Zoom Giappone 13

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Rivista

gratuita gratuito - numero 13 marzo - giugno 2019

www.zoomgiappone.info

Speciale

Kumamoto

Eric Rechsteiner per ZOOM Giappone


ZOOM EDITORIALE L O SGUARDO DI ERIC RECHSTEINER

Apertura Non è la prima volta che Zoom Giappone si interessa all’isola di Kyushu, ma abbiamo voluto questa volta concentrarci sulla prefettura di Kumamoto. Possiede diversi vantaggi che hanno infatti condotto numerose famiglie a lasciare le grandi metropoli per trasferirsi e ricominciare qui una nuova vita, a contatto con una natura ricca e varia e una storia importante. Con questo numero costruiamo per la terza volta un’intera edizione intorno ad una sola prefettura. Dopo Hiroshima sull’isola di Honshu e Hokkaido all’estremo nord, volevamo proporvi dei nuovi orizzonti e Kumamoto è dunque la destinazione perfetta.

© Eric Rechsteiner

Il santuario Kato, nella città di Kumamoto

Dedicare un numero alla prefettura di Kumamoto senza nominare Kumamon sarebbe come parlare di Parigi senza menzionare la Tour Eiffel. Questa mascotte creata nel 2010 per promuovere il treno ad alta velocità a Kyushu, si è rapidamente imposta come un punto di riferimento nella regione intera e serve per qualsiasi cosa, compreso attirare l’attenzione sulle donazioni dopo il sisma dell’aprile 2016.

LA REDAZIONE info@zoomgiappone.info

63,9%

Questa è la percentuale dei lavori di ricostruzione terminati a fine dicembre 2018, quasi tre anni dopo il sisma dell’aprile 2016 che ha devastato gran parte della prefettura di Kumamoto. La percentuale dei lavori necessari terminati alla stessa data era invece dell’88,4%. Il terremoto ha ucciso 267 persone, ne ha ferite 2804 e ha distrutto completamente 8637 abitazioni.

Maratona ad alta velocità

CINEMA Minamata

In occasione della diffusione su NHK di Idaten, la serie più attesa dell’anno, per celebrare lo sport giapponese e ad un anno dall’inizio delle Olimpiadi di Tokyo, uno shinkansen con i colori del programma circolerà fino al mese di maggio tra Hakata, Kumamoto e Kagoshima. Si tratta di un’iniziativa per celebrare Kanakuri Shiso, originario di Tamana e considerato il padre della maratona in Giappone.

Grazie al fotografo americano William Eugen Smith il resto del mondo è venuto a conoscenza della terribile malattia di Minamata (vedi p.6) e il regista Andrew Levitas gli dedicherà il suo prossimo film, giustamente intitolato Minamata, in cui reciterà anche Johnny Depp. Il film è l’occasione per ricordarsi del dramma che ha segnato per sempre la regione e la vita degli abitanti di questa piccola città.

MEMORIA

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con

Johnny Depp



ZOOM MAPPA Kumamoto, al centro della storia e nel cuore della natura PREFETTURA DI OITA

PREFETTURA DI FUKUOKA

Autostrada PRÉFECTURE DE SAGA

Strade principali Ferrovie Città principali Montagne principali Parco nazionale di Aso-Kuju

Arao p. 20

Kikuchi

p. 28

p. 10, 30

Tamana

p. 2

Monte Komezuka

Monte Aso Monte Takadake

Monte Yomine

PREFETTURA DI NAGASAKI

Monte Nakadake

Kumamoto p. 2, 6, 26

B a i a di Shi maba ra

B ai a d i Tac hi ban a

Penisola di Uto

Castello di Hara p. 17

K y u s h u i c h n S a

Shin Yatsushiro Amakusa

p. 30

Kamishima

ro

p. 16, 26

us

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Shimoshima

K

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Oe p. 16

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u PREFETTURA DI MIYAZAKI

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Sakitsu

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Mizukami

M

p. 8

Minamata p. 2, 6, 20, 25

Monte Ichifusa

Hitoyoshi p. 21

Izumi p. 24

PREFETTURA DI KAGOSHIMA

20 km

Kumamoto Superficie

7 405 km2 1,96% della superficie del Giappone

Popolazione

1 756 442 abitanti 23a posizione su 47

Più di 65 anni 30,1% della popolazione Fonte: Prefettura di Kumamoto, 2018 ; Zoom Giappone.

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in cifre Popolazione attiva PIB

873 916 persone 6 248 miliardi di yen (49,7 miliardi di euro)

25a posizione su 47

Turisti stranieri

740 876 (2017) + 52,4% rispetto al 2016

Cartografia: Aurélie Boissière, www.boiteacartes.fr

p. 16



ZOOM EDITORIALE STAMPA Un

quotidiano sempre sul pezzo

Molto ben radicato nella regione, il Kumamoto Nichinichi Shimbun difende con forza la sua identità locale.

Gabriel Bernard per Zoom Giappone

L

Quasi la metà delle famiglie della prefettura è abbonata al Kumamoto Nichinichi Shimbun.

agli umani, ma si dovette aspettare il settembre del 1968 perché le autorità riconoscessero che era legata all’inquinamento (kogaibyo), in particolare allo sversamento di mercurio in mare da parte dell’azienda chimica Chisso. La pubblicazione nell’aprile del 1968 nelle colonne del giornale di una raccolta di 23 articoli intitolata “La chiamano la malattia di Minamata” (Minamatabyo to yobu) ha rappresentato un punto di svolta, permettendo di inquadrare le varie responsabilità, ma anche di ridare alle vittime il diritto ad esistere, in un paese in cui le discriminazioni hanno gioco facile se non si viene considerati al pari degli altri. Alla stregua delle vittime dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki gli abitanti di Minamata divennero degli emarginati quando cominciarono a soffrire di terribili mali. Araki Masahiro parla oggi di una “missione” (shimei) del giornale nei confronti di una popolazione che si stava per ignorare: “Non si poteva girare la pagina così facilmente e poi la questione non è ancora oggi completamente risolta”, ci spiega. L’attuale direttore di redazione sa che la vicenda ha contribuito a far meritare al giornale i suoi blasoni di trasparenza e professionalità e che quindi il livello preteso dai lettori è particolarmente alto. “C’è ancora molto da fare”, aggiunge senza mostrare alcun segno di stanchezza, ricordando proprio il ruolo originale del quotidiano regionale rispetto ai giornali nazionali; “Noi diamo un’altra prospettiva alle questioni globali, per esempio nel

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Gabriel Bernard for Zoom Japan

a sede del Kumamoto Nichinichi Shimbun, Kumanichi nel linguaggio familiare, si trova ad una ventina di minuti dalla stazione di Kumamoto e non cerca in alcun modo di dare nell’occhio, vuole quasi fondersi con il paesaggio. Infatti, quando chiediamo al direttore responsabile, Araki Masahiro, di definire il giornale, ci spiega che la sua missione è “di essere il più vicino possibile alle persone” e “esplorare a fondo l’attualità locale”. Proprio per questo, nel corso dei suoi settantasette anni di attività, il quotidiano, nato nel 1942 su ordine del governo attraverso la fusione di Kyushu Nichinichi Shimbun e Kyushu Shimbun, è sempre riuscito a rispettare il suo impegno, imponendosi come una punto di riferimento nazionale quando si parla di giornali attenti alla popolazione locale. Anche il fatto che la prefettura di Kumamoto sia spesso presentata come “la terra dei giornalisti” può aver contribuito alla nomea del giornale. Un piccolo museo, ospitato in un immobile di proprietà del giornale, ci conferma non solo che molti nomi prestigiosi del giornalismo giapponese sono originari della regione, ma anche che la maggior parte di loro ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del giornalismo moderno in tutto l’Arcipelago. Araki Masahiro, nel giornale dal 1983, è fiero di questa eredità. Per tutta la sua carriera non ha mai smesso di difendere la libertà d’informazione e di riportare la realtà, anche se talvolta fastidiosa per i dirigenti politici ed economici locali. La sua esperienza a capo della sede di Minamata, piccola città portuale settanta chilometri a sud di Kumamoto, l’ha sorretto nella decisione di seguire questa strada. La tragica storia della città, simbolo dello sviluppo economico costruito nel dopoguerra a spese dell’ambiente e della popolazione locale, è strettamente legata a quella del Kumamoto Nichinichi Shimbun. Oggi tutti conoscono la “malattia di Minamata” (Minamatabyo), ma quando per la prima volta, il 1 agosto 1954, il giornale denunciò l’impressionante aumento del numero di topi a seguito della moria “curiosa e imponente” dei gatti del piccolo paese di pescatori, nessuno immaginava di trovarsi davanti ad uno degli scandali più clamorosi della storia contemporanea del Giappone, su cui il quotidiano sarebbe stato l’avanguardia. Meno di due anni più tardi la “strana malattia” (kibyo) che aveva colpito i gatti passò

Questo piccolo articolo, pubblicato il 1 agosto 1954, è stato il primo a parlare della malattia di Minamata, benché all’epoca non colpisse che i gatti.


