Rivista
gratuita gratuito - numero 5 - marzo - maggio 2017
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Speciale Hiroshima
JĂŠrĂŠmie Souteyrat per Zoom Giappone
ZOOM EDITORIALE L O SGUARDO DI ERIC RECHSTEINER
Istantanea Per questo numero di primavera, vi proponiamo di partire alla scoperta di Hiroshima, dove regna un’atmosfera davvero diversa rispetto al resto dell’arcipelago. Da qualche mese ormai, la regione è al centro dell’attenzione dei media. Abbiamo voluto saperne di più e indagare su ciò che la rende così attraente agli occhi sia dei Giapponesi, sia dei turisti stranieri. A contribuire al suo successo ci sono certamente la storia, la gastronomia, i paesaggi, ma anche lo sport e le iniziative politiche nate qui. Troverete dunque un insieme di articoli, di reportage e di interviste grazie ai quali, ce lo auguriamo davvero, nascerà in voi il desiderio di partire alla volta di questa magnifica regione, ricca di sorprese.
© Eric Rechsteiner
Quartiere di Suginami, Tokyo
Quando viene evocata Hiroshima, è difficile non pensare alla bomba atomica che ha colpito la città portuale, il 6 agosto 1945. Uno dei riferimenti culturali legati a questa tragedia è il romanzo di Ibuse Masuji, La pioggia nera, poi adattato al cinema da Imamura Shohei. Ibuse ha trascorso gran parte della sua vita in questo quartiere della capitale, vicino a Ogikubo, in una piccola abitazione dove ha dato forma al suo incisivo capolavoro letterario.
LA REDAZIONE redazione@zoomgiappone.info
Reims brilla a Hiroshima
CINEMA Successo
Il museo di Belle Arti della città di Hiroshima accoglie fino al 26 marzo una mostra concepita a partire dalle collezioni del museo di Reims, in Francia. In totale, circa 70 opere, eseguite tra il XVII e il XX secolo e rappresentanti diversi stili quali il rococò, il barocco o il neoclassicismo, sono state selezionate e riunite sotto il titolo « La bella pittura francese ». Da David a Gauguin passando per Pissarro, la scelta è più che mai vasta. .
Uscito nel novembre scorso grazie a un finanziamento partecipativo, il film di animazione In un angolo di questo mondo di Katabuchi Sunao, tratto dal manga omonimo di Kono Fumiyo, ha riscosso un grande successo. La vicenda si svolge a Kure, a sud di Hiroshima, e ha conquistato sia il pubblico che la critica. Il magazine Kinema Junpo, la bibbia dei cinefili giapponesi, l’ha classificato come miglior film del 2016.
SCAMBIO yen [25 euro]. Questa cifra corrisponde all’aumento di stipendio mensile richiesto dal sindacato di Mazda, l’industria automobilistica basata a Hiroshima, alla direzione della società per il 2017. Si abbassano invece le mensilità-premio annuali : 5,4 mesi di stipendio contro 5,7 nel 2016. L’anno scorso l’azienda ha in effetti assistito a un calo dei profitti.
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popolare e critica
Jérémie Souteyrat per Zoom Giappone
Da ormai molti mesi, la città vittima dell’atomica e la sua regione suscitano un vivo interesse presso i giapponesi e presso gli stranieri.
HIROSHIMA
Ritorno vincente
Malgrado un passato tormentato, la regione è diventata un polo attrattivo grazie alle sue numerose risorse.
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l Giappone è senza dubbio uno dei Paesi al mondo che più adora attribuire dei primati. Fra le numerose classifiche stilate ogni anno, alcune sono più importanti di altre. Fra le più influenti e le più commentate figura quella pubblicata a inizio dicembre dal Nikkei MJ, giornale specializzato nel marketing, appartenente al gruppo Nikkei. Quando un elemento compare in questa classifica, senza dubbio significa che ha occupato un posto importante durante l’anno appena trascorso. Nell’elenco di fine 2016, oltre alla presenza ovvia di Your Name, il film-evento di Shinkai Makoto che ha battuto tutti i record d’incasso a livello mondiale, o ancora quella di PokemonGo, che ha riportato Nintendo sotto i riflettori, in
quinta posizione c’era Hiroshima. È davvero raro che una prefettura sia presente in questa celebre classifica, ma, a pensarci bene, questo riconoscimento è più che meritato. Hiroshima è stata al centro dell’attenzione nel 2016 per diverse ragioni, il cui punto in comune è il grande dinamismo della città. Il suo ruolo è estremamente importante nel contesto di un Giappone a due velocità, dove Tokyo occupa una posizione sempre più schiacciante rispetto al resto del paese, che tenta in qualche modo di mantenersi a galla, con fatica. In molti settori, Hiroshima ha saputo imporre il suo stile e indicare ad altre regioni una via alternativa da seguire, rispetto a quella che le autorità centrali vorrebbero imporre. Questa forma d’indipendenza si è manifestata da subito nello sport, grazie ai Carp, la squadra di baseball locale che è arrivata fino alla finale di campionato dopo venticinque anni trascorsi nell’anonimato.
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L’entusiasmo popolare suscitato da questo successo ha oltrepassato i limiti della prefettura e ha rafforzato l’immagine positiva della città agli occhi di tutta la popolazione giapponese. Purtroppo, in passato Hiroshima non ha sempre beneficiato della simpatia del resto degli abitanti dell’arcipelago. Martire della prima bomba atomica utilizzata nella storia dell’umanità, la città e i suoi abitanti sono stati per molto tempo vittime della discriminazione in ragione di un timore diffuso, legato alla contaminazione radioattiva. Malgrado questa situazione, gli abitanti non si sono mai arresi e in molti si sono impegnati sul fronte della lotta contro il nucleare. Nonostante questo pacifismo radicato non attiri l’approvazione di tutti, in particolar modo ai vertici dello Stato, i militanti hanno trovato nel 2016 un alleato importante nella figura di Barack Obama. Durante la visita in Giappone in occasione del suo ultimo
G7 da presidente degli Stati Uniti, Obama aveva deciso di recarsi nella città-martire per “riflettere su questa forza terribile esplosa in un passato non così lontano e rendere omaggio ai caduti”. La sua presenza simbolica e il suo appello per un mondo senza armi nucleari hanno mostrato l’importanza rivestita dalla lotta portata avanti ormai da decenni dagli abitanti della città. Questo spiega in parte perché la regione attiri i turisti stranieri. Su questo punto Hiroshima si distingue dal resto dell’arcipelago. Mentre la maggioranza dei viaggiatori che si recano in Giappone sono asiatici, principalmente cinesi e coreani, la regione di Hiroshima accoglie soprattutto gli occidentali. Se gli americani sono logicamente i più numerosi, subito dopo arrivano i francesi e i britannici. Se si aggiungono gli australiani, si arriva a un totale di 636.000 turisti venuti dall’Occidente nel 2015 contro 417.000 asiatici. Può sembrare solo una questione di cifre, ma questa differenza è importante perché evidenzia come l’attrattiva turistica della regione si fondi sulla sua ricchezza culturale e storica mentre la gran parte di altri poli turistici sono ritenuti importanti soprattutto per lo shopping, con tutti i limiti che questo comporta. È utile anche ricordare che nel 2016 il numero dei turisti a Hiroshima è cresciuto in media del 34% rispetto all’anno precedente, mentre l’aumento medio a livello nazionale nello stesso periodo si attestava attorno al 16%. Ecco perché la regione attira l’attenzione e si ritrova fra i “prodotti dell’anno”. A contare, tuttavia, non è solo il marketing. Esistono altri elementi grazie ai quali si può dedurre l’interesse crescente che la città suscita in molti giapponesi. Da qualche anno si constata infatti il desiderio sempre più manifesto e più pressante in molte persone di trovare un nuovo equilibrio lontano dai grandi centri urbani come Tokyo. Hiroshima è fra le città che beneficiano di questo fenomeno; l’associazione tokyoita Furusato Kaiki Shien Senta (Centro di sostegno per il ritorno verso la terra natale) ne misura gli effetti da diversi anni. Per lungo tempo ignorata o malconsiderata, la prefettura di Hiroshima ha compiuto un grande salto in avanti passando dalla diciottesima alla sesta posizione nel 2015. La progressione si spiega grazie a un cambiamento nella percezione della sua immagine. La sua dinamicità, l’ambiente accogliente, hanno suscitato in molti il desiderio di venire ad abitare sulla riva del mare Interiore e di godere di un’ottima qualità di vita. Secondo l’Hiroshima Kurashi Sapoto Senta (Centro di assistenza per la vita a Hiroshima) nato per aiutare e facilitare il percorso di chi desidera venire a vivere qui, il numero di famiglie che hanno intrapreso il trasferimento è sestuplicato nel 2015 rispetto all’anno precedente. I dati sono ancora troppo bassi perché la prefettura ritrovi un bilancio migratorio positivo, ma l’emor-
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La città colpita dalla bomba atomica conduce una battaglia ostinata contro le armi nucleari.
ragia verso l’esterno è limitata e permette a Hiroshima di ancorarsi nella prima metà della classifica annuale delle regioni, stilata secondo il loro bilancio migratorio. Il dato incoraggiante ci comunica che sono i giovani a manifestare la voglia di trasferirsi qui, per costruire il proprio avvenire. Sembra che la regione voglia continuare a incentivare questa tendenza con politiche e strategie a lungo termine. Questa determinazione è la conseguenza del suo passato tragico? Di una città che, dopo una ricostruzione riuscita, continua con caparbia, volontà e ostinazione a perseguire gli obiettivi sul disarmo? La risposta non è così ovvia, ma senza dubbio la
mentalità che regna in questa regione spinge gli abitanti a cercare con determinazione l’eccellenza in numerosi settori. Hiroshima non ha paura della concorrenza, compresa quella dei rivali più temibili. Il successo dei Carp ne è l’illustrazione più bella, soprattutto dopo il ritorno in patria del lanciatore Kuroda Hiroki, che ha abbandonato così gli Stati Uniti e la sua carriera americana. Lo sportivo ha dato l’esempio e ha dimostrato come il successo di Hiroshima fosse dovuto essenzialmente ai suoi uomini e alle sue donne, motivati da un desiderio comune, forse il più nobile, quello di vivere insieme e felici. ODAIRA NAMIHEI
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Una serena fiducia
Eletto a capo della prefettura di Hiroshima nel 2009, Yuzaki Hidehiko ha saputo imporre il suo stile.
lati più attrattivi della regione. Si ha la netta impressione, e non solo di impressione si tratta, che qui le cose si muovano sul serio.
annuale. È importantissimo poiché si tratta della prima volta che una prefettura figura in questa lista.
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Ossia… Y. H.: Posso citare il settore del turismo. Durante numerosi anni, la regione ha moltiplicato le operazioni finalizzate ad attrarre i turisti stranieri, ma con un esito piuttosto modesto. Si poteva quasi parlare francamente di fallimento, visto che tre o quattro anni prima della mia elezione, il numero dei turisti aveva addirittura cominciato a regredire. Una delle mie priorità è stata dunque quella di invertire questa tendenza. Abbiamo investito molto per migliorare la comunicazione e abbiamo fatto il possibile perché l’interesse dei media per la regione fosse più alto e più costante. In termini di cifre, siamo passati da un’esposizione mediatica valutata a circa 23,5 milioni di euro, a più di 375 milioni di euro nel corso degli ultimi sei anni. Grazie a questa presenza mediatica potenziata, la regione ha assistito al ritorno in massa dei turisti.
