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ATTUALITÀ LA GUERRA MEDIATICA

GEORGE ORWELL AVEVA RAGIONE?

Di federico savorani

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Èscontato che a scrivere la Storia siano i vincitori. Sempre che ci siano già dei vincitori. Se il gioco è ancora aperto, lo spazio è di giornalisti e politici, e ognuno ha la sua teoria, la sua versione della Storia. Con la guerra in Ucraina, e il suo ruolo da protagonista in tutti i media occidentali da ormai più di un anno, abbiamo potuto assistere in diretta alla formazione di quella miscela di fatti e critiche che finisce nei libri scolastici e che cambia sempre di Paese in Paese, nonostante non ci si faccia mai poi tanto caso. Già ora in ogni Nazione, o cerchia di amici, la versione del racconto è un po' diversa, come in un bizzarro round del telefono senza fili. Questo perché anche semplicemente raccontare un avvenimento, pur cercando di mantenersi neutrali, è di per sé un modo per dare una propria opinione. Quali fatti vengono evidenziati sulle prime pagine, quali posizioni enfatizzate nei pezzi d'opinione, anche i nomi che vengono o non vengono usati. Putin non ha ancora parlato ufficialmente di guerra, se non di quella che "l'Occidente ha scatenato". Xi JinPing, col suo "piano di pace" appoggia indirettamente la Russia, non avendo le "pretese" degli ucraini tre le sue priorità. Zelensky afferma che "la difesa dell'Ucraina è la difesa della libertà".

Il globo così è nuovamente diviso in tre fazioni ben distinte: chi sostiene la democrazia e la cooperazione tra Paesi liberiprincipalmente l'Occidente e gli Stati affiliati come il Giappone -, regimi con vari gradi di autoritarismo, che si oppongono ai primi, e vogliono la cooperazione tra Paesi simili al loro – Russia, Cina, Iran & friends –, e Stati che, per mancanza di una forte leadership, di potere contrattuale o di risorse economiche, non possono schierarsi da una parte o dall'altra. Questi ultimi avranno vita sempre più difficile, con la rete di alleanze dei due schieramenti contrapposti che si sta consolidando con una velocità spaventosa negli ultimi mesi. Questi legami sono rappresentati dal rafforzamento delle assi Mosca-Teheran, Mosca-Delhi, e, soprattutto, Mosca-Pechino, che portano a un'escalation delle tensioni, per ora incanalate in Ucraina, in una guerra che per assurdo, pur essendo nata “per contrastare l’espansione della Nato ad oriente”, ha causato l’unione della Finlandia all’Alleanza Atlantica.

Questa guerra, però, a differenza di quelle mondiali, ma in continuità rispetto alla Guerra Fredda, è soprattutto una guerra mediatica: chi riesce a convincere il resto del mondo di essere "dalla parte del bene" sarà, alla fine, il vero vincitore. In questo, un Presidente ex-comico e personalità televisiva è un asset strategico incredibile, a discapito delle apparenze. Così come l'apparato propagandistico russo, che già ha influenzato le elezioni americane del 2016 – si vedano le indagini condotte in merito dal procuratore speciale Robert Mueller –, che non ha pari al mondo per influenza internazionale. Nonostante i tentativi della Russia di apparire, negli ultimi decenni, innocua soprattutto a livello commerciale, però, l'opinione pubblica occidentale sembra, al momento, essere schierata in favore dell'invaso, soprattutto grazie ad un’arma usata per la prima volta in un contesto del genere: internet.

La condivisione istantanea di news, summit e discorsi riesce a condizionare profondamente opinioni e decisioni strategiche. È per questo che i disertori delle truppe mercenarie impiegate dagli invasori sono considerati così pericolosi da loro. È per questo che le parole dei leader sono pon- derate così cautamente, e digerite così velocemente dagli opinionisti. In Interregno Mattia Salvia, filosofo trentatreenne – a quanto pare esistono anche loro –, preannuncia una nuova era d'informazione, fatta di meme, tweet e post, pochi leggeri byte ma devastanti come fulmini. In questo secolo, il veggente ha anche il dono della sintesi. E con meno attenzione per ogni titolo, bisogna essere il più concisi possibile, perdendo nuance ma guadagnando visualizzazioni, e quindi soldi o consenso. Gli ucraini hanno dalla loro le storie curiose o strappalacrime, come le decine che circolavano in questo periodo l'anno scorso: la vecchina che avvelena i soldati russi con una torta, i bambini che scappano e raccontano della loro casa bombardata, la coppia appena sposata che si arruola volontaria. È la forza dello storytelling, una delle abilità più antiche dell’umanità, utilizzata per far addormentare i bambini e per vendere prodotti, che adesso viene insegnata agli amministratori delegati come ai politici. La struttura con cui si racconta qualcosa è capace di cambiarne completamente il messaggio. Se omettessimo da Cappuccetto Rosso l’avvertimento della madre, sembrerebbe la storia di un genitore che manda la figlia nei boschi da sola. Eppure nell'Interregno c’è un’altra strategia dominante, soprattutto in politica, che vede alcuni tratti personali privilegiati rispetto ad altri. Così definiti in geopolitica, gli strong men, caratterizzati dalla loro capacità di apparire forti e responsabili, uomini come Putin, Erdogan e Trump, e donne come Marine Le Pen, hanno dalla loro un grande carisma e un'équipe di ghost-tweet-writers, e il loro successo nella catena alimentare politica, assieme a quello dei populisti di tutto il mondo, è evidente. Chi vincerà, quindi, sarà chi riuscirà a sfruttare al meglio la propria influenza.

Indipendentemente da chi sarà il vincitore, però, il mondo è ormai silenziosamente, irreparabilmente cambiato. Per parecchi anni non ritornerà il senso di solidarietà che ha caratterizzato la nascita dell'ONU, le battaglie per la pace, e quelle per il clima non saranno più al centro dell’attenzione. Ma queste informazioni vanno scavate con cura tra la montagna di storie che ci arrivano ogni giorno dal fronte, e non sono immediatamente reperibili dalla cronaca. Per questo, il ruolo di commentatori e giornalisti è, ed è stato, così fondamentale. George Orwell – giornalista, di professione – ha impiegato la sua intera carriera ad avvertire la gente del pericolo di quella che verrà coniata come post-verità: un’epoca in cui nella discussione di un fatto, la verità va messa in secondo piano. Eclatante, e riassuntivo di tutto l’articolo, è il caso del blogger pro-guerra Vladlen Tatarsky, ucciso in un attentato con un esplosivo a San Pietroburgo il 3 aprile. Nonostante l’identità della sospettata attentatrice sia nota, non è noto il mandante e nemmeno il movente, e ciò dà spazio a tutte le parti di dare la propria opinione, che però non può essere smentita o confermata. Il Cremlino ovviamente dà la colpa a Kiev, che però non ha rivendicato l’atto; il comandante della truppa mercenaria Wagner incolpa gli oligarchi russi, divisi da conflitti interni. Un uomo è stato ucciso, e questa è l’unica cosa su cui siamo d’accordo. La verità? A chi importa. Tutta questa questione, l’attentato, la guerra, e tutto il resto, non sono altro che storie che ci raccontiamo, in attesa che divengano Storia. Speriamo che il finale sia almeno un “e vissero alcuni moderatamente soddisfatti”.

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