A capo della redazione dal 2017, Araki Masahiro cura l’eccellente reputazione del suo giornale.

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caso del TPP (Partenariato TransPacifico) e abbiamo analizzato il trattato dal punto di vista locale, chiedendoci quali sarebbero state le conseguenze per la nostra prefettura. Questo ci distingue dalle grandi testate nazionali: difendiamo un approccio locale all’attualità. Il mio lavoro, come quello di tutti i responsabili del giornale, è di trovare le notizie più pertinenti e utili per i nostri lettori. Nella gerarchia quindi è spesso il locale a trionfare sul resto.” La dedizione nel difendere l’interesse dei lettori e la preoccupazione nel voler sempre fornire informazioni dal significativo valore aggiunto hanno permesso al giornale di mantenere una diffusione costante di più di 290.000 copie per l’edizione del mattino e di conquistare la fetta maggiore (69%) del mercato di Kumamoto, ben oltre i grandi quotidiani nazionali, come il Yomiuri Shimbun (11,6%) o l’Asahi Shimbun (7,2%). A questi dati si devono aggiungere le 45.591 copie vendute dell’edizione serale, quasi tutte consegnate a domicilio, come quelle del mattino. In altri termini, quasi la metà delle famiglie della prefettura è abbonata al Kumanichi. Araki Masahiro si rallegra della fiducia degli abitanti di Kumamoto verso il giornale “ci siamo imposti il dovere di informare sempre meglio e ne stiamo raccogliendo i frutti”, ci spiega con un sorriso. L’impresa ha anche investito per dotarsi nell’edificio vicino a quello della redazione, di una moderna tipografia, che viene a volte affittata ad altre pubblicazioni, nelle ore in cui non si stampano le due edizioni del giornale. I suoi proprietari si sono anche preoccupati di modernizzare il quotidiano per continuare a renderlo competitivo. Possiamo ritrovare i passaggi della sua evoluzione proprio nel museo, spesso visitato dagli studenti della regione, che entrano così a contatto con un mondo da cui sembrano sempre più lontani: quello della stampa cartacea. La direzione del Kumamoto Nichinichi Shimbun è però molto sensibile a questa tendenza e si è dotato di un sito internet (https://kumanichi.com) che dovrebbe evolversi nei prossimi mesi, fino a dare la possibilità agli abbonati di leggere il giornale interamente online. Il 17 dicembre è stata inoltre lanciata la piattaforma Cross Kumamoto (https://crosskumamoto.jp), con lo scopo di valorizzare la regione tanto per i suoi abitanti quanto per i numerosi visitatori. La prefettura di Kumamoto ne ha bisogno più che mai per riprendersi dal terribile sisma che l’ha colpita il 14 aprile 2016. Il terremoto, di magnitudo 7,3 sulla scala Ritcher e 7 sulla scala giapponese, che conta 10 livelli, ha colpito a fondo la regione e provocato numerosi danni, anche al castello di Kumamoto, simbolo ed orgoglio dell’intera prefettura. La potenza del sisma è ben visibile all’interno del museo stesso, dove

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Il 14 aprile 2016 un potente sisma ha scosso la regione e provocato numerosi danni.

il terremoto ha rovesciato i pesanti cassetti di legno che contenevano i caratteri di piombo, una volta usati per la stampa. “Abbiamo deciso di lasciarli così, perché i visitatori comprendano lo shock”, spiega Matsushita Jun’ichiro, direttore del luogo. Araki Masahiro come direttore responsabile sa bene che questa calamità naturale rappresenta una sfida per il giornale e la redazione, “Davanti a un evento del genere, dobbiamo davvero dare il meglio per offrire ai nostri lettori tutte le informazioni necessarie per riprendersi e seguire

il processo di ricostruzione senza sentirsi isolati”, ci assicura e ritorna al periodo in cui il giornale si occupava di Minamata, con la stesso obiettivo: non vuole mai che la popolazione venga ignorata e dimenticata. Infatti “Ci sono ancora 30.000 persone senza una casa”, ci ricorda e nel mentre pensa anche al futuro del giornale, che non vede “oscuro” proprio grazie a quel legame speciale con la popolazione, per cui ci saranno sempre lettori disposti a seguirlo. GABRIEL BERNARD

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Alissa Descotes-Toyosaki per Zoom Giappone

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La famiglia Kawaragawa si è trasferita a Mizukami dopo la catastrofe di Fukushima e si è lanciata con successo nella coltura dell’indaco.

Kumamoto, terra di speranza Per molti cittadini, la prefettura si impone come un centro di sperimentazione per uno stile di vita più ecologico.

R

isveglio all’alba per i Kato. Mentre fuori si accendono le luci dell’aurora, Yuji alimenta la stufa, posa il bollitore e il pane sul ripiano rovente, poi esce per la mondatura del riso. Riso che lui stesso ha raccolto, durante le giornate trascorse ai piedi del monte Ichifusa. Fuori, si ode appena il belato di una capra e il gracchiare dei corvi. “Non c’è nessuna casa qui vicino” esclama, aspirando la sigaretta con un’aria soddisfatta. Originario di Chiba, un centro di 980.000 abitanti nella periferia di Tokyo, questo giardiniere di 51 anni ha lasciato la città con la famiglia l’indomani della triplice catastrofe dell’11 marzo 2011, per trasferirsi su un lembo di terreno a sud della prefettura di Kumamoto, il più lontano possibile dalla centrale di Fukushima.

“Quando ho sentito che il cuore del reattore stava fondendo, sono salito in macchina con mia moglie e mia figlia e sono partito verso sud. Non sapevo ancora dove sarei andato, ma sapevo che non sarei tornato sui miei passi” ricorda. Dopo aver soggiornato presso alcuni parenti e amici a Fukuoka e poi a Nagoya, i Kato sono arrivati seguendo il consiglio di conoscenti a Mizukami, borgata di appena 2000 abitanti, conosciuta per la qualità della sua acqua. “Ci siamo dati all’agricoltura organica senza conoscerne neppure le basi! Ma tutti lo possono fare, basta saper consacrare del tempo all’impresa” sorride sua moglie, mentre prepara con scrupolo un pic-nic costituito esclusivamente di alimenti provenienti dal loro terreno - carote, funghi, germogli di bambù - che lei venderà in seguito al mercato locale. La coppia non guadagna molto, ma spende cinque volte meno rispetto a quando viveva a Tokyo. “In queste campagne disertate dai giovani si possono affittare delle case per poco denaro e