Parliamo di baseball: i Carp sono arrivati fino alla finale di campionato. È questa, secondo lei, una delle ragioni per cui Hiroshima suscita l’interesse dei giovani? Y. H.: È possibile. Ma credo sia necessario cercare le ragioni nella storia che ha circondato questo successo, in particolare quella del veterano Kuroda che ha deciso di lasciare il campionato professionistico americano per tornare nella “sua” città. Questa scelta ha colpito molte persone. D’altra parte, bisogna precisare alcune cose circa le caratteristiche della squadra stessa. I Carp sono in un certo senso i “Pollicino” del baseball giapponese. La squadra non ha molti mezzi e non beneficia di quegli sponsor importanti che talvolta possono investire in un club anche in condizioni di perdita. Di conseguenza, i Carp sono obbligati a mantenere una gestione sana e dei conti sempre ben bilanciati. Questo significa che non è possibile acquistare giocatori troppo costosi: la squadra punta soprattutto su giovani talenti, li forma e li rende celebri. Questo funzionamento atipico per una squadra professionistica in Giappone rappresenta un’eccezione, ma è ciò che caratterizza profondamente i Carp. Grazie a ciò, possono contare su un ampio sostegno popolare. A questo proposito, la squadra si distingue dalle altre per il gran numero di fan donne, caso unico nel paese. Più della metà degli spettatori che si recano allo stadio per assistere alle partite, sono di sesso femminile. È una cosa incredibile per i Giapponesi, abituati a vedere gli stadi riempiti soprattutto di uomini.
l governatore della prefettura di Hiroshima non manca certo di ambizione. La sua grande aspirazione? Vorrebbe cambiare lo stile di vita dei giapponesi affinché ritrovino il piacere di vivere meglio. La sua regione potrebbe essere il modello di questo cambiamento.
Perché è entrato in politica e come mai ha voluto diventare governatore di Hiroshima? Yuzaki Hidehiko: È una lunga storia, ma voglio tentare di riassumervela. Prima di prendere questa decisione, dirigevo un’impresa. Avevo l’intenzione di sfruttare la mia esperienza per il bene della mia città natale: Hiroshima. Avevo anche già lavorato per il governo. Questa doppia conoscenza tanto del settore privato che di quello pubblico mi è parsa un’ottima combinazione per aspirare a dirigere una prefettura come quella di Hiroshima. Quest’ultima aveva bisogno di ritrovare il suo dinamismo. Ecco perché ho scelto di lanciarmi nella battaglia politica e di impegnarmi per ottenere il mandato di governatore.
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Come è evoluta la situazione, dal momento in cui è stato eletto, nel 2009, ad oggi? Y. H.: Prima di tutto, penso che la percezione dell’immagine di Hiroshima sia profondamente cambiata. Credo che, non soltanto la popolazione locale, ma i giapponesi in generale considerino la nostra regione come molto più interessante e attiva rispetto al passato. La gente ha scoperto i
È per questa ragione che Hiroshima è recentemente apparsa nella classifica stilata dal Nikkei MJ? Y. H.: Esattamente. Il 2016, in termini di esposizione mediatica, è stato un anno straordinario. La visita del presidente Obama, in giugno, ha rappresentato un momento forte, così come l’ottimo risultato ottenuto dalla nostra squadra di baseball nel campionato. Tutto questo ha contribuito a far parlare della regione e ha portato il giornale a includerla nella sua prestigiosa classifica
La visita di Barack Obama a Hiroshima è stata uno degli eventi più importanti dell’anno scorso. 6 ZOOM GIAPPONE N. 5 marzo - maggio 2017
Questa squadra rappresenta, in qualche modo, lo spirito che regna nella prefettura stessa? Y. H.: Credo proprio di sì. L’equipe è stata fondata in assenza di sponsor. Si è imposta fin da subito come un club di cittadini, vicini alla popolazione. Nonostante Mazda, l’industria automobilistica locale, si sia impegnata a sostenere finanziariamente la squadra, le difficoltà economiche le hanno impedito di agire generosamente come gli sponsor delle altre squadre. I Carp hanno quindi dovuto appoggiarsi soprattutto agli abitanti della regione, e sono quest’ultimi ad aver sostenuto finanziariamente e mentalmente il club durante tutti questi anni. Il legame è molto forte. È una situazione più unica che rara, in Giappone. La squadra è inoltre l’unica nel paese ad essere presentata come “il club di Hiroshima”. In generale, tutte le formazioni
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in quale altra maniera si può constatare l’aumento di interesse per Hiroshima? Y. H.: Cominciamo ad avere numerose famiglie che si trasferiscono nella regione. Alcuni lasciano grandi metropoli come Tokyo per venire a vivere a Hiroshima. Ciò che risulta davvero interessante è che molte di queste persone non hanno nessun legame in particolare qui e decidono malgrado ciò di venire. Durante gli ultimi cinque anni, abbiamo registrato un afflusso crescente di questi nuovi abitanti. Si tratta di giovani? Y. H.: Non abbiamo statistiche che possano confermarlo con certezza, ma l’impressione è che si tratti effettivamente di giovani, venuti qui per inserirsi socialmente giocando un ruolo attivo nella vita della comunità locale. È il caso di Onomichi. Questa cittadina conta circa 100.000 abitanti e vanta una lunga storia e antiche tradizioni. Dispone di numerosi vecchi edifici che stavano per essere abbandonati a causa del loro stato di vetustà, e della mancanza di confort. Da qualche tempo, questi edifici antichi vengono via via restaurati da giovani imprenditori venuti ad abitare qui. Alcuni sono stati trasformati in negozi, altri in alloggi: interi quartieri minacciati di finire all’abbandono sono così rinati. Questo fenomeno è in aumento e permette di donare nuova vitalità a città in stato di deperimento e di abbandono. Questa “nuova linfa” va anche ad arricchire il tessuto sociale di certe isole del mare Interiore, dove la popolazione è sempre più anziana. Diversi
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Questo può favorire Hiroshima rendendola una regione più attrattiva? Y. H.: Qualche tempo fa, mi trovavo nella prefettura di Mie (tra Osaka e Nagoya). Uno dei miei collaboratori mi raccontò che, mentre stava cenando in un ristorante, una giovane donna gli chiese se per caso veniva da Hiroshima. Quando lui le rispose affermativamente, la ragazza gli disse subito che l’indomani si sarebbe recata nella città per assistere al match dei Carp allo stadio Mazda Zoom Zoom. La giovane apparteneva alle cosiddette “Carp Joshi” (le Carpette!), ossia le entusiaste tifose del Carp, presenti un po’ ovunque nel paese, non solo a Hiroshima. È qualcosa di straordinario e non posso impedirmi di pensare che questo contribuisca certamente a valorizzare l’immagine della nostra regione. È un fenomeno forte, al punto che diverse agenzie di viaggio organizzano dei soggiorni a Hiroshima riservati alle donne, per assistere alle partite e svolgere altre attività in città. Sono formule che si vendono benissimo.
Secondo il governatore, è imperativo che il Giappone faccia evolvere il proprio stile di vita.
giovani vi si trasferiscono e tentano di dare nuova vitalità alle comunità in declino. Il nostro ruolo in quanto governo locale è quello di sostenere questo genere di iniziative. Abbiamo così attuato diverse misure per favorire la tendenza. Si riferisce a politiche in ambito fiscale? Y. H.: No. Ci occupiamo piuttosto di accompagnamento e di promozione. Abbiamo organizzato un network che permette di facilitare i contatti tra le persone che desiderano trasferirsi qui e le comunità suscettibili di accoglierle. Si tratta di un lavoro essenziale perché crea le condizioni per un trasferimento permanente. Mettiamo poi l’accento sulla formazione per aiutare i nuovi arrivati a fare le scelte migliori sul loro futuro professionale. Quest’anno daremo avvio a una vasta campagna d’informazione che coprirà tutta la prefettura per sensibilizzare la popolazione circa il rilancio delle zone rurali. Cerchiamo di far conoscere le diverse iniziative portate avanti dai nuovi abitanti per mettere in circolo le informazioni. Il loro esempio e il successo del loro trasferimento suscitano così dell’interesse e spingono altri ad imitarli. Ha altri esempi da raccontarci? Y. H.: Penso alla piccola città di Joge, che si trova in mezzo al nulla! Nel passato, il centro aveva conosciuto un lungo periodo di prosperità grazie
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alla sua posizione: si trovava infatti sulla strada che collegava il porto di Onomichi alle miniere di argento situate poco lontano. La città ha beneficiato dell’attività mineraria fino all’esaurimento dell’ultimo filone. Da quel momento in poi, è entrata poco a poco in una fase di declino, caratterizzato dalla partenza di molti abitanti e dal rapido invecchiamento della popolazione che aveva deciso di restare. Oggi la situazione di Joge sta cambiando positivamente, le attività riprendono, portate avanti da giovani che sviluppano nuovi modelli economici, soprattutto nel settore del turismo. La città ha ritrovato così la sua vivacità, diversi tokyoiti mostrano dell’interesse nei suoi confronti e questo è davvero rincuorante! Questo tipo di evoluzione non può che renderla ottimista riguardo al futuro… Y. H.: Certo, ma non si può ignorare che esistono ancora numerosi problemi da affrontare. Uno dei principali riguarda il sostegno alle città più piccole e alle zone rurali. Si tratta di un elemento molto importante, di una sfida particolarmente ardua. Per molto tempo, così come è stato fatto nel resto del Giappone, si è creduto che fosse necessario dotare questi luoghi delle stesse infrastrutture delle città, ma ciò non ha impedito l’esodo verso i grandi centri urbani. Chi desiderava partire, lo faceva perché aveva l’intenzione
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Lei fa parte di queste persone? Y. H.: Non esattamente. Non posso dire di esser fatto per vivere in questo genere di territorio ma sono felice delle nostre iniziative. Detto questo, è vero che ho lasciato Tokyo per ritornare a Hiroshima, poiché amo la natura e le attività legate ad essa. È molto facile aver accesso alla natura quando si vive qui. Ad esempio, siamo solo a un’ora di macchina dalle stazioni sciistiche. E costa meno di 800 yen raggiungerle. Un tokyoita, per accedere agli stessi luoghi dovrà sborsare almeno 5000 yen di pedaggio senza contare il tempo perduto in auto. Noi abbiamo anche il mare a portata di mano, e tutto questo è formidabile. insomma, le condizioni sono ideali per attrarre il turismo. Quali sono le maggiori attrazioni nella regione di Hiroshima? Y. H.: C’è innanzitutto il mare Interiore di cui ho appena parlato, e poi abbiamo una storia molto ricca. Bisogna ricordare che Hiroshima si trovava sulla strada che portava dalla riva occidentale del paese a Kyoto. Vi transitavano tutte le persone e tutte le merci che entravano sul territorio. Questo ha senza dubbio contribuito a fornire una solida base alle diverse attività turistiche. Cerchiamo ugualmente di esplorare vie innovative per rispondere alle nuove esigenze dei viaggiatori. L’idea è quella di favorire la scoperta individuale della regione grazie al potenziamento dei mezzi di trasporto e allo sviluppo del ciclismo. Quali luoghi ama particolarmente, in questa regione? Y. H.: Questa domanda è un po’ una trappola, mica facile rispondere! Come dicevo prima, adoro lo sci. Quindi vado appena posso sulle piste della regione, sono di ottima qualità. Quando la stagione sciistica è terminata, è
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di vivere in una grande città e niente poteva frenare quest’intenzione, nemmeno la costruzione, ad esempio, di un centro culturale locale. Questa constatazione ha permesso al nostro approccio di evolversi e ci ha portati a modificare le nostre priorità. Abbiamo dunque scelto di rispondere alle esigenze di chi era interessato a vivere in un luogo ricco di storia, in un bel contesto naturale, caratterizzato da un’alta qualità di vita. Abbiamo poi deciso di partire alla ricerca di queste persone animate dal desiderio profondo di trasferirsi in zone capaci di rispondere alle loro aspettative. Siamo una sorta di agenzia matrimoniale che favorisce gli incontri di due destini: il fine ultimo è che la gente sia felice! Ma, lo ripeto, non si tratta di trasformare questi posti in luoghi simili alle città ordinarie, non è quello che le persone ricercano. Dobbiamo ridare vitalità alle zone rurali senza perdere di vista questo aspetto.
Dopo diversi anni di declino, Joge vive una seconda giovinezza grazie all’arrivo di giovani imprenditori.
davvero piacevole dedicarsi alla mountain bike. Riconosco che non è facile praticare questa attività quando si è un semplice turista di passaggio. Raccomanderei quindi di andare in un primo tempo sulla cima del monte Misen, sull’isola di Miyajima. All’alba o al tramonto, la vista è splendida. Nel 2013 abbiamo costruito un osservatorio disegnato dall’architetto Sambuichi Hiroshi, la cui struttura si integra perfettamente nel paesaggio. L’escursione vale davvero la pena. Un altro luogo impressionante è l’isola di Osaki Kamijima, e in particolare il monte Kan no mine (453 metri) e la sua bellissima vista sul mare Interiore e sulle 115 isole che lo punteggiano. È un luogo che definirei celestiale. Forse per questo il suo nome significa “la vetta di Dio”. Scendendo, si può fare una tappa nella stazione termale locale, per godere di un bagno con vista sul mare e sulle isole.
