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gratuito - numero 12 dicembre 2018 - marzo 2019
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Rugby
La Coppa del Mondo è in arrivo!
2019 RWC
zOOM EdItOrIALE L O SGUARDO DI ERIC RECHSTEINER
Dopo i Mondiali di calcio organizzati con la Corea del Sud nel 2002, il Giappone accoglierà l’anno prossimo la Coppa del Mondo di Rugby. L’evento rappresenterà una sorta di prova generale in vista dei Giochi Olimpici di Tokyo nel 2020. Sarà inoltre l’occasione per la squadra nazionale di conquistare una nuova popolarità presso il grande pubblico, finora moderatamente interessato al rugby e più concentrato su altre discipline quali il calcio o il baseball. La competizione permetterà poi a città e località poco conosciute di far parlare di sé. Un esempio fra tanti: Kamaishi, a nordest dell’arcipelago. Questa interessantissima città portuale nutre molte aspettative riguardo all’evento sportivo di portata LA REDAZIONE mondiale. info@zoomgiappone.info
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È il numero di giapponesi fra i sei e i diciotto anni vittime di suicidio tra l’aprile dello scorso anno e il marzo di quest’anno. Questo equivale a cinque giovanissime vittime in più rispetto all’anno precedente. La cifra, mai raggiunta da 30 anni a questa parte, suscita numerose reazioni. Le autorità promettono a breve la creazione di un sistema di monitoraggio per individuare i bambini a rischio e una campagna di sensibilizzazione.
Goto, prefettura di Nagasaki
© Eric Rechsteiner
rugby
È ormai buio e ci si riunisce su un parcheggio per partecipare a un torneo notturno di bocce. Questo sport gode di un inedito successo nell’arcipelago e tende a soppiantare il gateball, un gioco finora molto popolare presso i senior giapponesi e simile al croquet. Il gateball necessita di un terreno apposito, mentre il gioco delle bocce si può praticare ovunque, accompagnato dalla stessa convivialità che accomuna i due sport.
GEOGRAFIA
Un’isola inghiottita dalle acque
ECONOMIA Il
A nord di Hokkaido, l’isola di Esanbe Hanakita Kojima non è mai apparsa sulle mappe giapponesi e adesso ogni possibilità di esservi rappresentata è scomparsa. A un livello di 1,4 metri sopra il mare, l’isola era disabitata, ma era stata oggetto di un censimento ed aveva ricevuto un nome nel 2014, quando il governo aveva deciso di stilare la lista di tutti i suoi territori nel contesto di conflitti territoriali con i Paesi vicini.
Per rilanciare l’economia e animato dalla volontà di rinforzare le infrastrutture esistenti, il Primo Ministro Shinzo Abe intende investire somme particolarmente ingenti al fine di inaugurare nuovi cantieri per grandi opere. Per raggiungere l’obiettivo, ci sono in gioco 10.000 miliardi di yen (più di 77 miliardi di euro). I recenti scismi che hanno colpito le regioni di Osaka e di Hokkaido non sono estranei alla decisione del governo.
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tempo delle grandi opere
British Library
zOOM INCHIEStA
Nell’edizione del 10 aprile 1874, The Graphic riporta lo svolgimento di una partita di rugby avvenuta a Yokohama, all’ombra del monte Fuji.
Il regno del pallone ovale è qui! Il rugby nell’arcipelago non è una novità. La Coppa del Mondo 2019 inaugurerà un nuovo capitolo.
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ra meno di un anno il Giappone accoglierà per la prima volta nella storia la Coppa del Mondo di Rugby. L’evento riveste un’importanza considerevole per le autorità poiché si tratterà di una sorta di prova generale prima dei Giochi Olimpici di Tokyo, che avranno luogo l’anno successivo. Le condizioni meteorologiche dovrebbero essere ideali per i rugbymen venuti dai quattro angoli del pianeta e per i tifosi della palla ovale. Non sarà invece così per la kermesse olimpica che si svolgerà nel pieno dell’estate, con temperature torride poco propizie alla pratica sportiva.
Dopo che quest’anno il termometro ha registrato durante l’estate delle temperature record, fino a 40°, numerose voci si sono fatte sentire per denunciare la scelta di organizzare i Giochi Olimpici nella stagione estiva, ricordando che i Giochi del 1964 si erano svolti in ottobre, più o meno lo stesso periodo in cui si svolgerà la Coppa del Mondo di rugby. L’organizzazione di quest’ultima nell’arcipelago nipponico segna una svolta importante nella storia dello sport. Il rugby è conosciuto in Giappone da più di 150 anni, anche se la sua pratica è cominciata un po’ più tardi. Secondo un’illustrazione pubblicata nell’edizione del 10 aprile 1874 del settimanale inglese The Graphic, infatti, dei match di rugby venivano organizzati a Yokohama, a sud di Tokyo. La città portuale diventò il luogo di riferimento per i giapponesi interessati a scoprire le novità giunte
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dall’estero. È qui che il commodoro Perry, venuto a reclamare l’apertura dei porti nipponici al commercio internazionale, presentò a una folla stupefatta il primo treno in miniatura. Fra i regali portati dall’americano fu quello che “impressionò maggiormente i Giapponesi”, scrisse uno dei membri dell'equipaggio sul suo diario. “Decine di giapponesi erano riuniti attorno al circuito e non si stancavano di osservare il trenino compiere i suoi giri. Non potevano reprimere dei gridi di gioia ogni volta che la locomotiva emetteva un fischio sonoro”. Se si analizza da vicino l’immagine pubblicata sulla rivista britannica, si può notare lo stesso appassionato interesse da parte del pubblico nipponico in abiti tradizionali verso la partita di rugby giocata dai membri dello Yohohama Football Club, esistente in città almeno fin dal 1866, secondo certi archivi.
Un articolo apparso in quell’anno sul Japan Times indica che “più di quaranta persone hanno manifestato il desiderio di sostenere il Football Club. Inoltre, la presenza di due o tre giocatori originari di Rugby e di Winchester, permettono di credere che saremo in grado di giocare secondo le regole”. Il riferimento alla città di Rugby, dove William Web Ellis, un giorno del 1823, decise di correre col pallone fra le braccia, dimostra che lo Yohohama Football Club è davvero una squadra di rugby. Queste due prove provenienti dalla stampa rimettono in discussione la storia ufficiale, che vorrebbe che la pratica del pallone ovale fosse giunta in Giappone grazie a Edward Branwell Clarke ed al suo omologo giapponese Tanaka Ginnosuke. I due avrebbero introdotto il rugby all’università di Keio nel 1899, ossia 25 anni dopo il match commentato da The Graphic e 33 anni dopo la creazione dello Yokohama Football Club. Come sottolinea con malizia Mike Galbraith, specialista dell’argomento e autore della prima storia del rugby in Giappone, opera pubblicata nel 1987, tutto è avvenuto addirittura prima della nascita dei due eroi del rugby nell’arcipelago. Altre testimonianze giunte dalla stampa locale accreditano il fatto che il rugby fosse praticato regolarmente e che, di conseguenza, i giapponesi non abbiano scoperto il gioco alla fine del XIXo secolo, ma siano stati al contrario dei pionieri nel suo sviluppo. Certo, il suo successo non è stato folgorante come per altre discipline sportive straniere scoperte all’epoca, a cominciare dal baseball, la cui prima partita venne giocata nel 1873 alla Kasei Gakko, diventata in seguito l’università di Tokyo. La creazione du un campionato professionista nel 1934 all’iniziativa del guru della stampa Shoriki Matsutaro, permise di cambiare radicalmente il destino di questa disciplina e di far nascere le prime star sportive. Il rugby rimase confinato all’ambiente universitario e a quello delle imprese. Un destino simile lo ebbe il football finché, agli inizi degli anni Novanta, la professionalizzazione dello sport determinò una svolta fondamentale, accompagnata da un forte aumento della popolarità. L’esempio del calcio e del suo successo devono oggi interrogare i responsabili del rugby nipponico, alla ricerca di un nuovo slancio nel momento in cui la squadra nazionale, i “Fiori di ciliegio”, comincia a raggiungere risultati interessanti. La vittoria dei giapponesi 34 a 32 sui sudafricani durante la Coppa del Mondo 2015, ha valso non soltanto l’ammirazione dei fan di rugby di tutto il mondo, ma soprattutto ha permesso ai giapponesi di risvegliare la fierezza nazionale, importantissima per un Paese desideroso di esistere sulla scena internazionale. Diventando un Paese potente sul piano sportivo, come ha ancora dimostrato quest’anno in occasione della Coppa del Mondo di calcio in Russia, il Giappone si impone così come un punto di riferimento incontestabile nell’opinione pubblica mondiale. Il rugby è impor-
The Sunday Times
zOOM INCHIEStA
L’incredibile vittoria giapponese sulla squadra del Sudafrica nel 2015, sulla copertina del Sunday Times.
tante poi perché viene considerato come lo sport delle élite. D’altra parte, è uno sport i cui valori coincidono molto bene con lo spirito nipponico. Resta ora da confermare la sua importanza. La Coppa del Mondo 2019 dovrebbe essere la buona occasione per il rugby giapponese di ottenere il rango meritato e di conquistare definitivamente il pubblico locale. L’audience televisiva della squadra nazionale rimane modesta se paragonata a quella delle partite di calcio. Dopo la vittoria del 2015 sul Sudafrica, il livello di audience dei « Fiori di ciliegio » arrivò al 19% circa, mentre quella ottenuta dalla squadra
nazionale di calcio durante i Mondiali in Russia, superò durante certe partite il 55%. Naturalmente un successo ottenuto da una squadra importante, come avvenuto nel 2015, sarebbe un’ottima cosa e permetterebbe di aprire un nuovo capitolo nella storia del rugby giapponese, storia iniziata un secolo e mezzo fa all’ombra del monte Fuji, come lo ricorda l’illustrazione apparsa su The Graphic. L’appuntamento quindi è per il 20 settembre 2019 a Tokyo per i Mondiali: la partita Giappone-Russia rivelerà le ambizioni nipponiche, certamente molto elevate. ODAIRA NAMIHEI
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zOOM INCHIEStA INCONTRO
Uno sport in piena evoluzione
Esperto di rugby in Giappone, il redattore capo di Rugby magazine svela la sua analisi del gioco nel Paese del Sol levante.
