Zoom Giappone 09

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Rivista

gratuita

Odaira Namihei per Zoom Giappone

gratuito - numero 9 - marzo - giugno 2018

www.zoomgiappone.info

Speciale

Hokkaido


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ZOOM EDITORIALE L O SGUARDO DI ERIC RECHSTEINER

Direzione nord Sin dalla nostra creazione ci siamo interessati a Hokkaido, la seconda isola più grande del Giappone per superficie. Non manca certo di fascino, ma rimane ancora troppo spesso sconosciuta al pubblico. L’isola offre tuttavia un gran numero di buoni motivi per attirare i turisti stranieri alla ricerca di natura, autenticità e originalità. Abbiamo quindi voluto spingervi alla scoperta di questa regione per la quale saranno certamente necessari ancora altri numeri speciali. Siamo già convinti però, che la lettura di queste pagine vi trasmetterà il desiderio di partire verso quest’isola straordinaria all’incontro dei suoi abitanti calorosi e accoglienti, come tutta la gente del nord!

© Eric Rechsteiner

Linea JR Senmo, tra Abashiri e Kushiro

Ecco una delle linee più piacevoli da scoprire a Hokkaido. Dopo aver lasciato Abashiri, il treno percorre la costa affacciata sul mare di Okhotsk, fino a Shiretoko Shari. Indipendentemente dalla stagione, il tragitto rappresenta un momento idilliaco, che si può prolungare fino alla stazione di Kitahama. La linea scende poi verso Kushiro e permette di fermarsi a Kawayu onsen per godersi al tempo stesso i paesaggi e le fonti termali.

LA REDAZIONE redazione@zoomgiappone.info

1,5

miliardi di dollari. Si tratta della somma che il gruppo cinese di giochi online 500.com potrebbe investire a Hokkaido per la costruzione di un complesso alberghiero - casinò incluso - a Rusutsu, a sud di Sapporo. Questo potenziale business segue all'adozione da parte del Parlamento giapponese di una legge che autorizza l’apertura di casinò nell’arcipelago. Una prospettiva che suscita la bramosia di ricchezza di diversi investitori.

TENSIONI

Aerei militari a Etorofu

PROGETTO Un

Rivendicate dal Giappone e occupate dalla Russia fin dal 1945, le quattro isole Curili del Sud sono oggetto di tensione tra i due Paesi. La decisione, a inizio febbraio, da parte del governo russo, di autorizzare degli aerei militari a stazionare nell’aeroporto civile di Etorofu, non risolve certo le cose, sebbene il Primo Ministro Shinzo Abe sogni di ottenere un accordo con Vladimir Putin per una gestione comune delle isole.

Nel settembre scorso, il vice Primo Ministro russo Igor Chouvalov ha proposto al Giappone di esaminare il progetto dell’eventuale costruzione di un ponte - funzionale sia alle automobili che alla linea ferroviaria - da Wakkanai fino all’isola di Sakhaline. Si potrebbero così rafforzare gli scambi economici e turistici tra queste due regioni, che necessitano entrambe di un incremento delle attività e di un maggiore sviluppo.

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ponte per unire l’isola di Sakhaline


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ZOOM NOTIZIE STAMPA L’eco

della voce del Nord

L’ Hokkaido Shimbun è il primo quotidiano dell’isola settentrionale: un meritato posto da leader.

Gabriel Bernard per Zoom Giappone

S

I giornalisti dell’Hokkaido Shimbun sono recrutati tramite un concorso difficilissimo.

russa vicina ad Hokkaido), importante polo di impiego per le imprese locali, che permette anche un aggiornato punto di osservazione sulla situazione delle Isole Curili del Sud, occupate dalla Russia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma rivendicate dal Giappone. I “Territori del Nord” (hoppô ryôdo) come li nominano i giapponesi, rappresentano una questione delicata e significativa, non solo diplomaticamente, ma anche per l’economia, la pesca, lo sviluppo, la storia e la cultura di Hokkaido. La tematica è un argomento privilegiato del giornale; nel 2013 gli articoli pubblicati per due anni sulla questione territoriale russo-giapponese, gli sono valsi il premio per il miglior reportage giornalistico dall’Associazione giapponese dell’editoria della stampa. La qualità dei contenuti è riconosciuta in tutto l’arcipelago e non di rado i giornali, la radio o la televisione fanno riferimento all’ Hokkaido Shimbun. “Un giornale deve possedere e diffondere spirito critico e curiosità e deve perseguirli sempre, in ogni circostanza. A questo si deve aggiungere l’informazione diretta, vicina. Lo spirito di una pubblicazione vicina ai suoi lettori deve rimanere al centro delle nostre priorità. Tutto questo costituisce il DNA di Dôshin”. Queste parole riassumono perfettamente

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la filosofia del giornale che non si accontenta di riportare fatti e eventi locali, ma che nel corso degli ultimi decenni si è distinto per le sue inchieste, i suoi scoop, e il suo impegno per la regione. Il fallimento della banca Hokkaido Takushoku Ginkô nel novembre 1997, a causa dei debiti, è stata l’occasione per il giornale di distinguersi per le sue informazioni esclusive. Il lavoro di inchiesta svolto sull’affare della presunta corruzione della polizia nel 2003, ha rafforzato la propria immagine di quotidiano al servizio della verità. “Difendiamo la nostra neutralità riguardo alla politica, senza che questo ci impedisca di prendere posizione sulle questioni per noi rilevanti, sia per la regione che per il paese” spiega Nueno Takaharu. L’ Hokkaido Shimbun ha manifestato apertamente la sua opposizione al Partenariato TransPacifico, il trattato di libero scambio tra USA e undici paesi della zona asiatica del Pacifico, tra cui il Giappone. Benché Donald Trump abbia deciso di ritiralo nel 2017, il governo giapponese ha preso l’iniziativa di rilanciarlo, con lo scontento degli agricoltori che temono le conseguenze di un’apertura dei mercati sui lori prodotti. Fedele al principio di vicinanza ai suoi lettori, il quotidiano ha spesso evidenziato

Hokkaidô Shimbun

apporo, principale città e nucleo politico dell’isola, ospita in centro l’anonimo edificio dell’Hokkaido Shimbun, meglio conosciuto con il nomignolo di Doshin. Sono i sette ideogrammi che compongono il nome dell’azienda che permettono di identificare, tra gli altri, l’edificio che ospita il principale quotidiano dell’isola omonima, un’istituzione in tutta la nazione, degno di massimo rispetto nel settore della stampa giapponese. Forte dei suoi centotrenta anni di esistenza, il giornale è riuscito a tener testa ai grandi titoli nazionali - Yomiuri Shimbun, Asahi Shimbun, Mainichi Shimbun, Nihon Keizai Shimbun – mantenendo oltre il 71 % del mercato locale con più di un milione di esemplari diffusi solo nell’edizione del mattino (chôkan) e oltre 450.000 per quella del pomeriggio (yûkan). Così si esprime sulle cifre Nueno Takaharu, incaricato della comunicazione: “Siamo davvero orgogliosi di avere una diffusione di 2,5 volte superiore agli altri giornali; nonostante si sia registrata una diminuzione nelle vendite, pari a quella registrata dagli altri, siamo comunque riusciti a mantenere il nostro primato sulla concorrenza”. Hokkaido Shimbun si appoggia su una rete capillare di uffici locali che gli permette di offrire contenuti ricchi e capaci di rispondere alle attese di un pubblico di lettori ripartito su un vasto territorio. Le otto succursali regionali (Hakodate, Muroran, Otaru, Tomakomai, Asahikawa, Kitami, Kushiro et Obihiro) contano da dieci a venti persone, mentre i trentanove uffici locali, con due o tre giornalisti, formano una rete molto stretta alla quale non sfugge nessuna informazione, grazie alla sagacità della redazione. Questo favorisce un legame molto forte tra il giornale ed i suoi lettori, dei quali infatti più del 60 % è abbonato da oltre venti anni. Il quotidiano, nato nel novembre del 1942 dalla fusione di 11 giornali locali, a seguito della scelta delle autorità di avere un unico grande giornale per regione, non si è mai comportato come una pubblicazione regionale. Anzi, con i suoi sette corrispondenti esteri (Washington, Séoul, Pechino, Bangkok, Londra, Mosca e Južno-Sachalinsk), l’ Hokkaido Shimbun vuole portare anche uno sguardo internazionale, capace di intercettare le richieste di una parte dei lettori, conscia dell’importanza di essere al corrente dell’attualità estera. Il miglior esempio di questa politica è l'ufficio di Južno-Sachalinsk, capitale amministrativa dell’isola di Sakhalin (regione


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Hokkaidô Shimbun

gli effetti negativi che un tale accordo avrebbe potuto avere sull’economia di Hokkaido, e in particolare sull’agricoltura, la prima del paese, con il 13,2 % di rendite agricole nazionali, di molto superiore alle altre prefetture. Hokkaido primeggia anche nella pesca, con il 19,4 % di rendite nazionali nel settore. È quindi normale che l’Hokkaido Shimbun faccia sentire la sua voce su questo argomento, così come su quello delicato dei trasporti ferroviari. La situazione della compagnia JR Hokkaido (che moltiplica la chiusura delle linee) o la creazione di una linea ad alta velocità per collegare Sapporo a Tokyo in meno di quattro ore, occupano spesso i titoli principali dei quotidiani. “Sono questioni che interessano tutti e accendono dibattiti. Noi siamo favorevoli all’alta velocità, permetterebbe alla regione di uscire da un certo isolamento e di incentivare il turismo. Non siamo però sulla stessa lunghezza d’onda di molti nostri lettori che vivono fuori Sapporo”riconosce Nueno Takaharu, consapevole che il futuro economico della regione dipenda in gran parte dal suo sviluppo turistico. Anche l’Hokkaido Shimbun si attiva per l’abbandono delle linee ferroviarie, facendo appello alla “reponsabilità di stato” in materia. Il giornale stima che effettivamente la compagnia ferroviaria JR Hokkaido non possa da sola assicurare la manutenzione di una rete esposta a condizioni climatiche così difficili. Il degrado della situazione dei trasporti è anche il riflesso di un problema più grave: l’invecchiamento della popolazione. Ovviamente questo è un problema che concerne l’intero paese, ma in particolare Hokkaido, considerato che il 29,7 % dei suoi abitanti ha più di 65 anni (la media nazionale, già elevata, è del 27,2 % ). “La media di età dei nostri lettori si assesta intorno ai 60 anni” conferma Nueno Takaharu. È preoccupante vedere sempre più giovani lasciare la prefettura per altri lidi. “Ecco perché mettiamo l’accento sulla valorizzazione dell’economia locale e del suo dinamismo soprattutto attraverso le PMI. L’ impulso degli scambi economici tra Hokkaido e il Sud Est Asiatico ci ha spinti ad aprire, nel 2016, un ufficio a Bangkok, in Tailandia, per seguirne correttamente l’evoluzione”, aggiunge Nueno Takaharu. La buona salute economica della regione è garanzia di un ringiovanimento della popolazione. Inoltre, l’ Hokkaido Shimbun punta anche sui giovani per evitare un calo delle vendite.”Organizziamo degli eventi per interessare i giovani all’attualità”, racconta il respon-

L’ Hokkaido Shimbun annovera oggi 1.378 impiegati.

sabile della comunicazione. Tra le iniziative promosse, il lancio nel 2015 del supplemento settimane Manabun, neologismo creato dalla parola manabu (imparare) e il termine bun di shimbun (giornale), che ha l’intento di stimolare i genitori a coinvolgerei figli nella lettura dei quodiani. La creazione nel 2006 di un club di lettura e della sua mascotte Bunchan, personaggio infantile molto kawaii (carino), fa parte di questo ambizioso progetto. La presenza del quotidiano anche su internet, già dal 1996 (www.hokkaido-np.co.jp), è un chiaro esempio del suo essere al passo con i tempi senza perdere la propria identità. Mantenere l’equilibrio non è semplice e richiede un costante impegno da parte di tutto il gruppo di lavoro, che ancora crede nel ruolo che il giornale può giocare nello sviluppo di questa meravigliosa regione, preservando e mostrando sempre i tesori che Hokkaido sa offrire durante tutto l’anno. GABRIEL BERNARD

Hokkaidô Shimbun

Hokkaidô Shimbun

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ZOOM NOTIZIE

Numero 1dell’Hokkai Shimbun del 20 gennaio 1887, antenato dell’ Hokkaido Shimbun. marzo - giugno 2018 N. 9 ZOOM GIAPPONE 5


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ZOOM MAPPA Hokkaido in cifre Wakkanai

Rebun

Superficie

83 453 km2 22 % della superficie del Giappone

Popolazione

5 342 618 abitanti (2017) 4,2 % della popolazione del Giappone

Più di 65 anni

29,7 % della popolazione locale (2017) + 2,7 % in confronto alla media nazionale

Popolazione attiva

2,4 milioni di persone (2017)

PIL

18 200 miliardi di yen (149,1 milioni di euro) 3,6 % del PIL giapponese

Rishiri

Rishiri

Monti Teshio Yagishiri Teuri

M

Turisti stranieri

2,3 milioni (2016) 9,6 % dei turisti stranieri in Giappone

Asahikawa Monte Shokanbetsu

Baia d'Ishikari

Monti Yubari

Penisola Shatokan

Otaru

Okadama

Iwamizawa

Mar del Giappone

Yubari Sapporo

Rusutsu

New Chitose

Shiraoi

Pe Okushiri

Baia d'Uchiura

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Muroran

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Hakodate

50 km

Oshima

Fonti : Prefettura di Hokkaido ; Zoom Giappone.