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restaurarle. Basta conoscere qualcuno, tutti si aiutano reciprocamente qui” spiega Yuji parlando della rete alternativa che non ha smesso di crescere dalla primavera 2011. “Ho rifatto la mia vita qui partendo da zero, grazie alla famiglia Abe che mi ha trovato una deliziosa casetta affacciata sulla risaia per 5000 yen (40 euro) al mese”, conferma Kawaragawa Yodai, anche lui approdato nella zona dopo la catastrofe. Questo trentenne non aveva un vero mestiere, sette anni fa si è dedicato alla pratica dell’aizome, tintura tradizionale all’indaco, praticamente sparita dall’arcipelago nipponico. Oggi coltiva e confeziona a mano con sua moglie degli abiti di tessuto trattato con questa pianta, una tecnica utilizzata da sempre dai samurai, che apprezzavano le sue proprietà estetiche e antisettiche. “Oggi, svolgo un mestiere di cui vado fiero, e devo ringraziare la gente di Mizukami”, dice. Kumamoto albergava una comunità ecologica


nata nel 1956 dopo la terribile malattia di Minamata, provocata dalla contaminazione di mercurio. Traumatizzati dalla tragedia, gli abitanti della comunità volevano vivere in armonia con la natura. Dopo Fukushima questo ideale di vita ha ritrovato voce e spazio. A Kumamoto si assiste all’emergere di un sistema parallelo basato sull’autonomia alimentare e sui principi della permacoltura, concetto ecologico australiano già sviluppato dopo la guerra dal celebre agricoltore Fukuoka Masanobu. Qualche pioniere come Abe Masahiro e Isoko si sono stabiliti a Mizukami vent’anni fa. “Abbiamo vissuto nove anni senza elettricità, né acqua potabile, né gas! Oggi invece, beneficiamo dell’elettricità prodotta dalla centrale nucleare di Kyushu, bisogna scusarci”, scherza Abe Isoko. Vivace e piena d’energia, questa sessantenne, col suo caratteristico cappello da contadina, ha accolto e consigliato diverse nuove famiglie venute a vivere qui, come i Kato o i Kawagahara. “Non formiamo realmente una comunità, ma cerchiamo di aiutarci mutualmente e di portare avanti attività comuni come il debbio, le colture sui terreni arsi, utili a rigenerare la foresta per il beneficio delle prossime generazioni” afferma, mostrando una decina di uomini e donne intenti a raccogliere la hie, una sorta di miglio giapponese, ai piedi della montagna Yuyama. Vestiti delle loro tradizionali tenute contadine, complete di tabi -calzature a due dita - panno tenugui stretto intorno al capo, e sacca degli attrezzi artigianali attorno alla vita, vengono tutti dalle grandi città, abbandonate dopo l’incidente nucleare. “L’arrivo su queste terre fertili e il bisogno di rigenerarsi ha ispirato loro un interesse per certe culture dimenticate come l’indaco o il miglio giapponese hie, reputato per le sua qualità nutritive ed economiche” spiega la signora Abe. “Si dice che sia il cerale del povero, ma fa sempre parte del DNA giapponese, rende forti come cavalli” esclama Seiroku, un grande rasta giapponese vestito di un kimono indaco e acconciato con un turbante giamaicano che trattiene appena la sua massa di dreadlokcs. Dal suo arrivo su queste montagne, questo nativo di Kyoto si consacra alla raccolta delle canne per la costruzione dei tetti tradizionali, altro artigianato che sta andando perduto. “L’accoglienza in queste campagne è stata mediocre all’inizio, ma dopo un po’ la gente del posto ha visto come fossimo seriamente intenzionati a diventare agricoltori, applicando metodi più antichi dei loro!” afferma divertito, ricordando l’espressione stranita dei contadini locali quando hanno visto questi giovani cittadini strambi coltivare del miglio. Il debbio era stato abbandonato da tempo nella regione. “Siamo fieri di riprendere un savoir-

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ABE Isoko e suo marito Masahiro hanno scelto di vivere a Mizukami una ventina d’anni fa. Oggi aiutano i nuovi arrivati a stabilirsi qui..

faire antico di 5000 anni” ricorda Abe Isoko. “Una volta qui c’erano migliaia di castagneti, ma i proprietari erano troppo vecchi per occuparsene, le terre sono state quindi via via sfruttate per il legname” continua la donna, mostrando le foreste di cipressi ben allineati che ricoprono le montagne “In seguito il progetto di un centro di energia solare avrebbe dovuto svilupparsi proprio su questi terreni. Con mio marito abbiamo quindi deciso di acquistarli e di rigenerare la foresta primaria grazie al debbio”. Cominciato nel 2015, questo progetto che consiste nel coltivare

i terreni in un ciclo di rotazione e riposo su quattro anni ha riunito attorno a sé un’associazione che ha per ambizione far rinascere la foresta per le sette generazioni a venire. “Vogliamo creare qui un buon ambiente per i nostri figli” dichiara Abe. Dopo il raccolto il gruppo si dirige verso la bellissima casa in legno costruita da colui che qui viene chiamato rispettosamente “Daiku”, il carpentiere. “Mio marito viaggia molto, d’altra parte è sui cantieri per la maggior parte del suo tempo” spiega ancora la signora Abe. Sotto le foglie rosse e dorate, ognuno estrae il

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ZOOM INCHIESTA soltanto ciò che produciamo, quindi né carne, né pesce, evidentemente le cose sono molto diverse rispetto alla mia vita precedente sulla costa!” racconta la giovane donna venuta qui dalla lontana Kamakura, a sud di Tokyo. Nato a Kumamoto, Jahmura era molto lontano da Fukushima l’11 marzo 2011, ma l’incidente nucleare ha innescato in lui un cambiamento profondo. “Ho visto arrivare a Kumamoto moltissime persone venute da est, un vero esodo, ero sotto shock”, confida. Un mese dopo la catastrofe, si è recato a Tokyo dove è stato arrestato e

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suo picnic e o lo depone al centro della tovaglia: purea di marroni al tofu, verdure salate tsukemono condite col peperoncino togarashi, pane di miglio. “Mangiare del miglio è un po’ come tornare indietro al tempo dei nostri antenati” fa notare Seiroku. “È ciò a cui la maggior parte di noi aspira, un modo di vita autonomo, basato su conoscenze ancestrali, come la coltivazione del miglio!” La comunità di Mizukami non è la sola ad attingere la sua ispirazione nella tradizione per inventare un nuovo stile di vita.

La casa di Yoshida Kengo, alias Kengoman, fa sempre una certa impressione a chi viene dalla città.

A nord della prefettura, la valle di Kikuchi, conosciuta per le sue cascate e per le sue foreste autunnali accoglie ugualmente numerose persone alla ricerca di nuove esperienze di vita. “Benvenuti alla fattoria della fermentazione!” dice Murakami Kosuke, aprendo la porta di una graziosa casetta di legno. Spighe di grano e balle di cotone sono sospese al soffitto ad essicare. Questo tecnico del suono e dj di 37 anni conosciuto sotto il nome di Jahmura si è scoperto una passione per un modo di vita sparito in Giappone dall’epoca dell’industrializzazione. “Faccio tutto a mano, non uso alcuna macchina” dice con fierezza versando delicatamente le sporte di aspergillus oryzae sul riso per fabbricare del koji, base dell’alimentazione giapponese. La sua aria giovane contrasta con uno stile di vita ascetico. Sul tavolo, accanto alla stufa, la moglie serve il pasto quotidiano: riso integrale, brodo di miso, verdure salate e tofu. “Mangiamo

imprigionato per tre mesi per possesso di marijuana. Nella biblioteca della prigione ho scoperto un libro su Buddha. Ho cominciato a praticare il digiuno e, alla mia uscita, ho cambiato radicalmente vita”, riassume Jahmura. Il giovane ha così affittato una parcella di terreno a Kikuchi e ha cominciato a praticare l’agricoltura biologica grazie ai consigli di Masaki Takashi, un’autentica guida spirituale in materia di vita in autonomia. “Dopo Fukushima, avevo sentito parlare delle proprietà di alimenti a base di koji per prevenire gli effetti nocivi della radioattività. Ho cominciato a coltivare della soja per fare del miso organico ed inviare quest’ultimo nelle zone sinistrate dall’incidente”. Il suo incontro con un agricoltore ottantacinquenne a Kikuchi è stato decisivo. “A partire da quel momento mi sono davvero concentrato sulla coltura del riso”, spiega Jahmura guidandoci attraverso la sua risaia ricca di rigogliose piante