Come immagina Hiroshima tra cinque o dieci anni? Y. H.: La nostra sfida principale riguarda lo spopolamento causato dall’invecchiamento rapido della società. È un fenomeno difficile da analizzare, ma dobbiamo sforzarci di trasformare il nostro modello sociale perché le famiglie trovino un contesto migliore in cui vivere. Dobbiamo lavorare di meno, essere più produttivi per vivere più felici. Questo dovrebbe favorire la voglia di avere figli. Bisogna mettere l’accento sull’innovazione per assicurare una migliore produttività e per modernizzare l’insegnamento. Per questo ci siamo impegnati a lanciare una sorta di rivoluzione culturale, soprattutto per quanto riguarda il mondo del lavoro. Quest’ultimo assorbe troppo tempo. Se arriviamo a ridurlo, aumentando contemporaneamente la produzione, guadagneremo ore preziose per noi stessi, per essere più felici e realizzati.
in primavera, JR West lancerà il suo treno da crociera Mizukaze, con due fermate previste nella vostra prefettura. Cosa ne pensa di questa iniziativa? Y. H.: Sono favorevole perché permetterà di diversificare l’offerta turistica. D’altra parte, questo tipo di convogli ha per vocazione quella di proporre il meglio in assoluto, e questo contribuirà a valorizzare l’immagine del Giappone e della nostra regione.
La prefettura di Hiroshima vorrebbe essere in prima linea in questa rivoluzione? Y. H.: Assolutamente. Stiamo sperimentando la creazione di un nuovo stile di vita per i giapponesi. Non è semplice. C’è molto da fare, ma l’obiettivo finale è proprio quello di cambiare il nostro modo di vivere. In questo senso, certo, vorrei vedere Hiroshima come una città all’avanguardia! INTERVISTA REALIZZATA DA O. N.
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Un argomento delicato
il bombardamento atomico del 6 agosto 1945 rimane un tema molto sensibile per la cultura popolare.
© NAKAZAWA Keiji
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gni anno, la seconda settimana di agosto è l’occasione per ricordare ai giapponesi il bombardamento atomico subito da Hiroshima (il 6 agosto) e da Nagasaki (il 9 agosto). I due terribili eventi hanno condotto il Giappone a mettere termine alla guerra, il 15 agosto. Dal 1945, le due città hanno assunto un ruolo cruciale nella protezione della memoria storica legata al disastro atomico e i cittadini hanno sempre esaminato minuziosamente, talvolta criticato severamente, ogni tentativo di descriverlo, di ricordarlo, di interpretarlo o di valutarlo attraverso il prisma della cultura pop. Nell’ottobre del 2008, ad esempio, il gruppo artistico Chim↑Pom, originario di Tokyo, si è attirato i fulmini delle critiche per aver noleggiato un piccolo aereo che ha tracciato il termine “pika” nel cielo di Hiroshima. “Pika” è una parola onomatopeica volta a indicare una scarica luminosa, come un lampo, ma il significato storico è legato al flash iniziale della bomba sganciata dall’Enola Gay. Numerosi abitanti hanno immediatamente protestato contro l’iniziativa, presentata come un’operazione egocentrica che non aveva nulla a che vedere con la pace o con l’arte. Il gruppo, alla fine, è stato spinto a cancellare una mostra prevista nel calendario del Museo di Arte Contemporanea di Hiroshima. Il loro approccio artistico ludico e insolente è risultato così la vittima designata dalla posizione rigida e austera tenuta dai sopravvissuti e dai militanti anti-nucleare sull’argomento. La maniera di rappresentare queste tragedie senza precedenti ha sempre posto numerosi problemi etici e tecnici, in particolare agli artisti e ai creativi che non sono stati direttamente coinvolti negli eventi. “Sebbene nessuno di noi sappia cosa fare a proposito delle armi nucleari e del modo di convivere con esse, stiamo imparando piano piano a scrivere su questi temi”, scrisse, nel 1990, Martin Amis, romanziere e militante anti-nucleare inglese, prima di aggiungere che “la questione della decenza si presenta con una forza inaudita”. Per una ragione o per un’altra, da sempre Hiroshima ha attirato l’attenzione di scrittori, autori di manga, produttori di film di animazione, lasciando a Nagasaki solo le briciole del mercato della cultura pop. Possiamo tuttavia citare l’esempio di Natsu no zanso: Nagasaki no hachigatsu kokonoka (Nagasaki il 9 agosto, un’immagine dell’estate in differita, inedito in italiano) o del lungometraggio di animazione Nagasaki 1945 ~Angelus no Kane~ (L’angelus di Nagasaki) realizzato, nel 2005, da Mushi Production.
Gen di Hiroshima ha suscitato numerose critiche a causa dei disegni troppo realistici.
Detto questo, la prima autentica riflessione sull’apocalisse nucleare non aveva Hiroshima come soggetto. Quando Godzilla è apparso per la prima volta sugli schermi nel 1954, è stato immediatamente percepito come una metafora dell’arsenale nucleare, la sua arma principale essendo infatti il “soffio atomico” e Tokyo il suo “terreno di gioco” preferito. Il primo film della serie (nel quale un esperimento nucleare risveglia il mostro) fu probabilmente ispirato dalle disavventure dell’equipaggio del Daigo Fukuryu Maru, un peschereccio giapponese, vittima di un test americano sulla bomba a idrogeno nell’arcipelago di Bikini. Tuttavia a nessuno passò inosservato il collegamento tra la storia e la tragedia di Hiroshima, di cui erano
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ancora evidenti le cicatrici. Negli anni Cinquanta e Sessanta, quando il governo nipponico tentava di nascondere il problema degli hibakusha, (le vittime dei bombardamenti atomici), la Toho produceva sempre più film aventi come tema le mutazioni genetiche subite dall’uomo. Pensiamo ad esempio a The H-Man (1958), o ancora a Matango (1963). I ricordi dei bombardamenti atomici di Hiroshima hanno cominciato a occupare la scena mediatica tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta. Nel 1966 Ibuse Masuji pubblicò La pioggia nera (edito in Italia da Marsilio). Sebbene lo scrittore non fosse stato diretto testimone dei bombardamenti, utilizzò le memorie dei sopravvissuti per
creare un romanzo che rimane ad oggi una delle più celebri opere di fiction legate a questa tragedia. Nel 1989, il romanzo diventò un film grazie a Imamura Shohei. Fu tuttavia il lavoro ostinato di Nakazawa Keiji a rivelare al grande pubblico le orribili verità sulla distruzione di Hiroshima. Lui stesso sopravvissuto alla bomba A, fu vittima di continue discriminazioni da parte di chi era convinto cosa diffusa all’epoca - che gli hibakusha fossero portatori di malattie contagiose. Come raccontò in un’intervista nel 2007, “dovevamo tacere il fatto di essere stati esposti alle radiazioni. Sono spesso venuto a conoscenza di storie tremende, come quella della figlia di un vicino che si suicidò a causa delle discriminazioni. Anche se se ne aveva l’intenzione, non se ne poteva parlare (...) Lamentarsi non era permesso”. Quando sua madre morì, si lanciò, animato dalla collera, nella realizzazione del manga Kuroi ame ni utarete (Colpito da una pioggia nera, 1968). “Speravo che gli adolescenti lo leggessero”, dichiarò in seguito “Se lo avessero fatto, avrebbero capito.” Ma diverse riviste si rifiutarono di pubblicare il suo lavoro, giudicandolo troppo esplicito e traumatizzante. Alla fine, il fumetto fu presentato nel 1968 nel Manga Punch, una pubblicazione in realtà specializzata in manga erotici. Mentre Kuroi ame ni utarete era un’opera di finzione, Nakazawa racconta le proprie reali esperienze con Ore wa mita (Io l’ho visto), la cui storia è stata in seguito sviluppata nella sua opera maggiore: Gen di Hiroshima (pubblicato in Italia da Hikari), apparso tra il 1973 e il ’74 sotto forma di serie a puntate nel magazine Shonen Jump, la cui tiratura all’epoca raggiungeva i due milioni di copie. Dopo tutti questi anni, la storia di Gen, un bambino di nove anni che perde il padre, i fratelli e le sorelle il 6 agosto e deve battersi a fianco della madre e dell’unico fratello scampato alla strage per sopravvivere nella landa contaminata dall’esplosione, contro la fame e le discriminazioni, ha ancora il potere di traumatizzare i lettori con immagini choc di cadaveri e di miseria umana rappresentata in maniera più che realistica. Questo stile valse numerose critiche all’autore, tanto che alla fine Shonen Jump abbandonò la pubblicazione della serie. Ma il manga continuò ad essere pubblicato dal 1975 fino alla sua conclusione nel 1985 grazie a tre mensili di sinistra che offrirono a Nakazawa l’accesso a un pubblico di lettori più adulto e più colto. Nonostante questo, egli dovette attenuare leggermente il tono della narrazione. “Rileggendo il mio lavoro, fui preso dal disgusto”, raccontò più tardi. “Era così doloroso, non potevo più sopportarlo”. Gen di Hiroshima è diventata la bibbia del movimento contro le armi nucleari. La serie di dieci volumi si trova nella maggior parte delle biblioteche pubbliche (comprese quelle scolastiche), ha ispirato
© Kôno Fumiyo/Futabasha/In this corner of the World Movie Partners
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Il lungometraggio In questo angolo di mondo è tratto da un manga di Kono Fumiyo.
tre film (usciti rispettivamente nel 1976, 1977 e 1980), una serie televisiva e due cartoni animati (nel 1983 e nel 1986), contribuendo così a diffondere il messaggio pacifista del suo autore. In Giappone, i manga e i film d’animazione storici sono così importanti nella cultura nazionale, da avere la capacità di trasmettere la conoscenza della storia nei lettori in maniera molto più efficace e incisiva rispetto a qualunque saggio o manuale sul tema. Tuttavia, se personaggi come Nakazawa Keiji, col loro lavoro meticoloso, possono rivendicare il diritto di raccontare queste vicende in quanto testimoni diretti, la situazione è diversa e più problematica quando l’artista non è un sopravvissuto. Fra questi c’è Kono Fumiyo. Nata a Hiroshima nel 1968, la mangaka è particolarmente celebre per i suoi fumetti in cui i protagonisti vivono nella città o nei suoi dintorni, prima e dopo il bombardamento atomico. Le sue opere Hiroshima, nel paese dei fiori di ciliegio e In questo angolo del mondo hanno riscosso un grande successo: della prima opera è stato tratto un film, e della seconda un cartone animato. L’autrice ha ammesso di aver provato a lungo dei sentimenti contraddittori riguardo ai propri progetti e di essersi interrogata sulla maniera di interpretare questa tragedia senza precedenti: si poteva raccontare la storia pur non essendo un hibakusha? Di conseguenza, i suoi racconti sono fedeli ai fatti storici ma allo stesso tempo si tengono a debita distanza dalla tragedia stessa. In Hiroshima, nel paese dei fiori di ciliegio, ad esempio, solo tre immagini, nelle novantotto pagine del manga, rappresentano le conseguenze immediate del bombardamento. Nel corso degli anni, i creatori di film d’animazione hanno affrontato l’argomento Hiroshima sotto angoli diversi, mescolando spesso i fatti e la finzione e creando nel tempo una sorta di memoria collettiva basata sulla trasmissione intergenerazionale della storia. Il cortometraggio
Natsufuku no shojotachi (Le ragazze in tenuta estiva), ad esempio, racconta la storia vera di 220 allieve del primo anno di una scuola femminile, che non vennero evacuate mentre si trovavano nel centro della città e morirono così durante il bombardamento. Di loro ci restano i diari personali, nei quali avevano confidato le loro speranze e i loro sogni per il futuro. Un altro cortometraggio, Tsuru ni notte - Tomoko no Boken (Sulle ali di una gru, Le avventure di Tomoko), si svolge ai giorni nostri e racconta la storia di Tomoko, una studentessa che si reca al Museo e Memoriale della Pace di Hiroshima. Quando si trova di fronte al bel Monumento per la Pace dei Bambini, la statua si trasforma improvvisamente in una bimba, che racconta a Tomoko la sua storia tragica: la bomba atomica e gli effetti delle radiazioni. Più di recente Juno (Doctor Junod, 2010) ricorre al viaggio nel tempo per ritracciare le gesta del medico svizzero Junod, il primo straniero a raggiungere Hiroshima dopo la sua distruzione. Il dottor Junod portò con sé 15 tonnellate di medicinali e di materiale, prodigando cure ai sopravvissuti. Altre opere di fiction, diventate popolari, si sono focalizzate sulla storia giapponese recente e sull’eredità storica della bomba atomica. Il titolo di maggiore spicco è Akira, di Otomo Katsuhiro (pubblicato in Italia da Panini Comics), la cui vicenda comincia il 6 dicembre 1982, quando un’apparente esplosione nucleare distrugge Tokyo e annuncia l’inizio della Terza Guerra Mondiale. I bombardamenti atomici del 1945 rimangono una ferita aperta nella coscienza e nell’identità del popolo giapponese. La lotta estetica ed etica portata avanti da generazioni di artisti per appropriarsi di questo tema si inserisce nel faticoso processo di superamento di questo trauma nazionale. JEAN DEROME
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ZOOM INCHIESTA L’IMPEGNO
Non si può dimenticare
Membro fondatore del movimento SEaLDs, Hayashida Mitsuhiro si batte in nome delle vittime della bomba atomica.