I
n Giappone il rugby conta circa 120.000 affiliati, una cifra inferiore sia alle grandi nazioni dove il rugby è un’istituzione quali l’Inghilterra, la Francia o il Sudafrica, sia anche paragonato agli USA dove il rugby è lontano dall’essere inserita fra le discipline più seguite. Tuttavia, la squadra nazionale ha fatto passi da gigante e nessuno può permettersi di prenderla alla leggera. Zoom Giappone ha parlato del presente, del passato e del futuro del rugby con Tamura Kazuhiro, redattore capo del mensile Rugby Magazine. Il rugby e il baseball sono stati introdotti pressapoco alla stessa epoca, durante la metà del XIXo secolo. Come spiega che il rugby sia rimasto uno sport di nicchia rispetto al baseball ? TAMurA Kazuhiro : Il rugby è stato introdotto per la prima volta in questo Paese in ambito universitario, notoriamente all’ateneo di Keio, circa 120 anni fa e la situazione è rimasta pressoché invariata fino alla metà degli anni Sessanta. In altri termini, mentre il baseball è stato adottato dall’insieme della popolazione ed è stato dotato rapidamente di un campionato professionistico, il rugby è rimasto durante numerosi anni uno sport d’élite, praticato soprattutto dagli studenti. Negli anni Sessanta, diverse imprese hanno cominciato a creare la loro propria squadra, includendo i migliori giocatori provenienti dalle università. Siamo rimasti tuttavia a un livello corporativo. Si potrebbe affermare che nessuno fra i dirigenti della federazione volesse davvero sviluppare questo sport, e ancora meno sfidare la supremazia del baseball. Tutti sembravano soddisfatti della situazione e nessuno desiderava sul serio mettere in piedi un’organizzazione simile a quella del baseball. C’è stata un’evoluzione ? T. K. : Non esattamente. Certo, dopo il 2003, disponiamo della Top League con 16 squadre, ma si tratta sempre di un campionato corporativo: tutte le squadre sono proprietà di grandi imprese e, a parte qualche fuoriclasse straniero, solo un piccolo numero di giocatori giapponesi è rappresentata da veri professionisti. In altri termini, la maggior parte dei giocatori pratica il rugby ancora a un livello amatoriale. Gli incontri della Top League non hanno niente di paragonabile alle partite professioniste di
baseball o di calcio, ma riescono tuttavia ad attirare tra le 10.000 e 30.000 persone, e non è poco. Bisogna poi sapere che, contrariamente alle altre federazioni sportive, il successo del rugby d’impresa in Giappone non significa che otteniate più pubblicità, più diritti televisivi o più opportunità per promuovere la vostra marca. Al contrario, disporre di una squadra performante significa in sostanza spendere di più: più viaggi, più campi di allenamento, stipendi migliori per i giocatori professionisti, ecc. Se siete una grande impresa come Toshiba o Toyota, potete permettervelo, ma se non avete queste possibilità, correte il rischio di dover sciogliere la vostra squadra di rugby per via delle difficoltà finanziarie.
Nel numero di novembre, Rugby Magazine si interessava all’apertura della Top League.
Per molto tempo la squadra giapponese aveva una posizione mediocre nella classifica mondiale. Dal 2010 ha cominciato a risalire la china fino a raggiungere la top 10 dopo la sorprendente performance ottenuta durante la Coppa del Mondo 2015. Oggi, il Giappone occupa l’undicesimo posto. Cosa è successo in questo decennio ? T. K. : Prima di tutto, il livello generale della Top League lanciata nel 2003 è progressivamente migliorato. Abbiamo oggi giocatori fisicamente più forti, tecnicamente migliori, capaci di allenarsi quotidianamente. Il livello più alto delle competizioni ha attirato allenatori più qualificati e molti giocatori stranieri. Inoltre, nel 2011, alla testa della squadra nazionale è arrivato Eddie Jones. Nel 2003, era riuscito a portare l’Australia alla
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finale dei Mondiali ed era stato consulente tecnico del campione del mondo, il Sudafrica. La madre e la moglie di Jones sono entrambe giapponesi. Al momento della sua nomina poi, allenava la squadra di Suntory. Il suo impatto sul rugby giapponese è stato davvero così determinante? T. K. : Non ci sono dubbi. Quando è stato nominato, Jones ha dichiarato che il Giappone avrebbe partecipato alla Coppa del Mondo nel 2015 e che avrebbe fatto di tutto per vincere ogni partita. Dall’inizio aveva fissato un obiettivo molto ambizioso per una squadra il cui record era rappresentato da una vittoria, due match nulli, e 21 sconfitte. Ma ci credeva e vegliava a che il Giappone esprimesse appieno tutto il suo potenziale. Ad esempio, i giocatori giapponesi sono forse più minuti degli avversari, ma sono rapidi e Jones pensava che lavorando sulla loro forza, la tattica di squadra e il loro approccio mentale al gioco, avrebbero potuto superare questo handicap fisico. Il miglior successo di Jones è di aver continuato a vincere continuando a dar fiducia ai giocatori locali. Nel 2016, Jones ha lasciato il Giappone per fare l’allenatore in Inghilterra. È stato sostituito da Jamie Joseph, nato in Nuova Zelanda. Che cosa lo differenzia da Jones nell’approccio verso la squadra nazionale? T. K. : Jones era originario di un Paese, l’Australia, dove il talento puro nel rugby è inferiore a quello della Nuova Zelanda. Doveva dunque proporre agli altri allenatori australiani diverse tattiche e diversi metodi di allenamento per diminuire lo scarto di livello coi rivali. Joseph al contrario, sostiene che il Giappone debba lavorare sulla taglia e sulla forza fisica dei giocatori per diventare una squadra di prestigio mondiale. A causa di questo approccio diverso, la maniera di giocare nell’arcipelago è cambiata. Nel passato, la rapidità era la nostra arma migliore. Ora, al contrario, i nostri giocatori sono più grandi, più forti, più tarchiati, quindi meno veloci di prima. Nel passato dovevamo trovare sistemi originali, insoliti per vincere, oggi abbiamo un approccio più classico. Pensa che la cultura del rugby in Giappone sia diversa da quella degli altri paesi? T. K. : Come sapete, la società giapponese mette sempre l’accento sul lavoro di squadra: pensiamo che insieme possiamo realizzare imprese impossibili da compiere soli. Siamo ugualmente molto seri e diligenti in tutto ciò che facciamo.
zOOM INCHIEStA
Keith Davies è un allenatore con molta esperienza, che lavora in Giappone da circa 30 anni nell’ambito liceale, nelle università e nelle imprese. Critica sovente il rugby giapponese in ambito universitario per lo spreco di energie e l’assenza di risultati. Si trova d’accordo con lui? T. K. : Le cose non sono così negative come le descrive, ma in fondo ha ragione. Per esempio in passato, i professori di educazione fisica e gli allenatori giapponesi avevano tendenza a formare tutti i giocatori inseguendo lo stesso modello. Tutti venivano spinti a passare o a colpire il pallone allo stesso modo, senza considerare le caratteristiche peculiari di ciascuno. Le cose sono cambiate sotto questo aspetto, ma sarebbe comunque auspicabile chiedere più originalità nei metodi. Un altro problema è che i migliori club universitari contano dai 100 ai 150 giocatori. Se considerate che 15 ragazzi giocano a rugby, numerosi studenti non giocano sufficientemente durante i loro primi due anni, e in certi casi, mai. Molti potenziali giocatori finiscono cosi per abbandonare il rugby al termine degli studi. Inoltre, anche fra i talenti più promettenti, ci sono giovani che non vedono un avvenire particolarmente luminoso nel rugby e abbandonano il gioco per specializzarsi in medicina o recarsi presso un’altra università con un migliore dossier scolastico. C’è da dire che le scuole secondarie offrono molte poche possibilità di giocare. A questo livello infatti, tutti i tornei sono giocati secondo il sistema di eliminazione diretta: quando si perde una partita, si è fuori. Dovremmo probabilmente concepire un sistema di campionato per dare a ogni scuola più possibilità di giocare. In ogni caso, dovremmo assicurarci di non perdere gli sportivi migliori. Attualmente, sui 30 giocatori della squadra nazionale, circa un terzo fra di loro è nato all’estero, a cominciare dal capitano Michael Leitch. Nel passato, il Giappone è stato ampiamente criticato per questo, anche se diversi altri paesi (Samoa, Stati uniti, Italia, Australia, Nuova Zelanda, ecc.) fanno esattamente la stessa cosa. Cosa ne pensa?
Benjamin Parks per ZOOM Giappone
E nutriamo questa mentalità che non ci permette di lasciare la presa, mai. Di conseguenza, i giocatori vanno avanti fino al limite. Continuano a correre fino ad essere esausti. Ciò che è curioso a proposito del Giappone, è che continuiamo a utilizzare un’espressione inglese obsoleta, “no side”, per evocare la fine della partita, mentre l’espressione usata nel resto del mondo è “full time”. Per molti giapponesi la nostra espressione esprime meglio il momento in cui le due squadre si incontrano e fraternizzano al termine della partita.
Tamura Kazuhiro porta uno sguardo molto realista sull’evoluzione del rugby in Giappone.
T. K. : Ormai ci ho fatto l’abitudine (ride). È un segno dell’evoluzione della nostra epoca, suppongo. Per essere franchi, capisco queste critiche. È qualcosa che mette i Giapponesi in una posizione piuttosto scomoda. Nello stesso tempo, molti fra questi sportivi nati all’estero si sono completamente adattati alla cultura giapponese, assimilandola completamente. Prendete ad esempio il capitano Leitch. Agisce come un giapponese e parla la lingua molto meglio di numerosi locali. In fin dei conti, l’importante è che tutti siano in grado di giocare uniti in una squadra compatta per rappresentare al meglio il Giappone. Quali sono le chance per il Giappone nella prossima Coppa del Mondo 2019?
T. K. : Nel gruppo del Giappone vi sono anche l’Irlanda, la Scozia, le Samoa e la Russia. Tutti danno per scontato che batteremo le Samoa e la Russia. Tuttavia, visto che solo le due migliori squadre potranno accedere ai quarti di finale, dobbiamo trovare un modo per battere l’Irlanda o la Scozia. L’allenatore Joseph ha recentemente dichiarato che il Giappone è sulla buona strada per affrontare con successo almeno la Scozia, e sono d’accordo con lui. Dopotutto, i risultati dei nostri club e della nostra squadra nazionale sono costantemente migliorati e, naturalmente, giocheremo davanti ai nostri supporter. Suppongo che in molti saranno delusi se non riusciamo a raggiungere i quarti di finale. INTERVISTA A CURA DI GIANNI SIMONE
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zOOM INCHIEStA REPORTAGE
La palla ovale per guarire
Colpita violentemente dallo tsunami del 2011, Kamaishi ritrova speranza nel futuro grazie alla storia del rugby giapponese.