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Honshu

Tomakomai

Nibutani


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ZOOM MAPPA Una terra piena di promesse da scoprire

Etorofu

Mare d'Okhotsk Kunashiri

Mo nti

Mombetsu

Kit am

Utoro

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Abashiri

Monte Rausu 1 661 m Rausu

Shiretoko Shari Shikotan

Memanbetsu

Kitami

Kawayu Onsen

Lago Kussharo

Monte Asahi 2 291 m

Nakashibetsu

Kotan

Monti Ishikari

Penisola di Notsuke Habomai

Lago Mashu

Lago Akan

Nemuro

Monte Oakan 1 371 m

H o k k a i d o

Akan

Kayanuma

Shintoku Obihiro

Kushiro

Ikeda

Obihiro

Shizunai

OCEANO PACIFICO Mo

nt da ka

Superficie

763,1 km2

Popolazione 8 659 ab. (2017) Più di 65 anni 4 323 (49,9 %) Pop. attiva

3 938 persone

Strade principali

Debito

23,7 miliardi di yen (2017)

Linea ferroviaria

(175,9 m. di euro)

Aeroporto

Turisti stranieri

498 000 (2016)

Città principali

Cartografia : Aurélie Boissière, www.boiteacartes.fr

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Yubari in cifre

marzo - giugno 2018 N. 9 ZOOM GIAPPONE 7


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Odaira Namihei per Zoom Giappone

ZOOM INCHIESTA

La collina della speranza (Yûbari kibô no oka) ha perso la sua importanza, ma il Comune vuole ancora credere che non tutto sia perduto.

Un laboratorio a cielo aperto Yubari è la città giapponese più in difficoltà. I suoi abitanti e il suo sindaco hanno deciso di reagire.

S

pesso, immaginiamo il Giappone come il laboratorio di ogni innovazione che vedremo poi nascere nel resto del mondo nei decenni successivi. Per farsi un’idea ancora più precisa delle sfide che affronteremo e del modo in cui una municipalità coraggiosa intende rispondere a problemi urgenti, bisognerebbe visitare la città di Yubari. A circa 90’ in auto da Sapporo, la città è stata uno dei grandi centri minerari dell’arcipelago. Al suo apogeo, contava 120.000 abitanti, numerosi cinema e un grande centro commerciale di cinque piani. Oggi, vi sono censite meno di 8.700 anime, delle quali circa il 50% ha più di 65 anni. Dopo la chiusura delle ultime miniere, nel 1990, Yubari è diventata la città del record che ogni altro luogo al mondo cederebbe volentieri. È la città con la popolazione più anziana del Giappone con una media che arriverà a 65

anni nel 2020. Yubari, che contava fino a 22 scuole elementari, 9 scuole superiori e 6 Licei, oggi ha un solo Istituto per ogni grado educativo. Vi risiedono attualmente solo 75 liceali, contro i 130 del 2007. Passeggiando per le strade quasi deserte, non si incontrano giovani. Solo un abitante su 20 ha meno di 25 anni. La situazione demografica di Yubari è estrema, ma riflette la tendenza attuale dell’arcipelago, dove possiamo immaginare da ora che molte città e villaggi scompariranno nei prossimi anni. Nel 2014, nel suo saggio, Chiho shometsu (La Scomparsa della provincia, ed. Chuokoron Shinsha, non ancora disponnibile in Francia né in Italia), un vecchio Funzinario, Masuda Hiroya, ipotizzava che 896 comunità locali avrebbero potuto incontrare la medesima sorte entro il 2040. È il destino a cui Yubari, che ha comunque mantenuto lo statuto di città, nonostante in Giappone siano necessari almeno 50.000 abitanti, vorrebbe sottrarsi. Le autorità del Paese non hanno voluto dare il colpo di grazia alla città, nonostante sia stata la prima e unica comunità

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ad aver dichiarato bancarotta, nel 2016. Un annus horribilis che i suoi abitanti ricordano, dovendo pagare ancora il prezzo di politiche di sviluppo pensate male, orientate al turismo quando questa piccola città, che disponeva di un’unica e piccola linea ferroviaria, non poteva certo attirare flussi importanti di visitatori. A maggior ragione, considerando che Hokkaido rappresentava già il fanalino di coda del settore turistico. L’immenso parco d’attrazione costruito sul tema delle miniere si è presto rivelato un fallimento finanziario, che ha portato Yubari alla rovina. Oggi, non resta quasi nulla dell’ambizioso progetto, se non qualche palazzo vuoto che contribuisce a dare al luogo l’immagine di una città fantasma. Nessun quartiere sfugge a questa impressione di degrado, compreso il centro, dove gatti randagi occupano le case, alcune delle quali a malapena si tengono in piedi. È qui che si trova il ristorante Nonkiya di Yasuda Yoko, a 74 anni, ha preso le redini dalla madre, morta nel 2012; serve ramen (spaghetti


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A simboleggiare il rifiuto di arrendersi, la scenografia del film Shiawase no kiiroi hankachi (The Yellow Handkerchief of Happiness) di Yamada Yoji è ancora presente a Yubari.

Odaira Namihei per Zoom Giappone

in brodo) a una clientela che si fa via via più rara . “Ad ogni modo, non potrei accogliere più di 5 persone alla volta”, dice sorridendo. Yasuda Yôko ha vissuto molti anni a Saitama, a nord di Tokyo, prima di tornare a Yubari per occuparsi della madre e succederle. Lei spera che Yubari sopravviva e crede che il giovane sindaco, Suzuki Naomichi (vd pp. 12-14), eletto nel 2011 all’età di 30 anni da una popolazione molto più vecchia di lui, sia in grado di ridare vita alla città o, quantomeno, di fornirle gli strumenti per sopravvivere, beneficiando dell’iniziativa del giovane Sindaco di dare vita ad una città più compatta, per consentire ai cittadini di avere accesso ai servizi pubblici entro un raggio accettabile. Bisogna anche dire che Yubari si sviluppa su una superficie di 763 km2, un’estensione notevole. La gestione di questa vasta area è complicata e costosa. Per il presidente del suo Tribunale sarebbe indispensabile ricentrare i servizi e gli abitanti per dar loro una miglior qualità di vita. C’è ancora molto da fare, essendoci una distanza di poco più di 1,5km tra il centro del paese ed il centro commerciale, aperto 24h/24. A notte fonda, sulla strada poco illuminata, si possono incrociare delle volpi che scendono dalla montagna e prendono possesso delle strade deserte. Questo fenomeno è visibile anche in altre regioni del Giappone, in particolare là dove la popolazione è in forte calo. L’autista che ci accompagna in taxi al Museo della miniera ce lo conferma. “La sera, devo fare estremamente attenzione. Mi è capitato più volte di vedere animali attraversare la strada. Percepiscono che gli uomini abbandonano sempre di più la città”. Se oggi è impossibile immaginare che Yubari possa conoscere nuovamente uno sviluppo demografico, il Comune vorrebbe attirare visitatori per far crescere l’economia locale. La città dispone di diverse risorse: oltre all’incredibile ospitalità locale, Yubari può contare sul suo passato glorioso. Il Museo della miniera è in fase di recupero. La città possiede anche un’aura particolare, per quei giapponesi che hanno potuto scoprirla in numerosi film molto popolari negli anni ’70, all’apogeo dell’Era Shôwa, quando il Giappone si impose come la seconda potenza economica del pianeta e la popolazione era orgogliosa di viverci. Tra i film girati qui, Shiawase no kiiroi hankachi (The Yellow Handkerchief of Happiness, 1977) di Yamada Yoji, con l’immensa Takakura Ken e la talentuosa Baishô Chieko, è uno dei più celebri. Si può inoltre visitare, a qualche km dalla città, la famosa scenografia delle riprese del film, ammirando i celebri fazzoletti gialli, simbolo di un rifiuto alle rinunce. Il messaggio del film? Finché c’è vita, c’è speranza. A Yubari, La collina della speranza (Yubari kibo no oka), anche se oggi è tutto tranne che attrattiva,

Odaira Namihei per Zoom Giappone

ZOOM INCHIESTA

Yuchan, la mascotte della città, è malridotta come buona parte delle case abbandonate dopo la partenza di gran parte della popolazione. Ma Yasuda Yoko, proprietaria del Nonkiya, non perde il sorriso.

ci ricorda che non dobbiamo mai perdere la voglia di agire per sfuggire al fatalismo. La città è “il microcosmo di ciò che sarà il Giappone nel 2050”, spiega il responsabile dell’Ospedale, consapevole della necessità di battersi per dare alla popolazione le risorse per vivere meglio. La nostalgia degli anni Showa, che Yubari incarna così bene, potrebbe portare una parte dei pensionati attuali - tra i più agiati del Paese - a venire qui a ritrovare un po’ di atmosferea dell’epoca. Le locandine del cinema dipinte e incollate sulle numerose facciate del centro costituiscono una delle tante curiosità locali. Si può incrociare lo sguardo di Alain Delon in Delitto in pieno sole, come quello di Atsumi Kiyoshi in Otoka wa

tsurai yo (È dura essere un uomo). La settima arte resta un valore certo per la città in cui viene organizzato l’unico Festival del cinema fantastico del Giappone, cosa che permette alla città di attirare star come Quentin Tarantino. Il cineasta ha peraltro dato il nome della città ad uno dei personaggi di Kill Bill 1. Inoltre, qui si coltivano i famosi meloni di Yubari, grazie ai quali il nome della città è presente ogni anno sulle testate nazionali, essendo questi i primi meloni da record venduti all’asta. Lo scorso marzo, i primi due meloni sono stati aggiudicati per 3 milioni di yen (22.000 euro). Non tutto è perduto, ci sono buone ragioni per credere in un futuro per la città. ODAIRA NAMIHEI marzo - giugno 2018 N. 9 ZOOM GIAPPONE 9