P
marono dal centro città perché si recasse ad aiutare i soccorsi”. Per lungo tempo, il nonno ha rifiutato di parlare della sua terribile esperienza. Soltanto una volta, ha condiviso i suoi ricordi col nipote, ma ciò che rivelò in quella sola occasione fu sufficientemente impressionante per sconvolgere lo spirito del giovane. “Era incaricato della distribuzione del cibo. In questo modo è entrato in contatto diretto coi sopravvissuti”, racconta Hayashida. “Mi disse che fra la gente che faceva la coda, in molti non avevano più la pelle sul viso. C’era una donna che portava il suo bambino sulla schiena, senza rendersi conto che il piccolo era morto. Sono le sole cose che mi ha trasmesso direttamente. Chiaramente, voleva dimenticare quel trauma e mai mi ha raccontato ciò che ha provato in quei giorni”. Oggi Hayashida coordina l’Appello Internazionale degli Hibakusha, una petizione che chiede la messa in vigore di un trattato internazionale per vietare ed eliminare le armi nucleari (http://hibakusha-appeal.net/index.html). “Sono stati innumerevoli gli appelli lanciati dalla fine della guerra, ma, nella maggior parte dei casi, le persone che promuovevano queste iniziative non erano dagli hibakusha. I militanti erano animati da ideologie e motivazioni diverse e hanno fatto sì che il fronte anti-nucleare fosse troppo frammentato”, spiega. “Recentemente, sono stato avvicinato da militanti più anziani che volevano andare aldilà delle vecchie divisioni e iniettare sangue nuovo nelle loro iniziative, soprattutto dopo aver visto
Jérémie Souteyrat per Zoom Giappone
er troppi anni, i sopravvissuti del bombardamento atomico sono stati i soli ad impegnarsi attivamente nella campagna per l’abolizione delle armi nucleari. Poiché oggi la maggior parte di queste persone sono troppo anziane per portare avanti la loro battaglia, è urgente il bisogno di passare il testimone alla generazioni più giovani. Fra questi giovani c’è Hayashida Mitsuhiro, uno studente originario di Nagasaki, da sempre particolarmente attivo e determinato nella volontà di tessere un legame fra vecchi e giovani militanti. Attualmente Hayashida sta facendo il corso di dottorato presso l’Università Meiji Gakuin di Yokohama, e consacra le sue ricerche alle vittime delle radiazioni (hibakusha in giappponese), alla loro vita e ai loro ricordi. “Molti sopravvissuti non sono stati considerati come vittime”, constata il giovane. “Sono numerosi coloro che non hanno mai parlato della loro condizione per non essere emarginati dalla comunità. Molti altri non sono stati esposti direttamente alle radiazioni, ma si sono ammalati dopo aver ingerito verdure e altri alimenti contaminati”. Nato a Nagasaki venticinque anni fa, Hayashida è cresciuto circondato da persone che avevano assistito alla tragedia di quel fatale giorno d’agosto del 1945. Da qui la ragione per cui le questioni ri-
guardanti le armi atomiche e le vittime di quest’ultime hanno da sempre fatto parte della sua esistenza. “Gli edifici delle scuole elementari e medie che ho frequentato esistevano già nel 1945”, spiega. “Curiosamente, gli studenti giapponesi in generale non hanno molte occasioni per studiare i bombardamenti atomici (persino nei manuali scolastici di storia, gli eventi dell’agosto ’45 sono solo brevemente accennati). Diversa è la situazione a Hiroshima e a Nagasaki. Ad esempio, sebbene durante il mese d’agosto le scuole siano chiuse per le vacanze estive, il 9 del mese è una giornata in cui a Nagasaki si va a scuola regolarmente. Nel mio istituto, in particolare, abbiamo avuto delle giornate di studi dedicate alla pace. In quei momenti ho cominciato seriamente a interessarmi al tema. All’età di quattordici anni, ho cominciato a partecipare alla campagna annuale in favore dell’eliminazione delle armi nucleari. E ho continuato fino alla fine del liceo”. Fra le persone che hanno influenzato il percorso di Hayashida c’è suo nonno paterno, che ha direttamente vissuto la catastrofe atomica e le sue conseguenze. “All’epoca frequentava la scuola secondaria e, come tutti i ragazzi della sua età, doveva lavorare anche presso il cantiere navale per participare allo sforzo bellico”, ricorda. “Il 9 agosto, giorno del bombardamento di Nagasaki, si trovava in casa, nella periferia della città. È quindi davvero un caso che non sia stato esposto direttamente alle radiazioni. L’indomani, lo chia-
Hiroshima fu bersaglio del primo bombardamento atomico della storia il 6 agosto 1945 alle 8.15. Tre giorni dopo sarà il turno di Nagasaki. 12 ZOOM GIAPPONE N. 5 marzo - maggio 2017
Jérémie Souteyrat per Zoom Giappone
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Jérémie Souteyrat per Zoom Giappone
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Concepito dall’architetto Tange Kenzo, il cenotafio è stato eretto sull’asse della cupola del Memoriale della Pace.
ciò che gruppi studenteschi quali il SEALDs (Students Emergency Action for Liberal Democracy) sono stati capaci di fare nel corso degli ultimi due anni”. Secondo Hayashida, uno degli obiettivi degli hibakusha consiste nel creare un nuovo approccio più partecipativo per mobilitare le persone indipendentemente dalle loro posizioni politiche, ideologiche, religiose o anagrafiche. “Ho sempre trovato che il battersi gli uni contro gli altri fosse un grande spreco di energie”, dice. “I primi problemi sono apparsi nel 1955, durante la guerra fredda, quando un gruppo importante si è diviso fra quelli che sostenevano i test nucleari in Unione Sovietica e quelli che li disapprovavano. In seguito, ogni gruppo si è alleato a un diverso partito politico ed è finito sotto la sua influenza. Da quel momento si sono create due grandi organizzazioni anti-nucleari, che hanno purtroppo evitato accuratamente di lavorare insieme su un fronte comune”, rivela, dispiaciuto. Questa situazione ha avuto conseguenze talvolta paradossali, fino a sfiorare il comico. “Nagasaki è una piccola città e esiste soltanto una grande sala per i congressi”, dice Hayashida. “Quando i due gruppi organizzano un incontro nello stesso giorno, il primo prenota il primo piano e l’altro gruppo, il secondo. I due gruppi si assomigliano talmente negli slogan e nel materiale che la maggior parte degli invitati finisce col confondersi e finire nel posto sbagliato”, racconta divertito. “Conosco questa situazione da diversi anni e rispetto ciò che queste persone hanno fatto nel corso degli
ultimi decenni, ma continuo a non capire la loro opposizione”. Aldilà delle divisioni ideologiche, uno dei problemi più urgenti è sapere come continuare la campagna anti-armi nucleari, ora che la maggior parte degli hibakusha ha più di settant’anni e che il loro numero diminuisce costantemente. “Da molti anni, si è convinti che solo i testimoni diretti abbiano il diritto di raccontare le proprie storie”, constata Hayashida. “Questo costituisce un grosso problema, legato alla loro età. Secondo me, dovremmo seguire l’esempio di ciò che è stato fatto con l’Olocausto. I testimoni dell’orrore dei campi di sterminio hanno trasmesso i loro ricordi ai giovani che hanno imparato e interiorizzato le loro storie, facendo sì che ora questi giovani possano parlare in nome delle vittime. Questa soluzione corrisponde a ciò che tento di fare qui in Giappone, diffondendo il più possibile le storie degli hibakusha nei licei e nelle scuole”. Hayashida è stato uno dei membri fondatori del movimento SEALDs, l’organizzazione studentesca che tra il 2015 e il 2016 ha fatto campagna contro le leggi sulla difesa recentemente promulgate dal governo nipponico. Il giovane militante considera che le azioni del SEALDs abbiano molti punti in comune col movimento contro le armi nucleari. “Per me, lo scopo principale di tutte queste azioni è di ricostituire la dignità umana”, afferma. “Con SEALDs, l’intenzione è stata quella di difendere i valori democratici e le libertà individuali. Seguendo la stessa dinamica di pensiero, gli hibakusha non vogliono essere considerati semplicemente come le vittime della bomba atomica, ma come uomini
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e donne con una dignità da difendere. In fin dei conti, questi due movimenti si mobilitano in difesa dei diritti umani”. Nonostante i SEALDs si siano sciolti nell’agosto scorso, dopo la vittoria alle elezioni senatoriali del partito liberal-democratico, attualmente al potere, Hayashida pensa che il gruppo abbia comunque contribuito sia a migliorare l’atteggiamento dei giovani verso le questioni politiche e sociali, sia a rendere più ricco e fruttuoso il rapporto intergenerazionale, cambiando lo sguardo degli anziani verso le nuove generazioni. “Se devo essere onesto, tutto è cominciato in maniera molto spontanea e all’inizio non sapevamo molto bene in che direzione procedere”, riconosce. “Ma ci siamo resi rapidamente conto che anche un piccolo gruppo come SEALDs sarebbe stato capace di attirare l’attenzione di molta gente e di coinvolgere nell’azione molte persone. Abbiamo stabilito importanti relazioni coi media, con rappresentanti politici e con personaggi celebri come il musicista Sakamoto Ryuichi. L’esperienza e il percorso dei SEALDs sono forse conclusi, ma siamo ancora lontani dal raggiungimento di tutti i nostri obiettivi. Uno dei risvolti più positivi di questa avventura è stato l’aver dato una nuova dimensione all’attivismo militante di sinistra, dall’immagine ormai obsoleta e anacronistica. Abbiamo proposto nuovi modi per portare avanti le nostre idee. Questo è piaciuto molto a chi, da anni, era ormai diventato indifferente alle mobilitazioni sociali, in particolare le donne e gli studenti”. J. D.
Shinshoji Zen Museum & Gardens
All’inizio, assumere la buona posizione per meditare sembra difficile; in realtà, ci si arriva assai facilmente. Ma attenzione a non addormentarsi!
BENESSERE
Fukuyama e l’esperienza zazen
Niente di meglio per rigenerarsi che una buona pausa dedicata alla meditazione. il tempio Shinsho-ji è il luogo ideale.