L
dalle principali rotte turistiche e commerciali, può sembrare una strana scelta per una competizione così importante. Tuttavia, Kamaishi occupa uno spazio determinante nella storia del rugby giapponese, come spiega Ichikawa Kaori, che lavora qui per l’agenzia di promozione turistica. “La nostra squadra di rugby, i Seawaves, era chiamata nel passato Shin’nitetsu (Nippon Steel) Kamaishi. Dalla fine degli anni Settanta alla metà del decennio successivo, ha ottenuto sette titoli nazionali consecutivi. La sua popolarità va dunque aldilà della regione di Tohoku”, afferma. “Quando il Giappone è stato scelto per organizzare la Coppa del Mondo 2019, il consiglio municipale di Kamaishi ha pensato che potesse essere un evento ideale per ridare fiato alle energie della regione e indicare la via per un ritorno alla normalità dopo il disastro. Nel 2014 si è quindi candidata e un anno più tardi la candidatura è stata accettata”. Il disastro a cui ha accennato la signora Ichikawa è il terremoto, seguito da un violento tsunami, che ha devastato la regione nel 2011. La catastrofe naturale ha gravemente danneggiato la città, causato più di mille vittime e aggravato le difficoltà economiche in cui versava già la regione.
Benjamin Parks per ZOOM Giappone
a maggior parte delle persone che arriva a Kamaishi in treno affronta l’ultima tappa del viaggio seguendo la magnifica linea Kamaishi, una ferrovia di 90 chilometri che serpeggia lungo profonde vallate ricoperte di dense foreste di cedri e di faggi. I passeggeri sono invitati a sognare, a ripercorrere il tempo all’indietro, all’epoca in cui Miyazawa Kenji, autore di Una notte sul treno della Via Lattea (Marsilio Editore), viveva in questa regione. La realtà si ripresenta bruscamente una volta usciti dalla stazione di Kamaishi. Chi giunge qui è accolto dalla bruttezza delle officine della Nippon Steel e della Sumitomo Metal, con le loro ciminiere fumanti che regalano una coltre nerastra a un cielo già grigio. Questo complesso tentacolare ricorda la passata gloria industriale della città. In effetti è qui che, nel 1857, il primo altoforno del Giappone fu acceso, inaugurando la produzione moderna di acciaio in Giappone.
La reputazione di Kamaishi in quanto “città dell’acciaio” le ha portato contemporaneamente fortuna e malasorte. Ad esempio, in ragione del suo importante ruolo durante la Seconda Guerra Mondiale, le sue industrie siderurgiche, i suoi magazzini e le sue cisterne di petrolio furono fra i bersagli principali della marina americana. Dall’altro lato Kamaishi ha giocato un ruolo importante nello sviluppo economico del Paese dopo la guerra e la città ha prosperato fino alla metà degli anni Ottanta, con una popolazione prossima ai 100.000 abitanti. Oggi tutto questo non è che un lontano ricordo. L’economia locale è crollata dopo la chiusura delle acciaierie nel 1988, portando con sé una perdita lenta ma irreversibile della ricchezza e delle risorse umane. Oggi, a Kamaishi vivono meno di 35.000 persone e ci sono pochi segnali positivi per sperare che questa tendenza negativa possa essere invertita in un futuro prossimo. Sono arrivato qui da Tokyo, per constatare come la città si stia preparando alla Coppa del mondo di Rugby, attesa per il 2019. Kamaishi è in effetti una delle dodici località scelte per accogliere l’evento sportivo. Questa cittadina situata sulla costa nord-est del Giappone (Tohoku), lontano
Situata nel nord-est dell’arcipelago, la cittadina accoglierà due partite della Coppa del Mondo 2019, fra queste Fiji-Uruguay. 8 zOOM GIAPPONE N. 12 dicembre 2018 - marzo 2019
Sfortunatamente per Kamaishi, come molte altre grandi e piccole comunità disperse lungo la costa di Sanriku, non era la prima volta che la natura si accaniva contro la città. La tragedia che ha colpito la regione sette anni fa, è stata infatti l’ultima di una lunga lista di catastrofi, susseguitesi nei secoli. Senza risalire il tempo a epoche troppo lontane, un sisma di magnitudo 8,5 si produsse nel 1896, seguito da uno tsunami di 30 metri. Il terremoto e l’onda mostruosa distrussero 9000 abitazioni e causarono almeno 22000 morti. La duplice catastrofe - terremoto e tsunami - si riprodusse nel 1933 e la città fu nuovamente paralizzata nel 1960, a causa di uno tsnami provocato dal terribile seisma di Valdivia in Cile, il terremoto più potente mai registrato. La tragedia del 2011 è stata, in un certo senso, ancora più traumatizzante poiché gli abitanti erano convinti di essere finalmente al riparo dal pericolo. “Appena due anni prima era stata costruita una diga frangi-flutti per proteggere la costa” ricorda Ichikawa Kaori. “ Era lunga 950 metri e profonda 63. Erano stati necessari tre decenni per vedere l’opera terminata, e la costruzione era costata 170 miliardi di yen. Persino il Guinness dei Primati l’aveva riconosciuto come il frangiflutti più grande del mondo. Nonostante ciò, l’11 marzo del 2011, le onde l’hanno facilmente travolto e hanno potuto continuare la loro corsa mortale verso la nostra città”. Nata a Kamaishi, Ichikawa Kaori ha trascorso quasi tutta la sua vita nella città natale. Dal 2011 partecipa agli sforzi locali per la ricostruzione. A fianco di altre tre donne è attualmente responsabile del Rugby Café Kamaishi, uno spazio ludico situato all’interno del centro commerciale Sea Plaza. Qui ci si può immergere nella gloria passata della squadra locale di rugby. Kaori ricorda che lo tsunami ha travolto l’edificio quando il fiume vicino è straripato. Siccome lei e la sua famiglia vivono a ovest della città, sono fortunatamente scampati al disastro, ma molti fra i suoi amici, non hanno avuto la stessa chance. “Dopo l’11 marzo abbiamo dovuto ripensare al nostro approccio alla vita qui, poiché, come sapete, in questa regione non si tratta di valutare se un nuovo tsunami arriverà, ma quando” aggiunge. “Alcuni abitanti volevano erigere barriere più alte, altri hanno pensato che fosse soltanto uno spreco di denaro e che tutti avrebbero dovuto rinunciare a vivere vicino al mare e spostarsi all’interno, sulle colline. In definitiva, ognuno dei membri della nostra comunità dovrà scegliere come proseguire la propria vita”. Il giorno della nostra visita, una quindicina di persone è riunita davanti ad un grande televisore per seguire gli attacchi dei Seawaves impegnati in una partita nel Kyushu, a sud del paese. La squadra ha perso le due prime partite della
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Inaugurato il 19 agosto, il Kamaishi Recovery Memorial Stadium potrà accogliere fino a 16.000 spettatori. dicembre 2018 - marzo 2019 N. 12 zOOM GIAPPONE 9
stagione, questo match è quindi decisivo. Per fortuna, dopo una partenza lenta, il team riesce a portare a termine quattro azioni e a battere facilmente i Kyuden Voltex, 30 a 10. Nell’ottobre del 2012, rugby e terremoto hanno avuto un incontro piuttosto sgradevole. Durante una partita contro i Seawaves, un giocatore di Tokyo, Yokogawa Musashino, si è rivolto agli avversari di Kamaishi esclamando: “il terremoto vi ha resi pazzi?”. Il giocatore è stato escluso dalle partite per un mese dalla sua squadra, quest’ultima ha presentato scuse ufficiali e sospeso temporaneamente le uscite. Una volta il match concluso, passeggiamo nel centro città, situato alle spalle del porto. Tutto sembra pulito e ordinato, niente può far pensare alla catastrofe avvenuta qui nel 2011. Niente più macerie, né segni rossi, visibili in quei giorni terribili, sugli edifici già esaminati dalle unità di soccorso alla ricerca di vittime e sopravvissuti. Chiamiamo un taxi per raggiungere il nuovo stadio di rugby. Il Kamaishi Recovery Memorial Stadium ha ufficialmente aperto i battenti il 19 agosto scorso, con un evento speciale che comprendeva diverse partite di dimostrazione. Lo stadio ha una capacità di 6000 spettatori, ma saranno installati 10.000 posti supplementari per le due partite ospitate dalla città durante i Mondiali: Fiji contro Uruguay e Namibia contro il vincitore del ripescaggio, ancora sconosciuto. La prima cosa che si nota è che la struttura è stata edificata vicino alla foce del fiume, un posto assai pericoloso tenuto conto del rischio costante di tsunami. “In effetti, qui si trovavano le scuole elementari e medie” spiega Ichikawa Kaori. “Per fortuna tutti gli allievi avevano seguito un training in caso di catastrofe. Così, nel momento stesso in cui venne udita l’allerta tsunami, i ragazzi lasciarono le classi e i luoghi vicini prima che l’onda travolgesse gli edifici. Lo stadio è stato costruito qui in memoria della tragedia. Come potete constatare, una barriera anti-inondazioni è stata edificata per proteggere l’area dagli tsunami. Inoltre, dietro lo stadio, tre sentieri conducono alla sommità della collina e possono essere utilizzati come via d’emergenza. Non lontano dallo stadio è stata ricostruita la stazione. Dovrebbe essere pienamente operativa a partire dal marzo prossimo” ci spiega Kaori. Di ritorno all’hotel, discuto con la giovane receptionist e le pongo alcune domande sui prossimi Mondiali. “La mia generazione non ha alcun ricordo dell’epoca in cui la squadra ha ottenuto i suoi premi” riconosce. “Non siamo cresciuti con un entusiasmo particolare nei confronti del rugby. Questo sport non fa particolarmente parte delle nostre vite”. Aldilà della preferenza di ciascuno verso il rugby, il problema principale è che lo stadio è costato la bellezza di tre miliardi di yen, un fardello finanziario enorme per una città che si riprende appena dal
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Dall’alto dei suoi 48,5 metri, la statua del Dai-Kannon domina la baia di Kamaishi.
disastro. “All’inizio, il progetto ha suscitato numerose critiche da parte di persone convinte che ci fossero priorità più importanti, servizi più urgenti da rimettere in moto” ammette Kaori. “Abbiamo però cominciato a ricevere sempre più messaggi di simpatia, solidarietà e incoraggiamento da tutto il Giappone e i biglietti per le due partite dei Mondiali si sono esauriti rapidamente. Alla fine, anche le persone contrarie alla costruzione dello stadio sembrano aver cambiato idea. Le generazioni più giovani non sanno nulla dei giorni di gloria del rugby a Kamaishi ma, per molti fra noi, l’importante è mostrare ai nostri figli che la città si sta rialzando e che loro di conseguenza potranno essere fieri di farne parte”. L’indomani mattina mi inerpico su una delle colline che circondano Kamaishi per avere una vista migliore sulla città e sull’area colpita dallo tsunami. Dal mio punto di osservazione, posso scorgere il tempio Dai-Kannon, la cui statua alta
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48,5 metri domina la baia. Eretta nel 1970, la statua in cemento armato simboleggia la sicurezza marittima. Oggi, il suo biancore contrasta con le diverse sfumature di grigio del mare e del cielo nuvoloso. In questa domenica il porto sembra calmo, ma quattro o cinque navi si sono riunite nelle acque profonde della baia. “Vengono probabilmente in zona a rifugiarsi” racconta il tassista che mi ha portato qui. “Meglio affrontare le intemperie qui che in mare aperto” dice, mentre il bollettino metereologico annuncia l’arrivo di un potente tifone. Succede talvolta che in Giappone si viva su una sorta di bomba a orologeria; questi ultimi anni sono stati segnati da numerose catastrofi, naturali o provocate dall’uomo. Prima di salire sul treno che mi riporterà a casa, rivolgo un cenno di ammirazione al coraggio e alla determinazione degli abitanti di Kamaishi. JEAN DEROME
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Vincere la prova
Per il comitato organizzativo della Coppa del Mondo 2019, la competizione comincia su ottime basi.