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di riso brune, riunite in ciuffi a forma di cappello: un metodo naturale di essiccazione andata persa con la meccanizzazione agricola. “Mi ha insegnato una tecnica tradizionale per trapiantare il riso, una tecnica definita “100 piante in una pianta” ricorda. Si tratta di una tecnica piuttosto semplice, bisogna lasciare tra le piantine uno spazio di 30-45 cm da una all’altra. In questo modo le piante crescono meno numerose ma più spesse”. Un anno dopo, contando solo sulla forza delle sue braccia, il giovane risicoltore ha ottenuto risultati spettacolari “Il mio riso arrivava a 1 metro e 60, era tre volte più grande del normale!”. Postata su Facebook, la foto di Jahmura davanti alle sue piante giganti è stata condivisa 1500 volte. “La gente non poteva credere che si potessero ottenere risultati simili senza concimi e senza macchinari. Ho ricevuto più di mille messaggi di persone che volevano insegnassi loro questa tecnica” racconta Jahmura, in seguito contattato per tenere conferenze e interviste in tutto il paese. “Ho constatato che utilizzando le tecniche tradizionali, risalenti al periodo precedente la meccanizzazione dell’agricoltura, si ottengono risultati incredibili” aggiunge, mostrando una parcella in cui coltiva del grano e della soja. “La terra si arricchisce e produce dieci volte meglio, talvolta cinquanta volte meglio rispetto ai metodi dell’agricoltura intensiva”. Il suo sogno è quello di acquistare sette ettari e di vivere come un hyakusho, un contadino dei tempi antichi che confeziona tutto con le proprie mani. “Una volta tutti quanti erano hyakusho. Se torniamo a quel sistema di autarchia rigorosa, potremo uscire dalla globalizzazione e proteggere il nostro ambiente”, dice. Un ideale che gli costa sforzi enormi in termini di quantità di lavoro, ma che oggi comincia a dare i suoi frutti. “Ho calcolato che avrei potuto vivere nutrendomi degli alimenti che coltivo, portando abiti tessuti col cotone dei miei campi e producendo le mie sementi. C’è solo il carburante che continua a incidere sul mio budget! “ racconta. Jahmura vorrebbe comprare un cavallo per liberarsi il più possibile del suo veicolo motorizzato. “Per pretendere a una vita autosufficiente, non bisogna dipendere dal carburante per vivere” conclude con convinzione. Una filosofia condivisa da Yoshida Kengo. Quest’uomo carismatico di 60 anni conosciuto col soprannome di Kengoman ha ispirato numerose famiglie che si sono decise a compiere questo passo decisivo verso una vita ideale. Da sette anni vive in una tenda, in una foresta ai piedi del vulcano Aso, con sua moglie e coi

Murakami Kosuke ha deciso di lanciarsi nella coltura del riso dopo aver ottenuto risultati sorprendenti.


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ZOOM INCHIESTA Takashi, è lui che ha trovato per noi questo terreno”, dice. A poco a poco, la famiglia si è organizzata per vivere nella foresta su un terreno di quattro ettari. Dietro la tenda principale c’è un ruscello, lo si attraversa su un ponticello per raggiungere una tenda per gli ospiti. “Questa sorgente è stata la ragione per cui abbiamo deciso di stabilirci qui, su questo terreno” spiega Kengo. Come “sala da bagno” ha montato un rubinetto in bambù e costruito dei WC ecologici sotto un gazebo di paglia. Niente sapone, niente carta igienica, niente doccia. “Inutile, abbiamo il fiume in estate e in inverno le sorgenti termali di acqua calda” aggiunge, pragmatico. Tra qualche mese spera poter abitare la sua nuova casa una costruzione atipica di sua concezione, fatta di legno, canne e terra battuta. “Ho imparato molto col carpentiere Abe Masahiro, ma è soprattutto mio figlio che è dotato per la carpenteria e lavora oggi con Abe, io non faccio che divertirmi!” Costruita più in alto, su un terrapieno soleggiato, la futura abitazione offre una vista impareggiabile

ha già fatto delle economie per acquistare un cavallo. Vive ad oggi con 30.000 yen (200 euro) al mese, fabbricando tende, strumenti musicali e “rocket stove”. “Non ho bisogno di coltivare, perché tutti mi portano del riso o delle verdure. Per sdebitarmi, li aiuto coi lavori nelle risaie”. Un po’ più a valle, suo figlio ha appena terminato con l’aiuto di due amici la costruzione di una casa di legno a forma di piramide, d’ispirazione art déco. “L’abbiamo edificata in due settimane!” esclama Shien. Con il padre, sta preparando un campo invernale per accogliere una ventina di giovani che soggiorneranno per un mese circa in questa foresta e presenteranno i loro prodotti. “Fino ad ora si vendevano i prodotti artigianali durante eventi speciali come i festival musicali. Ma abbiamo bisogno di creare un vero circuito di distribuzione. Voglio provare a creare un vero mercato. Lo scambio è la chiave dell’economia parallela”, sostiene Kengo. Sempre alla ricerca di esperienze nuove, questo rastaman spera di ispirare sempre

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suoi bambini. Il luogo è sorprendente, soprattutto dopo aver visto i centri commerciali e i pachinko (sale contenenti centinaia di macchine da gioco consistenti nel far circolare delle biglie d’acciaio) che circondano la città di Aso. Un sentiero di terra battuta attraversa una foresta disseminata di camelie rosse, i soli rumori sono il gorgoglìo dei corsi d’acqua e il canto degli uccelli. Nel bel mezzo di questo quadro idilliaco, c’è una tenda bianca circondata da alte piante di bambù, di pannelli solari, di un pollaio e di una gran quantità di legname. “La dimora ha un po’ sofferto con gli anni, abbiamo ammassato un bel po’ di cose” dice divertito Kengo, scuotendo i lunghi dreadlocks. Sua moglie Nobu sta preparando un curry indiano su una rocket stove, una stufa fatta in casa, nella cucina esteriore che serve anche da sala da pranzo nelle giornate assolate. L’interno della tenda, occupato in ogni suo piccolo meandro, è un mix stupefacente di yurta mongola, di outdoor giapponese e di tepee americano. Si notano una sedia a dondolo, degli “acchiappasogni” che pendono dal soffitto e persino una batteria, sistemata tra il letto e una piastra kotatsu, su cui è stesa una coperta. “È qui che abbiamo trascorso sette anni della nostra vita. Oggi è tempo di traslocare in una casa più grande che sto costruendo sulle alture” racconta Kengo. Nato a nord di Tokyo, questo viaggiatore e scultore costruiva modelli per studi d’architettura, quando la terra ha tremato provocando uno tsunami e un incidente nucleare. “Non ho esitato un solo secondo, ho riunito i miei sei bambini e siamo tutti partiti col mio furgone verso Kyushu” spiega questo convinto militante anti-nucleare. “Papà ci aveva detto che sarebbe stata la centrale di Hamaoka, a ovest di Tokyo, ad esplodere un giorno. Eravamo quindi tutti pronti a fuggire all’est, ma alla fine, siamo partiti verso ovest” scherza il figlio Shien. Occhialini tondi e capigliatura ereditata dal padre, questo ragazzo di 22 anni ne aveva appena quindici il giorno del disastro. Ha dovuto lasciare, da un momento all’altro, la scuola e i suoi amici. “Non ho avuto rimpianti nemmeno per un secondo, e poi non avevamo scelta” dice, con un sorriso pieno di fiducia. Le cose sono state più complicate per sua sorella, di qualche anno più grande, obbligata ad abbandonare il lavoro, ma, contrariamente alla maggior parte di Giapponesi, la famiglia Yoshida era preparata da lungo tempo al peggio. “Abbiamo trascorso tre mesi sulla strada ad accamparci qui e là. Per fortuna avevo già una grande tenda e tutto il necessario per sopravvivere”, ricorda Kengo che si guadagnava già il pane affittando i suoi gazebo per i festival all’aria aperta. “Sul nostro periplo abbiamo incontrato Masaki

In questa parte di Kumamoto, lo spirito solidale domina e costituisce una sorgente di speranza.

sul monte Aso. “Sognavo di avere una casa con una vista panoramica sulle montagne” rivela mentre si inerpica su una scaletta per raggiungere la camera da letto a forma di cupola. “Da lì, posso verificare se il vulcano entra in eruzione”, dice, scherzando ma non troppo. “Una volta questo sentiero nella foresta portava al bordo del cratere. Le genti di qui ci conducevano i cavalli e le mucche, e facevano il giro per arrivare nei villaggi sull’altro versante” dice Kengo che

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più giovani a trovare soluzioni innovative per una nuova vita eco-responsabile. “Dobbiamo creare un nuovo stile di vita” insiste. Una sfida che non dispiace al figlio e ai suoi amici, sebbene abituati al confort della città. “Da quando sono qui, mi diverto! Si impara ad arrangiarsi con ciò che si ha, mentre in città, basta andare al negozio all’angolo e comprare”, nota Shien, esclamando: “La vita senza niente, è davvero stimolante!” ALISSA DESCOTES-TOYOSAKI


ZOOM INCHIESTA INCONTRO

L’uomo del rinnovamento

Originario di Kumamoto, Masaki Takashi è diventato uno delle figure di riferimento per coloro che intendono cambiare vita.