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ZOOM INCHIESTA INCONTRI Lascia Al governo di Yubari dal 2011, Suzuki Naomichi punta a rendere la città un modello virtuoso. Cosa significa per lei essere diventato il simbolo di un Giappone e di una città che non vogliono lasciarsi morire? Suzuki Naomichi : Nel 2020 ci saranno i Giochi Olimpici di Tokyo, e nel 2025, secondo le previsioni, la capitale inizierà pian piano a spopolarsi. Siamo un paese sviluppato nel quale la popolazione diminuisce e gli anziani aumentano, il denaro scarseggia e il debito pubblico è abissale. Yubari è la città che ha registrato il più importante spopolamento del paese: i giovani se sono andati e in una cinquantina d’anni il numero di abitanti è passato da circa 120.000 a 8.000 persone. Lo sfruttamento eccessivo delle miniere ha causato un debito importante alla città. Il Giappone è un paese sviluppato con dei seri problemi che si presentano prima che in altre parti del mondo, e Yubari, purtroppo, ne è il miglior esempio. La questione è stata sollevata a Davos durante il Forum Economico Mondiale del 2013. All’epoca fui nominato Young Global Leader, e mi dicevo tra me e me, sì, è vero, Yûbari ha i suoi problemi ma se riuscissimo a superarli, allora potrebbe diventare un modello non solo per il Giappone ma anche per gli altri paesi sviluppati che prima o poi si troveranno nella stessa difficile situazione. Ecco, questo è l’obiettivo che mi sono prefissato. Sul suo biglietto da visita c’è lo slogan Restart Challenge More: potete spiegarcelo? S. N. : A seguito della bancarotta della città, nel 2007, è stata costituita un’organizzazione per il rilancio delle finanze pubbliche, unica nel suo genere. Il paese conta più di 1.700 comuni e Yubari è la sola città ad averla. In dieci anni, con grande impegno, abbiamo ripagato il debito. Le imposte che la municipalità raccoglie sono circa 800 milioni di yen (6 milioni di euro), e noi dobbiamo rimborsare in media ogni anno 2.600 milioni di yen (19,5 milioni di euro), impegnativo direi. Un giorno, durante una conferenza stampa, un giornalista straniero mi ha detto che avrei dovuto chiamarla Mission impossible, e invece siamo riusciti a rimborsare questi 11.600 milioni di yen (87 milioni di euro) in dieci anni, avviando una politica di austerità senza precedenti. Per esempio, le sei scuole elementari sono state fuse in una sola, lo stesso per le scuole superiori; le tasse sono diventate le più alte del paese e gli stipendi dei funzionari sono stati drasticamente ridotti. Grazie a queste mano-

che entri la felicità vre abbiamo potuto restituire il debito, ma è stato pesante, molte persone hanno lasciato la città. È vero, in dieci anni abbiamo potuto rimborsare 11.600 milioni di yen, ma abbiamo perso il 30% della popolazione. Così chi resta deve continuare a pagare e la situazione diventa ancora più onerosa: è un circolo vizioso. Abbiamo come una duplice missione: ripagare il debito e migliorare le condizioni di vita della popolazione. La metafora automobilistica del freno da una parte e dell’acceleratore dall’altra rende bene la difficile situazione. Ho proposto al governo, nel marzo 2017, di cambiare le priorità, e ha accettato: siamo passati dalla totale priorità della restituzione del debito, al perseguimento congiunto del rilancio economico. È un nuovo inizio, un lavoro su due fronti; il mio obiettivo? Abbandonare i soliti discorsi “Ci sono sempre meno persone, sempre meno soldi, non possiamo farci niente…” per dire invece “Accettiamo la sfida!”. In questa prospettiva abbiamo scelto questo slogan, per coinvolgere le persone. La sua precedente esperienza come funzionario di stato a Tokyo è stata utile per negoziare le condizioni con il governo? S. N. : Prima lavoravo per la città di Tokyo, la cui popolazione è di 13 milioni di persone, che con i suoi 160.000 funzionari, è la più grande amministrazione locale del mondo. Vi ho passato undici anni e otto mesi. A Yubari, invece, non conoscevo nessuno, è stato spaesante all’inizio, ma volendo portare un cambiamento profondo alla città, credo sia stato un vantaggio. Vivendo a lungo in un posto si tessono dei forti legami sociali, questa è una cosa bella, certo, ma se si vuole apportare un cambiamento, può diventa un forte ostacolo. In questo senso posso dire che la mia esperienza in un’altra amministrazione, con le dovute differenze, mi ha permesso di svolgere il mio lavoro in una città in cui non avevo, per così dire, nessun conto in sospeso. Credo che sia stato per questo che le persone hanno permesso che cambiassi le cose in modo così audace. Che cosa è cambiato dalla sua elezione, sei anni fa? S. N. : Yubari è la sola città del paese ad aver vissuto la bancarotta. Il tasso di partecipazione alle mie elezioni ha superato l’ 82%, Tokyo si assesta intorno al 40 %, giusto per capire. Paragono spesso l’amministrazione e i servizi pubblici all’aria che ci circonda e respiriamo. L’aria esiste, e se inizia a mancare diventa complicato. Nel caso di Yubari, l’aria è diventata improvvisamente irrespirabile, per questo le persone hanno comin-

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ciato a chiedersi seriamente: “Che facciamo?”. A mio parere ciò che è cambiato nei cittadini nel corso degli ultimi sei anni è stata la consapevolezza che non potevano più fare completo affidamento sulla municipalità, ma che c’era qualcosa che potevano fare loro stessi. Hanno iniziato a smettere di chiedere e basta, cominciando a mettersi nell’ottica del “Cosa posso fare IO?”. Forse, questo non sarebbe accaduto se la città non avesse fatto bancarotta. Se si chiedono alle persone informazioni sulle azioni che la città sta portando avanti, potranno tranquillamente discutere del progetto compact city o sulla decisione di sopprimere la linea ferroviaria JR; sono coinvolti in tutto e questo fa la differenza in termini di autonomia locale. Certo, sarebbe stato meglio averlo capito prima, ma l’essere umano cerca inevitabilmente la via più facile. Per me, è questo che ha maggiormente cambiato i cittadini. Gli sforzi chiesti ai cittadini negli ultimi anni cominciano a portare i loro frutti: ci sono uno o due esempi dei quali va particolarmente fiero? S. N. : Il concetto di compact city di cui accennavo prima; Yubari è più estesa di Tokyo. In 763 km2 vivevano circa 100.000 abitanti, oggi 8.000. Era necessario ricompattare la città, ma le persone, ovviamente, non erano facilmente disposte a traslocare; per sei anni, abbiamo discusso cercando di convincerle. Infine il 6% della popolazione, di diverse generazioni, ha accettato, per un totale di circa 300 case. Può sembrare poco, appena il 6%, ma è straordinario come possa cambiare l’aspetto di una città, e che le persone accettino di fare un tale sforzo. Tra di esse vi era un uomo di 98 anni, il capo di una associazione locale che sei anni fa rifiutò categoricamente di traslocare: lo abbiamo convinto. Dovete sapere che gli inverni a Yubari sono difficili. In primavera sono andato a trovarlo nella sua nuova casa ed ecco cosa mi ha detto: “È stata la prima volta in vita mia che ho passato un inverno così caldo”. Vi rendete conto? Aveva 90 anni all’epoca ed era ostinatamente contrario a lasciare la sua casa. È straordinario che abbia fatto questo passo, mi ha trasmesso molta energia. Ho sentito dire che per farsi rieleggere ha fatto una campagna elettorale letteralmente porta a porta, è sempre così vicino ai cittadini? S. N. : Certo! Ho ideato un sistema piuttosto unico nel suo genere; se almeno cinque persone si riuniscono, ci vado anche io, e lo faccio 365 giorni l’anno. “Parliamo con il Sindaco” è il nome che dò a queste riunioni. Ci sono persone però che non osano chiamarmi, cerco quindi di spo-


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ZOOM INCHIESTA starmi almeno due volte l’anno per aggiornarle sull’avanzamento dei progetti. Penso a quando abbiamo iniziato a parlare del progetto compact city, molti erano contrari, e molti favorevoli, e questo ha creato due fazioni opposte, rivali. All’inizio cercavo di far capire che la città sarebbe stata destinata a sparire se non si fosse agglomerata. Nonostante questo, alcuni hanno continuato ad opporsi, per questo motivo sono stato spesso chiamato agli incontri con almeno cinque persone, dove mi hanno urlato addosso continuamente. Eppure, ho imparato una cosa: gli esseri umani non possono snervarsi per più di tre ore consecutive, arriva inevitabilmente il momento in cui sopraggiunge la stanchezza. Fino a quel momento ascolto, perché se poi si spiega loro “Guarda, ora succede questo e questo”, vi risponderanno “Mmmh..”, senza essere d’accordo magari, ma inizieranno a chiedersi “Ecco, sta accadendo questo e questo comunque”. Quello che voglio dire è che è facile opporsi quando non si conosce la situazione; ma quando si sa che si hanno due scelte, A o B, è più difficile opporsi perché si conoscono le conseguenze e tutti gli elementi in gioco. Un esempio, se non si hanno elementi, si può dire la scelta A “È la galera!”, la scelta B “Però no, per me non va bene …” e facilmente ci si oppone. Per questo credo fermamente a queste sessioni di spiegazione, alle riunioni “Parliamo con il Sindaco”.

A parte gli scherzi, queste riunioni sono un nuovo modo di fare politica? S. N. : Non saprei, perché se si ipotizzasse di fare lo stesso a Tokyo non sarebbe possibile, c’è troppa gente, nelle piccole città c’è una modalità diversa di coinvolgimento nelle questioni. Se ci sono molti abitanti la città ha una sua forza, ma con pochi abitanti è difficile vivere senza aiutarsi, si ha bisogno degli altri. Può sembrare strano, ma per creare una situazione in cui ognuno possa avere potere di decisione, si ha necessariamente bisogno degli altri. Yubari è la prima città del Giappone in termini d’invecchiamento della popolazione: gli ultra 65 anni sono il 50%. Quando sono diventato sindaco avevo 30 anni, il sindaco più giovane del Giappone: assurdo, il sindaco più giovane nella città più vecchia! Lavorando a Yubari ho capito che era una risorsa, le persone anziane, ricche di esperienze, sarebbero state un grande aiuto e sostegno per me, così giovane.

Odaira Namihei per Zoom Giappone

Dorme di notte? S. N. : Certo! Circa cinque ore a notte! Però mia moglie mi dice che parlo nel sonno, e siccome la sveglio, mi chiede di andare a letto prima di lei… (risata).

Le esperienze che ci ha raccontato sono un esempio e un modello per le altre città, dalle dimensioni di Yubari ? S. N. : Non so se lo sapete, ma la situazione in Giappone è peggiore di quella di Yubari. Sul sito internet della città c’è un “orologio del debito”

(www.city.yubari.lg.jp/syakintokei/index.html) che indica che riusciamo a restituire 70 yen al secondo. Il paese invece vede accelerare il rimborso a 81.500 yen al secondo. Yubari è quindi sulla via del rilancio, mentre la situazione del resto del paese è deficitaria; ma gli abitanti di

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ZOOM INCHIESTA

Si è prefissato un obiettivo preciso da raggiungere nei prossimi anni? S. N. : Un anno dopo la mia elezione, nel 2012, mi dicevano che la popolazione di Yubari si sarebbe dimezzata, arrivando a 4.000 abitanti. Bene, penso che anche qualora questo dovesse accadere, il fatto di concedere alle persone una migliore qualità di vita, permetterebbe comunque di aumentare il senso di benessere percepito. La mia missione è che le persone che sono ancora a Yubari, si considerino felici di rimanere. Mi dicevano che il lavoro del sindaco fosse di far sì che la popolazione aumentasse. È vero, la popolazione in Giappone è in diminuzione, bisogna assolutamente cambiare questa tendenza. In campagna elettorale ho sentito dire da un sindaco: “Farò aumentare la popolazione.” Questa affermazione rivela che non si è in grado di mettere in atto delle azioni politiche efficaci. Se mentre si guida un’azienda le vendite diminuiscono e si dicesse così, senza riflettere e senza delle motivazioni: “le vendite stanno aumentando ”, nessuno ci crederebbe, no? Per me il lavoro del politico è quello di cercare di creare un clima nel quale le persone siano felici. I tempi sono difficili, è vero, cerco di fare in modo che la popolazione cresca, ma anche se temporaneamente è in ribasso, io affronto il problema. C’è una questione di particolare rilievo per lei oggi? S. N. : La cosa fondamentale è la sopravvivenza della città. È vero, una città non scompare così; il Giappone non è che un piccolo paese insulare se paragonato al resto del mondo, quindi non è il momento di focalizzare le energie sulla rivalità Tokyo-Hokkaido, ma piuttosto di pensare alla “massimizzazione” dell’intero paese. Preso atto della diminuzione della popolazione, si deve riflettere sulla questione fondamentale delle durabilità: certo, sogniamo pure che la popolazione aumenti, ma i conti vanno fatti con realismo. Dobbiamo avere a cuore il benessere dei cittadini, a prescindere dal numero di abitanti, riflettere su come rendere le persone felici, su come creare situazioni di vita confortevoli. A questo non possiamo sottrarci. Ha anche progetti culturali ? La cultura per lei è un elemento determinante per favorire la stabilità della popolazione? S. N. : A causa della bancarotta, Yubari è stata la

Odaira Namihei per Zoom Giappone

Yubari sono anche cittadini della prefettura di Hokkaido, e del Giappone. Vede, anche se Yubari ritrovasse la salute, ma la prefettura o il paese no, sarebbe un bel problema... Se il Giappone volesse creare un nuovo sistema allora sì, penso che Yubari potrebbe servire da modello positivo.