A
Le premesse sono buone? Nicholas van Santen : Le cose si svolgono come previsto e, per certi aspetti, siamo in anticipo sulla nostra agenda, in particolare per quanto riguarda la vendita dei biglietti. Avevamo un totale di 1,8 milioni di biglietti da vendere, come in Inghilterra nel 2015, ma la domanda è stata davvero impressionante. Alla fine credo venderemo circa 600.000 biglietti ai supporter stranieri e 1,2 milioni di biglietti ai giapponesi, ovvero l’equivalente dell’1% della popolazione dell’arcipelago. Abbiamo fiducia sul fatto che negli stadi non vi sarà nessun posto vuoto! Aldilà di questo, 12 stadi e 52 strutture per ospitare le squadre sono già pronti, così come è pronto un solido programma di sponsor. Per il nostro programma di volontari No-Side Team, eravamo alla ricerca di 10.000 persone, ma grazie ai legami coi club di rugby e grazie alla nostra cooperazione con gli organizzatori dei Giochi Olimpici di Tokyo 2020, abbiamo ricevuto 38.000 candidature ripartite nell’insieme delle città che ospiteranno i match. Detto questo, non vogliamo cantare vittoria troppo presto poiché gli imprevisti sono sempre possibili, e vogliamo essere pronti ad affrontare ogni evenienza. Il comitato organizzativo è preoccupato riguardo l’arrivo in forza di migliaia e migliaia di tifosi? N. v. S. : È una buona domanda. Prima di tutto, permettetemi di dire che siamo entusiasti di vedere tanti fan stranieri potersi rendere in tutte queste regioni del Giappone e non soltanto nei tradizionali luoghi turistici. La cosa importante poi, è che la Coppa del Mondo attirerà visitatori di Paesi sotto-rappresentati nel mercato turistico giapponese: Irlanda, Francia, Inghilterra, Nuova Zelanda. Molti di questi viaggiatori verranno in Giappone per la prima volta. Allo stesso tempo, come l’avrete notato, ci sono luoghi che non sono abituati a gestire un così importante flusso di turisti stranieri, sebbene lavoriamo in stretta collaborazione con le città in questione. Queste località desiderano beneficiare del miglior impatto economico possibile, e non soltanto per le sei settimane in cui si terrà il torneo. È una sfida che cogliamo e che vogliamo vincere.
2019 RWC
meno di un anno dall’attesissima prima partita dei mondiali di Rugby 2019, Zoom Giappone incontra Nicholas Van Santen, responsabile della comunicazione internazionale del comitato organizzativo, per fare il punto della situazione.
Ren-G, le mascotte ufficiali della Coppa del Mondo di Rugby 2019.
Secondo Lei, perché il Giappone è stato scelto per organizzare i prossimi Mondiali di rugby ? N. v. S. : Penso che le esigenze internazionali del rugby abbiano individuato un’opportunità importante nell’andare oltre i feudi classici dello sport, in Europa o nell’emisfero sud. Il mercato asiatico è potenzialmente enorme. Non c’era miglior porta d’ingresso del Giappone, Paese dotato di una lunga e solida storia legata a questo sport. Abbiamo così messo in piedi il progetto Asia One Million, parte del programma Impact Beyond. Abbiamo così potuto conquistare circa 900.000 giovani asiatici che hanno avuto la possibilità di familiarizzare con il rugby. Può raccontarci qualcosa di più riguardo al programma Impact Beyond? N. v. S. : Impact Beyond è stato lanciato nel 2013 come una misura strategica emanata dai dirigenti del rugby internazionale e diretta a sviluppare questo sport su scala mondiale, fornendo una piattaforma affinché donne e uomini di ogni età familiarizzino col gioco. La creazione di una cultura radicata e durevole è uno dei pilastri centrali nella pianificazione di eventi maggiori per la federazione e il programma Impact Beyond gioca un ruolo fondamentale nella crescita internazionale di questo sport. Oggi, soltanto in Giappone, abbiamo più di 230.000 nuovi iniziati al rugby. D’altra parte, il tag “rugby” fa parte di un programma di educazione fisica presente in 1982 scuole situate nelle città ospitanti. Inoltre, un totale di 9.603 insegnanti ha ottenuto un diploma dopo aver ricevuto una formazione ed è ormai qualificato per animare le sessioni dedicate a questo sport. Come ho detto, l’interesse crescente per il rugby in Asia è stato uno delle principali motivazioni
per organizzare la competizione in Giappone. Il programma Impact Beyond è al centro della Coppa del Mondo 2019. Non soltanto il continente asiatico è il più popolato e il più giovane del mondo, ma un rapporto recente pubblicato da Nielsen sottolinea che esistono più fan di rugby in Asia -112 milioni - rispetto al resto del mondo. La Cina (33 milioni), l’India (25 milioni) e il Giappone (14 milioni) si classificano fra i primi dieci paesi al mondo. Può dare qualche informazione in più riguardo ai volontari? N. v. S. : Si tratta di un’impresa enorme. Proprio in questo momento ci rechiamo in ogni città interessata dai Mondiali per organizzare dei colloqui e scegliere così i candidati migliori. I volontari saranno distribuiti su tutte le tappe del torneo e occuperanno diverse funzioni: lo scambio di informazioni, le consegne per responsabilizzare i tifosi e la soluzione di svariati piccoli problemi. Cosa ancora più importante, i volontari agiranno come ambasciatori del Giappone per assicurare ai tifosi un’esperienza meravigliosa e libera da imprevisti. Saranno gli araldi del torneo e rappresenteranno i valori del rugby e dell’ospitalità giapponese. Quale sarà secondo Lei, il principale problema che dovrà affrontare il team di volontari? N. v. S. : Ci concentriamo soprattutto sul problema linguistico. Dobbiamo assicurarci che i volontari dispongano di competenze linguistiche adeguate per aiutare i supporter. In realtà, ho l’impressione che la conoscenza dell’inglese sia abbastanza buona in Giappone quindi, una volta che i volontari avranno maturato fiducia nelle loro capacità, tutto andrà bene. INTERVISTA A CURA DI J. D.
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zOOM CULtUrA LIBRI Il
nuovo libro di Yumoto Kazumi
Una giornata scialba come tante altre, interrotta dallo squillo del telefono: è così che Chiaki scopre che la signora Yanagi, sua vecchia padrona di casa nei brevi anni trascorsi da bambina alla residenza del Pioppo, è morta. È così che comincia Lettere d’autunno (Atmosphere libri, pp. 150, € 15) il libro per ragazzi di Yumoto Kazumi, già autrice del pluripremiato Amici, una storia delicata nella quale
l’autrice affronta con garbo il tema della morte e della sua accettazione. Sola e solitaria, da poco licenziatasi dall’ospedale in cui lavorava come infermiera, Chiaki d’istinto parte per andare a porgere il suo ultimo saluto alla conoscente. Il suo, in realtà, è anche un viaggio nel tempo nel quale ripercorre con la memoria il lutto per il padre scomparso improvvisamente quando lei era ancora bambina e l’adolescenza travagliata. E rivive anche l’incontro/scontro con la signora Yanagi, le ore trascorse assieme e la promessa dell’anziana di portare con sé nell’aldilà le lettere che Chiaki scriveva al padre. In una nota che accompagna l’opera, nel tratteggiare le figure della sua bisnonna e della sua nonna materne, la stessa autrice sottolinea con tenerezza il naturale fluire della vita, malgrado tutto e malgrado tutti: più che lasciarci sovrastare dalla sofferenza per la dipartita di chi amiamo, dovremmo custodirne la memoria dei gesti, delle parole, delle speranze.