Mi racconta il suo percorso? Masaki Takashi: Sono nato nel 1945 a Kumamoto. A 18 anni, mentre studiavo all’università di Tokyo, ho scoperto La Nausea, il romanzo filosofico di Sartre e ho avvertito qualcosa in-

Alissa Descotes-Toyosaki per Zoom Giappone

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asaki Takashi non ha atteso l’11 marzo 2011 per cominciare a pensare a un nuovo modo di vivere. Già nel 1964 l’adolescente ribelle di 18 anni, assalito da un profondo disagio nei confronti della società giapponese, partì per un viaggio che durò dodici anni. Ispirato da diverse comunità capaci di vivere in autarchia, tornò in patria nel 1980 per creare nella sua regione natale di Kumamoto le basi di una vita autarchica. Le sue azioni per proteggere l’ambiente sono condensate in un libro precursore: Ki wo uemasho, pubblicato nel 2002. Il volume parla della necessità di uscire dal nucleare e della società di consumazione, suggerendo una revisione dell’insieme del nostro sistema di valori. Ciò che lui chiama la “nascita di una nuova civiltà” fornisce la chiave per cominciare una vita basata sull’autarchia e diventerà una guida per molte famiglie che - dopo Fukushima -sono scappate alla ricerca di una nuova terra dove ricominciare da zero. Sette anni più tardi “l’uomo degli alberi” rimane una figura di riferimento. Lo incontro ai piedi del monte Aso a Kikuchi, nella sua proprietà di cinque ettari situata in una vallata luminosa coperta di aceri e di campi da tè, “dove, alle prime luci dell’alba appare la stella del mattino in compagnia della mezzaluna”. Irrigata da acqua di sorgente, questa proprietà un tempo abitata da cinque famiglie di contadini troppo anziani per occuparsene, è diventata un rifugio, ma anche una colonia dove giungono bambini da Fukushima o dalla Corea. In fondo sorge il capanno che costituisce il suo ufficio e la sua abitazione. Un letto, una stufa, grandi finestre che incorniciano la bellezza della foresta durante l’autunno giapponese. Il luogo è estremamente rappresentativo di quest’uomo magro e dallo sguardo luminoso, che ha percorso l’India in cerca di spiritualità e di risposte. Prima di dar inizio all’intervista Takashi guarda con un’aria tenera un pino che si piega davanti alla sua finestra e mi chiede, mormorando, se posso salutare quest’albero, ispiratore dei suoi pensieri.

Oggi in pensione, Masaki Takashi continua a difendere un modo di vita fondato sull'auto-sufficenza.

nescarsi in me. Era in effetti esattamente una sensazione di disgusto quella che provavo, una nausea profonda nei confronti della società giapponese. Ho deciso di lasciare tutto ciò che mi legava a questo Paese, la lingua, la mentalità, e sono partito molto lontano. Avevo bisogno di buttare via tutto per poter ripartire da zero. Eravamo nel 1964, l’anno dei Giochi Olimpici di Tokyo. Sono sbarcato a Helsinki, passando dall’Unione Sovietica. In seguito, ho fatto dell’autostop e mi sono ritrovato nell’Africa del nord. Da là, ho continuato la mia strada fino al Medio Oriente, sono giunto alla fine in Nepal e in India. Era la vigilia di Natale 1966 e c’era un immenso raduno di beatniks a Katmandu. Ho fatto diversi incontri che mi hanno permesso di conoscere la filosofia indiana. Ho amato l’India fin dal momento in cui vi sono giunto. Non aveva denaro, come ha fatto a compiere questo lungo viaggio? M. T. : In effetti, non lavoravo e non avevo un soldo, è un miracolo che sia sopravvissuto! Sono rientrato una volta in Giappone poiché avevo un biglietto di ritorno. Ma subito dopo, sono ripartito per Calcutta con soltanto 10 dollari in tasca, che ho speso quella notte stessa per pagarmi un hotel. Quando non si ha denaro, non si attirano i ladri! In effetti, tutti coloro che mi avvicinavano erano ben intenzionati ad aiutarmi. Gli Indiani nutrono un grande rispetto, per quelli che vengono nel loro paese in cerca di spiritualità. Fa parte della loro cultura. Sono passati cinquant’anni da allora e sono sempre

altrettanto appassionato di filosofia indiana. Qual’è il fondamento di questo pensiero che l’ha così fortemente ispirata? M. T. : È il principio della non dualità, secondo la filosofia molto antica di Vedanta, che sostiene una sola unità per tutte le esistenze, senza divisioni né dispersioni. L’individuo forma una sola natura divina, con l’universo. È stato influenzato da altri luoghi nel corso di questo viaggio? M. T. : sono rimasto molto impressionato dalla Francia, vi ho trascorso un anno in una casa di montagna nei pressi di Rodez, nella regione di Montpellier. Là, ho osservato diverse comunità che vivevano in autarchia sulle montagne, secondo un modo di vita ispirato dal celebre matematico ecologista Alexandre Grothendieck, già vincitore della medaglia Fields e professore all’università di Montpellier. Questo modello di autosufficienza dove ogni persona partecipa in maniera individuale al bene di una collettività è stata un’esperienza particolarmente interessante. Sono stato soprattutto impressionato dalla forza delle donne e dalla determinazione di queste genti a sostenere il loro stile di vita. Quando sono tornato in Giappone ho pensato di poter riprodurre lo stesso modello collettivo, ma non ha funzionato (ride). Cosa l’ha spinta, alla fine, a voler tornare a vivere in Giappone? M. T. : Avevo 32 anni e sentivo che avevo infine concluso il mio viaggio durato quattordici

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ZOOM INCHIESTA anni. Naturalmente, ero qualche volta tornato in Giappone nel frattempo, avevo persino avuto modo di incontrare la mia attuale moglie con la quale ho messo al mondo una figlia. Fino ad allora, non sapevo ancora come avrei voluto vivere. Per tornare era necessario che mi sentissi davvero pronto a mettere in pratica un modo di vita autarchica. E questa fiducia in me stesso l’ho avuta grazie all’esperienza vissuta in Francia. Ha costruito un villaggio partendo dal nulla, da dove ha cominciato? M. T. : Ho cominciato ad affittare una parcella di terreno e una casa. Ma, dopo due anni, il proprietario mi ha chiesto di restituirgli tutto, nonostante avessi già lavorato il campo e riparato l’abitazione. In quel momento ho capito che non avrei potuto essere davvero libero se non fossi diventato io stesso proprietario. Ho quindi acquistato un pezzo di terra, e l’ho reso coltivabile. Ho piantato frutta e ortaggi biologici, ho cominciato a venderli nei pressi della città. Mia moglie ha avuto poi l’idea di aprire un ristorante biologico in centro a Kumamoto, rifornito dai nostri prodotti. Il ristorante si chiamava Annapuruna, come la fattoria gestita attualmente da mia figlia, ed è diventato un luogo di incontri e di scambi. Abbiamo vissuto così tra la città e la montagna per dieci anni e finalmente, abbiamo potuto economizzare a sufficienza per comprare un terreno e una casa a Aso e tutto quanto serve per vivere in autarchia. Ovviamente, è stato necessario molto tempo. Solo per poter aver l’acqua partendo dalla sorgente lontana due chilometri, i lavori sono durati sei mesi. Oggi, sono, come si suol dire, “pensionato”. Voglio consacrare il mio tempo a obiettivi più importanti. Vivere in autarchia significa vivere in libertà. Ma a quale scopo? Ero a questo punto delle mie riflessioni quando ha avuto luogo il disastro dell’11 marzo. Dove si trovava quando è avvenuta la catastrofe? M. T. : Proprio qui. Tutti i giorni, arrivavano nuove persone e si rifugiavano nella mia fattoria. Avevo solo questo posto per accoglierli. Venivano grazie al passaparola, alla ricerca di un nuovo modo di vita, ma non sapevano troppo da che parte cominciare. Dopo sei mesi molti sono rientrati nel luogo da dove venivano. Non hanno avuto la forza per questo cambiamento. Vivere dei propri mezzi, senza stipendio, richiede dei principi e delle convinzioni molto forti. Certo, se ci si prova veramente, credo che sia possibile per chiunque. Ma alcuni non hanno la determinazione necessaria. Come diventare più forti allora? M. T. : Bisogna essere convinti che non si possa tornare indietro. All’università, sono stato colpito