Lo sfruttamento della miniera a Yubari ha dato vita al concetto di “ichizan ikka”, tanto amato dal sindaco.

città che ha subito il taglio più consistente al suo budget culturale. Arrivando da Tokyo mi sembrava ovvio invitare degli artisti a Yubari, i quali mi hanno detto: “Se volete creare un’opera d’arte a Shibuya vi trovate i vicini addosso che si lamentano del rumore, qui a Yubari, invece, i vicini vi portano da mangiare e offrono addirittura il loro aiuto”. Gli artisti erano davvero contenti di poter creare in un clima sereno: abbiamo voluto fare di Yubari un luogo di creazione e di espressione artistica. Quando i tempi si fanno difficili, l’arte può essere un mezzo importante per tenere alto il morale. Ogni anno Yubari ospita l’unico festival di cinema fantastico del paese; benché la vita sia difficile, una volta all’anno, durante il festival, ci dimentichiamo dei problemi guardando diverse centinaia di film, proiettati dalla mattina alla sera. Sa che Angelina Jolie è venuta a Yubari? E Quentin Tarantino pure! Per molti giapponesi Yubari è una città nostalgica, circondata da un’atmosfera un po’ anni ’50 ’60. Non sarebbe il caso di svecchiarla un po’? S. N. : Vi sono delle cose da abbandonare e altre invece da preservare , come il concetto di “ichizan ikka”,”una montagna, una famiglia”, che fa riferimento alla miniera di carbone. Le persone che vi lavorano non hanno obbligatoriamente dei legami di sangue, e probabilmente rischieranno di morirci in quella montagna, per un crollo, un incendio o una fuga di gas. Bevendo un bicchiere di vino, immersi in questa precarietà, si diventa una vera famiglia: “Se io muoio, conto su di te

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perché tu possa prenderti carico della mia famiglia”. Ecco quello che accadeva, ecco cosa significa “una montagna, une famiglia”. Questa è la cultura di Yubari. In una grande città non si conosce neanche il proprio vicino, la vita è facile, comoda: si può vivere senza aiutarsi a vicenda. Qui, no. Infatti, ancora oggi il concetto “una montagna, una famiglia” resta fondamentale. Ora invece le cose da cambiare sono l’idea che si possa ancora tornare a quando c’erano 100.000 abitanti, piuttosto che riflettere su come rendere felici coloro che vi sono rimasti. E su questo tutti devono fare un passo indietro e uno in avanti: dobbiamo lavorare su due fronti simultaneamente : la conservazione e il cambiamento. Ecco perché dialoghiamo con le persone dicendo:“se amate la vostra città, fate uno sforzo!”. La prima volta che ho sentito l’espressione “una montagna, una famiglia”, l’ho trovata subito molto bella ed evocativa. In cento anni, 3.000 uomini hanno perso la vita nelle miniere. Le donne si sono ritrovate sole ad allevare i loro figli. Imaginate le difficoltà, le persone dovevano per forza aiutarsi tra loro, condividendo gioie e dolori. Lo sfruttamento delle miniere è durato fino al pochi anni fa, al 1990. Quando la città ha dichiarato bancarotta, abbiamo trovato insieme il modo per superare le difficoltà, nonostante diversi ostacoli : dalla fine dello sfruttamento delle miniere al debito della città. Gli abitanti sono riusciti ad andare oltre tutto questo, quindi credo che qualsiasi cosa possa accadere, sapremo superarla. TESTIMONIANZA RACCOLTA DA O. N.


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ZOOM CULTURA CURIOSITÀ

Di cavalli e di uomini

Obihiro è l’unico luogo al mondo dove si svolgono le gare di cavalli da tiro: le corse ban’ei.

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okkaido è la regione “dei duri a morire”. Le persone che hanno scelto di viverci lo sanno bene: la valorizzazione di questo territorio alla fine XIX° secolo è avvenuta in condizioni estreme. All’epoca non si poteva ancora fare affidamento sui mezzi per agevolarsi nel lavoro o nel trasporto dei materiali. Il cavallo, si dice sia la più bella tra le conquiste umane, era dunque perfetto per aiutare a svolgere le mansioni più ardue. Ma le razze giapponesi, abituate a climi più miti, non ne erano in grado. Nel periodo storico in cui il Giappone si apriva al mondo nel tentativo di importare ciò che di meglio l’estero poteva offrire, per svilupparsi, si è avvicinato all’Europa per trovare cavalli capaci di resistere a condizioni climatiche difficili e sopportare carichi di lavoro elevati. In Francia e in Belgio i giapponesi trovarono delle razze di cavalli da tiro che erano la salvezza degli agricoltori locali. Percherons, Bretoni e Brabançons belga – circa un milione di capi - presero la strada dell’isola settentrionale del Giappone per diventare indispensabili ausili senza i quali la regione non sarebbe mai divenuta uno dei principali poli di produzione agricola del paese. Durante le feste locali, poi, venivano organizzati delle sfide, durante le quali gli agricoltori, fieri dei loro cavalli, li facevano gareggiare contro quelli degli altri in diverse prove, tra le quali una per la quale veniva scelto un tronco d’albero molto pesante, ed attaccato alle estremità del cavallo, che doveva trainarlo. Vinceva il cavallo che faceva indietreggiare l’altro. Si misurava anche la loro forza attaccandoli direttamente l’uno all’altro e spronandoli a tirare, ognuno in direzione opposta. Queste prove di forza attiravano un pubblico numeroso, impressionato dagli sforzi fatti da questi animali da tiro, abituati a trasportare diversi carichi. È da allora che il concetto di trainare prodotti pesanti ed ingombranti ha fatto nascere l’espressione “Ban’ei”, con la quale vengono chiamate oggi queste corse di cavalli, uniche nel loro genere, organizzate a Obihiro, nel cuore dell’isola settentrionale. I due caratteri cinesi “ban 輓” e “ei 曳”, utilizzati allora per esprimere l’idea di trainare oggetti pesanti. Ai nostri giorni si è rinunciato ai caratteri cinesi per utilizzare gli hiragana, ma le persone che vengono ad assistere alle corse li conoscono perfettamente, nonostante ne ignorino l’origine. Non si recano all’ippodromo per assistere alle corse dei cavalli al galoppo (noriuma), ma per

Se il primo ostacolo può essere superato con una certa facilità, è il secondo che fa la differenza.

le gare tra cavalli da tiro (banba o hikiuma). I Percherons e i Brabançons sono scomparsi per lasciare spazio a delle razze locali nate dagli incroci, che venivano inizialmente definiti mezzi-sangue (hanketsu), ma dal 2003 l’appellativo cavallo da tiro giapponese (nihon benkeishu o nichiban) è ammesso. Gareggiano ormai ogni

settimana , sulla pista di Obihiro dinanzi ad un numeroso pubblico che resta spesso a bocca aperta davanti alla carica di energia che questi cavalli – Kage, Kurige, Aoge o Ashige – dispiegano per vincere. Qui la velocità non conta, e si può soprattutto apprezzare la potenza espressa da questi animali che devono percorrere 200

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Dopo aver passato i due ostacoli più difficili, spesso gli ultimi metri vengono fatti al passo.

dieci anni). Durante la stagione si svolgono anche le corse categoria BG, riservate alle sfide tra i migliori. Ovviamente, sono quelle che registrano il maggior numero di scommesse: “Il 75 % delle vincite va ai giocatori, mentre il 25 % ai proprietari per continuare l’attività”, spiega Tokuda Naoko. Le condizioni climatiche hanno la loro influenza, ovvio; non solo la pioggia, ma in particolare il freddo estremo invernale. La pista è riscaldata e le corse avvengono anche con la neve, ma quando le temperature scendono a -20°C, le competizioni diventano epiche. Il tempo per percorrere 200 metri può variare da due minuti e mezzo fino a

COLPO DI FULMINE

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sei circa, in base alle condizioni del terreno e al clima. Alcune persone si recano all’ippodromo di Obihiro con la speranza di arricchirsi con le scommesse, ma la maggior parte del pubblico è composto da curiosi, numerose sono anche le famiglie, che vengono per le prodezze di questi magnifici animali. Molti bambini si radunano attorno al paddock, intenti a osservare questi giganti, montati dai loro fantini, mentre si avvicinano alla linea di partenza dove i carri e i loro pesi li attendono per questa spettacolare e unica prova. GABRIEL BERNARD

Million Santé: evviva!

rima di entrare nel recinto dell’ippodromo di Obihiro, gli spettatori possono fare un giro al Tokachi-mura, un centro commerciale pensato per valorizzare i ricchi e svariati prodotti regionali. È possibile anche mangiare qualcosa nei vari ristorantini, tra i quali il Tanaka, assolutamente imperdibile, non solo per la calorosa accoglienza, ma anche per la

qualità dei prodotti che spesso lo chef va a scegliere personalmente dai produttori locali. Durante il suo tour, lo chef scrive inoltre su un quaderno che mette poi a disposizione dei clienti, dove racconta, ad esempio, il procedimento per la fabbricazione della birra locale “Obihiro Beer”. Il ristorante si chiama Million Santé, termine franco-giapponese che suona

bene pronunciato in giapponese, ma il cui significato non è chiaro, quel che è chiaro è che si tratti di un’oasi di piacere. G. B. 8 Chome-1 Nishi 13-jô minami, Obihiro 080-0023 Tél. 0155-66-6778 http://million-sante.com Orari: pranzo 11.30~17 cena 18~22 Chiuso il martedì e il secondo mercoledì del mese.

Gabriel Bernard per Zoom Giappone

metri trainando dei carichi che possono arrivare fino a 740 kg nelle corse ordinarie, in base anche alla loro età. Possono salire fino a 1000 kg per le due prove principali: l’Obihiro kinen a inizio gennaio e il Ban’ei kinen a fine marzo a chiusura della stagione. Si tratta di una corsa ad ostacoli che ha la forma di due montagnole: la prima alta un metro e la seconda 1,60 m. Ovviamente, è quando i cavalli arrivano davanti quest’ultimo, a qualche decina di metri dal palo d’arrivo, che le cose accadono: spesso si bloccano lungo la salita, per recuperare un po’ di fiato, mentre il fantino li incoraggia a proseguire superando gli ostacoli. Esiste una profonda sintonia tra l’uomo e l’animale, e si vede quanto questa sia importante per la vittoria finale. È qualcosa che si può realmente avvertire quando ci si trova a bordo pista, mentre si osserva la coppia, durante i pochi minuti di durata della corsa. Questa forma di competizione unica, talvolta criticata all’estero, sulla base di qualche video su youtube, non ha nessuna intenzione di nuocere all’animale, al contrario di quanto a volte venga affermato, ha l’obiettivo di evidenziarne la potenza e la bellezza durante lo sforzo. Si possono contare circa seicento cavalli partecipanti alle competizioni che ebbero luogo per la prima volta nell’ottobre del 1947 a Asahikawa, a nord-est di Sapporo. Fino al 2006, le corse Ban’ei si svolgevano nei quattro ippodromi di Hokkaido (Obihiro, Asahikawa, Iwamizawa e Kitami), ma delle gravi difficoltà finanziarie hanno spinto le autorità a cambiarene l’organizzazione e a fare di Obihiro il centro delle gare. Lì si ritrovano i trecento proprietari dei cavalli impegnati nelle diverse corse, ed è sempre lì che si svolgono gli allenamenti quotidiani in vista delle gare che hanno luogo il sabato, la domenica e il lunedì. Tokuda Naoko, responsabile della comunicazione del campo di corse, spiega così il fenomeno: “Le corse attirano un certo tipo di pubblico; nel 2016 abbiamo avuto 267.957 visitatori e abbiamo registrato oltre 16 miliardi di yen di scommesse, contro i 14,5 miliardi dell’anno precedente. Dato che non c’è più necessità di spostarsi per scommettere, abbiamo registrato un leggero tasso di inflessione nelle presenze. Molti giocatori utilizzano piattaforme on line come Rakuten o Softbank. Ci sono anche amatori stranieri, in particolare asiatici, interessati alle nostre corse”. Prima di iniziare a scommettere è necessario conoscere quale regola di base. Le corse si svolgono sulla stessa distanza, con i due medesimi ostacoli e differiscono per il peso che i cavalli devono tirare. Gli animali vengono suddivisi in diverse categorie in base ad alcuni criteri: età, numero di partecipazioni alle corse e totale dei punti guadagnati. Le categorie C1 e C2 raggruppano quelli di tre anni, mentre le B1, B2, B3, B4, A1 e A2 sono riservate ai cavalli più anziani (quelli oltre i

Gabriel Bernard per Zoom Giappone

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Gabriel Bernard per Zoom Giappone

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ZOOM CULTURA DESTINO

Gli Ainu in modalità riconquista

Da tempo forzato a nascondere le proprie radici, il popolo indigeno si batte per continuare ad esistere.