MOSTRA Kimono
a roma
L’Istituto Giapponese di Cultura di roma ospita fino al 19 gennaio 2019 Kimono ovvero l’arte d’indossar storie. L’abito fa il monaco, il
bambino, il giapponese, il fiore, come spiegano le quattro sezioni della mostra, ispirate a religione, infanzia, tradizione e natura, che vanno dipanando intrecci narrativi e icone su tessuto. dalla collezione privata Manavello, in collaborazione con il Museo delle Civiltà di roma, una selezione di pregiati kimono uomo/donna/bambino della prima metà del secolo scorso mostra risvolti (sociali), strascichi (antropologici) e storie, tessute, ricamate, tinte in filo e in capo, accompagnate da ikebana delle scuole Ikenobo, Ohara e Sogetsu. Via Antonio Gramsci 74, Roma Tel. 06 322 4794 Lunedì-venerdì 9:00-12:30/13:30-18:30, sabato 9:30-13:00
FOTOGRAFIA
E’ un legame che negli anni ha visto scambi e confronti di tipo economico, ma anche culturale, quello tra la provincia veneta di treviso e la città giapponese di Ichinomiya: l’ultima iniziativa che le ha viste fianco a fianco è stata la mostra “Patchwork, l’arte che unisce: treviso incontra il Giappone” organizzata dall’associazione trevigiana Patchwork Idea, che si è svolta al Palazzo dei trecento di treviso dal 17 al 30 novembre ed ha affiancato a
una sessantina di opere italiane, quindici opere nipponiche. Non solo, una piccola delegazione di artiste di Ichinomiya ha raggiunto e incontrato le colleghe venete, scambiando saperi e opinioni su una forma d’arte che è diffusa in tutto il mondo ed è coltivata soprattutto da donne. La mostra di Patchwork Idea ha rappresentato l’opportunità per rinnovare un patto di amicizia che lega le due città dal 2013, stretto a seguito dell’intensificarsi dei rapporti economici e culturali sviluppati a partire dal 2005 con in occasione dell'esposizione universale di Aichi. Per informazioni: www.patchworkidea.net
VoidTokyo a trieste
Il Civico Museo d’Arte Orientale di trieste ospita fino al 6 gennaio 2019 Voidtokyo, una rassegna dei fotografi dell’omonimo collettivo, selezionata da Claudia Colecchia, responsabile della Fototeca e delle Biblioteche dei Civici Musei di Storia ed Arte con la collaborazione del conservatore del Civico Museo d’Arte Orientale Michela Messina. Voidtokyo è un collettivo di undici street
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MOSTRA Patchwork
photographer giapponesi che narra, attraverso lo sguardo fotografico, gli enormi cambiamenti che sta vivendo la capitale del paese in vista delle Olimpiadi del 2020. Lo sguardo del collettivo è rivolto al vuoto della tokyo contemporanea, una metropoli proiettata nel futuro. I fotografi di Voidtokyo sono accomunati da una visione molto personale della street
photography, in grado di raccontare la città in un cupo bianco e nero che si rifà alla scuola giapponese di Eikoh Hosoe. La rassegna espone le opere dei fondatori del collettivo tatsuo Suzuki e tadashi Onishi insieme a Hiroki Fujitani, Naoki Iwao, Yukari Unleash Sasaki, Keiichi Ichikawa, tadashi Yamashita, Ash Shinya Kawaoto, Kawara Chan, Miho Okawa, So Sasaki. Via S. Sebastiano 1, Trieste Govedì-domenica, 10:00-17:00
zOOM CULtUrA UKIYO-E
MANGA Shinkai
Hokusai e Hiroshige a Bologna
Al Museo Civico Archeologico di Bologna, fino al 3 marzo 2019, le opere dei due più grandi maestri del “mondo fluttuante”: Katsushika Hokusai (1760 – 1849) e Utagawa Hiroshige (1797 – 1858). La mostra Hokusai Hiroshige. Oltre l’onda.Capolavori dal Boston Museum of Fine Arts espone per la prima volta in Italia una selezione straordinaria di oltre 250 opere provenienti dal museo americano. Il progetto, suddiviso in sette sezioni tematiche, è curato da rossella Menegazzo e Sarah E. thompson. L’esposizione è intesa come un proseguimento delle iniziative avviate nel 2016 per il 150° anniversario delle relazioni bilaterali ItaliaGiappone. Gli anni trenta
MOSTRA Bronzi
dell’Ottocento segnarono l’apice della produzione ukiyoe. tra questi spiccò
da subito Hokusai, artista e personalità fuori dalle righe che seppe rappresentare con forza, drammaticità e sinteticità insieme i luoghi e i volti, oltre che il carattere e le credenze della società del suo tempo. I soggetti delle sue stampe coprono ogni
in italiano
ambito dello scibile: dalle bellezze paesaggistiche e naturalistiche dell’arcipelago, compresi piante e animali veri o leggendari, fino alla rappresentazione di personaggi famosi e luoghi della tradizione letteraria e poetica, passando per i ritratti di cortigiane dei quartieri di piacere e di famosi attori di kabuki. Più giovane di circa vent’anni rispetto a Hokusai, Hiroshige divenne un nome celebre della pittura ukiyoe grazie a una serie che illustrava la grande via che collegava Edo (l’antico nome di tokyo) a Kyoto. Si trattava delle Cinquantatre stazioni di posta della tokaido. Museo Civico Archeologico di Bologna,via dell’Archiginnasio 2, Bologna 9:00-18:00, chiuso il martedì
asiatici a Genova
Il Museo Chiossone espone fino al 13 gennaio 2019 Cibo per gli Antenati, Fiori per gli dèi. trasformazioni dei bronzi arcaistici in Cina e Giappone. Il museo genovese custodisce le collezioni d’arte giapponese e cinese del professor Edoardo Chiossone e consentono di
studiare sia la storia dell’arte giapponese sia le relazioni culturali e
artistiche fra Cina e Giappone. A questo riguardo la collezione di manufatti in bronzo e metallo è particolarmente importante: i pezzi arcaistici cinesi databili dalla dinastia Song Meridionale (1127-1279) fino alla fine del secolo XIX, importati in Giappone a cominciare dal periodo Muromachi (13931572), documentano sia il plurisecolare interesse cinese per le antichità, sia il gusto giapponese, coltivato dall’aristocrazia militare e dai maestri del tè, di collezionare vasi cinesi in bronzo per comporre i fiori. I bronzi cinesi in stile arcaistico importati nell’arcipelago giapponese
Makoto
dal secolo VII fino al XIX erano destinati essenzialmente alla corte imperiale, ai grandi monasteri buddhisti e, dalla fine del secolo XIII in avanti, anche all’aristocrazia militare. In Giappone queste opere d’importazione appartenevano alla speciale categoria dei karamono kodo, ‘oggetti cinesi in bronzo’ avidamente ricercati, collezionati e custoditi dall’élite politica durante i periodi Muromachi (13931572), Momoyama (15731600) ed Edo (1600-1868). Piazzale Giuseppe Mazzini 4, Genova Martedì-venerdì 9:00-18.30; sabato e domenica 9.30-18.30 lunedì chiuso
Ognuno ha le sue buone ragioni per sfuggire a una routine che non sente propria: è questo che takao intuisce quando conosce per caso una giovane donna più grande di lui. di lei non sa nulla – se non che ama la birra, la cioccolata, la poesia e che, come lui, si rifugia nel parco durante le mattine di pioggia. Quello che era nato come un incontro fortuito diviene presto un’abitudine, e i silenzi si trapuntano di frasi brevi e piccole gentilezze della durata di un temporale. Eppure, a prima vista, i due sembrano così diversi: l’una è una giovane donna dall’impeccabile aspetto professionale, l’altro un liceale che sogna di diventare stilista di calzature; entrambi, però, condividono lo stesso bisogno di trovare un luogo che li possa accogliere, anche solo per breve tempo. E così, fra goccia e goccia, lo spazio fra loro si colma di sguardi e di speranze. Chi ha visto Il giardino delle parole, il mediometraggio di Shinkai Makoto del 2013, sa già come va a finire. Chi però volesse affiancare alla visione del film un’esperienza di lettura, lo può fare non con uno ma addirittura con due manga: il primo pubblicato da Edizioni Star Comics e il secondo (in versione
ampliata) da J-Pop. I volumi non hanno nulla da invidiare rispetto al prodotto cinematografico: una buona orchestrazione delle tavole e una certa cura per il dettaglio riescono, infatti, a rafforzare una sceneggiatura piuttosto semplice, ma capace di suscitare tenerezza e complicità.
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zOOM CULtUrA LUOGHI RISCOPERTI
Una nuova vita a Ueyama
Nascosto nella prefettura di Okayama, questo piccolo villaggio sta rinascendo grazie all’arrivo di persone appassionate.
Johann Fleuri per ZOOM Giappone
Q
Il loro lavoro ha permesso di restaurare quasi il 30% delle risaie in terrazzamento.
Johann Fleuri per ZOOM Giappone
uando sono arrivato per la prima volta a Ueyama ne sono rimasto profondamente colpito, non avevo mai visto un villaggio così particolare, la comunità era davvero amichevole e la natura molto presente”, confida ancora emozionato Matsubara Tetsuro, un botanico che lavorava nella ricerca e nella catalogazione delle specie vegetali per tutto il Paese, prima di scoprire questo singolare villaggio nella prefettura rurale di Okayama, nell’ovest dell’Arcipelago. Posto sulla cima di un monte, Ueyama vanta un’antica tradizione di coltivazione del riso in terrazzamenti, che risale addirittura all’epoca Nara (710-794), un momento unico nella storia del Giappone. Questa tecnica agricola però, scomoda e limitante, è entrata in declino negli anni ’70. Al momento della prima visita di Matsubara Tetsuro infatti la situazione era drammatica: “In meno di 50 anni la popolazione era bruscamente scesa, da 400 a 150 abitanti; di conseguenza molti terrazzamenti sono stati abbandonati e ricoperti di edera e bambù; lavorare la terra con queste tecniche era faticosissimo, per questo motivo all’epoca molti contadini avevano inviato i loro figli altrove a studiare, nella speranza di offrire loro un lavoro migliore. Con il passare degli anni gli anziani agricoltori sono morti, ma i loro figli non hanno seguito le stesse orme e le coltivazioni sono rimaste abbandonate”, racconta con amarezza. Matsubara Tetsuro, non riuscendo a sopportare ciò che aveva scoperto, ha radunato una squadra di volenterosi, cominciando insieme a loro a rimuovere le erbacce e a rimettere in funzione un sistema di irrigazione. Il botanico si è spinto ancora più in là, lasciando Osaka cinque anni fa, per trasferirsi insieme alla sua famiglia a Ueyama, con il proposito di rivitalizzare il borgo: “Ormai da molto tempo stavo pensando a come tornare ad amare la natura, a saperla ascoltare e a condividere questo amore in famiglia, ma non avevo mai trovato un luogo che mi spingesse fino in fondo nel condurre questo stile di vita, ad Ueyama invece ho sentito da subito questo richiamo”, ci spiega Matsubara Tetsuro. Sua moglie Kumi ci porta nel frattempo del riso coltivato a Ueyama, del sakè locale, della zuppa di miso ed infine dei yabukanzo, dei deliziosi fiori commestibili arancioni. Non sembra rimpiangere nemmeno per un istante la sua vecchia vita nella metropoli di Osaka: “qui coltivo le mie verdure, imparo molto dagli anziani
Ueyama deve molto all’investimento di Matsubara Tetsuro e Umetani Masashi.
del villaggio e trovo sempre nuovi modi di combinare quello che la natura ci offre quando devo preparare un pasto. Di certo non siamo ricchi, ma siamo più felici che mai nella nostra vita. La mia formazione è quella di botanico e qui, oltre a lavorare la terra, organizzo regolarmente dei laboratori, dove spiego come scegliere e curare piante che potranno essere poi usate per l’alimentazione, ma anche come piante officinali”, precisa Matsubara Tetsuro. La sua famiglia è ben presto diventata un esempio e ha spinto molte altre persone di Osaka, di Nara, di Tokyo e di Yamanashi ad
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unirsi alla Ueyama Shuraku, un’associazione no-profit creata nel 2011 per riportare in vita le risaie. Quesi volontari sono andati a vivere in vecchie case rimaste vuote, portando le loro famiglie e le loro attività via dalle grandi città dell’Arcipelago. Con il loro lavoro è stato ripristinato quasi il 30% delle 8300 risaie su terrazzamenti del paese, ovvero una superficie di circa cento ettari, e a partire dal 2015 è ricominciata la produzione locale di riso. La comunità non si limita a questo, ma produce anche grano, grano saraceno, verdure e frutta. Tra maggio e giugno tutti si rimboccano le
Johann Fleuri per ZOOM Giappone
zOOM CULtUrA
Johann Fleuri per ZOOM Giappone
Toyota ha sostenuto l’iniziativa fornendo 15 veicoli.