dal lavoro dell’inglese Arnold J. Toynbee, specialista di storia delle civiltà. Secondo lui, ogni civiltà ha una fine. Ma, risolvendo il problema che ne ha causato la distruzione, una nuova civiltà appare. In Giappone assistiamo in questo istante alla fine di una civiltà. I bambini sono l’avvenire e per questo bisogna cambiare il sistema educativo. In un’intervista rilasciata alla rivista Spectator nel 2012, ha spiegato che i genitori fanno troppo affidamento sulla scuola. Lei si è occupato personalmente dell’educazione di sua figlia? M. T. : Sì, ma non so se è stata una buona scelta (ride). Volevo che la mia bambina non compiesse tutto il suo percorso educativo in un contesto classico. Ha lasciato gli studi alla fine delle elementari. La mia idea era quella di creare una scuola libera per non lasciare il bambino da solo. Ho cominciato a organizzare delle riunioni con altri genitori, perché questo modello potesse ispirare altre scuole. Ma non ha funzionato. Sempre più genitori si rivolgevano a me per chiedermi di iscrivere il loro bambino e non per creare essi stessi una scuola a casa loro! Forse è una questione di tempi. In Francia, sono molto avanti in questo campo. L’educazione fa naturalmente parte del sistema di auto-sufficienza. Sua figlia ha uno stile di vita prossimo alla natura e coltiva té biologico. Pensa che l’autosostentamento vada di pari passo con un’educazione all’autonomia? M. T. : La scuola è difficilmente compatibile con un modo di vita autarchico. Nel sistema scolare classico, il bambino è stretto tra due visioni del mondo completamente differenti. Da un lato la scuola e dall’altro, i genitori. Nella maggior parte dei casi il piccolo sceglierà la scuola a causa del rapporto coi compagni di classe e si creerà un abisso tra lui e i suoi genitori. Per questo motivo, penso sia primordiale creare la propria scuola, il proprio sistema educativo. Troppi pochi genitori lo fanno, poiché non ne vedono realmente la necessità ed è molto frustrante. Tuttavia, noi abbiamo la scelta. Lo Stato ha l’obbligo di creare le scuole per i bambini ma il bambino non è obbligato a frequentarle. In che cosa la scuola giapponese offre una visione radicalmente diversa rispetto agli insegnamenti che potrebbero impartire dei genitori che vivono in autarchia? M. T. : La scuola giapponese è stata creata per formare dei militari. La legge sull’Educazione nazionale è nata nel 1890, prima del conflitto tra Cina e Giappone del 1894-95, poi è stata corretta nel 1940, alla vigilia della guerra del Pacifico. Dopo il conflitto e fino agli anni Sessanta, l’insegnamento si è aperto. Ma in seguito,

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lo Stato ha ordinato a tutto il corpo insegnante di leggere e imparare a memoria gli editti imperiali relativi all’educazione risalenti all’epoca Meji. Aberrante! L’educazione è così diventata uno strumento di propaganda al servizio dello Stato anziché dell’essere umano. Lei ha evocato l’esempio delle comunità francesi, modello difficilmente esportabile in Giappone. Il suo obiettivo è quello di creare un nucleo famigliare auto-sufficiente ma senza collettività? M. T. : No, la vera autonomia si crea in maniera collettiva. Anche se si vive in modo autarchico nel nostro proprio territorio, è necessario avere una relazione con l’elemento locale e una percezione comune dell’economia. Fino ad ora il nucleo era rappresentato dalla mia famiglia, poi si è allargato con la famiglia di mia figlia. Mi sono reso conto che la gestione era molto difficile e che avevamo bisogno di diverse famiglie. Siamo ancora allo stadio dell’esperimento, ma bisogna che questo riesca per poterlo utilizzare come modello. Come dicevo, produrre un sistema autosufficiente comune non è semplice in una società così gerarchica come quella giapponese. Si crea un legame di dipendenza che distrugge la comunità, mentre in Francia, ogni individuo è solidale ma in modo autonomo. Questo costituisce la sua forza. A partire dal 2007 ha organizzato delle manifestazioni attraverso il Giappone per dibattere sulla necessità di uscire dal nucleare, lo ha fatto presso le collettività locali dove sono impiantati 54 reattori. La catastrofe di Fukushima ha avuto un impatto sulla coscienza collettiva? M. T. : Sì certo, ma non basta più. Hanno già riacceso quattro reattori a Kyushu, e tutto può procedere molto velocemente. Penso si dovrebbe includere un articolo nella Costituzione per proteggere la vita. I difensori dell’articolo 9 insistono regolarmente sul fatto che sono i Giapponesi stessi che hanno creato questa Costituzione pacifista. Ma se sono stati capaci di redigere un tale testo, sono stati altrettanto capaci di provocare un incidente nucleare di livello 7. Alla fine, senza mettere mano alle armi, il Giappone è stato comunque distrutto. Fino ad oggi, però, nessuno ha redatto una Costituzione per proteggere la vita. Ha scritto recentemente un fascicolo intitolato Costituzione per la pace e per la vita. Si tratta di un tentativo di riforma costituzionale? M. T. : No. Lo credono in molti, ma non è così. È un libretto che ho scritto come base per una nuova idea di Costituzione e che distribuisco gratuitamente per indurre alla riflessione. Per proteggere l’attuale Costituzione bisogna includere la vita. In maniera generale penso che i


ZOOM INCHIESTA movimenti di mobilitazione civile per proteggere l’articolo 9 non siano sufficienti, bisogna tirare in ballo la politica. L’11 marzo ci ha dato l’opportunità di compiere questo passo in avanti. Nell’intervista per Spectator, ha descritto la politica come un nukazuke, il piatto giapponese a base di riso dove si mescolano numerosi ingredienti… M. T. : Sì, è così, dal momento che se non si mescola il nukazuke, questo diventa cattivo. Il partito Liberal-democratico al potere è come questo piatto quando non ha fermentato. Si possono aggiungere delle belle melanzane e dei cetrioli, ma sarà sempre cattivo.