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Laura Liverani per Zoom Giappone

on si fermano in molti a Nibutani, un villaggio rurale dell’isola di Hokkaido, a due ore di macchina a sud-est di Sapporo. Camionisti e motociclisti in viaggio verso altre destinazioni, fanno una breve sosta alla stazione di rifornimento o al drive-in, l’unico ristorante del luogo. Il villaggio, circondato da montagne e foreste, è tagliato in due dalla statale che corre parallela al Saru, fiume sacro agli Ainu, i nativi del Giappone che hanno vissuto qui per secoli. “Il popolo bianco”, come erano chiamati dagli etnografi nel secolo scorso, per via dei loro tratti caucasici, sono ancora poco conosciuti al di fuori del Giappone. Originari delle isole di Hokkaido e Sakhalin, che ora fa parte della Russia, furono colonizzati dai giapponesi nell’era Meiji. Nella prima metà del XX secolo vennero quasi completamente assimilati, religione e lingua furono bandite, la terra sottratta. Si stima che oggi in Giappone vi siano circa 25.000 discendenti degli Ainu, dei quali la maggior parte vive ad Hokkaido. Questo dato tuttavia non si può verificare: molti di loro preferiscono nascondere le loro origini, per evitare di essere discriminati. I tratti etnici sono adesso meno visibili, spesso impossibili da

riconoscere, dopo più di un secolo di unioni con i giapponesi. Ricordati principalmente per le labbra tatuate delle donne ed il sacrificio rituale dell’orso, gli Ainu ancora oggi combattono per essere totalmente riconosciuti. In occasione dei giochi olimpici del 2020, si stanno battendo per ottenere un riconoscimento completo, in Giappone e all’estero, in una continua lotta contro l’invisibilità. Gli Ainu hanno ottenuto lo status ufficiale di popolo indigeno del Giappone solo nel 2008, dopo una storia di assimilazione forzata, che ne ha quasi del tutto cancellato società, lingua e cultura. Attualmente, individui e gruppi di tutto il Giappone sono coinvolti nella preservazione e rivitalizzazione dei vari aspetti della cultura ainu, tra cui la lingua. Oggi, Nibutani e gli altri centri di cultura ainu, quali Shiraoi e Akan, somigliano ben poco ai posti descritti dagli antropologi nel secolo scorso. Ma le tracce del passato, tangibili ed intangibili, visibili ed invisibili, sono ancora lì. I tatuaggi e le barbe lunghe non sono più una consuetudine, e gli Ainu oggi guidano i fuoristrada; ma si arrampicano ancora sulle montagne per raccogliere piante selvatiche, cacciare cervi o occasionalmente orsi, secondo i dettami dell’Ainu Puri, la filosofia indigena che regola la loro vita quotidiana. Monbetsu, originario di Biratori, è un cacciatore professionista di circa trent’anni. Quasi ogni giorno

Maya, a sinistra, in compagnia di suo padre Kenji è fiera delle sue origini ainu. 16 ZOOM GIAPPONE N. 9 marzo - giugno 2018

all’alba guida la sua Jeep nella nebbia delle montagne per cacciare cervi, indossando la pelliccia di un orso che ha ucciso e scuoiato lui stesso. La casa prefabbricata in cui vive con la moglie e le due figlie è piena di trofei di caccia. Le pelli e le ossa di cervi ed orsi diventano oggetti di tutti i giorni, come tappeti e coltelli, mentre teschi e corna di cervo decorano le pareti. Secondo la religione animista degli Ainu, gli umani non sono superiori agli altri esseri viventi ed elementi della natura. Piante, animali, oggetti e fenomeni naturali sono tutti Kamuy, incarnazioni divine. Prima che una pianta venga colta o una trota pescata, gli umani devono ringraziare i Kamuy per aver dato loro di che nutrirsi. L’anziana ainu Yukiko Kaizawa è chiamata da tutti gli abitanti di Nibutani, Okasan, che significa madre. La si incontra spesso per le montagne mentre raccoglie piante selvatiche commestibili come il Kitopiro, il “porro degli Ainu”. Attrezzata con scarponi da trekking, coltello e campanello per tenere lontani gli orsi, rimuove con mano sicura la corteccia dagli olmi per il suo Attush, una tessitura tradizionale. Il piccolo prefabbricato verde dove tesse e tinge le fibre dell’albero, sospese nel suo laboratorio come in una foresta primordiale, è anche un luogo di incontro per familiari e amici. Per molti anni Yukiko ha insegnato l’Ainu Puri alla nipote diciassettenne Maya, orgogliosa di essere una Ainu. Contrariamente alla generazione che l’ha preceduta, non ha mai subito bullismo o discriminazioni per il suo essere “diversa”. Molti Ainu, soltanto una generazione prima, nascondevano le proprie origini, per rivelarsi solamente una volta trentenni o quarantenni. La madre di Maya è Ainu, mentre suo padre Kenji non lo è. Kenji Sekine si era fermato a Nibutani vent’anni prima, durante un viaggio in moto attraverso tutto il paese, e non è mai ripartito: ha sposato una donna Ainu ed è diventato parte della comunità, a tal punto che oggi la sua vita è totalmente dedicata alla rivitalizzazione della lingua ainu, ormai in grave rischio di estinzione. Dopo aver imparato l’ainu da autodidatta, oggi lo insegna ai bambini del villaggio e partecipa a trasmissioni radiofoniche educative in lingua, il cui recupero resta una delle principali questioni per questa popolazione. I musei di Hokkaido sono forse il modo più semplice per entrare in contatto con gli Ainu e la loro cultura. Nibutani ospita due importanti musei di storia dei nativi giapponesi, tra cui quello fondato dall’attivista Shigeru Kayano, il primo Ainu ad essere eletto nella Dieta nazionale. Shiraoi, non distante da Sapporo, e Akan, a due ore di pullman da Kushiro, sono i due più importanti siti turistici Ainu. Qui, il turismo a tema


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La cise, abitazione tradizionale ainu che Urakawa Haruzo ha costruito nella prefettura di Chiba, a est di Tokyo.

Laura Liverani per Zoom Giappone

indigeno era già popolare negli anni ‘50. Gli abitanti di Shiraioi e Akan hanno ricostruito i Kotan, i villaggi tipici degli Ainu. Dentro alle case in paglia intrecciata, chiamate Cise, gli Ainu si esibiscono in balli e canti tradizionali e intagliano souvenir per gruppi turistici giapponesi e stranieri. Il museo di Porotokotan si appresta a diventare un’istituzione nazionale e prevede di raggiungere il milione di visitatori entro il 2020. Per molti Ainu il turismo è l’unico mezzo per diffondere la propria cultura. Alcuni però criticano queste pratiche perché trasformano l’identità ainu allo scopo di compiacere i turisti. Altri hanno un approccio del tutto diverso: è il caso di Oki Kano, una delle figure più interessanti del panorama musicale contemporaneo Ainu. Abile suonatore di Tonkori, lo strumento tradizionale, Kano sperimenta liberamente altre forme sonore; da solo o con la sua Oki Dub Ainu Band, ha registrato numerosi album, è apparso nelle TV nazionali e ha organizzato tour oltremare. La cultura Ainu influenza profondamente i villaggi e le comunità in Hokkaido. “Che tu sia o no un Ainu, questo villaggio è un villaggio ainu. Quelli che vivono qui non possono scegliere se essere o non essere Ainu”. Secondo Maki Kaizawa, donna ainu di Nibutani, anche i non-Ainu, o Wajin, hanno assorbito in modo naturale lo stile di vita nativo. Diversi Wajin arrivano ad Hokkaido per imparare a vivere come gli indigeni. Jun, un giapponese di Tokyo, si è trasferito a Nibutani e ha formato una famiglia. Lui, come molti altri, ha lasciato la città all’indomani del disastro nucleare di Fukushima. Sognava una nuova vita, più vicina alla natura, e l’ha trovata nel modo di vivere degli Ainu. Tra i primi Wajin ad unirsi alla comunità dei nativi ci sono i Takano, arrivati a Nibutani negli anni ‘60 per diventare abili artigiani ainu. Si sono integrati a tal punto che sono stati l’ultima famiglia del villaggio a praticare il sacrificio rituale dell’orso, lo Iomante, con la partecipazione di tutto il villaggio. lo Iomante è un rito complesso e non più praticato. Implicava l’adozione e il successivo sacrificio di un cucciolo d’orso. L’orso era inizialmente allevato come un membro della famiglia: gli veniva dato un nome e veniva trattato come uno dei bambini. Prima che diventasse adulto veniva sacrificato per “rimandare il suo spirito” nel mondo degli dei. L’orso veniva ucciso con frecce e successivamente scuoiato e mangiato. Il suo teschio era adornato e piantato su una lancia. L’intero villaggio di Nibutani ha partecipato al sacrificio di Ponta-chan, il cucciolo dei Takano. Il teschio di Ponta è ora in mostra in uno dei musei di Nibutani. Nibutani, Shiraoi ed Akan potrebbero sembrare villaggi piccoli ed isolati, ma non solo sono importanti siti della storia e della cultura ainu, ma

Laura Liverani per Zoom Giappone

ZOOM CULTURA

Un musicista ainu con un tonkori al museo Porotokotan a Shiraoi.

sono anche ben connessi con il resto del mondo indigeno. Gli Ainu di tutto il Giappone si conoscono tra loro e sono in costante dialogo, dibattito, talvolta anche contrasto sui temi dell’attivismo politico e culturale. Condividono le loro conoscenze ed attività tanto attraverso un’estesa rete di social media, quanto con eventi ed iniziative

locali. Alcuni gruppi Ainu hanno stabilito contatti con altre comunità indigene del mondo, organizzando scambi culturali con gruppi Maori e di nativi americani. Non ci sono più frontiere, il piccolo Kotan Ainu è diventato un villaggio globale. LAURA LIVERANI

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ZOOM CULTURA IDEE

Ritorno alle origini per Ikezawa

Originario di Hokkaido, Ikezawa Natsuki ci spiega le ragioni per cui è legato alla sua terra natale.

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omanziere, saggista, traduttore dal greco e dall’inglese, critico letterario, Ikezawa Natsuki è nato nel 1945 sull’isola di Hokkaido. È considerato come uno degli scrittori giapponesi più attivi della sua generazione. Studiò fisica e in seguito, continuando al tempo stesso a scrivere poemi e critiche letterarie, cominciò a tradurre autori quali Kurt Vonnegut, John Updike, Jack Kerouac, Richard Brautigan. Viaggiatore appassionato e interessato alla civiltà greca, soggiornò nel Paese ellenico tra il 1975 e il 1978. Di ritorno in Giappone, tradusse i sottotitoli dei film di Theo Angelopoulos. Nel 1984 pubblicò il suo primo romanzo Natsu no asa no seisôken (letteralmente “La stratosfera dei mattini estivi”, tradotto in italiano come “L’uomo che fece ritorno” e pubblicato da Einaudi) adattamento personale di Robinson Crosue, poi, nel 1987, La Vita immobile, coronato dal prestigioso premio Akutagawa, di cui sarà poi membro della giuria per diversi anni. Successivamente, il suo talento è stato coronato da numerosi altri premi letterari: il Tanizaki per Mashiasu Giri no shikkyaku (La Caduta di Mathias Giri, non tradotto in italiano), il Premio Mainichi per “Hana o hakobu imôto” (La sorella che portava dei fiori). Nel 1994 andò a vivere a Okinawa da dove poté esaminare il mondo grazie al suo proverbiale sguardo “decentrato”, che lui stesso definì come un modo di “analizzare la civiltà contemporanea da un punto di vista primitivo”. Immediatamente dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, pubblicò quotidianamente, sotto forma di saggio e con il titolo “Benvenuti in questo nuovo mondo”, le sue riflessioni sull’evoluzione della società. Continuò questa pubblicazione fino al 2003. Nel 2002, dopo un soggiorno in Irak, pubblicò sul web, in lettura libera, “Su un piccolo ponte in Irak”, racconto di viaggio per “sapere su chi cadranno le bombe se giungesse una guerra”. Dopo un soggiorno in Francia, a Fontainebleau, tra il 2004 e il 2008, ritornó in Giappone nel suo “paese natale”: Hokkaido. L’“Antologia personale della letteratura mondiale” in 30 volumi che diresse tra il 2007 e il 2011 presso le edizioni Kawade Shobô Shinsha, incontrò un successo tale che l’editore stesso gli propose di pubblicare la sua “Antologia personale della letteratura giapponese”: i 30 volumi vennero pubblicati tra il 2014 e il 2018.

