventi originali site-specific di altrettanti artisti tutti di grande fama e di riconosciuto valore – Urs Fischer, Piero Golia, Carsten Höller, Ibrahim Mahama, Mariko Mori, Sterling Ruby, Jim Shaw, Hiroshi Sugimoto, Aya Takano, Lee Ufan e Liu Wei – hanno ridisegnato le architetture dell’edificio settecentesco, Palazzo Diedo entra nel vivo della programmazione live con eventi di livello internazionale.

Dal 5 al 7 giugno, ospitati da Berggruen Arts & Culture, arrivano in città John Akomfrah, Philippe Starck, Anish Kapoor, Sean Scully, Giulia Andreani, Alison Cole, Amos Gitai, Daniel Birnbaum, Mariët Westermann, solo per citare alcune delle personalità che interverranno durante la tre giorni di Art for Tomorrow 2024. Imperfect Beauty, organizzata dalla Democracy & Culture Foundation. A Palazzo Diedo artisti, direttori di musei, registi, curatori e architetti si confronteranno sul tema della bellezza imperfetta nel corso di una serie di panel incentrati sulle problematiche del mondo contemporaneo. Il 16, 23 e 30 giugno è in programma la proiezione del documentario Taking Venice di Amei Wallach, seguito il 17 giugno dal talk Oneness tra l’artista Mariko Mori e il filosofo Emanuele Coccia e il 21 e 22, in occasione di Art Night Venezia, la maratona di conversazioni e performances dal titolo What is Universalism? New philosophy for a multipolar world. Pensatori di tutti i continenti si riuniranno per due giorni di creazione filosofica in una maratona pubblica di interviste sull’universalismo condotta da Hans Ulrich Obrist.

Con la Casa dei Tre Oci, acquisita da Nicolas Berggruen nel 2021 per farne il centro europeo del Berggruen Institute, Palazzo Diedo va a completare un nuovissimo progetto culturale poliedrico e aperto davvero al mondo, che nelle intenzioni della Fondazione Berggruen negli anni dovrà contribuire ad arricchire e ad elevare con concretezza e insieme fertile visionarietà l’immagine e la vita stessa di questa città sempre più fragile, ma al contempo ancora uno degli epicentri culturali del Pianeta. Massimo Bran

Palazzo Diedo

Fondamenta Diedo, Cannaregio 2386 www.berggruenarts.org

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Taking Venice di Amei Wallach

arte

NOT ONLY BIENNALE

Ospiti

inattesi

Chiamale se vuoi Affinità Elettive, come il titolo evocativo degli intrecci emotivi descritti da Goethe nel suo romanzo, o semplicemente accostamenti o confronti, suggeriti da contrasti e vicinanze formali, tematiche, stilistiche tra le opere, in ogni caso la caccia al tesoro offerta dalle Gallerie dell’Accademia grazie alla presenza di alcuni capolavori del Novecento provenienti dalla collezione di Heinz Berggruen, ora conservata al Museo Berggruen di Berlino, è assolutamente da non perdere. Picasso, Matisse, Klee, Giacometti e Cézanne sono tra gli ospiti inattesi che si scoprono lungo il percorso delle Gallerie dell’Accademia, in fitto dialogo ora con Giorgione, ora con Sebastiano Ricci o Pietro Longhi e ancora con Giambattista Tiepolo e Canova e molti altri. Così, percorrendo le sale con sguardo attento, si rivelano allo sguardo Dora Maar di Picasso e La Vecchia di Giorgione, il Nudo Blu di Matisse e la Nuda sempre di Giorgione, due studi di Picasso per Les Demoiselles d’Avignon giustapposti a una serie di bozzetti di Giambattista Tiepolo, le statue di Canova e la Donna di Venezia di Giacometti, la Ciotola di frutta con pere e mele di Picasso e le nature morte seicentesche, il Sileno danzante sempre di Picasso affiancato al Baccanale di Poussain e al Baccanale in onore di Pan di Sebastiano Ricci e molto ancora. Secoli lontani, artisti diversissimi, capolavori affini. Per la mostra c’è tempo fino al 23 giugno, dopo di che rimane a disposizione un bellissimo catalogo edito da Marsilio.

ENG We might call them elective affinities, like the growing bonds of affection postulated by Goethe, or just pairings or comparisons, suggestions of contrast and similarity in form, theme, or style. Whatever the case, don’t miss the upcoming treasure hunt at the Gallerie dell’Accademia: Picasso, Matisse, Klee, Giacometti, and Cézanne from the Heinz Berggruen Collection are the unexpected guests that populate the Gallerie, mirroring masterpieces of Venetian Renaissance art by Giorgione, Sebastiano Ricci, Pietro Longhi, Giambattista Tiepolo, and others.

Picasso’s Portrait of Dora Maar looks at Giorgione’s Old Woman, Matisse’s Blue Nude at Giorgione’s Nude, two of Picasso’s studies for the Demoiselles d’Avignon at a series of sketches by Giambattista Tiepolo, and then still lifes by Picasso and eighteenth-century artists.

Affinità elettive

Fino 23 giugno Gallerie dell’Accademia e Casa dei Tre Oci, Giudecca www.gallerieaccademia.it | treoci.org

Elaborate forme di meraviglia Buccellati, il principe degli orafi in una mostra da non perdere

Riscoprire le origini di uno dei nomi che hanno fatto la storia della gioielleria, rendere omaggio a una famiglia che negli ultimi cento anni ha portato il made in Italy nel mondo, ma anche “solo” ammirare da vicino affascinanti e ricercate creazioni di alta gioielleria – alcune vere e proprie icone – come opere d’arte in un museo. Tutto questo è possibile fino al 18 giugno, data di chiusura di The Prince of Goldsmiths, Rediscovering the Classics, ospitata a Venezia negli spazi di Officine 800 alla Giudecca, la grande mostra con cui la Maison Buccellati ripercorre temi e ispirazioni del proprio savoir-faire

In un allestimento immersivo curato da Marco Balich fatto di caleidoscopiche geometrie in movimento, farfalle volanti, colonne corinzie che si elevano sulle pareti e fili di perle che si srotolano sui pavimenti, ecco che bracciali, spille, orecchini, anelli, ma anche vasellame, posate o portasigarette progettati da quattro generazioni di Buccellati trovano nuova vita, rinsaldando il proprio posto nella storia della Maison grazie alla lente della contemporaneità. Articolato in stanze, il percorso espositivo prende le mosse da “Generazioni Buccellati”: emblematiche in questo senso le quattro farfalle, uno dei simboli iconici della Maison, realizzate negli anni ‘50 dal fondatore Mario, nel 1993 dal figlio Gianmaria, nel 1995 dal nipote Andrea e nel 2023 dalla bisnipote Lucrezia. In esse la sempre presente abilità artigiana si confronta con lo spirito del tempo e il passare dalle perle barocche al colore delle pietre, per poi tornare al monocromo fino ad arrivare ai diamanti, non sono altro che diverse declinazioni della stessa elevatissima arte orafa. La seconda stanza, dedicata alle meraviglie create dal lavoro dell’uomo, racconta l’arte come fonte di ispirazione nelle creazioni di Buccellati: ecco portasigarette, borsette, scatole e piccoli accessori, con cui si cimentarono

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LAST CALL
Photo Massimo Pistrore

specialmente Mario e Gianmaria Buccellati, ispirandosi a elementi decorativi geometrici, architetture rinascimentali e alla preziosità dei tessuti. Nella terza stanza spazio al mondo naturale, ispirazione privilegiata per le lavorazioni in argento a sbalzo e cesello: conchiglie, foglie sbalzate, boccioli, frutti e animali dal pelo irto impreziosiscono vasellame, posate e centrotavola. Nella galleria delle icone, una pazzesca selezione di alta gioielleria testimonia le tappe di un percorso di continua affermazione: dalla tecnica di lavorazione del “Pizzo” ispirata ai merletti veneziani, che rende Mario Buccellati celebre e riconosciuto a livello mondiale, a quella del “Tulle”, dall’incisione, ancora oggi eseguita a mano, elemento distintivo di una delle collezioni più richieste, “Macri”, all’“Eternelle”, termine inventato da Mario negli anni ‘40 e adottato in tutto il mondo per rappresentare l’anello di fidanzamento con un pavé continuo di gemme preziose, dagli “Ombelicali” degli anni ‘20 e ‘30 ai magnifici e sfacciatamente colorati “Cocktail Ring” degli anni ‘50. Un viaggio incredibile nella meraviglia, iniziato nel 1919 con “Il principe degli orafi”.

Livia Sartori di Borgoricco

ENG To discover again one of the names that made history of goldsmithing, testified the excellence of Italian craftsmanship, and amazed us with incredible creation of high jewellery. See all of this at the Officine 800 space at Giudecca in the exhibition The Prince of Goldsmiths. Rediscovering the Classics. Curator Marco Balich prepared an immersion into the kaleidoscopic geometry of Buccellati’s creations: bracelets, brooches, rings, earrings, pottery, cutlery, cigarette holders designed by four generations of craftsmen in the Buccellati family. See the butterflies that started it all, the diamonds, the beautiful accessories inspired by Renaissance architecture, the precious fabrics, and the lace-like manufacturing and the engravings in one of their most famous collections worldwide.

The Prince of Goldsmiths. Rediscovering the Classics Fino 18 giugno Oficine 800, Fondamenta San Biagio, Giudecca 800 www.buccellati.com

Oro vero

Giovanni Baronzio e Alberto Burri, Bartolomeo Caporali e Gino De Dominicis, Duccio di Boninsegna e Lucio Fontana, Cataluccio da Todi e Marisa Merz, Gentile da Fabriano e Michelangelo Pistoletto, Maestro della Madonna di Perugia e Carol Rama, sedotti dalla magia dell’oro e uniti a distanza di secoli dalla stessa ricerca formale ed estetica. Sei dialoghi tra antico e moderno che in nome dell’uso dell’oro restituisco una pagina fondamentale dell’arte italiana, mostrando l’autentico DNA del bello universale, oltre il tempo. Assonanze tecniche, estetiche e concettuali che aprono nuovi confronti, suggestioni e prospettive, spalancando inediti orizzonti di interpretazione. The Golden Way – La Via dell’oro. I capolavori dorati della Galleria Nazionale dell’Umbria incontrano l’Arte Contemporanea, a cura di Alessandra Mammì, Veruska Picchiarelli e Carla Scagliosi, è un esempio altissimo di sinergia tra musei, da un lato la Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro di Venezia, che ospita la mostra fino al 16 giugno, e dall’altro i Musei Nazionali di Perugia. La mostra restituisce il piacere puro della storia dell’arte: ogni accostamento, mediante approfondimenti basati su tipologie di manufatto, strumenti e metodi di lavorazione nella loro continuità o discontinuità nel tempo o sui significati simbolici di un materiale che ha segnato millenni di storia del pensiero in figura, indaga il senso recondito di uno dei linguaggi più misteriosi e profondi dell’arte. La presenza dell’oro in un’opera non è mai una pura soluzione formale, ma appartiene a una sfera più complessa che inevitabilmente rimanda alla figurazione sacra, al fondo oro dell’icona, a uno spazio trascendente. Una scelta che, al di là di ogni effetto decorativo, dopo il suo esordio in epoca medioevale torna con diverso segno, ma identica intensità, anche nelle opere di artisti contemporanei, ben consapevoli dell’eterna potenza simbolica di questa eccezionale materia. M.M.

ENG Giovanni Baronzio/Alberto Burri, Bartolomeo Caporali/Gino De Dominicis, Duccio di Boninsegna/Lucio Fontana, Cataluccio da Todi/ Marisa Merz, Gentile da Fabriano/Michelangelo Pistoletto, Maestro della Madonna di Perugia/Carol Rama: in the name of the utilisation of gold, six exclusive dialogues between the ancient and the modern. Displayed side by side, the technical, aesthetic, and conceptual resonances between these masterpieces are highlighted, offering unprecedented affinities and new perspectives for interpretation.

The Golden Way – La Via dell’Oro I capolavori dorati della Galleria Nazionale dell’Umbria incontrano l’Arte Contemporanea Fino 16 giugno Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro polomusealeveneto.beniculturali.it

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Duccio di Boninsegna / Lucio Fontana, The Golden Way – La Via Dell’Oro, Installation view Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, photo Marco Giuglierelli
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arte

NOT ONLY BIENNALE IN THE CITY

Troppo rumore

Il rumore dei buchi neri di Sarah Revoltella, a cura di Daniele Capra, è una mostra-manifesto che porta a riflettere. Un messaggio forte contro le guerre, che assume incredibilmente sempre nuove urgenze e non a caso trova il suo spazio espositivo ideale nella sede di Emergency Venezia alla Giudecca. L’obiettivo della mostra, visitabile fino al 13 luglio, è quello di esprimere il rifiuto categorico delle guerre e dei conflitti che dilaniano il mondo contemporaneo. Fulcro dell’esposizione il video della performance Io combatto che si è svolta durante l’evento inaugurale coinvolgendo nove studenti di diversa nazionalità, ognuno dei quali chiamato ad imbracciare delle armi da fuoco in ceramica, repliche esatte degli originali. Le armi, associate all’aggressività e alla violenza umana, qui assumono valenza di fragilità resa evidente dal gesto che ogni studente compie nel gettarle a terra e mandarle in frantumi, azione che rappresenta l’intrinseca debolezza dell’umanità. In mostra oltre al video rimangono i cocci delle armi in ceramica posizionati davanti ai grandi ritratti degli studenti, gesto simbolico che mette in evidenza la vulnerabilità e la fragilità dell’essere umano di fronte alla brutalità della guerra e della violenza. Altra opera significativa è Stelle e Conflitti, basata su una sorprendente intuizione dell’artista che ha rilevato delle notevoli somiglianze topologiche tra la mappa dei conflitti nel mondo e la distribuzione dei buchi neri nell’universo. Proprio come le stelle nel loro ciclo evolutivo giungono alla fine della loro esistenza nei buchi neri, così anche gli uomini, combattendo tra loro, pongono fine a innumerevoli vite umane ed al concetto stesso di umanità. Grazie alla collaborazione delle tessitrici di Nule, della provincia di Sassari in Sardegna, quest’intuizione è stata rappresentata mediante un arazzo che, fornendo suggestioni sia visive che tattili, crea un forte legame concettuale tra il destino dell’umanità e quello dell’universo stesso. Beatrice Poggesi

Pura anarchia

Monte di Pietà, il nuovo incredibile e folle progetto immersivo creato da Christoph Büchel per Fondazione Prada, era molto piaciuto a Fabio, tanto che per molti giorni ne avevamo parlato e discusso. Non era solo la totale libertà anarchica assunta dall’artista svizzero di ricreare puntualmente attraverso oggetti di ogni tipo la sede storica del Monte di Pietà di Venezia, suscitando nei ricordi lontani un tempo-oggetto ormai passato remoto ma sempre dolce e vivido perché legato all’infanzia, ad un Mondo, un Paese e una Città che non esistono più. Ma anche in questo universo ormai parallelo, la genialità di Büchel nell’insinuare in una selezione eterogenea di oggetti, documenti legati alla storia della proprietà, al credito e alla finanza, allo sviluppo di collezioni e archivi, alla creazione e al significato di ricchezza reale o artificiale, capolavori d’arte antica – un Tiziano, per esempio – e opere di artisti contemporanei – come tra gli altri un Joseph Beuys dietro l’angolo o un Giulio Paolini tra le telecamere di sorveglianza –, scardinando totalmente i canoni dell’esporre. Assolutamente, ogni nuovo capitolo di Fondazione Prada si dimostra capace di sorprendere, di scavare, di far riflettere, di disturbare a volte, spostando gradualmente verso l’altro e l’alto il concetto stesso di mostra.

La storia stratificata di Ca’ Corner della Regina, sede del Monte di Pietà dal 1834 al 1969, offre a Christoph Büchel la possibilità di costruire una complessa rete di riferimenti spaziali, economici e culturali, mettendo in campo un’approfondita indagine del concetto di debito come radice della società umana e veicolo primario con cui è esercitato il potere politico e culturale. Il suo banco dei pegni in fallimento trova nella storia di Venezia di ieri, ma soprattutto di oggi, il contesto ideale per esplorare le profonde dinamiche della società contemporanea.

M.M.

ENG Christoph Büchel (Switzerland, 1966) takes the layered history of Ca’ Corner della Regina, from birthplace of Caterina Cornaro to Monte di Pietà and Historical Archive of the Venice Biennale, as the starting point for the construction of a complex installation. The project includes historical and contemporary work, new exhibition structures and a vast selection of objects and documents relating to the history of property, credit and finance, the formation of collections and archives, and the creation and meaning of a real or fictitious heritage.

Christoph Büchel. Monte di Pietà Fino 24 novembre Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina www.fondazioneprada.org

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Sarah Revoltella. Il rumore dei buchi neri
Fino 13 luglio Emergency Venezia, Giudecca 212 www.emergencyvenezia.org
Installation View, Monte di Pietà - Photo Marco Cappelletti, Courtesy Fondazione Prada

ART NIGHT 2024

CA’ FOSCARI

Torna, attesissima, ART NIGHT VENEZIA , con un’edizione da record grazie alla Biennale Arte e alla sua invasione di arte in città.

L’Università Ca’ Foscari da appuntamento il 22 giugno nella sua sede centrale, da dove tutto inizia, per poi diffondersi nei musei, mostre, fondazioni, teatri, biblioteche, gallerie per festeggiare la notte più attesa dell’anno. Silvia Burini e Angela Bianco, infaticabili ideatrici dell’evento, si spingono ogni anno più in alto, quest’anno con una programmazione che dal tramonto giunge diretta fino all’alba per poi proseguire anche l’indomani con Le Petit Déjeuner Arcobaleno. La mappa digitale curata da Venezia News vi guiderà in questa elettrizzante maratona: seguite il QRcode.

TROVAMI!

L’AVANGUARDIA

NEL DESERTO

Gli studenti di Ca’ Foscari conducono uno speciale laboratorio Ca’rte Lab aperto a grandi e piccini. I partecipanti saranno coinvolti in una mirabolante caccia al tesoro tra le meravigliose opere che compongono la mostra Uzbekistan. L’Avanguardia nel deserto, ospitata presso gli spazi espositivi dell’Ateneo. Prenotazione obbligatoria cartelab@unive.it

h. 18.30 | Spazi Espositivi

Università Ca’ Foscari, Dorsoduro 3246

PAOLO NORI MUSICA FOSCARI

Avanguardia

nel deserto

Lo scrittore e traduttore parmigiano Paolo Nori con l’ensemble Musica Foscari presenta una performance audio visiva site-specific, ispirata alla mostra Uzbekistan. L’Avanguardia nel deserto. Appena si fa sera, la magia di luoghi lontani ammanta di luci, suoni e profumi il cortile di Ca’ Foscari per un’esperienza immersiva da non perdere.

h. 22.30 | Cortile principale

Università Ca’ Foscari, Dorsoduro 3246

SLEEPLESS NIGHT

Un’intera notte, una maratona di proiezioni dall’1 alle 6.30 del mattino con 30 opere video inedite di artisti internazionali sul tema del viaggio; alla scoperta di nuovi mondi e territori inesplorati, sia reali che fantastici. L’evento, presentato da CIFRA, si articola in tre sessioni, New Way of Seeing, composta di 11 opere, Bridging East and West che conta 9 video, e (Re)thinking the Media di 10 opere.

h. 01-6.30 (+1g) | Auditorium Santa Margherita Emanuele Severino, Dorsoduro 3689

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arte

LENA HERZOG

Any War Any Enemy

Il nuovo lavoro dell’artista concettuale multidisciplinare Lena Herzog si compone di uno specchio nero, murales ingigantiti e dieci incisioni a mezza tinta. Come i suoi progetti precedenti, Any War Any Enemy è stato concepito all’intersezione tra arte e scienza, combinando tecniche sperimentali all’avanguardia, come l’installazione immersiva e la realtà virtuale, con pratiche artistiche la cui origine risale a secoli fa. Il progetto espositivo costituisce un ideale “dittico” con Last Whispers realizzato per la 59. Biennale Arte, entrambi affrontano infatti sul tema dell’estinzione: il primo su quella delle lingue e il secondo su quella dell’intero Pianeta. Lena Herzog offre una riflessione straziante, seppur poetica, sulla guerra e su tutti i conflitti, passati, presenti e futuri. h. 18-23.30 | CFZ-Ca’ Foscari Zattere Fondamenta Zattere al Ponte lungo 1392

UZBEKISTAN, L’AVANGUARDIA NEL DESERTO

La forma e il simbolo

Una pagina straordinaria e ancora poco nota dell’arte della prima metà del XX secolo viene raccontata attraverso 100 opere – soprattutto dipinti su tela e su carta, cui si aggiungono emblematici reperti della tradizione tessile uzbeka – provenienti dal Museo Nazionale di Tashkent e dal Museo Savitsky di Nukus, conosciuto come il “Louvre del deserto”, mostrando la genesi e il successivo sviluppo dell’Avanguardia Orientalis. Un’autentica scuola nazionale che da una parte anticipa la ricezione di una matrice di grande modernità, capace di riprendere le esperienze dell’Europa occidentale, e dall’altra la trasforma in un linguaggio totalmente originale, multietnico e interdisciplinare. Si tratta di un dialogo interculturale, che mette insieme artisti uzbeki, kazaki, armeni, russi d’Oriente, siberiani, quasi tutti formatisi a Mosca e a Pietrogrado, ma tutti radicati in una terra che scoprono e in cui scelgono di vivere e lavorare. La mostra, curata da Silvia Burini e Giuseppe Barbieri, direttori del Centro Studi sull’Arte Russa dell’Università Ca’ Foscari, diventa inoltre l’occasione per richiamare l’attenzione internazionale sulla figura e l’opera di Igor Savickij, archeologo di formazione, pittore per diletto e talento, collezionista per felice ossessione, che dalla fine degli anni ‘50 e fino agli anni ‘70 del Novecento ha raccolto a Nukus migliaia di reperti archeologici e manufatti di artigianato e arte popolare della regione, affiancandoli col tempo ad altre molte migliaia di dipinti e di fogli di grafica provenienti dall’Uzbekistan e dall’Unione Sovietica, in una concezione attualissima di “museo sintetico”, che la mostra riprende e approfondisce nell’ampio catalogo Electa, come pure nella disposizione delle opere e nell’originale allestimento multimediale. h. 18-00.30 | Spazi Espositivi, Università Ca’ Foscari Dorsoduro 3246

CYFEST15

International Media Art Festival: Vulnerability, Venice

Evento itinerante passato a Miami e a Yerevan in Armenia nel 2023, CYFEST 15 giunge a Venezia riunendo artisti, curatori, educatori, ingegneri, programmatori e attivisti dei media di tutto il mondo per creare una piattaforma per la mappatura e la documentazione della New Media Art. Nella nuova grande mostra collettiva convergono la (anti) fragilità degli spazi biologici, sociali e cibernetici, i ricordi personali e l’immaginazione scientifica, il facsimile della pioggia e l’indicizzazione, scritture semiotiche, l’esplorazione artistica della coautorialità non umana e la connessione tra i pattern di maglieria e gli insiemi di Mandelbrot.

h. 18-23| GAD-Giudecca Art District Giudecca 211-213

LE PETIT DÉJEUNER ARCOBALENO

Anche quest’anno Art Night raddoppia e prosegue domenica 23 giugno con l’ormai consueto appuntamento a colazione con Le Petit Déjeuner Arcobaleno, in collaborazione con MALìPARMI, quest’anno ospitato nella nuova location, la sede cafoscarina di Palazzina Briati. Gli ospiti verranno accolti dalle ore 9, alle ore 10.30 è proposto un laboratorio didattico per bambini e famiglie, mentre alle ore 12 la giuria procederà alla premiazione per la partecipazione più bella e originale. L’evento sarà animato dalle musiche del coro Mamme per Caso.

h. 9-14 (domenica 23 giugno) | Palazzina Briati Università Ca’ Foscari, Fondamenta Briati Dorsoduro 2530

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Ekster A.A., Natura morta Uzbekistan, l’Avanguardia nel deserto

arte

ART NIGHT 2024

DON’T MISS

SHAHZIA SIKANDER

Collective Behavior

Da oltre trent’anni, l’artista pakistanoamericana Shahzia Sikander rielabora le storie visive dell’Asia meridionale attraverso una prospettiva transnazionale, femminista e contemporanea. Lavorando con diversi mezzi – pittura, disegno, stampa, animazione digitale, mosaico, scultura e vetro – Sikander reimmagina il passato proiettandolo nel nostro presente. La mostra, Evento Collaterale, presentata da The Cincinnati Art Museum and The Cleveland Museum of Art, ripercorre le esplorazioni in continua evoluzione dell’artista attorno a temi quali genere, razza e colonialismo attraverso il suo caratteristico lessico di forme e la sua iconografia distintiva.

h. 18-22 | Palazzo Soranzo Van Axel

Fondamenta Van Axel o de le Erbe, Cannaregio

JANUS | WHAT IS UNIVERSALISM?

Conversazioni con Hans Ulrich Obrist

Il 21 e 22, in occasione di Art Night Palazzo Diedo, dove undici artisti – Urs Fischer, Piero Golia, Carsten Höller, Ibrahim Mahama, Mariko Mori, Sterling Ruby, Jim Shaw, Hiroshi Sugimoto, Aya Takano, Lee Ufan e Liu Wei – sono stati invitati a dialogare con l’architettura del Palazzo e a realizzare interventi site-specific, invita alla maratona di conversazioni e performances dal titolo What is Universalism? New Philosophy for a Multipolar World. Pensatori di tutti i continenti si riuniranno per due giorni di creazione filosofica con interviste sull’universalismo condotte da Hans Ulrich Obrist.

h. 17-23 | Palazzo Diedo, Fondamenta Diedo Cannaregio 2386

HANS WEIGAND Rising Waters Falling Skies

Mostra personale dedicata a uno dei più leggendari artisti austriaci viventi, Hans Weigand, a cura di Mario Codognato. Le grandi incisioni su legno, che riprendono la tradizione tecnica della xilografia rielaborata in modo non convenzionale e presente, combinano l’immaginario degli antichi maestri con suggestioni contemporanee, dalla Pop Art e dalla fantascienza al rock psichedelico e alla surf punk culture, creando mondi nuovi e inaspettati. Gli audaci protagonisti delle sue opere cercano di sfuggire alla fine del mondo.

h. 19-22 | Palazzo Pisani Santa Marina Campiello Widmann già Biri, Cannaregio 6104

RE-STOR(Y)ING OCEANIA

Una nuova indagine condotta attraverso la lente dell’arte su questioni ecologiche che interessano le isole del Pacifico, tra le regioni più colpite dagli effetti nefasti del cambiamento climatico, è al centro del nuovo viaggio di Ocean Space. Il progetto espositivo 2024 di TBA21, Re-Stor(y)ing Oceania, vede protagoniste tre artiste indigene del Pacifico: Latai Taumoepeau e Elisapeta Hinemoa Heta, con le loro opere site-specific, e Taloi Havini, curatrice della mostra. Durante la serata sarà possibile assistere alla performance THIS IS NOT A DRILL ideata dall’artista Latai Taumoepeau ed eseguita da squadre sportive locali e gruppi di comunità. Un’arena composta da macchine per pagaiare evoca il culto congregazionale di massa e invita il pubblico a interagire con l’opera. h. 18-22 | Ocean Space/TBA21–Academy Campo San Lorenzo, Castello 5069

PALAZZETTO BRU ZANE Irma Vep

Marco Bellano, docente e direttore d’orchestra, e Gabriele Dal Santo, pianista, raccontano al pubblico come il successo delle serie tv non sia un fenomeno dei nostri tempi: nel 1915 il celebre regista e sceneggiatore francese Louis Feuillade diede vita a Les Vampires, una saga in dieci film muti dedicati alle imprese criminali di una banda. Dal terzo episodio in poi, la scena viene rubata da Irma Vep, antieroina indimenticabile interpretata dalla geniale regista, sceneggiatrice e attrice Musidora. Al Palazzetto Bru Zane si vedranno gli episodi n. 3 e 4 della saga, accompagnati dal vivo da una selezione di musiche per pianoforte scritte da compositrici romantiche francesi. h. 19.30-23 | Palazzetto Bru Zane San Polo 2368

PER NON PERDERE IL FILO

Diverse per origine, formazione, sensibilità e modalità espressive, l’artista franco-vietnamita Karine N’guyen Van Tham (Marsiglia, 1988) e l’indiana Parul Thacker (Mumbai, 1973) hanno costruito il loro dialogo attorno al tema privilegiato del filo, inteso come fonte di ispirazione, metafora e mezzo espressivo che si sviluppa fisicamente nell’intreccio, nella tessitura e nell’arte del ricamo. In mostra, le opere delicatamente poetiche, intime e frugali di Karine N’guyen Van Tham dialogano con i lavori multimaterici, espressivi e spirituali di Parul Thacker. La Fondazione dell’Albero d’Oro offre l’occasione di scoprire la mostra, Evento Collaterale, attraverso due visite guidate gratuite alle ore 19 e 20 (info@fondazionealberodoro.org).

h. 19-21 | Fondazione dell’Albero d’Oro San Polo 2033

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Ocean Space, Re-Stor(y)ing Oceania, Latai Taumoepeau - Photo Giacomo-Cosua

ROBERT INDIANA

The Sweet Mystery

Figura preminente dell’arte americana, Robert Indiana (1928–2018) è stato leader influente della Pop Art, tuttavia distintosi per aver affrontato rilevanti questioni sociali e politiche, inserendo nelle sue opere profondi riferimenti storici, letterari e biografici. La mostra, presentata da Yorkshire Sculpture Park come Evento Collaterale, offre, ripercorrendo sei decenni di carriera, una prospettiva rivelatrice sulla sua opera, incentrata sui temi fondamentali della spiritualità, dell’identità e della condizione umana, elementi centrali dell’evoluzione creativa dell’artista.

h. 18-22 | Procuratie Vecchie

Piazza San Marco 105

CATALONIA IN VENICE

Ambiente ipnotico, popolato da suoni e immagini di creature che emergono da paesaggi catalani reali e immaginari a generare nuove esperienze d’ascolto. Bestiari, il lavoro di Carlos Casas esposto ai cantieri Cucchini, Evento Collaterale presentato da Institut Ramon Llull, prende spunto dalla Disputa de l’ase (Disputa dell’asino), testo scritto nel 1417 da Anselm Turmeda.

La Disputa narra la storia di un uomo che, addormentatosi in un bosco idilliaco, si sveglia con la capacità di comprendere il linguaggio degli animali. Questi ultimi, a quel punto, lo sottopongono a processo, interrogandolo sull’antropocentrismo.

h. 18-21 | _docks_ Cantieri Cucchini Castello 40A/B

PERSONAL STRUCTURES Beyond Boundaries

Collettiva con più di 200 artisti multidisciplinari provenienti da 51 Paesi, Personal Structures 2024 è un rutilante viaggio attraverso i molteplici confini geografici, politici, religiosi, culturali e artistici dell’intricato paesaggio globale contemporaneo. Il confronto vitale tra i più vari linguaggi espressivi declinato in una vasta gamma di narrazioni, che sfidano i preconcetti e offrono intuizioni oltre i percorsi convenzionali, diventa celebrazione della diversità, mostrando la bellezza che scaturisce dall’interazione tra prospettive culturali differenti. Oltre all’apertura straordinaria di Palazzo Mora, il pubblico potrà assistere alla performance partecipativa Kurogo Me version 1.x: A Sequel di Izumi Ashizawa, rivisitazione del teatro tradizionale giapponese.

h. 18-20.30 | Palazzo Mora, Strada Nova Cannaregio 3659

ULYSSES. WE ARE ALL HEROES

Indagare l’Odissea attraverso l’arte contemporanea è come perdersi in un labirinto di mito e realtà, di passato e presente. Quattro artisti internazionali – Gayle Chong Kwan, Stephanie Blake, ISAO e Didier Guillon –reinterpretano e danno nuova vita allo spirito del poema epico di Omero. Quattro sale di Palazzo Bonvicini, ognuna delle quali dedicata a un episodio cruciale del poema, accolgono altrettante interpretazioni coinvolgenti che esplorano la profondità della mitologia per riflettere sulle sfide e le opportunità del presente.

h. 18-21 | Fondation Valmont, Palazzo Bonvicini Calle dell’Agnello, San Polo 2161/A

TRACEY SNELLING ABOUT US

The Human Safety Net

Gli spazi in cui viviamo raccontano di noi, delle nostre storie, delle nostre esperienze e del nostro essere parte di una comunità. È questo il pensiero che dà vita ad About Us, il progetto artistico di Tracey Snelling per la Casa di The Human Safety Net, curato da Luca Massimo Barbero, che integra il percorso interattivo di A World of Potential. About Us conduce il visitatore attraverso una sorprendente città brulicante di vita, un microcosmo vibrante fatto di persone all’interno delle loro comunità. La casa è infatti espressione della nostra identità, ma rappresenta anche la libertà di esprimere il nostro potenziale perché è il luogo sicuro dove i nostri punti di forza possono svilupparsi.

h. 18-22 | La Casa di The Human Safety Net Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 105

ILYA AND EMILIA KABAKOV / YOO YOUNGKUK

Apertura straordinaria e ingresso gratuito alla Collezione permanente della Fondazione Querini Stampalia e alle mostre Ilya and Emilia Kabakov. Between Heaven and Earth e A Journey to the Infinite: Yoo Youngkuk (Evento Collaterale) con due visite guidate (ore 18/19.15). Segue alle 20.30 il reading poetico: Fiori d’azalea. Viaggio alla scoperta della poesia coreana di e con Margherita Stevanato con Daniele Ruggieri al flauto. Una delle strade possibili per conoscere un paese è quella di incontrare i suoi poeti. A partire dai versi di Kim Sowo˘l, figura tra le più amate dai coreani, s’intraprenderà un viaggio struggente alla scoperta di un popolo, che continua a mantenere la sua identità, al di là delle drammatiche vicissitudini che ha sopportato nel tempo.

h. 18-22 | Fondazione Querini Stampalia Santa Maria Formosa, Castello 5252

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Tracey Snelling, About us, The Human Safety Net Robert Indiana, Exploding Numbers, 1964-66 - Courtesy The Robert Indiana Legacy Initiative

arte

L’anomalia

Intervista Chiara Dynys

di

Incontriamo Chiara Dynys, una tra le più importanti artiste italiane contemporanee, a Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, dove è in corso la sua mostra dal titolo emblematico Lo Stile. In ossequio a una poetica che ha sempre rifiutato qualsiasi definizione stilistica per lasciarsi la libertà di pensiero e linguaggio, l’artista reinterpreta la sintesi linguistica del Neoplasticismo fondato da Piet Mondrian (il movimento De Stijl) attraverso una serie di nuovi ambienti immersivi, in cui luce e materia ridisegnano il racconto del reale. Dynys coinvolge emotivamente il pubblico proiettandolo al centro dello spazio della creazione, attore attivo e non passivo delle sue opere. Di grande potenza visiva, la mostra è apparentemente provocatoria ma in realtà rivelatrice della centralità della forma del linguaggio nell’arte.

L’allusione a Mondrian, al Neo Plasticismo, è sottolineata nel titolo Lo Stile, che ha scelto per la mostra a Ca’ Pesaro e per una delle opere più emblematiche. Quali le ragioni di questa scelta?

La natura di quest’opera tradisce l’idea di stile. È un tradimento in nome della mia libertà e del mio linguaggio. Tutta la mostra parla del mio rapporto coi linguaggi e Lo Stile ne è la sua più forte espressione. Prendo il rigore teosofico e lo faccio diventare materia. Lava. Fuoco. Metallo. Smalto. Tradire vuol dire tradurre, fare proprio un discorso e dirlo di nuovo. Questo è il mio lavoro. Gli omaggi li lascio agli altri.

Il suo è un linguaggio in continuo movimento sia per quanto riguarda la forma che i materiali, base fondamentale per la ricerca e l’evoluzione del suo concetto di arte. Come si sviluppa il suo processo artistico? E come la sua poetica trova giusta declinazione nei diversi materiali utilizzati? Non è il mio linguaggio in continuo movimento ma solo le forme e i materiali. Infatti non voglio che il mio linguaggio si inscriva in una forma stilistica: il mio lavoro ha una sua consequenzialità e ossessività nel suo significato. Non sono i materiali che determinano la riconoscibilità della mia ricerca. In questo modo affermo concetti perno nel mio linguaggio, come l’attraversamento di una soglia materiale o immateriale, tra visione e non visione. Ogni volta, nelle mie opere, si può individuare questa chiave di lettura. Per questo faccio film, mi servo di proiezioni e di diversi sistemi luminosi come LED, neon, luce laser o materiali sensibili alla luce come il vetro e gli specchi.

Chiara Dynys. Lo Stile Fino 15 settembre Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna (Sale Dom Pérignon) www.capesaro.visitmuve.it

Una serie di libri, elementi ricorrenti della sua poetica, posti in sequenza che differiscono per colore e per contenuto, propongono un doppio registro sia formale che semantico che crea un perfetto equilibrio degli opposti. Come ogni singolo elemento diventa parte di un tutto? E quale è questo suo personalissimo tutto?

La serie dei libri Tutto vede alla base l’opposizione e il collegamento fra la storia e la contemporaneità. Forme in fusione di metacrilato trasparente dove due parole opposte compaiono dalle pagine di un libro aperto e ci fanno riflettere.

Il libro è il contenitore di una storia, una storia che ogni volta, in ogni libro, opera unica, diverso dall’altro per colore e definizioni in esso impresse, è congelato in eterno su due uniche pagine in cui compaiono in rilievo due termini in opposizione.

Ogni libro è parte di un tutto poiché dietro agli opposti, come ad esempio in Memory – Oblivion, è contenuta tutta la memoria degli scritti che ho letto, delle immagini che ho ritenuto, dei film che ho metabolizzato sul tema della memoria e dell’oblio.

Le sue opere appaiono in costante tensione nello spazio, protese verso un “oltre” da attraversare. Ne sono un esempio significativo Gate of Heaven e Onde gravitazionali, che come una unica installazione ‘occupano’ la seconda stanza della mostra. Quale rilevanza ha nella sua poetica l’idea della “soglia” e in che modo la luce entra prepotente come mezzo di definizione estetica e concettuale?

La seconda sala della mostra è interamente dedicata a Gate of Heaven. Onde gravitazionali. Si tratta di una grande installazione ambientale: uno scheletro luminoso di una grande porta che sembra

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nascere dalle curve, altrettanto luminose, che si diffondono sul pavimento secondo l’andamento delle onde gravitazionali dell’Universo. La porta, o meglio la soglia, è un altro topos nella mia opera. La soglia è una sfida, il coraggio nell’andare oltre. Una soglia è sempre un nuovo inizio. Dove ci conduce la mia soglia? Probabilmente da nessuna parte: è la metafora della soglia di ciascuno di noi, una soglia ogni volta personale e individuale. La forma di questa stessa opera si ripresenta, inoltre, in diverse installazioni realizzate per esempio in vetro fotosensibile in occasione della mostra a Villa Panza a Varese e in fusione di vetro presso BUILDING Milano nel 2021, al Mart di Rovereto nel 2023, dove era solo uno scheletro d’oro e, sempre nello stesso anno, alla Porta di Milano – Aeroporto di Milano Malpensa SEA.

Il cinema è spesso sua fonte diretta di ispirazione. Da dove nasce questa passione e come viene tradotta nel suo personalissimo linguaggio?

Certamente la passione per il cinema nasce dalla frequentazione e dalla visione di tanti film fin dalla giovane età. Tali suggestioni hanno contribuito a dare al mio lavoro un taglio ben definito sin dagli esordi in cui creavo forme geometriche, senza un centro individuabile, attraverso un uso trasgressivo e ‘cinematografico’ dei materiali che, trasfigurati in qualcos’altro, esprimevano uno straniamento che nel tempo si è trasformato nella rappresentazione di un non luogo, abitato dallo spaesamento dei sogni e dallo sradicamento.

La luce e lo spazio trasfigurano le narrazioni e le immagini in movimento e spesso, in molti dei miei lavori, si ritrova questo sentimento di non appartenenza, di un vuoto da collocare altrove, nella sofferta cornice del non sentirsi mai nel proprio posto.

The anomaly ENG

We met artist Chiara Dynys at Ca’ Pesaro, the International Modern Art Gallery of Venice. An emblematic title – Lo Stile – presents her art, highlighting an art practice that always refused any kind of stylistic definition to keep intact all freedom of thought and language. Dynys reinterprets the linguistic synthesis of Piet Mondrian’s Neoplasticism (the De Stijl movement) in a series of immersive environments where light and matter redefine the story of what’s real. Powerfully visual, this exhibition may look provocative, though only insofar as it reveals the centrality of form in the language of art.

Mondrian, Neoplasticism, Style.

The nature of this art betrays what ‘style’ really means. The betrayal is in the name of my freedom and my language. The whole exhibition is about my relationship with languages and Lo Stile is its strongest form of expression. I took theosophical rigour and turned it into matter: lava, fire, metal, enamel. ‘Translate’ is akin to ‘betray’ – to make words one’s own, and then say them again. This is what I do. Homages, I’ll leave to someone else.

A language that keeps evolving in form and material.

It’s not my language that keeps evolving, only forms and material. In fact, I don’t want my language to fit in any style. My work commands consequentiality and obsession in what it means. It is not materials that determine how recognizable is my research. This way, I affirm key concepts in my language, like the passing through a threshold, whether material or non-material, between vision and non-vision. You can see it everywhere.

Books as avenues of a double registry, both formal and semantic.

The Tutto book series is based on the opposition and relation between history and modernity. Forms fused in transparent methacrylate with opposite words on the pages of an open book: an invitation to reflect. Books are containers of a story, a story that each time, in each book, is frozen eternally on the two pages bearing opposing terms. Each book is part of a whole, because behind each opposing couple is the memory of everything I wrote, all pictures I saved, all films I metabolized on the themes of memory and oblivion.

Film as inspiration.

I loved film since I was a child. Film gave my art a sort of definition that is apparent in my early geometric work: no discernible focus, a transgressive, filmlike use of materials that turned into something else and conveyed that kind of alienation that, over time, came to represent a non-place inhabited by dream and displacement. Light and space transform narration and moving images. In my art, we can find this feeling of non-belonging.

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Installation view - Photo Andrea Luca Pernisa Installation view, Chiara Dynys, Lo Stile, Ca’ Pesaro, 2024 - Photo Studio Blu
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FLOWERING BRANCH JUNE 28 — JULY 12 2024 ravagnangallery.com DORSODURO 686, VENICE
ATTASIT POKPONG

arte

NOT ONLY BIENNALE IN THE CITY

Cuore d’inchiostro

In un’atmosfera sospesa, tra armature, lance, oggetti sacri, abiti in seta, preziosi ricami, dipinti su carta, che richiamano il Giappone feudale del Periodo Edo (1603-1868), parte delle collezioni del Museo d’Arte Orientale di Venezia a Ca’ Pesaro, sono state sapientemente collocate le silenti campiture spaziali di Li Chevalier. I Hear the Water Dreaming, mostra curata da Paolo De Grandis e Carlotta Scarpa, è la testimonianza visiva dell’artista, nata in Cina e trasferitasi successivamente in Francia, che al crocevia di culture e discipline diverse intraprende un’avventura in cui il mezzo ancestrale dell’inchiostro di china viene trasceso dal pennello, spingendolo in un’alleanza innovativa con l’essenza stessa della composizione e della materia. Un incontro, una gestazione, una fusione che definiscono un percorso personalissimo, decisamente originale. Vivendo e lavorando tra l’Europa e l’Asia, Li Chevalier infatti ha scelto di reinterpretare la tecnica della pittura a inchiostro, antico mezzo cinese spesso confinato a una visione storico accademica. Questo ritorno alla tradizione cinese è stata una scelta volta «a confrontare la plasticità orientale con le tecniche pittoriche contemporanee ed europee». I suoi dipinti su tela sono così un’unione armonica ed innovativa tra l’inchiostro cinese e l’essenza stessa della composizione e dei materiali specifici della pittura europea: tela, collage, trama. ENG Curated by Paolo De Grandis and Carlotta Scarpa, the exhibition Li Chevalier. I Hear the Water Dreaming is the visual testimony of the artist, who was born in China and relocated to France, who at the crossroads of different cultures and disciplines embarks on an adventure where the ancestral medium of ink is transcended by the brush, pushing it into an innovative alliance with the very essence of composition and material, so characteristic of the European pictorial approach. An encounter, a gestation, a fusion, and a highly personal journey to craft a wholly original version.

Li Chevalier. I Hear the Water Dreaming

Fino 15 settembre

Museo d’Arte Orientale, Ca’ Pesaro (terzo piano), Santa Croce 2076

www.orientalevenezia.beniculturali.it

Sul filo della storia

Lo sguardo ardente, lucido e al contempo carico di energia e passione, di Lucia Veronesi è stato catturato dalla storia di una civiltà resa afona dalle rimozioni: i popoli dell’Amazzonia. Il suo essere un’artista multidisciplinare, che spazia tra scienza, linguaggio e attivismo al femminile, ha portato Lucia Veronesi a vincere la dodicesima edizione (2023) di Italian Council, programma che promuove l’arte contemporanea italiana nel mondo, con il progetto La desinenza estinta, una riflessione sulle implicazioni sociopolitiche della scomparsa delle lingue amazzoniche, della perdita di conoscenza delle piante curative e dell’oblio di eminenti studiose di botanica del passato.

Tre sono le componenti fondamentali del progetto: un grande arazzo jacquard, che riassume l’esito della ricerca d’archivio svolta dall’artista tra il 2023 e il 2024; un’installazione video che documenta il processo creativo dell’opera – queste due opere saranno dal 21 giugno visibili in mostra a Ca’ Pesaro – Galleria d’Arte Moderna, dove entreranno a far parte della collezione permanente; infine il bellissimo catalogo edito da Marsilio Arte, a cura di Paolo Mele e Claudio Zecchi di Ramdom, e dell’artista stessa, che riassume il progetto ampliandolo con spunti e approfondimenti. Questi tre elementi dialogano tra loro e si integrano l’uno con l’altro, creando così una narrazione visiva che, attraverso collage, disegni e foto di archivio, evoca immagini del passato e solleva interrogativi sul presente, in cui le illustrazioni sono le vere protagoniste e il fil-rouge del racconto.

ENG The work of multimedia artist Lucia Veronesi spans various disciplines, from anthropology to botany. The project La desinenza estinta, curated by Claudio Zecchi and Paolo Mele, and produced by Ramdom and among the winners of the 12th Edition of the Italian Council (2023), is inspired by the disappearance of Amazonian languages, the loss of knowledge of medicinal plants, and the overlooking of eminent female botanists of the past. These extinction processes are the basis for the creation of a large jacquard tapestry and a stop-motion video, which will become part of the Ca’ Pesaro collection.