I
n questi ultimi anni, un sempre maggior numero di persone ha scoperto che la piena coscienza di sé ottenuta tramite la meditazione può migliorare il quotidiano in diverse maniere, permettendo di concentrarsi meglio al lavoro e negli studi, o di guarire da un trauma. La medicina ufficiale ne riconosce la validità come mezzo efficace contro lo stress, la depressione, l’ansia e persino il dolore. Non sorprende dunque, che sempre più viaggiatori in Giappone cerchino di scoprire le radici zen della piena coscienza. Per venire incontro a questa domanda, alcuni templi buddisti aprono le porte al pubblico, offrendo ai visitatori uno scorcio del loro mondo, un tempo segreto. Nella prefettura di Fukui, lo Eihei-ji, ad esempio, dove Steve Jobs trovò la sua ispirazione, ha sviluppato il suo sito e costruito un hotel di lusso nelle vicinanze per attirare i turisti più fortunati. Lo Shunko-in a Kyoto, dove William Shatner (il Capitano Kirk di Star Trek), una volta tornato sulla terra, celebra matrimoni gay, propone ugualmente la pratica della meditazione. Un po’ più lontano, il tempio Shinsho-ji, in mezzo alle colline coperte di foreste, poco fuori Fukuyama nella
prefettura di Hiroshima, ha cambiato nome e si è trasformato in “Museo e giardino zen di Shinshôji”. Il suo obiettivo è quello di rendere l’universo dello Zen “pienamente accessibile al pubblico per la prima volta, attraverso i cinque sensi”. Le esperienze zen proposte ai visitatori dello Shinshoji coprono tutti gli aspetti della vita di un apprendista monaco, alimentazione compresa. Si mangiano così degli udon accompagnati da cinque piatti (un festino servito ai monaci nei giorni shijukunichi, che finiscono per quattro o per nove). Si può inoltre avere accesso a un vasto bacino termale per pulire lo spirito e il corpo e si può godere dell’immenso giardino di contemplazione e del museo di arte zen. Quest’ultimo dispone di una bella collezione permanente di opere firmate Hakuin. Questo monaco del XVIII secolo si è reso celebre per essersi chiesto “qual è il suono di una mano che applaude?”, uno dei più famosi rompicapi zen (koan), mirati a scalfire il nostro modo di pensare dettato dalla razionalità, per raggiungere un’illuminazione improvvisa e intuitiva. Il Shinsho-ji permette soprattutto di praticare uno zazen (meditazione seduta) autentico, capace di trasmettere il piacere ultimo dello zen. A partire dallo Shodo (sala di pino), il centro amministrativo e informativo del tempio, una guida vi conduce attraverso il magnifico giardino dello spirito contemplativo, dove le carpe koi nuotano in un lago la cui forma ricorda il carattere cinese che
definisce lo spirito. Il lago è circondato da un lato da aceri, dall’altro da ciliegi. Attraversando il grazioso ponte in legno, si arriva al Centro Internazionale di pratica zen, dove un monaco, dal capo rasato e vestito di una tunica blu Hiroshige, aspetta gli allievi. Dopo aver tolto scarpe e calze per infilare i sandali di legno, si è invitati a chinarsi e a entrare nella sala, unendo le mani in segno di gratitudine. All’interno dell’ingresso in legno scuro, si notano diverse basse piattaforme coperte di tatami. Su ognuno di quest’ultimi, degli spessi futon sono stati piegati in tre, in maniera che la parte posteriore sia più alta rispetto a quella davanti. Il religioso mostra come ci si deve posizionare. Tutto sembra un po’ complicato, ma la sistemazione del materasso lo rende non soltanto più comodo di quanto ci si aspetti, ma anche confortevole per mantenere la schiena eretta in modo facile e istintivo. “Tenete gli occhi semi-aperti per non addormen-
INFORMAZIONI PRATICHE Per arrivare, basta prendere lo shinkansen in partenza da Hiroshima, da Osaka o da Tokyo fino alla stazione di Fukuyama. Prendere poi un autobus della compagnia Tomotetsu in direzione di Miroku no sato. Il tempio si trova a una quindicina di minuti della fermata Tenjin yama. 91,Kamisanna, Numakuma-cho, Fukuyama-shi, Hiroshima-ken 720-0401 Tel. 084-988-1111
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La porta della torre della campana (shoro-mon) rappresenta già un richiamo alla pace interiore.
Shinshoji Zen Museum & Gardens
tarvi”, avverte il monaco. “Fissate il vostro sguardo in un punto a circa un metro e mezzo davanti a voi. Se state per assopirvi, e desiderate che vi svegli con il keisaku, unite le vostre mani e portatele al petto”, aggiunge. Il keisaku è un pezzo di legno dall’aspetto per nulla rassicurante, piatto come una pagaia da canotto. “Non consideratela come una punizione”, dice il monaco, tentando di placare l’inquietudine. “Si usa semplicemente per aiutarvi a rimanere concentrati”. Accende quindi un bastone d’incenso e fa tintinnare quattro volte una campanella per segnare l’inizio della sessione di meditazione. Non rimane che concentrarsi sulla propria respirazione, com’è stato spiegato all’inizio. Il silenzio invade la sala, spezzato solo ogni tanto dal canto degli uccelli che volteggiano fra gli alberi all’esterno. In questa calma, si finisce per prendere coscienza di un mondo di sensazioni: la brezza delle montagne che soffia attraverso le finestre aperte e che carezza l’epidermide, il profumo del legno e dell’incenso, il rombo ovattato di un aereo lontano. Con gli occhi semi-chiusi, si scorge il monaco camminare con una lentezza estrema, alzando un piede e poi attendendo qualche secondo prima di posarlo e di sollevare l’altro, mentre tiene tra le mani il suo keisaku. I primi quindici minuti trascorrono senza che nessuno avverta il bisogno di richiedere un risveglio. In seguito, quando si comincia a provare una sorta di insofferenza, il monaco batte sulla campana e annuncia che è tempo per una breve pausa. “Cambiate posizione se le vostre gambe sono irrigidite”, consiglia. Cinque minuti dopo, fa tintinnare nuovamente la campanella dando così inizio alla seconda sessione. Il suono della campana risuona nel silenzio come le piccole onde sulla superficie dell’acqua in uno stagno. Questa volta, una giovane donna coraggiosa presenta le sue mani in segno di supplica. Dalla fessura dei nostri occhi semi-chiusi si vede il religioso avvicinarsi lentamente alla ragazza. Si ferma davanti a lei. Si salutano. Le tiene il keisaku davanti orizzontalmente, come se lo mostrasse per un’ispezione. La donna si inclina profondamente e il monaco preme dolcemente la sua schiena verso il basso fino a portare il dorso ad assumere una posizione parallela al suolo. Tutti hanno smesso di meditare, incapaci di resistere alla curiosità di sapere cosa riservi lo svolgimento del rituale. Clac ! Clac ! Clac ! Clac ! Il monaco colpisce la schiena della donna con quattro gesti precisi, due per ogni lato della colonna vertebrale, suscitando negli altri allievi una reazione di compassione. Malgrado l’apparenza brutale del trattamento, nessuno ne è spaventato, anzi gli altri membri del gruppo portano uno dopo l’altro le mani al petto per provare a loro volta la sensazione di risveglio provocata dal keisaku. Nessuno ha terminato la sessione senza averla provata. In un certo senso,
Steve John Powell per Zoom Giappone
ZOOM INCHIESTA
Dopo la meditazione, si può godere pienamente del meraviglioso giardino.
l’esperienza non sarebbe così soddisfacente senza aver sperimentato questo rito. Sarebbe un po’ come recarsi in un onsen senza immergersi nell’acqua. Se, sul momento, i colpi provocano una sorta di pizzicore, di lì a poco si avverte un effetto rinvigorente, paragonabile a un buon massaggio. La seconda sessione dura all’incirca venticinque minuti, un tempo sufficiente perché lo spirito si svuoti dei suoi pesi inutili e perché ci si concentri sull’ispirazione e sull’espirazione a livello del petto, per ogni movimento respiratorio. Si comincia quindi a visualizzare l’istante presente, non interrotto dal pensiero. La campanella risuona. Segna la fine della sessione. Il messaggio finale del monaco è semplice: “Ogni giorno, nel mezzo del vostro frenetico ritmo quotidiano, trovate un po’ di tempo da consacrare a voi stessi. Anche solo cinque minuti, anche solo un mi-
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nuto. Trovate del tempo per voi stessi”, conclude. Chiude poi gli scuri. I partecipanti si inchinano uscendo dalla sala e vanno a calzarsi. Tutto è terminato. Uscendo, si ha l’impressione di essere sospesi in aria, sul giardino, illuminati dal sole del pomeriggio. Si vive uno stato di rara esaltazione, ci si sente vivi e vigili. Il monaco ha ragione. Quante volte prendiamo il tempo di star seduti in silenzio senza verificare la posta elettronica e senza preoccuparci di tutto ciò che dobbiamo fare? Senza muovere un muscolo? Da adesso al 2040, circa 27000 templi in Giappone dovranno chiudere poiché l’esodo verso le grandi città svuota i santuari di campagna dei loro fedeli. Speriamo che iniziative quali quella presa dal Shinsho-ji aiutino non soltanto a mantenere molti templi aperti, ma anche a permettere a un pubblico più vasto di apprezzare i vantaggi dello zazen. STEVE JOHN POWELL
ZOOM CULTURA MOSTRA
Eterne stagioni
POESIA Cinquanta
foglie
Nonostante le celebrazioni del 150° Anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia avessero luogo l’anno scorso, gli eventi ad essa legati continuano anche quest’anno. Fino al 9 aprile, ad esempio, il Palazzo del Monferrato di Alessandria ospita Eterne stagioni, una mostra che stabilisce un inusuale dialogo e confronto tra sei byobu (paraventi) giapponesi del XVI-XX secolo e la sensibilità delle ricerche visive di artisti contemporanei giapponesi, italiani ed europei. Ingresso libero. Palazzo Monferrato, via S.Lorenzo 21, Alessandria. Mar-ven 16:00-19:00; sab-dom 10:00-13:00/16:00-19:00
A febbraio è uscita per Moretti e Vitali l’antologia poetica Cinquanta foglie. Tanka giapponesi e italiani in dialogo. Il tanka è una forma lirica molto antica, un tempo usata come veicolo di messaggi amorosi o di scambi di pensieri tra amici. Il saggista e scrittore Paolo Lagazzi ha scelto venticinque tanka giapponesi recenti e li ha proposti in traduzione italiana, uno per ciascuno, a venticinque poeti italiani invitandoli a rispondere con un loro tanka. Questo libro, arricchito da opere grafiche di Satoshi Hirose e Daniela Tomerini, ci ricorda che anche tra culture profondamente diverse è sempre possibile il confronto pacifico, il dialogo, la comprensione reciproca. La libertà intima della poesia è la via più vera per ritrovare ciò che unisce gli uomini, ciò che li fa sentire, anche nei momenti più oscuri della storia, partecipi della stessa magia, dello stesso mistero del mondo. Cinquanta foglie, a cura di Paolo Lagazzi, Moretti e Vitali, 96 pp., 12 euro.
La colorata vita alimentare dei giapponesi
MOSTRA
Fino al 19 aprile l’Istituto Giapponese di Cultura di Roma dedica una mostra alla colorata vita alimentare del longevo popolo giapponese, in particolare al Washoku, la dieta tradizionale dei giapponesi che nel 2013 è stata dichiarata Patrimonio Culturale Immateriale dell’umanità Unesco. I giapponesi hanno sviluppato una cultura alimentare ricca di varianti regionali e stagionali. Le sei sezioni del percorso espositivo presentano video, prodotti, riproduzioni di piatti, stampe nishiki-e sul tema, gadget e utensili di uso quotidiano, accanto a pannelli e oggettistica provenienti dal Padiglione Giappone presso EXPO MILANO 2015. Istituto Giapponese di Cultura, v. Gramsci 74, Roma. Lun-ven 9.00-12.30/13.30-18.30, mercoledì fino alle 17.30, sabato 9.30-13.00.
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Laura Liverani
ZOOM CULTURA
Kamuy Mintara, Prefettura di Chiba, Giappone 2012. L'anziano Ainu Haruzo Urakawa ((ああ)) vive in una cise, un'abitazione tradizionale che ha costruito da sé nelle montagne di Chiba. Qui vive secondo l'ainu puri, la filosofia pratica di vita quotidiana in armonia con la natura.
AINU
Fra tradizione e attivismo
Laura Liverani esplora attraverso la fotografia l’identità ainu nel Giappone contemporaneo.