Per ritrovare il gusto della vita in comune molte famiglie hanno aderito al progetto di Ueyama.
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maniche per piantare il riso a mano, secondo l’antica tradizione, sotto l’occhio vigile degli anziani del villaggio, finalmente felici di vedere all’opera i nuovi abitanti che temevano non sarebbero mai arrivati. “Questo abitante ha più di 90 anni, vive da solo, ma sa che ormai è in buona compagnia, quando è il momento di piantare il riso non si tira mai indietro”, racconta Matsubara Tetsuro mentre dalla macchina ci indica una casa. La vera forza di questa comunità si trova negli strettissimi legami che gli abitanti hanno saputo creare. “Quando abitavo in città non conoscevo i miei vicini”, ci spiega Umetani Masashi, originario di Nara, ma che vive ad Ueyama da 8 anni “qui nessuno vive a meno di cinquanta metri da casa mia, eppure non c’è persona che io non conosca, siamo 150 e ci conosciamo tutti perfettamente, per me questa atmosfera di gruppo è fondamentale e mi invoglia a migliorami ogni giorno”. Dopo aver studiato agricoltura all’università di Okayama, città principale dell’omonima prefettura, ha cercato un progetto che lo ispirasse e che gli permettesse di “essere d’aiuto e spendere tutto me stesso”, Ueyama l’ha conquistato sin da subito e ci si è trasferito come giovane agricoltore. Qui costruisce anche oggetti con la pelle dei cervi, che caccia nella montagna vicina. “Ci sono molti cervi e cinghiali qui vicino, sono una preoccupazione continua perché potrebbero rovinare il raccolto sui terreni in cui passano. Noi li cacciamo ed io ho imparato a lavorare il cuoio”. Umetani Masashi dedica molte energie per l’associazione ed è incaricato di promuovere turisticamente il villaggio. “Alcuni tra di noi, come me e la mia famiglia, hanno aperto le proprie case per il minpaku, ovvero l’accoglienza dei visitatori: a venire da noi sono specialmente famiglie che vivono a Tokyo e vorrebbero cambiare vita, anche solo per tre o quattro giorni; nelle loro giornate frenetiche hanno la sensazione di non vivere appieno e di dimenticare come fosse il Giappone di ieri, a causa delle nuove tecnologie,
Johann Fleuri per ZOOM Giappone
zOOM CULtUrA
Ogni mattina si può osservare il mare di nuvole sopra le risaie, una vista di cui non ci si stanca mai.
più pratiche e più comode. Noi siamo qui per aiutarli a ricordare tutto questo e a sentire la terra tra le mani”, dice sorridendo, prima di aggiungere ”vogliono davvero sapere come si produceva una volta il riso e provare a vivere in una piccola comunità”. Due trentenni e i loro figli vengono qui dalla capitale per il weekend, attirati dalla festa organizzata dal campeggio del villaggio. Si è anche improvvisato un atelier di yoga, mentre di fianco si cuoce la selvaggina. Nonostante il freddo i bambini corrono e giocano e chiunque sembra felice di condividere questo bel momento. “Organizziamo questi incontri per raccontarci quello che già facciamo, ma anche per discutere di future possibilità di sviluppare il villaggio”, precisa Umetani Masashi. Sicuramente non mancano le idee. L’associazione ha immaginato un salone “in cui le persone anziane possano ritrovarsi quando non vogliono stare da sole, specialmente la sera”. Questo spazio è aperto tutti i giorni, anche fino a tardi, per
far sì che copra un orario più lungo possibile. Si è anche organizzato l’izakaya comunitario “ogni cliente porta un piatto che ha preparato e 500 yen per le bibite, quindi anche la cena è condivisa”, ci spiegano. ”Molti abitanti adibiscono a bar uno spazio delle loro case, altri ancora creano prodotti artigianali a partire da cuoio e bambù, con il quale si producono dei pennelli per la calligrafia. Una coppia ha poi avuto l’intuizione di creare il golf tanada, un golf giocato nelle risaie, in cui le buche si trovano appunto tra un terrazzamento e l’altro. Sostenuta dall’azienda automobilistica Toyota, che dispone di un fondo di solidarietà destinato ai comuni rurali e alle idee innovative per rilanciarli, Ueyama ha ricevuto 15 veicoli individuali, che ci permettono di spostarci subito da un estremo del villaggio all’altro o per esempio di andare ad una visita medica. Le strade sono spesso strette e le distanze molto grandi, ma così possiamo cercare di risolvere il problema della mobilità, che resta
una delle grandi difficoltà degli abitanti, specialmente degli anziani”. La stazione più vicina, Wake, si trova a mezz’ora di macchina dal villaggio e non si può raggiungere a piedi, bisogna quindi portare i bambini fino a scuola in macchina perché Ueyama non ha scuole. “Stiamo anche riflettendo sul problema dell’accesso alle cure mediche”. Per il futuro del villaggio l’associazione ha grandi progetti, spera di rilanciare l’attività delle terme e creare dei rotenburo, delle vasche all’aria aperta che usano le sorgenti di acqua calda della montagna: “In questo modo potremmo creare dei posti di lavoro per i giovani, mettere in moto l’economia locale e trovare dei fondi per continuare a migliorare Ueyama”, spiega con entusiasmo Umetani Masashi. Ogni mattina un mare di nuvole, l’unkai, si forma sopra i terrazzamenti delle risaie, ma non dura più di un’ora o due. “È così bello”, ci confida, emozionato e felice. JOHANN FLEURI
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zOOM CULtUrA CINEMA
Hosoda ci regala emozioni
Con Mirai del futuro, il regista propone una bella storia di famiglia, ricca di profondità.
rIFErIMENtO Mirai del futuro, di HOSOdA Mamoru con le voci di KUrOKI Haru, KAMISHIrAISHI Moka, HOSHINO Gen, ASO Kumiko. 1h38.
© 2018 Studio Chizu
I
l fatto che Hosoda Mamoru affronti nuovamente la tematica familiare nella sua ultima produzione non sorprenderà certo i suoi numerosi ammiratori, che hanno in precedenza apprezzato The boy and the Beast (Bakemono no ko, 2015), Wolf Children- Ame et Yuki i bambini lupo (Okami kodomo no Ame to Yuki, 2012) e ancora prima Summer wars (Sama wozu, 2009). In effetti con il recentissimo Mirai del futuro (Mirai no mirai, 2018), Hosoda si interessa alla famiglia focalizzandosi in particolar modo sulla maniera in cui Kun, un bambino di 4 anni, reagisce all'arrivo della sua sorellina Mirai in una casa che lo aveva da sempre visto protagonista. Come di consueto il regista si è preso il suo tempo, ben tre anni, per la realizzazione della sceneggiatura. Fine osservatore, ha preso spunto dalla sua personale esperienza di padre per immaginare una storia colma di sensibilità, in cui affronta con grande esperienza quei momenti fondamentali dell'infanzia in cui si forma l'identità. Quando gli si chiede il perché di tanto interesse per il tema della famiglia, Hosoda Mamoru non manca di sottolineare che è un soggetto predominante nel cinema realista giapponese, ma che è trascurato nell’animazione: "Mi farebbe molto piacere essere considerato un regista specializzato in questo genere" afferma sorridendo, infatti ha dimostrato di poter allo stesso modo e con il medesimo talento, trattare le difficoltà incontrate da una madre single in Wolf Children- Ame e Yuki i bambini lupo o le sfide di un padre in The
Per Kun l'arrivo di Mirai è una svolta nella sua vita e in quella della sua famiglia
boy and the Beast. E l'ha sempre fatto in maniera sottile, dando vita a personaggi dotati di forti personalità, che adattavano perfettamente il film a loro stessi, come avrebbe potuto fare solo un grande attore. Mirai del futuro è una conferma, grazie alla presenza affascinante di Kun, attorno al quale il regista ha costruito una storia destinata a illustrare questa fase cruciale dell'esistenza, durante la quale la personalità si definisce. Hosoda Mamorou non ha dovuto certo cercare molto lontano per elaborare il suo racconto, poiché, ancora una volta, si è ispirato alla sua esperienza personale. Nel suo precedente film aveva raccontato a modo suo la scoperta di cosa significhi essere padre. Nel caso invece del suo ultimo film, ha osservato suo figlio e si è basato su uno dei suoi sogni per inscenare il rapporto fratello-sorella, non dal punto di vista dell’adulto, ma del bambino. I personaggi non hanno un nome proprio, si chiamano papà, mamma, nonno, nonna, l'uomo misterioso eccetera. E questo proprio perché tutto è considerato a partire dalla percezione di Kun, che vede la sua vita stravolgersi per l'arrivo di
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Mirai: lei è la sola, con il fratello, ad avere un’identità nel film. Da qui Hosoda Mamoru può mettere in scena la sua scrittura, caratterizzato da sequenze in cui il piccolo Kun incontra i membri della sua famiglia, specialmente sua sorella, ad età diverse, così da permettergli di formarsi poco a poco, confrontandosi anche con delle prove senza le quali, ricorda il regista, sarebbe impossibile crescere e maturare. Una scena chiave del film è quella in cui Kun si trova in una stazione futurista di Tokyo, perso tra la folla:”Chi non si è mai perso in una stazione? Credo che molti bambini abbiano vissuto questa mia stessa esperienza. E’ cosi spaventoso perché è difficile trovare da soli il modo di uscirne, ecco perchè ho immaginato questa scena in cui Kun non riesce a farsi capire dal robot dell'accoglienza. Finché sono circondati dai loro genitori e sono in qualche modo protetti, i bambini non devono pensare a chi davvero siano, ma non appena escono da questo ambiente rassicurate, possono ritrovarsi di fronte ad una situazione di crisi, che diventa occasione per esprimere la propria personalità, ed è quello che ho cercato di rappresentare in questa se-
Hosoda Mameu a Parigi per la conferenza stampa di “Mirai del futuro"
© 2018 Studio Chizu
quenza" racconta il regista. Capiamo ancora di più con la presenza di questa scena che Mamoru ha dedicato un’attenzione particolare alla concezione della casa dove vivono Kun e la sua famiglia, ed è infatti proprio essa ad apparire nei primi minuti del film, diversa da tutte le case vicine, non solo per i colori caldi del tetto, ma soprattutto per l’architettura. Dopotutto il padre è architetto e la casa è, naturalmente, originale, con la presenza di un giardino al centro, uno spazio evidentemente molto importante. E’ lì che Kun vivrà gran parte delle sue avventure. Il regista ha sempre fatto sì che i personaggi si sviluppassero in case dotate di una forte identità., come in Summer Wars o in Ame e Zuki i bambini lupo senza la quale la storia avrebbe perso un elemento fondamentale. Diversamente dalle case di questi due film, quella di Mirai non ha né grandi aperture sull'esterno, né un vero e proprio engawa, quel corridoio che circonda la casa e fa da nesso tra interno ed esterno. Questo elemento importante della casa giapponese esiste nella casa di Kun, ma è inutile perché dà sul muro dei vicini, si capisce allora come mai il giardino acquisti una tale importanza trovandosi tra la sala dei giochi di Kun e lo spazio della vita famigliare, non esattamente conforme all’immagine della tipica famiglia giapponese. Il regista ha voluto mettere l'accento su una nuova tendenza che si sta sviluppando nell' Arcipelago, dove è il padre che si occupa della casa, mentre la madre lavora. Il regista al contempo ne mostra anche il lato sperimentale sottolineando la mancanza di esperienza del padre nella gestione della casa, e questo diventa occasione per la messa in scena di numerosi momenti interessanti. Con questo ultimo film Hosoda Mamoru dimostra ancora una volta di sapersi indirizzare a tutto il pubblico, non solo ai più giovani, che ammirano quel suo tocco di fantasia unico, ma anche gli adulti, poiché il regista sa fornire materia di riflessione sul modo in cui i figli crescono e osservano il mondo. Insomma, un’opera, questa, semplicemente bella ed emozionante. ODAIRA NAMIHEI
Odaira Namihei per ZOOM Giappone
zOOM CULtUrA
Il regista ha curato particolarmente la casa, che gioca un ruolo importante nel film.