Lei viene da Hokkaido… IKEZAWA Natsuki : sono nato un mese dopo la fine della guerra su quest’isola, considerata e governata per molto tempo come una semi-colonia: é stata riconosciuta come parte integrante della nazione giapponese appena poco più di cinquant’anni fa. I miei antenati erano contadini. Lasciarono il centro del Paese per migrare in questo luogo alla periferia dell’impero. Il fatto che sia nato su quest’isola colonizzata non è estraneo alla volontà che ho sempre avuto di esaminare il Giappone mantenendo una certa distanza dal suo centro. Per questo ho viaggiato un po’ ovunque nel mondo e, qui in Giappone, ho scelto di vivere a Okinawa e poi qui a Hokkaido. Il « ritorno » a Hokkaido è anche dovuto alla mia età: non sono più molto giovane e ho avvertito un’attrazione per un luogo vicino alla mia terra natale, Obihiro. Non amo Tokyo, ma la centralizzazione generale fa sì che debba recarmici piuttosto spesso (per incontrare gli editori, per partecipare a programmi alla radio o in televisione, ecc. ) così mi organizzo per restare nella capitale il meno possibile. Le mie giornate in questo modo sono troppo piene e alla fine sono esausto. Così torno a casa mia lamentandomi del fatto che Tokyo sia una città stressante, cosciente tuttavia della mia parte di responsabilità…

Copertina del romanzo "Shizuka na daichi " (Terra tranquilla)

Nel 2003 ha pubblicato un romanzo sul trasferimento dei coloni giapponesi sull’isola di Hokkaido. Fu prima di andarci a vivere… I. N. : Shizuka na daichi (Terra tranquilla) parla dei miei antenati, del ramo familiare materno (il

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mio bisnonno e suo fratello) venuti a Shizunai per lavorare in una fattoria. Ho sentito parlare della loro storia fin dall’infanzia: ciò che viene definita « la mitologia di famiglia ». Quando sono diventato scrittore, ho subito avuto il desiderio di scrivere su questa vicenda, ma non volevo che la mia poca esperienza mi facesse fallire nell’impresa. Alla fine, nel 2001, quando l’Asahi Shimbun mi propose di pubblicare un romanzo a puntate, decisi che fosse tempo di lanciarmi nell’avventura e scrivere questo romanzo. La serie fu pubblicata tra il giugno del 2001 e l’agosto del 2002, il libro uscì poi in libreria nel settembre 2003. Per riassumere rapidamente queste 600 pagine, diciamo che si tratta della storia di due fratelli emigrati dalle isole Awaji, a sud di Kobe, a Hokkaido. I due costruirono una grande fattoria nel territorio degli Ainu. La storia si svolge all’inizio dell’era Meiji (1868-1912), circa un secolo e mezzo fa. Riguarda persone che, sebbene non avessero valicato le frontiere nazionali, si ritrovarono in un luogo che all’epoca era una sorta di colonia interna, dal clima e dalla cultura completamente diverse da quelle a cui erano avvezzi. Su queste terre i due fratelli hanno dato inizio a una forma d’agricoltura simile a quella praticata in certe regioni americane. Questo romanzo sembra avere un valore particolare per Lei, fra le sue opere. Le ha d’altra parte permesso di vincere premi letterari quali il Premio Shiba Ryôtarô nel 2003 o il Premio Shinran nel 2004, riconoscimenti che ricompensano più un genere di lavoro letterario, che un libro in particolare. I. N. : Si tratta della storia dei miei antenati, si tratta quindi di un materiale di base per me particolarmente prezioso. La scrittura ha rinforzato questo sentimento di appartenenza, l’idea di sentirmi un « uomo di Hokkaido ». Inoltre, è stata la prima volta in cui mi sono cimentato in ciò che si può definire un romanzo storico: una finzione basata su fatti reali. Riflettendoci in maniera retrospettiva, vedo un interrogativo generale che permea l’insieme del mio lavoro e ruota su ciò che i giapponesi pensano e su come reagiscono quando incontrano all’estero una cultura diversa. Mi accorgo che ho spesso scritto storie nelle quali faccio immergere un(a) giapponese in una cultura straniera e descrivo le sue reazioni. In fondo, sono convinto che, fra tutti i fenomeni che possiamo osservare oggi nel mondo, il movimento delle popolazioni è uno dei principali argomenti che la letteratura dovrebbe trattare. Mi interesso molto alla sorte delle persone che devono lasciare il loro


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ZOOM CULTURA

Come presenterebbe, in qualche frase, la storia della sua isola e la sua attuale situazione? I. N. : Nella seconda metà del XIX secolo, l’esploratore Takeshiro Matsuura, disegnò delle mappe precise dell’isola, che allora si chiamava Ezo, e dell’isola di Sakhaline. L’esploratore aveva anche messo in guardia sul rischio di sterminio che pesava sugli Ainu, minacciati dal governo del clan Matsumae. Dopo la Restaurazione di Meiji, nel 1896, partecipò al programma di disboscamento e sfruttamento territoriale di Ezo, ma malgrado il rispetto di cui godeva, la sua proposta di rinunciare al sistema fino a quel momento imposto dai Matsumae, non venne accettata dal nuovo governo di Meiji. Questo sistema faceva sì che agli Ainu non fosse concessa nessuna opportunità di partecipare all’amministrazione del proprio territorio. Matsuura si dimise, rinunciò ai suoi titoli e rientrò a Tokyo. Non ritornò mai più a Hokkaido. Gli Ainu furono relegati a statuto di kyûdojin, ossia di «antichi nativi», abolito soltanto nel 1997. Hokkaido è stata una colonia giapponese, nel senso letterale del termine nipponico, shoku-min-chi = terra dove si insedia una popolazione: uomini condannati all’esilio, samurai di classe inferiore originari delle regioni del nordest, vinti della guerra civile Boshin, avventurieri ambiziosi ma privi di mezzi, pronti a tutto per ricominciare in una terra nuova, figli privati di eredità in quanto secondogeniti, questa popolazione eterogenea rappresenta i nostri antenati di Hokkaido. L’isola veniva trattata diversamente dagli altri territori: il fatto che non sia una prefettura nella suddivisione amministrativa giapponese non ne è che un’ulteriore prova. Altro esempio: al Ministero del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti, esiste un dipartimento per la pianificazione del territorio di Hokkaido, poiché l’isola viene considerata un territorio in via di sviluppo… Fino a una certa epoca, i suoi abitanti erano dispensati dalla leva militare. D’altra parte, è proprio per beneficiare di questo sistema che il grande scrittore Natsume Sôseki si iscrisse presso lo stato civile di Hokkaido , evitando così di venire arruolato… Per il poter centrale, Hokkaido pare essere rimasto sempre un territorio di serie B. Negli ultimi atti della Guerra del Pacifico, Okinawa e Iwo Jima furono i soli posti in Giappone dove si è combattuto a terra. In tre mesi, sono morte più di 240.000 persone, più della metà erano civili o coscritti di Okinawa, ma quello che voglio evidenziare è che, fra i soldati inviati al fronte dalle altre regioni del Giappone, è stata proprio Hokkaido a patire il più alto numero di vittime: più di

Washio Kazuhiko

luogo di nascita, diventare migranti, esiliati, persone sradicate dai posti d’origine, rifugiati, sia per ragioni economiche che politiche.

Nel suo romanzo “Shizukana daichi”, lo scrittore evoca la “colonizzazione” di Hokkaido.

10.000 morti, il doppio rispetto a Fukuoka, seconda in questa triste classifica. Cosciente del fatto che molti non sarebbero tornati, il governo ha inviato comunque al fronte i soldati di Hokkaido come « carne da macello ». Per dirla francamente, la vita della gente dell’isola aveva ben poco valore per il potere centrale. Dall’epoca Meiji in poi, ho la sensazione che la popolazione insediata a Hokkaido abbia lavorato molto. Arrivata su quest’isola lontana, sopportando il freddo glaciale, questa gente ha saputo costruire

una società che non ha nulla da invidiare a quella delle altre zone giapponesi. Nella classifica dei redditi delle diverse regioni, l’isola è oggi alla trentesima posizione. Sebbene la distribuzione dei beni debba affrontare diverse problematiche e l’industria pesante peni ad insediarsi, l’agricoltura, l’allevamento o la pesca, che sfruttano le ricche risorse naturali, permettono invece all’isola di elevarsi al primo posto fra le regioni giapponesi per quanto riguarda l’autosufficienza alimentare.

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Sono passati quindici anni dal suo romanzo e nel frattempo si è trasferito a Hokkaido. Ha la sensazione che le cose siano cambiate per quest’isola? La sua relazione col potere centrale, il rapporto generale del governo giapponese quanto alla politica regionale? I. N.: Il Giappone è una nazione in cui tutti i capitali e tutto il sistema finanziario sono concentrati a Tokyo, per cui non mi sembra vi sia alcun cambiamento, mi pare addirittura che la centralizzazione si sia fatta ancora più importante. Per quanto riguarda gli Ainu, credo invece che si assista a un’evoluzione. Per esempio, all’università di Sapporo si è instaurata una « discriminazione positiva» a favore degli studenti Ainu. La creazione di un centro destinato a presentare la loro cultura è in fase di progettazione e spero sia un luogo culturale di qualità, viste le competenze di numerose persone che ci lavorano. È vero tuttavia che le differenze rimangono importanti per quanto riguarda il tenore di vita e il livello degli studi. Rispetto alla storia del Giappone, Hokkaido è una regione relativamente giovane, ma oggi è quella che ospita la popolazione più anziana. Come mai i giovani vanno via? I. N. : Si tratta di un problema fondamentale che purtroppo tocca l’insieme del Giappone, non soltanto Hokkaido. JR Hokkaido moltiplica la soppressione delle linee ferroviarie, cosa ne pensa? I. N. : La società JR Hokkaido subisce un forte deficit. Dal momento che l’isola è molto vasta e meno popolata rispetto al resto del Giappone, la gestione d’impresa è poco redditizia. Nel 1987, in occasione dello smembramento e della privatizzazione della società nazionale delle ferrovie JNR (Japan National Railways), lo Stato ha versato una dotazione ad ogni società regionale che avrebbe dovuto gestire la nuova impresa grazie ai dividendi ottenuti da quella somma, ma la politica di abbassamento dei tassi d’interesse bancari ha reso impossibile ottenere dei benefici con quegli investimenti.

Washio Kazuhiko

ZOOM CULTURA

Ikezawa Natsuki denuncia le negligenze del governo giapponese verso Hokkaido.

JR Hokkaido si è ritrovata così a corto di fondi, di conseguenza la qualità della manutenzione dei treni è peggiorata, gli incidenti si sono moltiplicati e oggi non si parla d’altro che di soppressione di linee. Eppure nelle nostre società contemporanee, la libera circolazione non è forse uno dei diritti umani fondamentali? Le persone che vengono a vivere qui pensano di poter disporre di stazioni, di treni che circolano. Garantire alla popolazione i mezzi per recarsi al lavoro o a scuola o all’ospedale, non è forse un dovere dello Stato verso i suoi cittadini? L’articolo 25 della Costituzione indica «il diritto di condurre una vita in buona salute e culturalmente ricca ». Anche se per il potere centrale Hokkaido è una terra lontana, per quelli che ci vivono è il centro dell’universo. Hokkaido sembra essere una location amata dai cineasti. Yamada Yôji, ad esempio, ha girato qui diversi film (Kazoku, Otoko wa tsurai yo, Harukanaru yama no yobigoe, etc.)… I. N.: Credo che l’isola sia stata scelta perché offre

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una grande varietà di paesaggi, diversi da quelli delle altre isole giapponesi. Deve essere anche più facile rispetto ad altri luoghi dell’arcipelago ottenere le autorizzazioni per filmare e collaborare con le istituzioni locali. Approfitto del fatto che tocchiate questa questione per segnalare che in Giappone, il sostegno finanziario al cinema, come alla produzione culturale in generale, resta purtroppo uno dei più bassi fra quelli dei Paesi sviluppati. Recentemente, un giovane regista di talento, Damien Odoul, autore di un film in preparazione ispirato ad uno dei miei racconti, «L’uomo che fece ritorno » (Kaettekita otoko), era entusiasta di aver trovato diverse location adatte e incontrato sull’isola persone davvero accoglienti. Odoul, col quale partii in ricognizione a Hokkaido, ha dovuto alla fine rinunciare a filmare certe scene del lungometraggio per mancanza di appoggi finanziari da parte del governo giapponese. In seguito, pare abbia invece raggiunto degli accordi per filmare in Cina… INTERVISTA REALIZZATA DA CORINNE QUENTIN


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ZOOM CUCINA TERRITORIO

Un’altra patria del formaggio

A Shintoku, Miyajima Nozomu ha realizzato il suo sogno di produrre un “autentico formaggio giapponese”.