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li Ainu, il popolo indigeno del nord del Giappone dalle origini ancora dibattute, sono conosciuti dai più per gli antichi rituali pittoreschi, dal sacrificio dell’orso, alle labbra tatuate delle donne. Per anni vittime della politica di assimilazione linguistica e culturale del governo giapponese, nel
2008 sono stati ufficialmente riconosciuti come una popolazione indigena del Giappone. Negli ultimi quattro anni la fotografa e docente universitaria Laura Liverani ha sviluppato un progetto di documentazione della cultura e dello stile di vita di una comunità Ainu dell’Hokkaido, interrogandosi sul senso di identità nativa nella società giapponese contemporanea. Attraverso la pratica del ritratto fotografico, l’artista ha esplorato il senso di appartenenza degli Ainu nel loro doppio percorso di preservazione e rein-
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venzione della propria cultura e nella rivendicazione dei propri diritti. Dal 3 al 18 marzo l’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo ha allestito una mostra fotografica dedicata al progetto di Liverani, dal titolo “Ainu Nenoan Ainu”, che nel 2015 ha vinto il premio Voglino come miglior portfolio. Le persone ritratte da Liverani sono nate Ainu o lo sono diventate per scelta, venendo adottate dal villaggio e abbracciandone le tradizioni. Zoom Giappone ha incontrato la fotografa in
ZOOM CULTURA occasione della mostra.
La mostra organizzata dall’istituto di Cultura è dedicata al progetto ainu Nenoan ainu al quale stai lavorando dal 2012. Di cosa si tratta? L. L.: Quando sono venuta in Giappone nel 2009 ho letto su una rivista locale un servizio dedicato ad alcuni gruppi Ainu impegnati in diverse forme di attivismo. C’era ad esempio una band che si chiamava Ainu Rebels (ormai sciolta) che proponeva nuovi contenuti musicali nel processo generale di rivitalizzazione della cultura. Fino ad allora la mia conoscenza della cultura Ainu si era fermata ai libri di Fosco Maraini, ma nel 2009 ho avuto l’occasione di conoscere questi gruppi di giovani basati a Tokyo e da lì è nata l’idea di un progetto fotografico. All’inizio, per motivi logistici, ha stentato a decollare. Poi nel 2012 ho incontrato due persone (l’islandese Valy Thorsteindottir e il giapponese Neo Sora) e insieme, nel 2014, abbiamo formato una sorta di punk band del filmmaking (nel senso che non avevamo nessuna esperienza precedente), e abbiamo cominciato a raccogliere storie e a fare interviste, sviluppando un progetto di video-documentario che ci desse la possibilità di approfondire ulteriormente questi temi.
Laura Liverani
Come sei capitata in Giappone? Laura Liverani: Circa dieci anni fa andavo spesso in Cina per fare dei servici fotografici editoriali. Nel 2007 mi trovavo a Shanghai e ho pensato di fare visita a tutti gli amici che avevo sparsi per il Giappone, dall’Hokkaido fino giù a Fukuoka. Quella è stata la mia prima visita. Da allora quasi ogni anno torno per almeno tre mesi. Ogni volta mi dico che voglio smettere per dedicarmi ad altri paesi e invece c’è sempre qualcosa che mi fa tornare.
Una moderna cise (abitazione tradizionale in paglia) presso il Sapporo Pirka Kotan, centro di informazioni e museo etnografico sugli Ainu
Si tratta quindi di un posto piuttosto isolato. L. L.: In effetti sembra un po’ uno di quei paesi americani di frontiera in cui tutti si conoscono
Laura Liverani
Quando siete stati per la prima volta in Hokkaido? L. L.: Nel 2014 siamo stati a Nibutani (un piccolo villaggio di circa 400 abitanti nel sud dell’Hokkaido, a circa un paio d’ora di macchina da Sapporo) per un primo sopralluogo di una settimana. Quello è stato anche il punto di svolta del progetto, perché ci siamo veramente trovati a contatto con una realtà diversa: non più l’ambiente dispersivo di Tokyo ma un villaggio abitato per la maggior parte dagli Ainu nel quale l’eredità culturale nativa aveva plasmato tutto il paese, comprese le famiglie che non erano di origine Ainu e i cui figli imparavano la loro lingua e le loro tradizioni.
Shiraoi, Hokkaido, 2013. Una suonatrice di tonkori si esibisce al Museo Ainu di Poroto Kotan marzo - maggio 2017 N. 5 ZOOM GIAPPONE 19
ZOOM CULTURA
avrai incontrato molte persone interessanti. L. L.: C’è ad esempio una sciamana, la signora Ashirirera (“Nuovo Vento” in Ainu), che ha fondato una comune nella quale si pratica uno stile di vita il più fedele possibile alla tradizione Ainu (ad esempio praticano la raccolta delle erbe selvatiche di montagna). Questa signora non solo si occupa di attivismo ma negli anni ha adottato più di 50 bambini. Chiunque voglia far parte di questa comunità (anche solo temporaneamente, come nel nostro caso) viene in un certo senso “adottato”. Quindi esiste questa grande “famiglia” molto variegata che vive sotto lo stesso tetto e i cui membri contribuiscono alla vita comunitaria secondo la tradizione Ainu.
Laura Liverani
fra di loro e tu ti senti veramente un estraneo, tanto è vero che durante il nostro primo soggiorno ci ha ricordato Twin Peaks! C’era solo un drivein caffè, il ristorante Lunch Bee House che spesso era chiuso e una rider house ovvero uno spazio gratuito per i motociclisti che visitavano la zona. Anni fa un turista di Osaka che viaggiava in moto si è fermato in questo posto, ha conosciuto la figlia della signora che gestiva la rider house e ha messo radici a Nibutani diventando uno dei maggiori esperti della lingua Ainu. Durante i miei soggiorni ho sentito molte di queste storie affascinanti.
Shiraoi, Hokkaido, 2013. Un totem, decorato coi motivi animali tipicamente apprezzati dai turisti, di fronte al Shiraoi Porotokan Ainu Museum.
Quindi Nibutani sembra essere una piccola oasi di pace e armonia. L. L.: In realtà questo è solo uno degli aspetti del luogo. Dall’altro lato la comunità locale non è così unita come potrebbe sembrare. Noi, in quanto estranei, abbiamo avuto il privilegio di apprezzare la compagnia di tutti senza distinzioni. Esistono tuttavia diversi contrasti. Negli anni ’90, per esempio, la costruzione della diga ha spaccato la comunità fra coloro che si opponevano alla modifica di un’area naturale considerata sacra e chi invece vedeva nella diga una fonte di lavoro. Poi c’è il discorso del turismo, che da una parte è una fonte di guadagno ma dall’altra è visto come una svalutazione commerciale della cultura locale. Ad esempio al Shiraoi Porotokan
Laura Liverani
Com’è il rapporto fra gli ainu e gli altri giapponesi? L. L.: La popolazione di Nibutani è per il 70% di etnia Ainu. Gli altri sono giapponesi che sono stati assimilati nel villaggio e ne hanno abbracciato i valori e le tradizioni. C’è per esempio il caso affascinante di una giovane coppia che negli anni ’70, seguendo uno spirito un po’ hippy, si è stabilita a Nibutani. Sono diventati artigiani Ainu. Hanno un negozio nel paese e organizzano dei workshop in tutto il Giappone insegnando l’arte Ainu dell’intaglio.
Nibutani, Hokkaido, 2014. Maya in divisa scolastica nella bottega di tessitura tradizionale della nonna.
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ZOOM CULTURA Ainu Museum si può ammirare un totem con dei motivi figurativi Ainu. Il problema è che questo popolo non ha mai praticato il totemismo. Si tratta di un ibrido creato per esigenze di mercato.
delle divinità e ogni volta che si raccoglie una pianta o si pesca un pesce, li si ringrazia per il sostentamento che ci forniscono. a che punto sono i due progetti? L. L.: Quello fotografico è ormai concluso e la mostra all’Istituto di Tokyo rappresenta un po’ un modo per tirare le fila del progetto. Per il documentario, invece, siamo arrivati alla fase di montaggio e di raccolta dei fondi. Ci vorrà ancora un po’ di tempo. INTERVISTA REALIZZATA DA JEAN DEROME
Laura Liverani
in che modo si manifesta l’attivismo che hai citato all’inizio? L L.: L’attivismo politico, come possiamo concepirlo noi, è piuttosto raro. Si tratta soprattutto di una serie di attività e progetti tesi a difendere la cultura Ainu dall’estinzione totale. La lingua
Ainu, ad esempio, è ormai una lingua morta, come il latino, anche perché nel corso dell’Ottocento il governo giapponese l’ha bandita, così come molte usanze e tradizioni locali. Tuttavia c’è chi l’ha imparata (ascoltando delle registrazioni realizzate negli anni ’50) e ancora oggi la insegna ai bambini. La gente del luogo, pur parlando giapponese, usa regolarmente parole ed espressioni Ainu, come i saluti. C’è poi l’aspetto spirituale di questa cultura, che si manifesta particolarmente nel rispetto per il mondo naturale circostante. Tutte le piante e gli animali sono considerati
Biratori, Hokkaido, 2015. 'Biratoranger', impiegato di un'amministrazione locale, partecipa alla riforestazione della sacra terra degli Ainu in costume da supereroe. marzo - maggio 2017 N. 5 ZOOM GIAPPONE 21
ZOOM CUCINA SCOPERTA
Ce n’è per tutti i gusti
La regione di Hiroshima si distingue per la sua ricchezza gastronomica, suscettibile di piacere a tutti.
C
Jérémie Souteyrat per Zoom Giappone
ome la maggior parte delle regioni giapponesi, la prefettura di Hiroshima dispone di una ricchezza gastronomica che non lascerà indifferente nessun gourmet. Ce n’è per tutti i gusti e il piatto che meglio caratterizza e rappresenta questa cucina è l’okonomiyaki. Letteralmente, questo termine significa “tutto ciò che amate alla griglia”. In altre parole, nessuno può davvero detestare l’okonomiyaki poiché è fatto per contenere i vostri ingredienti preferiti. La base è semplice. Si tratta di una sorta di pasta per crêpes che viene spalmata su una grande piastra riscaldata. Si aggiungono subito dopo gli ingredienti scelti dal cliente, che saranno
poi cotti per qualche minuto sotto lo sguardo attento dello chef. Apparentemente sembra un’operazione molto semplice, al punto che certi ristoranti propongono ai clienti di preparare il loro okonomiyaki in prima persona, installando la piastra direttamente sui tavoli. È un piacevole momento di condivisione, ma non è sicuro che gli apprendisti cuochi sappiano raggiungere la maestria di certi specialisti in grado di equilibrare perfettamente la temperatura di cottura per ogni alimento impiegato. Si raccomanda quindi di prendere posto al bancone per osservare con quale rigore lo chef prepara l’okonomiyaki che state per gustare. Per capire meglio perché questo piatto occupi un posto così importante nell’universo gastronomico di Hiroshima, bisogna risalire ancora una volta al periodo successivo alla Seconda
La realizzazione dell’okonomiyaki può sembrare facile ma necessita di diversi anni di esperienza.
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Guerra Mondiale. Prima del conflitto, le crêpes rappresentavano uno spuntino diffuso in città, soprattutto destinato ai più piccoli. Dopo la capitolazione del paese, un buon numero di madri preoccupate delle loro sorti economiche hanno l’idea di riprendere il commercio di queste crêpes, aggiungendo alla loro preparazione abituale gli ingredienti che trovavano di volta in volta. Dalle ostriche, altra specialità locale, agli spaghetti soba, ai calamari, questi nuovi ingredienti permettono di costituire un piatto nutriente, il cui gusto varia ogni volta in funzione del contenuto, il tutto per un prezzo modesto. Ciò contribuisce a renderlo popolare presso i locali. La fama del piatto ha poi un nuovo slancio quando l’impresa Otafuku promuove sul mercato una salsa speciale per l’okonomiyaki, studiata per enfatizzarne il sapore. Nel 1952,
Jérémie Souteyrat per Zoom Giappone
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Jérémie Souteyrat per Zoom Giappone
I saké della distilleria Kamotsuru sono stati premiati più volte.