Lucia Veronesi. La desinenza estinta

21 giugno-13 ottobre

Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna Santa Croce 2076 www.capesaro.visitmuve.it

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Lucia Veronesi, Alexine Tinné (La desinenza estinta), 2024 - Photo Francesco Allegretto

arte

NOT ONLY BIENNALE IN THE CITY

Uno, centomila Jean Cocteau, il più contemporaneo del Novecento

Jean Cocteau «toccava tutto perché tutto lo toccava», racconta il musicologo Antoine Livio, evocando quest’uomo che giocolava allegramente con la poesia, il balletto, la scenografia, la canzone o il cinema, come appare nell’emblematica fotografia-immagine scelta dalla Collezione Peggy Guggenheim per la grande retrospettiva dedicata all’artista, in corso fino al 16 settembre. Figura di spicco della vita culturale del suo tempo, Cocteau (1889 – 1963) attraversa tutte le vicissitudini e incarna tutte le contraddizioni della prima metà del Novecento. La mostra Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere, curata da Kenneth E. Silver, autorevole esperto dell’artista e storico dell’arte presso la New York University, mette in luce una personalità artistica complessa, sfaccettata e irriducibile. Poeta, scrittore, critico, ma anche cineasta, disegnatore, attore, sviluppa dagli anni ‘10 agli anni ‘60 un’attività diversificata e feconda. Questa varietà è evidente nelle opere presenti in mostra: disegni, fotografie, manoscritti, oggetti, manifesti di film. L’artista affronta tutte le discipline, senza mai temere di cadere nella contraddizione, alla ricerca di un’estetica che possiamo definire contemporanea per la facilità di rompere gli steccati dell’arte alla ricerca di un linguaggio unico e universale: è simultaneamente moderno e neoclassico, rivoluzionario e “reazionario”, promotore del jazz, del cinema e dell’astrazione plastica, scrive Le grand écart (La spaccata) e Le rappel à l’ordre (Il richiamo all’ordine).

Figura chiave della scena artistica parigina dell’epoca, Cocteau è circondato dagli artisti più significativi e di maggior fama del suo tempo: Matisse, Albert Camus, Josephine Baker, Coco Chanel, Sergej Djagilev, Edith Piaf, Pablo Picasso, Tristan Tzara, Marcel Proust, André Gide, Jean Giono, Amedeo Modigliani, Charlie Chaplin, Delaunay, Man Ray... Il percorso della mostra offre la possibilità di ricostruire le amicizie, le inimicizie, gli amori, le fonti di ispirazione e gli oggetti di ammirazione di questo dandy-esteta che si dedicò alla creazione e alla bellezza del mondo.

Cocteau toccava tutto vivendo tutto: il piacere per le mondanità, le imprudenze con l’occupante tedesco durante la guerra, gli attacchi per anarchismo e il riconoscimento accademico, la grande consapevolezza di sé stesso e gli inferni artificiali, con dolorosi periodi di disintossicazione, l’egocentrismo verificatosi nei suoi testi e la generosità per i suoi amici, scoprendo e sostenendo in modo disinteressato nuovi talenti.

Delphine Trouillard

ENG Jean Cocteau “touched everything, because everything touched him” says musicologist Antoine Livio, remembering an author who played happily with poetry, ballet, scenography, song, and cinema, emblematically depicted in the photograph Peggy Guggenheim Collection chose for the retrospective they dedicated Cocteau: Jean Cocteau: The Juggler’s Revenge. Curator Kenneth E. Silver highlighted a complex, diverse artistic personality, that of a poet, author, critic, filmmaker, designer, actor. This diversity is apparent in the art we will see: drawings, photographs, manuscripts, objects, film posters. The artist touched all disciplines, and never once succumbed to contradiction. Cocteau looked for an aesthetic that we may call modern for its ability to easily tear down the fences that existed in the world of art, looking for a language that is one and universal, together modern and neo-classical, revolutionary and reactionary. Cocteau wrote Le grand écart and Le Rappel à l’ordre. A key figure in the Paris art world, Cocteau met all the greatest names of the twentieth century, and lived life with friendship, love, inspiration, and admiration.

Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere Fino 16 settembre Collezione Peggy Guggenheim www.guggenheim-venice.it

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USA. NYC. 1949. Il poeta, artista e regista francese Jean Cocteau. © Philippe Halsman / Magnum Photos
TALOI HAVINI LATAI TAUMOEPEAU ELISAPETA HINEMOA HETA 23.03 – 13.10.24 RE-STOR(Y)ING OCEANIA Mer–Dom / Wed–Sun 11:00–18:00 Ingresso gratuito / Free entrance ocean-space.org – tba21.org/academy A CURA DI / CURATED BY

arte

NOT ONLY BIENNALE

MULTI-VISIONE

Il fenomeno del cinema esposto (o cinema installato o videoinstallazione) ha assunto caratteristiche di linguaggio artistico puro, mantenendo il dispositivo della classica proiezione e moltiplicando e articolando gli spazi e le cornici della visione. Immagini, suoni, forme alternative di narrazione aprono gli occhi e soprattutto la mente su nuovi orizzonti del contemporaneo. In Biennale e off Biennale, Venezia offre una multi-visione firmata da artisti affermati e da giovani emergenti. L’arte è immagine in movimento

COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO NEBULA

Giorgio Andreotta Calò, Basel Abbas and Ruanne Abou-Rahme, Saodat Ismailova, Cinthia Marcelle and Tiago Mata Machado, Diego Marcon, Basir Mahmood, Ari Benjamin Meyers, and Christian Nyampeta Fino Until 24 novembre November Nebula, parola latina che significa “nuvola” o “nebbia”, mostra collettiva curata da Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi e prodotta da Fondazione In Between Art Film, scandaglia gli stati della visione e della percezione extra-visiva attraverso otto nuove installazioni video concepite in stretto dialogo strutturale, visivo e sonoro con l’architettura del Complesso dell’Ospedaletto. Il concept si ispira al fenomeno della nebbia come spazio materiale e metaforico in cui l’orientamento visivo è ridotto, ragione per cui si rendono necessari diversi strumenti sensoriali per la comprensione di ciò che ci circonda. Le opere abbracciano forme di frammentazione psicologica,

socio-politica, tecnologica e storica, suggerendo possibili modalità di navigazione in un presente attraversato da forze che, come la nebbia, appaiono al contempo immateriali e insormontabili.

ENG Nebula, a Latin word meaning “cloud” or “mist,” is a collective exhibition curated by Alessandro Rabottini and Leonardo Bigazzi and produced by the Fondazione In Between Art Film. It delves into states of vision and extra-visual perception through eight new video installations conceived in close structural, visual, and auditory dialogue with the architecture of the Ospedaletto complex. The concept is inspired by the phenomenon of fog as a material and metaphorical space in which visual orientation is reduced and alternative sensory tools are necessary to understand our surroundings. The pieces on show embrace forms of psychological, socio-political, technological, and historical fragmentation, suggesting possible modes of navigation in a present traversed by forces that, like fog, seem immaterial and insurmountable.

Barbaria de le Tole, Castello 6691 inbetweenartfilm.com

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Basir Mahmood, Brown Bodies in an Open Landscape are Often Migrating, 2024, Nebula, Complesso dell’Ospedaletto - Courtesy dell’artista e Fondazione In Between Art Film

PALAZZO FRANCHETTI

YOUR GHOSTS ARE MINE

Expanded cinema, amplified voices

Fino Until 24 novembre November Un tributo al potere del cinema. La mostra presenta esclusivamente film di registi e videoartisti provenienti dal Medio Oriente, dall’Africa e dal Sudest asiatico, spaziando tra i generi della fiction, del documentario, dell’animazione e del memoir. Mescolando la narrazione inventata con i fatti, la modernità con la tradizione e la spiritualità con la sensibilità postcoloniale, viene proposto un viaggio narrativo attraverso dieci temi. La mostra è prodotta da Qatar Museums e coorganizzata da Mathaf: Arab Museum of Modern Art, il futuro Art Mill Museum e il Doha Film Institute (DFI).

ARSENALE INSTITUTE FOR POLITICS OF REPRESENTATION

WILLIAM KENTRIDGE

Self-Portrait as a Coffee-Pot

Fino Until 24 novembre November

L’artista sudafricano William Kentridge collabora con la curatrice e amica Carolyn Christov-Bakargiev per presentare la sua nuova intrigante serie video in nove episodi di trenta minuti, offerti con una programmazione quotidiana completa, originariamente pensati per la visione online.

Self- Portrait as a Coffee-Pot è stata girata nel suo studio di Johannesburg durante e all’indomani della pandemia Covid del 202022 e completata nel 2023.

ENG South African artist William Kentridge collaborates with curator and friend Carolyn Christov-Bakargiev to present an intriguing new series of nine 30-minute videos, originally intended for online viewing, and offered with a full daily schedule. Self-Portrait as a Coffee-Pot was shot in his Johannesburg studio during and in the aftermath of the Covid pandemic of 2020-22 and was completed in 2023.

Riva dei Sette Martiri, Castello 1430/A www.arsenale.com

ENG A tribute to the power of cinema: this exhibition exclusively features films by directors and video artists from the Middle East, Africa, and Southeast Asia, spanning genres including fiction, documentary, animation, and memoir. Mixing invented narrative with facts, modernity with tradition, and spirituality with postcolonial sensibility, it offers a narrative journey through ten themes. The exhibition was produced by Qatar Museums and co-organized by Mathaf: Arab Museum of Modern Art, the future Art Mill Museum, and the Doha Film Institute (DFI).

Palazzo Franchetti (main floor) San Marco 2847 www.dohafilminstitute.com

PALAZZO GRIMANI WAEL SHAWKY

I Am Hymns of the New Temples

Fino Until 30 giugnoJ une

L’artista egiziano Wael Shawky (1971, Alessandria d’Egitto), scelto per rappresentare l’Egitto nel Padiglione nazionale ai Giardini, presenta l’opera filmica I Am Hymns of the New Temples, realizzata nel 2022 nel parco archeologico di Pompei. L’indagine dell’artista si sofferma sulla complessa stratificazione delle culture mediterranee.

ENG This solo exhibition of Egyptian artist Wael Shawky (born 1971 in Alexandria, Egypt) presents I Am Hymns of the New Temples, a film shot in 2022 in the archaeological park of Pompeii. Shawky’s investigation focuses on the complex layering of Mediterranean cultures: ancient Pompeii, a hub of intense commercial exchanges, housed not only temples connected to Greco-Roman religion but also Egyptian ones. Shawky is also the artist representing Egypt in the national Pavilion at the Giardini.

Ala Tribuna, Castello 4858 www.polomusealeveneto.beniculturali.it

PUNTA DELLA DOGANA PIERRE HUYGHE

Liminal

Fino Until 24 novembre November

Per Pierre Huyghe la mostra è un rituale imprevedibile in cui umano-non umano, ibridi e trasformazioni, tecnologia all’avanguardia e uso troppo intelligente dell’AI sono i temi che si intrecciano, generando nuove possibilità. L’artista trasforma Punta della Dogana in uno spazio dinamico e sensibile, abitato da diverse forme di vita in costante evoluzione, rimettendo in discussione la nostra percezione della realtà fino a diventare estranei a noi stessi.

ENG To Pierre Huyge the exhibition is an unpredictable ritual where human and non-human intertwine with hybrids and transformations, cutting-edge technology and an even too smart use of AI. The artist turns Punta della Dogana into a sensitive and dynamic space inhabited by life forms in constant evolution, leading us to question our own perception of reality to the point of becoming strangers to ourselves. Dorsoduro 2 www.pinaultcollection.com

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Ramata-Toulaye Sy, Banel & Adama, 2023, Your Ghosts Are Mine © LA CHAUVE-SOURIS – TAKE SHELTER Wael Shawky, I Am Hymns of the New Temples © Wael Shawky William Kentridge, Self-Portrait as a Coffee-Pot © William Kentridge Pierre Huyghe, Camata, 2024 © Pierre Huyghe, by SIAE 2023
108 JIGGO PEERAPOL OH, MY PLASTIC HEART! JUNE 14 — JUNE 28 2024 ravagnangallery.com DORSODURO 686, VENICE

arte NOT ONLY BIENNALE IN

THE CITY

Psicogeografie

Julie Mehretu, memorie collettive attraverso il tempo e il luogo

Julie Mehretu è conosciuta a livello internazionale per i suoi dipinti di grande formato dalle superfici complesse e stratificate, in cui si intrecciano rilevamenti architettonici, diagrammi, mappe ed elementi grafici di natura geometrica. Le sue opere portano l’impronta della sua storia personale: Mehretu è nata ad Addis Abeba, in Etiopia, nel 1970, da padre etiope e madre americana. La sua famiglia è fuggita negli Stati Uniti nel 1977, quando la leadership militare ha iniziato una campagna di terrore.

Ensemble è la mostra che Palazzo Grassi dedica a Julie Mehretu e che raccoglie una selezione di oltre sessanta dipinti e incisioni prodotti nell’arco di venticinque anni, incluse alcune delle sue tele più recenti realizzate tra il 2021 e il 2023. Queste opere, fatte di inchiostro, pittura, cancellature, linee e movimenti, acquistano profondità e solidità con il passare del tempo. I suoi lavori appaiono come vasti atlanti saturi di linee, colori, piani e motivi geometrici: delle «mappe narrative di luoghi che non esistono», secondo le stesse parole dell’artista. Un approccio in cui si sovrappongono il personale e l’universale, il locale e il globale. Infatti, sempre attenta e lettrice assidua, Julie Mehretu colleziona immagini emblematiche di eventi attuali e storici, che spesso diventano fonte di ispirazione per le sue opere. Gli strati intrecciati di pittura riflettono i flussi permanenti che agitano le città: guerra e pace, prosperità, decadenza e rinnovamento. Sotto il titolo Ensemble – che evoca tanto l’idea di un lavoro collettivo quanto l’universo della musica – questa mostra orchestrata dall’artista stessa insieme alla curatrice Caroline Bourgeois ripercorre oltre vent’anni di pratica artistica di Mehretu, accompagnata in questo percorso da opere di altri artisti e autori. Nelle sale dei due piani di Palazzo Grassi le sue opere si susseguono a quelle di Nairy Baghramian, Huma Bhabha, Robin Coste Lewis, Tacita Dean, David Hammons, Paul Pfeiffer e Jessica Rankin, intessendo un dialogo tra il campo della pittura e quelli della poesia, della scultura, del cinema, della voce e della musica, superando l’idea che l’artista basti a sé stessa, anzi dimostrando che Mehretu si trova in relazione con gli altri, con le loro idee e sensibilità. Tanto più che tutti questi artisti, al pari di Julie Mehretu, hanno vissuto come fondante e formativa l’esperienza di fuga o di abbandono del proprio Paese. Delphine Trouillard

Psychogeographies ENG

Known internationally for her large-scale, complex paintings, Ethiopian-American Julie Mehretu mixes architecture, diagrams, maps, and graphic art. Her exhibition Ensemble is a collection of over sixty paintings and engravings made over a twenty-fiveyear timespan. These pieces, however old, grew in depth and solidity with each year. Her work appears as a vast atlas saturated in lines, colour, planes, and geometric motifs, “narrational maps of places that do not exist” according to the artist herself. In this approach, the personal and the universal, the local and the global blend into one. In fact, Julie Mehretu, collects symbolic images of current and historical events, which often turn into sources of inspiration for her art. The intertwined layers of painting reflect the continual agitation of our cities: war and peace, prosperity, decadence, renewal. Under the title Ensemble, which reminds of both collective art and music, this exhibition – co-curated by Mehretu and Caroline Bourgeois – trace twenty years of art. On the two floors at Palazzo Grassi, her art follows pieces by Nairy Baghramian, Huma Bhabha, Robin Coste Lewis, Tacita Dean, David Hammons, Paul Pfeiffer, and Jessica Rankin, initiating a conversation that ranges from art to poetry, cinema, voice, and music.

Julie Mehretu. Ensemble Fino 6 gennaio 2025 Palazzo Grassi www.pinaultcollection.com

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Installation view, Julie Mehretu. Ensemble, 2024, Palazzo Grassi Photo Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

arte

NOT ONLY BIENNALE IN THE CITY

Caos calmo

Da una parte domina la prospettiva con una progressione di pareti trasversali che rendono l’incedere nello spazio monumentale della Scuola Grande della Misericordia ritmico e lineare al contempo; geometrie pure che creano uno spazio armonico non usuale, su cui si aprono ‘finestre’ progressive sempre più grandi che creano linee di visione diverse, da vicino o da lontano; dall’altro il caos calmo che fonde strati di materia-colore spinti fino all’astrazione pur nella definizione netta dei soggetti raffigurati. Le pennellate creano elementi figurativi facilmente riconoscibili da lontano, ma che si dissolvono nella materialità del dipinto se osservati da vicino. Linee meticolose e calligrafiche si fondono per indagare la tensione complessa tra natura, mondo animale e umanità. I soggetti sono ispirati alla tradizione asiatica e a quella europea in un’esperienza visiva ibrida che incarna, interpreta e sintetizza mondi opposti. Da un lato il progetto allestitivo di Tadao Ando e dall’altro i nuovi lavori dell’artista Zeng Fanzhi, uno dei più versatili artisti contemporanei. Il risultato è Zeng Fanzhi: Near and Far/Now and Then, una mostra sorprendente, prodotta dal LACMA (Los Angeles County Museum of Art), unione di maestria tecnica ed emozione, radicata nella tradizione eppure inequivocabilmente contemporanea, una sfida e allo stesso tempo un magnifico incanto. M.M.

ENG A perspective of progressing transversal walls that give rhythm and linearity to the space within Scuola Grande della Misericordia, pure geometry generating an unusual harmonic space populated by windows growing larger in size, each offering a different line of vision from up close or from afar. That’s on one side. On the other, quiet chaos melts layers of matter and colour pushed far into abstraction, however well-defined are the subjects. Zeng Fanzhi: Near and Far/Now and Then is a surprising exhibition, a blend of technical mastery and emotion, rooted in tradition yet unmistakably modern, a challenge and, at the same time, a magic spell.

Zeng Fanzhi. Near and Far/Now and Then Fino 30 settembre Scuola Grande della Misericordia www.lacma.org

L’arte del Grand Tour

Squarci di colore irrompono alle Gallerie dell’Accademia per raccontare, accanto alle nubi dense del Tiepolo e ai cieli tersi del Veronese, una storia che da New York passa per Roma approdando, infine, nelle placide acque della laguna. «Restare dentro la storia dell’arte cercando una via d’uscita è la dannazione concettuale e il premio più ambito per l’artista moderno». Queste le parole di Willem de Kooning, padre dell’avanguardia newyorkese, illustre esponente dell’Espressionismo astratto nonché portavoce dell’Action Painting, ma soprattutto uomo intenso e ribelle, mosso – come le sue tele – dai continui impeti dell’esistenza. Un’aspirazione, quella di de Kooning, pienamente raggiunta tra le sale dell’Accademia, che fino al 15 settembre ospitano la più grande retrospettiva dell’artista mai organizzata in Italia, una selezione di ben 75 opere realizzate dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, tra cui disegni, dipinti e sculture. Per la prima volta si possono ammirare qui insieme Door to the River, A Tree in Naples e Villa Borghese, tre dei più noti Pastoral Landscapes in cui emerge dirompente il ricordo dei suoi viaggi nella Penisola. Come i grandi del passato, anche de Kooning fu in effetti profondamente influenzato dall’Italia, in cui soggiornò nel 1959 e ancora nel 1969, intessendo rapporti con artisti dell’ambiente romano e avvicinandosi per la prima volta alla scultura. Sono proprio le tracce d’Italia il cuore pulsante della imperdibile esposizione, tracce indelebili ma poco indagate che tornano a mostrarsi vivificate dalla lunga ricerca compiuta dai curatori Gary Garrels e Mario Codognato, capaci di rinsaldare un legame fino ad oggi ancora inesplorato. Adele Spinelli

ENG Streams of colour flood the Gallerie dell’Accademia to tell a story that begins in New York, travels to Rome, and ends in Venice. Father of the New York avant-garde Willem de Kooning commented: “Remaining within the history of art while seeking a way out of it is both the conceptual curse and ultimate aspiration for the modern artist.” De Kooning’s aspiration comes into being at the Accademia, where the artist’s largest retrospective ever produced in Italy will be open until September 15. A selection of 75 art pieces from the 1950s to the 1980s displays de Kooning’s interest for the Italian art landscape, especially the one in Rome, where he approached sculpting for the first time.

Willem de Kooning e l’Italia Fino 15 settembre Gallerie dell’Accademia www.gallerieaccademia.it

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Pirate (Untitled II), 1981 - Museum of Modern Art, New York Sidney and Harriet Janis Collection Fund, 1982 / © 2024 The Willem de Kooning Foundation, SIAE Zeng Fanzhi. Near And Far/ Now And Then, Scuola Grande della Misericordia, 2024, installation view © Zeng Fanzhi - photo: Stefan Altenburger Photography Zurich

Il cielo capovolto

Ilya e Emilia Kabakov, installazione totale alla Fondazione Querini Stampalia

La stagione Biennale vede ancora una volta la Fondazione Querini

Stampalia protagonista con un poetico omaggio a Ilya Kabakov a un anno dalla sua scomparsa. Between Heaven and Earth. A tribute to Ilya Kabakov è il titolo della mostra che offre al pubblico per la prima volta alcune tra le installazioni storiche del grande maestro dell’Arte Concettuale in dialogo con gli straordinari ambienti del Museo e delle sue collezioni antiche. Le opere esposte diventano così delle installazioni site-specific, pensate e progettate per i diversi ambienti nei quali vengono ora presentate.

Ilya Kabakov è stato il geniale inventore del processo di installazione totale, che ha reso celebre l’artista russo e la moglie Emilia fin dagli anni Ottanta. Alla Querini ogni opera è reinterpretata come una messa in scena teatrale, che segue una coreografia perfetta adattando luci, poesie, oggetti, musica, testi allo spazio museale, in modo che lo spettatore si senta parte attiva dell’installazione.

«Insieme a Emilia Kabakov – scrive la curatrice Chiara Bertola– abbiamo immaginato che nelle stanze del Museo della famiglia Querini si articolino alcune loro installazioni storiche che rappresentano incidenti e inciampi, in grado di spingere gli spettatori a prestare attenzione, ad attivare maggiormente la vista, interrogandosi sulla memoria e sulla storia, quindi sul presente, con maggiore consapevolezza. Il tema della stanza è ricorrente e rappresenta un luogo in cui stare per proteggersi e fuggire da una quotidianità difficile, crearsi e costruirsi una giusta distanza rispetto al reale. Le installazioni compongono un percorso che svela mondi inaspettati, mettono in crisi la relazione tra il nostro sguardo e la realtà quotidiana, spingendoci in uno spazio alternativo dove al mondo che conosciamo è concessa una seconda vita».

Ecco allora i due temi che si intrecciano nelle sale: l’incidente che svela realtà ignorate e la fuga dalla realtà grazie all’immaginazione. Ci accoglie un cielo blu coperto di nuvole, dipinto su carta da pacchi e steso per terra, accanto c’è una sedia con gli abiti piegati, stivali, biancheria e ci si chiede dove sia volato il personaggio di cui restano a

terra (e il cielo a terra) gli indumenti? I will return on April 12… chissà…

Nella sala successiva un grandioso lampadario di Murano è frantumato a terra, lacrime sparse di cristallo, alcune luci rimangono a darci speranza come le parole che echeggiano di Blaise Pascal «Restiamo umani finché preserviamo la nostra memoria».

La più poetica e ironica mise en scène è Concert for a fly: dodici sedie in cerchio con spartiti fatti di disegni, note, parole. Sospesa al centro una mosca svolazza illuminata, impettita, silenziosa: vuole anche lei ascoltare la musica o la dirige?

E poi un raggio luminoso illumina una moltitudine di fili colorati attaccati a una sedia, sospesi in alto oltre il soffitto, nel cielo capovolto della poetica di Kabakov. Maria Laura Bidorini

ENG Revered Venetian art institution Fondazione Querini

Stampalia participated in the Biennale season with an homage to Ilya Kabakov, one year after the artist’s death. Between Heaven and Earth. A tribute to Ilya Kabakov brings to town historic installations of the conceptual art maestro for the first time in Venice.

The Russian artist is credited as the inventor of the total installation together with his wife, Emilia, since the 1980s.

A blue, cloud-covered sky welcomes us. The sky is painted on wrapping paper laid on the ground. Beside is a chair, with folded clothes, boots, and underwear on it. We wonder where the owner of those clothes flew. I will return on April 12… who knows? In the next room, an impressive Murano glass chandelier lies in shambles on the floor, crystal tears scattered everywhere. Only a few lights are still on, echoing some hope. The most poetic, ironic staging is Concert for a fly : twelve chairs arranged in a circle, drawings, music scores, words. In the middle, a housefly buzzes from corner to corner: is it here to listen, or to conduct?

Ilya and Emilia Kabakov Between Heaven and Earth. A tribute to Ilya Kabakov Fino 14 luglio Fondazione Querini Stampalia, Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.querinistampalia.org

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arte

MICKY HOOGENDIJK

GIARDINI DELLA MARINARESSA

Uno di noi

Intervista

Micky Hoogendijk è cresciuta ad Amsterdam tra artisti, galleristi – suo nonno era Dirk Albert Hoogendijk, importante mercante d’arte –, teatranti, attori e ballerini. Entra quindi subito a far parte della scena artistica aprendosi a diverse esperienze creative, una costante ricerca che si andrà via via definendo tra cinema e arte fino al 2012, quando la macchina fotografica che sua madre Gine le regala poco prima della sua morte, nel 2009, si rivelerà un dono che le cambierà la vita. Micky Hoogendijk impara a fotografare da sola mentre vive a San Francisco, a Los Angeles e ad Austin, concentrandosi sul ritratto casuale e street. Nel 2015 la sua prima mostra personale, The Other Side of Fear Is Freedom, viene ospitata alla Eduard Planting Gallery di Amsterdam. La sua prima retrospettiva museale, Through the Eyes of Others I See Me, si tiene al Museo Jan van der Togt di Amstelveen nel 2017. Nel 2018 Hoogendijk torna nei Paesi Bassi, prima a Hoogeloon e infine ad Amsterdam, dove attualmente vive e lavora presso Huize Zonnewijzer, un edificio storico che ospita anche la galleria The Ones at Home, un progetto di collaborazione tra l’artista e il designer di giardini Erwin Stam. Qui Micky Hoogendijk crea le sue sculture in bronzo, una delle quali ora è in mostra a Venezia, ai Giardini della Marinaressa nella mostra Personal Structures 2024 – Beyond Boundariers, organizzata da ECC in occasione di Biennale Arte 2024. La sua nuova opera, The Ones I – XXL version, è una scultura monumentale in bronzo alta quattro metri che testimonia l’armonia tra vulnerabilità e forza, individualità e gruppo. Figure stilizzate che al contempo esaltano la forza individuale e sottolineano la necessaria solidità che si sviluppa nella dinamica invisibile dell’insieme: una sorta di tributo agli esseri umani in cerca di connessione. L’artista li ha chiamati “Gli Uno”, perché sono figure umane connesse che si sostengono a vicenda per diventare più forti.

In una Biennale che mostra la diversità dell’individuo come valore assoluto, lei affronta lo stesso tema in modo poetico con la scultura The Ones. Qual è il significato dell’unione e come si collega al tema Stranieri ovunque? È curioso, ho cominciato a lavorare a quest’opera prima ancora che annunciassero il tema della Biennale. Come esseri umani singoli abbiamo qualcosa che ci accomuna, in ciò che pensiamo, nel modo in cui vediamo e percepiamo le cose che accadono nel mondo. Come artista, questo è quanto voglio esprimere.

La mia esperienza nasce da una situazione familiare complicata: ho perso due bambini. Durante la pandemia sono rimasta sola nel mio studio in mezzo alla natura. In tv i politici non facevano che ripetere quanta solidarietà ci volesse e come bisognasse essere forti e uniti per sopravvivere in un periodo così insolitamente duro. Io me ne stavo lì da sola a pensare. Per andare avanti mi sono letteralmente buttata nell’arte. Non ho fatto bozzetti, schizzi, progetti; ho cominciato a lavorare sulle figure, che in qualche modo infine sono apparse. Tutti noi proveniamo da una singola fonte, da una madre e da un padre, e tutti abbiamo una qualche famiglia nelle nostre vite. Ciò che la scultura The Ones vuole mostrare non è una specifica, singola famiglia, ma l’insieme di tutti noi che condividiamo il presente di questo mondo.

Micky Hoogendijk. The Ones I – XXL version Fino 24 Novembre ECC, European Cultural Centre, Giardini della Marinaressa www.mickyhoogendijk.com

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© Micky Hoogendijk

The only Ones ENG together

Micky Hoogendijk was born in Amsterdam in a family of artists, gallerists – her grandfather was noted art dealer Dirk Albert Hoogendijk – actors, and dancers. Soon enough, she entered the art scene herself, open to different art endeavours, namely cinema and art. That was until 2012, when the camera her late mother Gine gave her proved to be a gift that would change Micky’s life. She taught herself photography while she was living in San Francisco, Los Angeles, and Austin, focusing on casual portrait and street photography. In 2015, her first personal exhibition The Other Side of Fear Is Freedom is hosted at the Eduard Planting Gallery in Amsterdam. Her first museum retrospective, Through the Eyes of Others I See Me, was held at the Jan van der Togt Museum in Amstelveen in 2017. In 2018, Micky Hoogendijk moved back to Amsterdam, where she currently lives and works. Her house/atelier is Huize Zonnewijzer, a historical building that also houses The Ones at Home, a cooperation project between Hoogendijk and garden designer Erwin Stam. Here, Hoogendijk creates her bronze sculptures, one of which is currently on exhibition in Venice as part of Personal Structures 2024 – Beyond Boundariers exhibition, produced by the European Cultural Centre. Her new piece The Ones I – XXL version is a monumental bronze sculpture four metres tall that shows the harmony between vulnerability and strength, individuals and groups. They are a tribute to human beings looking for connections. The artist named them the Ones, because they are human individuals supporting one another to become stronger.

In a Biennale that shows the diversity of the individual as an absolute value, you address the same theme in a poetic way with the sculpture The Ones. What is the significance of the union and how does it relate to the theme Foreigners Everywhere?

The beautiful thing about this question is that I started making this piece before they announced the theme of La Biennale. As humans, we all have something in common as per what’s on our minds, what we are occupied with, the way we see and feel the different things that happen in the world. As artists, this is something we want to express. My experience is that of a complicated family structure. I lost two children, and during the COVID pandemic, I wound up staying alone in my studio in the nature. Every politician on TV maintained how we were all in this together, and how we were meant to stand together and be strong to survive this pandemic, while I just sat there by myself. To go on, I devoted myself to my art. I made no sketches, I just started working and these figures just appeared. I think they represent the fact that we all come from the same source, a mother and a father, and we all have some family in our lives. What you see here, though, is not a family—it’s us, it’s the world we live in together.

Now, this is my personal story, maybe a story about what I was missing, maybe a story about what people see in themselves. I’m trying to push into the universal, to connect with everybody we can imagine.

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arte

GIARDINI DELLA MARINARESSA

Questa è la mia visione, la mia storia personale. Forse è la storia di quanto mi mancava, forse è la storia di cosa le persone vedono in sé stesse. Io cerco di spingermi sull’universale per poter creare una connessione con i miei simili.

Le figure sono a loro volta collegate… Sì, questa è la parte più importante. Il titolo dell’opera è The Ones, perché tutti noi siamo uno, vogliamo sentirci individui e indipendenti. Tuttavia la verità è che non possiamo andare avanti senza gli altri. Attraverso la mia arte voglio celebrare questa idea.

La scultura appare anche come un insieme di radici di uno stesso albero che crescono intrecciandosi. Nel mio discorso inaugurale mi sono fatta accompagnare da cinquanta amici e collezionisti da tutto il mondo. Sono le mie persone, le “persone radice”, come le chiamo io, le più importanti della mia vita. E sotto di loro che c’è? Cosa consolida questo rapporto? Cemento, fondazioni, bulloni. C’è grande resistenza, ma anche vulnerabilità. Siamo tutti vulnerabili.

Quali le peculiarità del suo percorso creativo?

Prima di tutto sono un’attrice. Vengo da una famiglia di artisti: tutti nella mia famiglia sono artisti o collezionisti. Respiriamo arte da sempre. Sono anche stata sposata con un artista famoso. Pensavo che avrei fatto l’attrice, che la mia carriera artistica fosse quella, tuttavia mia madre, poco prima di morire nel 2009, mi donò una macchina fotografica e questo ha cambiato tutto. Mi sono trasferita negli Stati Uniti, sentivo che lei era con me, dentro la macchina fotografica. Sono andata in giro per le strade e ho fotografato di tutto. Dopo due anni, le mie fotografie già avevano molto successo, così ho continuato a viaggiare e a fotografare per dieci anni. Non è stato facile, ma è stato bellissimo! Tuttavia volevo continuare a progredire, ad articolare sempre di più il mio percorso artistico, portando la mia ricerca oltre l’immagine, oltre la bidimensionalità. In quel mentre è arrivata la pandemia e ho avuto così il tempo di pensare, di provare, di sperimentare nuove forme espressive. Il mio percorso è stato questo.

Quali sono le sue fonti di ispirazione?

Sono cresciuta tra capolavori del XVII secolo grazie al lavoro di mio nonno, mercante d’arte. Casa nostra era colma di opere. Sentivo la storia dentro di me tanto era onnipresente. Ciononostante l’arte che realizzo viene diretta dal cuore, è come un bambino che disegna figure nel cielo… È amore.

Su quali altri progetti sta lavorando?

Non riesco a resistere, voglio fare sculture sempre più grandi e più alte. Al momento sto lavorando su questo progetto di due sculture alte dieci metri, due figure che sembrano camminare verso di te. Tutto comincia come in un sogno… Ci vogliono mesi per realizzare un progetto così grande, c’è tanto da imparare. Ho lavorato con una squadra di artigiani che mi ha aiutato moltissimo; grazie a loro i miei sogni possono ora diventare realtà. Ho cinquantatré anni, quindi il problema, ora, è avere tempo! Ottimizzarlo. Adoro quanto faccio, le mie opere sono le mie figlie: viaggeranno, impareranno lingue diverse e io viaggerò per il mondo con loro.

Quali sono i soggetti che predilige nelle sue fotografie?

Persone, persone e ancora persone. Io adoro le persone, in particolare quelle che si mostrano in difficoltà senza nascondersi. Il mio libro fotografico Vulnerability and Strength spiega questa mia disposizione mentale: la vulnerabilità è la qualità più forte e potente che abbiamo quando la mostriamo. Tutti fingiamo di essere qualcosa che non siamo. È normale, lo facciamo per sopravvivere, ma nel momento in cui mostriamo davvero ciò che siamo, quello è il momento in cui mi innamoro.

La sua prima presenza ufficiale in una mostra a Venezia, qui ai Giardini della Marinaressa, è parte del progetto espositivo collettivo Personal Structures promosso dall’European Cultural Centre. Che significato assume questa partecipazione, questa esperienza nel suo percorso artistico?

Sono molto onorata di essere qui, davvero. Onorata per il luogo in cui posso esporre le mie opere, in questo bel giardino affacciato sull’acqua in cui tutti possono liberamente entrare a vedere la mostra, toccarla, interagirci. Quando crei arte, questa scorre da te in modo naturale, ma dopo che succede? Adoro vedere come le persone ritrovano le proprie storie nelle mie opere, mi sento come se avessi fatto loro un regalo. C’è così tanto altro da scoprire: interpretazioni, storie…, ognuno ha la sua. Io davvero mi sono sforzata di entrare in questo progetto, in questo percorso collettivo in modo gentile, come l’acqua che scorre fluida nell’alveo di un fiume. Ho pubblicato un video di dieci minuti sul mio sito per spiegare questa mia esperienza: il video è la forma ideale per questo e funziona meglio delle semplici parole.

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© Micky Hoogendijk - Photo Gianmaria De Luca

Siamo tutti individui, Uno, ma non esistiamo da soli, quindi The Ones

The figures are also connected in turn…

Yes, this is the most important part. The tile of this piece is The Ones, because we all are one, we want to be individuals and feel independent. We often feel like familial relationships are too complicated, but the truth is, I cannot function without you, I cannot function without other people. I really want to honour this concept with my art.

We can see this sculpture also like roots of the trees. In my opening speech, I had fifty friends and collectors from all over the world join me. They are my root people; root people are the most important ones. And what is underneath that? What makes it stick? There’s a lot of concrete and foundation work and bolts and fasteners. It is all very strong and also vulnerable. We are vulnerable in all of this.

What does your creative journey look like? And what inspires you?

I was an actor first. I come from an art family – everybody in my family is either an artist or an art collector. Art, I breathe it. I was married to a very famous artist, too. As for myself, I thought I was going to be an actor, I thought my artistic journey was going to be that, and then my mother, right before she died in 2009, gave me a camera as her last gift. I moved to the US and I felt she was with me, inside my camera. I took to the streets and took pictures of everything. By the two-year mark, I was everywhere with my photo art, and I travelled for ten years doing this. It wasn’t easy, but it was so great! Still, I wanted to create more than 2D images, I wanted to grow into 3D. I wanted to keep going. Because of COVID, I finally had the time to try. That’s what my journey looked like.

What inspires you?

As far as inspiration goes, I grew up with seventeenth-century masters due to my grandfather being an art dealer. The house was filled with everything. I felt history within me, it was everywhere. But the art I make, it comes from the heart. It’s like a child drawing figures in the sky. It’s love.

What further projects will you be working on?

I can’t help but wanting to make art that is larger and taller and go higher. Currently, I have this art projects, two or three ten-metre-tall figures walking towards you. It all starts as in a dream… I’m looking at three large sculptures of different sizes, going up to ten metres. It takes months for such a large-scale project to come into fruition, and there’s so much to learn. I worked with a team of craftsmen who helped me immensely. Thanks to them, my dreams can become reality. I am 53, the only issue, now, is having enough time! But I love this. These are my children, they will be travelling and learning different languages. I will travel the world through them.

The subjects of your photo art.

People, people, people. It’s the people that I love, especially when they are a little broken. My book Vulnerability and Strength shows explains how I see it: I think vulnerability is the strongest, most powerful quality we have, if we show it. We all pretend to be something – it’s normal, we do that to survive. But the moment you show who you really are, that’s when I’m in love.

This is your first time in Venice. I came here after COVID. Can you imagine how fast everything went? I’m so honoured to be here, I really am. Honoured because of this place I can show my art in, with everyone’s going to the Biennale, because people can actually go inside and touch it, interact with it. When you make art, it all flows from you, naturally, but what happens next? I love it when people see their own stories in my work, I feel like being given a present. There’s so much more, many more interpretations, many more stories to tell. Everyone tells their own. I really made an effort to make a soft entrance, like water in a river. I made a ten-minute video, posted on my website, to explain this. It makes more sense in video format than it does in words.

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arte

NOT ONLY BIENNALE

IN THE CITY

L’uomo di cristallo

Un cristallo alto un metro e sessanta centimetri – l’altezza media dell’uomo moderno – accuratamente bilanciato sul suo punto più stretto, a rappresentare il punto evolutivo in cui gli esseri umani si sono alzati in piedi. È questo il cuore pulsante dell’installazione Peace Crystal dell’artista giapponese Mariko Mori, collocata nel giardino di Palazzo Corner della Ca’ Granda (già sede della Provincia di Venezia) e visibile a partire del 15 giugno dal Canal Grande. Ispirata alla filosofia buddista, l’opera simboleggia il corpo come contenitore dell’anima eterna, che passa costantemente attraverso il ciclo di vita-morte-rinascita. Terzo di una serie di progetti pubblici monumentali creati dalla Faou Foundation per collocare sei opere d’arte site-specific in altrettanti luoghi incontaminati della Terra, Peace Crystal al termine della mostra sarà installata in modo permanente in una grotta in Etiopia, culla dell’evoluzione umana per oltre sei milioni di anni. Mariko Mori, tra le più importanti artiste giapponesi degli ultimi cinquant’anni, nella sua ricerca è solita esplorare questioni universali all’incrocio tra vita, morte, realtà e tecnologia, «unica – con le parole della curatrice Alexandra Munroe – nella sua capacità di attualizzare fenomeni soprannaturali» e Peace Crystal non fa eccezione: è un’installazione che si nutre di metafisica e antropologia, umano e naturale, terreno e spirituale, antiche forze e nuove energie.

Livia Sartori di Borgoricco

ENG A piece of crystal 5’3’’ tall – the world average – balanced at its narrowest, representing the evolution point when humankind stood up. This is the heart of installation Peace Crystal by Japanese artist Mariko Mori, visible until June 15th from the Grand Canal. Inspired by Buddhist philosophy, the sculpture symbolizes the human body as the container of eternal soul, passing through endless cycles of life, death, and rebirth. The third in a series of monumental public projects produced by Faou Foundation, Peace Crystal will be moved, at the end of the exhibition, to a cave in Ethiopia, Ethiopia being the cradle of human evolution for over six million years. Mariko Mori is one of the most prominent Japanese artists of the last fifty years. In her practice, she explores the universal issues of life, death, reality, technology, “unique in her ability – explains curator Alexandra Munroe – to actualize supernatural phenomena.”

Mariko Mori. Peace Crystal

15 giugno-7 ottobre

Palazzo Corner della Ca’ Granda

In signum veri amoris

Austin Young / Fallen Fruit, matrimonio con Venezia

C’è tempo fino al 30 giugno per immergersi in un mare di bellezza a Palazzo Cesari Marchesi, dove THE POOL NYC presenta Marriage of the Sea (The Rape of Venice), mostra personale di Austin Young / Fallen Fruit, un affascinante racconto visivo e concettuale sul legame ancestrale tra la Serenissima e l’Adriatico. Austin Young / Fallen Fruit realizza un inedito e immersivo wall covering di grandi dimensioni creato appositamente per il Palazzo: tessuto e tende velate rivestono completamente le pareti e le finestre delle stanze, anche il pavimento richiama fantastici fondali marini.

«Come artista – afferma Young – cerco di creare un’esperienza sublime che cambia le sensazioni una volta entrati nella stanza. L’obiettivo è di condividere le mie percezioni attraverso un’avventura estetica». Il suo linguaggio visivo è un perfetto mix che si compone di cultura pop, storia dell’arte, arte popolare e trasgressiva, esuberanza underground, perseguendo un’accurata ricerca della bellezza, dell’identità e delle norme sociali nel mondo contemporaneo.

A Palazzo Cesari Marchesi il lavoro di Austin Young è insieme celebrazione e ritratto di Venezia, un collage di fotografie originali dell’artista e di immagini tratte dagli archivi durante le sue visite nei musei, chiese e palazzi della città. «Per centinaia di anni – spiega l’artista – nel giorno dell’Ascensione, è stato compiuto un sacrificio. Si gettava in acqua un glorioso anello d’oro che affermava il dominio di Venezia sull’Adriatico. La magia di questo sacrificio divino è stata così potente da durare per secoli. Tra la diminuzione della popolazione, l’incrostazione dei canali, le maree sempre più alte e la perdita della comunità a

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Austin Young | Fallen Fruit, Mariage of the Sea (The Rape of Venice), 2024 Courtesy The Pool NYC – ph. Maria Rosce Mariko Mori. Photo Massimo Pistore. Courtesy of the Artist, Faou Foundation and Palazzo Diedo - Berggruen Arts & Culture

causa degli affitti a breve termine, è tempo di rievocare questo antico voto: Desponsamus te, mare, in signum veri perpetuique dominii! / Ti sposiamo, mare, come simbolo del vero e perpetuo dominio! ».

In occasione dell’apertura della mostra, il 18 aprile scorso, una performance partecipativa in tre atti dell’artista

Irene Machetti in dialogo con l’opera di Young, ha proposto il rituale dell’antico Sposalizio del Mare. Machetti trasforma il concetto di dominio in tutela, ovvero in una forma d’amore che non opprime poiché se ne prende cura. L’artista ha proposto così un nuovo sposalizio con il mare, “in signum veri amoris”, in nome dell’amore, invitando il pubblico a impegnarsi in prima persona per rispettare il giuramento prestato alla città nel corso della performance. I richiami alla città insulare, che riecheggiano nell’immaginario che presenta in mostra Young, rimbalzano nella performance in un gioco fatto al contempo di scintillii e decadenze, presenza e assenza nostalgica, realtà e immaginazione. Maria Laura Bidorini

ENG Enjoy a deep dive into an ocean of beauty. Until June 30, Marriage of the Sea (The Rape of Venice), a personal exhibition by Austin Young/Fallen Fruit will display an original, immersive wall covering created specifically for Palazzo Cesari Marchesi. The installation is both a celebration and a portrait of Venice in form of a collage of original photography and archive images. “For centuries – explains the artist – on Ascension Day, a sacrifice was carried out in Venice. A golden ring would be thrown into the water, symbolizing Venice’s supremacy on the Adriatic Sea.”

Austin Young/Fallen Fruit

Marriage of the Sea (the Rape of Venice)

Fino 30 giugno

Palazzo Cesari Marchesi, Campo Santa Maria del Giglio, San Marco 2539 www.thepoolnewyorkcity.com

Così lontano, così vicino

Una delle mostre più suggestive presenti a Venezia durante la 60. Biennale Arte è certamente quella dedicata a due artisti, nati entrambi nel 1932, provenienti dai due poli opposti del mondo eppure con incredibili tratti in comune. Fino al 25 agosto all’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, a Palazzo Loredan in Campo Santo Stefano, si confrontano le opere dello statunitense James Lee Byars e del coreano Seung-Taek Lee. Il titolo della mostra, curata da Allegra Pesenti e promossa da Michael Werner Gallery, è Invisible Questions That Fill the Air ed è davvero interessante vedere come i due artisti abbiano avuto un feeling e un amore estensivo per materiali particolari, filosofia, performance, astri e misticismo, senza mai essere incasellati in categorie artistiche proprio per la loro estrema versatilità e geniale risoluzione estetica. L’oro è onnipresente, si riflette nella leggera World Flag di Lee Byars fatta di strisce di lamé che si muovono frusciando appena ci cammini a fianco, cui fa da controcanto Wind (Paper Tree) di Seung-Taek Lee, realizzata in strisce di carta che pendono da cinque rami d’albero, al centro della stanza un ricco divano d’oro è messo in parallelo con le maestose sculture dorate di Lee, avvolte in filo spinato. Le opere esposte emanano una forte energia, quasi mistica, non solo per la presenza dell’oro luminoso. I diversi materiali quali pietra, funi, legno, tessuti richiamano la costruzione stessa di Venezia e la ricerca dei due artisti, che non si sono mai conosciuti, è impregnata di letteratura, filosofia e poesia. La libreria antica di Palazzo Loredan, scelta per l’esposizione, fa da eco a questa arte sublime: qui anche l’aria è piena della purezza formale delle quasi settanta opere esposte, qui i due artisti riescono a rendere visibile l’invisibile interagendo con un’alchimia magica. Irene Machetti

ENG One of the most charming exhibitions to see in town is dedicated to two artists, both born in 1932, though coming from opposite sides of the world. Until August 25, art by American artists James Lee Byars and Korean artist Seung-Taek Lee populate exhibition Invisible Questions That Fill the Air, curated by Allegra Pesenti. Both creators love a set of peculiar art media, philosophy, performance, the stars, and mysticism, and both won’t stand being labelled into any specific category. Gold is everywhere: it reflects in Lee Byars’ World Flag and is the counterpoint in Seung-Taek Lee’s Wind (Paper Tree), a creation of paper strips hanging from tree branches. At the centre of the hall is a golden sofa, parallel to Lee’s gilded sculptures, enveloped in barbed wire. This art displays a sort of mystical energy: stone, cord, wood, fabrics remind of the building blocks on Venice, and the research conducted by the two artists – who never met – is imbued with literature, philosophy, and poetry.