Odaira Namihei per Zoom Giappone

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Miyajima Nozomu è una agricoltore militante che difende il territorio. Ha creato Kyodo Gakusha.

piamente diffusi nel paese. Il gusto è stato migliorato ma non è ancora in grado di soddisfare i palati più esigenti. Ecco perché è nata una generazione di agricoltori coscienti della necessità di produrre formaggi di qualità, esattamente come si sono moltiplicati i panettieri intenzionati a produrre pane secondo metodi artigianali. A Shintoku, sempre nella famosa zona di Tokachi, abbiamo incontrato Miyajima Nozomu, a capo di un’azienda agricola dove vengono prodotte, al tempo stesso, verdure biologiche e formaggi, la cui reputazione ha ormai superato i confini di Hokkaido e del Giappone stesso. Kyodo Gakusha, questo è il nome dell’impresa, che ha anche l’obiettivo di aiutare le persone con un handicap fisico o mentale a diventare autonomi, trovando nell’agricoltura un mezzo di sostentamento. Ispirato dal padre, Shin’ichirô, che aveva cominciato questo programma di cooperazione nella prefettura di Nagano, scelse di creare la sua azienda nella regione di Tokachi, circa 40 anni fa. “Il mio obbiettivo era cominciare una nuova vita con mia moglie e mia figlia. Avevamo allora sei capi di bestiame e sei collaboratori”, ricorda, contemplando i vasti terreni ormai di sua proprietà, 110 ettari coltivati senza alcun concime chimico e un allevamento composto perlopiù da Brown Swiss, il cui latte si rivela perfetto per raggiungere l’obiettivo che Nozomu si è prefissato: produrre un “autentico formaggio giapponese”. Miyajima Nozomu è partito da una semplice constatazione : se la produzione casearia giapponese continuava ad essere in mano agli industriali del settore, ci sarebbero state poche possibilità perché

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Odaira Namihei per Zoom Giappone

erra agricola per eccellenza, Hokkaido produce pressapoco tutto ciò che si può trovare sulla tavola di una famiglia giapponese contemporanea. Forse perché Hokkaido è stata tardivamente valorizzata dalle autorità, qui vengono prodotti alimenti che non sempre hanno fatto parte della dieta tradizionale giapponese. Tokachi è una delle zone più fertili: vi si trovano persino dei viticoltori, nonostante la durezza del clima e delle temperature. Vedere dei vigneti sotto la neve per buona parte dell’anno è uno spettacolo piuttosto inconsueto, ma questo non impedisce che numerosi appassionati di vini nipponici si rechino fino a Ikeda, a est di Obihiro, per procurarsi qualche bottiglia di Château Ikeda. La produzione non è ancora ai livelli di quella di Koshu, ai piedi del monte Fuji, ma, iniziata appena una cinquantina di anni fa, beneficia già di una discreta reputazione fra gli amanti del rosso. I Giapponesi sanno che il vino gode di un’eccellente alleanza con il formaggio. A forza di viaggiare, di vedere dei reportage alla televisione o di guardare film francesi, in cui sono frequenti le scene a tavola con pasti che finiscono inevitabilmente con una fetta di formaggio - il popolo nipponico ha voluto copiare questi Occidentali riconosciuti come fini gourmet e amanti dei piaceri della tavola. In passato, i più snob o coloro che volevano gustare la « versione orginale » di questo alimento, si recavano nei reparti alimentari dei grandi magazzini della capitale, o in certe drogherie raffinate, come Meidi-ya, per acquistare prodotti caseari provenienti direttamente dalla Francia. Ma il prezzo era spesso elevato. I meno ricchi o i meno esigenti si accontentavano così dei formaggi made in Japan, in particolare un camembert industriale fabbricato a Hokkaido per i giganti dell’alimentazione, quali Meiji ou Yukijirushi. La scelta del luogo di produzione era ovvia, poiché è in questa parte del Giappone che si trova il più grande numero di mucche da latte. Tuttavia, sebbene fosse un prodotto dal gusto discreto, la consistenza di questo camembert giapponese non somigliava affatto al camembert originale, nemmeno a quello dei grandi marchi industriali come Lactalis e la sua famosa marca President. Confezionati in scatole bianche di latta o di plastica, non suscitavano proprio il desiderio di addentarli. Oggi questi formaggi industriali rimangono am-

il Giappone potesse sperare di progredire in questo campo, mentre la bella regione di Hokkaido riuniva tutte le condizioni necessarie per ottenere dei formaggi degni di questo nome. Prese dunque il toro per le corna. Non sapendo come cominciare, malgrado gli studi in agricoltura portati a termine negli Stati Uniti, quest’uomo, saggiamente, partì per l’Alsazia nel 1988, per fare conoscenza con colui che cambiò la sua vita, Jean Hueber, presidente del Sindacato Inter-professionale del formaggio Munster. « Mi ha insegnato il valore del formaggio tradizionale e l’importanza del sistema di denominazione di origine protetta (DOP). Questo mi ha permesso di prendere coscienza del nostro reale potenziale. Monsieur Hueber mi ha così iniziato al mestiere. In seguito, ho ascoltato anche


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TENDENZA Un

S

Una buona parte dell’allevamento di Kyodo Gakusha è composto dalle Brown Swiss, conosciute per la qualità del loro latte.

Odaira Namihei per Zoom Giappone

i consigli di altri produttori francesi ». I risultati non si sono fatti attendere. Dopo aver intrapreso dei lavori che gli hanno permesso di creare un luogo per la mungitura e la produzione, ricorrendo il meno possibile alla meccanizzazione, è riuscito a produrre formaggi ispirati agli esempi francesi. Il suo camembert e il suo comté non hanno oggi nulla da invidiare ai DOP d’oltralpe. Miyajima Nozomu non poteva tuttavia accontentarsi di questo. Non voleva solo creare delle buone repliche di prodotti già esistenti. Il suo desiderio, da sempre, era quello di creare l’ « autentico formaggio giapponese ». Ci è riuscito e gli ha dato il nome di Sakura, o ciliegio, per via dei petali dell’ ezoyama sakura, un’essenza reperibile solo a Hokkaido, che dona al formaggio un sapore unico. Questo successo gli è valso nel 2004 la medaglia d’oro al concorso internazionale di Appenzell, in Svizzera. Nel 2008, i capi di Stato del G8, riuniti presso il lago Toyako, hanno potuto gustare i suoi prodotti, e dal 2012 la compagnia aerea Japan Airlines li propone ai passeggeri di prima classe. Ha creato in seguito il Sakagura, un formaggio agli aromi di sakè, che solo la casa imperiale ha il privilegio di poter gustare. Le quantità prodotte sono ancora limitate. Tuttavia, il successo non ha fatto montare la testa al nostro produttore, che mantiene un animo da militante, da difensore del territorio. Miyajima Nozomu è però preoccupato per gli accordi di libero scambio, firmato tra il Giappone e l’UE, o la nuova versione del Partenariato Trans-Pacifico, che avranno un impatto sulle importazioni dei latticini. Ecco perché moltiplica le iniziative, per meglio far scoprire i suoi formaggi e la sua produzione locale. Ha da poco aperto un ristorante nella sua tenuta. Qui si possono gustare i prodotti delle sue terre, accompagnati da birre e vini di Hokkaido. Si dice ottimista e tutti coloro che lo circondano e che, grazie a lui, hanno trovato una buona ragione per non arrendersi, sono diventati i suoi migliori ambasciatori. ODAIRA NAMIHEI

Odaira Namihei per Zoom Giappone

ZOOM CUCINA

Qui, tutti i formaggi sono realizzati a mano e beneficiano di un’attenzione tutta particolare.

sakè 100% made in Hokkaido

e per produrre un buon sakè è indispensabile avere un’ottima acqua e dei distillatori esperti, l’ingrediente principale rimane il riso. A Hokkaido, la produzione di riso è importante, in particolare il riso da tavola (uruchimai e mochigome). Per quanto riguarda il riso da sakè, invece, la regione è rimasta indietro per molto tempo, malgrado l’antica presenza di distillerie. La principale fra queste,

Kobayashi, aprì le porte a Sapporo nel 1878, quella di Asahikawa, Takasago, iniziò la sua attività nel 1899. Il clima duro, che regna per buona parte dell’anno sull’isola, è propizio alla fermentazione del sakè. Bisognava dunque che i produttori locali di riso si impegnassero nel miglioramento della coltura dei semi destinati alla produzione del sakè. Ci sono riusciti e oggi il

livello di qualità raggiunto è tale che le altre regioni produttrici cominciano, se non proprio a preoccuparsi, a interessarsi maggiormente all’attività di Hokkaido. Tre varietà di riso da sakè sono ormai disponibili: il ginpu, apparso nel 2000, il suisei, coltivato dal 2007, e il kitashizuku, ottenuto nel 2014. Gli sforzi fatti dai coltivatori per offrire un riso pregiato hanno permesso alle dis-

tillerie locali di proporre dei sakè la cui qualità non cessa di aumentare. Grazie soprattutto al ginpu, le distillerie di Hokkaido possono creare sempre più prodotti 100% locali. Così, presso Takasago, 70% del riso utilizzato proviene dall’isola. Un nuovo esempio delle capacità di questo territorio di trasformarsi in una regione sempre più interessante e ricca. O. N.

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zoom cucIna LIBRO

ramen ? hai detto ramen ?

Nel suo eccellente libro, Stefania Viti ci accompagna in un meraviglioso viaggio gastronomico.

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l ramen è il nuovo sushi: questa sembra essere la nuova parola d’ordine degli amanti della cucina orientale e di quella giapponese in particolare. Forse stanchi dell’essenzialità estetica e gastronomica dell’accoppiata pesce crudo/riso, gli italiani (e non solo) hanno abbracciato con passione il suo opposto. Perche` intendiamoci, non c’è niente di più diverso del sushi di questa pasta in brodo bollente e salata che, almeno in Giappone, si mangia con il risucchio, in barba all’immagine elegante e raffinata dei giapponesi. Piatto plebeo per eccellenza e relativamente economico (ne vanno matti gli studenti), il ramen è nato in Cina ma si è affermato in Giappone e da lì ha preso il volo per l’Occidente. In Italia tutte le maggiori città hanno ormai diversi ristoranti specializzati in ramen, che a seconda dei casi cercano di seguire la tradizione o si sbizzarriscono in proposte fusion e un po’ esotiche. In ogni caso gli italiani hanno bene accolto questa nuova aggiunta al nostro panorama

InformazIonI pratIche Il libro del ramen, di Stefania Viti (con la collaborazionedi miciyo Yamada) Gribaudo, 2017, 160 pagine, 16.90 €

gastronomico – anche perchè in fondo il ramen non è poi così distante da ciò che mangiamo noi. Ma come ci si raccapezza in questo mondo ancora in buona parte sconosciuto? Per chi volesse approfondire l’argomento, è appena uscito il nuovo libro di Stefania Viti, giornalista e scrittrice che la cucina giapponese conosce molto bene, avendo

vissuto e lavorato per dieci anni in Giappone. Dopo tre libri dedicati al sushi, la Viti ha deciso che era ora di fare conoscere agli italiani questo piatto unico, ed infatti la prima parte del libro è dedicata alla sua storia, alle sue varianti regionali, e perfino al rapporto tra questa pietanza e la letteratura, il cinema, e i fumetti giapponesi. Non mancano naturalmente le ricette e altre spiegazioni tecniche per aiutare i neofiti ad avvicinanrsi a questo immenso universo culinario e magari a provare a cucinarlo in proprio. L’uscita di questo libro capita proprio a fagiolo,

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perché questo numero di Zoom Giappone è dedicato ad Hokkaido, ed è proprio l’isola più settentrionale dell’arcipelago giapponese ad essere una delle più famose in fatto di ramen. Si parte dal capoluogo della prefettura, Sapporo, il cui brodo è a base di miso, ideale per far fronte ai rigidi inverni di quest’isola. Il miso ramen, fra l’altro, è nato proprio in questa città nel 1954, anche se adesso lo si trova dappertutto. Ad Hokkaido, però, si possono trovare tutte le maggiori varietà di questo piatto. Il ramen di Asahikawa, per esempio, ha un brodo a base di salsa di soia alla quale si uniscono il lardo, i frutti di mare e delle piccole sardine essiccate. Invece la piccola città di Hakodate, nell’estremo sud dell’isola, pare abbia inventato lo shio ramen, caratterizzato da un brodo a base di sale, che è più leggero del miso e della salsa di soia. Queste e altre interessanti informazioni sono contenute nel libro della Viti, oltre a dettagliate ricette per la preparazione dei vari tipi di brodo e descrizioni dei piatti serviti al Ramen Expo (la più grande fiera del ramen in Giappone) e nei ristoranti italiani Casa Ramen, Niko Niko Ramen & Sake, e Misoya. Il libro è ricco di fotografie e illustrazioni e non mancherà di incuriosire tutti gli appassionati di cucina. JEAN DEROME


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ZOOM CUCINA L A RICETTA DI HARUYO - SPECIALITÀ DI HOKKAIDO Jingisukan

MAEDA Haruyo per ZOOM Giappone

(Genghis Khan)

PREPARAZIONE 1 - Preparare la salsa mescolando la cipolla tritata, lo zenzero, la salsa di soia, il mirin e il miele. 2 - In una padella, scaldare l’olio di sesamo e far saltare la cipolla, la carota e il peperone rosso. 3 - Aggiungere il cavolo e i germi di soia, poi sale e pepe q.b.