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zOOM CUCINA TENDENZE
raccontare il gusto dei sakè
Tra le sue numerose attività, Kanki Kanako si è assegnata il compito di raccontare l’universo di sapori del nihonshu.
Laura Liverani per ZOOM Giappone
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ggi abbiamo la possibilità di apprezzare una moltitudine di sakè, nihonshu in giapponese, proposti dalla nuova generazione di birrai. Malgrado la diminuzione del numero di produttori e il ristagno delle vendite, non c’è mai stata una così grande varietà di gusti e metodi di preparazione, senza parlare delle molteplici qualità di riso utilizzate e della nuova grafica delle etichette. Proprio per valorizzare tutte queste ricchezze e rendere unico ogni sakè vengono fatti molti sforzi da parte di coloro che vogliono trasformare i sapori in parole, che secondo la loro percezione risultano inseparabili. Kanki Kanako è un’editrice freelance che si è occupata a lungo dei numeri “speciale sakè” per la rivista specializzata in arte culinaria Dancyu, contribuendo ampiamente a questa descrizione a parole del gusto dei sakè. È proprio quando si tenta di spiegare una sensazione e di esprimerla, di aprirsi ad altri mondi che si ha più bisogno dell’utilizzo delle parole. L’editrice giapponese si è dedicata a questo lavoro. Affinché l’universo del nihonshu sia esplorato anche dalle donne ha pubblicato un libro, O-sake no jikan (ossia Il momento del sakè), circa una ventina di anni fa. “Sono cresciuta in un periodo in cui le persone bevevano tutti i giorni lo stesso tipo sakè, di solito quello che apparteneva alla tradizione della regione in cui vivevano. Finché non si ha bisogno di fare paragoni tra sapori differenti, non si sente la necessità di descriverli. Soltanto trasferendomi a Tokyo per lavorare nell’editoria ho scoperto i sakè delle altre regioni. Ho pro-
La giornalista ha lavorato per la nota rivista Dancyu.
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posto quindi di curare questo libro, O-sake no jikan, affinché anche le donne potessero apprezzare il sakè, e durante una riunione, i redattori della vecchia generazione hanno reagito fermamente: cosa contano di fare le donne bevendo del sakè? Non comprendiamo la ragione per cui dovrebbero berne!” ricorda Kanki Kanako. All’epoca, bere era sinonimo di liberarsi dallo stress dovuto al lavoro, dunque era considerata un’attività prettamente maschile. Bere del nihonshu non aveva nulla a che fare con l’assaporarlo, si diceva che i veri appassionati di sakè lo bevessero con del sale come unico accompagnamento. Nel suo libro, O-sake no jikan, Kanki Kanako propone invece svariati abbinamenti tra vivande e sakè, di modo tale che le donne potessero trovare il nihonshu preferito, assaporandolo con maggiore gusto e consapevolezza. Oggi, dopo una ventina d’anni, questa grande giornalista continua a pubblicare riviste e a scrivere articoli a proposito dei sapori, in particolare quelli dei sakè. Kanki Kanako dichiara che questa consapevolezza ormai diffusa, questa attenzione rivolta a coloro che potrebbero non conoscere questo mondo, è comune a tutti i giovani produttori, come testimonia l’evoluzione delle etichette. Queste ultime, che talvolta ricordano quelle dei vini naturali, sono in sé stesse portatrici di un messaggio e di una filosofia molto evidenti. L’editrice afferma poi che la giovane generazione sta facendo molto sforzi affinché la filosofia, i metodi di produzione e i sapori siano espressi attraverso l’uso della parola. Kanki Kanako osserva che il tentativo di trasmettere questo messaggio è chiaramente visibile, soprattutto presso coloro che fanno ricerche innovative, o che sono alla ricerca di sakè naturali. Le etichette non servono più soltanto a contenere le indicazioni obbligatorie, ma sono divenute un mezzo di espressione fondamentale per i produttori. Kanki Kanako afferma che l’aroma più apprezzato in questo momento tra i giovani appassio-
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Nel suo libro O-sake no jikan, Kanki Kanako propone diversi abbinamenti tra portate e sakè.
nati di sakè ricorda quello dello yogurt o del vino rosso, del burro rancido, un tempo chiamato dagli esperti di sakè “odore di aria ferma” o “ odore di vomito”. Lei stessa ha vissuto l’esperienza di amare un sapore che per molto tempo non era riuscita a descrivere a parole. Soltanto una volta che le fu detto che sapeva di noce la celebre editrice ha potuto identificarlo e amarlo. A suo parere, la parola non aiuta soltanto a differenziare un gusto da un altro, ma anche a influenzare la nostra percezione e dunque l’apprezzamento dello stesso. Nell’ultimo mook (una fusione tra magazine e book) che ha pubblicato, interamente consacrato al sakè, appare chiaramente il suo tentativo di descrizione a parole. Oltre agli articoli scritti dai giornalisti infatti, c’è un’inchiesta che Kanki Kanako ha condotto presso i negozi di alcolici al fine di conoscere le bevande migliori per l’accompagnamento di piatti a base di pesce. Ha domandato inoltre ad alcuni cuochi quali piatti
potrebbero abbinarsi bene con diversi tipi di sakè. In un altro articolo domanda al gestore di un bistrot di descrivere una bevanda con l’aiuto di una metafora, paragonandola a una donna o un uomo (“ nobile e discreta, di giovinezza dinamica, di attrazione irresistibile, il tipo di ragazza che si può presentare a tutti, oppure, l’uomo un po’ stanco il cui pull di maglia fatto a mano è l’unica risorsa del suo fascino”). La giornalista freelance ha anche consacrato una lunga riflessione di sedici pagine alla parola karakuchi (letteralmente “salato, piccante”, ma utilizzata come sinonimo di “secco”): questo significherebbe che è molto alcolico, poco zuccherato, leggero, metallico? Si chiede. I suoi articoli, accessibili al grande pubblico e piacevoli da leggere, possono anche essere considerate manuali di espressioni per descrivere il gusto; i lettori non scoprono soltanto la possibilità di esprimere uno stesso sapore in modi differenti, ma gli esperti del settore, come i venditori di alcolici o i cuochi
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che intervista, sono costretti a raccontare con le proprie parole il gusto del sakè che stanno bevendo o che amano. Pare che Kanki Kanako viva come una missione quella di arricchire il mondo del sakè attraverso le parole. Il desiderio di questa dinamica giapponese di trasmettere l’arte di descrivere i sapori non si limita all’utilizzo del giapponese. In uno dei suoi mook, Kanki Kanako ha anche introdotto una dozzina di pagine con espressioni in inglese, concentrandosi su alcune parole chiave come “vivido, grano fine (in fotografia), astringente, respirazione profonda, marshmellow, penetrante, chiaro, legnoso”e dichiara che, fino ad ora, l’ambiente del sakè si è spesso servito del lessico del vino per rendere comprensibili certi sapori. Tuttavia al giorno d’oggi, dato che sta crescendo notevolmente il numero di stranieri che si interessano all’universo del sakè per conoscerlo di più, sarebbe arrivato il momento di creare un lessico e delle espressioni specifici al fine di apprezzare meglio e di riconoscere dei sapori ai quali, senza dubbio, non è riconosciuto il giusto valore. E’ necessario cosi’ disegnare con più precisione e sottigliezza questo affascinante mondo di sapori. SEKIGUCHI RYOKO
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La sua ricerca non si limita al giapponese, ma ha anche tentato di estenderla all’inglese.
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zOOM CUCINA L A RICETTA DI HARUYO Kare-pan (Pane al curry)
La specialità dello stadio di rugby Hanazono a Osaka INGREDIENTI Per fare il pane: 1,5 cucchiaini di lievito di birra in polvere 1/4 di cucchiaino di zucchero 2 cucchiai d’acqua tiepida 300 gr di farina per panificazione 1,5 cucchiai di zucchero 1 cucchiaino di sale 170 ml di acqua tiepida Per il ripieno: 1 pezzettino di zenzero 1 testa d’aglio 1 cipolla 300 gr di carne tritata 1 cucchiaio di farina per panificazione 3 cucchiaini di curry in polvere 5 cucchiai di ketchup 1 cucchiaino di sale pepe q.b. 100 ml d’acqua 60 gr di verdure miste a piacere Pangrattato Olio
PREPARAZIONE Per la pasta del pane 1 - Mescolare in una ciotola il lievito di birra con un 1/4 di cucchiaino di zucchero, aggiungere in seguito 2 cucchiai di acqua tiepida (circa 30°C). Lasciare riposare per 15 minuti. 2 - In un’altra ciotola mescolare invece la farina con 1,5 cucchiaini di zucchero e il sale. 3 - Incorporarvi i 170 ml d’acqua. 4 - Mescolare con una spatola e poi lavorare bene la pasta per 5-7 minuti. 5 - Lasciare riposare l’impasto, coperto con un panno pulito e umido, a 30°C per 1h circa. Per la farcitura 6 - Fare scaldare l’olio in una padella e aggiungere l’aglio e lo zenzero. 7 - Aggiungere la cipolla tritata e farla rosolare. 8 - Aggiungere la carne tritata e farla cuocere. 9 - Aggiungere la farina e il curry in polvere. 10 - Aggiungere il ketchup, il sale, il pepe e l’acqua. 11 - Aggiungere infine le verdure e lasciarle appassire finché l’acqua non si sia completamente consumata. 12 - Mettere il tutto in un piatto e farlo raffreddare. I panini 13 - Prendere la pasta, stenderla su una tavola infarinata e dividerla in otto parti. 14 - Fare una palla e lasciarla riposare per 5-10 minuti. 15 - Stendere la pasta con un matterello a forma di ovale (dimensioni 8x12 cm). 16 - Disporre 1/8 della farcitura sulla pasta di pane sigillando bene i bordi. 17 - Dare la forma di un pallone da rugby e appiattire. 18 - Inumidire la superficie con un pennello e cospargere di pangrattato, lasciare infine riposare per 8-10 minuti.