Invisible Questions That Fill the Air

James Lee Byars and Seung-Taek Lee

Fino 25 agosto Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Palazzo Loredan

Campo Santo Stefano, San Marco 2945

www.michaelwerner.com

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arte

NOT ONLY BIENNALE IN THE CITY

Di gesta e di gesti

Osservando lavorare una persona, si possono cogliere tratti significativi della sua personalità. Che si tratti di un mestiere che implica un’attività manuale, un artigiano di qualsiasi natura, o che invece il lavoro sia di carattere più intellettuale e metafisico, osservando qualcuno impegnato nelle attività che ne scandiscono la quotidianità un occhio attento noterà gesti, movimenti, comportamenti rivelatori di un carattere, spie di un’indole. Aurelio Amendola, fotografo pistoiese classe ‘38, è famoso in tutto il mondo per il suo lavoro sulla scultura di Michelangelo Buonarroti e per ritratti di artisti come de Chirico, Pomodoro, Schifano, Lichtenstein, Warhol, ma anche Manzù, Kounellis, Pistoletto, Parmiggiani e tanti altri. Fondazione Emilio e Annabianca Vedova celebra il suo lavoro e la sua sensibilità d’osservazione nella mostra Amendola. Burri, Vedova, Nitsch: Azioni e gesti ospitata allo Spazio Vedova alle Zattere fino al 24 novembre. Tre opere integrano la selezione fotografica: Plas5ca M1 di Burri, Non Dove/Breccia 1988 III (op. 1 – op. 2) di Vedova e infine 18b.malak5on di Nitsch, ad arricchire la componente materica e tangibile di un rapporto, quello tra Amendola e i tre giganti del Novecento, fatto di osservazione e disvelamento reciproco. Fotografie che ci mettono per qualche secondo idealmente sulle spalle di un Amendola impegnato a spiare i tre artisti durante il proprio lavoro, con la discrezione implacabile del fotografo attento a non disturbare, ma determinato a non perdere nemmeno un minimo gesto. Davide Carbone

ENG You can tell much of a person just by looking at how they work. Whether a professional, craftsman, or intellectual, an attentive eye can notice gestures, motions, behaviours that mirror character and temperament. Aurelio Amendola, a photographer born in 1938, is known for her work on Michaelangelo’s sculptures and for portraits on artists such as De Chirico, Pomodoro, Schifano, Lichtenstein, Warhol. Fondazione Emilio e Annabianca Vedova celebrate Amendola’s work with an exhibition open until November 24.

Amendola. Burri, Vedova, Nitsch: Azioni e gesti Fino 24 novembre Spazio Vedova, Zattere www.fondazionevedova.org

Un personale spazio creativo

Catherine

Charlotte

Mick

Kinski, David Bowie, Elizabeth Taylor, Arthur Miller sono solo alcune delle icone immortalate dall’immenso fotografo berlinese Helmut Newton, in mostra a Le Stanze della Fotografia sull’Isola di San Giorgio. Artista a tutto tondo, Newton ha sempre messo alla base dei propri scatti, troppo semplicisticamente definiti “di moda”, una narrazione, un concetto da raccontare a chi si imbatte in fotografie che fermano nell’eternità l’attimo sospeso, il movimento elegante.

Un percorso espositivo suddiviso in sei capitoli cronologici: gli esordi degli anni Quaranta e Cinquanta in Australia, gli anni Sessanta in Francia, gli anni Settanta negli Stati Uniti, gli Ottanta tra Monte Carlo e Los Angeles e i numerosi servizi in giro per il mondo degli anni Novanta.

Newton non sfugge poi alle affinità elettive che sembrano legare indissolubilmente i grandi fotografi di ogni tempo alla città di Venezia, con le sue fisionomie oggettivamente uniche al mondo, irripetibili e non duplicabili per definizione. «Il suo passaggio in Laguna – spiega Matthias Harder, curatore della mostra assieme a Denis Curti e presidente della Helmut Newton Foundation – è documentato più volte, come si vede nel servizio per la rivista Queen del 1966 o nel ritratto ad Anselm Kiefer, immortalato in un affascinante palazzo sul Canal Grande. Dopo aver abitato in Australia e negli Stati Uniti, Newton si stabilisce in Europa, prima a Parigi e poi a Monte Carlo intensificando le sue visite a Venezia». ENG Berlin-born photographer Helmut Newton took pictures of some of the greatest icons of the twentieth century. An all-around artist, Newton took more than ‘fashion photographs’ – behind his shots are a narrative, a story, an idea. The exhibition at Le Stanze della Fotografia comprises six chapters: the photographer’s Australian debut in the 1940s and 1950s, his time in France in the 1960s, the 1970s in America, the 1980s between Monte-Carlo and Los Angeles, and the 1990s with his many photo features from all over the world. Helmut Newton was not immune to the magic of Venice, documented since 1966 with a feature published on magazine Queen

Helmut Newton. Legacy Fino 24 novembre Le Stanze della Fotografia, Isola di San Giorgio Maggiore lestanzedellafotografia.it

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Gianni Versace, Andy Warhol, Rampling, Romy Schneider, Deneuve, Jagger, Nastassja Helmut Newton, Self-portrait. Monte Carlo, 1993 © Helmut Newton Foundation

Sguardi

doppi Palazzetto

Bru Zane e le fotografie di Monique Jacot

La Biennale Arte offre alle istituzioni culturali presenti a Venezia un’occasione unica per aprire “fuori stagione” le loro bellissime sedi per delle esposizioni straordinarie. È il caso del Palazzetto Bru Zane, che ogni due anni invita un fotografo ad esporre le sue opere negli spazi dal fascino discreto del Casino Zane, offrendo al pubblico un piccolo gioiello: La figura e i suoi doppi, mostra della fotografa svizzera Monique Jacot. L’iniziativa si iscrive nell’ambito del programma di sostegno che la Fondation Bru, in particolare nella persona della sua fondatrice, Nicole Bru, dedica alla valorizzazione del patrimonio culturale, alla musica e alla fotografia, qui protagonista grazie alla collaborazione con Photo Elysée, Musée Cantonal pour la Photographie di Losanna.

Un’accurata selezione di scatti alle pareti del piano terra di Palazzetto Bru Zane invita a scoprire il talento di Monique Jacot (1934), una delle più importanti fotografe svizzere che nel corso della sua carriera ha esplorato diversi generi fotografici. Dopo aver studiato all’École des arts et métiers di Vevey, ha intrapreso una carriera nel giornalismo come fotoreporter. Ha realizzato numerosi reportage per riviste svizzere e internazionali come Camera, Die Woche, Du, Elle, Geo, Schweizer Illustrierte, Stern e Vogue. Appassionata di viaggi, è nota per le sue fotografie scattate in giro per il mondo e per la sua meticolosa documentazione di alcuni aspetti della vita svizzera, in particolare quelli relativi alla condizione femminile. Su questo tema ha realizzato una trilogia in cui ha fotografato ragazze nella Repubblica Ceca, in Francia e in Inghilterra. In seguito si è dedicata a indagare le condizioni di vita e di lavoro delle donne in Svizzera, creando tre serie che sono state pubblicate: Femmes de la terre (1989), Printemps de Femmes (1994) e Cadences. L’usine au féminin (1999). Nel 2020 le è stato attribuito il Grand Prix Suisse du design. Il nucleo di fotografie presentate in mostra rivelano come Monique Jacot gioca con la figura e i suoi doppi, da cui il riferimento al titolo. Attraverso il montaggio e diversi effetti speculari, la fotografa conferisce al suo lavoro un’estetica onirica, che supera la documentazione per diventare poesia. Tuttavia anche nel suo lavoro “più puntuale” di fotoreporter, Monique Jacot accosta diverse figure, rivelando nel commento sociale al centro delle sue immagini la sua cifra identitaria. M.M.

Look ENG twice

The Venice Art Biennale offers a great chance for all other cultural institutions in Venice to schedule some extra programming. Every other year, Palazzetto Bru Zane invites a photographer to set up an exhibition on site, and this year, the nominee is Monique Jacot with The Figure and Its Doubles. A selection of photographs will acquaint us with the work of Monique Jacot, born in Switzerland in 1934 and one of the most renowned photographers of her country. Jacot worked as a photo reporter for many years, and was featured in magazines such as Camera, Die Woche, Du, Elle, Geo, Schweizer Illustrierte, Stern, and Vogue. She is also known for her documental work on Swiss life, and Swiss women especially, which has been the subject of her three series Femmes de la terre (lit. ‘Women of soil’) of 1989, Printemps de Femmes (lit. ‘Women’s spring’) of 1994, and Cadences. L’usine au féminin (lit. ‘pace. Women’s factories’) of 1999. The photographs we will see at Casino Zane show how Monique Jacot can play with montage and mirror effects to state her social commentary and her own identity as a creator.

Monique Jacot. La figura e i suoi doppi Fino 14 settembre Palazzetto Bru Zane, San Polo 2368 www.fondation-bru.org

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Monique Jacot, Morges, piscine d’exercice de la maternité, 1980 © Monique Jacot, Fotostiftung Schweiz, Courtesy Photo Elyse

arte

NOT ONLY BIENNALE IN THE CITY

La macchia umana Arne

Quinze, provocazioni

“aliene”

per la salvezza della Terra

Un pianeta come un giardino idilliaco, con immense distese verdi e azzurre, ecosistemi diversi che vivono in armonia tra loro. Questa pace viene presto disturbata dall’arrivo di un meteorite, oscuro e minaccioso, contenente il DNA di una specie che nel giro di pochi millenni ha reso utopica la realtà preesistente al suo arrivo. Una specie dalle grandi potenzialità, ma dalle scelte sbagliate. I suoi componenti sono avidi, meschini, egoisti e prepotenti. Si affrettano a costruire una società i cui i valori cardine si fondano sulla distruzione e conquista: le foreste, una volta rigogliose, sono ora rase al suolo; gli animali, che vivevano liberi, sono imprigionati o estinti; l’intero pianeta, una volta in perfetto equilibrio con le regole naturali predestinate, si trova improvvisamente sfruttato fino all’osso per soddisfare i comfort degli alieni, a sentir loro, dovuti e indiscutibilmente meritati. Ma chi è dunque che compone questa specie predisposta all’autodistruzione, noncurante della scia di sangue che lascia nella sua corsa al potere, e talmente materialista e superficiale da riuscire a compromettere la bellezza primordiale della natura?

Se il pianeta Terra fosse un’entità parlante probabilmente si sarebbe fatto questa domanda, alla quale offre una risposta provocatoria Arne Quinze nella mostra Are We The Aliens_, in corso presso il complesso monastico di San Francesco della Vigna a Venezia. «Da quando sono nato, nel 1971 – afferma Arne Quinze –, gli esseri umani hanno distrutto più del 40% della flora e della fauna. Noi, gli alieni, in mezzo secolo abbiamo attuato una delle più grandi estinzioni di massa in natura».

L’artista belga rende così lo spettatore testimone dell’invasione aliena/umana attraverso una serie di opere pensate per risvegliare nell’animo comune l’ammirazione e il rispetto per la bellezza della natura in tutti i suoi stadi.

In Impact glass_ il DNA alieno/umano, reso attraverso sculture in vetro di Murano realizzate in collaborazione con Berengo Studio, spunta dal meteorite ormai morente mirando verso l’alto con forme ‘alienoidi’ e colori vivaci in un fitto dialogo con le opere audiovisive

Six Testimonials_, il tutto immerso nella solennità dello spazio sacro della chiesa di San Francesco, con i suoi alti soffitti, le colonne votive incise e l’altare in marmo policromo ospitante l’Immacolata concezione di Lattanzio Querena.

Per Six Testimonials_, tramite algoritmi per l’intelligenza artificiale, sono state create sei testimonianze di umanoidi (più automi che umani) che raccontano di un futuro imminente e apparentemente inevitabile. L’ossessione degli alieni/umani per il controllo e lo sfruttamento delle risorse ha portato a un’eccessiva predominanza della tecnologia; l’intera popolazione vive costantemente circondata da quattro mura di cemento, in metropoli asettiche e completamente grigie, senza più avere idea di cosa voglia dire sentire gli uccelli che cinguettano, vedere le foglie cadere, tuffarsi nell’acqua cristallina o sentire il profumo dei fiori. All’interno dell’installazione immersiva Sonic Levitation_, realizzata in collaborazione con il producer Swizz Beatz, lo spettatore è circondato da enormi pezzi di alluminio costellati di cerchi luminosi, che cambiano colore e intensità in base ai toni della componente sonora. Le sculture metalliche piegate da macchine industriali ricordano delle composizioni floreali, una riflessione sulla dualità della natura, tanto fragile quanto forte, mentre la musica e il gioco di luci accompagnano la discesa del meteorite. Dalle vibrazioni drammatiche degli speaker alla luce distorta che entra dalle finestre, l’installazione sembra sospesa nello spazio e nel tempo, portando lo spettatore a vivere in prima persona il momento in cui gli alieni/umani sono arrivati sulla Terra, già consapevoli della distruzione che avrebbero causato nel giardino idilliaco, suggerito dal dipinto Murchison garden_, che emerge sullo sfondo delle sculture metalliche.

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Arne Quinze. Are We The Aliens_ Fino 24 novembre Chiesa di San Francesco della Vigna, Castello 2786 www.arnequinze.com

La Madonna col Bambino in trono del pittore veneziano Antonio da Negroponte, conservata nella chiesa di San Francesco, accompagna Bronze_, opera ispirata al celebre dipinto, in particolare alla veste della Madonna, un’estensione della narrativa illustrata da Negroponte. L’imponente scultura dai riflessi purpurei vuole infatti rappresentare l’essenza dei ritmi della natura in un dialogo tra il divino e il naturale, lo storico e il contemporaneo. Infine Ceramorphia_, un’installazione di cinque sculture in ceramica realizzate in collaborazione con l’Atelier Vierkant, celebra la diversità e l’armonia presenti in tutti gli stadi del ciclo naturale. Un’opera esplicativa del pensiero di Quinze, in cui l’elemento chiave è la necessità di emulare gli equilibri naturali nella disposizione delle distese minerali che chiamiamo metropoli. Le sue opere vogliono essere una rivendicazione delle forme sinuose della natura contro le linee rigide dell’architettura umana. Matilde Corda

The human ENG stain

A planet – an idyllic garden, green and blue till the eye can see, different ecosystems coexisting beautifully. The peace is disturbed when a dark and menacing meteorite crashes on the site, bringing alien DNA with it. The new species has great potential, but chooses poorly. They are greedy, mean, selfish, and overbearing. They hasten to build a society whose values are destruction and conquest. Forests, once lush, are cut to the ground. Animals, once free, are now captive or went extinct. The whole planet, once in perfect balance with its predetermined set of rules, is now being exploited to the core for the satisfaction of the aliens, who believe they deserve it all.

If Planet Earth could talk, it would probably wonder what species is this, exactly. Arne Quinze offers a provocative answer in his exhibition We Are the Aliens_ , at San Francesco della Vigna in Venice. “Since I was born in 1971 – says Quinze – human beings destroyed over 40% of flora and fauna. We, the aliens, caused one of the greatest mass extinction events in half a century.”

The Belgian artist makes us witness to the human/alien invasion with art that should awaken our admiration and respect for the beauty of nature in all its instances.

In Impact glass_ the human/alien DNA, depicted in the form of glass sculptures, pops out of the meteorite in alienoid shapes and bright colours, while all is immersed in the sacred solemnity of San Francesco Church. Six Testimonials_ is an AI-powered collection of video interviews to humanoids visualizing our imminent, seemingly inevitable future. The human/alien obsession for control and resource exploitation caused proliferation of technology. People live within concrete walls in sanitized, grey megacities, and have no idea what it means to hear birds chirp, leaves fall, to dive into crystal-clear water, to smell flowers.

The exhibit is interestingly integrated with the many art pieces belonging to the Church, in a sort of inspired dialogue between the two.

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arte

NOT ONLY BIENNALE

IN THE CITY

Una città sospesa

Architetture sospese tra cielo e acqua, dove il realismo nitido della forma diventa simbolismo lirico nella sostanza. Eduard Angeli. Silentium, mostra curata da Philip Rylands e promossa da Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, occupa lo spazio nudo dei Magazzini del Sale con quattordici grandi vedute, principalmente veneziane. Un silenzio profondo svuota i dipinti di persone, protagoniste le architetture (edifici e paesaggi diurni e notturni) rese con enigmatica, affascinante e dilagante immobilità, una sospensione metafisica alla Morandi. Eduard Angeli (Vienna, 1942) racconta una Venezia inedita, volatile, misteriosa, quasi fuori dal tempo, una città apparentemente non viva, interiore, crepuscolare.

L’artista austriaco vanta un lungo sodalizio spirituale con Venezia: a partire dal 2001, infatti, frequenta assiduamente e per lunghi periodi la città lagunare, per poi stabilirsi in una casa-atelier al Lido. Proprio da qui Angeli dà inizio a un ciclo pittorico che si sviluppa negli anni e che trasforma la città nella protagonista delle sue opere.

«Osservare un dipinto di Eduard Angeli – afferma il curatore – è come entrare in un sogno. Ci pare di riconoscere il posto, ma qualcosa non torna. Che sia Venezia, San Pietroburgo o Istanbul, la topografia è talmente estraniata, l’atmosfera così rarefatta e la solitudine così oppressiva che è come essere trasportati in un mondo parallelo». M.M.

ENG The limpid realism of form turns into the lyrical symbolism in substance. Eduard Angeli. Silentium is an art exhibition curated by Philip Rylands and promoted by Fondazione Emilio e Annabianca Vedova. Fourteen large vistas, mainly of Venice, and deep silence frame the subject: the architecture of Venice – original, volatile, mysterious, almost timeless, introverted, crepuscular. Eduard Angeli (b. Vienna, 1942) is often a guest of Venice, where he maintains a workshop. From here, the artist developed an art cycle that over the years, turned a city into an absolute protagonist of art. “To see Angeli’s art – explains the curator – is like walking into a dream. We think we know the place, but something isn’t quite there … solitude is so oppressive we feel like we are in a parallel world.”

Eduard Angeli. Silentium Fino 24 novembre Fondazione Emilio e Annabianca Vedova Magazzino del Sale, Dorsoduro 266 www.fondazionevedova.org

Dalla

parte del Leone Riconnettersi alla natura secondo Walton Ford

Folgorato dai capolavori d’arte dell’Ateneo Veneto, Walton Ford (1960, New York) ha ideato per Lion of God, prima personale in Italia curata da Udo Kittelmann, un corpus di nuovi lavori in stretto dialogo con le opere dell’Istituzione veneziana. Tra i più talentuosi artisti della sua generazione, Ford parte così dall’Apparizione della Vergine a San Girolamo di Tintoretto (c. 1580) per intessere un’acuta riflessione sulla relazione tra uomo e mondo naturale. Nel capolavoro del Maestro veneziano, che ritrae San Girolamo in estasi mentre la Vergine Maria discende dal cielo, il leone devoto al Santo, che gli tolse la spina dalla zampa come narra la Leggenda Aurea, appare in basso, quasi completamente in ombra. Walton Ford capovolge totalmente la prospettiva mettendo in primo piano l’esperienza dell’animale: il leone emerge possente nella luce e assume lo stesso sguardo verso l’alto del Santo, assorbendo nella propria immagine sia i caratteri del Santo tintorettiano che le sembianze stesse di un’apparizione.

Quella di Ford è un’indagine profonda sui modi in cui ci relazioniamo alle specie animali, che risponde alla gravissima crisi ecologica in atto. Secondo il curatore Udo Kittelmann «nella ricerca di analogie tra passato e presente, i dipinti di Walton Ford sovrappongono rappresentazioni intricate di storia naturale con una lettura critica contemporanea, includendo citazioni da fonti letterarie dei secoli passati, il tutto reso nello stile della pittura dei grandi maestri. Nei suoi lavori, che possono essere visti come una satira dell’oppressione politica e dello sfruttamento ambientale, egli mette in discussione il concetto di “sem-

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Eduard Angeli, Nebbia, 2018 - Photo Nikolaus Korab, Wien Walton Ford, Memento, 2024 (particolare)

pre nuovo” e “sempre migliore”. Allo stesso tempo, Ford ha sempre posto interrogativi sulle molteplici aspettative e regole consolidate dell’estetica contemporanea.

Per essere precisi, i suoi dipinti sono un racconto sull’arroganza della natura umana. Ieri, oggi e domani».

Un’arroganza che si basa sul nulla e non trova ragione di esistere nella realtà. «San Girolamo andò nel deserto per affrontare il diavolo, ma non c’era un uomo con la coda che lo aspettava lì – racconta l’artista –, il demonio era la sua stessa mente. Dopo aver rinunciato a tutte le cose materiali, il suo cuore è così aperto da permettere a un leone, che lo avrebbe potuto vedere come cibo, di colmare il divario. Il Santo può realmente sanare la separazione che sentiamo dagli altri esseri senzienti con cui condividiamo il Pianeta [...] La separazione che le persone sentono dalla natura è una storia che raccontano a sé stesse, non c’è nessuna separazione». C.S. ENG Bewitched by the masterpieces he saw at Ateneo Veneto, Walton Ford (b. New York, 1960) produced Lion of God, a personal exhibition curated by Udo Kittelmann that comprises a set of new works inspired by Venetian Art. One of the most talented artists in his generation, Ford studied Tintoretto’s Saint Jerome’s Vision of the Virgin Mary (ca. 1580) to reflect on the relationship between humankind and the natural world. In the Renaissance-era painting, St. Jerome is ecstatic before the vision of Mary descending from the heavens. The lion, which according to legend had a splinter pulled from its leg by the Jerome, is relegated to a corner. Not so in Walton Ford’s perspective, which is all centred on the animal.

Walton

Fino 22 settembre Ateneo Veneto www.kasmingallery.com

Una Storia da riscrivere

Combattere una battaglia che non è la propria, contribuire a costruire una storia di cui non farai mai parte, sacrificarsi per un luogo che ti vedrà sempre straniero. La mostra R r OMA LEPANTO, ospitata da ECC – European Cultural Centre a Palazzo Bembo nell’ambito della piattaforma espositiva Personal Structures – Beyond Boundaries, fa agitare pensieri simili invitando a riflettere su una storia quasi misconosciuta, che ha inizio poco più di 450 anni fa. Quando si ricorda la leggendaria Battaglia di Lepanto, lo storico trionfo della Santa Alleanza sull’Impero Ottomano, glorificando la potenza della Serenissima, nessuno pensa alle centinaia di Rom e Gitani che vennero venduti per essere messi in schiavitù come rematori nelle galee, nessuno tiene conto che fu anche grazie al sudore e al sangue di questi uomini se la battaglia fu vinta. Non è un dato che la narrazione ufficiale ha voluto considerare; all’epoca Venezia era il centro europeo per la stampa e la battaglia è stato un primo evento mediatico. Le pubblicazioni erano prime visioni dei mass media dal potere egemonico, rappresentazioni razziste purtroppo molto simili alle ostilità contro le minoranze che i Rom si trovano costretti ad affrontare ancora oggi. R r OMA LEPANTO, curata da Moritz Pankok, si compone delle opere degli artisti di origine, Rom Luna de Rosa, Manolo Gómez, Dariya Kanti, Damian Le Bas, Brunn Morais, Girolamo Porro, Alfred Ullrich e Kálmán Várady che, servendosi di diversi media, riscrivono la storia che scorre sotto la narrazione ufficiale per dar vita ad un urgente dibattito sull’(in)visibilità e sul riconoscimento del contributo dei Rom alla storia e alle società del continente europeo. Il progetto di Fondazione Kai Dikhas, in collaborazione con l’Istituto Europeo Rom per le Arti e la Cultura (ERIAC), il Centro di Documentazione e Cultura dei Sinti e dei Rom tedeschi e l’European Cultural Centre, intende porre il pubblico di fronte al proprio passato attraverso l’arte, offrendo una nuova visione di un’Europa inclusiva.

Chiara Sciascia

ENG A fight that is not one’s own, a contribution that one will never be part of, a sacrifice that won’t make them any less of a stranger. Exhibition R r OMA LEPANTO at the European Cultural Centre will make us think so as it leads us to find out more about an often forgotten piece of history that took place over 450 years ago. The legendary Battle of Lepanto –the historical triumph of the Holy Alliance against the Ottoman Empire, is seldom remembered for its consequences on the Roma people. Hundreds of Romas had been captured and enslaved in galleys, and thanks to their toil, the battle was won. Official narratives rarely acknowledge this. At the time, Venice was the European centre of excellence for printing, and the Battle had ample media coverage. The newspapers of the time were the first examples of mass media hegemony.

R rOMA LEPANTO

Fino 24 novembre ECC – European cultural Centre, Palazzo Bembo www.kaidikhas.com | www.ecc-italy.eu

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Ford. Lion of God Tintoretto, Apparizione della Vergine a San Girolamo, 1580 (particolare) Damian Le Bas, Back To The Future! Safe European Home 1938, 2023 Courtesy of the artist and Foundation Kai Dikhas

arte

NOT ONLY BIENNALE IN THE CITY

Libertà di materia

La missione de Le Stanze del Vetro, per sua costituzione, è valorizzare attraverso la conoscenza approfondita capitoli fondamentali della storia del vetro di Murano con mostre che sono veri e propri saggi visivi assolutamente inediti, un insieme di storie, artisti, designer, architetti, fornaci che nel Novecento hanno fatto della ricerca la chiave di sviluppo delle loro idee. Il nuovo capitolo, mostra e catalogo a cura di Marino Barovier, è dedicato alla presenza del vetro muranese alla Biennale di Venezia tra il 1912 e il 1930 (ovvero dalla X alla XVII edizione della Biennale), offrendo al pubblico un’accurata selezione di 135 opere, molte delle quali di grande rarità provenienti da importanti istituzioni museali e collezioni private. Le Biennali degli anni Dieci del Novecento furono connotate dalla presenza già significativa di opere di artisti quali, tra gli altri, Hans Stoltenberg Lerche, Vittorio Toso Borella, Vittorio Zecchin, Teodoro Wolf Ferrari e Umberto Bellotto, che mostravano un proprio approccio innovativo al materiale. Questi artisti collaboravano spesso con vetrerie come la Fratelli Toso o quella degli Artisti Barovier. Dagli anni Venti la Biennale iniziò a includere anche vetrerie che presentavano la propria produzione, realizzata sia autonomamente che in collaborazione con designer esterni, prima fra tutte la V.S.M. Cappellin Venini & C, fondata da Giacomo Cappellin e Paolo Venini, che si distinse per la collaborazione artistica con Vittorio Zecchin, capitanando la nuova direzione della produzione vetraria muranese. Ebbe inizio così un periodo di originale creatività, di altissima qualità tecnica, con un approccio segnatamente libero e sperimentale che fece definitivamente traghettare il vetro oltre le Arti Applicate. M.M.

ENG The new chapter at Le Stanze del Vetro (‘the halls of glass’) is dedicated to glass art at the Venice Art Biennale in the years 1912 to 1930: 135 pieces coming from both museums and private collections. The Biennales produced in the 1910s already had a significant presence of glass art by artists such as Hans Stoltenberg Lerche, Vittorio Toso Borella, Vittorio Zecchin, Teodoro Wolf Ferrari, and Umberto Bellotto, each with their original creative approach to glass as art media. These artists worked with glassmakers in Murano, who in turn, starting from the 1920s, exhibited their own production at the Biennale, breaking ground for a new season of original artistic production in Murano.

1912-1930 Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia

Fino 24 novembre Le Stanze del Vetro, Isola di San Giorgio Maggiore lestanzedelvetro.org

Autoritratto in movimento Federica Marangoni si racconta al Museo del

Vetro

Progetta oggetti di design per la produzione, così come sculture in vetro e grandi installazioni, integrando video e luce al neon, combinati con la trasparenza e la fragilità del vetro. Tutto questo e molto ancora: Federica Marangoni è un’artista e designer veneziana dalla personalità eclettica e dall’energia creativa esuberante, sempre pronta ad accogliere nuove sfide. La grande retrospettiva inaugurata a fine maggio al Museo del Vetro di Murano offre un’immersione nel suo mondo e nella sua arte, come una ragazza matura ancora capace di sorprendere e di sorprendersi. Non a caso il titolo scelto per la mostra è ON THE ROAD 1970-2024. Non solo vetro, manifesto chiaro della sua identità d’artista in continuo movimento. Gli oltre cinquant’anni di carriera, ripercorsi in mostra attraverso pezzi iconici, testimoniano la sua ricerca votata in modo eclettico alla sperimentazione continua e pionieristica, con diversi mezzi tecnologici e materiali, in cui persiste il rapporto speciale con il vetro. Dalla metà degli anni Settanta rivolge la sua curiosità e la sua attenzione creativa al mondo tecnologico allora ancora allo stato embrionale. Una ricerca ininterrotta su luce e artificio, realtà e finzione, gioco dell’effimero, della trasparenza, della mobilità virtuale dell’immagine. Un percorso coinvolgente, costruito dalla stessa artista con Chiara Squarcina, in dialogo con l’architettura del Museo e soprattutto

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Courtesy Fondazione Musei Civici di Venezia

con Murano: a partire dalle prime sperimentazioni con il vetro, dal 1970, anno in cui Marangoni apre a Venezia il suo Fedra Studio Design e inizia a usare questo materiale, lavorando con frequenza costante in molte fornaci muranesi.

Cinque le sezioni in mostra: “Il sogno fragile. Anni Settanta e Ottanta”, dove trova posto, tra gli altri, anche il gruppo Natura sotto vetro ; “Elettronica madre di un sogno umanistico”, che approfondisce l’indagine portata avanti dall’artista sull’uso della tecnologia nelle opere in vetro e sull’elettronica nell’arte e nella comunicazione; “Itinerari della memoria”, con il modello in scala della fontana-scultura, La trappola della memoria, opera pubblica per l’Expo 1992 di Siviglia; “La traccia”, sezione tesa a dimostrare in modo particolare come il pensiero progettuale non si interrompe ma è piuttosto un labirinto dove esperienze, sogni, metafore, riferimenti alla storia si ammassano e ritornano come il flusso stesso del ricordo e del sogno; infine, “Il volo”, con la grandiosa installazione Il volo impossibile, già esposta a Valencia e Barcellona. M.M.

ENG Venetian artist and designer Federica Marangoni works on both production designs and large-scale glass sculptures, integrated with video art and neon lights. She doesn’t mind a challenge, and the expansive retrospective recently opened at the Glass Museum in Murano will show how much she can surprise us – and herself. ON THE ROAD 1970-2024. Non solo vetro (lit. ‘not only glass’) recapitulates Marangoni’s fifty-year career: iconic pieces, experimentation, light, artefacts, reality, fiction, transparency, and the virtual mobility of images. A fascinating itinerary devised by the artist herself with co-curator Chiara Squarcina. The exhibition comprises five sections: the fragile dream collection from the 1970s and 1980s, an electronic mother of humanistic dream on the use of technology in glass art and on electronics in art and communication, itineraries in memory with a scale model of a fountain once created for the 1992 Seville Expo, a trace section showing how the design process never stops, but continuously touches on experiences, dreams, metaphors, historical references, and lastly, a flight section with a surprising installation: Il volo impossibile (lit. ‘impossible flight’), once exhibited in Valencia and Barcelona.

► ► ► ► ► ► Frederika Adam Breakfast Jason deCaires Taylor ADGART (Antonello Diodato Guardigli) Alma Fakhre Gabriele Maquignaz Suelin Low

Benaiah Matheson The Perceptive Group Nello Petrucci

Free entrance

20 April > 24 November 2024 from 20 April to 30 September 11 am – 7 pm from 1 October to 24 November 10 am – 6 pm Closed on Mondays

Collaborators

Bollani, Feofeo, Fiorangela Filippini, Gina Marziale, Silvana Mascioli, Carlo Ciucchi Picchio Luca Ripamonti, Salvatore Scaramozzino, Emilio Sgorbati Fedora Spinelli, Michele Rosa

Supporters Breakfast, Galleria Alfieri

Galleria DuePuntoZero Contemply, NCART Artists

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Federica Marangoni. ON THE ROAD 1970-2024. Non solo vetro Fino 28 settembre Museo del Vetro, Murano museovetro.visitmuve.it Chew Tung Lorenzo Marini La Biennale di Venezia 60th International Art Exhibition No man is an island Albrizzi Capello Palace Cannaregio 4118 Venice Commissioner Susan Mains grenadavenice.org Curated by Daniele Radini Tedeschi
► ► ► ►

arte

GRAND HOTEL VENEZIA FRANCA LUGATO

Viaggio a Venezia

Intervista Franca Lugato

di Mariachiara Marzari

Per un secolo palazzo Ferro Fini, insieme all’attiguo palazzo Pisani Gritti, è stato il più importante hotel di Venezia, emblema di un’accoglienza raffinata ed esclusiva. Ora sede del Consiglio Regionale del Veneto, ospita fino al 30 novembre la mostra Grand Hotel Venezia: cent’anni, da albergo da sogno a sede istituzionale. Una storia poco conosciuta, tuttavia prestigiosa ed esclusiva. Il percorso fotografico e documentale, ideato da Roberto Valente, segretario generale del Consiglio, e sapientemente curato da Franca Lugato, che a seguire ci accompagna in mostra, è un omaggio a Venezia e ai suoi imprenditori visionari. E’ la celebrazione di una storia alberghiera che ha fatto scuola nel mondo grazie al fascino di una città meta prediletta dei grandi della storia, delle élites culturali e delle celebrità internazionali dello spettacolo e della mondanità.

Non possiamo che iniziare dalla storia del Palazzo Ferro Fini. Quali circostanze, protagonisti e soprattutto visioni hanno determinato la nascita del primo Grand Hotel di Venezia?

Nei primi anni Settanta dell’Ottocento il Grand Hotel diviene uno dei più prestigiosi ed eleganti alberghi sul Canal Grande, contribuendo e condividendo con altri alberghi come Hotel Royal Danieli, Beau Rivage, Imperatore d’Austria, Regina d’Inghilterra a quel prezioso rinnovamento dell’immagine di Venezia, per cui l’afflusso di un nuovo turismo, elegante e cosmopolita, avrebbe portato l’antica città dei Dogi a essere una delle mete più visitate al mondo. La storia del Grand Hotel può risultare emblematica di quell’innovazione dell’industria alberghiera nel centro storico attraverso la riqualificazione e il riuso di antichi e monumentali palazzi patrizi veneziani, modificati per le moderne esigenze di ricettività e di ospitalità di alto livello. Protagonisti di questa storia durata cento anni (1868–1968) furono gli Ivancich, famiglia di armatori dalmati che acquistarono a Venezia due storici palazzi sul Canal Grande con l’intento di trasformarli in perfette macchine alberghiere. Prima il tardo gotico Ca’ Morosini-Ferro-Manolesso, acquistato da Laura Moschini Ivancich nel 1860 per 44.100 fiorini d’argento, quando Venezia era ancora austriaca, successivamente il seicentesco Ca’ Flangi-

ni-Fini, acquistato da Luigi Ivancich tra il 1872 e il 1873 dopo che Venezia era stata annessa allo Stato italiano. Gli Ivancich mantengono la proprietà del complesso per più di un secolo affidandolo a ottime e raffinate gestioni di albergatori (Spatz, Ciga, Saigat), per poi venderlo nel 1970 alla Provincia di Venezia in vista della nascita della Regione Veneto. Una famiglia sempre in relazione con i maggiori intellettuali dell’epoca, da Marinetti a Ezra Pound, da Liszt a Toscanini, da Fogazzaro a D’Annunzio. In due secoli si succedono sei generazioni di capitani d’impresa, poeti, letterati, pittori, combattenti, ambasciatori e donne affascinanti come Jole Ivancich Biaggini, musa di Antonio Fogazzaro, e Adriana Ivancich, poetessa e scrittrice che ne La Torre Bianca (1980) ha tracciato un affresco brillante della sua giovinezza, dell’amicizia con Ernest Hemingway e della Venezia del secondo dopoguerra.

Come le architetture e le opere d’arte vennero all’epoca utilizzate o modificate nel corso della trasformazione di Palazzo Ferro Fini in luogo pubblico e al contempo esclusivo?

La prima apertura della struttura alberghiera sul solo palazzo Ferro avvenne nel 1868 con il nome Hotel Nuova York. Ma già nel 1874, a un anno dalla conclusione delle lunghe trattative d’acquisto dell’attiguo palazzo Fini, l’albergo si presentava con il nuovo nome di Grand Hotel, che avrebbe poi mantenuto per tutta la sua esistenza. Da questa data i due palazzi Ferro e Fini diventarono un unico immobile. Dalle carte dell’archivio privato della famiglia Ivancich e dal ricco apparato iconografico di foto d’epoca possiamo immaginare la disposizione planimetrica dell’edificio, il pregio dell’arredo interno, la ricchezza delle tappezzerie e la cura nei dettagli. Il più importante cambiamento fu sicuramente quello datato 1895, quando venne preso in affitto dalla società alberghiera l’attiguo palazzo Swift, quello che diventerà a partire dal 1948 l’Hotel Gritti, usato per più di cinquant’anni come dépendance del Grand Hotel. Questo notevole accrescimento della capienza dell’albergo al di là del canale doveva essere garantito da un comodo accesso alla clientela che usufruiva della ricca offerta di servizi dislocati all’interno dei palazzi Ferro e Fini. Si dovette quindi pensare a un collegamento mediante un ponte sul Rio delle Ostreghe, realizzato su progetto dell’ingegnere Francesco Marsich. Alcune variazioni nelle facciate si possono cogliere dalle foto d’epoca, in particolare la sopraelevazione del palazzo Ferro con una terrazza all’ultimo piano, che veniva a pareggiare l’altezza tra i due edifici, e ancora l’ampliamento del ballatoio esterno sull’acqua, che dava la possibilità alla clientela di godere del fresco nei mesi caldi e di inebriarsi della spettacolare vista sulla Chiesa di Santa Maria della Salute e sul Bacino di San Marco. Con le gondole e successivamente con le lance si raggiungeva l’ingresso d’acqua, accesso principale; tuttavia si poteva arrivare anche da

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Grand Hotel Venezia: cent’anni, da albergo da sogno a sede istituzionale Fino 30 novembre Palazzo Ferro Fini, San Marco www.consiglioveneto.it

terra attraverso la contigua calle Minotto. L’interno si presentava lussuoso ed elegante; erano stati ricavati spazi per l’accoglienza e raffinati salottini, il Tables d’Hotel, la Sala Manin, la Salle de Lecture e la Salle de Dames, per citarne solo alcuni. Questi ambienti erano arredati con accurato mobilio e le pareti erano ricoperte da carte da parati alla moda. Splendidi lampadari di vetro di Murano pendevano dal soffitto e composizioni floreali sempre fresche creavano un’atmosfera di raffinata eleganza. Luigi Ivancich aveva fatto realizzare anche il grande scalone moresco a dieci rampe che metteva in collegamento i due palazzi Ferro e Fini e che risultava essere l’elemento nodale sul quale ruotava tutta la moderna distribuzione dell’albergo. Le camere da letto, grandi e lussuose, si trovavano al primo piano nobile; erano arredate con grande sfarzo e si alternavano a vasti salotti di rappresentanza addobbati con tappezzerie di seta, arazzi, specchiere, quadri e raffinati oggetti d’arredo, letti a baldacchino, tappeti, velluti e mobili laccati in stile settecentesco. Venne allestita anche la Gran Sala del Cuoio. Negli altri piani del palazzo, compresi i mezzanini, si trovava il maggior numero delle camere da letto, trecento posti secondo le testimonianze dell’epoca, considerando anche la dépendance al di là del canale.

La progressiva conquista della fama, ma anche la grande Storia, scritta dagli ospiti (ricchi, nobili, potenti, celebri, geniali) che in quelle stanze hanno vissuto. Quali sono gli episodi più sorprendenti e significativi a riguardo che ha deciso di raccontare in mostra?

Il Grand Hotel Venezia è stato sede della cena diplomatica tra le delegazioni dei governi italiano e austriaco nell’aprile 1875, quando l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe incontrò a Venezia il re d’Italia Vittorio Emanuele II nella prima visita ufficiale dopo l’annessione del Veneto al Regno d’Italia. Fu una festa di popolo, celebrazione della riconciliazione tra due nazioni sino a nove anni prima nemiche. Sessant’anni dopo il Grand Hotel ha fatto da cornice al primo faccia a faccia tra i due dittatori Mussolini e Hitler, che si incontrano per la prima volta a Venezia il 14 e 15 giugno 1934. Nel 1937 i ‘colloqui di Venezia’ vedono impegnati il cancelliere di Vienna Schuschnigg e il capo del governo italiano Mussolini in merito all’indipendenza e all’integrità austriache minacciate dai disegni nazionalsocialisti di annessione, l’Anschluss. L’anno successivo, il 1938, segna il passaggio a Venezia e al Grand Hotel di Winston Churchill, leader dei conservatori del Regno Unito e avversario della politica di appeasement del Primo Ministro Chamberlain. A spopolare, invece, sui rotocalchi del secondo dopoguerra fu la storia d’amore tra Roberto Rossellini e Ingrid Bergman, che divenne di dominio pubblico proprio nelle stanze del Grand Hotel in occasione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica del 1950.

Molto più dei requisiti richiesti dalla legge per le cinque stelle “di categoria”, il Grand Hotel Venezia ebbe un riconoscimento unanime per il consolidato prestigio e la sopraffina eccellenza che connotavano la sua identità. Quale fu il suo segno distintivo, quello che lo portò ad essere protagonista indiscusso dell’epoca?

Ospiti, visitatori e testimoni del Grand Hotel ci hanno tramandato atmosfere di lusso raffinato e sentimenti di bellezza e cura esclusiva: la collocazione sulle rive del Canal Grande, di fronte al tempio maestoso della Salute con prospetto sul bacino di San Marco, gli arredi sontuosi, il sapore della storia della Serenissima, la raffinatezza del servizio, la magnificenza delle stanze, una diversa dall’altra, la professionalità dell’”esercito” di camerieri – come ricorda Arrigo Cipriani che da adolescente fece il suo

apprendistato al Grand Hotel de Venise – sono gli ingredienti di un primato di assoluta eccellenza. Il Grand Hotel, soprattutto nei decenni di gestione Ciga, è stato il capofila, il biglietto da visita del brand dell’alta hotellerie nel mondo.

Abbiamo voluto ricreare nella mostra la suggestione di queste indimenticabili atmosfere esponendo una preziosa selezione di oggetti – divise, servizi in porcellana bianca, bicchieri di cristallo e preziosa argenteria – provenienti dalla collezione privata nata dalla passione di Walter Cesare, fondatore dell’Associazione culturale Le memorie della Compagnia Italiana Grandi Alberghi.

Nel percorso di ricerca per la costruzione della mostra quali sono state le fonti, gli archivi, i materiali, gli oggetti ritrovati più significativi e quali le difficoltà riscontrate?

Come poi tutto questo materiale è stato declinato nel percorso espositivo?

La mostra è stata realizzata grazie alla generosa collaborazione di alcuni importanti archivi fotografici. Il numero di scatti più consistente proviene dal Fondo Giacomelli del Comune di Venezia e dal Fondo Filippi di IPAV. Altre immagini, soprattutto gli interni del Grand Hotel, arrivano dal Fondo Alinari. Sono stati messi a disposizione del pubblico degli schermi con filmati d’epoca provenienti dall’Istituto Luce e dal British Pathé; sono state montate, grazie all’entusiasmo e alla professionalità delle risorse interne del Consiglio Regionale, una serie di interviste di persone coinvolte nella memoria di questa affascinante storia. Non essendo una sede museale, il percorso espositivo tiene conto della vita istituzionale di questi luoghi, optando per un allestimento leggero e poco invasivo. Le immagini d’epoca sono le prime protagoniste della mostra, arricchite dall’esposizione di oggetti del periodo della gestione Ciga. Ad arricchire il tutto, guide “tascabili”, giornali d’epoca, brochure in diverse lingue, illustrate con raffinatezza da celebri artisti, locandine, cartoline, cartoncini, biglietti, etichette che reclamizzavano il Grand Hotel Venezia che provengono da privati prestatori.

Il senso di accoglienza, l’ospitalità, l’amore per i viaggiatori emergono chiaramente dalla storia del Grand Hotel. In una città ad alto tasso turistico-alberghiero, quali elementi fondamentali dell’ospitalità restituisce la mostra? «Il lusso non è esibizione o ostentazione. È la perfezione del servizio, che deve avvenire nella semplicità, quasi senza farsi notare, mettendo al centro la persona, l’ospite». Questo il segreto della vera ospitalità secondo Arrigo Cipriani, un ‘segreto’ che il giovane Cipriani ha appreso alla scuola del Grand Hotel e che cerca tuttora di interpretare con il suo brand internazionale, personalizzando il più possibile accoglienza e servizio. La mostra ricostruisce, con suggestioni d’ambiente e atmosfere d’epoca, uno stile di accoglienza forse impossibile da riproporre con i grandi numeri del turismo di massa, ma che continua a rappresentare la cifra distintiva dell’ospitalità di eccellenza e di classe, coniugando l’amore per il bello con il piacere di abitare la storia.

Inevitabile, quindi, un confronto tra la Venezia di allora, prima dell’esplosione del turismo di massa, e la Venezia di oggi. Quale città emerge in questo progetto espositivo? Dal percorso espositivo emerge una Venezia dinamica e visionaria, ricca di energie imprenditoriali e di capacità realizzatrici, appetibile per gli investitori. Una Venezia che, vincendo le resistenze di vecchie aristocrazie o corporazioni tradizionaliste, inventa l’industria dell’alta hôtellerie, dando vita ad un marchio che tutto il mondo ha cercato di imitare, riuscendo a trasformare il proprio spazio urbano e il proprio capitale immobiliare.

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© IPAV Fondo Tomaso Filippi

arte

IN THE CITY GALLERIES

SAS @ SECRET APARTMENT PT2

Patrick Colhoun, Toni Gallagher, Martin Sexton, Andrea Morucchio, Sarah Pager, Jon Baker, Vanya Balogh, Susana Lopez Fernandez, Tiziana Mandolesi, Norman Normski Anderson, Gzillion Artist, Steve Pettengell, Marjorie Abela, Tomaž Kramberger, Simon Foxton, Nicole Farhi, Gavin Turk, Ann Grim, Cedric Christie, Paul Sakoilsky, Michael Croft, Esther Planas, Jim Racine, Thomas J Ridley & special guests

SAS è una mostra site-specific originale, progettata come una capsula spaziale per i due momenti fondamentali di Biennale Arte 2024, la settimana di apertura (svoltasi dal 16 al 20 aprile) e la settimana di chiusura (il secondo capitolo si svolgerà dal 18 al 24 novembre), con sette artisti internazionali e i loro ospiti speciali. Una mostra modulare che esplora trame e narrazioni divergenti, dando spazio a incontri intimi con opere d’arte intriganti e il cui spazio espositivo trova perfetta collocazione nelle stanze di un appartamento privato proprio in Campo della Tana. Curato da Ann Grim con la collaborazione di Andrea M e Vanya B, il progetto originale cattura il mini zeitgeist nelle vite di 14 artisti internazionali, l’adesso e l’oltre del loro universo, una risposta e un riflesso post-pandemico, nel mondo sempre più frammentato, schizofrenico, iper militante e complesso che si sta evolvendo intorno a noi. Collegandosi al discorso generale di Foreigners Everywhere ed esplorando i temi della biologia, dei rifiuti, della scienza, della violenza, della tecnologia, dello spostamento, della manipolazione mediatica, della politica di potere, del sesso insopportabile e della guerra inevitabile, le opere presentate esprimono e divulgano una destinazione ambigua per l’umanità, indagando contemporaneamente lo spazio di tensione tra reale e immaginario. Una selezione di idee site-specific progettate per gli interni si scontra orizzontalmente con oggetti di tutti i media, accuratamente integrati nelle stanze di questa labirintica anarchitettura. Il fuori luogo e il fuori tempo, lo strano e l’inquietante sono costantemente rivisitati mentre ci si sposta da uno spazio all’altro, confrontandosi con dichiarazioni d’intenti scortesi, inaspettate e provocatorie. In un certo senso, queste opere ribelli tentano di raccogliere la sfida di trattare l’in-

soddisfazione, l’abiezione e la psicopatologia nel modo più intenso. Sono gli slittamenti, le incoerenze e gli enigmi visivi a rendere questo allestimento surreale un’esperienza visiva intrigante, giocosa e contemplativa. La mostra contiene contenuti sensibili ed è visitabile solo su appuntamento.