Dal 60 al 70% delle ostriche giapponesi è prodotto qui.
mentre il paese sta uscendo dal periodo dell’occupazione americana, l’impresa lancia la formula perfetta di questa salsa: sufficientemente densa per non “annegare” l’okonomiyaki e saporita senza eccessi per rendere più appetitoso il tutto. L’equilibrio si avvicina talmente alla perfezione che gli chef non esitano ad irrigare le loro preparazioni con questa salsa. Il successo è dietro l’angolo per Otafuku. Oggi l’azienda produce ogni giorno 250.000 bottiglie di salsa. Dietro questa ricetta popolare esiste dunque un discorso economico importante. D’altra parte, l’impresa non ha mai cessato di promuovere questo piatto originario di Hiroshima. Nel 2008, ha addirittura promosso l’apertura del Museo dell’okonomiyaki (7-4-5 Shoko Center, Nishi-ku, Hiroshima 7330833, 1000 yen), concepito dall’architetto Sambuichi Hiroshi. Questi ha conferito alla struttura una forma ovale che rievoca la cupola del Memoriale della Pace, edificio simbolo della città martire. Oltre a conoscere la storia di questo piatto, si
può imparare a cucinarlo in loco, grazie a corsi di iniziazione che si raccomanda di prenotare con anticipo. Dopo la visita, viene naturale lasciarsi tentare da un giretto al ristorante per gustare una di queste specialità, preparata a regola d’arte da uno chef professionista. Ogni ristorante specializzato in okonomiyaki propone variazioni e atmosfere diverse. Non bisogna dunque credere che l’okonomiyaki sia semplicemente una volgare crêpe sormontata da un po’ di cavolo, o da noodles saltati e insaporiti da una salsa dal colore bruno. La gastronomia di Hiroshima propone poi altre delizie oltre a questo piatto che ha conquistato il resto dell’arcipelago. Uno dei riferimenti gastronomici locali è l’ostrica. Se ne possono trovare in altre regioni come il Tohoku, a nord-est dell’arcipelago, ma le ostriche di Hiroshima sono le più rinomate. Le si prepara in diversi modi, per accontentare tutti i palati, a patto che si apprezzi questo frutto di mare. Sull’isola di Miyajima, gemellata con Mont Saint-Michel in Francia, o le si griglia, o le si gusta fresche, con un filo d’aceto. In città, diversi ristoranti propongono il kaki-no-dotenabe, uno stufato d’ostriche al miso, molto gustoso. I ristoranti specializzati in ostriche sono davvero numerosi, ma se è necessario consigliarne uno in particolare, il Toyomarusuisan (Man reed building 2F, 7-24, Hondori, Nakaku, Hiroshima, 730-0035, aperto tutti i giorni a partire dalle16) figurerebbe in testa ad ogni classifica. Entrando, ci si immerge in un’autentica atmosfera da izakaya, davvero piacevole. Lo chef ha un talento particolare nell’esaltare il sapore delle ostriche. Dal kaki nabe (bollito di ostriche) al kaki to shiro hamaguri no gangan mushi (stufato di ostriche e vongole al saké) passando per il più classico kaki furai (ostriche impanate), ogni piatto, preparato con grande cura, è un’ode a questo prodotto che rappresenta una delle ricchezze della città portuale. La prossimità del mare Interiore spiega come mai i prodotti ittici occupino uno spazio centrale nell’alimentazione locale. A Mihara, porto
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situato fra Hiroshima e Onomichi, è il polipo, (tako, in giapponese) ad essere protagonista in tavola. A una trentina di minuti in treno da Hiroshima, sarebbe sciocco non fare un giro qui per gustare questa delizia: si dice abbia una consistenza unica. Persino il viaggiatore finito in questa località per caso, capirà molto presto che il polipo è il simbolo di Mihara. Statue, bandiere e numerose decorazioni lo ribadiscono, e sono visibili appena si scende dal treno. I periodi migliori per gustare questa cucina vanno da agosto a settembre e da novembre a marzo. Si può certamente gustare il polipo in maniera classica, sotto forma di sashimi o fritto in tempura, ma Mihara si distingue per certe preparazioni originali che valgono da sole la visita. Per cominciare, c’è il famoso tako pie (torta farcita al polpo) e il takosen (biscotto di riso al polpo), fabbricato e commercializzato dalla boutique Ebisuya (1-6-2, Shiromachi, Mihara 7230014, dalle 8 alle 19.30), situata a un centinaio di metri dalla stazione. Queste due prelibatezze costituiscono un’eccellente idea-regalo da portare in Europa e sono certamente più originali dei kit-cat al tè verde che ormai ogni turista che si rispetti mette in valigia durante il suo soggiorno in Giappone. Ma le specialità di Hiroshima non sono sempre trasportabili. È il caso del ramen di Onomichi. La città, che il cineasta Ozu Yasujiro ha reso celebre grazie al film Viaggio a Tokyo (Tokyo Monogatari, 1953), deve la sua notorietà anche a questo piatto. Sono rare le città giapponesi il cui nome è associato a un piatto di ramen. Se Onomichi ci è riuscita è grazie alla pasta di pesce e alle gocce di lardo fuso che appaiono sulla superficie del brodo servito col ramen. Uno dei luoghi più rinomati per gustarlo è Shukaen (4-12 Toyohi Motomachi, Onomichi 7220034, dalle 11 alle 19, chiuso il giovedì e il terzo mercoledì del mese). Bisogna far prova di pazienza per gustare il ramen di Shu-san, come gli autoctoni hanno affettuosamente soprannominato questo ristorante, dove spesso e volentieri una lunga
Odaira Namihei
ZOOM CUCINA
Non si può partire da Onomichi senza aver gustato il suo ramen.
fila di clienti in attesa si forma davanti all’entrata. I più impazienti o i più affamati troveranno in città altri ristoranti altrettanto eccellenti ma meno intrisi di storia; Shu-san, celebra quest’anno ben settant’anni di esistenza. Altro prodotto locale che affonda le radici lontano nel tempo è il saké. Hiroshima si è imposta come uno dei tre luoghi di riferimento per la preparazione del saké in Giappone, nonostante la regione non possedesse in verità le migliori caratteristiche per ottenerne l’eccellenza. In particolare, la sua acqua, elemento fondamentale nell’elaborazione del saké, è sempre stata troppo dolce. Grazie tuttavia ai lavori di ricerca intrapresi da Miura Senzaburo, alla fine del XIXesimo secolo, fu trovata una soluzione e la sua tecnica di fermentazione in acqua dolce permise a Hiroshima di diventare un importante sito di produzione. Bisogna recarsi a Saijo, a est
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di Hiroshima, per rendersi conto dell’importanza del saké in questa regione. Il festival che si svolge qui ogni anno in ottobre ne è la dimostrazione. È il solo posto in tutto il paese dove la “bevanda degli dei” è onorata in questo modo. Fra gli otto siti di produzione in loco, ben sette si trovano nella stessa via, la Sakagura-dori. Si possono visitare e si può partecipare a una degustazione. La distilleria più impressionante è la Kamotsuru (4-31 Saijohonmachi HigashiHiroshima 739-0011), fondata nel 1918. Oltre alla sua magnifica architettura, e all’accoglienza calorosa riservata agli ospiti, il visitatore ha la possibilità di degustare diversi saké distillati e altri prodotti, spesso premiati nei grandi concorsi nazionali. Anche questo costituisce un meraviglioso ricordo da portare con sé in valigia. Perché privarsene? ODAIRA NAMIHEI
ZOOM CUCINA LA RICETTA DI HARUYO Hiroshimafu okonomiyaki (Okonomiyaki secondo la ricetta di Hiroshima)
INGREDIENTI (per 1 persona) 45 g di farina 90 ml d’acqua 5 g di bonito disidratato in polvere 150 g di cavolo tagliuzzato 100 g di germogli di soja 20 g di scaglie di tempura 50 g di carne di maiale a pezzettini 100 g di noodles 1 uovo
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Per i condimenti: Salsa okonomiyaki Salsa maionese Alga in polvere
PREPARAZIONE
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1 - Mescolare accuratamente acqua e farina 2 - Su una piastra molto calda e ben oliata, stendere l’impasto (70 grammi circa), poi aggiungere il bonito in polvere 3 - Disporre il cavolo tagliuzzato e i germogli di soja 4 - Aggiungere la tempura in scaglie 5 - Incorporare per ultima la carne di maiale 6 - Girare 7 - Far saltare i noodles e condirli con la salsa
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8 - Posare la crêpe sui noodles saltati e lasciar cuocere per circa cinque minuti 9 - Cuocere un uovo e stenderlo sull’insieme 10 - Girare un’ultima volta 11 - Condire con le salse e l’alga in polvere. Servire ben caldo.
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Angeles Marin Cabello per Zoom Giappone
Frutto della fantasia sfrenata di un ex uomo d’affari, il Kosanji è un luogo unico nel suo genere.
KOSANJI
Un briciolo di pazzia
L’amore filiale può condurre all’eccesso. Questo complesso architettonico ne è la prova.
O
ssessionato dall’idea di trovare un bel regalo per la festa della Mamma, Kanemoto Kozo si chiese se dedicarle un tempio fosse una buona idea…Quando sua madre morì, nel 1934, il ricco uomo d’affari originario di Osaka abbandonò la sua attività, si lasciò crescere i capelli e diventò un monaco buddista prendendo il nome di Kosanji Koso. Due anni più tardi, fondò un tempio in onore della madre e consacrò i trent’anni successivi alla sua costruzione.
Il frutto del suo lavoro si trova sulla minuscola isola di Ikuchijima, a diciotto chilometri da Onomichi. Nel XV secolo, questa parte del mare Interiore veniva definita “il regno dei pirati” ed era controllato dal temibile clan Murakami, che esigeva un tributo da tutte le imbarcazioni che passavano di lì. Il labirinto di isole e le baie isolate e protette rappresentavano un territorio ideale per la pirateria. Oggi, il turismo che ruota intorno al mito dei briganti del mare è sempre più importante nella regione, e si può visitare il castello dei Murakami sulla vicina isola di Innoshima. Malgrado la sua
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taglia limitata, Ikuchijima, con la sua popolazione di 11.000 anime, nasconde un’impressionante quantità di opere d’arte e di siti culturali. Il suo Bel Canto Hall ha l’ambizione di essere una delle migliori sale da concerto del paese, mentre il Biennale Project riunisce una serie di sculture esposte all’aperto in varie parti dell’isola, trasformandola in museo a cielo aperto. L’artista Hirayama Ikuo (1930-2009), celebre per i suoi dipinti sulla Via della seta, è nato qui ed esiste un museo a lui dedicato. Si può arrivare a Ikuchijima via nave, partendo da Onomichi o da Mihara, ma è molto più divertente arrivarci passando per la Shimanami Kaido, la rete
ZOOM VIAGGIO
Angeles Marin Cabello per Zoom Giappone
di ponti che collega l’isola principale di Honshu a quella di Shikoku. La strada tocca sei isole fra cui Ikuchijima e Innoshima e comprende piste ciclabili che si estendono per una sessantina di chilometri. Fin dall’arrivo a Ikuchijima, ci si trova in un mondo scandito da un ritmo a sé. Il traffico diminuisce e la vita rallenta. Non sorprende che lo scrittore Donald Ritchie abbia parlato di queste isole come delle “ultime vestigia dell’antico Giappone”. Per arrivare al Kosanji, bisogna prima di tutto prendere la direzione di Setoda, la città principale dell’isola, nonché il più grande centro giapponese di produzione di limoni. Gli agrumeti sono ovunque: sul bordo delle strade, sul fianco delle colline, nei giardini decorativi. C’è persino un parco a tema dedicato al frutto: il Citrus Park Setoda. Si può anche scoprire l’anseikan, un frutto della taglia di un pompelmo che, come l’hassaku o l’ivokan, è unico in questa parte del Giappone. Il primo morso rivela una consistenza croccante e un sapore amaro, ma una volta masticato, ciò che resta in bocca è miele puro. Si trovano infine altri prodotti come il dolce all’hassaku, le confetture d’arancia, il miele fruttato, le salse e gli sciroppi. Il gelato al limone locale è un’autentica delizia. Ciò che però attira i visitatori qui, più che il patrimonio di sapori, è il fantasmagorico tempio di Kosanji, uno dei siti più straordinari che vedrete in Giappone. Poco importa quanto vi siate documentati sul Kosanji prima di arrivare, niente può preannunciare lo spettacolo che vi aspetta. Kanemoto - o piuttosto Kosanji Koso - non si è accontentato di onorare la memoria della madre
PER ARRIVARE: IN NAVE, partenza da Onomichi (40 minuti) o da Mihara (25 minuti). IN AUTOBUS, partenza dalla stazione di Onomichi, direzione Setoda. IN AUTOMOBILE, partenza da Onomichi, si arriva une trentina di minuti dopo, attraverso lo Shimanami kaido. Tempio e Museo di Kosanji, 553-2 Setoda, Onomichi-shi, 722-2411 Hiroshima
Replica della statua di Guze Kannon, alta quindici metri. L’originale misura solo due metri.