19 - In una grande padella far riscaldare l’olio a 170°C e cuocere il pane farcito per circa 10 minuti girando spesso. 20 - Togliere dall’olio e far raffreddare. 21 - Servire.
CONSIGLIO Potete prendere carne di manzo, maiale o pollo, tritata o tagliata a pezzettini, potete inoltre aggiungervi a piacere patate, carote, peperoni o funghi.
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Angeles Marin Cabello per ZOOM Giappone
Il Mare Interno visto dalla piazza Kenmin-no-hama, sull’isola di Kamagari.
SCOPERTE
Sulla via di tobishima
Meno noto rispetto allo Shimanami Kaido, questo bel percorso permette di ammirare la bellezza del Mare Interno.
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a vista dal Monte Noro, vicino alla città di Kure, nella prefettura di Hiroshima, è sorprendente e inattesa. Le isole appaiono e scompaiono, dolcemente, nella nebbia. Con i suoi 800 metri di altitudine, Noro è la seconda più alta montagna del Mare Interno e il suo profilo montuoso sembra abbracciare le isole in un panorama unico, tra montagna e mare. In primo piano si scorge un piccolo ponte verde, sospeso, che unisce due di queste isole, talmente numerose in questa parte del Mare Interno che a guardarle dall’alto formano un intricato labirinto tutto da esplorare. Molte di queste isole sono facilmente accessibili grazie alla passione che hanno i giapponesi per la costruzione di ponti. Sette di questi collegano sette delle isole visibili dal Monte Noro. Conosciuta con il nome di strada marittima Akinada Tobishima, questa via può essere percorsa in auto, in bici o a piedi, e benché meno nota della strada Shimanami Kaido, situata in prossimità (vedi
Zoom Japon n°41, giugno 2014), questa di Tobishima sta iniziando ad essere sempre più apprezzata e conosciuta. “I piccoli alberghi e i caffè stanno aumentando”, spiega Yamamoto Kenichi, responsabile del servizio turistico della città di Kure. Un tragitto di andata e ritorno di 96 km collega il ponte d’Akinada, vicino a Kure, all’isola di Okamura, a Imabari, nella prefettura di Ehime, sull’isola di Shikoku. Il punto di partenza della strada di Tobishima è il ponte di Akinada, che appare dall’alto del Monte Noro come un “piccolo” ponte verde, ma, avvicinandosi, si nota che questa opera d’arte appare immensa e domina il paesaggio attorno. Un momento imperdibile ed emozionante, a proposito di ponti che collegano le isole in Giappone, è quello in cui si passa sopra i ponti in auto. Rallentando, e si può ammirare un panorama mozzafiato, con le isole che si perdono a vista d’occhio, accarezzate dalla brezza fresca che riempie le narici: un’esperienza unica che vale tutti i 550 yen spesi per il pedaggio. Troppo presto, e sarete già dall’altro lato. Grazie ai ponti, le isole non sono troppo distanti le une dalle altre, ma danno sempre comunque l’impressione di appartenere ad un altro mondo… il silenzio,
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l’assenza di persone, l’aria fresca e pulita, l’immobilità che regna… tutto invita a immaginare scenari diversi e unici. La prima isola è Shimokamagari; subito dopo il ponte arriverete ad un grazioso giardino alle pendici della collina, che vi offrirà una splendida vista sul mare. Shimokamagari è noto con il nome di isola giardino, grazie ad un progetto che ha l’obiettivo di trasformare tutta l’isola in una sorta di giardino gigantesco, arricchito anche dal terminal del battello che, con il suo tetto in ferro, sembra un grande tempio. Shimokamagari è minuscola, ma vi è una sorprendente quantità di cose da vedere. Lo charme bucolico dell’isola è irresistibile. Durante l’epoca Edo (1603-1868) era un importante porto sulla via marittima che univa il Giappone al resto dell’Asia. Nei secoli XVI e XVII gli emissari coreani vi si fermavano prima di prendere la direzione per la capitale Edo (l’attuale Tokyo) con i loro sontuosi convogli composti da dozzine di navi e da centinaia e di persone. Il soggiorno a Shimokamagari non passava inosservato poiché era sempre accompagnato da feste sontuose e importanti cerimonie. La festa della processione degli emissari coreani, che si celebra la terza domenica d’otto-
Il ponte di Akinada (a destra) visto dalla sommità del Monte Noto.
Angeles Marin Cabello per ZOOM Giappone
bre, ricorda questi eventi storici. L’evento principale è una sfilata colorata con i partecipanti vestiti da samurai o con abiti tradizionali coreani. Gli invitati coreani arrivano in battello ed erano trasportati per le strade con delle portantine. Un ricordo permanente della storia dell’isola di trova nel magnifico giardino Shotoen, una passeggiata a bordo mare con quattro musei costruiti nello stile dell’epoca Edo, che possiedono ognuno una pineta con statue di pietra e sentieri di ciottoli. I musei raccontano la storia e la cultura dell’isola, concentrando il loro interesse sulle visite degli emissari coreani. Uno dei documenti esposti, un papiro che illustra un’importante flotta di delegati coreani che navigano sul Mare Interno, è stato iscritto nei registri Unesco. Vi si trovano anche ceramiche giapponesi, coreane e cinesi, e una ricostruzione del sontuoso banchetto preparato per gli emissari coreani. L’isola di Shotoen è ad oggi, purtroppo, semideserta. Vi ci siamo recati a metà luglio e sono pochissimi i giapponesi che possono permettersi il lusso di passarvi le loro vacanze, soprattutto oltre la settimana di O-bon, verso la metà di agosto. Per i turisti stranieri questa magnifica isola quasi non esiste. Per citare lo scrittore Paul Theroux, “Fuori stagione un luogo è cosi’ più vuoto e più esposto, ma à anche il momento in cui è più se stesso che mai”. Nell’assenza della folla si può godere del privilegio di avere il tempo, lo spazio e la libertà di approfittare pienamente di Shotoen. Poco più avanti, fronte mare, si trova il museo di arte di Rantokaku, che, come gli altri musei di Shotoen, è un elegante edificio in legno con intarsi e pitture degli artisti Yokoyama Taikan e Hirayama Ikuo, nativi dell’isola vicina di Ikuchijima. L’insieme del sito si integra perfettamente nel concept di isola-giardino, caratterizzato da giardini, fontane e ruote idrauliche. Arrivando alla più grande isola di Kamagari (scoprendo così che il ponte di Akinada era l’unico a pagamento), tra ottobre e dicembre, potrete notare la numerosa presenza di chioschi, sul bordo della strada, con arance, mandarini, limoni e altri agrumi locali, specialità dell’isola. Nessuno gestisce i chioschi di agrumi, vi è giusto una cassettina di legno in cui depositare il pagamento .. esempio emblematico della proverbiale onestà giapponese! La principale attrazione di Kamagari à la spiaggia di Kenmin-no-Hama (letteralmente spiaggia degli abitanti della prefettura), inserita nella classifica delle cento più belle spiagge del Giappone, non solo per i suoi meravigliosi scenari e la sua sabbia fine, ma anche peri i numerosi servizi tra cui campi da tennis, aree verdi, un ristorante con piscina e attività nautiche quali
Angeles Marin Cabello per ZOOM Giappone
zOOM VIAGGIO
Per attraversare il ponte Akinada si deve pagare un pedaggio piuttosto caro (550 yen), ma ne vale la pena!
kayak. Per chi non ama il contatto con la sabbia, è possibile noleggiare un tatami con un telo per proteggersi dal sole. Ora tuttavia, la spiaggia, per dirla alla Bob Dylan, “è deserta, tranne che per qualche alga”, un po’ triste anche, sembra una città fantasma, animata solo dal suono di mille cicale. In cima alla collina vi è un importante osservatorio astronomico dotato di un potente telescopio Maksutov, che premette di
osservare, con la sua sofisticata lente da 200 mm, un cielo emozionante, incontaminato dalle luci della città. La natura delle isole del Mare Interno è lussureggiante e potente, e ancor più in questo punto, appena dopo la stagione delle piogge. Nella piccola città di Mitarai, a est dell’ isola di Yukata, il sole sta tramontando, illuminando i contorni di questa cittadina che era un porto prosperoso nel XVI e XVII secolo, quando le
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Gli abitanti del luogo vendono i loro agrumi lungo la strada, è sufficiente mettere i soldi in una cassettina e prendere ciò che si preferisce.
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navi in rotta verso Osaka e Edo trovavano riparo dalle tempeste o vi si attardavano aspettando il cambiamento favorevole delle maree. Le sue strade strette e i suoi edifici storici con i muri bianchi e i tetti neri, conservano ancora tutto il fascino della vecchia città portuale. Prima del tramonto giusto il tempo di fare un ultimo breve tour. Per vedere l’ultima delle sette isole, la piccola Okamura, attenderemo il giorno seguente, la brochure spiega che in auto il tragitto prevede 69 minuti, senza considerare però il tempo per godere di questi meravigliosi scenari naturali attardarsi a fare una foto o seguire un piccolo sentiero non previsto. Ma l’essenza stessa del viaggio non è anche questo? Esplorare queste isole significa innanzitutto imparare a vivere ad un ritmo più lento, assaporando ogni istante. STEVE JOHN POWELL
PEr ArrIVArE
Il museo Rantokaku ospita le pitture di Yokoyama Taikan e Hirayama Ikuo.
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ESIStONO dIVErSE OPzIONI, trA CUI: bus, traghetti, trimarano, oltre all’auto (con la quale si raggiunge raggiungere il ponte Akinada, a circa 40 minuti da Kure) e al treno (direzione Hiro da Hiroshima ,linea Jr Kure). Alla stazione di Hiro dovrete prendere il bus per toyama / Yukata, che si ferma a Shotoen, Kenmin-no-Hama e altri luoghi pieni degni diinteresse lungo tutto il tragitto.