ENG SAS is an original site-specific exhibition, imagined as a space capsule for two essential moments at the 2024 Venice Art Biennale: the opening week (the past April 16 to 20) and closing week (due November 18 to 24), starring seven international artists and their special guests. A modular exhibition explores divergent plots and narratives, giving space to intimate encounters with intriguing art in the setting of a mysterious secret apartment. Occupying a space at the centre of the Biennale action, close to the iconic Arsenale, and curated by Ann Grim, this unique artist-led project captures the Zeitgeist in the lives of fourteen international artists, the now and beyond of their universe, a post pandemic response and reflex, in the ever more fragmented, schizophrenic, hyper militant, complex world that is evolving around us. Connecting to general discourse of Foreigners Everywhere and exploring the themes of biology, waste, science, violence, technology, displacement, media manipulation, power politics, the unbearable sex and inevitable war, the art expresses and divulges an ambiguous destination for humanity while investigating tension space between real and imagined. A selection of site-specific ideas designed for the interior, horizontally collide with objects in all media, which are carefully integrated across the rooms of this labyrinthine anarchitecture

The out of place, the out of time, the weird, and the eerie are constantly revisited as one moves from space to space, confronted with rude, unexpected, provocative statements of intent. In some respect, these rebellious art attempts to rise to the challenge of treating discontent, abjection, and psychopathology in a most intense fashion. It is the slippage, incoherence, and visual conundrum that make this surreal set-up an intriguing, playful, contemplative visual experience. This exhibition contains sensitive content and is by Appointment Only.

Secret Apartment (3rd floor), Campo Della Tana, Arsenale empire2.info/sas

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Cedric Christie, Marjorie Abela, Steve Pettengell, Vanya Balogh, Susana Lopez, Ann Grim and Gzillion Artist - Photo Tomaž Kramberger Steve Pettemgell , Majorie Abela , Tomaž Kramberger, Vanya Balogh & Norman Anderson - Photo Tomaž Kramberger

GALLERIA RAVAGNAN ATTASIT POKPONG

Flowering Branch

28 giugno June -12 luglio July

Galleria Ravagnan offre un interessante viaggio attraverso i dipinti di Attasit Pokpong (1977), artista thailandese che vive e lavora a Bangkok, considerato una delle stelle della scena artistica contemporanea del suo Paese. Formatosi al Rajamonkong Institute of Technology di Bangkok e laureatosi in Arte al Rajamonkong Technology Centre di Bangkok, i suoi primi lavori sono cronache visive colorate e impressioniste tratte direttamente dalle strade cittadine brulicanti di traffico o dai mercati dei fiori di Bangkok. Successivamente l’artista si afferma per i raffinati ritratti ravvicinati di donne asiatiche, in bilico tra realismo e cultura pop, con soggetti scelti prevalentemente tra i membri della sua famiglia. Lavorando sia con l’acquerello che con la pittura a olio, Pokpong utilizza spesso un contrasto di colori chiari per i volti dei suoi soggetti e scuri per gli sfondi, con riflessi vivaci per le labbra e i capelli o gli oggetti come gli occhiali. Una galleria di ritratti che saprà sorprendere.

ENG Galleria Ravagnan will take you on a journey using Attasit Pokpong’s art. Pokpong (b. 1977) is a Thai artist living and working in Bangkok and enjoying great renown in his country’s art scene. His first works are colourful, impressionist visual chronicles directly inspired by the urban visions of the incredibly busy streets of Bangkok or its flower market. Later, Pokpong began focusing on refined close-up portraits of Asian women, halfway between realism and pop culture, with the subjects picked mainly from his family members. The artist uses both oil and watercolour, and often employs contrasting light colours for faces, and dark hues for backgrounds. We will be looking at a surprising portrait gallery.

Piazza San Marco 50/A www.ravagnangallery.com

FONDAMENTA SANT’ANNA ANDREA MORUCCHIO

The Puzzling Classics Show

Fino Until 22 giugno June Migliaia di tessere fotografiche di motivi geometrici, fitomorfi e zoomorfi provenienti dal mosaico pavimentale della Basilica di San Marco, che l’artista aveva realizzato a partire dal 2015, vengono composte nel nuovo progetto Puzzling Classics. Andrea Morucchio, capace di muoversi liberamente attraverso i linguaggi della scultura, dell’installazione, del video, della fotografia e dell’arte digitale, riordina e riposiziona queste tessere in forma di mosaico, creando reinterpretazioni affascinanti dei dipinti di maestri del Rinascimento. Tra le opere esposte tratte da capolavori di Tintoretto, Giampietrino, Tiziano, Palma il Vecchio, Veronese, Giorgione e Leonardo spicca l’opera più grande, intitolata Il Paradiso, che assume una dimensione “installativa”, espandendosi nello spazio circostante; sei piatti quadrati, affissi alla stessa parete, raffigurano personaggi estrapolati dall’opera principale, aggiungendo un livello di profondità e coinvolgimento all’esperienza artistica complessiva. La mostra è prodotta da Bugno Art Gallery in collaborazione con Durjoy Bangladesh Foundation.

ENG Thousands of photographic tiles depicting geometric, phytomorphic, and zoomorphic motifs from the mosaic floor of the Basilica of San Marco, which the artist had been creating since 2015, are assembled in the new project Puzzling Classics Andrea Morucchio, who moves ably between the languages of sculpture, installation, video, photography and digital art, rearranges and repositions these ‘tiles’ in mosaic form, creating fascinating reinterpretations of Renaissance Master paintings. Fondamenta Sant’Anna, Castello 996/A www.bugnoartgallery.com

GALLERIA RAVAGNAN

JIGGO PEERAPOL

Oh, My Plastic Heart!

14-28 giugno June

Jiggo Peerapol dipinge sculture giocattolo di plastica colorata, simboli luminosi e non minacciosi, immaginari costruiti attraverso punti fermi della nostra infanzia, tuttavia leggermente modificati e caricati di nuovi significati. Personaggi che vivono in un universo surreale che sembra impossibile. Tutti conoscono i protagonisti di queste strampalate cronache che l’artista thailandese costruisce con meticoloso realismo, dove la finzione e l’ironia rendono più vivido il contemporaneo rappresentato. Infatti nei suoi dipinti/sculture qualcosa di ansioso si aggira sempre agli angoli del mondo kawaii, i cieli azzurri e le superfici caramellate sembrano un velo che nasconde una pericolosa verità. L’artista non si pone limiti, rimanendo in bilico tra il gioco e la creazione, anzi muovendosi libero in questa terra di mezzo, senza ricercare etichette o identità precise. La sua tecnica è fotorealistica, con superfici pulite e lucide, linee nitide e colori perfettamente sfumati, ma il soggetto è leggermente fuori posto. «Ogni volta che dipingevo esseri viventi, sembravano sempre oggetti – spiega il trentenne artista di Pathum Thani – Tutto ciò che dipingo sembra innaturale, le persone sembrano di gesso». Così un ‘difetto’ è diventato un marchio di fabbrica.

ENG Coloured plastic toy sculptures, bright, friendly symbols, images built upon childhood memories, though ever so slightly altered and loaded with new meanings. These characters live in a surreal universe that looks impossible. All know the protagonists of these crazy stories, which Thai artist Jiggo Peerapol builds with perfect realism, on to a place where irony and fiction make modern subjects all the more vivid. “Every time I painted living subjects, they always looked like objects. Everything I paint looks unnatural.” A ‘flaw’ turned into inimitable style.

Dorsoduro 686 www.ravagnangallery.com

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arte

NOT ONLY VENICE

E le stelle non stanno a guardare Crescere con le aiuole d’arte di Olimpia Biasi

Olimpia Biasi, che vive in provincia di Treviso, coltiva da sempre il suo giardino personale, brolo e hortus conclusus fatto di aiuole dell’anima, promessa di verde e di metamorfosi che ritorna ad ogni stagione.

Non si tratta, in realtà, di un giardino solo, ma di molti in uno: c’è infatti quello vero, di casa, libero da geometrie e schemi prestabiliti, con le sue aiuole amorevolmente curate di terra e di fiori, e quello che risponde al richiamo artistico della aisthesis o intuizione, all’“ispirare” trattenendo il fiato davanti al reale, pieni di quel senso di meraviglia e di stupore che rende capaci di provare un’esperienza mistica come quella della badessa benedettina e naturalista nata alla fine del Mille, Hildegard von Bingen, che rivela come «in ognuno di noi ci sia il Cielo e la Terra». Anche se per Rainer Maria Rilke 1di vicino c’è solo il Dentro; tutto l’altro è lontano. E questo Dentro è denso e quotidiano, folto di cose e del tutto indicibile». Nasce quindi con queste affascinanti premesse, la mostra Per un’aiuola di stelle (il titolo è ripreso da un verso tratto dalla raccolta di Iris selvatico di Louise Glück, poetessa statunitense e Premio Nobel per la Letteratura 2020) che vede protagonista una partitura o composizione poetica, suite composta da Disegni, Teleri, Arazzi, Libri d’artista, Tele, Garze e nuovi Erbari all’insegna dell’estro creativo e della musicalità dell’artista.

Riprendendo Chatwin, la Terra deve prima esistere come concetto mentale, poi la si deve cantare: solo allora si può dire che esista, e darle corpo attraverso i segni e il colore. La sua arte è perciò una testimonianza di come tutto sia in relazione e di come, afferma la curatrice dell’esposizione Myriam Zerbi, «tra realtà e fantasia, con pensosa levità», si possa raccontare «quell’eterno brulicare della vita in ogni cosa e la radicale interconnessione di tutti gli esseri e gli enti dell’Universo». Olimpia lo fa per mezzo di materiali eterogenei, dalla pittura al vetro, dall’incisione al collage polimaterico alla tessitura a mano su garza e rete. Nei suoi Erbari – omaggio agli Erbari miniati di essenze vegetali tra fine Trecento e Quattrocento come quello Carrarese e a Petrarca giardiniere – e Libri d’artista, definiti da Cristina Beltrami opere di “altissima densità decorativa”, il figurativo insegue l’astratto in immagini visive corredate da pensieri e citazioni, ricami empirici di arabeschi, collages che sono viaggi nel mondo della natura, fatti di semi, piume, legnetti, corde, conchiglie, foglie e disegni come ‘torrenti’ danzanti di insetti, api, farfalle, bruchi, lumache, libellule e uccelli, a sollecitare i nostri sensi. Venezia stessa appare come «una colombaia dorata sull’acqua». Creature vive e fluttuanti, nelle loro trame e trasparenze leggere e materiche, sono i lunghi Teleri ed Arazzi, energie della natura come Lingue di fuoco e Capelli pazzi che gridano, per non rimanere soffocati dalle vitalbe, tra “lampi e faville di spiritualità”, e ancora slanci vitali di vita e di guerra, con strappi e ricuciture divisi nella loro dinamicità cromatica come nella installazione mixed media dei quattro elementi: è così difficile, si interroga, «Rammendare la pace»?

Olimpia Biasi. Per un’aiuola di stelle Fino al 7 luglio, Museo Eremitani, Padova padovacultura.padovanet.it

Bastasse fare come si faceva nella sua infanzia, durante la quale «rammendare era una necessità ma anche un atto d’amore”, tutto femminile, occorre dirlo, che presupponeva «pazienza, attenzione, delicatezza». Per Daverio i suoi dipinti sono «illuminazioni, lampi di consapevolezza, pulsioni materiche», mentre i «i disegni sono narrazioni». Il fil rouge è un diario sensibile di luce dei giorni e delle notti. Perché lei, tra natura e poesis, scrive Annamaria Orsini, «accende lumi, piccole luci, bagliori», tesse persino arazzi teatrali intrecciando a mano, con pazienza certosina, su rete metallica, innumerevoli fascette di tessuti di recupero, ripresi da capi d’abbigliamento dismessi e raccolti in collaborazione con McArthurGlen Designer Outlet di Noventa di Piave, in Come un manto per le lucciole. E ancora, semina, 1come uomo e donna che formano tra loro un giardino», tentando di formare quell’aiuola fiorita, che preda di quel suo Invadente sole, quello di un «pomeriggio d’estate», teme il sopraggiungere della «sera gelida» in cui “tutto potrebbe finire”, e ricerca la Viriditas e lo Spirito paraclito nelle Stelle impermanenti di ri-nascite, stelle che non stanno a guardare, ma si muovono. Frammenti di infinito che fanno eco ai quanti del fisico ed imprenditore vicentino e statunitense Federico Faggin e che sono parte di un tessuto cosmico più grande e inenarrabile nella sua totalità, ma non così impossibile da raggiungere, almeno attraverso il sogno. Anche se, come scriveva Emily Dickinson, «per fare un prato ci vuole un trifoglio, un’ape e un sogno, ma il sogno da solo non può bastare se le api sono poche», e «i fiori non possono morire nel bosco senza il beneficio di sapere che sono belli». E allora ci soccorre forse lo stesso cielo stellato di Giotto alla Cappella degli Scrovegni, «quel blu dilavato dalla pioggia del tempo che accoglie l’eterno fiorire pulsante», che ha fatto riflettere l’artista proprio su come «il mondo non sia altro che una «grande aiuola coperta da un lenzuolo di stelle narrata nei libri e nelle mani degli artisti». Del resto anche Van Gogh ci aveva provato a raccontarla, nel suo Caffè di notte e nella sua Notte stellata Luisa Turchi

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Olimpia Biasi, Per un’aiuola di stelle
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UN ACQUARIO DI VETRO ALLA STAZIONE DI VENEZIA *

* Questa nota anticipa alcuni risultati di uno studio promosso dalla Fondazione Alma Dal Co ETS. Desidero ringraziare Camillo Tonini, Marzia Salon, Chiara Tosi, Marco Cenedese per spunti e incoraggiamenti. Rimangono miei errori, omissioni ed interpretazioni delle vicende.

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Alla Stazione di Venezia Santa Lucia passano oltre 30 milioni di viaggiatori all’anno. Anche coloro che indugiano sulla scalinata non si accorgono di essere visivamente immersi in un acquario. Non una targa, non una informazione annuncia che l’iniziazione alla città delle trasparenze è già cominciata nel momento stesso in cui, all’occhio del visitatore, si disvela il Canal Grande

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STAZIONE SANTA LUCIA

L’acquario di vetro di Murano della Stazione di Venezia (foto 1) si articola in tre gruppi di sei pannelli ciascuno, separati dai pilastri di sostegno e contenenti formelle di vetri decorati che costituiscono i lucernari della pensilina sovrastante il piano di affaccio sulla scalinata verso il canale.

L’architetto Paolo Perilli completò la Nuova Stazione di Venezia disegnando un robusto, eloquente sostegno per i pannelli: le formelle sono incastrate e sospese nell’intelaiatura di acciaio, sotto la quale è steso un trefolo di ottone i cui “punti di incrocio” vogliono apparire come nodi di una rete (foto 2). Se l’orientamento delle maglie fosse stato ortogonale il pannello sarebbe apparso come se fosse rivestito di mattonelle, mentre con l’orientamento non ortogonale il pannello diventa una rete da pesca, dove i pesci di maggiori dimensioni, travalicando i limiti della singola formella-maglia, appaiono irretiti nella metafora stesa dall’architetto. Per ottenere questo effetto il maestro vetraio ha prima realizzato il pesce e poi lo ha tagliato per incastrarne le parti nelle maglie (foto 3).

Gli animali marini nuotano tra alghe che salgono dal fronte del Canale, trattenuti dalle reti di ottone dei pannelli rettangolari che danno una luce colorata all’accesso alla Stazione – per chi parte – e alla scala – per chi arriva.

Ogni pannello è di circa 8 metri quadri e contiene 104 formelle di cui 18 triangolari. 1.872 formelle coprono oltre 140 mq di superficie, dando corpo ad una delle opere di Murano più importanti oggi esistenti.

La pensilina ha struttura simmetrica: verso l’esterno è aggettante e cieca, verso l’interno è illuminata dai lucernari. I tiranti simmetrici di sostegno sono fermati sui pilastri che scandiscono le tre serie di pannelli. Essa copre l’intero affaccio sulla gradinata che porta al piazzale, dotata di 12 scalini contro i 16 della Madonna della Salute. Queste scelte di ampio respiro del progettista consentiranno alla

Stazione di affrontare con successo l’enorme sviluppo funzionale dei decenni successivi, l’impennata dell’interscambio con i mezzi d’acqua, nonché l’aumento del flusso pedonale tra la Stazione e Piazzale Roma indotto dal nuovo ponte.

Tra gli amici veneziani intervistati pochissimi conoscono l’acquario e neppure quei pochi sono in grado di risalire all’autore e all’esecutore. Il biglietto da visita della città del vetro rimane nell’oblio. Eppure, come dicono i numeri, ci troviamo non di fronte, ma quasi sommersi da un’opera imponente.

Le ricerche nelle biblioteche, nelle riviste, negli archivi non hanno dato ancora risposte definitive al primo quesito né al secondo: chi ha eseguito l’acquario, in quale fornace?

Per inquadrare le scarse memorie storiche trovate fino ad ora, ci fermeremo in altre stazioni che precedono, nel tempo, la Nuova Stazione di Santa Lucia. Il rinnovamento della Stazione si protrae per due decenni a cavallo della Seconda Guerra Mondiale e per questo motivo il cantiere non solleva più interesse nell’opinione pubblica. Esso ripropone le incertezze progettuali e le traversie realizzative tipiche delle opere pubbliche. Probabilmente per lo stesso motivo, la cronaca non ne parla: la Stazione di S. Lucia diventa un argomento inattuale. Episodi minori di cronaca stimolano articoli della stampa e filmati Luce che ritornano con insistenza nei giorni o nelle settimane successive. Ciò non accade per la Stazione che ha una “copertura” sfuggente. Durante i tre anni di conclusione dei lavori c’è poco altro. Fino ad oggi non abbiamo trovato documenti relativi all’autore, al progetto dell’acquario, alla realizzazione, alla data di esecuzione. Diversi esperti ritengono probabile che l’acquario sia stato disegnato da Riccardo Licata, all’epoca giovane collaboratore della vetreria Cenedese, nella quale operava già Napoleone Martinuzzi. A Martinuzzi si devono le due colonne collocate originariamente nel ristorante della Stazione e rivestite di vetro pulegoso verde, un vetro che lo

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stesso Martinuzzi ha inventato, come il vetro “scavo”, per disporre di un materiale consono alla sua interpretazione scultorea del vetro lavorato. Oggi solo una delle due colonne ha ancora il rivestimento di vetro ed è parzialmente visibile, perché rimane “incantonata” in una nicchia angusta di cartongesso ed è sempre parzialmente coperta da espositori commerciali nel bar della Stazione. L’altra colonna è stata spogliata del rivestimento ed è circondata dal via vai dei passeggeri (foto 4) .

L’attribuzione delle formelle dell’acquario a Licata si basa su considerazioni storiche, stilistiche e tecniche. L’esecuzione dei pesci e degli animali marini sembra riconducibile alle lavorazioni dei pesci “sommersi” di Licata, che condividono lo stile realistico degli animali dell’acquario (foto 5).

La Soprintendenza ha posto un vincolo sulla Stazione nel 2016 successivamente alle segnalazioni di Franco Miracco, che nell’articolo L’espansione “marcopoliana” perduta, su La Nuova Venezia del 30 aprile 2013, lamentava uno sfruttamento commerciale incurante dei pregi architettonici e della qualità della decorazione della Stazione. Il ritardo trova possibile giustificazione nella congiuntura avversa: una stampa distratta, una valutazione critica negativa del progetto e l’opposizione di Grandi Stazioni. La mancata tutela nel periodo di attuazione dei lavori di ammodernamento ha consentito manomissioni di elementi decorativi importanti all’interno della Stazione. L’acquario versa oggi in condizioni precarie. Gli attuali lavori di rifacimento dell’intera scalinata si sviluppano a poche decine di centimetri dai lucernari, con qualche rischio. L’illuminazione è affi-

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Foto 2 Alberto Perilli, disegno del sistema di sostegno delle formelle e dell’incrocio del trefolo - Archivio Fondazione FS Italiane Foto 3 Pannello n. 3

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STAZIONE SANTA LUCIA

data a tubi fluorescenti obsoleti, che forniscono una luce a bande di intensità alternata, instabile e di colore freddo. Critica appare la condizione delle formelle di vetro. Su 1872, circa 300 sono decorate con animali, oltre 700 con alghe verdi lunghe, le altre rappresentano la trasparenza dell’acqua, a volte con grumi di colore che forse alludono ad alghe galleggianti o a piccoli animali difficili da identificare. Oltre alle tre tipologie principali, animali, alghe verdi, acqua, vi sono anche una trentina di formelle “neutre”, ossia di un colore più omogeneo e di un vetro meno trasparente: forse si tratta di pezzi introdotti in sostituzione di originali perduti. I numeri sono imprecisi, perché a volte le forme volute dal progettista non sono riuscite compiutamente e lasciano spazio alle interpretazioni soggettive di chi osserva. Le formelle neutre si concentrano nei pannelli 1, 2 e 3, cominciando la numerazione dal lato nord. Ciò induce a ritenere che l’ordine originale nei primi tre pannelli sia stato manomesso e diverse formelle siano state rimpiazzate con quelle neutre durante interventi manutentivi. In questi pannelli il disegno appare confuso (foto 6): le alghe dovrebbero salire dal fondale, immaginato sul lato del Canal Grande, per salire verso la superficie dell’acqua, immaginata sul lato dei binari. Qui, invece, le alghe sono orientate in modo non univoco, con diversi pesci in posizioni meno naturali rispetto agli altri pannelli, e addensamenti di colore e di formelle neutre che evidenziano strappi nella regolarità della rete. Regolarità che si ritrova nei pannelli collocati più a sud, come il n. 14 (foto 7).

Il pannello n. 6, infine, ha un numero di animali nettamente inferiore agli altri: 8 contro la media di 15, con uno scostamento molto superiore al coefficiente di variazione della distribuzione. Esso presenta anche una concentrazione di vetri con colorazione rosso-arancio (foto 8). È probabile, quindi, che anche questo pannello presenti delle anomalie dovute alla manutenzione o forse addirittura risalenti alla fase di installazione.

Ma quali sono i trecento animali che volteggiano tra le maglie delle reti dei lucernari?

Abbiamo contato una decina di meduse (tra cui probabilmente aequorea, cassiopea, carybdea), decine di pesci diversi (tra cui sembrano potersi riconoscere saraghi, balestre, pesci-scorpione, pesci equatoriali), sicuramente un ippocampo, un polipo, un’aragosta, una seppia, anguille, oloturie. La realizzazione in vetro non mirava al realismo, per cui la breve lista è frutto di un’interpretazione, che però aiuta a riconoscere quanto le riproduzioni attingevano probabilmente a cataloghi degli animali della laguna e dei mari. Giunto alla stazione di arrivo, il nostro breve viaggio non ha recato risposte definitive. Possiamo però affermare che per contingenze storiche e per motivi critico-ideologici la Nuova Stazione di Venezia Santa Lucia è stata oggetto di una valutazione negativa immotivata. Le sue qualità sono rimaste ignorate dai media e dalla critica, perché il cantiere si era protratto per decenni e quindi non faceva più notizia. La Stazione fu in seguito affidata a Grandi Stazioni senza un vincolo da parte della Soprintendenza, intervenuto solo dopo rilevanti manomissioni degli arredi e delle decorazioni. Queste ragioni hanno fatto scivolare nell’oblio l’acquario di vetro. Da questo oblio, nuove opere di tutela, di restauro dell’arredo e di ripristino del decoro della Stazione di Santa Lucia, accompagnate da ricerche sulla disposizione dei pannelli e delle formelle, sul progetto e sulla sua esecuzione, restituiranno allo splendido lucernario la luce e la visibilità che merita.

Foto 5 Acquario in vetro sommerso di Riccardo Licata, produzione Cenedese, Anni Cinquanta

PER SAPERNE DI PIÙ

Sabina Carboni, Virginio Vallot Progetti per Venezia, riporta diversi disegni presentati al Concorso https://bit.ly/3yOpiep

Grandi Stazioni Rail, Venezia S. Lucia, https://bit.ly/4aEqkqJ

Grandi Stazioni rinuncia al restauro delle parti storiche, La Nuova Venezia, 26 aprile 2013

Enrico Tantucci, Stazione di Santa Lucia nel segno del commercio, La Nuova Venezia, 26 marzo 2013

Riccardo Renzi, Venezia Santa Lucia, la scuola fiorentina al concorso del 1934, Trasporti & Cultura n. 38, gennaio-aprile 2014

Franco Miracco, L’espansione “marcopoliana” perduta, La Nuova Venezia, 30 aprile 2013

Carla Uberti, Il ponte ferroviario e la stazione in: Lionello Puppi, Giandomenico Romanelli (curatori), Le Venezie possibili. Da Palladio a Le Corbusier, Electa 1985

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Foto 4 La colonna superstite di Napoleone Martinuzzi

Alma Dal Co

«Sono affascinata da come si presentano e si sviluppano funzionalità complesse nei sistemi biologici. Ora studio una varietà di sistemi multicellulari, dalle comunità batteriche agli organi in via di sviluppo. Se non sono in laboratorio, sono al pianoforte. Se non sono al pianoforte, sono sott’acqua a pescare in apnea» (dal sito di Alma Dal Co ad Harvard).

La Fondazione Alma Dal Co ETS

Il 14 novembre 2022 Alma è deceduta a Pantelleria in un incidente in apnea. Per ricordarla è costituita la Fondazione Alma Dal Co ETS: «La Fondazione ha lo scopo di conservare, promuovere e valorizzare lo spirito e la visione scientifica che hanno caratterizzato l’impegno di Alma Dal Co nello studio, nella ricerca, nella didattica e nella musica» (Statuto art. 2).

Attività del 2024

Alma Dal Co Memorial Lecture si è tenuta il 29 marzo 2024 all’Università di Harvard. Il Professor Uri Alon del Weizmann Institute of Science di Rehovot di Israele ha tenuto la lezione: Un approccio circolare per comprendere l’invecchiamento. La Fondazione ha sostenuto la partecipazione dei ricercatori offrendo una settimana dedicata agli incontri con i gruppi di ricerca di Harvard e MIT. ISME Alma Dal Co Early Career Award verrà consegnato durante il 19° Simposio internazionale sull’ecologia microbica di ISME, a Città del Capo, in Sud Africa dal 18 al 23 agosto 2024. ISME è un’associazione scientifica internazionale per la ricerca nell’Ecologia Microbica. La Seconda Edizione del Premio Alma Dal Co e Concerto dei Vincitori si terrà sabato 30 novembre 2024 alle 17.30 nella Sala dei Concerti del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia.

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Foto 6 Pannello n. 2 Foto 7 Pannello n. 14 Foto 8 Pannello n. 6
almadalcofondazione.org

a L’UNICO POSTO AL MONDO

Studiando la storia della musica antica

mi sono orientato su un contrappunto di estrema varietà, passando da melodie al flauto ad andanti maestosi

Il 5 dicembre del 1982 va in onda la prima puntata di quello che probabilmente è stato l’ultimo dei grandi sceneggiati RAI, Marco Polo di Giuliano Montaldo, grande del cinema italiano scomparso nel settembre scorso. Prima collaborazione tra una televisione occidentale e una cinese, venne finanziata da parte delle imprese statunitensi NBC e Procter & Gamble, dalle giapponesi Tentsu e TBS, e dalla CCAA cinese (film Cina-produzione). Come raccontava lo stesso regista, l’idea dello sceneggiato venne all’allora direttore della RAI dopo avere incontrato i membri di una delegazione italiana di ritorno da un viaggio a Pechino, verso la fine degli anni ‘70, una delle prime visite ufficiali in Cina dopo la Seconda Guerra mondiale. La delegazione era rimasta piacevolmente sorpresa nel vedere che i funzionari cinesi brindavano a Marco Polo come a un “italiano amico della Cina”. Il progetto venne visto da tutti produttori come un’occasione di distensione nei rapporti con l’Oriente, dopo la Guerra Fredda.

La colonna sonora dello sceneggiato, tra le pagine più memorabili scritte dal genio di Ennio Morricone, viene eseguita dal vivo in prima assoluta il 29 giugno in Piazza San Marco, nell’ambito delle celebrazioni per i 700 anni dalla morte del viaggiatore e letterato. Ennio Morricone – Marco Polo Soundtrack è una produzione Zen Production realizzata in collaborazione con Veneto Jazz e con il patrocinio della Città di Venezia, del Comitato nazionale per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Marco Polo e di Vela Spa, su un progetto dell’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta. In scena troviamo i Cantori Veneziani, con la direzione di Danilo Rossi, prima viola del Teatro alla Scala di Milano. Una produzione inedita che abbraccia musica, cinema e storia, resa possibile dalla collaborazione con la RAI, che ha messo a disposizione le immagini, e con la famiglia Morricone, che ha concesso le partiture originali. Lo sceneggiato fu presentato alla stampa e agli addetti ai lavori nel settembre 1982 con una proiezione riservata alla Fenice alla presenza, tra gli altri, dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Non poteva quindi che essere Venezia il teatro di questo nuovo progetto che incrocia diversi destini, come quello del maestro Danilo Rossi che dirigerà il concerto, il quale racconta di essersi appassionato alla viola proprio ascoltando il Tema di Marco, tanto da acquistare e suonare lo strumento che fu di Dino Asciolla, il solista che incise la colonna sonora nel 1982.

On December 5, 1982, an epoch of renowned TV drama by Italian state broadcaster RAI came to an end: Marco Polo by Giuliano Montaldo hit the screens. The production is notable for being the first Chinese/western cooperation. It was co-funded by the American NBC and P&G, Japanese Tentsu and TBS, and by China’s CCAA. The idea came to the then-RAI director after meeting an Italian legate to China, who told of Chinese appreciation for the figure of Marco Polo, considered an “Italian who is friends with China”. Film seemed a good way to relax relationships with the East.

The series’ soundtrack is a memorable creation by Ennio Morricone, and it will be performed live in Venice for the 700 since Marco Polo’s death on June 29. Performers for Ennio Morricone – Marco Polo Soundtrack include the Cantori Veneziani chorus conducted by Danilo Rossi, also violist at the Scala Theatre in Milan. Zen Production and Veneto Jazz will co-produce, and will enjoy the patronage of the City of Venice. The show embraces a rich heritage of music, cinema, and history. Special thanks go to RAI, who licensed imagery, and to the Morricone family, who loaned the original scores.

Ennio Morricone – Marco Polo Soundtrack 29 giugno Piazza San Marco www.venetojazz.com

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music
di Daniele Pennacchi

IL VOLO

Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble hanno deciso di festeggiare con il pubblico italiano i 15 anni di carriera portando sul palco brani inediti e i più grandi successi della tradizione musicale italiana e del proprio repertorio.

L’evento si inserisce all’interno del tour Tutti per Uno - Capolavoro, che vedrà il gruppo esibirsi in tutta Italia nel corso dell’estate. I tre esordiscono nel 2009 come singoli partecipanti al Talent show di Rai Uno Ti lascio una canzone, dove vengono notati da Michele Torpedine, manager che ha costruito le carriere di Andrea Bocelli, Zucchero, Giorgia e Biagio Antonacci che decide di intraprendere con loro un percorso artistico internazionale, contando sulle loro straordinarie doti vocali.

4 luglio

POOH

Appuntamento il 5 e 6 luglio con la musica di una delle band più longeve e amate dal pubblico, quei Pooh che per la prima volta suonarono a San Marco nel 1976 in occasione dei primi 10 anni di attività.

«Per ringraziare la vostra passione e onorare la nostra musica – spiegano Facchinetti e soci – abbiamo scelto una serie luoghi in cui tutto prende un senso e diventa magia. Vi aspettiamo per cantare e condividere una storia che oramai appartiene a tutti voi». Due concerti imperdibili per rivivere ancora una volta la storia dei Pooh attraverso i loro più grandi successi, da Amici per sempre a Tanta voglia di lei, da Parsifal (capolavoro della band uscito nel 2023 in una speciale versione per il 50° anniversario) a Dammi solo un minuto, solo per citarne alcuni. 5, 6 luglio

UMBERTO TOZZI

Un concerto attesissimo che Tozzi ha annunciato nel marzo scorso a Parigi, nella più antica sala da concerti della Ville Lumière, il Teatro Olympia, dando il via alla febbrile ricerca di biglietti.

Artista capace di vendere in carriera oltre 80 milioni di dischi ed esibirsi in oltre 2000 concerti dal vivo, Tozzi sarà protagonista di un live nel salotto della città storica il 7 luglio, nell’ambito di L’ultima notte rosa, tour mondiale lungo due anni con cui darà l’addio alle scene dopo oltre 50 anni di gloriosa carriera. Un evento che chiude una quattro giorni in cui la musica italiana più seguita mette Piazza San Marco ancora una volta al centro del cartellone musicale del nostro Paese. 7 luglio

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musica

Nato e cresciuto

Da più di un decennio Giovanni Guidi è un artista di riferimento della leggendaria etichetta ECM, fondata da Manfred Eicher. Le sue esplorazioni e collaborazioni hanno attraversato paesaggi che passano dai toni più lirici e sparsi ad un’improvvisazione libera e senza compromessi, da letture attente della tradizione ad approcci più aperti, dialogici, astratti e sperimentali. Joe Rehmer (Jim Black, Michael Blake, Enrico Rava, Gianluca Petrella, Maria Schneider, Dave Liebman, Avishai Cohen e fondatore del trio Hobby Horse) ed Enrico Morello (Enrico Rava Special Editions, Alessandro Lanzoni), compagni di viaggio da lunghissima data, completano The Falcon, un trio affiatatissimo attraverso cui apprezzare la complessità e varietà delle esperienze musicali dei suoi membri.

Un “ragazzo di talento che ha dovuto crescere in fretta”, come lui stesso si è definito spesso, nato e cresciuto a stretto contatto con la musica che il 22 giugno alla Fenice si presenta al pubblico tra gli ospiti più attesi dell’edizione 2024 del Venezia Jazz Festival.

Centrale nel suo percorso è stata di sicuro la figura proprio di Enrico Rava, suo autentico mentore artistico e amico fraterno del padre di Giovanni, Mario Guidi, scomparso nel 2019 e capace di inventare la figura del manager musicale, fondatore nel 1991 della MGM Produzioni Musicali, agenzia tra le migliori a livello internazionale che l’ha condotto nel 2018 alla vicepresidenza dell’Associazione nazionale IJN legata alla Federazione Nazionale Il Jazz Italiano. ENG For over a decade now, Giovanni Guidi has been an anchor of legendary record label ECM. His explorations and collaborations range from the lyrical to the improvisational, from rigorous fealty to tradition to more open, dialogic, abstract, and experimentational attitudes. Longtime music partners Joe Rehmer and Enrico Morello complete The Falcon, a trio that won’t fail to impress for the complexity and diversity of musical experience of each member. A ‘talented young man who had to grow up fast’, as he says of himself, Guidi is a much-anticipated guest at the Venezia Jazz Festival, and will perform at the Fenice Theatre on June 22.

Giovanni Guidi Trio 22 giugno Teatro La Fenice www.venetojazz.com

Blowin’ in the jazz Roberts e Vignato mischiano le carte allo Squero

Due generazioni a confronto, riunite in un incontro speciale tra il leggendario violoncellista americano Hank Roberts e il trombonista italiano Filippo Vignato. Collaboratori di lunga data nella band italo-americana Pipe Dream, grazie ad una profonda intesa reciproca, umana e musicale, hanno deciso di collaborare anche nell’intimo format del duo: nel 2019 con Ghost Dance ed ora con il nuovo capitolo discografico, Adagio, in uscita il 14 giugno per Hora Records, proprio il giorno prima del concerto allo Squero di San Giorgio che li vede protagonisti per il Venezia Jazz Festival 2024.

Entrambi hanno fatto della libertà creativa e del superamento dei confini di genere un tratto saliente del proprio universo musicale. In Adagio, fondono e rimescolano i loro unici suoni reinventando di continuo ruoli e gesti musicali, muovendosi tra passaggi cameristici, folk songs, improvvisazione libera e molto altro.

Nato a Terre Haute, nell’Indiana, Roberts si è inizialmente fatto conoscere nella leggendaria scena downtown di New York degli anni ‘80, al fianco di collaboratori abituali come Bill Frisell, Tim Berne, Marc Ribot e John Zorn, trovando una seconda casa alla famosa Knitting Factory. Attualmente membro del gruppo di Bill Frisell, Harmony, dal 1985 è stato regolarmente partner in tournée e artista di registrazione in molti progetti del celebre chitarrista e ha partecipato al suo disco Unspeakable, vincitore del Grammy Award.

Roberts ha condiviso palcoscenici e studi di registrazione con alcuni dei più famosi musicisti del mondo. Ha registrato 10 album come leader e co-leader per l’etichetta Winter & Winter, oltre a numerose registrazioni autoprodotte.

Il suo CD Green del 2008, con il batterista Jim Black e il chitarrista Marc Ducret, ha vinto il German Recording Critics’ Award dello stesso anno nella categoria Jazz.

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Considerato come uno dei più interessanti musicisti italiani della sua generazione, il trombonista Filippo Vignato ha vinto il premio della critica Top Jazz come Miglior Nuovo Talento nel 2016 per il suo debutto da leader nell’album Plastic Breath (Auand). Svolge un’intensa attività concertistica in Italia ed Europa e collabora con il mondo della danza contemporanea e dello storytelling. Nel corso dei suoi tour, viaggi e studi attraverso l’Europa ha sviluppato una propria chiara visione della musica: senza confini di genere e dove il processo rituale dell’improvvisazione possa toccare e coinvolgere il pubblico nel profondo.

ENG Two generations brought together: legend American cellist Hank Roberts and Italian trombonist Filippo Vignato. The two are longtime members of band Pipe Dream, and together, they released Ghost Dance in 2019 and the upcoming Adagio on the next June 14. On the next day, June 15, the two will perform at the Squero Auditorium as part of the 2024 Venezia Jazz Festival programme. Both turned creative freedom and crashing boundaries into the distinctive traits of their musical universe. In their latest release, they mix and re-mix their unique sound to reinvent music roles and gestures, hinting at chamber music, folk, improv, and more. Born in Terre Haute, Indiana, Roberts made a name for himself in 1980s New York. He shared stages and recording studios with some of the most famous performers in the world, recorded ten albums for the Winter & Winter label, and self-produced others. His Green CD of 2008, starring drummer Jim Black and guitarist Marc Ducret, won the German Recording Critics’ Award in the jazz category.

Trombonist Filippo Vignato performs in Italy and Europe, with ties to the worlds of modern dance and storytelling.

Hank Roberts-Filippo Vignato

15 giugno Auditorium Lo Squero, Isola di San Giorgio www.venetojazz.com

Nuovo classico

In un’intervista al portale Musica Jazz, firmata da Alceste Ayroldi, la pianista greca Tania Giannouli spiega: «Non mi piace limitarmi negli stili o mettere etichette alla mia musica. Il mio background di studi è la musica classica e contemporanea (ho studiato pianoforte classico e composizione) e non il jazz. Tuttavia, l’improvvisazione ha un ruolo enormemente importante nella mia musica. Mantengo occhi e orecchie molto aperti per quanto riguarda la composizione e l’esecuzione e credo che questo spieghi il mio desiderio di esplorare tutto ciò che cattura il mio interesse».

Alla Fenice di Venezia arriva il 26 giugno come uno dei nomi nuovi del jazz europeo, che nel maggio 2021 ha ricevuto, insieme ai colleghi di strumento Tigran Hamasyan e Shai Maestro, la nomination ai Deutscher Jazzpreis, importante riconoscimento della discografia tedesca. Compositrice e improvvisatrice, Tania Giannouli trasferisce sulla tastiera una doppia dimensione che la porta a esplorare il mondo del jazz con personalità, facendo ricorso anche al suo background classico e alle influenze folkloriche della terra di origine. I suoi concerti di piano solo accompagnano quindi l’ascoltatore in un viaggio sonoro in cui l’inventiva del momento si sposa con influssi diversi, che via via si intersecano dinamicamente e con progressiva intensità. Tania Giannouli si è aggiudicata il primo posto nella classifica “Nuovo Talento Internazionale” Top Jazz 2023 della rivista Musica Jazz.

ENG Greek pianist Tania Giannouli told Musica Jazz website “I don’t limit myself and my music to styles or labels. My background is classical and modern music, not jazz. However, improvisation is growing in importance in what I do. I keep my eyes and ears open as far as composition and performance go and I believe that this explains my desire to explore everything that captures my interest.” Giannouli will be in Venice on June 26 to perform at Fenice Theatre. Her piano concerts take her audience into a soundscape where the inventiveness of the moment blends with different influences, intersecting dynamically with progressive intensity. Tania Giannouli won first place in the 2023 New International Talent line-up listed by magazine Musica Jazz.

Tania Giannouli

26 giugno Teatro La Fenice www.venetojazz.com

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musica

& MORE

Listen to the radio

La prova generale è già stata affrontata e superata brillantemente lo scorso anno, in estate per la precisione. Era grande l’attesa per il concerto che il 7 luglio 2023 Parco San Giuliano avrebbe dovuto ospitare, un happening musicale con protagonisti i

Pinguini Tattici Nucleari, non certo un nome a cui il pubblico del fu Heineken Jammin’ Festival era abituato ma un banco di prova di tutto rispetto capace di attirare un pubblico di circa 60.000 persone, che trovò nella cornice e nella gestione dei flussi un contesto adeguato al grande evento, in termini di sicurezza e godibilità sonora.

Parco San Giuliano il 21 giugno è pronto ad ospitare 105 Summer Festival, progetto musicale che vedrà protagonista dell’estate 2024 quattro grandi appuntamenti di musica dal vivo in tutta Italia, con tappe oltre che a Venezia anche a Baia Domizia e Massa, rispettivamente il 14 giugno e 5 luglio. Un progetto che assieme ad altri rappresenta per diversi aspetti un’evoluzione dei Festival musicali che proprio a San Giuliano conobbero tanta fortuna tra il 2007 e il 2011, con folle oceaniche che nell’arco di pochissimi giorni potevano godere di concerti in compagnia dei più grandi nomi della scena musicale mondiale, a forti tinte americane e inglesi, parliamo di Pearl Jam e Iron Maiden, Linkin Park ed Aerosmith, Smashing Pumpkins e Vasco Rossi, tutti questi solo nell’edizione 2007. Se i format sono cambiati, con abbuffate musicali mordi e fuggi che sono specchio di questi tempi frenetici e ipertrofici, la sostanza di poter godere di grandi concerti in un unico luogo non cambia, anzi si moltiplica: 105 Summer Festival chiama a raccolta i volti più noti del panorama italiano per una maratona musicale in piena regola: da Alessandra Amoroso a Colapesce & DiMartino, Ermal Meta e Ghali, Mahmood e La Rappresentante di Lista, Negramaro, Tananai, Fedez, Elodie e moltissimi altri. Parco San Giuliano aspetta un evento di punta del cartellone musicale estivo, sperando di dare il via ad una stagione che lo renda nuovamente tappa irrinunciabile della toponomastica sonica dei prossimi anni, per artisti italiani e internazionali.

Mi fermo ad ascoltare

Venezia Suona. Fin dal titolo, colpisce la semplicità dell’inciso, quasi a voler scolpire nella pietra una verità oggettiva. Venezia suona, su questo non c’è dubbio. Lo fa ogni giorno, con i rumori dolci o impetuosi dell’acqua che la sostiene e la delimita senza limitarla, con il vociare dei turisti che la affollano, con il vernacolo dei suoi ostinati e resistenti abitanti, con le sirene che ne annunciano l’imminente acqua alta.

Venezia Suona è anche il titolo di una rassegna musicale che dal 14 al 23 giugno troviamo al Parco Ex Umberto I, a Cannaregio sul rio di Sant’Alvise, con serate e pomeriggi di musica dal vivo, performance artistiche e ovviamente qualcosa da mettere sotto i denti, per nutrire corpo e anima.

Salsa, mambo e cha cha cha in dialetto veneziano per un’esperienza musicale travolgente che combina ritmi internazionali all’umorismo tipico degli abitanti di Venezia: loro sono i Batistococo e sono stati scelti per una delle notti di punta della rassegna, quel 22 giugno che tiene sveglia la città per tutta la notte grazie alle iniziative griffate Art Night, manifestazione ideata e organizzata dall’Università Ca’ Foscari in collaborazione con il Comune di Venezia.

Riavvolgendo il nastro, l’onore e l’onere di aprire le danze il 14 tocca alla band reggae e dub capitanata da Gianlorenzo Scarpa (alias Giallo Man) e conosciuta anche per le collaborazioni con artisti del calibro di Ghemon e Africa Unite.

Le serate scorrono secondo il meccanismo degli appuntamenti “a tema”, il 15 con il travolgente sound dance e pop degli 80’s, il 16 con ritmi provenienti dal mondo e il Canon Jazz Trio capitanato da Leo Di Angilla, il 20 con la serata Vibrazioni eclettiche che vede ospite Tommaso Mantelli, compositore, cantante e polistrumentista, che sin dagli anni ‘90 ha esplorato quasi ogni ambito della musica, collaborando con artisti come Sick Tamburo e Teatro degli Orrori. Negli ultimi anni sta studiando la materia come fonte sonora, costruendo i propri strumenti, utilizzando sassi, legni e materiale biologico. A questo è collegata la recente attività di creazione di strumenti eccentrici ed effettistica sotto il nome di Caino, a dimostrazione di una voracità espressiva che davvero non conosce limiti e supera di slancio i confini della ‘mera’ attività concertistica.

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FESTIVAL
Venezia Suona 14-23 giugno Parco Ex Umberto I veneziasuona.com
105 Summer Festival 21 giugno Parco San Giuliano www.comune.venezia.it

ARTS BAR

Opening hours: Daily | 6.30 pm-12.30 am at The St. Regis Venice

Discover an artistic mixology experience where art turns into cocktails. Drinks inspired by the city's artistic a nd cultural legacy, all served in a stunning experiential space, along with an impressive terrace overlooking the Grand Canal.