INGREDIENTI (PER 4 PERSONE) 300 gr. di spezzatino d’agnello 1/2 cipolla tritata 4 foglie di cavolo tagliate a quadretti 1/2 carota tritata 1/2 peperone rosso tritato 30 g di germi di soia 1/4 cipolla grattugiata 1 cucchiaino da caffè di zenzero grattugiato 2 cucchiai da minestra di salsa di soia 2 cucchiai da minestra di mirin (liquore di riso) 1 cucchiaino da caffè di miele Olio, olio di sesamo, sale, pepe, sesamo tostato.

4 - Disporre in un piatto. 5 - Nella stessa padella, scaldare l’olio e soffriggere lo spezzatino d’agnello. 6 - Incorporare la salsa e lasciarla ridurre. 7 - Ricoprire con lo spezzatino e la salsa le verdure saltate e servire subito. Astuzia : si possono utilizzare diverse verdure come i funghi, gli spinaci, i broccoli. Se non trovate il mirin, potete sostituirlo con un po’ di zucchero per ottenere un gusto dolce.

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Gabriel Bernard per Zoom Giappone

Gabriel Bernard per Zoom Giappone

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La penisola di Shiretoko è iscritta nella lista del Patrimonio naturale dell’Unesco dal 2005.

SCOPERTA A

est, il richiamo della natura

Gli amanti della natura e i viaggiatori alla ricerca di terre vergini troveranno la loro meta ideale a Hokkaido.

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ndipendentemente dalla stagione che sceglierete per recarvi a Hokkaido, potete essere certi che la natura si sarà rivestita dei colori e degli scenari più belli per accogliervi. Per molti viaggiatori, l’isola settentrionale deve essere visitata durante l’inverno. È vero che certi paesaggi innevati, come il mare di Okhotsk nella morsa dei ghiacci, sono di una bellezza straordinaria. Gli amanti degli sport invernali troveranno poi in questa regione del Giappone luoghi come Asahikawa, dove i vasti comprensori sciistici non hanno nulla da invidiare alle più celebri stazioni europee. Oltre alle piste, qui l’offerta comprende anche le sorgenti termali calde e una ricca gastronomia, capaci di trasformare

il soggiorno in un’esperienza davvero originale. Nel cuore dell’isola, a Tomamu, è appena stato inaugurato il Club Med, un complesso alberghiero che renderà felici gli appassionati di sci. L’inverno è anche il momento per assistere al Festival della Neve di Sapporo (Yuki Matsuri), che si svolge, dal 1950, a inizio febbraio e permette agli scultori di ghiaccio di realizzare opere effimere, ma spesso impressionanti. Coloro che non apprezzano particolarmente la neve e le temperature talvolta molto basse della regione, non devono comunque trascurare questa parte del Giappone che, in primavera, in estate o in autunno, è comunque ricca di charme. Hokkaido è affascinante soprattutto perché la natura è ancora regina e la presenza umana non ha inflitto troppi cambiamenti. Il governo centrale si è « accorto » di Hokkaido soltanto alla fine del

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XIX secolo, la maggior parte delle attività si sono tuttavia concentrate sulla parte occidentale, lasciando il resto dell’isola ancora dominato da una natura selvaggia. È proprio questo che numerosi turisti ricercano oggi. Eppure raramente pensano alla seconda isola dell’arcipelago, nonostante disponga di tutte le attrattive desiderate. Hokkaido Est, Doto per chi la conosce bene, è l’area che meglio rappresenta questo trionfo di natura vergine. Qualche strada e una sola linea ferroviaria - la JR Senmo - sono sufficienti per esplorare la regione e lanciarsi in un’avventura ricca d’emozioni. Abashiri, celebre per aver ospitato il penitenziario più severo dell’arcipelago, ormai aperto al pubblico, è un buon punto di partenza. È da questa città portuale che partono i treni della linea Senmo in direzione di Kushiro. Il convoglio percorre per qualche chilometro il tratto di costa


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sul mare di Okhotsk. A seconda delle stagioni e del momento della giornata scelto, questo mare sa mostrare volti contrastanti, dalle onde rabbiose a una calma piatta quasi angosciante. È tempo di scendere alla stazione di Shiretoko Shari, porta d’ingresso verso la penisola di Shiretoko, iscritta dal 2005 nelle liste del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Un taxi o un autobus vi condurrà fino a Utoro in una quarantina di minuti. Il porticciolo è una tappa d’obbligo. Qui si trovano i principali hotel della penisola come il Grand Hotel Shiretoko Kita Kobushi (www.shiretoko.co.jp/en/), per i viaggiatori alla ricerca di confort lussuoso, o la Shucho no ie (www.big-hokkaido.com/shuuchoo-no-ie), una pensione tenuta dalla signora Umezawa, che difende con fascino e fermezza le sue origini Ainu. La maggior parte delle strutture dispongono di sorgenti d’acqua calda, in modo da rendere ancora più piacevole il soggiorno, soprattutto dopo le lunghe passeggiate in mezzo alla foresta, alla ricerca di paesaggi suggestivi o di animali che non si ha l’abitudine di vedere sotto altre latitudini. A una decina di minuti dal porto si trova il Centro Informazioni del Parco Nazionale di Shi-

Una famiglia di gru sulle rive del fiume in prossimità del lago Mashu.

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Discesa del fiume Kushiro in canoa.

Numerosi orsi bruni vivono nella penisola di Shiretoko, dove gli animali si possono osservare facilmente.

retoko (8h-17h30 dal 20 aprile al 20 ottobre e 9h16h dal 21 ottobre al 19 aprile) dove conviene fare una tappa prima di avventurarsi sui diversi sentieri circostanti. Oltre agli spazi espositivi, alle aree dedicate al riposo e alla ristorazione, vi si trovano delle

mappe e qualche accessorio utile da affittare, quali binocoli (500 yen al giorno) o ancora spray repulsivi contro gli orsi (1000 yen al giorno). È raro incontrarne sui sentieri intorno, ma non si sa mai…Per osservarli, è meglio optare per una gita in barca.

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Un’aquila di mare survola il mare di Okhotsk, gelato nel periodo più freddo dell’inverno, verso fine febbraio.

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Tutti i giorni alle 8h30 e alle 15h30, in partenza dal porto di Utoro (www.kamuiwakka.jp), le escursioni in barca, della durata di circa due ore, permettono di andare, in tutta sicurezza, alla ricerca degli orsi bruni che vengono a pescare in prossimità della battigia. Lo spettacolo è affascinante, soprattutto perché gli scenari sono impressionanti, tra cascate e scogliere mozzafiato. La sera sono organizzate delle escursioni per gli appassionati di fauna notturna, come volpi o cervi e, naturalmente, alzando gli occhi al cielo, si potrà facilmente ammirare la volta celeste con le sue numerose stelle, uno spettacolo ormai raro nei nostri cieli, a causa dell’inquinamento luminoso. Se questi primi incontri con la natura di Shiretoko non vi bastano, dovete recarvi a Rausu, dall’altro lato della penisola. Qui sono organizzate altre minicrociere, questa volta l’obiettivo è quello di ammirare le balene. La compagnia Shiretoko Nature Cruise organizza due volte al giorno (9h e 13h, 8 000 yen, www.e-shiretoko.com) uscite in mare di circa due ore e mezza, nel corso delle quali non è raro vedere orche e balene. Un po’ più a sud, la visita a piedi della penisola di Notsuke, accessibile soltanto in barca, è un’esperienza che riserva svariate sorprese, soprattutto quando le foche, numerose in questa zona, decidono di entrare in scena. Lasciando la costa e avventurandosi nell’entroterra, Doto non finisce di stupire. Gli animali sono ancora onnipresenti. Non è raro vedere dal finestrino di un treno o dell’autobus, a seconda del mezzo, delle gru. In inverno, stagione degli amori per questi maestosi trampolieri, lo spettacolo è spesso grandioso. La stazione di Kayanuma sulla linea Senmo, è uno dei luoghi privilegiati per osservarli, così come lo Tsurumidai, uno spazio dove circa 200 gru trascorrono la stagione invernale, raggiungibile in autobus partendo da Kushiro (tragitto di 55 minuti). Il resto dell’anno, questi uccelli fanno la loro apparizione quando meno lo si aspetta, offrendo attimi di grazia. Le montagne, i laghi, i vulcani, portano anch’essi la loro dose di emozioni ai visitatori. Essendo sfuggiti allo sviluppo del turismo di massa nell’arcipelago, tutti questi luoghi hanno conservato la loro originale bellezza. Ad ogni nuova tappa, si cede invariabilmente allo charme di questa natura talvolta aspra come il monte Iô, definito dagli Ainu Atosanupuri, che significa « montagna nuda ». In effetti, il suo aspetto desolato contrasta con la natura lussureggiante che circonda altre cime nella regione, quali il monte Akan o il Kamui. Il monte Io poi, sfruttato per molti anni per i suoi giacimenti di zolfo dall’ odore acre, è un’attrazione turistica per le sue attività minerarie davvero impressionanti. La presenza di questi vulcani indica che, nei dintorni, si trovano sorgenti d’acqua calda. Il sito più celebre della regione è Kawayu onsen, che dispone di una stazione sulla famosa linea Senmô. Si può

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Al tramonto, sul mare di Okhotsk, i pescatori di salmone si preparano ad uscire.

scegliere di fare una pausa al Kinkiyu Hotel (http://kinkiyu.com), la struttura più importante di questa stazione termale, che conosce, da qualche anno ormai, un abbassamento dei flussi turistici. È un vero peccato perché il luogo si trova al centro di uno dei paesaggi più belli del Giappone, come affermano numerose guide. Se si preferisce un luogo più discreto o si è interessati a immergersi nella cultura Ainu, l’appuntamento è a Kotan, a una ventina di minuti in taxi da Kawayu onsen. Esistono dei bus per arrivarci, ma sono poco frequenti. Il miglior modo per trascorrervi una notte è un soggiorno al Marukibune (https://marukibune.jimdo.com) dove conviene anche cenare, per assistere a una delle frequenti animazioni musicali serali. Appena dietro l’hotel si trova una zona termale che ha come cornice il lago Kussharo e le montagne che lo circondano. All’alba o al tramonto, immergersi nelle sue acque tiepide si rivelerà un momento indimenticabile. Più a sud, la vasta pianura paludosa di Kushiro Shit-

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sugen può essere visitata in canoa. Quest’ultimo luogo concentra l’incredibile diversità della natura di Doto. Esistono numerose possibilità di fare escursioni sul fiume Kushiro, dove, ancora una volta, la fauna e la flora potranno riservare qualche piacevole sorpresa. Avrete appena riposto la vostra pagaia che già vorrete ripartire alla scoperta di questa Hokkaido così originale. GABRIEL BERNARD

PER ARRIVARE DA TOKYO, la maniera più semplice è prendere l’areo fino all’aeroporto di Memanbetsu. ANA e JAL propongono voli in partenza da Haneda. Gli autobus vi porteranno tre volte al giorno (9h25, 13h30 e 15h30) verso Abashiri (910 yen) o a Utoro (3 300 yen). In alternativa potrete prendere un taxi. DA SAPPORO, l’express Okhotsk vi trasporterà fino a Abashiri in circa 5 ore di treno (9 910 yen). Un servizio di autobus notturni (partenza 23h15, arrivo 6h45) garantisce il collegamento con Utoro (8 230 yen).


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