Miyake Tohei è un musicista che ha inventato il proprio stile di campagna elettorale, invitando dei rappers in scena per mobilizzare il più gran numero di giovani lontani normalmente non interessati alla politica. Pensa sia una speranza per la nuova classe politica giapponese? M. T. : Sì, ho assistito a uno dei suoi “festival elettorali” a Ikebukuro, due anni fa. È stato formidabile. Ha riunito migliaia di persone, essenzialmente dei ragazzi. In seguito però, ha commesso l’imprudenza di incontrare la moglie del Primo ministro Abe e questo gli ha valso critiche estremamente severe: è stato praticamente bandito dai suoi elettori. In politica bisogna essere doppiamente prudenti. Miyake ha vissuto un’esperienza molto dolorosa, ma se riuscirà a sormontarla presentandosi al prossimo scrutinio sarà molto forte. Saranno delle elezioni organizzate per eleggere al contempo dei deputati e dei senatori, un momento cruciale per il paese. Quali progetti ha per il 2019? M. T. : In vista delle elezioni del luglio prossimo, sto organizzando una grande marcia per la pace a cui parteciperanno bambini giapponesi e coreani... La "peace walk"è un concetto che ho scoperto mentre facevo il giro della Corea a piedi dieci anni fa. Pensa che il Giappone debba avvicinarsi al suo vicino coreano? M. T. : Assolutamente. Le relazioni nord-sud

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Prima diceva di non nutrire alcun interesse per la politica, ma aggiungeva di aver capito fosse un errore. Si presenterà alle prossime elezioni municipali? M. T. : No, partecipo dietro le quinte alle elezioni ma non presento la mia candidatura. Sono già dieci anni che formo giovani politici. Perché se ci sono dei giovani, le persone ricominceranno a votare. Due fra di loro sono diventati deputati, tra questi c’è Miyake Yohei.

sono molto importanti sia per la Corea che per il Giappone. In questi ultimi tempi esistono opportunità insperate di dialogo. Bisogna rendersi conto che, fino ad appena un anno fa, non si finiva più di parlare di missili nordcoreani e oggi si parla di riunificazione, è straordinario! Se la Corea si riunifica, non ci sarà più una ragione valida per rivedere la Costituzione. La Corea possiede, come il Giappone, numerosi reattori nucleari? M. T. : Certamente. In caso di incidente in Corea, il Giappone sarebbe coinvolto e viceversa. Quest’estate ho accolto dei bambini coreani e dei bambini di Fukushima. Erano molto contenti e comunicavano grazie a un’applicazione di traduzione sul loro smartphone, è stato incredibile! C’era una bimba nata al momento dell’incidente e c’era un ragazzino coreano che discuteva a proposito del servizio militare, i due andavano

così d’accordo…Per me questi incontri culturali sono il cemento per costruire la pace nel mondo. Bisognerebbe però che gli adulti avessero un’idea chiara su quale direzione prendere. Quale direzione le sembra prioritaria per il futuro? M. T. : La riforma dell’educazione. In fin dei conti le scuole di oggi formano persone che costruiscono il nucleare. In futuro avremo bisogno di scuole che educhino la popolazione a uscire dal nucleare. Non possiamo ripristinare il vecchio modello di vita ma possiamo costruire una nuova civiltà. Questa idea, l’ho studiata durante tutti gli anni in cui ho vissuto in India. Recentemente, ho finalmente capito che non avevo imparato queste cose soltanto per il mio sviluppo personale, ma per trovare una soluzione ai problemi che affrontiamo tutti. INTERVISTA REALIZZATA DA A. D.-T.

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Odaira Namihei per Zoom Giappone

Esplorando le vie di Sakitsu, ci si può imbattere in oggetti appartenenti al culto cristiano.

STORIA

Dall’ombra alla luce

Situate al largo di Kyushu, le isole Amakusa sono state uno dei luoghi più importanti del cristianesimo in Giappone.

K

amishima e Shimoshima sono le principali fra le isole dell’arcipelago Amakusa. Su Shimojima, il piccolo villaggio di pescatori di Sakitsu rappresenta la coesistenza pacifica fra le tre religioni dominanti nella regione: buddismo, scintoismo e cristianesimo. Il simbolo di questa intesa è lo shuincho, un libretto affidato ai fedeli, sui quali sono apposti i sigilli dei templi e dei santuari in cui ci si reca a pregare. A differenza di quelli che esistono in altri luoghi del Giappone, il libretto che si può ottenere a Sakitsu è unico. Possiede un terzo foglietto dove

appare il sigillo vermiglio della locale chiesa cattolica. La superiora del tempio di Fuoken sfoggia un ampio sorriso, poiché questo documento illustra la particolarità del villaggio, iscritto al Patrimonio Mondiale dell’Unesco all’inizio dell’estate 2018, contemporaneamente alla cattedrale di Oura, a Nagasaki, e ad altri siti legati alla persecuzione dei Cristiani nel corso del XVIIo secolo. Amakusa non è stata risparmiata da questa campagna di annientamento della religione cattolica lanciata dagli shogun a partire dal 1614. Fu d’altra parte molto più severa in questa parte dell’arcipelago visto che il numero dei fedeli cattolici era piuttosto alto. Il missionario portoghese Luis de Almeida, che partecipò attivamente all’evangelizzazione di

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Kyushu, contribuì a un gran numero di conversioni, alla fine del XVI secolo. Amakusa divenne un centro molto attivo grazie alla fondazione dell’Amakusa Gakurin o Collegio di Amakusa dove, grazie alla presenza di una stampa Gutenberg, fu incrementata la diffusione di scritti religiosi e letterari. Se si aggiunge il fatto che i missionari e i fedeli originari della regione di Kyoto vennero a rifugiarsi ad Amakusa per fuggire gli attacchi di cui erano vittime, la regione si trasformò di conseguenza in uno dei più importanti bastioni del cattolicesimo in Giappone. Questo spiega come mai la resistenza nei confronti della politica di divieti decisa dalle autorità degli shogun conobbe qui una resistenza particolarmente viva, soprattutto nel corso dei moti del 1637.


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Eretto nel 1647, il santuario Suwa, col suo torii del 1685, il più antico di Amakusa, è stato frequentato dai “Cristiani nascosti” che qui pregavano.

Fino a quel momento, il potere cercava di fare in modo che i locali provassero di non appartenere alla fede cristiana attraverso un’azione chiamata fumi-e: dovevano buttare a terra e mandare in frantumi l’effigie di Gesù o della Madonna. Coloro che rifiutavano di rinunciare alle loro credenze venivano deportati o più sovente, subivano un’esecuzione immediata. La violenza che si

abbatté progressivamente su Amakusa condusse buona parte dei fedeli a ribellarsi sotto la guida del giovane Masuda Shiro, conosciuto soprattutto come Amakusa Shiro dove un memoriale gli è consacrato (977-1 Oyanomachinaka, KamiAmakusa. Aperto dalle 9h alle 17h, 600 yen). Circa 27.000 insorti si rifugiarono spesso il castello di Hara, un’antica fortezza situata nella

prefettura di Nagasaki. L’edificio fu difeso con veemenza di fronte agli attacchi delle truppe mandate dallo shogun, composte da 120.000 uomini. Le rovine del castello sono state anch’esse iscritte alla Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Si può inoltre scoprire presso il Museo dei Cristiani di Amakusa (19-52 Funenoomachi, Amakusa. Aperto dalle 8h30 alle

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Odaira Namihei per Zoom Giappone

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La chiesa di Oe è stata costruita nel 1933 sotto l’egida di padre Ludovic Garnier.

18h, 300 yen) un’impressionante ricostruzione della battaglia. Vi è esposto lo stendardo dei ribelli, una testimonianza diretta dell’impegno nella difesa della propria fede nei confronti di un potere deciso allo sterminio. Gli shogun ottennero addirittura il sostegno armato degli

Olandesi stabiliti a Hirado, a nord di Nagasaki, affinché bombardassero il castello dal mare. L’assedio si concluse qualche mese più tardi con una bruciante sconfitta per i cristiani e l’uccisione della gran parte dei capi della ribellione. Questa rivolta conosciuta con il nome di Shimabara fu

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il seguito di numerose esecuzioni commesse per ordine del potere degli shogun, come testimonia, a qualche passo dal Museo dei Cristiani di Amakusa, la “stele dei 1000 martiri” eretta nel parco che porta lo stesso nome e domina la città. Proprio qui sorgeva il castello di Hondo, antico

Zoom Giappone è pubblicato dalle Edizioni Ilyfunet 12 rue de Nancy 75010 Paris - Francia Tel: +33 (0)1 4700 1133 / Fax: +33 (0) 4700 4428 www.zoomgiappone.info info@zoomgiappone.info Deposito legale: a pubblicazione ISSN: 2492-7414 - Stampato in Francia Responsabile della pubblicazione: Dan Béraud