The St. Regis Venice Hotel

San Marco 2159 - 30124, Venice

+39 041 240 0001

artsbarvenice.com

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musica BISSUOLA LIVE

Il maestro di lettere

Il nome del tour, Tra il silenzio e il tuono, riprende un verso della sua splendida Chiamami ancora amore, che nel 2011 si aggiudicò il Festival di Sanremo in una parentesi cantautoriale che non ha conosciuto repliche fino al 2024, forse con la sola eccezione degli Stadio nel 2016 e la loro Un giorno mi dirai Una canzone, quella di Vecchioni, che ancora una volta lo confermava paroliere formidabile e capace come pochi altri artisti di unire musica e parole in un meccanismo compiuto e perfetto, che nel caso della vittoria del 2011 fece scoprire a tantissimi giovani un cantautore tra i più raffinati e coerenti, un musicista che non si fatica in alcun modo a definire “poeta”. Tra i più grandi rappresentanti della canzone d’autore, Roberto Vecchioni con la sua smisurata confidenza con la lingua italiana, ha senza dubbio rivoluzionato gli ultimi cinquant’anni della canzone d’autore nel nostro Paese. Al Parco Bissuola il 5 giugno, prima data del cartellone estivo di Bissuola Live, Vecchioni è accompagnato dalla sua “band storica” formata da Lucio Fabbri (pianoforte, violino, mandolino), Massimo Germini (chitarra acustica), Antonio Petruzzelli (basso) e Roberto Gualdi (batteria). La prima parte del concerto sarà dedicata ai pezzi del suo album L’Infinito per poi lasciare spazio ai principali classici del repertorio di Vecchioni, in una narrazione che unisce musica, parola e immagine. I brani si susseguiranno accompagnati da video e immagini che trasmettono “l’essere” delle stesse canzoni e che avvolgono il pubblico in una dimensione immaginaria e raffinata. La manifestazione organizzata dal Settore Cultura del Comune di Venezia, in collaborazione con Arteven - Circuito multidisciplinare regionale, sceglie quindi una data inaugurale all’insegna della parola, del suo utilizzo più consapevole e della sua importanza in un panorama musicale che ormai troppo spesso pensa di poterne fare a meno, coprendola con l’autotune o con effetti che ne stordiscono il potere. Ma la parola, quella vince sempre. Davide Carbone

Roberto Vecchioni

5 giugno Parco Bissuola-Mestre www.comune.venezia.it

Le mie regole

Per il secondo appuntamento di Bissuola Live, la stagione estiva di concerti del Parco Bissuola, sul palco mestrino giovedì 6 giugno salgono Max Gazzè e l’Orchestra Casadei con Musicae Loci. Dopo il successo della scorsa estate, il musicista torna con il progetto live musicale e culturale che ha unito le sue note con le orchestre popolari e le tradizioni locali. Conosciuto per l’innovazione e la capacità di fondere differenti generi musicali, Gazzè si immerge nei territori e nelle tradizioni di tutta Italia affiancato dalle migliori orchestre popolari della Penisola, portando sul palco le sue canzoni in una veste che assorbe colori e suoni tipici delle diverse zone in cui lo spettacolo è ospitato con contaminazioni e suggestioni, ogni volta inedite. Un progetto culturale legato al territorio, inteso non solo come area geografica ma soprattutto come terra di storia, musica e arte. Ottoni e percussioni, tamburelli, organetti, violini e chitarre battenti si fondono con le sonorità di Gazzè per un concerto in ogni tappa nuovo e spettacolare. Spaziando tra stili ed epoche, ogni live possiede una versatilità musicale particolare dove i ritmi colorati e ipnoticamente ripetitivi degli strumenti più tradizionali e delle percussioni si amalgamano al background sonoro dell’artista. Così, in una commistione reciproca di note, le orchestre ridisegnano con nuove sfumature i brani del cantautore che a sua volta reinterpreta alcune delle canzoni più rappresentative della tradizione locale. Un progetto fortemente voluto dall’artista e che non si delinea come ‘capriccio’ di vanità, ma piuttosto come esito e sviluppo naturale e coerente di una carriera portata avanti all’insegna del pop consapevole. Bassista d’eccezione, compositore di opere e colonne sonore, attore sporadico e pilota sopra le righe: Max Gazzè è un artista ed un uomo capace di spostarsi in ambiti diversissimi, sempre con grandissimo successo. Lo muovono una passione e una vitalità sconfinate, una energia che trasmette al pubblico in uno scambio reciproco. Apolide nel cuore, cittadino del mondo nella storia personale, Max ha suonato in tre continenti, tra Europa, America e Asia, ed è incarnazione perfetta dello spirito di contaminazione che ha fatto nascere e porta avanti la programmazione di Bissuola Live

Max Gazzè

6 giugno Parco Bissuola-Mestre www.comune.venezia.it

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Te lo dico in faccia

Se credete che “rap” o “hip hop” siano sinonimo di rime arrabbiate urlate dentro un microfono nessun problema, nessuno vuole convincervi del contrario.

Piuttosto, vorrei magari indurvi ad allargare i vostri orizzonti verso quello che viene definito “Conscious hip hop”, un sottogenere della musica hip hop che si incentra su temi sociali il cui atto di nascita è convenzionalmente individuato in The Message, singolo di Grandmaster Flash and The Furious Five datato 1982, considerato dalla rivista Rolling Stone la miglior canzone hip hop della storia.

Senza invocare paragoni scomodi che semplicemente non hanno motivo di esistere, pochi altri artisti in Italia sembrano aderire a questa definizione come il trentanovenne Guglielmo Bruno, al secolo Willie Peyote, fin dall’esordio datato 2011 pubblicato in streaming attraverso SoundCloud, la trilogia di EP intitolata Manuale del giovane nichilista, che già dal titolo suggeriva una visione del mondo caratterizzata da un provocatorio mix di cinismo, autoironia e denuncia sociale.

Dopo il successo di Non è (ancora) il mio genere – Club Tour 2023, il 7 giugno Willie Peyote torna in tour con un nuovo spettacolo che lo vedrà protagonista al Parco Bissuola con il suo bagaglio di energia, padronanza tecnica della musica rap, testi che guardano alla canzone d’autore, ironia tagliente e uno sguardo sempre fuori dall’ordinario su tutte le cose del mondo. Insieme alla sua band, il rapper e cantautore torinese porta sul palco uno show originale frutto della combinazione tra il suo sound unico, la sua inconfondibile penna e le dinamiche e consuete interazioni con il pubblico. Frecciarossa e Picasso sono gli ultimi due brani arrivati dopo la pubblicazione del disco Pornostalgia (che ha debuttato nella top5 della classifica dei dischi più venduti e ascoltati in Italia) e proseguono il viaggio artistico che ha sempre caratterizzato Peyote. Pezzi potenti con testi per nulla scontati, scritti per lanciare messaggi pungenti, chiari e precisi senza per forza urlare nel microfono, ma attraverso la forza disarmante della semplicità. Davide Carbone

7 giugno Parco Bissuola-Mestre www.comune.venezia.it

Terra mia

Il concerto-evento con cui Carmen Consoli ha omaggiato la tradizione musicale siciliana lo scorso anno al Teatro Greco di Siracusa, Terra ca nun senti, diventa ora un tour mondiale in partenza da New York il 22 maggio, per proseguire poi negli Stati Uniti (San Francisco, Los Angeles, Miami), Canada (Montreal), Spagna – dove tornerà ad esibirsi al prestigioso La Mar de Músicas Festival di Cartagena – e Italia. La scaletta del concerto è composta da brani tradizionali siciliani oltre che da canzoni di artisti meravigliosi nati in quella terra come Franco Battiato, Rosa Balistreri e la stessa Consoli; l’insieme compone una grande narrazione in note della Sicilia con i suoi paesaggi, storie e personaggi, filtrata dallo sguardo e dalla sensibilità di Carmen. Con lei sul palco ci saranno Gemino Calà ai flauti etnici, Valentina Ferraiuolo al tamburo a cornice e percussioni, Marco Siniscalco al basso e contrabbasso, Puccio Panettieri alla batteria, Adriano Murania al violino e chitarra acustica e l’inseparabile Massimo Roccaforte alle chitarre e mandolino.

Carmen Consoli, che abbiamo avuto la fortuna di poter intervistare qualche anno fa, conosce come pochi altri artisti l’importanza di non scordare mai da dove si proviene. Non solo in termini di substrato musicale, ma proprio della fondamentale importanza di non staccarsi mai da quel bagaglio di ricordi e sensazioni che ci ricordano chi siamo, da dove veniamo, cosa ci ha reso le persone che siamo oggi, adesso, in questo tempo che non ama le riflessioni non più veloci di qualche secondo.

Portare in tour la sua Sicilia non è di sicuro una novità, per lei. Lo ha sempre fatto e lo farà sempre, tanto inscindibile è il binomio tra la propria terra d’origine e la musica rock da lei distillata con perizia non replicabile, proprio come il percorso biografico di ognuno di noi. Un rock riflessivo che si prende il suo tempo, in un’epoca e una musica che tempo non ne concedono a nessuno. «Si è perso il gusto del tempo necessario per elaborare una gioia o un dolore, un pensiero – spiega la cantantessa –, è il concetto stesso di filosofia, l’amore del ragionamento. Il tempo che si “impiega”, non si “perde”, per arrivare a una conclusione. Ma oggi il tempo è denaro e bisogna arrivare subito ai risultati».

Carmen Consoli

10 giugno Parco Bissuola-Mestre www.comune.venezia.it

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Willie Peyote

musica FESTIVAL

Urca urca tirulero

Se

cerchi

musica, ci troverai nella Foresta

No, non si tratta di un caso di omonimia. La Margherita Vicario che troviamo il 7 giugno sul palco dello Sherwood di Padova è la stessa Margherita Vicario che nel febbraio scorso ha portato il suo film Gloria! a Berlino, per un debutto alla regia cinematografica che definire “in grande stile” è dire poco e che lascia il piacevole dubbio di capire quale sia il suo campo di talento ‘titolare’. Assieme a lei troviamo Gaia Morelli, con il suo timbro così denso e viscerale, una voce unica nell’attuale panorama italiano. Rara è anche la sua scrittura: ricercata e autentica, capace di dipingere immagini vivide e potenti affiancandosi ad arrangiamenti scomposti e sperimentazioni sonore dove si respirano le influenze indie pop e alternative pop di matrice internazionale di artisti come Big Thief, Elliott Smith, Bon Iver, Fiona Apple, Sufjan Stevens. L’11 giugno un autentico colpaccio per il Festival dell’Euganeo, con l’unica data italiana dei Pendulum, nel loro monumentale ritorno dal vivo: nel 2005 pubblicano l’album di debutto, acclamato dalla critica, Hold Your Colour, che includeva l’omonimo Hold Your Colour, Slam, Fasten Your Seatbelt, Tarantula e Blood Sugar, tracce iconiche con le quali i Pendulum si sono fatti subito conoscere per la loro miscela unica di produzioni ad alto ritmo e spettacoli dall’energia esplosiva. Guidata da Rob Swire e dai compagni Gareth McGrillen e Paul Harding, la band ha raggiunto il disco di platino con l’album d’esordio, entrando immediatamente, di diritto, tra le novità più interessanti e seguite del panorama elettronico del momento. Nel 2018 hanno poi pubblicato

quello che è al tempo stesso un greatest hits e album di remix, dal titolo The Reworks, che ha rappresentato la chiusura di tutti i capitoli precedenti della band, aprendo la strada a qualcosa di nuovo.

Il 23 giugno altro appuntamento da segnare in calendario, precisamente con gli Idles e il loro post punk di Bristol: dopo la data all’Alcatraz di Milano, torna in Italia in occasione del tour europeo del nuovo disco Tangk, in uscita il 16 febbraio.

Nei cinque anni trascorsi dall’album d’esordio Brutalism (2017), hanno collezionato traguardi eccezionali, tra cui un album al numero uno in classifica, molteplici tour sold-out e partecipazioni come headliners ai più importanti festival internazionali. Il secondo disco Joy as an Act of Resistance (2018) ha consacrato il nome della band nella scena musicale inglese e mondiale, spianando la strada per l’enorme successo di Ultra Mono (2020), il loro primo album al numero uno nel Regno Unito. Per celebrare i cinque anni dal disco d’esordio a dicembre 2022 esce Five Years Of Brutalism : alla tracklist originale si aggiunge l’intera esibizione tenuta al Glastonbury Festival nel giugno 2022, durante il quale la band ha eseguito l’album per intero. Chiusura del mese in levare, con uno dei pochi artisti reggae viventi che potrebbe a buon titolo mettersi allo stesso livello delle leggende immortali che hanno fatto la storia di questo genere musicale: drappeggiato nei ricchi colori dell’abbigliamento africano, capigliatura rasta regalmente avvolta intorno alla testa, Anthony B incarna la spiritualità e tutto quello che c’è di positivo nella musica reggae, come potremo testimoniare il 28 giugno. Il viaggio musicale di Anthony B ebbe inizio in chiesa, nella parte rurale della Giamaica, crescendo poi, l’artista si è ispirato alla musica di Otis Redding e dell’incomparabile Peter Tosh.

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Sherwood
2024 7,
21,
giugno Park Nord Stadio Euganeo-Padova www.sherwoodfestival.it
Festival
11, 13, 18,
22, 23, 25, 27, 28

musica FESTIVAL

Il piano inclinato

Edizione dopo edizione il Verona Jazz ribadisce la sua versatilità e trasversalità, valicando i confini di genere per far spazio ad una musica sempre più contaminata. Verona Jazz diventa così occasione per far convivere accanto esperienze musicali diverse, distinte, che portano con sé influenze, storie, racconti distanti tra loro, ma che si ritrovano raccolti all’interno di un’istituzione musicale che regala da anni serate di musica di indiscussa qualità. Si comincia il 21 giugno con il duo costituito da Paolo Fresu e Uri Caine, fortunatissimo connubio tra due grandi personalità del jazz moderno.

L’incontro tra questi due musicisti è una delle cose più interessanti accadute nel mondo del jazz degli ultimi anni; la tromba lirica e sognante di Fresu, il suo timbro malinconico e onirico, si sposa eccellentemente con il pianismo di Uri Caine, fatto di mille citazioni, dalla canzone americana, al blues, dal jazz più mainstream all’avanguardia fino alla musica classica, genere che Caine ha riveduto e corretto secondo i suoi parametri personali in molti progetti solisti pubblicati negli ultimi dieci anni. Secondo appuntamento il 22 giugno con Jan Garbarek, che torna in tour con la sua band e accompagnato da un ospite speciale: il percussionista indiano Trilok Gurtu, che fa dell’improvvisazione la chiave di volta per capire le sue innumerevoli collaborazioni con alcuni dei più grandi musicisti del mondo. Sul palco del Teatro Romano il 23 giugno arriva il violoncello di Ana Carla Maza che dipingerà la folle esuberanza dell’Avana, sua città natale, i ritmi samba del Brasile, le tragedie del tango argentino. Vive tra Parigi e Barcellona, firma il suo primo progetto e album full band Caribe in qualità di compositrice e produttrice, pronta a diffondere le sonorità dell’America del sud e le sue esperienze di vita, i suoi incontri musicali e quella gioia di vivere in “allegria” che sa condividere così bene sul palco. Dopo il successo del recente tour teatrale Crooning – The Italian Tour, che ha registrato il sold out in tutte le città in cui ha fatto tappa, Mario Biondi chiude la rassegna il 24 giugno dimostrandosi totalmente a proprio agio nel contesto jazz.

Verona Jazz Festival 21-24 giugno Teatro Romano-Verona www.eventiverona.it

Tutto può succedere

nuova rassegna musicale si affaccia sulla Riviera del Brenta. È Summer Mira Sound, il suono dell’estate in quattro appuntamenti che abbracciano jazz, tango, musica cubana e canzone d’autore. La rassegna, promossa dal Comune di Mira con la direzione artistica e l’organizzazione di Veneto Jazz, è in programma il 25 e 26 giugno e il 28 e 29 giugno fra Villa dei Leoni, Villa Widmann e Piazzetta Mira Porte.

Dopo una tournée di 150 concerti in una quindicina di Paesi diversi, Ana Carla Maza è pronta a diffondere le sonorità dell’America del Sud e le sue esperienze di vita, i suoi incontri musicali e quella gioia di vivere in allegria che sa condividere così bene sul palco. Caribe, il suo ultimo lavoro, si muove attraverso montuno cubano, tango, huayno, cumbia, reggae, bossa nova brasiliana e samba, con un tocco sensuale di parole in francese e spagnolo. Con la sua voce e il suo violoncello arriva il 25 giugno a Villa Widmann, accompagnata da Norman Peplow (pianoforte), Marc Ayza (batteria) e Luis Guerra (percussioni).

Fotografia e musica dal vivo si fondono nel progetto del fotografo Pino Ninfa e del pianista Danilo Rea in scena con Mediterraneum mercoledì 26 giugno a Villa Widmann. Venezia e la sua storia, le città patrimonio dell’Unesco della Valle di Noto, le feste religiose nel Mediterraneo, le bande dell’area Medirerranea, i siti archeologici in Italia e in Libia, i Sassi di Matera, le foto storiche del 1800 in albumina, il mare e l’orizzonte infinito, i grandi temi delle immagini proiettate, mentre il pianoforte di Rea, in un vero processo di improvvisazione, suonerà commentando ogni foto sull’ispirazione del momento. Il 28 giugno a Villa dei Leoni Alessandro D’Alessandro, tra le più rilevanti espressioni della nuova leva musicale italiana, che ha portato uno strumento tipico della tradizione popolare come l’organetto a dialogare con altri stili, ritmi e armonie, ospita il popolare trombettista e cantante siciliano Roy Paci. Sabato 29 in Piazzetta a Mira Porte, concerto sotto le stelle ad ingresso libero di MA-REA, il quintetto guidato da Massimo Tagliata (fisarmonica e tastiere) ed Andrea Dessì (chitarre acustica elettrica), incentrato sulle calde sonorità del tango-jazz, del flamenco del jazz latino, così ricche di intensità espressiva.

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Summer Mira Sound 25, 26, 28,
giugno Mira
29
www.venetojazz.com
Una

musica

NIGHTLIFE & CLUBBING

ElectroLido

Dopo Mykonos e Ibiza, il veneziano Tommy Vee ritorna in laguna per accendere le notti stellate del Lido di Venezia al ritmo di afro, disco e deep house. Un appuntamento fisso, quello delle StarryNight, che sulla scia della movida jesolana animerà i venerdì sera dei bagni Des Bains con Dj di fama internazionale invitati da tutto il globo. Dj, fondatore dell’etichetta discografica cult Airplane! e del brand MoltoSugo – ma soprattutto «fieramente veneziano», come ama definirsi – con questa iniziativa il direttore creativo Tommy Vee dichiara la volontà di traghettare la nightlife veneziana, lidense, verso un modello più contemporaneo, ibizenco per l’appunto, mantenendo però intatta la natura elegante e raffinata dell’Isola d’oro, cercando almeno sul terreno dell’entertainment di ridare ossigeno alle radici storiche di una delle mete più ricercate dal turismo d’antan, quello del primo Novecento. Quale venue migliore, quindi, per giocare questa sfida della spiaggia e del giardino del Des Bains, da ben 124 anni vera perla d’élite dell’Adriatico? Una fama ribadita, e rinverdita, dalla recente nomina a “Best Design Beach Club Veneto 2024”. Con il Grand Opening Party, a partire dalle ore 23 di venerdì 7 giugno, il glamour di Mykonos e l’anima di Ibiza si fonderanno così alle atmosfere eleganti del Lido per accogliere nello storico giardino del Des Bains il popolo della notte che, sulle note di Tommy Vee e Walterino, celebrerà l’inizio di un’estate all’insegna della miglior musica elettronica del clubbing europeo.

Adele Spinelli

ENG Venetian DJ Tommy Vee, of Mykonos and Ibiza fame, is back in town to light up the Lido’s nights at the rhythm of afro, disco, and deep house. StarryNights are every Friday at Hotel Des Bains, with guest star DJs from all over the world. Tommy Vee is set to ferry Venetian nightlife into something more modern, Ibizesque (?), while respecting the elegant, posh allure of the Lido island. What better place to combine it all if not the 124-year-old summer holidays institution Hotel Des Bains? The Grand Opening Party is scheduled for June 7 at 11pm, where the people of the night will congregate to celebrate the beginning of summer with the notes of the best electronic music.

La Pagoda Des Bains 1900

7 giugno Lido di Venezia

www.desbains1900.com

Proud and loud

Al Muretto i top del clubbing globale

Da poco archiviati i primi atti della Spring Season, con ospiti alla consolle quali Marco Carola, Pawsa, Lilly Palmer e Gordo, Il Muretto, epicentro indiscusso del clubbing del Nordest, ma più estesamente del Paese tutto, apre ora davvero i battenti di un’estate che chiede energia per accendere le vibrazioni elettroniche condivise di un popolo della notte sempre più trasversale e composito. Il tutto all’insegna del…«Say It loud!», claim dell’estate senza se e senza ma.

In attesa delle temperature roventi a incendiare il cuore dell’estate, con alla consolle del club jesolano i top indiscussi della movida internazionale in pista, tra cui, per fare un nome su tutti, il 20 luglio la superstar carioca Mochakk, questa volta in compagnia di Matisa, ma ci torneremo, già a giugno il piatto si fa ricchissimo di ritmi vorticosi e pulsanti. Il 15, apertura ufficiale della stagione estiva, inaugurano le danze Nico Moreno, 24enne, e Øtta, pseudonimo di Carlota Correia, dj portoghese-britannica che sta rapidamente divenendo una delle figure più importanti della scena musicale house e techno, nota e apprezzata per il suo stile eclettico, che combina elementi di house, techno e disco. Entrambi per la prima volta al Muretto. Il livello non si abbassa nei due sabati a seguire, anzi! Il 22 sarà infatti la volta di un vero faro del clubbing da decenni, quel Ricardo Villalobos protagonista assoluto della minimal, della microhouse internazionale. A chiudere un giugno di vero solstizio lunare, I Hate Models con Charlie Sparks il 29. Il primo, cresciuto a suon di hip-hop, punk e metal, è un dj e producer francese il cui vero nome è Guillaume Labadie. I Hate

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Models nasce come rifiuto per gli standard imposti dal mercato musicale, per le schematizzazioni, affondando le proprie radici indie in un progetto, in un percorso industrial techno assolutamente personale e a dir poco eclettico. Il secondo è semplicemente sinonimo di incontenibile energia. Giovanissimo (21 anni), Sparks si muove ai confini porosi tra groove acidi, industrial, rave e psytrance. Da buon aspirante architetto, la sua musica è letteralmente progettata per generare emozioni tenendo sotto controllo l’atmosfera, il mood del momento. Insomma, se il bel tempo si vede dal mattino, al Muretto c’è di che far pulsare anime e corpi senza soluzione di continuità. Con un dato inoppugnabile: ormai i grandi club superstiti dalla desertificazione verticale delle disco sono esclusivamente quelli che mettono al centro del loro esistere il flusso in divenire del miglior sound contemporaneo. Moxy B. ENG Muretto Club is the uncontested hub of dance club entertainment in northeastern Italy. Over there, they’re just about done revving up their engines to get ready for the hottest summer season. Marco Carola, Pawsa, Lilly Palmer, Gordo performed in the past several months, and we are looking forward at a line-up that won’t disappoint even the most hardcore clubbers. On July 20, the Muretto will welcome Mochakk and Matisa, but we’ll get back to it. In June, the plate is no less rich, with summer season opening on the 15 with Nico Moreno and Øtta, a.k.a. Carlota Correia, a Portuguese-British DJ that is quickly climbing the charts as one of the best players in the house and techno worlds. On June 22, meet Ricardo Villalobos, the king of minimal and international microhouse. Rounding up June on the 29, Hate Models with their indie roots and very personal industrial techno sound and Charlie Sparks, who cannot be defined otherwise than a burst of uncontainable energy. 21-year-old Sparks works on the porous borders of acid grooves, industrial, rave, and psy-trance. An aspiring architect, his music is designed to generate emotion while keeping the atmosphere under perfect control. Well, if you can tell a good day from the morning, there’s enough before your eyes and ears to make your body and soul beat the hardest. One last thing: the few clubs that survived the drought are those who put the best modern sound first thing ahead.

Summer 2024 8, 15, 22, 29 giugno Il Muretto www.ilmuretto.org

MORE VENEZIA

Quattro giorni di musica, arte e party che durante la Biennale rendono Venezia il centro di gravità dell’elettronica d’autore.

Il 6 giugno al Venice Bitter Club di Rialto ecco il live di James The Prophet, nato in Francia da madre inglese e padre americano, con il suo rap intriso di influenze jazz, seguito dal dj-set di Karl Planck. Il giorno successivo ci si sposta al Combo per ascoltare Tessy Phora, Lola Benvestio e Gabry Daisy, con afterparty affidato alle sapienti mani di Dj Spiller. Argo16 in questi anni ha dimostrato di essere punto di riferimento per la sperimentazione e la conferma si può avere l’8 giugno grazie all’evento Wildstyle HOUSE & Underground DISCO of Toy Tonics che vede in consolle Vittulucchi, Massimo Santi, COEO & Kapote. Giornata di chiusura il 9 al Palazzo Experimental delle Zattere con l’evento Italia Express presentato da Radiooooo, ad ospitare il live di Edoardo Florio Di Grazia.

MORE Festival 6-9 giugno www.morefestival.com

JAMES FERRARO

Considerato uno degli artisti più innovativi e influenti della scena musicale elettronica e sperimentale, James Ferraro si esibisce in tre città italiane presso le strutture di Combo, a Milano, Torino e il 15 giugno a Venezia. Combo è il luogo ideale per accogliere eventi di pura avanguardia, che promettono di offrire un’esperienza immersiva e sperimentale. James Ferraro è un musicista underground/compositore/ virtual atmospherist, produttore, e artista statunitense, accreditato come pioniere dei generi hypnagogic pop e vaporwave del XXI secolo. Con il suo lavoro esplora temi legati all’iperrealtà e alla cultura del consumo. La sua musica attinge a stili diversi come l’elettronica degli anni ‘80, l’easy listening, il drone, il lo-fi, il collage sonoro e l’R&B.

Live Genware Set 15 giugno Combo thisiscombo.com

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classica l DENTRO LE QUINTE

Quando si legge il libretto nell’originale tedesco si ha la percezione netta di trovarsi in presenza di un genio musicale assoluto: ogni minimo dettaglio è stato pensato Paul Curran

Un allestimento che si potrebbe prendere ad esempio come fantastico esercizio di metateatro: Ariadne auf Naxos racconta appunto il “teatro nel teatro”, in una simbiosi di dramma mitologico e di commedia dell’arte. Nella casa di un ricco signore viennese è in programma la messa in scena dell’opera seria Ariadne auf Naxos, commissionata ad un giovane e talentuoso compositore, cui seguirà una farsa all’italiana. Il tempo però non è sufficiente per entrambe le esibizioni, quindi il padrone di casa ordina che l’opera seria e la farsa siano rappresentate insieme, in una fusione di mezzi e di stili che vede cadere i confini labili tra registri espressivi, in nome del talento più libero a cui è impossibile porre freno.

Ariadne auf Naxos di Richard Strauss è in scena al Teatro La Fenice nell’ambito della Stagione Lirica e Balletto 2023-2024, in cinque recite dal 21 al 30 giugno.

L’allestimento, realizzato dalla Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con la Fondazione Teatro Comunale di Bologna e la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, è affidato al regista scozzese Paul Curran, con scene e costumi di Gary McCann e light design di Howard Hudson. La direzione musicale sarà affidata a Markus Stenz, alla testa dell’Orchestra del Teatro La Fenice e di un cast composto da Karl-Heinz Macek, Markus Werba, Anna Lucia Richter, John Matthew Myers, Nicola Pamio, Blagoj Nacoski, Francesco Milanese, Matteo Ferrara, Olga Pudova, Sara Jakubiak, Äneas Humm, Mathias Frey, Szymon Chojnacki, Enrico Casari, Jasmin Delfs, Marie Seidler e Giulia Bolcato. Opera in un atto con prologo su libretto di Hugo von Hofmannsthal ispirato al mito di Arianna, questa composizione nacque come divertissement operistico per una rappresentazione del Bourgeois gentilhomme di Molière. Il progetto

iniziale prevedeva che l’opera fosse eseguita come spettacolo presentato nel palazzo del protagonista della commedia; un esempio perfetto di teatro nel teatro. In questa prima forma il lavoro esordì il 25 ottobre 1912 a Stoccarda. Tuttavia il pubblico apprezzò l’opera più della commedia e Hugo von Hofmannsthal decise di slegare le due parti dando vita propria ad Ariadne, a cui aggiunse un Prologo che tiene in piedi l’espediente del teatro nel teatro. Nella nuova forma Ariadne auf Naxos debuttò a Vienna il 4 ottobre 1916.

Gli Amici della Fenice organizzano ogni anno un ciclo di incontri con l’opera tenuti dai migliori musicologi italiani. Gli incontri avvengono qualche giorno prima dell’allestimento di una nuova opera alla Fenice e sono dedicati a conoscere meglio quali sono le caratteristiche dell’opera che verrà eseguita. Tutto questo ha lo scopo di rendere più consapevoli gli spettatori sulle caratteristiche dell’opera in modo da apprezzarla al meglio. Protagonista dell’incontro del 17 giugno, dedicato all’Ariadne, è Francesco Fontanelli: diplomato in pianoforte, si è laureato in Musicologia all’Università di Pavia, dove nel 2019 ha conseguito il dottorato con una tesi sulla genesi del Quartetto op. 127 di Beethoven. I suoi interessi prevalenti sono rivolti allo studio di forme e tecniche compositive tra Otto e Novecento, con particolare riguardo alle implicazioni sul piano dell’estetica e della storia culturale. Ha pubblicato saggi su Beethoven, Liszt, Wagner e Puccini, oltre a numerosi contributi sui compositori italiani della “generazione dell’Ottanta”. Per la sua monografia sui poemi orchestrali di Alfredo Casella, edita dalla De Sono, ha ricevuto il premio Arthur Rubinstein.

Ariadne auf Naxos 21, 23, 25, 27, 30 giugno Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it

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Astaging that we should elevate to paradigmatic, fantastic exercise of meta-theatre: Ariadne auf Naxos is a theatre-within-the-theatre show commissioned by a talented young composer, to be followed by an Italian-style farce. There is not enough time for both shows to take place, though, so the headmaster orders both shows to be run concurrently: a fusion of means and styles that leaves it all to unbridled talent.

Richard Strauss’ Ariadne auf Naxos will be at Fenice Theatre in late June, a total of five performances from June 21 to 30. Director Pal Curran, costumer Gary McCann, light designer Howard Hudson, conductor Markus Stenz will work with a cast that includes Karl-Heinz Macek, Markus Werba, Anna Lucia Richter, John Matthew Myers, Nicola Pamio, Blagoj Nacoski, Francesco Milanese, Matteo Ferrara, Olga Pudova, Sara Jakubiak, Äneas Humm, Mathias Frey, Szymon Chojnacki, Enrico Casari, Jasmin Delfs, Marie Seidler, and Giulia Bolcato.

The opera is a one-acter on a libretto by Hugo von Hofmannstahl inspired by the myth of Ariadne, originally intended as a divertissement. The initial concept called for the show to be presented within the palace that belonged to the protagonist of the comedy, hence the theatre-within-a-theatre angle, and as such, it was performed in Stuttgart on October 25, 1912. The audience, however, appreciated the opera more than they did the comedy, which prompted Hofmannstahl to separate the two and make the Ariadne its own show, integrated by a Prologue to maintain the gimmick. In this new form, the Ariadne premiered in Vienna o nOctober 4, 1916.

The Amici della Fenice (‘friends of the Fenice’) will hold conferences with guest musicologists a few days prior to the performance. On June 17, Francesco Fontanelli will introduce the audience to the opera for a more complete and interesting experience.

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Photo Michele Lapini

classical

Vivaldi e il romanticismo tedesco segnano il giugno di Fenice e Malibran. Sul podio, semplicemente, le migliori bacchette a cui affidare questi repertori

FEDERICO MARIA SARDELLI

Una serata dedicata alla musica di Antonio Vivaldi, affidata a uno dei massimi esperti del Prete rosso, Federico Maria Sardelli. È il programma del doppio appuntamento della Stagione Sinfonica 2023-2024 della Fondazione Teatro La Fenice, al Malibran il 14 e 16 giugno. Il maestro – tra le altre cose membro dell’Istituto Vivaldi della Fondazione Giorgio Cini di Venezia e responsabile del catalogo vivaldiano (RV) – conduce l’Orchestra della Fenice nella doppia veste di direttore e solista al flautino e al flauto traversiere, affiancato dal violino principale di Roberto Baraldi e dalla voce solista del soprano Michela Antenucci. Il programma prende le mosse dal Concerto in re minore per violino principale, organo e archi e basso continuo RV 541, uno dei tanti esempi di quel repertorio strumentale, non necessariamente religioso, nato per fungere da coronamento a momenti liturgici.

ENG A night with Antonio Vivaldi’s music together with one of Vivaldi’s top experts, Federico Maria Sardelli. Sardelli will conduct the Fenice Theatre’s resident orchestra, Roberto Baraldi’s violin, and the solo voice of soprano Michela Antenucci on the Concerto for Violin and Organ in D minor, RV 541, one of the many examples of an instrumental repertoire, not necessarily of religious nature, composed to accompany religious functions.

14, 16 giugno Teatro Malibran

MARKUS STENZ

Markus Stenz ha avuto una carriera di grande rilievo durante la quale ha ricoperto importanti posizioni, tra cui Direttore Principale dell’Orchestra Filarmonica Olandese, Ospite Principale della Baltimore Symphony Orchestra e Direttore in Residenza della Seoul Philharmonic Orchestra. Ha debuttato nell’opera nel 1988 proprio al Teatro La Fenice, impegno seguito da concerti di grande successo. Tra i suoi recenti momenti salienti figurano Der fliegende Holländer di Wagner e future produzioni di Ariadne auf Naxos e Lohengrin. In occasione di questo concerto, accompagnato al violino da Vikram Francesco Sedona, vincitore XXXII Concorso Città di Vittorio Veneto, porta sul palco un repertorio comprendente Felix Mendelssohn Bartholdy ( Concerto in mi minore per violino e orchestra op. 64 ) e Anton Bruckner ( Sinfonia n. 7 in mi maggiore ).

ENG Markus Stenz’s career touched many an important position, including conductor of the Netherlands Radio Philharmonic Orchestra and conductor-in-residence of the Seoul Philharmonic Orchestra. He is also known for his takes on Wagner’s Flying Dutchman and Lohengrin. For the upcoming Fenice concert, Stenz prepared a programme of Mendelssohn (Violin Concerto, Op. 64 ) and Bruckner (Symphony No. 7 ), and will be accompanied by award-winning violinist Vikram Francesco Sedona. 28, 29 giugno Teatro La Fenice

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STAGIONI
© Heiliger

La meccanica perfetta

Al Malibran un Vivaldi barocco

Non un’opera lirica, bensì venticinque opere liriche formato mignon: questa la suggestiva e assolutamente innovativa scelta di regia per il Il Bajazet (noto anche come Il Tamerlano ) di Antonio Vivaldi, in scena al Teatro Malibran dal 7 al 15 giugno.

Secondo il gusto e lo stile compositivo della tarda età barocca, difatti, per musicare il libretto di Agostino Piovene, a sua volta tratto dalla tragedia Tamerlan ou La mort de Bajazet di Jacques Predon (1675), Vivaldi scelse di ricorrere al ‘pasticcio’, ossia al riassemblaggio di pezzi di varia provenienza, riservando in particolare ai personaggi positivi arie da lui stesso composte per altre opere, e agli antagonisti arie di altri autori, prevalentemente dell’allora fiorente scuola napoletana, da Hasse a Porpora.

Interpretando tale scelta compositiva come un vero e proprio collage di suggestioni tra loro diverse, l’ardita scelta del regista Fabio Ceresa è pertanto quella di rappresentare venticinque siparietti autonomi, ciascuno diverso dall’altro per stile e ambientazione. «Il filo narrativo sarà mantenuto nell’esecuzione dei recitativi, – spiega Ceresa – gli interpreti daranno vita al testo raccontando al pubblico la storia di Bajazet: ma lo faranno in costume neutro, quasi se assistessimo a una prova all’italiana o a un’opera in forma di concerto». Una tecnica che il regista stesso paragona alla struttura di un noto programma televisivo degli anni ’50, Carosello, e che si configura come del tutto originale. Rappresentato per la prima volta al Filarmonico di Verona per il Carnevale del 1735, Il Tamerlano è un dramma dal gusto tipicamente barocco in cui l’ambientazione storica – la cattura del sultano ottomano Bajazet da parte di Tamerlano – si combina con le intricate vicende amorose dei protagonisti, opponendo l’integrità e la lealtà di Bajazet e della figlia Asteria alla crudeltà e all’oppressione del conquistatore turcomanno.

La peculiarità del primo melodramma – caratterizzato da movimenti scenici minimali e tutto incentrato sull’esecuzione e sui virtuosismi dei cantanti, in ispecie nelle arie più famose e popolari – costituisce un terreno indubbiamente interessante per una sperimentazione del genere. Una rappresentazione che s’inserisce d’altronde nel solco di un preciso percorso di riscoperta dell’opera barocca, di quella vivaldiana in particolare, repertorio sottostimato e generalmente trascurato dai cartelloni teatrali contemporanei, tuttavia portato avanti con costanza negli ultimi anni dal Teatro La Fenice: tanto la regia quanto la direzione, assegnata a Federico Maria Sardelli, sono del resto affidate a veri esperti di questo repertorio. Di gran prestigio anche il cast, tra cui spicca il nome Sonia Prina, specializzata nell’opera vivaldiana, che vestirà i panni di Tamerlano, secondo l’uso settecentesco di affidare a voci femminili – i cosiddetti contralti en travesti – le parti degli amorosi maschili. Nicolò Ghigi

Perfect ENG mechanics

Not one opera, but twenty-five miniaturized operas: this is the concept behind the upcoming stages of the Bajazet by Antonio Vivaldi, at Malibran Theatre on June 7 to 15. Vivaldi resorted to pastiche, which was the style at the time: a reassembly of pieces of different extractions. Director Fabio Ceresa embraced this collage-like composition and will stage twenty-five self-standing sketches, with “the narrative kept together by recitativos, and by performers giving life to text by telling Bayezid’s story in a neutral costume, much as if we were looking at rehearsals, or a concert-style opera.” This choice has been compared by Ceresa himself to a popular sketches-plus-advertisement TV format that was all the rage in 1950s Italy: Carosello Performed for the first time in Verona in 1735, the Bajazet is an essentially Baroque drama whose historical setting – the capture of Ottoman sultan Beyazid by Tamerlane – combines with the love affairs of the characters, opposing Beyazid’s and his daughter Asteria’s integrity with the cruelty of the Turcoman conqueror.

Il Bajazet (Il Tamerlano) 7, 9, 11, 13, 15 giugno Teatro Malibran www.teatrolafenice.it

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classical

RASSEGNE

Forte come un’idea

Le Sale Apollinee del Teatro La Fenice si confermano luogo perfetto per portare avanti la missione di Musikàmera, in una stagione votata alla riscoperta degli «Anni Venti», un decennio che per la musica degli ultimi sette secoli si conferma sorprendentemente vivace e fecondo.

Il 5 e il 7 giungo a guidare gli ascoltatori tra gli «Affetti e Contrasti» del repertorio barocco, nonché tra la Venezia di Monteverdi e la Roma di Carissimi, è l’ensemble Ars Cantandi, composto dai quattro affermati musicisti dell’Accademia Bizantina di Ravenna Silvia Frigato, voce soprano, Alessandro Tampieri, violino, Tiziano Bagnati, tiorba e Valeria Montanari, clavicembalo. Ai tormenti barocchi seguono le arie non meno toccanti del soprano Miriam Albano, che accompagnata dal noto pianista Stephan Matthias Lademann, il 12 giugno, ritorna nella sua amata Venezia con un ricco repertorio ottocentesco capace di condurci dall’intima dolcezza di Brahms ai salotti parigini di Reynaldo Hahn.

Il 18 e il 19 giugno le Sale Apollinee si vestono infine delle atmosfere di un Novecento dimenticato, che grazie alla collaborazione con l’Archivio Musicale Guido Alberto Fano Onlus riprende a vivere attraverso il violoncello di Silvia Chiesa, raffinata esploratrice di mondi musicali, e il pianoforte dell’«anticonformista visionario» Maurizio Baglini. Busoni, Arutiunian, Brahms e Alberto Fano: questo, il «Novecento storico italiano». Adele Spinelli

ENG The Sale Apollinee at the Fenice Theatre are the smaller music halls at Venice’s great opera theatre, and are perfect to discover beautiful chamber music, also thanks to Musikàmera productions. On June 5 and 7, ensemble Ars Cantandi will guide us into the contrasting affectations of Baroque repertoire, while on June 12, soprano Miriam Albano and pianist Stephan Matthias Lademann will present a rich nineteenth-century programme ranging from the sweetness of Brahms to the Reynaldo Hahn’s Parisian club vibe. On June 18 and 19, early twentieth-century Italian classics in a piano-and-cello performance by Maurizio Baglini and Silvia Chiesa.

Musikàmera 5, 7, 12, 18, 19 giugno Teatro La Fenice www.musikamera.org

Promesse mantenute

L’organizzazione “Musica con le Ali” si distingue nel panorama artistico italiano per il suo interesse nel sostenere i giovani talenti della musica classica. Fondata nel 2016 a Milano, l’associazione organizza concerti in luoghi prestigiosi per promuovere questi talenti emergenti. A giugno la stagione concertistica del 2024 porta sul palcoscenico delle Sale Apollinee al Teatro La Fenice di Venezia due diversi gruppi. Il Quartetto Klem, formato nel 2021 in seno ad Avos Project, la Scuola Internazionale di Musica di Roma, si impegna il 6 giugno in due capolavori del repertorio per quartetto d’archi: il Quartetto in do minore Op. 18, n. 4 di Beethoven e il Quartetto n. 2 in fa maggiore Op. 92 di Prokofiev. L’ensemble è composto da quattro musiciste appassionate di musica da camera: Elena Pavoncello e Sofia Bandini al violino, Carlotta Libonati alla viola e Lara Biancalana al violoncello. La stagione concertistica continua il 13 giugno con il duo formato da Andrea Lucchi, prima tromba solista dell’Orchestra Sinfonica Nazionale dell’Accademia di Santa Cecilia, e Sofia Adinolfi al pianoforte, giovane talento premiato a livello nazionale e internazionale. Il Duo Lucchi-Adinolfi propone un viaggio musicale che spazia dalle prime composizioni originali per tromba e pianoforte del Novecento alla musica jazz, con brani di François Rauber, Georges Enescu, Eugene Bozza, Sammy Nestico, Leonard Bernstein, Hoagy Carmichael e Bill Evans. Beatrice Poggesi ENG Association Musica con le Ali (lit. ‘winged music’) supports young talented classical musicians in Italy. Founded in Milan in 2016, they produce concerts in prestigious venues to promote up-and-coming performers. In June, their programme lists two concerts at Fenice Theatre in Venice. All-female Klem string quartet will play Beethoven’s String Quartet No.4, Op.18 No.4 and Prokofiev’s String Quartet No. 2 on June 6, while on June 13, nationally renowned trumpetist Andrea Lucchi and pianist Sofia Adinolfi will offer a musical journey ranging from the first original compositions for piano and trumpet of the twentieth century to jazz.

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Musica con le Ali 6, 13 giugno Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it

classical

CONCERTI

In bella forma

Ogni tanto ci si imbatte in avvenimenti che in nome della bellezza ci costringono piacevolmente a varcare i confini cittadini e regionali. Dare spazio a iniziative di questo tenore è il fine stesso del nostro lavoro, come abbiamo potuto imparare in questi anni da chi ha condiviso il nostro lavoro quotidiano, fianco a fianco.

Trame Sonore a Mantova rappresenta il più grande meeting di musica strumentale d’Europa, l’unica Woodstock della musica d’arte nell’arte ritorna a far danzare gli affreschi, le prospettive architettoniche di Mantova, senza limiti, senza freni, in un gioioso esperimento sociale e culturale che, preso a modello da tanti, conferma un’incrollabile fiducia nel futuro del settore, nelle giovani generazioni, nella libera creatività, nel dialogo orizzontale, nel contagio emotivo della musica che genera pensiero. 250 artisti, 140 concerti, 12 trame per 5 giorni e 5 notti di pura felicità, dal 29 maggio al 2 giugno, cui prendono parte straordinari musicisti con l’Orchestra da Camera di Mantova nel ruolo di complesso residente. Sedici ore al giorno di eventi a ciclo continuo dal primo mattino a tarda sera in 30 diverse location d’arte: Palazzo Ducale, Palazzo Te, Palazzo Castiglioni, Rotonda di S. Lorenzo, Teatro Bibiena, Santa Barbara, Palazzo D’Arco, Biblioteca Teresiana e ancora dimore storiche private, piazze, vicoli e chiostri. Per una full immersion nel bello con modalità d’offerta e fruizione innovative, per avvicinare tutti alla Classica.

Trame Sonore

29 maggio-2 giugno Mantova oficinaocm.com/tramesonore

L’Acqua, dimora del Tempo

Il compositore contemporaneo Nico Cartosio, il cui album di debutto è subito entrato nella TOP 20 Billboard Classical, presenta a Venezia il suo nuovo programma In principio era l’Acqua con un concerto sinfonico alla Scuola Grande San Giovanni Evangelista il 25 giugno alle 21, evento patrocinato dal Conservatorio Benedetto Marcello e dalla Fondazione Ugo e Olga Levi, accompagnato nell’occasione dall’Orchestra Filarmonica Italiana e dal Coro dell’Opera di Parma per un evento a prenotazione obbligatoria con posti limitati. «L’acqua esiste sin dal principio, – afferma Cartosio – ancora prima dell’atto della creazione divina. Elemento più antico che ci sia al mondo, conserva in sé memoria di tutto. Ecco perché considero la Laguna veneta custode del tempo». Scelta più appropriata per la sede del concerto non poteva esserci, proprio perchè il Vangelo secondo Giovanni è stato fonte ispiratrice del programma del concerto e del suo titolo. Cartosio armonizza concettualmente ogni singolo elemento del proprio disegno musicale, dal titolo del concerto alle singole composizioni, rappresentanti ciascuna una riflessione sinfonica sul tema del tempo. Il concettualismo e la retorica in musica sono caratteristiche cardine del suo lavoro, peculiarità che rendono il suo linguaggio artistico accessibile ad un vasto pubblico. Non a caso i suoi video hanno raggiunto più di 15 milioni di visualizzazioni su YouTube, risultato sorprendente, in particolare se contestualizzato nell’ambito del repertorio classico.

ENG Composer Nico Cartosio, who once debuted straight into the TOP 20 Billboard Classical, presents his new programme In Principio era l’Acqua (In the Beginning was the Water). The concert will take place at Scuola Grande San Giovanni Evangelista on June 25th at 9 pm, with participation of The Orchestra Filarmonica Italiana and The Parma Opera choir, for a pre-booked event with limited places. “Water existed since the Beginning – says Cartosio – before God’s act of creation. It’s the oldest element existing, and it keeps the memory of every thing. This is why I consider the Venetian Lagoon as the keeper of time.” The choice of the venue is quite appropriate, since the Gospel of John inspired the concert’s programme. Nico Cartosio harmonizes each every element of his compositions to create a symphonic reflection about time itself.

In principio era l’Acqua

25 giugno Scuola Grande San Giovanni Evangelista www.scuolasangiovanni.it

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Un nuovo secolo 101 edizioni per il Festival lirico dell’Arena

Cinquanta appuntamenti in cartellone dal 7 giugno al 7 settembre, fra cui tre titoli dedicati a Giacomo Puccini nel centenario della morte.

Inaugurazione straordinaria il 7 giugno con l’evento in mondovisione La Grande Opera italiana Patrimonio dell’Umanità, promosso dal Ministero della Cultura e realizzato in collaborazione con Fondazione Arena di Verona, per celebrare la pratica del canto lirico in Italia, proclamata patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO. Protagonisti 150 professori d’orchestra e oltre 300 artisti del coro, provenienti da tutte le Fondazioni lirico-sinfoniche italiane. Sul podio anche il Maestro Riccardo Muti.

La 101. stagione apre con la spettacolare Turandot firmata da Franco Zeffirelli, in programma l’8 giugno. Tosca – che vede Anna Netrebko per la prima volta in questo ruolo in Arena, nella storica produzione “noir” di Hugo De Ana – e un nuovo allestimento della Bohème firmato da Alfonso Signorini – al debutto in Anfiteatro – sono gli altri due capolavori del compositore lucchese in scena nell’edizione 2024.