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Angeles Marin Cabello per Zoom Giappone
Una creatura dorata sulla porta Koyonomon.
In primavera, i ciliegi in fiore donano al luogo un ulteriore tocco di poesia.
con un tempietto qualsiasi. Ha fatto costruire delle repliche di diverse parti dei suoi templi preferiti in Giappone, una sorta di classifica tridimensionale dei più bei luoghi del paese, dai quali ha attinto, a ogni latitudine e in ogni epoca. Ci sono costruzioni ispirate all’epoca Asuka (538719) fino all’epoca Edo (1603-1868); il visitatore viaggia attraverso il tempo e lo spazio, contemplando mille anni di architettura buddista. Si penetra all’interno attraverso audaci porte esteriori rosse e bianche (replica della porta Shinshinden del Palazzo imperiale di Kyoto). Qui si pagano 1.200 yen per proseguire la visita verso la porta Chumon (eretta secondo il modello della porta Romon nel tempio Horyu-ji a Nara).
Sulla sinistra si trova la sontuosa pagoda a cinque piani ispirata a un altro tempio di Nara: Muro-ji. In totale, più di venti porte, sale e pagode - di cui quindici classificate come beni culturali tangibili - coprono circa 50.000 metri quadrati. Questo spettacolo mozzafiato rappresenta la visione del paradiso per colui che ha fortemente voluto questa costruzione. Anche se ignorate tutto della storia del monumento, non potete che essere abbagliati da questa meraviglia. Ad aprile, in particolare, questo magnifico scenario è immerso nel rosa pallido dei fiori di ciliegio. Kosanji Koso non si accontentò di copiare le costruzioni originali, ma le abbellì seguendo la propria immaginazione, come fanno i registi dei film “ispi-
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rati a fatti reali”, quando enfatizzano le situazioni per rafforzare l’effetto drammatico. L’esempio della statua di Guze Kannon ne è una dimostrazione. È stata copiata da quella di Yumedono presso il tempio Horyu-ji. Mentre l’originale misura soltanto 1,97 metri d’altezza, il modello del Kosanji vi domina dall’alto dei suoi quindici metri. C’è poi la sorprendente porta Koyonomon, “il mio ultimo desiderio”, così come l’ha soprannominata Kosanji Koso. Si tratta di una riproduzione su grande scala della porta Yomeimon nel tempio Nikko, a Nara. Il suo promotore ha fatto aggiungere un tripudio di dettagli e colori incredibili. Dei folletti in oro brillante incontrano incredibili draghi di ogni forma, taglia e colore. Dei gatti si nascondono tra le piante o tra i fiori di loto che circondano a loro volta Buddha in piedi, seduti o coricati, tutti brillanti nei toni del verde, dell’oro e del rosso, del bianco e dell’arancione. Non sorprende sapere che ci sono voluti dieci anni per terminare solo questa porta. Nel retro del complesso principale, il sole brilla su una collina di bianco puro. Si tratta del colle della speranza: un vasto giardino di 5000 metri quadrati in marmo italiano, creato da Kuetani Kazuto, uno scultore originario di Hiroshima. La Torre di Luce, che ricorda due mani unite in segno di supplica, si alza verso il cielo da una montagna scintillante. Se desiderate una pausa, troverete un angolo di tranquillità dietro la sala ottagonale dove potrete scoprire il segreto del wabi-sabi, un concetto estetico e spirituale giapponese. Una cascata si tuffa in uno stagno punteggiato di fiori di loto, rocce coperte di muschio e lanterne di pietra. Piccoli ponti attraversano un ruscello e dei graziosi uccellini verdi saltellano di ramo in ramo su un ciliegio piangente, mentre l’odore dolce dell’incenso avvolge il tempio. Per coloro che desiderano fermarsi sull’isola, Setoda dispone di qualche albergo tradizionale, con vista sul mare. Fra questi, il Ryokan Tsutsui possiede un onsen profumato al limone, mentre il Suminoe vanta un bel giardino giapponese tradizionale. Oppure, ritornate a Onomichi e restate all’hotel U2 Cycle, il primo hotel giapponese concepito specialmente per i ciclisti (ma sono benvenuti anche gli automobilisti!). Prima di partire, in ogni caso, non dimenticate di assaggiare il famoso gelato al limone! STEVE JOHN POWELL
DOVE ALLOGGIARE: RYOKAN TSUTSUI : www.ryokan.or.jp/english/yado/main/66510 U2 HOTEL CYCLE : www.onomichi-u2.com/en/ SUMINOE RYOKAN : www.japanican.com/en/hotel/detail/714000 2/?ar=34&sar=340302
ZOOM VIAGGIO IDEE
Fare, vedere gustare Hiroshima
Hiroshima e la sua regione non mancano certo di risorse. Ecco qualche proposta per approfittare al massimo di questi luoghi.
O
La città d’acqua Hiroshima deve il suo soprannome di “città d’acqua” ai sei fiumi che l’hanno modellata su una serie di isole. Una tale abbondanza d’acqua le conferisce una piacevole sensazione di apertura. Il paesaggio è particolarmente spettacolare durante il periodo della fioritura dei ciliegi (a fine marzo-inizio aprile). Vale la pena di sedersi alla terrazza del Caffè Ponte, in riva al fiume e di fronte al Parco della Pace, oppure imbarcarsi per una crociera turistica. Se preferite un mezzo più rapido potete far accostare un taxi-barca, che vi raggiungerà in qualunque punto dell’argine, dopo che lo avrete atteso sostando sui ganji (scalini di pietra che digradano verso il fiume).
Angeles Marin Cabello per Zoom Giappone
gni anno, più di 1,2 milioni di persone visitano il Memoriale della Pace e il parco antistante. Nonostante sia importante visitare questo sito, iscritto al Patrimonio Mondiale dell’Umanità, esistono numerose altre ragioni per scoprire questa parte del Giappone.
Un sistema di biciclette in libero servizio permette di spostarsi in città con grande facilità.
Con il suo santuario “galleggiante” e il suo immenso torii rosso che si erge sul mare, l’isola di Miyajima è considerata a giusto titolo uno dei tre più bei siti del Giappone. Gli abitanti amano questo luogo anche per la sua gastronomia unica. Vanno certamente ricordate le ostriche, così importanti da far sì che una festa sia loro dedicata (il secondo fine settimana di febbraio). Si possono poi citare altre specialità come l’anago-meshi (anguilla grigliata su un letto di riso) e il nigirinbo (involtino di pesce farcito al formaggio, al bacon, agli asparagi, ecc.). In ogni caso, la golosità più celebre di Miyajima è il momiji-manju, un dolce a forma di foglia d’acero farcito di cioccolato, di crema inglese o di pasta di fagioli rossi azuki. La versione fritta – age-momiji – è particolarmente popolare. Presso la boutique Daikon’ya, si può assistere alla sua fabbricazione prima di gustarlo accompagnato da un tè verde gratuito, il tutto mentre lo sguardo si perde sul il magnifico stagno dove nuotano le carpe.
Sul mare, in bicicletta Le montagne circondano Hiroshima su tre lati. Il quarto si affaccia sul Parco nazionale del mare Interiore. Vale davvero la pena di esplorare il labirinto di isole immerse nella bruma attraverso la Shimanami Kaido, una splendida strada di 65 chilometri, che collega l’isola di Honshu a quella di
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Le golosità di Miyajima
L’incredibile foresta di bambù del monte Mitaki è una meraviglia.
Shikoku attraverso diversi ponti che uniscono a loro volta sei isolette, e che vanta una rete di piste ciclabili e pedestri lungo tutto il percorso. È possibile pedalare in bicicletta sospesi sul mare! La strada comincia nell’affascinante città portuale di Onomichi, a una breve distanza in treno da Hiroshima.
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Mistica Mitaki Una fitta foresta, tre cascate, una pagoda risalente al sedicesimo secolo e un tempio del nono secolo. Il tutto a sole due fermate dalla stazione di Hiroshima! Il tempio Mitaki, in cima al monte che porta lo stesso nome, è il miglior luogo della città per godere della natura. Lungo il cammino verso il tempio si trovano centinaia di statue di Buddha e dei
ZOOM VIAGGIO jizo rossi di tutte le forme e tutte le taglie, coperti di muschio e capaci in enfatizzare ancora di più l’atmosfera mistica. La pagoda, sui toni dell’arancione, a due piani, a destra dell’ingresso del tempio, è stata smantellata e poi portata a Mitaki da Hirogawa, nella prefettura di Wakayama, nel 1951, per riconfortare le anime delle vittime del bombardamento atomico. Seguite il sentiero oltre il tempio, attraverso la maestosa foresta di bambù. Tornando indietro, fate una pausa al caffè rustico Kuten-an, seminascosto fra gli aceri.
La capitale del pennello Kumano, villaggio situato a venti chilometri a est da Hiroshima, produce 15 milioni di pennelli per la calligrafia, per il trucco e per l’arte, ogni anno: circa l’80% della produzione complessiva del Giappone. Sui 27.000 abitanti della città, 1500 sono artigiani specializzati nella fabbricazione di pennelli. Visitate il villaggio il 23 settembre, in occasione della festa dei pennelli, quando 10.000 esemplari sono sospesi sulle vie. Non perdetevi poi il museo del pennello Fudenosato Kobo, dove diversi maestri artigiani sono presenti ogni giorno per mostrare al pubblico il loro savoir-faire. Il museo accoglie anche il più grande pennello da calligrafia al mondo, misura 3,7 metri di lunghezza e pesa 400 Kg. Lo si ammira sospeso al soffitto.
Il giardino dei Samurai
pruneti e stagni dove nuotano le carpe koi.
Una sublime oasi nel centro città, il giardino Shukkeien è stato creato nel 1620 da Ueda Soko, un guerriero samurai diventato monaco buddista, maestro di tè e paesaggista. L’ha concepito in nome di Asano Nagaakira, il signore feudale di Hiroshima. Lo Shukkeien è una versione in miniatura del Lago dell’Ovest a Hangzhou, in Cina, e si estende su uno spazio di 40.000 metri quadrati. È il luogo ideale per perdersi, lungo uno degli stretti sentieri laterali fra angoli isolati, cascate, rocce adornate di muschio e lanterne coperte di licheni. Dimenticherete di essere appena a cinque minuti dall’agitazione del centro. Ogni mese, delle cerimonie del tè vengono organizzate nella casa da tè di Seifukan, in riva al lago. Vi si celebra il cambiamento delle stagioni e a settembre si tiene una cerimonia speciale per la contemplazione della luna. Il Museo Prefetturale d’Arte merita ugualmente una visita.
Campioni di calcio Non c’è solo il baseball a Hiroshima. La Sanfrecce Hiroshima è una delle migliori squadre di calcio del paese. Ha vinto il campionato nel 2012 e nel 2013, la Super Coppa nel 2008, 2013 e 2014, mentre sono finiti terzi nel 2015. Il suo magnifico stadio Edion è situato su una collina poco fuori città, circondato da un parco, opera di bravi paesaggisti, con
L’arte e la natura Prendere l’ascensore Skywalk fino al Museo d’Arte Contemporanea sul monte Hijiyama è un’esperienza davvero piacevole. Aperto nel 1989, è stato il primo museo pubblico di arte moderna in Giappone. Concepito da Kurokawa Kisho, cofondatore del movimento metabolista, ha ottenuto il quinto Premio mondiale d’architettura. All’esterno si trovano numerose installazioni artistiche che costellano la collina, mentre l’enorme Arco di Henry Moore incornicia una bella vista panoramica sulla città. La profusione di ciliegi fa di Hijiyama una delle destinazioni preferite degli abitanti nel momento della fioritura.
Un museo mobile Dopo la guerra, Hiroshima ha dovuto rimettere rapidamente in servizio il suo sistema di trasporti. Diversi tram sono stati forniti da numerose altre città giapponesi e persino straniere, il che ha valso al sistema di tram cittadino la definizione di “museo mobile”. Oggi la flotta comprende sia dei veicoli risalenti al periodo anteguerra, sia dei mezzi futuristi. Rimane in ogni caso il mezzo più economico, più semplice e più ecologico per muoversi in città. S. J. P.
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