Altre quattro opere iconiche coronano il Festival: l’Aida di Giuseppe Verdi è rappresentata in due diverse produzioni, quella “di cristallo” firmata da Stefano Poda per il centesimo Festival (dal 14 giugno al 1° agosto) e l’allestimento rievocativo della storica Aida del 1913 curata da Gianfranco De Bosio (dal 10 agosto al 5 settembre) di cui ricorre il centenario dalla nascita; Carmen di George Bizet nella messinscena “kolossal” con regia e scene di Franco Zeffirelli (dal 5 luglio al 7 settembre); Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, nell’elegante allestimento rococò di Hugo De Ana (dal 21 giugno al 6 settembre).

Anche per il Festival 2024 non mancano le serate-evento, quest’anno ben sei. Torna la grande danza di Roberto Bolle and friends in doppia data il 23 e il 24 luglio; la Nona Sinfonia di Beethoven, a duecento anni dalla sua creazione, diretta da Andrea Battistoni e con i complessi areniani e le voci soliste di Erin Morley e Ivan Magrì, entrambi al debutto in Arena, insieme ad Anna Maria Chiuri e Alexander Vinogradov, l’11 agosto. E ancora, Plácido Domingo Noche Española è la serata di gala in programma il 21 agosto, che vede il ritorno dell’artista insieme ad altre grandi voci della lirica; sempre attesi i Carmina Burana di Orff, diretti da Michele Spotti, in programma il primo settembre con solisti Jessica Pratt, Filippo Mineccia, Youngjun Park. In anteprima mondiale, Fondazione Arena di Verona e Balich Wonder Studio presentano Viva Vivaldi. The four seasons immersive concert il 28 agosto con l’Orchestra dell’Arena di Verona e il violinista Giovanni Andrea Zanon, progetto visionario e multisensoriale del creative director Marco Balich. Un approccio completamente nuovo alla scenografia, attraverso la tecnologia, per avvicinare un pubblico sempre più giovane all’Opera Festival.

A new ENG century

Fifty scheduled performances, June 7 to September 7, opening with a celebration of Italian opera as a piece of cultural world heritage. The first opera to be performed will be the Turandot in Franco Zeffirelli’s vision, due June 8. The Tosca, with Anna Netrebko starring in this role for the first time at the Arena, and a new production of the Bohème will follow.

A further four iconic operas complement the Festival: Verdi’s Aida in two different productions, Bizet’s Carmen, Rossini’s The Barber of Seville

There will be more than opera: Roberto Bolle and friends will perform on July 23 and 24. On August 11, conductor Andrea Battistoni, the Arena’s resident orchestra, and soloists Erin Morley and Ivan Magrì will delight us with a momentous performance of Beethoven’s Ninth Symphony. On August 28, Fondazione Arena di Verona and Balich Wonder Studios will present Viva Vivaldi. The four seasons immersive concert, a visionary, multi-sensorial project by creative director Marco Balich.

101 Arena Opera Festival

7 giugno-7 settembre Arena di Verona www.arena.it

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DOVE INIZIANO I SOGNI

Ci sarà Venezia con il suo splendore, le sue atmosfere, la sua poesia e i misteri che la abitano

Daniele Finzi Pasca

Cresce l’attesa per la riapertura estiva del Teatro Goldoni che dal 18 luglio, e fino al 13 ottobre, alza il sipario sulla nuova produzione

Titizé. A Venetian Dream, un incredibile spettacolo ideato ad hoc e realizzato assieme alla svizzera Compagnia Finzi Pasca, rinomata a livello mondiale per la propria capacità di fare teatro attraverso un linguaggio universale. Stupore e meraviglia sono i cardini su cui ruota lo spettacolo pensato per il rilancio internazionale del Teatro Goldoni, il più antico tra i teatri moderni tutt’ora in attività, che lo scorso settembre è stato oggetto di un importante restyling finanziato dal Comune di Venezia in occasione dei suoi 400 anni, ed ora è pronto per partire verso una nuova magica avventura.

Titizé, dal dialetto veneziano “tu sei”, è una parola che può essere pronunciata in tutte le lingue del mondo, pensata per strizzare l’occhio al pubblico internazionale che affolla Venezia in estate pur mentendo un forte legame con la città e i suoi abitanti. «Bisognava inventare qualcosa che potesse essere un’allusione – racconta il regista Daniele Finzi Pasca – […] una parola piena di ritmo: Titizé, tu sei, ti zé che? tu cosa sei? sei veneto, sei un elefante, sei un sogno, un pezzo di una città magica… Titizé vuol dire tutto questo, anzi non lo vuole dire, ma vi allude. È un titolo che alla fine avrebbe bisogno di un punto di domanda e quindi lascia in sospeso un sacco di possibilità per noi e per il pubblico per intraprendere un possibile viaggio».

Allo stesso modo il linguaggio dell’acrobazia lascia grandissimo spazio all’allusione all’immaginazione, perché per quanto sia bella la parola essa ha in sé un grande limite, in quanto necessita di essere compresa. «Usare il linguaggio del corpo, della sorpresa acrobatica permette di alludere – prosegue Finzi Pasca –, di creare metafore o modi per amplificare le emozioni». La tradizione della Commedia dell’Arte e del teatro di prosa si fondono dunque in uno spettacolo che, grazie al linguaggio universale della clownerie, della danza, della musica, dell’acrobatica e avvalendosi di affascinanti macchine sceniche, inventa una nuova estetica visiva, dove artisti multidisciplinari si muovono attraverso universi rarefatti. Per le scenografie Hugo Gargiulo ha riflettuto sulla concezione dei veneziani della “terraferma” – che consiste nel resto del mondo – e su quella che hanno invece della propria isola, cercando di restituirne il senso di sospensione e di straniamento portando in scena un grandissimo cielo a tratti vicino, a volte più lontano, mentre l’orizzonte cambia in continuazione.

Le musiche scritte da Maria Bonzanigo, fondatrice assieme a Finzi Pasca e Gargiulo della storica compagnia, sono dei quadri ispirati ai detti e proverbi veneziani, quelle antiche verità che più di tutte sanno raccontare la storia di un luogo e dei suoi abitanti. Tra riflessi che danzano sull’acqua, orizzonti inimmaginati, creature fantastiche impegnate in mirabolanti acrobazie e un cielo incantato che gronda poesia, Titizé. A Venetian Dream si chiede «come mai in questa città si sogna così bene»? Titizé. A Venetian Dream 18 luglio-13 ottobre Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

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Teatro Goldoni, the main comedy theatre in Venice, turned 400 years old last year, and the city celebrated the occurrence with cultural events and initiatives as well as funding renovations for the old building. Titizé

A Venetian Dream is the show to push the summer at Goldoni into a place of enchantment, a place where anything can happen. Titizé (in Venetian dialect, this may sound like ‘well, you’re a...!’) is a compound of commedia dell’arte tradition and prose theatre, a show for an intergenerational and international audience and a show that will make use of clownery, dance, music, acrobatics, and scenic machin-

ery to invent tableaus that range from the ingenious to the surreal. Reflexes on water, transparent blurring, the mystical play of masks, the magic of shamanism. There will be night after foolish night, buffoonery, levitating objects, real rain, unreal rain, and a continuous attempt to look for impossible balance. And there will be Venice, of course, with its splendour, atmosphere, poetry, and mystery. After premiering on July 18, the show will be on sched- ule at Goldoni until October 13 every week, Thursday to Sunday, at 7pm. After that, the show will tour Europe and be back in Venice in Summer 2025.

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© Compagnia Finzi Pasca

theatro

FESTIVAL

La testimone velata

A cento anni dalla morte, omaggio alla divina Duse

La donna, l’artista, l’amica, la rivoluzionaria, la creativa: sono tanti i volti di Eleonora Duse che emergono da lettere, documenti, scritti e testimonianze che la riguardano. Tanti ritratti che descrivono una vera e propria icona femminile, pioniera della parità di genere nel teatro e non solo, una donna che alle donne parlava e con loro si confrontava, sul palco e nella vita.

Dalla collaborazione tra l’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Cini e il Teatro Stabile del Veneto è nato per celebrarla Dall’archivio alla scena, rassegna di sei spettacoli teatrali che da maggio e fino al 14 giugno, ha visto alternarsi sul palco dello Squero di San Giorgio Maggiore nomi di spicco del panorama attoriale italiano e alcune tra le più prestigiose scuole di teatro a livello nazionale. Il progetto, curato dalla direttrice dell’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Cini, Maria Ida Biggi, si inserisce nel più ampio calendario biennale DONNADUSE: Eleonora nostra contemporanea, programma itinerante nel Veneto realizzato in occasione del primo centenario dalla sua scomparsa in collaborazione con Regione Veneto, Circuito Multidisciplinare Regionale Arteven e Istituto per il Teatro e il Melodramma della Cini. Punto di partenza per la realizzazione della rassegna è stata la consultazione della collezione più ampia e completa di documenti

sulla vita e sull’arte di Eleonora Duse di cui la Fondazione Cini è in possesso. A cogliere l’invito a confrontarsi con l’arte e il teatro della Duse, tre autorevoli attrici italiane come Sonia Bergamasco, Lucia Poli ed Elena Bucci, che per l’occasione hanno lavorato a stretto contatto con la direttrice Maria Ida Biggi, docente in Discipline dello Spettacolo a Ca’ Foscari, con Marianna Zannoni, coordinatrice scientifica delle attività dell’Istituto, assieme all’Accademia dei Filodrammatici, la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano e l’Accademia Teatrale Carlo Goldoni del Teatro Stabile del Veneto, coinvolgendone gli allievi nella creazione di altrettante drammaturgie originali. L’11 giugno, Rivoluzione Duse. Inno agli stregati è l’omaggio che Elena Bucci tributa alla diva grazie a un lavoro di scavo nell’archivio tra lettere e testimonianze. Chiude la rassegna il 14 giugno, Il respiro dell’anima. Eleonora Duse rivelata da Dora Setti con gli allievi dell’Accademia dei Filodrammatici di Milano in scena.

Da marzo e fino a dicembre, poi, viene proposto nella Stanza Duse, archivio aperto e visitabile dal 2011, il terzo e ultimo appuntamento di una trilogia di esposizioni dedicate al rapporto della Duse con la città di Venezia (2022), con la scena italiana del suo tempo (2023) e, infine, con gli artisti e il teatro di tutto il mondo (2024). L’obiettivo del nuovo allestimento, composto da fotografie originali, carteggi, copioni annotati, documenti contabili e registri di compagnia, abiti e memorabilia, è indagare la ricezione internazionale del teatro di Eleonora Duse per ricostruire il modo in cui la sua recitazione colpì il pubblico straniero e contribuì alla rivoluzione artistica del primo Novecento teatrale, stravolgendone per sempre la fisionomia futura.

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Dall’archivio alla scena 11, 14 giugno Auditorium Lo Squero La Stanza Duse. Parte III Eleonora Duse attrice mondiale Fino 20 dicembre Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it

Riflessi di realtà

Torna il Festival delle acque e dei casoni

Il 22 giugno prende il via l’edizione 2024 di Scene di Paglia. Il festival “dei casoni e delle acque” è nato 25 anni fa a Piove di Sacco e presto si è esteso tra le provincie di Venezia e Padova con l’obiettivo di portare le performance in spazi inusuali al fine di avvicinare un pubblico più ampio a questa forma di espressione artistica. Luoghi fuori dai flussi turistici ma ricchi di fascino, sia che si tratti della medioevale Corte Benedettina di Correzzola, sorta per sottrarre territorio alla palude e renderlo fertile sin dal XII secolo, o del Casone Ramei, tipica abitazione rurale ottocentesca con pavimento in terra battuta e tetto in canna palustre, o della più aristocratica cinquecentesca Villa Roberti a Brugine, o, ancora, del protoindustriale impianto idrovoro di Santa Margherita del 1890 a Codevigo. La gestione del Festival è affidata dal 2016 all’Associazione Nuova Scena. Il direttore artistico è lo scrittore e professore universitario Fernando Marchiori: «Tenere presente è il titolo scelto per questa edizione. L’arte non può non riflettere sui tempi difficili che viviamo, sul ripetere gli stessi errori, senza imparare dal passato, ma la memoria va insieme alla smemoratezza, alla elaborazione del lutto [...] Diceva Nietzsche: beati gli smemorati perché avranno la meglio sui loro errori».

Dalla sua nascita il Festival è sempre stato interdisciplinare, attraversando i diversi linguaggi dell’arte, dal teatro alla musica, dalla danza alla letteratura.

Si inizia quest’anno con Canzoniere Grecanico Salentino, il più importante gruppo di musica popolare del Salento, impegnato da sempre in una reinterpretazione in chiave moderna della tradizione legata al rito della pizzica tarantata, che si credeva avesse il potere di curare attraverso la musica il morso della temibile tarantola. Alla Corte Benedettina di Legnaro, il 25 giugno, Teatro Bresci presenta in prima assoluta Il sequestro, che riprende il dramma del ragazzo

veneto Carlo Celadon, rapito e sequestrato dalla ‘Ndrangheta per 831 giorni. Correva l’anno 1988.

Un posto d’onore è assegnato a una trilogia legata alla figura di Claudio Montagna e al suo teatro da tavolo. Tradizione e moderna tecnologia per raccontare i miti di sempre e proporre un’acuta riflessione sulla nostra situazione umana. Lo capiamo in Tarzan: «è vero che c’era una volta una foresta nutriente e pensante, che pensava al posto nostro e che per noi sceglieva il meglio? Che sciocchezza, allora andarsene! Ehm… Scusi… sarebbe mica possibile tornare indietro?». Impensabile riportare qui tutti gli eventi in cartellone, ma almeno su uno mi vorrei soffermare. César Brie e l’Isola del Teatro portano al Casone Ramei di Piove di Sacco Re Lear è morto a Mosca (1 luglio). Canto, danza, recitazione, acrobatica, poesia e comicità si intrecciano per raccontare la storia vera del Goset, il grande teatro ebraico di Mosca (design e arredi di Marc Chagall), che osò sfidare Stalin. I fondatori e attori Solomon Michoels e Venjamin Zuskin verranno minacciati, rapiti e alla fine uccisi. Il titolo riprende il Re Lear di Shakespeare, grande e acclamata interpretazione di Zuskin. Argentino, in Italia da quando aveva 18 anni César Brie è una figura mitica del teatro moderno, prima fondatore della Comuna Baires, poi del Collettivo teatrale Tupac Amaru a Milano. In Danimarca lavora nell’Odin Teatret, poi ritorna in Bolivia con il Teatro de Los Andes. Ha ora in cantiere il progetto di realizzare un’oasi teatrale in Alta Val Tidone, un ritiro per artisti dove si possa lavorare e riflettere.

Tornando al Festival, ricordiamo che alla fine di ogni spettacolo è previsto un dibattito ad oltranza con attori e registi. E se a qualche spettatore non bastasse, prima dello spettacolo di Lady Godiva Teatro, Olmo. Io corro per vendetta (29 giugno), è in programma una passeggiata/corsa di qualche chilometro alla scoperta del territorio di Correzzola a cura dell’Associazione Rain Runners.

Per la pioggia non c’è da temere: ogni spettacolo offre un’alternativa. Non buona visione, non buon ascolto, ma buona partecipazione attiva! Loris Casadei

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Scene di Paglia – Festival dei casoni e delle acque 22 giugno-7 luglio Piove di Sacco e comuni della Saccisica www.scenedipaglia.net

Extending along the waterfront on one of the most beautiful stretches of the Grand Canal, the splendid Gritti Terrace continues to be the social hub of Venice. Drop in from 12:30pm until 5:30pm for an informal lunch, an afternoon snack, or a glass of perfectly chilled bubbles immersed in a living canvas of the city’s extraordinary architectural wonders.

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theatro

ARCHIVI

Un teatro come movimento

La Fondazione Giorgio Cini accoglie l’Archivio de Bosio

In una attualità che si consuma velocissima, dove tutto passa quasi inosservato o con un rilievo minimo, la memoria e la sua conservazione diventano fondamentali per segnare la nostra conoscenza. I luoghi deputati alla custodia e valorizzazione di questi giacimenti culturali diventano così fari del contemporaneo, non più torri eburnee, inaccessibili, ma luoghi aperti per studiosi e non solo, per favorire una libera circolazione della conoscenza non superficiale. Proprio come un faro, la Fondazione Cini ha fatto dell’Isola di San Giorgio Maggiore un enorme giacimento di cultura, con il continuo accoglimento e valorizzazione di patrimoni documentali e di archivi di insigni studiosi di diversa formazione culturale. Ultima in ordine di tempo, l’acquisizione da parte dell’Istituto per il Teatro e il Melodramma dell’Archivio personale di Gianfranco de Bosio, in occasione del centenario della sua nascita (Verona, 1924 – Milano, 2022), che documenta la lunga e ricca carriera del celebre regista che ha segnato profondamente il teatro, il cinema e la tv del Novecento.

Regista di prosa e lirica per il cinema e la televisione, oltre che scrittore e sceneggiatore di grande prestigio, de Bosio ha collaborato nel corso della sua lunga carriera con alcuni degli artisti di cui la Fondazione Cini già custodisce gli archivi: il regista e drammaturgo Luigi Squarzina, il regista Giovanni Poli, lo scenografo Mischa Scandella e la scenografa e costumista Santuzza Calì. Sono così conservati la memoria e il lavoro di un’intera generazione di artisti, la più completa documentazione per poter ricostruire e raccontare un pezzo fondamentale del teatro e del cinema del secondo Novecento italiano, messi a disposizione di studiosi e appassionati.

L’archivio di Gianfranco de Bosio, sottolinea la direttrice Maria Ida Biggi, docente di Storia del teatro e dello spettacolo all’Università Ca’ Foscari Venezia, «testimonia un grande lavoro di ricerca, nella riscoperta di autori italiani e stranieri, da Ruzante a Goldoni, da Testori a Betti, a Brecht che mette in scena per primo in Italia a Shaw, Strindberg, Gorkij e Sartre. De Bosio è stato all’avanguardia nella creazione del Teatro universitario di Padova, parallelo a quello di Giovanni Poli all’Università di Venezia nell’immediato secondo dopoguerra e, più tardi, nella straordinaria gestione del Teatro Stabile di Torino, di cui ha plasmato davvero l’identità negli anni ‘50 e ‘60». Il legame con il mondo culturale veneto è sempre stato intenso e fertile, come dimostra la sua lunga direzione dell’Ente Lirico di Verona. L’archivio de Bosio si compone di una grande quantità di materiali: note di regia e appunti, copioni e sceneggiature, rassegne stampa, bozzetti di scena e figurini per costumi. La documentazione è stata dapprima suddivisa per ambiti di appartenenza quali regie di prosa, regie liriche, regie cinematografiche e progetti televisivi, per poi essere riordinata in faldoni specifici relativi ai titoli di repertorio. La studiosa Maria Rita Simone ha lavorato personalmente sull’archivio, a stretto contatto con il regista. Racconta che «il suo piccolo regno domestico era il suo studio, al centro un grande tavolo dove erano disposti tutti i documenti. Il materiale raccolto nel corso della sua lunga vita testimonia l’intera carriera, dalle prime esperienze di regie teatrali a partire dai primi anni ‘40, fino agli ultimi anni di

direzione artistica di eventi culturali, costituendosi come uno strumento di rilevante importanza per l’approfondimento della sua lunga biografia artistica».

Sottolinea, Carmelo Alberti, docente di Teoria e Storia del teatro e dello spettacolo all’Università Ca’ Foscari, «il metodo de Bosio era quello straordinario intreccio di grande umanità, tessitore instancabile di relazioni umane e intellettuale impegnato, rigoroso. Attorno a questo suo ‘metodo’ ha saputo costruire comunità».

Il figlio del regista, Stefano de Bosio, ricorda come «la decisione di lasciare l’archivio personale alla Fondazione Giorgio Cini è stata concorde tra mio padre e mia madre, Marta Egri. Quando siamo venuti qui a Venezia nel 2021, in occasione della consegna dell’archivio di Santuzza Calì, la grande costumista, non abbiamo avuto dubbi. Oggi sono felice di rispettare le loro volontà».

L’acquisizione dell’Archivio è il primo fondamentale passo per le celebrazioni della sua figura, che continueranno con un fitto programma di iniziative nei prossimi tre anni: convegni a Torino, Padova e Verona, borse di studio, spettacoli, oltre a una serie di pubblicazioni e audiovisivi. M.M

www.cini.it

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Gianfranco de Bosio, anni Sessanta Archivio de Bosio, Istituto per il Teatro e il Melodramma, Fondazione Giorgio Cini, Venezia

inema A VISO APERTO

Credo che i temi centrali siano quelli presenti in gran parte del lavoro di Yorgos: il potere, il controllo, la sottomissione, il bisogno di essere amati e accettati e quale sia il prezzo che siamo disposti a pagare Emma Stone

Nuovamente riuniti sul grande schermo i grandi di Hollywood Emma Stone, premio Oscar come miglior attrice 2024, Margaret Qualley e Willem Dafoe per Kinds of Kindness del regista greco Yorgos Lanthimos. Il trio si era già ben espresso nel film sulla Londra vittoriana dello stesso regista, uscito nelle sale lo scorso anno, Povere Creature! (Poor Things!) dopo essersi aggiudicato il Leone d’Oro come miglior film a Venezia.

In Kinds of Kindness al celebre trio si aggiunge l’ottima performance di Jesse Lon Plemons, ma anche altri nomi di peso della cinematografia internazionale come Joe Alwyn, Mamoudou Athie, Hunter Schafer e Hong Chau. Kinds of Kindness è stato presentato in anteprima mondiale all’ultimo Festival di Cannes e Plemons ha vinto il premio come miglior attore, arrivando probabilmente alla consacrazione definitiva.

È descritto come una “favola contemporanea trittica”. Si tratta infatti di tre storie noir distinte ed esilmente collegate. La prima, The death of R.M.F., è riferita ad un uomo che si allontana da un potente superiore e cerca di autodeterminare il proprio destino. Nella seconda, R.M.F. is flying, un poliziotto, dopo essersi tormentato per la scomparsa della moglie in mare e dopo averla ritrovata, ha il grosso sospetto che quella donna non sia in realtà chi sostiene di essere. La terza ed ultima storia, R.M.F. eats a sandwich, mette al centro una donna che ha il compito di identificare una persona che abbia la capacità

di resuscitare i morti. In ogni storia si nasconde qualche piccolo segreto che, sviluppandosi, può travolgere lo spettatore. Inutile dire quanto e come la voce di Annie Lennox che canta l’eterna Sweet Dreams (Are Made of This) completi l’opera.

Teo Youssoiufian lo definisce “ennesima opera riuscita di un cineasta che oggi non assomiglia a nessun altro, che ha il coraggio di proporre storie originali e complicate e che possiede un dono speciale nella direzione degli attori”. Non tutta la critica è favorevole, però. MYmovies. it lo definisce “un film minore”, Andrea Chimento per il Il Sole 24 Ore lo definisce “deludente esercizio di stile”, Paolo Mereghetti per il Corriere della Sera ritiene che Kinds of Kindness sia “un film di fischi, di rara insipienza”, e infine Gianluca Amone per Cinematografo scrive “ironia dissacrante, corali gregoriane non sempre riuscite e forse nemmeno spesso”.

Personalmente condivido come “Il film ci porti ai confini della realtà, ma poi ci lascia soli, con le nostre miserie, le nostre paure, le nostre ossessioni, e soprattutto con il nostro desiderio di essere amati e accettati” (Paolo Nizza per Spettacolo, Sky Tg 24). Immergersi in un film d’azione, enigmatico ed esoterico come Kinds of Kindness determina evasione dalla realtà, emozioni intense e stimolo intellettuale. Andrebbe visto.

Kinds of Kindness Dal 6 giugno al cinema www.comune.venezia.it

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di Maurizio De Luca

PALMA D’ORO

Contro ogni pronostico, la Giuria del Festival di Cannes presieduta da Greta Gerwig ha assegnato la Palma d’Oro ad Anora del regista statunitense Sean Baker. Ambientato a Manhattan, Anora è una commedia brillante che racconta l’amore ‘impossibile’ tra una prostituta uzbeka e il figlio di un oligarca russo. Inutile dire che la potente famiglia di lui tenterà in ogni modo di ostacolare la loro relazione, in un susseguirsi di eventi che alternano – nelle parole del critico cinematografico della BBC Nicholas Barber – «energia e momenti di risate a crepapelle». Baker non è nuovo a storie che ruotano attorno alla vita dei sex workers. Già in Tangerine, del 2015, il regista portava sullo schermo le vicende della fiera e impulsiva prostituta transgender Sin-Dee Rella, mentre il mondo del porno viene descritto in film come Starlet, Un sogno chiamato Florida e Red Rocket. Baker è conosciuto nella scena cinematografica indie per la sua capacità di realizzare film a basso budget (Tangerine è stato girato interamente con un iPhone) e la critica lo ha apprezzato per la cura della fotografia e per la capacità di raccontare in maniera acuta e divertente il sesso e le persone che con il sesso ci lavorano. «Il lavoro sessuale – ha dichiarato Baker – è un lavoro a tutti gli effetti, centrale per la società più di quanto la società stessa voglia ammettere». M.S.

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Kinds of Kindness

cinema

81. FESTIVAL DEL CINEMA DI VENEZIA

Architetto di emozioni

Leone d’Oro alla carriera per Peter Weir

Le sue opere sono intrise di un senso di mistero e meraviglia che accoglie la complessità della vita e della condizione umana. Narratore di anime, esploratore di profondità emotive e culturali, abile architetto di emozioni e atmosfere, a Peter Weir va il Leone d’Oro alla carriera della prossima Mostra del Cinema. Il direttore Alberto Barbera ha motivato il riconoscimento descrivendo il regista e sceneggiatore australiano come fautore di un cinema «in grado di coniugare la riflessione su tematiche personali e l’esigenza di rivolgersi ad un pubblico il più vasto possibile», un cinema «insieme audace, rigoroso e spettacolare». Nato a Sydney nel 1944 (compirà ottant’anni il 21 agosto, a pochi giorni dalla Mostra) Weir inizia il suo viaggio nel mondo del cinema negli anni ‘70, un periodo d’oro per il cinema australiano, che lo vede capofila della cosiddetta Australian New Wave. Il suo primo successo internazionale, Picnic at Hanging Rock (1975), un thriller enigmatico ambientato in una scuola femminile vittoriana, svela il suo talento unico nel creare atmosfere suggestive e inquietanti. La pellicola, basata sull’omonimo romanzo di Joan Lindsay, è diventata un cult, celebrata per la sua fotografia eterea e la narrazione sfuggente. Nel 1985, con Witness - Il Testimone, Weir fa il suo ingresso a Hollywood dirigendo Harrison Ford in una delle sue interpretazioni più memorabili. Il film, che racconta la storia di un poliziotto che trova rifugio in una comunità Amish, mescola il thriller con il dramma culturale, guadagnandosi otto nomination e due premi Oscar (per la sceneggiatura e il montaggio).

In L’attimo fuggente (1989), con Robin Williams e un esordiente Ethan Hawke, Weir esplora il potere trasformativo della poesia e dell’educazione, ispirando generazioni di spettatori a “cogliere l’attimo”. E poi arriva il capolavoro. Con The Truman Show del 1998, alle soglie del nuovo millennio, il regista anticipa temi di grande attualità come la sorveglianza e la realtà virtuale, raccontando la storia di un uomo la cui vita si rivela essere un gigantesco reality show.

La pellicola, che valse a Jim Carrey un Golden Globe, è considerata una delle più profetiche e influenti degli ultimi decenni. Qualche anno dopo, nel 2003, Weir affronta le sfide dell’epica marinaresca. Il suo Master & Commander, basato sui romanzi di Patrick O’Brian, con Russell Crowe nel ruolo del capitano Jack Aubrey, dipinge un affresco dettagliato e avvincente della vita in mare e delle dinamiche di comando e amicizia tra i membri dell’equipaggio. Dopo The Way Back del 2010, storia di un gruppo di soldati polacchi in fuga da un gulag siberiano durante la Seconda Guerra mondiale, Peter Weir si è chiuso in un silenzio creativo e recentemente ha annunciato il suo ritiro dal cinema: «Molto semplicemente, non ho più energia». Ma il mondo del cinema ha continuato ad attribuirgli premi e riconoscimenti, fino all’Oscar onorario dell’Academy nel 2023, forse una sorta di tardiva ammenda per i molti Oscar mancati. E ora lo aspettiamo al Lido per l’ambito e meritatissimo Leone. Marisa Santin ENG Peter Weir’s designs are shrouded in mystery and marvel, a reflection of the complexity of life and the human condition. A narrator of souls and an explorer of emotional and cultural depths, Peter Weir will be awarded the Golden Lion for Lifetime Achievement at the next Venice Film Festival, due late summer. The programme’s director Alberto Barbera praised the Australian filmmaker for his ability to “combine reflections on personal themes and a need to reach as vast an audience as possible” and for his “daring, rigorous, and spectacular film opus: a sensitivity that allows him to deal with highly up-to-date topics, such as a fascination with nature and its mysteries, the crisis of adults in consumerist societies, the difficulties of educating young people about life, the temptation of physical and cultural isolation, but also the lure of adventurous impulses and the instinct for rebellion.”

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Approdo naturale Sotto i riflettori

Sarà l’attrice francese Isabelle Huppert ( Elle, La pianista, La cérémonie ) a presiedere la Giuria internazionale del Concorso della 81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia in programma dal 28 agosto al 7 settembre, che assegnerà il Leone d’Oro per il miglior film e gli altri premi ufficiali. «È una lunga e meravigliosa storia – spiega Isabelle Huppert – quella che mi lega alla Mostra di Venezia. Diventarne una spettatrice privilegiata è un onore. Oggi più che mai il cinema è una promessa. La promessa di evadere, di sconvolgerci, di sorprendere, di guardare il mondo in faccia, uniti nella diversità dei nostri gusti e delle nostre idee».

Tra le più grandi attrici del cinema francese e mondiale, ha sviluppato un interesse verso la recitazione sin dall’adolescenza e ha studiato al conservatorio di Versailles. Nel 1978 vince il Premio per la migliore attrice a Cannes per il film Violette Nozière di Claude Chabrol. Con lo stesso regista ha lavorato in altri sette film e ha ottenuto due Coppe Volpi alla Mostra di Venezia con Un affare di donne (1988) e La cérémonie - Il buio nella mente (1995). Per quest’ultimo ha anche ottenuto il suo primo César per la migliore attrice. Nel 2001 ha vinto il suo secondo Premio per la migliore attrice a Cannes per La pianista di Michael Haneke. Nel 2005 le è stato assegnato a Venezia un Leone d’Oro speciale per il complesso dell’opera per Gabrielle di Patrice Chéreau. Nel 2017 ha ottenuto la candidatura all’Oscar come attrice protagonista per Elle di Paul Verhoeven, per il quale ha vinto un Golden Globe e un Indipendent Spirit Award. Nel 2022 le è stato assegnato l’Orso d’Oro alla carriera al Festival di Berlino.

ENG French actress Isabelle Huppert (Elle, The Piano Teacher, La Cérémonie) will be the president of the International Jury of the Competition at the 81st Venice International Film Festival (August 28 - September 7).

In accepting the proposal, Isabelle Huppert said: “There is a long and beautiful history between the Festival and I. Becoming a privileged spectator is an honor. More than ever, cinema is a promise. The promise to escape, to disrupt, to surprise, to take a good look at the world, united in the differences of our tastes and ideas”.

Isabelle Huppert developed an interest in acting as a teenager and entered the Versailles Conservatory. She won the Best Actress award at the Cannes Film Festival in 1978 for Violette by Claude Chabrol. In 2022 she was appointed as the recipient of the Honorary Golden Bear at the Berlin Film Festival.

Sveva Alviti è la madrina dell’81. Mostra del Cinema di Venezia, scelta per condurre le serate di apertura e di chiusura rispettivamente mercoledì 28 agosto, sul palco della Sala Grande (Palazzo del Cinema al Lido) in occasione della cerimonia di inaugurazione, e sabato 7 settembre, in occasione della quale saranno annunciati i Leoni e gli altri premi ufficiali dell’81. Mostra. Nata a Roma, inizia precocemente a studiare recitazione con alcuni tra i migliori insegnanti americani, tra cui la celebre coach Susan Batson. Nel 2009 debutta a Broadway come protagonista dello spettacolo teatrale The Interrogation e nel 2011 partecipa alla 68. Mostra del Cinema di Venezia con il cortometraggio Alice di Roberto De Paolis.

La consacrazione arriva nel 2017 con Dalida, biopic di Lisa Azuelos sulla celebre icona francese che le vale la nomination come miglior attrice emergente ai César 2018 e capace di ottenere grande successo in Francia e in Italia, trasmesso come evento speciale in prima tv assoluta su Rai Uno. L’attrice si appresta a iniziare le riprese di Walking Through the fire, suo esordio alla regia per un documentario. ENG Sveva Alviti will open the 81st Venice International Film Festival on the evening of Wednesday 28 August 2024, on the stage of the Sala Grande (Palazzo del Cinema on the Lido) for the inauguration ceremony, and will host the closing ceremony on Saturday 7 September. Her consecration came in 2017 with Dalida, the biopic by Liza Azuelos about the famous French icon, which won her a nomination for Best Emerging Actress at the 2018 César awards. The actress is preparing to start filming Walking Through the Fire, her directorial debut for a documentary.

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Quattro minuti

Quanto tempo serve per raccontare una storia? Meno di quattro minuti, secondo i 36 registi che da tutto il mondo partecipano, con i loro ‘cortissimi’, alla ventiseiesima edizione del Très Court International Film Festival, evento globale che la sera di venerdì 14 giugno coinvolgerà più di 15.000 spettatori in 5 continenti.

Dall’animazione al dramma, dall’horror alla commedia: nessuna regola – se non quella del tempo – per i 36 film in gara, scelti fra migliaia per riflettere i più recenti indirizzi della cinematografia contemporanea ma anche per premiare il virtuosismo di autori emergenti, i cui corti scorreranno in un’unica proiezione sugli schermi della Casa del Cinema di Venezia grazie alla collaborazione tra Alliance Française e Circuito Cinema Venezia.

Un cadavre exquis della durata di due ore, dunque, in cui a spiccare è la pluralità di voci, sguardi e direzioni propria di uno strumento espressivo cangiante per natura, nelle parole del critico cinematografico Gianni Volpi «tra i più inquietanti e necessari: non specchio, ma sismografo di ciò che si muove».

D’altronde, in economia di tempo, parole e immagini il ritorno all’essenziale è inevitabile, ed è qui che si sprigiona quella particolare oscillazione in grado di emozionare, sorprendere, spaventare ed infine commuovere lo spettatore. Ma è anche un mezzo democratico, quello del cortometraggio, in cui vengono meno le regole canoniche della produzione e del consumo per lasciare spazio alla sperimentazione dei giovani registi, che proprio abbandonando il superfluo trovano una rinnovata forza comunicativa capace di catturare, attraverso l’espressione spontanea e immediata, un pubblico sempre più vasto.

Il Très Court International Film Festival è di fatto un’esperienza coinvolgente e profondamente partecipativa, non solo perché la proiezione avviene in contemporanea nei cinema di ben 54 Paesi, riunendo virtualmente migliaia di sguardi dagli angoli più disparati del globo, ma soprattutto perché sarà lo stesso spettatore a vestire i panni di giudice attraverso un sistema di votazione che, a proiezione conclusa, sancirà il vincitore del Premio internazionale del pubblico. Libertà, pluralità, sperimentazione e partecipazione si condensano in un caleidoscopio di linguaggi e culture che, di quattro minuti in quattro minuti, tinge le sale della Casa del Cinema di una miriade di luci iridescenti. Adele Spinelli

Très Court International Film Festival 14 giugno Casa del Cinema www.comune.venezia.it

SUPERVISIONI

Sono al Far East Film Festival 2024 di Udine e rimango davvero sorpreso da alcuni film dell’area cinocoreana che vengono presentati. Per il viaggio e i pochi momenti liberi ho preso con me l’ultimo libro di Mo Yan, pseudonimo di Guan Moye, scrittore premio Nobel nel 2012. Il nickname significa “Non parlare”, a ricordo degli ammonimenti dei genitori durante la Rivoluzione culturale di Mao. Ho appena letto il penultimo racconto della raccolta Maturare tardi, dal titolo Labbra rosse e bocca verde su una ragazzina sadica che è diventata una influencer in Rete. La sua filosofia è: «Se uccidi qualcuno, paghi con la vita. Se ferisci qualcuno, finisci in galera. Se danneggi qualcuno, devi risarcirlo. Ma in Rete puoi dire cose spietate e sporche, lì non si parla di virtù e giustizia, più sei spavaldo e cattivo e meglio è! La Rete è maledettamente fantastica». Si spengono le luci in sala ed inizia la proiezione di Trending Topic, terzo film di Xin Yukun. Protagonista la splendida e bravissima attrice Zhou Dongyu. Business woman, ambiziosa e apparentemente senza scrupoli nel gestire una piattaforma on line con sei milioni di utenti. Un giorno viene pubblicato un video con un episodio di apparente bullismo a scuola. La presunta colpevole viene messa alla gogna e tenta il suicidio. I livelli di visualizzazione crescono e quindi anche la raccolta pubblicitaria. Ma riceve un messaggio inviatole il giorno prima dalla ragazza che racconta un’altra storia e la protagonista decide di indagare. Il tema del pericolo di un uso improprio dei social media si intreccia a quello della immoralità del potere del denaro. Il film è stato valutato molto positivamente dalla critica ed è in effetti molto ben costruito, diretto ed interpretato, ma non a caso nelle sale cinesi sono mancati giovani ed adolescenti. Il tempo di un caffè e sono in sala di nuovo. Ora sullo schermo A Normal Family, del sudcoreano Hur Jin ho. Una tavola apparecchiata e due fratelli si incontrano con le rispettive mogli. Mi ricorda Carnage di Polanski e The dinner di Menno Meyjes del 2013, basato sul romanzo di Herman Koch. Ma la scena è presto rubata dai figli delle coppie, cresciuti in scuole di lusso e ben acculturati. Usciti da una festa, pestano a sangue un senzatetto senza alcun motivo, in pieno stile Arancia Meccanica L’aggressione viene ripresa dalla telecamera di sorveglianza e messa in Rete. I protagonisti, non identificabili, si guardano con soddisfazione e sembrano godere della popolarità conquistata, anche se ancora anonima. I coetanei riempiono il video con una serie infinita di like. Anche qui non riveleremo il finale, così come non entreremo nel delicato tema. Ma che siano due film dell’Estremo Oriente a lanciare l’allarme, questo sì, riteniamo opportuno segnalarlo. Loris Casadei

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cinema

MARIO

E KARINE DE VILLERS

Dall’altra parte

Intervista Mario Brenta e Karine de Villers

di Andrea Zennaro

L’occhio registico del veneziano Mario Brenta si è sempre soffermato ai margini della società contemporanea, con una messa in scena che agisce per sottrazione attraverso una forma poetica verista ed allo stesso tempo che non rifiuta il ricorso al simbolismo. Nella sua opera prima Vermisat, del 1974, l’attore principale, non professionista, interpreta un derelitto che sbarca il lunario raccogliendo vermi per i pescatori, segnato da un destino senza scampo.

All’interno della factory olmiana Ipotesi Cinema, Brenta realizza Maicol (1988), ‘pedinamento zavattiniano’ sulle tracce di un bambino smarrito nella alienante metropolitana milanese. Dalle pagine di Buzzati, il regista dirige Barnabo delle montagne (1994), un’opera sospesa nel tempo dove una guardia forestale si ritrova a fare i conti con il proprio passato. La storia ha come sfondo il paesaggio dolomitico che con la sua vastità incommensurabile, dagli echi western, colpì Clint Eastwood presidente della giuria di Cannes, dove il film andò in Concorso.

Dal 2010 inizia il prolifico connubio con l’antropologa e documentarista belga Karine de Villers; il medium si alleggerisce passando dalle cineprese a pellicola al digitale, ma i contenuti e le dinamiche del suo fare cinema persistono. Con il loro nuovo film, Dietro la porta, che all’inizio doveva intitolarsi Case, ci troviamo di fronte ad una sorta di controcampo del precedente Isole, del 2021, realizzato durante la clausura pandemica. I due cineasti entrano qui in punta di piedi nelle case delle persone a loro care, luoghi che riflettono la personalità di chi li abita. Un film nato da una scintilla generata nel momento in cui la cineasta belga ha portato Mario a vedere la casa dove aveva abitato da bambina in Rue des Déportés, a Bruxelles, luogo dell’anima di Karine. L’abitazione sembrava disabitata, ma non era così: in questo luogo ogni cosa era viva, non solo le persone, il che ha permesso di cancellare i brutti ricordi di Karine, un vero e proprio percorso terapeutico. In un momento successivo, fatte le riprese all’interno, per contagio creativo Mario e Karine hanno deciso di andare in altre case per allargare la costruzione di questo loro lavoro documentario. Abbiamo incontrato i due autori in occasione dell’uscita del nuovo film.

Iniziamo dall’ultimo miglio: qualche mese fa la vostra nuova opera, Dietro la porta, realizzata a quattro mani, è stata presentata al pubblico veneziano e accolta con molto entusiasmo: qual è l’alchimia che vi unisce e da cui nasce questo prolifico flusso creativo?

Se il nostro lavoro ha avuto successo di pubblico e di critica (un po’ meno, sembra strano ma non lo è, a livello festivaliero) è perché si

colloca al di fuori di quei modelli che oggi ci vengono sempre più frequentemente e insistentemente proposti (imposti!) al fine di incontrare il supposto favore del pubblico e, di conseguenza, di produrre profitto, crescita economica, materiale, ma non di certo arricchimento intellettuale, culturale, di vita. Tutto questo può sembrare contraddittorio, ma non lo è. Non lo è perché il cosiddetto pubblico non è poi così sprovveduto come certuni pensano: sa benissimo che lo si vuole sempre di più imprigionare in una realtà altra, artificiale, falsamente rassicurante per fargli dimenticare la realtà vera, in cui lo si utilizza soltanto come umile servitore, in un regime di vera e propria schiavitù mentale. Il nostro approccio alla realtà è di conseguenza ben diverso da quei modelli cui la maggioranza del cinema attuale – e non solo del cinema – si conforma. Non è un approccio condotto attraverso un rapporto di dominio, ma viceversa mosso dalla curiosità, dalla scoperta di quei significati, di quei percorsi di senso che stanno lì, nella realtà stessa, ma che vanno cercati oltre la superficie delle cose, in profondità. Tutto questo lo si può mettere in atto solo se ci si accosta alla realtà con un atteggiamento di apertura, attenzione ed ascolto, senza alcun pregiudizio, se non quello della propria sensibilità. Nel caso specifico, del nostro rapporto di coppia nel rispetto delle nostre individualità – ovvero delle nostre differenze – che si integrano in una complementarietà attraverso la condivisione di un sentimento comune. All’atto pratico, ripartendoci i compiti pur restando sempre uniti: se al momento delle riprese sarà mio compito prioritario il cercare delle sensazioni, al momento del montaggio sarà compito di Karine cucire assieme e dare forma a queste stesse sensazioni.

Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario del suo debutto registico. Vermisat venne infatti presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1974 e da lì è partito il suo straordinario percorso autoriale. Che ricordo ha di quei momenti? Riaffiorano nella memoria dei ricordi che a prima vista possono forse apparire marginali, se non addirittura privi di senso. Innanzitutto quando assieme al produttore, Carlo Tuzii, abbiamo mostrato in co-

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pia di lavorazione il film al delegato dell’Italnoleggio, distributore della pellicola. A proiezione terminata, unico spettatore in sala, si è girato verso di noi dicendo: «Caro Brenta, qui c’è davvero un bel lavoro… ancora da fare!». Inutile dire che ci sono cascate le braccia ma che, istantaneamente e di comune accordo, forse solo scambiandoci uno sguardo di complicità più che eloquente, abbiamo deciso di non cambiare una virgola al film e di proseguire per la nostra strada. Decisione più che saggia, perché grazie alla successiva proiezione per il direttore della Mostra del Cinema Giacomo Gambetti abbiamo ottenuto seduta stante la selezione al Festival, così come alla proiezione ancora successiva con il direttore del Festival dei Valori Umani di Valladolid, dove il film ha ottenuto un buon successo di pubblico e critica oltre il Premio Speciale della Giuria. Altro ricordo è quello del mio arrivo al Lido la mattina stessa della proiezione serale del film quando, dopo aver depositato con le mie stesse mani la copia 35mm appena uscita dal laboratorio al proiezionista, mi sono avviato verso l’albergo. Appena entrato nella hall, mi sono sentito interpellare in dialetto da un signore che non conoscevo ma che avrei scoperto più tardi essere Toni De Gregorio, autore anche lui di un film selezionato. «Ti xe Brenta? Scolta, bisogna che se coalizemo ché i ne vol far fora!». Dopo aver buttato li, un «… sì, certo...», mi sono avviato più che mai sorpreso e perplesso alla reception. Perplessità che è rimasta tuttora senza risposta, soprattutto perché il film ha avuto un’ottima accoglienza e, durante il mio breve soggiorno veneziano come anche in seguito, non ho avvertito alcun segno di ostilità o di complotto nei miei e nei nostri confronti da parte di chicchessia. Ben altra perplessità mi ha suscitato, invece, l’incontro con il pubblico e la stampa dopo la proiezione del film. Proprio in apertura mi è stato chiesto: «Perché questo film?». Domanda che mi ha colto più che di sorpresa – e a cui, confesso, non sono riuscito a rispondere – gettandomi nel panico più totale. Panico da cui mi ha caritatevolmente salvato Italo Moscati, produttore RAI, rispondendo a tono e in modo politicamente corretto. Devo dire che però quella domanda ha continuato a perseguitarmi e per lungo tempo. Perché mai non avevo saputo rispondere? La risposta che mi sono dato, molto più tardi, è che forse quel mio primo film l’avevo fatto d’istinto, quasi senza riflettere, seguendo inconsciamente un sentimento, un impulso interiore. Una presa di coscienza che – può sembrare strano se non contraddittorio – mi ha creato non pochi problemi nel ritrovare a volte una mia spontaneità, se non ingenuità, nei lavori successivi. Ma penso tutto sommato, nel bene come nel male, di avercela fatta, anche se con non poca fatica.

Il cinema di poesia, underground, sperimentale, ‘fuori norma’ (termine amato dal compianto Adriano Aprà) è più vivo che mai, a differenza della stragrande maggioranza delle produzioni mainstream che ormai sono solo contenitori vuoti, prodotti da supermercato usa e getta. Da quello che intuisco, lei ha un rifiuto totale per l’omologazione, ma stiamo vivendo un periodo storico incentrato proprio sul livellamento delle menti umane, con l’uso di strumenti tecnologici di una potenza inaudita. Secondo lei c’è una qualche via d’uscita per le prossime generazioni, ormai incanalate verso un futuro che a molti di noi oggi appare infernale?

Una domanda, questa, che mi trova più che d’accordo nelle sue premesse e a cui, in buona parte, mi pare di avere già risposto più sopra. Per quanto invece riguarda il futuro – e in particolare quello delle nuove generazioni – penso di poter dire qualcosa soprattutto in forza del mio secondo lavoro o ruolo, che dir si voglia. Quello di insegnante, all’Università, come nelle scuole di cinema e ancor di più come collaboratore di Ermanno Olmi a Ipotesi Cinema, quella particolare “scuola-non-scuola” che Olmi è stato capace di creare a modo suo. Cosa si dovrebbe trasmettere attraverso l’ insegnamento per permettere una conoscenza del mondo che porti ad una conoscenza di noi stessi? Compito naturalmente complesso, che va percorso innanzitutto fuori da qualsivoglia recinto dogmatico, definitivo a prescindere, seminando spunti che stimolino alla riflessione e al confronto. Non proponendo quindi dei modelli da imitare, se non quello tutto particolare e personale di ciò che si è, seguendo la propria identità che non è mai però immediatamente data, ma che va, con l’aiuto del docente, piuttosto ricercata, trovata e sviluppata, rispettandola nella sua singolare autenticità. In sintesi: la libertà di essere ciò che realmente si è nel nostro esistere in questo mondo. Utopia? Non è un compito facile, poco ma sicuro. Ma resto convinto che, malgrado tutto, ce la si possa fare.

Karine, dal suo debutto nel 1990 con il cortometraggio Je suis votre voisin al vostro incontro per Calle de la Pietà del 2010, ha perlustrato i temi dell’immigrazione, di una società contemporanea fatta di disparità abissali, concentrandosi sull’essere umano sia da un punto di vista antropologico, sia in quanto bene supremo in sé e per sé. Crede che l’arte, in tutte le sue forme, rimanga a tutt’oggi uno dei pochi mezzi rimasti per poter ricostruire un mondo per certi versi assai alla deriva?

Abbiamo sempre guardato alla deriva di questo nostro mondo, per denunciare e resistere. Un mondo in cui il denaro è il nuovo Dio onnipotente davanti al quale il cinema, e non solo, si prostra obbediente. La chiave per esistere è resistere alla globalizzazione dell’arte e al suo livellamento; resistere anche in tempi turbolenti di fronte a un cinema diventato museo, congelato e morto a immagine e somiglianza di un videogioco. Un cinema ridotto a prodotto commerciale, che ha perso tutta la propria umanità e creatività originaria per inseguire un mimetismo della realtà, un’illusione di vita.

Al contrario, l’arte, se è vera arte, accetta il mistero, pratica l’intuizione attraverso un linguaggio allo stesso tempo personale e universale, che in special modo attraverso la metafora e il simbolico apre all’ascolto del vivente, a un mondo senza frontiere che permette un’interazione più organica e ricca, reciproca ed egualitaria in un rapporto naturale, senza pregiudizi nei confronti dell’Altro, del diverso. Un cinema che avvolge e coinvolge attivamente lo spettatore in ciò che guarda e che a sua volta da questo viene guardato.

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cinema

CINEFACTS

a cura di Marisa Santin

VENT’ANNI DI VITE

Il Biografilm Festival (7-17 giugno, Bologna) raggiunge il traguardo dei 20 anni con 77 film in programma distribuiti all’interno delle otto sezioni della Selezione Ufficiale, con 58 anteprime italiane e 19 anteprime mondiali. Premio alla carriera al regista francese Olivier Assayas e Abel Ferrara come ospite speciale in chiusura. Grande attesa per il distopico The Animal Kingdom, che esce in contemporanea nelle sale italiane.

Hors du Temps

di Olivier Assayas (2024)

Dopo la presentazione al concorso della Berlinale 2024, Olivier Assayas, che a Bologna riceve il premio alla carriera Celebration of Lives Award, ci porta nella campagna francese all’inizio della pandemia, dove due fratelli e le rispettive compagne trascorrono il periodo di isolamento in un’atmosfera sospesa nel tempo.

Turn in the Wound

di Abel Ferrara (2024)

Il regista statunitense presenta un documentario sull’esperienza della guerra in Ucraina, alla ricerca del senso profondo della sofferenza. Il film, che accanto alle scene di guerra vede Patti Smith recitare versi di Artaud, Daumal e Rimbaud, è anche un interrogativo su quale sia la funzione, la posizione e la natura di un artista.

The Animal Kingdom

di Thomas Cailley (2023)

In un futuro in cui gli esseri umani iniziano a sviluppare caratteristiche animali, un padre e un figlio cercano di adattarsi alla nuova realtà confrontandosi con il risveglio di poteri latenti. Mescolando fantascienza e dramma, Cailley porta sullo schermo una storia di sopravvivenza che parla di connessione con la natura e istinti primordiali.

Südtirock - Suoni di confine

di Armin Ferrari, Jadel Andreetto (2024)

Il documentario ripercorre la scena musicale fiorita tra gli anni ‘80 e ’90 in Sudtirolo, scandita dall’ascesa di gruppi hardcore punk e heavy metal in un territorio geo-politicamente complesso, che in quegli anni affrontava l’emergere di tensioni sociali e la minaccia di azioni di terrorismo.

Romina

di Valerio Lo Muzio, Michael Petrolini (2024)

In concorso nella sezione di Biografilm Italia, il film racconta la storia di Romina Cabezas Navarrete, cresciuta tra le strade della Bolognina, quartiere multietnico di Bologna. Romina insegue il sogno della boxe agonistica, ma la vita la metterà di fronte a una dura prova che la costringerà a una scelta.

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LA VERSIONE DI ÁLVARO

Si a alguien non le gusta, puede cerrar el libro

All’interno della scorsa edizione di Incroci di Civiltà, benemerito festival internazionale di letteratura promosso dall’Università Ca’ Foscari, l’autore messicano Álvaro Enrigue (1969, Guadalajara, Messico) ha presentato il suo nuovo romanzo Il sogno. Lo incontro in Campo Santa Margherita durante i giorni di Incroci, in aprile, seduto al sole con già tre tazzine di caffè sul tavolo. Si presta volentieri all’intervista e si ordina un altro caffè. Mi ero ben preparato, da giovane ho amato la letteratura sudamericana, Márquez, Borges, Sepúlveda, anche se il preferito, da adolescente, era Álvaro Mutis, forse a causa di Ilona, chissà… Da poco l’amico Gabriele Bizzarri, docente di letteratura ispanoamericana all’Università di Padova, gran affabulatore, amatissimo dai suoi studenti, mi aveva fatto conoscere Cortazár e, soprattutto, Pedro Páramo di Juan Rulfo, un autentico capolavoro. Gabriele Bizzarri, che, mano al cuore o occhi al cielo, ricorda i bei tempi del secolo scorso e i successi della letteratura ispanoamericana in Italia. Così, anche per il gusto di mettere zizzania nel paludato mondo delle università, qualche ora prima avevo chiesto a Margherita Cannavacciolo, anche lei docente di letteratura, ma a Ca’ Foscari, moderatrice dell’incontro di Incroci con Enrigue, i motivi del calo di interesse. Ella mi aveva guardato sorpresa dichiarando che, dopo qualche anno di normale saturazione del mercato, ora gli autori del Sudamerica sono ritornati al centro dell’interesse di critica e pubblico. Premonizione di Emilia Pérez? Ma torniamo ad Álvaro e alla sua tazza di caffè. Il sogno (Tu sueño imperios han sido ) narra l’incontro tra Hernán Cortés e Montezuma e la fine del sogno dei nativi di poter convivere con i conquistatori spagnoli. Un solo giorno viene descritto, l’ultimo nel palazzo di Axayacatl. Si nota nel romanzo la ricerca archivistica della grafia corretta, la descrizione accurata dei riti, degli usi e costumi e persino del cibo degli Aztechi. Peccato manchi la ricetta del brodo di tacchino con i fiori di zucca e del taco con grilli chapulines in salsa di avocado...

Negli anni ‘70 la letteratura sudamericana ha avuto un successo travolgente in Italia, poi un lungo periodo di silenzio. Qual è la tua interpretazione? Non so, negli anni ‘70 eravamo pieni di scrittori, anche molto giovani, molto bravi e molto letti. Credo sia stato un problema di mercato editoriale, che in quegli anni era alquanto limitato. All’epoca l’Europa iniziava lentamente ad aprirsi ad altre letterature, non solo europee o americane, mentre invece i nostri scrittori erano già fortemente consapevoli dei gusti europei e conoscevano bene la letteratura francese, italiana e inglese. Ancora oggi è un po’ così: io potrei parlare della letteratura italiana del XVII secolo, ma un europeo poco potrebbe dire della nostra letteratura dello stesso periodo. Negli anni ‘80 l’Europa inizia però ad aprirsi ad altre culture – asiatiche, mediorientali… – e anche i nostri scrittori sudamericani iniziano a trovare una giusta collocazione nel mercato. Va detto che comunque, grazie in particolare ad alcuni editori, ad esempio Feltrinelli, siamo sempre stati ben presenti in Italia.

Come classificare i tuoi racconti? Rientrano nel filone del Realismo magico o li definiresti piuttosto “romanzi storici”?

Di certo non li farei rientrare nel Realismo magico. Li collocherei piuttosto nella “letteratura fantastica”, che, storicamente, precede il Realismo magico. In particolare Il sogno è molto legato a scrittori di quella corrente ed è sicuramente il romanzo più “messicano” di tutta la mia produzione.

Il primo capitolo si apre con una colazione, il secondo con un pranzo. Il romanzo è pieno di cibo. Tutti dettagli degni di fede?

[Enrigue si concede una gran risata] Noi messicani siamo come voi italiani, sempre attenti al cibo. Ma sappi che tutte le citazioni sono vere e ben documentate.

L’intreccio, la storia è inventata, ma i dettagli sono tutti

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attentamente studiati. La grande eredità che il Messico lascia al mondo è proprio il cibo. Non esisterebbe la pasta alla bolognese senza i nostri pomodori o senza il mais, cibo prevalente per i bovini. Anche la cucina cinese non sarebbe la stessa senza le verdure piccanti partite dal nostro continente nel XVI secolo.

Ma questa accuratezza di dettagli non rischia di ostacolare la fluidità di lettura?

Si a alguien no le gusta, puede cerrar el libro.

In tutti i tuoi racconti vi è sempre questa ricerca e precisione nei dettagli…

Prima di iniziare a scrivere lavoro sempre negli archivi. Per me lavorare sui dettagli è un gesto politico per dare importanza a quelle culture che sono scomparse a causa della violenza degli invasori. Per far capire l’importanza della cultura messicana agli europei il lavoro sui dettagli è fondamentale. In genere poi in un racconto è l’accuratezza dei particolari a fare tecnicamente la differenza. Ad ogni modo, questa è la mia strategia di scrittore.

Una curiosità, cosa ti ha colpito di più di Venezia, cosa ti è piaciuto di più?

No, troppo presto! È da una vita che volevo visitare Venezia, ma sono appena arrivato. Domandamelo fra una settimana… Però posso dire che Cervantes nella sua novella El licenciado Vidriera [per i curiosi, contenuta in Novelle esemplari del 1613] definisce la mia Città del Messico “la Venezia dell’inferno”…

LIBRO

L’8 novembre 1519 avvenne l’incontro fatidico tra il conquistador Hernán Cortés e l’imperatore del Messico Montezuma: fu il contatto tra due mondi incomprensibili fra loro, due visioni dell’esistente inconciliabili, due imperi che stavano entrando in collisione senza avere coscienza della portata di tale evento. Nel suo nuovo libro, finalista del Premio Gregor Von Rezzori 2024 –Narrativa straniera, Álvaro Enrigue narra un’avvincente versione di cosa accadde, in sapiente equilibrio tra ricostruzione storica e leggende tramandate, sfidando i limiti del romanzo storico e avvalendosi di una approfondita conoscenza delle sottigliezze linguistiche – prendendosi la libertà di stravolgerle usando termini e modi di dire in gergo messicano odierno – per rendere appieno la portata di quell’incontro che cambiò la storia del mondo. Da lì iniziò la conquista del continente americano, l’ascesa della Spagna come nazione più ricca d’Europa, e la fine di un “sogno”, quello dei popoli nativi che accolsero gli sterminatori come ospiti stranieri da ossequiare, sebbene per molti di loro la realtà fosse spesso un incubo sanguinario. Il tutto concepito dall’inventiva dell’autore che immagina come sarebbe andata se…

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Photo Ahmed Gaber

making space for art

BIENNALE ARTE 2024 20.04 – 24. 11

National Participation AZERBAIJAN PAVILION

From Caspian To Pink Planet: I Am Here Campo della Tana, Castello 2126/A

Collateral Event Above ZobeideExhibition from Macao China

Istituto Santa Maria della Pietà, Castello 3701

Global Painting. La Nuova pittura cinese

From an idea of Vittorio Sgarbi and Silvio Cattani

Curated by Lü Peng and Paolo De Grandis with Carlotta Scarpa and Li Guohua

07.12.2023 – 05.05.2024

Mart - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto

SINCE 1984 Curatorship Consultancy Management

136 EXHIBITIONS IN THE VENICE BIENNALE

40th Anniversary 1984 -2024

QUARTETTO

This is where it all started in Scuola Grande di San Giovanni Evangelista with artists Joseph Beuys, Bruce Nauman, Enzo Cucchi, Luciano Fabro and curators Paolo De Grandis, Achille Bonito Oliva, Alanna Heiss, Kaspar Koenig

Collateral Event Trevor Yeung: Courtyard of AttachmentsHong Kong in Venice Campo della Tana, Castello 2126

LI CHEVALIER

I Hear the Water Dreaming

Curated by Paolo De Grandis and Carlotta Scarpa Scientif direction of Marta Boscolo Marchi 11.05 – 15.09 2024 Museo d’Arte Orientale di Venezia

artecommunications.com

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A pranzo con l’Autore Da Piazza Ferretto all’M9 tornano gli incontri con gli scrittori

L’evento letterario promosso e organizzato da Comune di Venezia e Confcommercio Mestre, in collaborazione con la Camera di Commercio di Venezia e Fondazione di Venezia e il supporto tecnico di Vela S.p.A. e Libreria Ubik, vede protagonisti scrittori di primo piano nel panorama italiano e alcuni ospiti di fama internazionale, nonché volti noti del grande schermo e dei social. Durante il festival mestrino, la cittadinanza e il pubblico di appassionati hanno la possibilità di conoscere le ultime novità del settore, partecipare ai firmacopie e prendere parte ai pranzi e agli aperitivi con gli autori all’insegna di una grande interazione tra il pubblico e gli artisti. L’inaugurazione di martedì 4 giugno in Piazza Ferretto vede la presenza dei primi ospiti in rassegna, il musicista e cantante Roby Facchinetti e il “prof” superstar del web Enrico Galiano. La chiusura sarà domenica 16 giugno alle 21, sempre in Piazza Ferretto, con lo scrittore e alpinista Mauro Corona. Oltre a Facchinetti, Corona e il maestro del crime Don Winslow, che ha presentato il suo nuovo romanzo Città in rovine in occasione dell’anteprima dell’11 maggio, sono molti i nomi attesi a Mestre, fra cui Walter Veltroni, Lilli Gruber, Luca Bizzarri, Serena Bortone, Paolo Legrenzi, Massimo Carlotto, Gianni Rivera, Alice Guerra e Matteo Strukul. Narrativa, gialli, romanzi di autori locali, cucina e sport saranno alcune delle tematiche trattate negli incontri di questa seconda edizione, che ripropone un format già sperimentato e consolidato nel 2023. Gli eventi saranno distribuiti principalmente su due fasce orarie, la preserale dalle ore 18, abbinata ad un aperitivo letterario, e quella serale dalle ore 21. I luoghi cuore della manifestazione sono Piazza Ferretto e il Chiostro del Museo M9, affiancati dal Centro Culturale Candiani, la Biblioteca Vez e i numerosi esercizi commerciali che hanno aderito all’iniziativa. Tutti gli eventi sono a ingresso libero e gratuito, tranne i pranzi in compagnia degli scrittori previsti durante i finesettimana, che vanno prenotati contattando direttamente il locale che ospita l’evento (8 giu-Eleonora Riso, Ristorante Grand Central, 041 978278; 9 giu-Fulvio Marino, Pizzerie Fratelli La Bufala, 041 970466; 15 giu-Antonella Ricci e Vinod Sookar, Pub Ca’ Dei Màt, 349 459 4160; 16 giu-Fabiola Di Sotto alias Mamma Vegan, Ristorante All’Ombra del Gabbiano, 041 611905). In caso di maltempo gli eventi all’aperto (Piazza Ferretto) si svolgeranno regolarmente come da programma al Chiostro M9.

Mestre Bookfest Fino 16 giugno Mestre www.mestrebookfest.it

PAOLO LEGRENZI

Professore emerito di Psicologia presso l’Università Ca’ Foscari, ne L’intelligenza del futuro Paolo Legrenzi analizza l’impatto che l’intelligenza artificiale sta avendo sulla società. La crescente diffusione di sistemi generativi cambierà il mondo del lavoro? Programmi come ChatGPT avranno il sopravvento sulla creatività dell’uomo? Evolveranno al punto da ribellarsi ai loro creatori? Comunque vada, Legrenzi sostiene che «gli algoritmi non ci sostituiranno», e ci spiega perché.

7 giugno h. 18 | Bar Hanky Panky

ROKIA

«Questa storia è nata dagli attacchi di panico, dal dolore di una morte che non riuscivo a superare, dal pregiudizio, dal sentirsi mostruosi, fuori dalla norma, dalla paura di ferire e di essere feriti». Così Rokia, la giovane scrittrice italiana di origini marocchine descrive il suo romanzo The Truth Untold, che ha recentemente scalato le classifiche di vendita in modo improvviso e del tutto inaspettato. Eppure i segnali c’erano, visto il successo ottenuto dai suoi racconti su Wattpad, il socialnetwork di lettura sociale.

8 giugno h. 18 | Chiostro M9 – Museo del ‘900

WALTER VELTRONI

La carriera dell’ex vicepresidente del Consiglio, sindaco di Roma, segretario del Partito Democratico e candidato premier sembra essersi definitivamente assestata sulla regia e sulla scrittura. Dopo il successo de La scelta, Walter Veltroni presenta il suo ultimo libro, La condanna. Tra finzione e realtà, il romanzo ci riporta nella Roma degli anni ‘40, raccontata da un giovane giornalista incaricato di scrivere un articolo sul linciaggio di Donato Carretta, direttore del carcere di Regina Coeli, avvenuto nel 1944.

11 giugno h. 21 | Piazza Ferretto

ASLAK NORE

Il norvegese Aslak Nore ha vissuto in America Latina e lavorato come giornalista in Iraq e in Afghanistan. Autore di bestseller, premiato in Norvegia con il prestigioso premio Riverton per il miglior romanzo poliziesco, presenta il suo nuovo thriller Il cimitero del mare, che ruota attorno ad un testamento scomparso, a un naufragio e a un manoscritto smarrito che custodisce i segreti di una dinastia. Un’affascinante saga famigliare che mescola epica, suspense e romanticismo. 13 giugno h.18 | Pub Cà di Màt

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BOOKFEST

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FESTIVAL AQUA

Le voci del mare Grandi nomi della cultura contemporanea a Jesolo

Torna a Jesolo per la seconda edizione il festival Aqua – La filosofia del mare, che dal 15 al 29 giugno presenta un ricco programma di eventi all’alba e al tramonto tra il palco in riva al mare dell’arenile di Piazza Brescia e il Parco Pegaso.

Un festival che cresce, riunendo tanti protagonisti della cultura contemporanea tra musica, poesia, teatro, arte, viaggio, pensiero. Preferisco il rumore del mare è il tema di questa edizione, curata dall’ideatrice e direttrice artistica del Festival, Marilisa Capuano, con l’organizzazione di Gabriele Vian.

Il rumore del mare è un balsamo che cura l’anima, allontanandoci dal frastuono della quotidianità nelle nostre assordanti città, un invito a spogliarsi e abbandonarsi pacificamente all’abisso, senza timore alcuno. Tra i numerosi ospiti, molti dei quali presentano un evento ideato ad hoc per Aqua, Vincenzo Schettini, Mogol con Gioni Barbera, Paolo Borzacchiello, Francesco Costa, Debora Villa, Manuel Agnelli, Gianluca Gotto, Matteo Saudino, Gloria Campaner con Franco Arminio, Paola Turci con Gino Castaldo, Alessandro Bergonzoni, Roberto Cacciapaglia, Luca Beatrice, Lucio Luca, Giovanni Dell’Olivo. Appuntamento dunque dove si infrangono le onde, alle prime luci del mattino o al calar del sole, per lasciarsi trasportare dalla forza delle idee e intraprendere un meraviglioso viaggio senza dover partire, ma solo ascoltando le voci dell’Aqua Di seguito una nostra personale selezione tra i numerosi eventi in programma.

ROBERTO CACCIAPAGLIA

Al sorgere del sole, nella magica atmosfera dell’arenile, voce e pianoforte, Roberto Cacciapaglia conduce il pubblico in un viaggio musicale alla ricerca di una neutralità, di una vocalità oltre il tempo, né antica né moderna, oltre i generi per andare alla sorgente, all’ideale atto generativo. La musica così scivola via da indicazioni e filtri interpretativi, toccando corde personali ma diventando anche un atto di condivisione sociale. Spazio e tempo, luce e suono, in un’unica sfera. Pitagora la chiamava essenza dell’universo. 16 giugno h. 5.30 | Arenile, Piazza Brescia

GLORIA CAMPANER / FRANCO ARMINIO

Le emozioni si fanno racconto e narrazione nell’intreccio tra la poesia di Franco Arminio e il pianoforte di Gloria Campaner, restituendo ai suoni e alle parole corpo e dimensioni nuove, in un interscambio ciclico che instilla linfa vitale senza soluzione di continuità. Campaner e Arminio sono attori e autori di un affresco sonoro e lessicale, che invita a prestare attenzione alle meraviglie che passano inosservate al nostro sguardo fugace e distratto, come chiave per leggere la realtà, talvolta dispersiva, in cui siamo immersi. 17 giugno h. 20.30 | Arenile, Piazza Brescia

Festival Aqua – La filosofia del Mare 15-29 giugno Jesolo festivalaqua.it

DEBORA VILLA

Il nostro Pianeta è composto per il 70% d’acqua, ma viene chiamato Terra. Quanto egotismo nell’essere umano che arbitrariamente nomina le cose in sua funzione. Se volassimo lo avremmo chiamato Aria? Ma la cosa fondamentale è che l’acqua è madre, anche la Terra e l’aria… Ogni elemento vitale è femminino. Dobbiamo farcene una ragione. Tornare all’acqua, o al pensiero femminile potrà salvarci? Debora Villa ha creato la pièce Madre Acqua in perfetto equilibrio con il suo talento di funambola tra satira, narrazioni, affabulazioni teatrali e comicità terapeutica. 18 giugno h. 19 | Arenile, Piazza Brescia

MOGOL / GIONI BARBERA

Accompagnato al pianoforte dal Maestro Gioni Barbera, Mogol racconta, con il contrappunto di aneddoti personali, l’evoluzione della canzone italiana a partire dagli anni ‘60. Un percorso attraverso il quale la canzone diventa una forma artistica essenziale della cultura popolare, dal folk al cantautorato, dal pop al rock, guidati dal fil rouge che interseca musica e poesia. Su tutti, i suoi versi che hanno inciso l’immaginario collettivo, colonna sonora di una vita, con cui si è fatto e si fa cicerone lungo la storia della musica leggera italiana. 18 giugno h. 19.30 | Arenile, Piazza Brescia

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Roberto Cacciapaglia Debora Villa Mogol Franco Arminio Gloria Campaner

GIOVANNI DELL’OLIVO

Giovanni Dell’Olivo, veneziano di origini levantine, compositore, cantautore, interprete di musica popolare e polistrumentista, con alcuni musicisti del Collettivo di Lagunaria presenta Venetiko Rebetiko, Ovvero: le Tradotte del Mare, un viaggio attraverso le rotte del Mediterraneo. Musica e teatro canzone, note e parole, che attraversano composizioni come Addio a Ulisse, Memorie di Atlantide, Mude da Mar, fino al nuovo disco Venetiko Rebetiko, che raccoglie, oltre ad alcuni brani originali, traduzioni in italiano e in veneziano di canzoni celebri del repertorio della musica greca rebetika e mediorientale. 19 giugno h. 5.30 | Arenile, Piazza Brescia

PAOLO BORZACCHIELLO

Tra i massimi esperti di intelligenza linguistica, autore di bestseller e podcast di successo, consulente e divulgatore, Paolo Borzacchiello ha scelto Jesolo, unica data estiva in Veneto, per presentare Bada a come parli, la sua nuova lezione-spettacolo che svela il modo in cui il linguaggio può trasformare la nostra vita. Servendosi di una narrazione chiara e coinvolgente, ci sorprende con la potenza e la magia delle parole, spiegando come utilizzarle nel modo migliore, specie oggi in cui chat, social e i ritmi sempre più sincopati della vita ci costringono alla sintesi. 19 giugno h. 21 | Parco Pegaso

MANUEL AGNELLI

Storico frontman degli Afterhours, polistrumentista, produttore e volto tv, Manuel Agnelli trasporta il pubblico del Festival in un viaggio acustico ed emozionale, attraverso le canzoni degli Afterhours, e del suo primo progetto solista Ama il prossimo tuo come te stesso, un’invocazione alla fratellanza universale, all’amore per il prossimo e alla libertà individuale. Con le sue parole, la sua musica e la sua energia, Agnelli invita a riflettere sul nostro rapporto con il mondo e con gli altri, a superare i confini dell’individualismo e a unire le forze per costruire un futuro migliore.

21 giugno h. 21 | Arenile, Piazza Brescia

ALESSANDRO BERGONZONI

Autore di quindici spettacoli teatrali, sei libri e dei film Pinocchio (2001) di Roberto Benigni e Quijote (2006) di Mimmo Paladino. Alessandro Bergonzoni da anni scrive Aprimi Cielo sul Venerdì di Repubblica e su Robinson. Dal 2005 si avvicina al mondo dell’arte. Unisce al suo percorso artistico un interesse profondo per i temi legati al coma, alla malattia e al mondo carcerario. Per il Festival presenta la lectio Quanto fa parola per parola?, in cui l’“altrista” è alle prese con la moltiplicazione dei pani e dei pesci, e con il miracolo dei linguaggi del pensiero.

25 Giugno h. 20.30 | Arenile, Piazza Brescia

VINCENZO SCHETTINI

Rockstar della divulgazione scientifica, Vincenzo Schettini presenta una nuova lezione per parlare di Fisica del mare. Si può vivere su una barca usando gli stessi dispositivi elettronici della terraferma?

Di quante e quali fonti d’energia disponiamo in mezzo al mare?

Quali sono le leggi, i numeri, perfino le “emozioni” che lo governano? Con la consueta energia che si traduce in una comunicazione fuori dagli schemi, Schettini ci porta alla scoperta dell’energia in un viaggio tra terra e mare, in cui non mancheranno sorprese.

27 giugno h. 20.30 | Arenile, Piazza Brescia

PAOLA TURCI / GINO CASTALDO

La collaborazione inedita tra Paola Turci e il critico musicale Gino Castaldo ha dato vita al nuovo progetto artistico, Il tempo dei Giganti, che ripercorre il magico triennio della musica italiana, tra il 1979 e il 1981. Con le interpretazioni dal vivo di Paola Turci e i racconti di Gino Castaldo, uno storytelling intrecciato di ricordi e analisi che integra parole e musica in un unico racconto, e che ricrea l’energia vibrante di quel memorabile periodo a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta, tra materiali d’archivio e performance live.

29 giugno h. 20.30 | Arenile, Piazza Brescia

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Paolo Borzacchiello Giovanni Dell’Olivo Alessandro Bergonzoni Manuel Agnelli Vincenzo Schettini Gino Castaldo Paola Turci

L’alba di un nuovo mondo

Il XV secolo è al tramonto: sullo sfondo di battaglie, spedizioni di scoperta e antiche crociate, un mercenario tedesco, un marinaio portoghese, un moro convertito e un carpentiere veneziano lottano per costruirsi un futuro migliore. I loro destini si incrociano grazie all’incontro con un servitore dei sovrani di Spagna mentre, al di là del vasto Oceano, una giovane azteca fatta prigioniera osserva con sgomento il suo mondo cambiare. In una narrazione ricca di colpi scena, i protagonisti si lanciano alla ricerca di gloria, amore e fortuna accompagnando il lettore dalle coste dell’India e dell’Africa ai campi di battaglia d’Italia e Germania, passando per gli intrighi della corte di Spagna per arrivare infine al di là dell’Oceano tra isole primitive, terre inesplorate e un impero tanto grande quanto fragile. Le vicende storiche fanno da sfondo alle avventure dei protagonisti, che si intrecciano e si sviluppano nel corso dei decenni. Una concubina diventa madre del primo bambino di un popolo nuovo, un marinaio sdentato si trasforma in possidente, un inviato reale vedrà tutta la barbarie dei sacrifici umani e un giovane assassino si innalzerà fino a diventare il servo fidato del più potente tra gli imperatori.

Veneziano, laurea in Storia moderna e relazioni internazionali presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, viaggiatore seriale da sempre appassionato di storia veneta, Giacomo Stipitivich racconta con Il nome dell’oro, nuovo volume del Ciclo della Serenissima, una storia cruda e sfaccettata, che alterna il punto vista dei conquistatori a quello dei conquistati in un caleidoscopio di eventi che restituisce il vivido affresco dello scontro tra due culture venute per la prima volta a contatto. Un romanzo affascinante, coinvolgente e a tratti brutale, che svela mondi sconosciuti riportando alla luce le vicende e le scoperte che portarono alla caduta del millenario impero Azteco e agli albori del nuovo mondo.

ALL’OMBRA DEL LEON

Il nuovo libro di Alessandro Marzo Magno, caratterizzato dalla consueta precisione storica e da uno stile fluido ed elegante, è capace di trasportare i lettori al centro stesso della storia millenaria di Venezia ripercorrendo il racconto leggendario del suo simbolo, ovvero il Leone marciano.

Il Leone viene utilizzato come un “marchio”, diffuso a Venezia e in tutti gli insediamenti della Serenissima, solo dalla metà del Duecento; prima il protettore della città era Teodoro, per i veneziani Todaro, santo bizantino. Com’è noto, nell’828 il corpo di San Marco viene portato a Venezia da Alessandria d’Egitto: l’Evangelista viene da allora rappresentato in forma umana o in forma di leone.

Il più vecchio leone in pietra giunto fino a noi è del 1317 e si trova nel Duomo di Capodistria. Non esiste una codificazione precisa dell’immagine del leone alato, per cui troviamo circa un centinaio di varianti, tuttavia le zampe posteriori sono sempre nell’acqua e quelle anteriori sulla terra, simbolo del potere di Venezia sul mare e sulla terraferma. Tantissimi i leoni disseminati in città, il più famoso dei quali è sicuramente quello posto su una lunga colonna in Piazzetta San Marco, affascinante e misterioso, si sa infatti ben poco di lui. Nel corso dei secoli ha subito numerosi rifacimenti e restauri, “un puzzle più che una statua”. Tutti conoscono poi i tre leoni all’ingresso dell’Arsenale, uno dei quali in realtà raffigurava originariamente un molosso, la cui testa venne in seguito sostituita. Celebre anche il bellissimo leone dipinto da Vittore Carpaccio nel 1516, che si può ammirare a Palazzo Ducale, o quello riportato sulla bandiera “Contarina” del 1600, esposta al Museo Correr. Le rappresentazioni leonine sono presenti in quasi tutte le città del Veneto. Quello più preso di mira e fatto oggetto di scherno è a Chioggia, il cosiddetto Gato de Ciòsa. Quello conservato a Portobuffolè invece reca il motto rivoluzionario “Diritti e doveri dell’uomo e del cittadino”. Marzo Magno in questo coinvolgente volume conduce i lettori in un viaggio sulle ali del leone passando tra le più importanti città della Lombardia, in Friuli, da Trieste a Udine e in borghi sorprendenti come Valvasone, in giro per l’Istria e la Dalmazia, in Grecia, a Cipro, in altre capitali europee, scovando un leone persino nel museo di Novocˇerkassk, in Russia. Migliaia i leoni distrutti nei luoghi un tempo dominati da Venezia e nella città stessa (molti dei quali erano insigni opere d’arte), soprattutto durante l’invasione francese a causa della leontoclastia giacobina ordinata da Napoleone. In tempi più recenti, tra il 1918 e il 1920 e dopo l’8 settembre del 1943, i leoni veneziani subiranno la stessa sorte in Dalmazia e in Istria, ma nell’Isola di Cherso ne venne salvato uno dal parroco, che lo nascose prontamente in canonica. Anche le monete veneziane riportavano l’effige di San Marco. Il primo Doge a volerlo fu Enrico Dandolo nel 1192, che fece coniare il “grosso” con il Santo rappresentato in sembianze umane e non leonine. Più tardi apparirà anche sul ducato, tuttavia si deve arrivare a Giovanni Dandolo per trovare il leone su una moneta e si tratterà di un “tornesello”, moneta di rame di scarso valore. La prima moneta importante con il leone sarà coniata solo nel 1472, la “Lira Tron”. Alessandro Marzo Magno, veneziano, si è laureato in Storia a Ca’ Foscari. Giornalista, ha collaborato negli anni con svariate testate. Attualmente scrive sul Gazzettino, è direttore di Ligabue Magazine e ha sin qui pubblicato sedici libri. Elisabetta Gardin

Alessandro Marzo Magno. I Leoni di Venezia Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2024

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LIBRI
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Giacomo Stipitivich. Nel nome dell’oro, 2024
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Open air! arte, teatro, musica, cinema... Un mese caldissimo june2024

city diary

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agenda

MUSICA , CLASSICA, TEATRO

05

mercoledìWednesday

ROBERTO VECCHIONI

Musica d’autore

“Bissuola Live“

Parco Bissuola-Mestre h. 21

06

giovedìThursday

JAMES THE PROPHET

KARL PLANCK

Dj-set

“MORE FEstival“ Venice Bitter Club h. 20

MAX GAZZÈ

Pop

“Bissuola Live“ Parco Bissuola-Mestre h. 21

07 venerdì Friday

LOLA BENVESTIO

GABRY DAISY

TESSY PHORA

DJ SPILLER

Dj-set

“MORE FEstival“ Combo Venezia h. 20

TOMMY VEE

WALTERINO

Dj-set

“Grand Opening Party“

Hotel Des Bains-Lido di Venezia h. 23

WILLIE PEYOTE

Hip hop

“Bissuola Live“ Parco Bissuola-Mestre h. 21

MARGHERITA VICARIO

GAIA MORELLI

Indie

“Sherwood Festival“ Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21

08 sabato Saturday

TOY TONICS JAM VITILLUCCHI

MASSIMO SANTI

COEO & KAPOTE

Dj-set

“MORE FEstival“ Argo16-Marghera h. 23

09

domenica Sunday

EDOARDO FLORIO DI

GRAZIA

RADIOOOOO

Dj-set

“MORE FEstival“

Palazzo Experimental h. 17

10

lunedì Monday

CARMEN CONSOLI

Rock d’autore

“Bissuola Live“

Parco Bissuola-Mestre h. 21

11

martedìTuesday

PENDULUM

Musica elettronica

“Sherwood Festival“

Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21

13

giovedìThursday

ARIETE

CENTOMILACARIE

Indie

“Sherwood Festival“

Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21

14

venerdì Friday

DE TIUBS

Rock

GIALLO MAN & BAND

Reggae

“Venezia Suona“

Parco Ex Umberto I° h. 19

15

sabato Saturday

FILIPPO CSILLAGHY

Dj-set

SPAZIO ZERO BAND

Musica anni ‘80

“Venezia Suona“

Parco Ex Umberto I° h. 19

JAMES FERRARO

Musica elettronica

Combo Venezia h. 20

HANK ROBERTS

FILIPPO VIGNATO

Jazz

“Venezia Jazz Festival”

Auditorium Lo Squero h. 21

16

domenica Sunday

SINGING WOODS

World music

CAJON JAZZ TRIO

Acid jazz

“Venezia Suona“

Parco Ex Umberto I° h. 19

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lunedì Monday

JAZZ LAG QUARTET

Jazz

“Venezia Suona“

Parco Ex Umberto I° h. 21

HYBRID MUSIC ENSEMBLE

World music

“Palcoscenici Metropolitani“

Piazzetta Malipiero-Mestre h. 19.30

18 martedìTuesday

UNCLE MUFF

Rock

I RIMORCHIATORI

Country

“Venezia Suona“

Parco Ex Umberto I° h. 19

SUBSONICA

Musica elettronica

“Sherwood Festival“

Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21

19

mercoledìWednesday

IVY + TIDES

Grunge

ILENYA DE VISTO

WHISKY FACILE

Swing

“Venezia Suona“

Parco Ex Umberto I° h. 19

20

giovedìThursday

TOMMASO MANTELLI

Indie

PICK UP THE TIPS

Soul

“Venezia Suona“

Parco Ex Umberto I° h. 19

21

venerdì Friday

ROBY’S MUSIC SEXTET

Rock

DANIELE CONCINA

Soul

“Venezia Suona“ Parco Ex Umberto I° h. 19

105 SUMMER FESTIVAL

Pop Parco San Giuliano h. 21

TRE ALLEGRI RAGAZZI

MORTI

Indie

“Sherwood Festival“ Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21

PAOLO FRESU

URI CAINE

Jazz

“Verona Jazz Festival“ Teatro Romano-Verona h. 21

22

sabato Saturday

FILIPPO CSILLAGHY

Dj-set

BATISTOCOCO

Mambo dialettale

“Venezia Suona“ Parco Ex Umberto I° h. 19

GIOVANNI GUIDI TRIO

Jazz

“Venezia Jazz Festival” Teatro La Fenice h. 21

MASTA ACE

MARCO POLO

Hip hop

“Sherwood Festival“ Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21

JAN GARBAREK

TRILOK GURTU

Jazz

“Verona Jazz Festival“ Teatro Romano-Verona h. 21

23 domenica Sunday

ROLLING BONES

Rock

“Venezia Suona“ Parco Ex Umberto I° h. 21

IDLES

Post punk

“Sherwood Festival“ Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21

ANA CARLA MAZA

Jazz

“Verona Jazz Festival“ Teatro Romano-Verona h. 21

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24

lunedì Monday

MICHELE BONIVENTO 4TET

Jazz

“Palcoscenici Metropolitani“ Piazzetta Malipiero-Mestre h. 19.30

MARIO BIONDI

Jazz

“Verona Jazz Festival“ Teatro Romano-Verona h. 21

25

martedìTuesday

ROLLING BONES

Rock

“Venezia Suona“ Parco Ex Umberto I° h. 21

ANA CARLA MAZA

Jazz

“Summer Mira Sound“ Villa Widmann-Mira h. 21

STATO SOCIALE

CIMINI

Indie

“Sherwood Festival“ Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21

26

mercoledìWednesday

TANIA GIANNOULI

Jazz

“Venezia Jazz Festival” Teatro La Fenice h. 21

PINO NINFA

DANILO REA

Jazz

“Summer Mira Sound“ Villa Widmann-Mira h. 21

27

giovedìThursday

SALMO

NOYZ NARCOS

Rap

“Sherwood Festival“ Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21

28 venerdì Friday

ALESSANDRO

D’ALESSANDRO

ROY PACI

Jazz

“Summer Mira Sound“ Villa dei Leoni-Mira h. 21

ANTHONY B

ATTILA

Reggae

“Sherwood Festival“ Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21

29

sabato Saturday

CANTORI VENEZIANI

DANILO ROSSI

ORCHESTRA FILARMONIA

VENETA

Musiche di Morricone

Piazza San Marco h. 21

MA-REA

Jazz

“Summer Mira Sound“ Piazzetta Mira Porte h. 21

INDIRIZZI

ARGO 16

Via delle Industrie 27/5-Marghera www.morefestival.com

AUDITORIUM SQUERO Isola di San Giorgio Maggiore www.venetojazz.com

COMBO VENEZIA Campo dei Gesuiti 4878 thisiscombo.com

HOTEL DES BAINS

Lungomare Marconi 16 Lido di Venezia info.desbains1900.com

PALAZZO EXPERIMENTAL Fondamenta Zattere 14111 www.morefestival.com

PARCO BISSUOLA Mestre www.comune.venezia.it

PARCO EX UMBERTO I° Cannaregio 3144 www..veneziasuona.com

PARCO SAN GIULIANO Mestre www.comune.venezia.it

PARK NORD STADIO

EUGANEO

Viale N. Rocco 60-Padova www.sherwoodfestival.it

PIAZZA SAN MARCO Venezia www.venetojazz.com

PIAZZETTA MALIPIERO Mestre www.comune.venezia.it

PIAZZETTA MIRA PORTE Mira www.venetojazz.com

TEATRO LA FENICE Campo San Fantin 1965 www.venetojazz.com

TEATRO ROMANO

Rigaste Redentore 2-Verona www.eventiverona.it

VENICE BITTER CLUB Ca’ Da Mosto www.morefestival.com

VILLA DEI LEONI

Riviera S. Trentin 3-Mira www.venetojazz.com

VILLA WIDMANN

Via Nazionale 420-Mira www.venetojazz.com

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agenda

MUSICA, CLASSICA , TEATRO

05

mercoledìWednesday

ARS CANTANDI

Musiche di Monteverdi, Carissimi, Frescobaldi

“Musikàmera 2024”

Ingresso/Ticket € 30/10

Teatro La Fenice h. 20

06

giovedìThursday

QUARTETTO KLEM

Musiche di Beethoven, Prokofiev

“Musica con le Ali”

Ingresso/Ticket € 20/10

Teatro La Fenice h. 18

07

venerdì Friday

IL TAMERLANO

Dramma per musica in tre atti

Musiche di Vivaldi

Direttore Federico Maria Sardelli

Regia Fabio Ceresa

“Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 130/15

Teatro Malibran h. 19

ARS CANTANDI

Musiche di Monteverdi, Carissimi, Frescobaldi

“Musikàmera 2024”

Ingresso/Ticket € 30/10

Teatro La Fenice h. 20

RICCARDO MUTI direttore

LUCA SALSI baritono

ANNA NETREBKO soprano

JONAS KAUFMANN tenore

ROBERTO BOLLE

VITTORIO GRIGÒLO tenore

Musiche del repertorio operistico italiano

Direttore Francesco Ivan Ciampa

“Arena di Verona Opera Festival”

Ingresso/Ticket € 330/22

Arena di Verona h. 20.30

08

sabato Saturday

QUARTETTO DI VENEZIA

Musiche di Beethoven

“Stagione 2024”

Ingresso/Ticket € 33/11

Auditorium Lo Squero h. 16.30

TURANDOT

Opera in tre atti e cinque quadri

Musiche di Puccini

Direttore Michele Spotti

Regia Franco Zeffirelli

“Arena di Verona Opera Festival”

Ingresso/Ticket € 190/32

Arena di Verona h. 21.30

09

domenica Sunday

IL TAMERLANO

(vedi venerdì 7 giugno)

“Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 130/15

Teatro Malibran h. 17

11

martedìTuesday

IL TAMERLANO

(vedi venerdì 7 giugno)

“Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 130/15

Teatro Malibran h. 19

12

mercoledìWednesday

MIRIAM ALBANO soprano

STEPHAN MATTHIAS

LADEMANN pianoforte

Musiche di Brahms, Schumann, Puccini

“Musikàmera 2024”

Ingresso/Ticket € 30/10

Teatro La Fenice h. 20

13

giovedìThursday

ANDREA LUCCHI tromba

SOFIA ADINOLFI pianoforte

Musiche di Enescu, Bernstein

“Musica con le Ali”

Ingresso/Ticket € 20/10

Teatro La Fenice h. 18

IL TAMERLANO

(vedi venerdì 7 giugno)

“Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 130/15

Teatro Malibran h. 19

14

venerdì Friday

ENRICO MARIA SARDELLI

direttore

MICHELA ANTENUCCI

soprano

Musiche di Vivaldi

“Stagione Sinfonica 2023-2024”

Ingresso/Ticket € 66/25

Teatro La Fenice h. 20

AIDA

Opera in quattro atti

Musiche di Verdi

Direttore Marco Armiliato

Regia Stefano Poda

“Arena di Verona Opera Festival”

Ingresso/Ticket € 190/32

Arena di Verona h. 21.30

15

sabato Saturday

IL TAMERLANO

(vedi venerdì 7 giugno)

“Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 130/15

Teatro Malibran h. 17

TURANDOT

(vedi sabato 8 giugno)

“Arena di Verona Opera Festival”

Ingresso/Ticket € 190/32

Arena di Verona h. 21.30

16 domenica Sunday

ENRICO MARIA SARDELLI

direttore

MICHELA ANTENUCCI

soprano

Musiche di Vivaldi

“Stagione Sinfonica 2023-2024”

Ingresso/Ticket € 66/25

Teatro La Fenice h. 17

18

martedìTuesday

SILVIA CHIESA violoncello MAURIZIO BAGLINI

pianoforte

Musiche di Fano, Brahms, Busoni

“Archivio Musicale Guido Alberto

Fano Onlus”

Ingresso/Ticket € 30/10

Teatro La Fenice h. 20

19

mercoledìWednesday

SILVIA CHIESA violoncello MAURIZIO BAGLINI pianoforte

(vedi martedì 18 giugno)

“Archivio Musicale Guido Alberto

Fano Onlus”

Ingresso/Ticket € 30/10

Teatro La Fenice h. 20

20 giovedìThursday

AIDA

(vedi venerdì 14 giugno)

“Arena di Verona Opera Festival”

Ingresso/Ticket € 190/32

Arena di Verona h. 21.30

21

venerdì Friday

ARIADNE AUF NAXOS

Opera in un prologo e un atto Musiche di Strauss

Direttore Markus Stenz

Regia Paul Curran

“Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 220/15

Teatro La Fenice h. 19

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

Opera buffa in due atti

Musiche di Rossini

Direttore George Petrou

Regia Hugo De Ana

“Arena di Verona Opera Festival”

Ingresso/Ticket € 270/32

Arena di Verona h. 21.30

22 sabato Saturday

TURANDOT

(vedi sabato 8 giugno)

“Arena di Verona Opera Festival”

Ingresso/Ticket € 190/32

Arena di Verona h. 21.30

23 domenica Sunday

ARIADNE AUF NAXOS

(vedi venerdì 21 giugno)

“Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 220/15

Teatro La Fenice h. 17

AIDA

(vedi venerdì 14 giugno)

“Arena di Verona Opera Festival”

Ingresso/Ticket € 190/32

Arena di Verona h. 21.30

25 martedìTuesday

ARIADNE AUF NAXOS (vedi venerdì 21 giugno)

“Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 220/15

Teatro La Fenice h. 19

ORCHESTRA

FILARMONICA ITALIANA CORO DELL’OPERA DI PARMA

Musiche di Nico Cartosio

“In principio era l’Acqua” Ingresso libero su prenotazione/Free entry upon reservation

Scuola Grande San Giovanni Evangelista h. 21

188
:classica l

27

giovedìThursday

ARIADNE AUF NAXOS

(vedi venerdì 21 giugno)

“Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 220/15

Teatro La Fenice h. 19

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

(vedi venerdì 21 giugno)

“Arena di Verona Opera Festival”

Ingresso/Ticket € 270/32

Arena di Verona h. 21.30

28

venerdì Friday

MARKUS STENZ direttore

Musiche di Mendelssohn

Bartholdy, Bruckner

“Stagione Sinfonica 2023-2024”

Ingresso/Ticket € 88/45

Teatro La Fenice h. 20

AIDA

(vedi venerdì 14 giugno)

“Arena di Verona Opera Festival”

Ingresso/Ticket € 190/32

Arena di Verona h. 21.30

29

sabato Saturday

MARKUS STENZ direttore

Musiche di Mendelssohn

Bartholdy, Bruckner

“Stagione Sinfonica 2023-2024”

Ingresso/Ticket € 88/45

Teatro La Fenice h. 20

TURANDOT

(vedi sabato 8 giugno)

“Arena di Verona Opera Festival”

Ingresso/Ticket € 190/32

Arena di Verona h. 21.30

30 domenica Sunday

ARIADNE AUF NAXOS

(vedi venerdì 21 giugno)

“Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 220/15

Teatro La Fenice h. 17

INDIRIZZI

ARENA DI VERONA

Piazza Bra-Verona www.arena.it

AUDITORIUM

LO SQUERO

Isola di San Giorgio Maggiore www.asolomusica.com

SCUOLA GRANDE SAN GIOVANNI EVANGELISTA San Polo 2454 www.scuolasangiovanni.it

TEATRO LA FENICE

Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it

TEATRO MALIBRAN Cannaregio 5873 www.teatrolafenice.it

11

martedìTuesday

RIVOLUZIONE DUSE

Inno agli stregati

Drammaturgia, regia e interpretazione Elena Bucci musiche originali eseguite dal vivo

Christian Ravaglioli

“Dall’Archivio alla Scena”

Ingresso/Ticket € 13/5

Auditorium Lo Squero h. 19

13

giovedìThursday

COAST TO COAST

Spettacolo di fine anno

Danzainsieme ASD

Ingresso/Ticket € 28/10

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 21

14

venerdì Friday

IL RESPIRO DELL’ANIMA

Eleonora Duse rivelata da Dora Setti da La Duse com’era di Dora Setti, “Eleonora Duse ad Antonietta Pisa” di Dora Setti

A cura di Stefania Pepe Accademia dei Filodrammatici “Dall’Archivio alla Scena”

Ingresso libero/Free entry

Auditorium Lo Squero h. 19

THE GREATEST SHOW

Saggio di fine anno dell’accademia

Movimento&Danza

Diretto da Giorgia Torcellan

Ingresso libero/Free entry € 23

Teatro del Parco-Mestre h. 18/21

15

sabato Saturday

52. FESTIVAL INTERNAZIONALE

DEL TEATRO DELLA

BIENNALE DI VENEZIA –NIGER ET ALBUS

Vedi Festival Guide pp. 27-56

16

domenica Sunday

SOIRÉE BALLET DELLA SCUOLA DI DANZA CLASSICA E MODERNA

Coreografie di Marina Prando, Elisabetta Cocolet, Francesca Zambon, Sara Parisi

Regia di Ugo Maurino

Ingresso/Ticket € 20

Teatro Goldoni h. 20

22 sabato Saturday

CANZONIERE GRECANICO SALENTINO

Mauro Durante, voce, percussioni, violino

Alessia Tondo, voce, percussioni Silvia Perrone, danza Giulio Bianco, zampogna, armonica, flauti e fiati popolari, basso

Massimiliano Morabito, organetto Emanuele Licci, voce, chitarra, bouzouki Giancarlo Paglialunga , voce, tamburieddhu, percussioni

Francesco Aiello, ingegnere del suono

“Scene di Paglia 2024” Ingresso libero/Free entry

Piazza Vittorio Emanuele II Piove di Sacco h. 21.15

25

martedìTuesday IL SEQUESTRO

Gli 831 giorni di Carlo Celadon

Drammaturgia Marco Gnaccolini

Con Giacomo Rossetto

Regia Anna Tringali coproduzione Teatro Bresci e Scene di Paglia

“Scene di Paglia 2024” Ingresso/Ticket € 7 Corte Benedettina, Legnaro h. 21.15

26

mercoledìWednesday LA RICONOSCENZA

Presentazione del libro di Fernando Marchiori (Casadeilibri, 2024) Intervengono l’autore e Marco Paolini

“Scene di Paglia 2024” Ingresso libero/Free entry Palazzo Pinato Valeri, Piove di Sacco h. 18.30

27 giovedìThursday

JAMAIS JE N’OUBLIE

Coreografia Perle Cayron Danza Maria Cargnelli, Perle Cayron Voce off Fabien Modin

Musica Stijn Vanmarsenille Cie Bittersweet

“Scene di Paglia 2024” Ingresso/Ticket € 7 Villa Roberti, Brugine h. 21.15

189
:t h eatro

agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO

venerdì Friday

TARZAN

Uno spettacolo da tavolo di e con Claudio Montagna

Produzione CTA – Centro Teatro Animazione e Figure (Gorizia) con Teatro e Società (Torino)

“Scene di Paglia 2024”

Ingresso/Ticket € 7

Casone Ramei, Piove di Sacco h. 21

LA CRISIS DE LA IMAGINACIÓN

Ideazione Rauxa Cia

Regia, drammaturgia e interpretazione Xavi Sánchez e Analía Serenelli

Musica Jesús Acebedo Co-produzione Fira Tàrrega con la collaborazione del Teatre

Foment de Juneda e del Teatre de l’Escorxador de Lleida

“Scene di Paglia 2024” Ingresso/Ticket € 7

Casone Ramei, Piove di Sacco h. 21

29 sabato Saturday

OLMO

Io corro per vendetta Scritto e diretto da Eugenio Sideri Con Enrico Caravita

Produzione Lady Godiva Teatro In collaborazione con Epica dell’Acqua

“Scene di Paglia 2024” Ingresso/Ticket € 7

Corte Benedettina, Correzzola h. 21

MODÀFFERI

Uno spettacolo da tavolo di e con Claudio Montagna

Produzione Teatro e Società (Torino)

“Scene di Paglia 2024” Ingresso/Ticket € 7

Corte Benedettina, Correzzola h. 22

30

domenica Sunday

ORECCHIE D’ASINO

uno spettacolo da tavolo di e con Claudio Montagna

Produzione CTA – Centro Teatro

Animazione e Figure (Gorizia)

“Scene di Paglia 2024” Ingresso/Ticket € 7

Casone Ramei, Piove di Sacco h. 18.30/21

LA SPOSA BLU

di e con Silvia Battaglio

da a Barbablù di Charles Perrault

Suggestioni letterarie William

Shakespeare, Georgi Gospodinov, Fratelli Grimm

Suggestioni musicali J. S. Bach, Fazil Say, Alva Noto

Zerogrammi

“Scene di Paglia 2024”

Ingresso/Ticket € 7

Casone Ramei, Piove di Sacco h. 22

INDIRIZZI

AUDITORIUM

LO SQUERO

Isola di San Giorgio www.teatrostabileveneto.it

TEATRO GOLDONI

San Marco 4650/B www.teatrostabileveneto.it

TEATRO MARIO

DEL MONACO

Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it

TEATRO DEL PARCO

Parco Albanese-Mestre www.culturavenezia.it

SCENE DI PAGLIA

Piove di Sacco e i comuni della Saccisica www.scenedipaglia.net

15

sabato Saturday

GOB SQUAD

Leone d’Argento

ELEPHANTS

IN ROOMS (137’) * Installazione video multischermo

Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

CIRO GALLORANO

Vincitore Biennale College

Teatro

Registi Under 35 (2023-24)

CRISALIDI (65’) **

Tese dei Soppalchi, Arsenale h. 18

GOB SQUAD

Leone d’Argento

CREATION (PICTURES FOR DORIAN) (110’) **

Teatro Piccolo Arsenale h. 21

16

domenica Sunday

GOB SQUAD

ELEPHANTS IN ROOMS *

Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

GOB SQUAD

Cerimonia di consegna

Leone d’Argento

A seguire, conversazione con gli artisti Moderatore: Andrea Porcheddu

Sala delle Colonne, Ca’ Giustinian h. 12

GOB SQUAD

CREATION (PICTURES FOR DORIAN) (110’) **

Teatro Piccolo Arsenale h. 18

CIRO GALLORANO

CRISALIDI **

Tese dei Soppalchi, Arsenale h. 21

18

martedìTuesday

GOB SQUAD

ELEPHANTS IN ROOMS *

Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

VAIVA GRAINYTÉ / LINA LAPELYTÉ / RUGILÉ BARZDŽIUKAITÉ

HAVE A GOOD DAY! (55’)

Teatro alle Tese, Arsenale h. 21

19 mercoledìWednesday

GOB SQUAD

ELEPHANTS IN ROOMS * Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

VAIVA GRAINYTÉ / LINA LAPELYTÉ / RUGILÉ BARZDŽIUKAITÉ

HAVE A GOOD DAY! (55’)

Teatro alle Tese, Arsenale h. 19

MIET WARLOP

AFTER ALL SPRINGVILLE (50’) * Tese dei Soppalchi, Arsenale h. 21

20 giovedìThursday

GOB SQUAD

ELEPHANTS IN ROOMS * Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

MIET WARLOP

AFTER ALL SPRINGVILLE (50’) * Tese dei Soppalchi, Arsenale h. 19

AMIR REZA KOOHESTANI / MEHR THEATRE GROUP

BLIND RUNNER (60’)

Teatro alle Tese, Arsenale h. 21

21 venerdì Friday

GOB SQUAD

ELEPHANTS IN ROOMS * Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

AMIR REZA KOOHESTANI / MEHR THEATRE GROUP

BLIND RUNNER (60’)

Teatro alle Tese, Arsenale h. 19

GIORGINA PI regia

STEFANO FORTIN

CENERE (ca. 60’) **

Sala d’Armi A, Arsenale h. 21

22 sabato Saturday

GOB SQUAD

ELEPHANTS IN ROOMS * Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

GIORGINA PI regia

STEFANO FORTIN

CENERE (ca. 60’) **

Sala d’Armi A, Arsenale h. 18

MUTA IMAGO

TRE SORELLE (75’)

Tese dei Soppalchi, Arsenale h. 21

190
:t h
: biennale teatro
eatro
28

23

domenica Sunday

GOB SQUAD

ELEPHANTS IN ROOMS *

Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

ELIA PANGARO

Vincitore Biennale College Teatro

Performance Site-specific (2024)

BOLIDE

DEUS EX MACHINA (ca. 40’) **

Via Garibaldi, Castello h. 18

MUTA IMAGO

TRE SORELLE (75’)

Tese dei Soppalchi, Arsenale h. 19

LUANDA CASELLA

ELEKTRA UNBOUND (110’) *

Teatro Piccolo Arsenale h. 20

24

lunedì Monday

GOB SQUAD

ELEPHANTS IN ROOMS *

Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

ELIA PANGARO

BOLIDE (ca. 40’) **

Via Garibaldi, Castello h. 18

LUANDA CASELLA

ELEKTRA UNBOUND (110’) *

Teatro Piccolo Arsenale h. 20

25

martedìTuesday

GOB SQUAD ELEPHANTS IN ROOMS *

Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

ELIA PANGARO

BOLIDE (ca. 40’) **

Via Garibaldi, Castello h. 18

MARKUS ÖHRN

PHOBIA (130’) * Teatro alle Tese, Arsenale h. 20

26

mercoledìWednesday

GOB SQUAD

ELEPHANTS IN ROOMS *

Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

ELIA PANGARO

BOLIDE (ca. 40’) **

Via Garibaldi, Castello h. 18

MARKUS ÖHRN

PHOBIA (130’) *

Teatro alle Tese, Arsenale h. 18

TIM CROUCH

TRUTH’S A DOG MUST TO KENNEL (70’) *

Sala d’Armi A, Arsenale h. 21

27

giovedìThursday

GOB SQUAD

ELEPHANTS IN ROOMS *

Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

ROSALINDA CONTI

Vincitrice Biennale College Teatro

Drammaturgia Under 40 (2024)

COSÌ ERANO LE COSE

APPENA NATA LA LUCE **

Mise en lecture

Sala d’Armi E, Arsenale h. 17

ELIA PANGARO

BOLIDE (ca. 40’) **

Via Garibaldi, Castello h. 18

TIM CROUCH

TRUTH’S A DOG MUST TO KENNEL (70’) *

Sala d’Armi A, Arsenale h. 19

ELIANA ROTELLA

Vincitrice Biennale College Teatro

Drammaturgia Under 40 (2024)

LIVIDO **

Mise en lecture

Sala d’Armi E, Arsenale h. 21

28

venerdì Friday

GOB SQUAD

ELEPHANTS IN ROOMS *

Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

ELIANA ROTELLA

LIVIDO **

Sala d’Armi E, Arsenale h. 17

ELIA PANGARO

BOLIDE (ca. 40’) **

Via Garibaldi, Castello h. 18

ROSALINDA CONTI

COSÌ ERANO LE COSE

APPENA NATA LA LUCE **

Sala d’Armi E, Arsenale h. 20

BACK TO BACK THEATRE

Leone d’Oro alla Carriera FOOD COURT (60’) **

Teatro Piccolo Arsenale h. 22

29

sabato Saturday

GOB SQUAD

ELEPHANTS IN ROOMS *

Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

ELIA PANGARO

BOLIDE (ca. 40’) **

Via Garibaldi, Castello h. 18

BACK TO BACK THEATRE

Leone d’Oro alla Carriera

FOOD COURT (60’) **

Teatro Piccolo Arsenale h. 18

MILO RAU

MEDEA’S CHILDREN (90’) *

Teatro alle Tese, Arsenale h. 20

FABRIZIO ARCURI regia

CAROLINA BALUCANI

SLEEPING BEAUTY (ca. 75’) **

Tese dei Soppalchi, Arsenale h. 22

30

domenica Sunday

GOB SQUAD

ELEPHANTS IN ROOMS *

Padiglione 30, Forte Marghera h. 11-19

BACK TO BACK THEATRE

Cerimonia di consegna

Leone d’Oro alla carriera

A seguire, conversazione con gli artisti Moderatore: Andrea Porcheddu

Sala delle Colonne, Ca’ Giustinian h. 12

ELIA PANGARO

BOLIDE (ca. 40’) **

Via Garibaldi, Castello h. 18

FABRIZIO ARCURI regia

CAROLINA BALUCANI

SLEEPING BEAUTY (ca. 75’) **

Tese dei Soppalchi, Arsenale h. 18

MILO RAU

MEDEA’S CHILDREN (90’) *

Teatro alle Tese, Arsenale h. 20

** Prima assoluta

* Prima italiana

Il programma può subire variazioni

Info e tickets: www.labiennale.org

191

biennalearte

INFOPOINT DEPOSITO BAGAGLI CHECKROOMS BAR RESTAURANT CAFFETTERIA BOOKSHOP TOILET WI-FI FIRST AID entrata/entrance STOP Giardini STOP Giardini Biennale STOP Sant’Elena uscita/exit uscita/exit Central Pavilion BiennaleLibraryASAC entrata/entrance Book Pavilion 1 2 3 4 5 6 7 8 16 9 10 11 12 13 14 15 17 18 19 26 20 21 22 23 24 25 27 28 29 30 192
GIARDINI / ARSENALE GIARDINI ––FOREIGNERS EVERYWHERE PADIGLIONE CENTRALE NATIONAL PARTICIPATIONS 1 AUSTRALIA 2 AUSTRIA 3 BELGIO 4 Stato Plurinazionale della BOLIVIA 5 BRASILE 6 CANADA 7 Repubblica CECA 8 Repubblica di COREA 9 DANIMARCA 10 EGITTO 11 FINLANDIA (Padiglione Alvar Aalto) 12 FRANCIA 13 GERMANIA/1 14 GIAPPONE 15 GRAN BRETAGNA 16 GRECIA 17 ISRAELE 18 PAESI BASSI 19 PAESI NORDICI (Finlandia, Norvegia, Svezia) 20 POLONIA 21 ROMANIA/1 22 SERBIA 23 Repubblica SLOVACCA 24 SPAGNA 25 STATI UNITI D’AMERICA 26 SVIZZERA 27 UNGHERIA 28 URUGUAY 29 Repubblica Bolivariana del VENEZUELA 30 PADIGLIONE VENEZIA
Giardino delle Vergini
Teatro alle Tese Isolotto Teatro Piccolo Arsenale Gaggiandre
Sale d’Armi entrata entrance entrata entrance STOP Arsenale gr F L O O R Padiglione Arti Applicate 1st F L O O R Shuttle Shuttle Corderie Artiglierie Tese delle Vergini uscita exit 34 46 31 40 39 43 41 37 38 53 35 44 48 42 50 49 47 51 45 32 36 33 52 193 ARSENALE FOREIGNERS EVERYWHERE CORDERIE NATIONAL PARTICIPATIONS 31 ALBANIA Artiglierie 32 ARABIA SAUDITA Sale d'Armi 33 ARGENTINA Sale d'Armi 34 Regno del BENIN Artiglierie 35 CINA Repubblica Popolare Cinese Magazzino delle Vergini 36 EMIRATI ARABI UNITI Sale d'Armi 37 FILIPPINE Artiglierie 38 IRLANDA Artiglierie 39 ISLANDA Artiglierie 40 LETTONIA Artiglierie 41 LIBANO Artiglierie 42 Granducato di LUSSEMBURGO Sale d'Armi 43 MALTA Artiglierie 44 MESSICO Sale d'Armi 45 PERÙ Sale d'Armi 46 SENEGAL Artiglierie 47 Repubblica delle SEYCHELLES Sale d'Armi 48 SINGAPORE Artiglierie 49 Repubblica del SUDAFRICA Sale d'Armi 50 TURCHIA Sale d'Armi 51 UCRAINA Sale d'Armi 52 Repubblica dell’UZBEKISTAN Tese Cinquecentesche 53 PADIGLIONE ITALIA Tese e Giardino delle Vergini
Arsenale Nord

biennalearte

NATIONAL PARTICIPATIONS / COLLATERAL EVENTS

NATIONAL PARTICIPATIONS

Repubblica di ARMENIA

Magazzino del Sale 3, Dorsoduro 264 IG @khemchyan_nina

Repubblica dell’AZERBAIGIAN

Campo della Tana, Castello 2126/A www.azerbaijanvenicebiennale.com

Repubblica Popolare del BANGLADESH

Spazio Espositivo STAERT, Santa Croce 1979/A BOSNIA-ERZEGOVINA

Palazzo Zorzi (UNESCO Venice Office), Castello 4930

BULGARIA

Sala Tiziano-Centro Culturale Don Orione Artigianelli Dorsoduro 919 www.bulgarianpavilionvenice.art

Repubblica del CAMERUN

Palazzo Donà delle Rose, Fondamenta Nove Cannaregio 5038

CILE

Magazzino n. 42, Marina Militare, Castello 2738/C IG @cosmonacion | www.cultura.gob.cl

Repubblica di CIPRO

Associazione Culturale Spiazzi, Castello 3865

Repubblica Democratica del CONGO

Ex Cappella Buon Pastore, Castello 77 COSTA D’AVORIO

Centro Culturale Don Orione Artigianelli, Dorsoduro 947

CROAZIA

Fàbrica 33, Calle Larga dei Boteri, Cannaregio 5063 www.croatianpavilion2024.com

CUBA

Teatro Fondamenta Nove, Cannaregio 5013 www.wilfredoprieto.com

ESTONIA

Chiesa delle Penitenti, Fondamenta Cannaregio 890 www.cca.ee

ETIOPIA

Palazzo Bollani, Castello 3647 www.ethiopiapavilion.org

GEORGIA

Palazzo Palumbo Fossati, San Marco 2597 IG @georgian_pavillon_2024

GERMANIA/2

Isola della Certosa e Giardini IG @deutscherpavillon

GRENADA

Palazzo Albrizzi-Capello, Cannaregio 4118 www.grenadavenice.org

Repubblica Islamica dell’IRAN

Palazzo Malipiero, San Marco 3198 Repubblica del KAZAKHSTAN

Museo Storico Navale, Riva San Biasio, Castello 2148

Repubblica del KOSOVO

Museo Storico Navale, Riva San Biasio, Castello 2148 www.pavilionofkosovo.com

LITUANIA

Chiesa di Sant'Antonin, Salizada Sant’Antonin Castello 3477 www.lndm.lt/inflammation

Repubblica di MACEDONIA DEL NORD

Scuola dei Laneri, Santa Croce 131/A IG @macedonianpavilion

MONGOLIA

Campo della Tana, Castello 2127/A (near the Arsenale entrance) www.2024mongolian-pavilion.org

MONTENEGRO

Complesso dell’Ospedaletto Barbaria de le Tole, Castello 6691 IG @slavadar

NIGERIA

Palazzo Canal, Rio Terà Canal, Dorsoduro 3121 www.nigeriaimaginary.com

Sultanato dell’OMAN

Palazzo Navagero, Castello 4147 IG @omanpavilion

Repubblica di PANAMA

Spazio Castello 2131 www.panamapavilion.org

PORTOGALLO

Palazzo Franchetti, San Marco 2842 www.greenhouse2024.com

ROMANIA/2

Palazzo Correr, Campo Santa Fosca, Cannaregio 2214 IG @romanianpavilion2024

Repubblica di SAN MARINO

Fucina del Futuro, Calle e Campo San Lorenzo Castello 5063/B www.biennaleveneziasanmarino.com

SANTA SEDE

Casa di Reclusione Femminile Venezia Sant’Eufemia, Giudecca 712 www.vatican.va

Repubblica di SLOVENIA

Serra dei Giardini, Via Garibaldi, Castello 1254 www.mg-lj.si

Repubblica Unita della TANZANIA

La Fabbrica del Vedere, Calle del Forno Cannaregio 3857 www.tanzaniapavilion2024.com

Repubblica Democratica di TIMOR-LESTE

Spazio Ravà, San Polo 1100 IG @natalieking_curator

UGANDA

Bragora Gallery, Castello 3496

Repubblica dello ZIMBABWE

Santa Maria della Pietà, Castello 3701

COLLATERAL EVENTS

FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA/1

A Journey to the Infinite. Yoo Youngkuk

Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.yooyoungkuk.org

FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA/2

A World of Many Worlds

Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.asia-forum.international www.bagrifoundation.org

ISTITUTO SANTA MARIA DELLA PIETÀ/1

A bove Zobeide

Exhibition from Macao, China

Calle della Pietà, Castello 3701 www.MAM.gov.mo

CASTELLO GALLERY

A ll African Peoples’ Consulate Castello 1636/A www.theafricacenter.org

PROCURATIE VECCHIE/1

A ndrzej Wróblewski (1927-1957)

In the First Person

Piazza San Marco 139-153/A www.starakfoundation.org

ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE Berlinde De Bruyckere.

City ofRefuge III

Abbazia di San Giorgio Maggiore www.abbaziasangiorgio.it

DOCKS CANTIERI CUCCHINI Catalonia in Venice

Bestiari | Carlos Casas

San Pietro di Castello 40/A www.bestiari.llull.cat

SALONE VERDE - ART & SOCIAL CLUB

C osmic Garden

Calle Regina, Santa Croce 2258 IG @chanakya.school

PALAZZO CONTARINI POLIGNAC

Daring to Dream in a World of Constant Fear

Dorsoduro 874

BRUCHIUM FERMENTUM

D esde San Juan Bautista…

Calle del Forno, Castello 2092 www.consolatorem.org | IG @remproject.gallery

CAMPO DELLA TANA/1 E lias Sime

Dichotomy jerba

Tanarte, Ramo de la Tana, Castello 2125 (near the Arsenale entrance) www.simevenice.org

ESPACE LOUIS VUITTON E rnest Pignon-Ernest

Je Est Un Autre

Calle del Ridotto, San Marco 1353 www.pignon-ernest.com

194

PALAZZO CAVANIS

E wa Juszkiewicz. Locks withLeaves and Swelling Buds

Fondamenta Zattere ai Gesuati, Dorsoduro 920 www.fabarte.org

PALAZZO ROCCA CONTARINI CORFÙ

Jim Dine. Dog on the Forge Dorsoduro 1057/D www.dogontheforge.com

ACCADEMIA DI BELLE ARTI

PALAZZINA CANONICA CNR-ISMAR

Josèfa Ntjam

swell of spæc(i)es

Accademia di Belle Arti di Venezia, Dorsoduro 423 CNR-ISMAR, Riva dei Sette Martiri, Castello1364/A www.las-art.foundation | IG @josefantjam

FONDATION WILMOTTE

L ee Bae

La Maison de la Lune Brûlée

Corte Nuova, Fondamenta dell'Abbazia Cannaregio 3560 www.leebaestudio.com | www.wilmotte.com

IL GIARDINO BIANCO ART SPACE

M adang: Where We Become Us

Via Garibaldi, Castello 1814 www.biennialfoundation.org

EX FARMACIA SOLVENI

Passengers in Transit Dorsoduro 993-994 www.193gallery.com

FONDAZIONE DELL’ALBERO D’ORO

Per non perdere il filo.

Karine N’guyen Van Tham

Parul Thacker

Palazzo Vendramin Grimani, San Polo 2033 www.fondazionealberodoro.org

ISTITUTO SANTA MARIA DELLA PIETÀ/2

Peter Hujar

Portraits in Life and Death

Calle della Pietà, Castello 3703 IG @peterhujararchive

FONDACO MARCELLO

R ebecca Ackroyd Mirror Stage

Calle del Traghetto, San Marco 3415 IG @rebeccaackroyd

PROCURATIE VECCHIE/2 R obert Indiana

The Sweet Mystery

Corte Maruzzi, Piazza San Marco 105 (second floor) www.ysp.org.uk

ARTENOVA

S eundja Rhee

Towards the Antipodes

Campo San Lorenzo, Castello 5063 www.korica.org | www.seundjarhee.com

PALAZZO SORANZO VAN AXEL

S hahzia Sikander

Collective Behavior

Fondamenta Van Axel o de le Erbe Cannaregio 6099, 6071, 6072 www.cincinnatiartmuseum.org | www.clevelandart.org

PALAZZO CONTARINI POLIGNAC

MAGAZZINO GALLERY

S outh West Bank. Landworks, Collective Action and Sound Dorsoduro 874 www.adambroomberg.com

FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA T he Endless Spiral Betsabeé Romero Galleria di Piazza San Marco, San Marco 71/C www.betsabeeromero.com

PALAZZO SMITH MANGILLI VALMARANA T he Spirits of Maritime Crossing Cannaregio 4392 www.bkkartbiennale.com

CAMPO DELLA TANA/2 T revor Yeung

Courtyard of Attachments, Hong Kong in Venice Ramo de la Tana, Castello 2126 (opposite the Arsenale entrance) 2024.vbexhibitions.hk | IG @plantertrevor

SPAZIO BERLENDIS

Ydessa Hendeles. Grand Hotel Calle Berlendis, Cannaregio 6301 www.artmuseum.utoronto.ca

PALAZZO DELLE PRIGIONI Yuan Goang-Ming

Everyday War

Castello 4209 (next to Palazzo Ducale) www.taiwaninvenice.org

Download

The Biennale Arte Guide

195

biennalearte

NOT ONLY BIENNALE

A PLUS A GALLERY

Double Take Fino Until 15 luglio July San Marco 3073 www.aplusa.it

AKKA PROJECT

The Residency Outcome 13 giugno June -13 settembre September

Ca’ del Duca, Corte Duca Sforza, San Marco 3052 www.akkaproject.com

ARSENALE INSTITUTE FOR POLITICS OF REPRESENTATION

William Kentridge

Self-Portrait as a Coffee-Pot

Riva dei Sette Martiri, Castello 1430/A www.arsenale.com

ARSENALE NORD

Klaus Littmann

Arena for a Tree Fino Until 31 luglio July Arsenale Nord www.kbhg.ch

ATENEO VENETO

Walton Ford. Lion of God Fino Until 22 settembre September Campo San Fantin, San Marco 1897 www.ateneoveneto.org

BEL-AIR FINE ART

Carole Feuerman

Patrick Hughes

Calle del Spezier, San Marco 2765 | Dorsoduro 728 www.belairfineart.com

BIBLIOTECA MARCIANA At Home Abroad

Piazzetta San Marco 7 bibliotecanazionalemarciana.cultura.gov.it

CA’ D’ORO/1

The Golden Way La via dell’oro Fino Until 16 giugno June Galleria Giorgio Franchetti (second floor) Cannaregio 3932 www.polomusealeveneto.beniculturali.it www.cadoro.org

CA’ D’ORO/2

César Meneghetti + Laboratori d’arte di Sant’Egidio Fino Until 15 settembre September Galleria Giorgio Franchetti (atrio, piano terra) Cannaregio 3932 www.polomusealeveneto.beniculturali.it www.cadoro.org

CA’ PESARO/1

Armando Testa

Fino Until 15 settembre September Galleria Internazionale d’Arte Moderna Santa Croce 2076 www.capesaro.visitmuve.it

CA’ PESARO/2

Chiara Dynys. Lo Stile

Fino Until 15 settembre September

Galleria Internazionale d’Arte Moderna (Sale Dom Pérignon), Santa Croce 2076 www.capesaro.visitmuve.it

CA’ PESARO/3

Lucia Veronesi

La desinenza estinta

21 giugno June -13 ottobre October

Galleria Internazionale d’Arte Moderna Santa Croce 2076 www.capesaro.visitmuve.it

CA’ REZZONICO

Lorenzo Quinn

Fino Until 15 settembre September

Museo del Settecento Veneziano (androne) Dorsoduro 3136 www.carezzonico.visitmuve.it

CAPSULE VENICE

Hovering

Fino Until 23 giugno June Dorsoduro 2525 capsuleshanghai.com

CASA DI CARLO GOLDONI

Eva Marisaldi. Biribisso San Polo 2794 www.carlogoldoni.visitmuve.it

CASTELLO 780

Kaethe Kauffman. La foresta

Fino Until 23 giugno June

Fondamenta S. Giuseppe, Castello 780 www.crosscontemporaryprojects.com

CASTELLO 925

I Foresti

Fino Until 23 giugno June

Fondamenta S. Giuseppe, Castello 925 www.crosscontemporaryprojects.com

CAVANA AI GESUATI

Pahsi Lin. Infinity Art

Fino Until 7 luglio July

Rio Terà Foscarini, Dorsoduro 909/C www.bigeyesvision.com

CHIESA DI SAN FANTIN

Reza Aramesh. Number 207

Fino Until 2 ottobre October

Campo San Fantin, San Marco 3090 www.actionbynumber.com

CHIESA DI SAN GALLO

Jaume Plensa. Janus

Fino Until 30 settembre September

Campo San Gallo, San Marco 1103 www.fondazioneberengo.org

CHIESA DI SANTA MARIA DELLA PIETÀ

Wallace Chan Transcendence

Fino Until 30 settembre September

(Cappella laterale) Riva degli Schiavoni, Castello www.wallace-chan.com

CHIESA DI SANTA MARIA DELLA VISITAZIONE Memo Akten. Boundaries

Fondamenta Zattere ai Gesuati, Dorsoduro 919/A www.vanhaerentsartcollection.com

CIPRIANI GIUDECCA

Daniel Buren. Haltes Colorées

Fino Until 30 settembre September

Belmond Hotel Cipriani, Giudecca 10 www.belmond.com

COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM

Jean Cocteau

La rivincita del giocoliere

Fino Until 16 settembre September

Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 www.guggenheim-venice.it

COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO NEBULA

Barbaria de le Tole, Castello 6691 inbetweenartfilm.com

CREA CANTIERI DEL CONTEMPORANEO CYFEST 15 Vulnerability

Fino Until 30 agosto August Giudecca 211/B www.cyfest.art | www.creavenice.com

DOCKS CANTIERI CUCCHINI

Sam Spratt

The Monument Game

Fino Until 23 giugno June

Castello 40/B www.samspratt.com

EUROPEAN CULTURAL CENTRE (ECC) PALAZZO MORA | PALAZZO BEMBO GIARDINI MARINARESSA PERSONAL STRUCTURES Beyond Boundaries

Palazzo Mora, Strada Nova, Cannaregio 3659

Palazzo Bembo, Riva del Carbon, San Marco 4793

Giardini della Marinaressa, Riva dei Sette Martiri, Castello www.personalstructures.com www.ecc-italy.eu

FONDACO DEI TEDESCHI Best Regards

The Anonymous Project by Lee Shulman

Fino Until 17 novembre November Rialto www.dfs.com/venice

FONDAMENTA SANT’ANNA/1 Milena ZeVu. Silent Supper

Venice Art Projects, Castello 994 www.silentsupper.com

FONDAMENTA SANT’ANNA/2 Andrea Morucchio

The Puzzling Classics Show

Fino Until 18 giugno June

Castello 996/A www.bugnoartgallery.com

FONDATION VALMONT Ulysses. We Are All Heroes

Fino Until 23 febbraio February, 2025

Palazzo Bonvicini, Santa Croce 2161/A www.fondationvalmont.com

FONDAZIONE BERENGO ART SPACE ARSENALE NORD | TESA 99 GLASSTRESS 8½

Fino Until 24 novembre November

Fino Until 25 agosto August

Campiello della Pescheria 4, Murano Arsenale Nord www.glasstress.org | www.fondazioneberengo.org

196
NOT ONLY BIENNALE

FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA PALAZZETTO TITO

Guglielmo Castelli

Fino Until 7 luglio July

Dorsoduro 2826 www.bevilacqualamasa.it

FONDAZIONE EMILIO E ANNABIANCA VEDOVA/1 Eduard Angeli. Silentium

Magazzino del Sale, Zattere, Dorsoduro 266 www.fondazionevedova.org

FONDAZIONE EMILIO E ANNABIANCA VEDOVA/2 Amendola

Burri Vedova Nitsch

Spazio Vedova, Zattere, Dorsoduro 50 www.fondazionevedova.org

FONDAZIONE POTENZA TAMINI

Gianmaria Potenza

Dorsoduro 1450 www.fondazionepotenzatamini.it

FONDAZIONE PRADA

Christoph Büchel

Monte di Pietà

Ca’ Corner della Regina, Santa Croce 2215 www.fondazioneprada.org

FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA

Ilya and Emilia Kabakov

Between Heaven and Earth

Fino Until 14 luglio July

Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.querinistampalia.org

GALLERIA ALBERTA PANE

Luciana Lamothe

Folding Roads

Fino Until 27 luglio July

Calle dei Guardiani, Dorsoduro 2403/H www.albertapane.com

GALLERIA LUCE

Spazialismo, Optical Art, Figurazione e Novecento

San Marco 1922/A www.gallerialuce.com

GALLERIA RAVAGNAN

Spaces and Contemplation

Piazza San Marco 50/A | Dorsoduro 686 www.ravagnangallery.com

GALLERIA RIZZO

Brian Eno. Gibigiane

Fino Until 10 luglio July

Giudecca 800/Q www.galleriamichelarizzo.net

GALLERIE DELL’ACCADEMIA/1

CASA DEI TRE OCI

Affinità elettive

Picasso, Matisse, Klee e Giacometti

Fino Until 23 giugno June

Gallerie dell’Accademia, Campo della Carità, Dorsoduro 1050

Casa dei Tre Oci, Berggruen Institute Europe

Zitelle, Giudecca 43 www.gallerieaccademia.it

GALLERIE DELL’ACCADEMIA /2

Willem de Kooning e l’Italia

Fino Until 15 settembre September Campo della Carità, Dorsoduro 1050 www.gallerieaccademia.it

GARIBALDI GALLERY

Mongol Zurag

The Art of Resistance

Via Giuseppe Garibaldi, Castello 1815

HOTEL METROPOLE

Rob e Nick Carter

Beyond the Frame

Riva degli Schiavoni, Castello 4149 www.hotelmetropole.com

IKONA | LAB | AZZIME I confini dell’Alterità

Fino Until 27 ottobre October

Campo del Ghetto Novo, Cannaregio www.ghettovenezia.com

ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE FONDAZIONE CINI/1

Visi di Alessandro Mendini

Fino Until 16 giugno June

Biblioteca Manica Lunga

Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it

ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE FONDAZIONE CINI/2

Alex Katz Claire, Grass and Water

Fino Until 29 settembre September

Sala Carnelutti, Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it

ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE FONDAZIONE CINI/3

Chu Teh-Chun. In Nebula

Fino Until 30 giugno June

Ex-Piscina Gandini, Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it | www.chu-teh-chun.org

ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE LE STANZE DEL VETRO 1912-1930. Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia

Isola di San Giorgio Maggiore www.lestanzedelvetro.org

ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA/1 Helmut Newton. Legacy

Isola di San Giorgio Maggiore www.lestanzedellafotografia.it

ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA/2 Patrick Mimran. Out of Focus

Fino Until 11 agosto August

Isola di San Giorgio Maggiore www.lestanzedellafotografia.it

LA GALLERIA DOROTHEA VAN DER KOELEN Visions of Beauty

Calle Calegheri, San Marco 2566 www.galerie.vanderkoelen.de

M9 – MUSEO DEL ‘900 Burtynsky

Extraction/Abstraction

21 giugno June -12 gennaio January, 2025

Via G. Pascoli 11, Venezia Mestre www.m9museum.it

MAGAZZINI DEL SALE 5 Kiran Nadar Museum of Art The Rooted Nomad Dorsoduro 262 www.knma.in

MAGAZZINO MARINA MILITARE N. 41 Tomokazu Matsuyama Mythologiques Campo della Celestia, Arsenale

MARIGNANA ARTE/1

Maurizio Pellegrin

Verónica Vázquez

Fino Until 27 luglio July Gallery, Dorsoduro 141 www.marignanaarte.it

MARIGNANA ARTE/2

Eliane Prolik. Chromaticas Fino Until 2 luglio July Project Room, Dorsoduro 140/A www.marignanaarte.it

MUSEO CORRER

Francesco Vezzoli

Musei delle Lacrime Piazza San Marco correr.visitmuve.it

MUSEO D’ARTE ORIENTALE Li Chevalier

I Hear the Water Dreaming

Fino Until 15 settembre September

Ca’ Pesaro (terzo piano), Santa Croce 2076 www.orientalevenezia.beniculturali.it

MUSEO DEL MERLETTO Fragile Stories

14 giugno June -8 gennaio January, 2025 Piazza Galuppi 187, Burano www.museomerletto.visitmuve.it

MUSEO DEL VETRO

Federica Marangoni

On The Road 1970-2024. Non solo vetro

Fino Until 3 novembre November Fondamenta Giustinian 8, Murano www.museovetro.visitmuve.it

MUSEO FORTUNY

Eva Jospin. Selva

Palazzo Pesaro degli Orfei, San Marco 3958 www.fortuny.visitmuve.it

NEGOZIO OLIVETTI

Tony Cragg

Le forme del vetro

Fino Until 1 settembre September Piazza San Marco 101 www.fondoambiente.it

OCEAN SPACE

Re-Stor(y)ing Oceania

Fino Until 13 ottobre October

Chiesa di San Lorenzo, Castello 5069 www.ocean-space.org | www.tba21.org/academy

OFICINE 800

Bucellati

The Prince of Goldsmiths

Fino Until 18 giugno June

Fondamenta San Biagio, Giudecca 800 www.buccellati.com

197

Gioielli Nascosti di Venezia aperti per il Contemporaneo

COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO NATIONAL PARTICIPATION

at 60th International Venice Biennale MONTENEGRO

Bajagić Darja. It Takes an Island to Feel This Good 20 April – 24 November

Barbaria de le Tole, Castello 6691

COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO NEBULA

Giorgio Andreotta Calò, Basel Abbas and Ruanne Abou-Rahme, Saodat Ismailova, Cinthia Marcelle and Tiago Mata Machado, Diego Marcon, Basir Mahmood, Ari Benjamin Meyers, Christian Nyampeta produced by Fondazione In Between Art Film 17 April - 24 November

Barbaria de le Tole, Castello 6691

SCALA DEL BOVOLO SHANE GUFFOGG

At the Still Point of the Turning World. Strangers of Time produced by Patrick Carpentier Gallery 20 April - 24 November

San Marco 4303

CHIESA DELLE PENITENTI NATIONAL PARTICIPATION at 60th International Venice Biennale ESTONIA

Edith Karlson. Hora Lupi 20 April - 24 November

Fondamenta Cannaregio 890

ORATORIO DEI CROCIFERI TINCUTA MARIN

Where the Sun Sleeps produced by Triade Foundation, Jecza Gallery and Stephenson Art in partnership with Ellen De Bruijne Projects 15 April - 12 May

Campo dei Gesuiti, Cannaregio 4904

198

biennalearte

PALAZZETTO BRU ZANE

Monique Jacot

La figura e il suo doppio

Fino Until 14 settembre September San Polo 2368 www.fondation-bru.org

PALAZZINA MASIERI

Armonia Metis

Galerie Negropontes, Dorsoduro 3900 www.negropontes-galerie.com

PALAZZO AMALTEO

Kimiko Yoshida Private Collection

Corte Amaltea, San Polo 2646/A (visit by appointment) www.kimiko.fr

PALAZZO BEMBO/1

Journey of Labels

European Cultural Centre

Riva del Carbon, San Marco 4793-4785 www.artsconnectionfoundation.org www.foodofwar.org

PALAZZO BEMBO/2

R r OMA LEPANTO

European Cultural Centre Riva del Carbon, San Marco 4793–4785 www.eriac.org | www.dokuzentrum.sintiundroma.de

PALAZZO CINI/1

Martha Jungwirth

Heart of Darkness

Fino Until 29 settembre September Campo San Vio, Dorsoduro 864 www.palazzocini.it

PALAZZO CINI/2

Eleonora Duse

29 giugno June -13 ottobre October Campo San Vio, Dorsoduro 864 www.palazzocini.it

PALAZZO CORNER DELLA CA’ GRANDE

Mariko Mori. Peace Crystal: A Prayer for Peace

15 giugno June -7 ottobre October San Marco 3878 www.berggruenarts.org

PALAZZO DIEDO

Berggruen Arts & Culture

Janus

Da From 20 aprile April Fondamenta Diedo, Cannaregio 2386 www.berggruenarts.org

PALAZZO DUCALE

I mondi di Marco Polo

Fino Until 29 settembre September Appartamento del Doge, Piazzetta San Marco www.palazzoducale.visitmuve.it

PALAZZO FERRO FINI

Grand Hotel Venezia

Fino Until 30 novembre November

Consiglio regionale del Veneto, San Marco 2322 www.consiglioveneto.it

PALAZZO FRANCHETTI/1

Your Ghosts Are Mine Expanded cinema, amplified voices

ACP- Palazzo Franchetti (piano nobile), San Marco 2847 www.dohafilminstitute.com

PALAZZO FRANCHETTI/2 Breasts

ACP- Palazzo Franchetti (mezzanino) San Marco 2847

PALAZZO GRASSI

Julie mehretu. Ensemble

Fino Until 6 gennaio January, 2025 Campo San Samuele, San Marco 3231 www.pinaultcollection.com

PALAZZO GRIMANI/1

Rick Lowe

The Arch Within the Arc Castello Ramo Grimani, Castello 4858 www.polomusealeveneto.beniculturali.it

PALAZZO GRIMANI/2

Wael Shawky. I Am Hymns of the New Temples

Fino Until 30 giugno June

Castello Ramo Grimani, Castello 4858 www.polomusealeveneto.beniculturali.it

PALAZZO MARCELLO

Marionanni. ilrespirodellaluce

Fino Until 30 giugno June Cannaregio 2137 www.marionanni.com

PALAZZO PISANI SANTA MARINA

Hans Weigand Rising Waters/Falling Skies

Fino Until 30 giugno June

Calle delle Erbe, Cannaregio 610 www.hans-weigand.com

PALAZZO ROTA IVANCICH

Planète Lalanne

Fino Until 3 novembre November

Calle del Remedio, Castello 4421 www.benbrownfinearts.com

PROCURATIE VECCHIE/1

The Human Safety Net A World of Potential

Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 128 www.thehumansafetynet.org

PROCURATIE VECCHIE/2

About Us

Tracey Snelling for The Human Safety Net

Da From 12 aprile April

Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 128 www.thehumansafetynet.org

PUNTA DELLA DOGANA

Pierre Huyghe. Liminal Dorsoduro 2 www.pinaultcollection.com

RUPTURE ARTS & BOOKS VENEZIA

The Elephant and the Blind Men

Fino Until 29 giugno June

Fondamenta Ponte Lungo, Giudecca 289 www.zueccaprojects.org

SAN CLEMENTE PALACE KEMPINSKI VENICE

Seung-Hwan Kim. Organism

Isola di San Clemente www.kempinski.com/venice

SCALA CONTARINI DEL BOVOLO

Shane Guffogg San Marco 4303 www.vcprojects.art

SCOLETTA DEI TIRAORO E BATTIORO

Scoletta Dell’arte: Digital Reform

Fino Until 15 settembre September

Salizada San Stae, Santa Croce 1980 www.taex.com

SCUOLA GRANDE DELLA MISERICORDIA

Zeng Fanzhi

Near and Far/Now and Then

Fino Until 30 settembre September

Cannaregio 3599 www.lacma.org

SPARC* SPAZIO ARTE CONTEMPORANEA

Jacques Martinez. Domani Campo Santo Stefano, San Marco 2828/A www.veniceartfactory.org

SPAZIO SV Sobin Park. Enter the Dragon Campo San Zaccaria, Castello 4693 www.spaziosv.com

SPUMA SPACE FOR THE ARTS H 2 O VENEZIA. Diari d’acqua (chiuso in Agosto closed in August) Fondamenta San Biagio, Giudecca 800/R www.lapislaz.com

SQUERO CASTELLO

Ioan Sbârciu

Estranged from Nature

Fino Until 14 luglio July

Salizada Streta, Castello 368 www.zueccaprojects.org

ST. GEORGE'S ANGLICAN CHURCH

Maria Kreyn. Chronos

Fini Until 19 giugno June

Campo San Vio, Dorsoduro 720 www.mariakreyn.com

TANA ART SPACE

Daniel Pešta

Something is Wrong

Fondamenta de la Tana, Castello 2109/A www.museummontanelli.com

UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI

L’Avanguardia nel deserto

Fino Until 29 settembre September

Ca’ Foscari Esposizioni, Dorsoduro 3246 www.unive.it

UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI ZATTERE CFZ | CULTURAL FLOW ZONE

Lena Herzog

Any War Any Enemy

Fino Until 22 giugno June

Tesa 1, Zattere al Ponte Lungo, Dorsoduro 1392 www.unive.it

199
NOT
ONLY BIENNALE

Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 288 - Anno XXVIII Venezia, 1 giugno 2024

Con il Patrocinio del Comune di Venezia

Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996

Direzione editoriale Massimo Bran

Direzione organizzativa Paola Marchetti

Relazioni esterne e coordinamento editoriale Mariachiara Marzari

Redazione

Chiara Sciascia, Davide Carbone

Speciali Fabio Marzari

Coordinamento Newsletter e progetti digitali Marisa Santin

Grafica Luca Zanatta

Hanno collaborato a questo numero

Katia Amoroso, Maria Laura Bidorini, Patrizia Bran, Loris Casadei, Mario Dal Co, Matilde Corda, Fabio Di Spirito, Raul Garcillán, Elisabetta Gardin, Nicolò Ghigi, Renato Jona, Maurizio De Luca, Franca Lugato, Irene Machetti, Beatrice Poggesi, Lucio Salvatore, Livia Sartori di Borgoricco, Adele Spinelli, Camillo Tonini, Delphine Trouillard, Luisa Turchi, Andrea Zennaro

Si ringraziano

Antonella Lacchin, Chiara Dalla Rosa – ECC, Emanuela Caldirola, Ilaria Grando – Ufficio stampa DMT de La Biennale di Venezia, Angelica Kozlova

Traduzioni

Andrea Falco, Patrizia Bran, Richard McKenna lo trovi qui:

Bookshop Gallerie dell’Accademia; Qshop (c/o Querini Stampalia, Santa Maria Formosa); Alef (c/o Museo Ebraico, zona Ghetto); Mare di Carta (Fondamenta dei Tolentini); Studium (zona S. Marco); Toletta, Toletta Cube e Toletta Studio (zona Campo San Barnaba) e in tutte le edicole della città.

Direttore responsabile Massimo Bran

Guide spirituali

“Il più grande”, Muhammad Alì Il nostro “Ministro della Fantasia”, Fabio Marzari

Recapito redazionale

Cannaregio 563/E - 30121Venezia tel. +39 041.2377739 redazione@venezianews.it www.venezianews.it

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La redazione non è responsabile di eventuali variazioni delle programmazioni annunciate

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Conservative showcase made for the architectural model of Teatro La Fenice, by Giannantonio Selva, 1792 La Fenice Opera House Foundation - Venice From the short film “IL MODELLINO RESTAURATO” © Kinonauts / La Fenice Opera House Foundation - Venice
ottart.it
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