Hanno partecipato a questo numero: Odaira Namihei, Gabriel Bernard, Silvia Madron, Gianni Simone, Mario Battaglia, Sara Sesia, Eva Morletto, Ritsuko Koga, Eric Rechsteiner, Alissa Descotes-Toyosaki Yoshiyuki Takachi, Takako Taniguchi, Chiho Ichikawa, Kashio Gaku, Shoko Etori, Kaisei Nanke, Miho Masuko, Marie Varéon (conception graphique)

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feudo del daimyo cristiano Konishi Yukinaga, sconfitto nel corso della famosa battaglia di Sekigahara (1600) che aveva permesso a Tokugawa Ieyasu di incrementare la sua importanza e imporre in seguito il rifiuto dell’influenza cristiana. Come in altre parti dell’arcipelago, questa politica anti-cristiana si è rafforzata dopo il 1638. Malgrado le persecuzioni di cui erano vittime, i fedeli hanno continuato a praticare la loro religione di nascosto, da qui il nascere dell’espressione kakure kirishitan (Cristiani nascosti). Se ci si reca al Museo del rosario (1749 Oe, Amakusamachi; aperto dalle 8h30 alle 17h00, 300 yen) nei paraggi della chiesa Oe, fatta costruire in gesso bianco nel 1933 dal sacerdote Ludovic Garnier, si può scoprire l’ingegnosità messa in opera dai fedeli perseguitati, capaci di creare piccole stanze segrete per pregare o di fabbricare statuine della Vergine sotte le sembianze di Kannon, dea della misericordia nel buddismo giapponese, stratagemmi utili a non farsi prendere e torturare. A Sakitsu, presso il santuario Suwa che domina la chiesa costruita nel 1934 -metà in legno, metà in cemento, per via della mancanza di fondi - i Cristiani obbligati a rendersi regolarmente, per non svelare la loro vera fede, salmodiavano “Anmenriyusu”, deformazione di

“Amen Deus”. In questo modo non attiravano l’attenzione. Per più di due secoli, i Cristiani di Amakusa hanno dovuto far prova di ingegno. L’iscrizione di questi siti alla Lista del Patrimonio Unesco permette di mettere finalmente in luce la loro storia tragica, che la popolazione locale difende vigorosamente. Il ristabilirsi della libertà di culto nel 1865 permise il ritorno dei missionari stranieri, fra i più importanti figuravano dei Francesi provenienti dalle Missioni Straniere di Parigi, quali padre Ludovic Garnier a Oe, o padre Augustin Halbout a Sakitsu. Se il ricordo delle persecuzioni ha mantenuto per molto tempo viva la paura nella gente locale, oggi, i credenti cattolici non si nascondono più. Le chiese dove ci si scalza e ci si siede sui tatami sono piene durante le messe e, nelle vie di Sakitsu, si possono scorgere, levando il naso in su, delle statuette della Madonna che fanno capolino dietro numerose finestre. All’ingresso del porto è stata eretta una grande statua della Vergine. Protegge i pescatori che la salutano ad ogni loro passaggio. Questo non impedisce loro di partecipare ai matsuri (feste locali) ampiamente ispirati dallo scintoismo. A Sakitsu, dove oggi le tre religioni convivono in armonia, prima che l’attuale chiesa fosse costruita, l’antico

Odaira Namihei per Zoom Giappone

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Riproduzione di una stampa Gutenberg al museo del rosario di Oe.

luogo di culto cristiano sorgeva a fianco del santuario Suwa, come testimonia la presenza di una croce e di alcune statue della Madonna. Sotto il cielo blu di Amakusa, le religioni hanno fatto la pace. ODAIRA NAMIHEI

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ZOOM CULTURA PATRIMONIO

Nel bene e nel male

La regione ha partecipato attivamente allo sviluppo economico del paese nel corso del XX secolo.

P

er la maggior parte dei turisti la prefettura di Kumamoto merita una visita per la sua natura, per il magnifico castello di Kumamoto e ormai anche per Kumamon, mascotte creata nel 2010 per promuovere la regione in occasione dell'apertura della linea ad alta velocità sull'isola di Kyushu, la cui fama ha ampiamente oltrepassato i confini della regione e addirittura del Giappone. Tuttavia Kumamoto deve in parte la sua fama alla sua storia industriale, che ha lasciato numerose tracce, talvolta tragiche, come a Minamata, ma sempre indelebili nella memoria di una popolazione orgogliosa di avere partecipato allo sviluppo del paese. Minamata, che ad aprile festeggerà 130 anni di esistenza come entità amministrativa, è ormai conosciuta nel mondo a causa della malattia di cui parte della sua popolazione fu vittima in seguito allo scarico di metalli pesanti in mare ad opera della fabbrica Chisso, fondata nel 1932. Oggi lo stabilimento, responsabile della contaminazione di più di 1.300 persone riconosciute infette e altre 25.000 in fase di accertamento, è ancora lì, di fronte alla stazione di Minamata. È l'incarnazione di una fase dell’industrializzazione dell'arcipelago in cui erano solo i risultati economici a contare davvero, come mostrano le foto delle vittime scattate dal giapponese Kuwabara Shisei, dall’americano William Eugen Smith o i commoventi racconti della defunta Ishimure Michiko, il prezzo da pagare è stato così caro che il Giappone ha finalmente deciso di rivedere la sua politica industriale. E pare sia stata necessaria una tragedia come quella di Minamata perché avvenisse finalmente una presa di coscienza, ma ancora questa catastrofe non è ancora del tutto superata e in molti non possono dimenticarla sebbene le autorità dichiarino ormai di aver decontaminato l'area. Più a nord della prefettura, ad Arao, non c’è la stessa intenzione di mettere una pietra sul passato industriale della città. Non si tratta di ricordare l'inquinamento, nonostante la città ne sia stata ben affetta, ma piuttosto di ricordare che la città ha partecipato attivamente alla crescita del paese grazie al carbone. Appena giunto alla stazione di Arao, il visitatore viene accolto da alcuni pannelli che riportano l'iscrizione della fossa di Manda (Mandako, 200-2 Haramanda, Arao, aperto dalle 9.30 alle 17, chiuso il lunedì, 410 yen) al patrimonio mondiale dell'Unesco con

Costruiti con mattoni importati dalla Gran Bretagna, questi edifici hanno oggi centodieci anni.

Fino alla Prima Guerra Mondiale, la manodopera era costituita da donne, bambini e prigionieri.

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ZOOM CULTURA Lo ripetono continuamente, così come fa Sobu Masayoshi, venditore di ekiben (lunchbox venduti nelle stazioni), nella stazione di Hitoyoshi, città situata nel sud della prefettura di Kumamoto. A settantacinque anni è uno degli ultimi ad esercitare tale professione e non si fa sfuggire nessun treno in partenza da questa città, che fu una delle principali città ferroviarie del paese. Nel secolo scorso un quarto della popolazione lavorava nelle ferrovie e vi sono molti resti e testimonianze del tempo in cui Hitoyshi era una tappa indispensabile. Sobu, longilineo e sempre sorridente, si ricorda bene dell'epoca in cui le potenti loco-

motive a vapore facevano risuonare il loro fischio ed era possibile seguirle lungo il fiume Kumagawa grazie al pennacchio di fumo. Rivede quasi l'agitazione che procuravano queste macchine grazie alla messa in funzione della SL Hitoyshi (www.jrkyushu.co.jp/english/train/sl.html), treno turistico trainato dalla locomotiva 58654 del 1922, tra Kumamoto e Hitoyoshi, due ore e trenta minuti di viaggio indimenticabile nel cuore dei paesaggi montani di Kumamoto, assaporando un ekiben Kurimeshi (riso alle castagne), specialità venduta con amore dal sempre energico Sobu. GABRIEL BERNARD

Gabriel Bernard per Zoom Giappone

numerosi altri siti industriali appartenenti alla rivoluzione Meiji. In quanto parte della miniera di carbone Miike, che si estende principalmente nella vicina prefettura di Fukoka, la fossa di Manda, la cui attività carbonifera è cessata nel 1951, sebbene abbia continuato ad essere utilizzata dal gruppo Mitsui fino al 1997, possiede alcune testimonianze del ruolo cruciale della regione nello sviluppo del paese nel corso del XX secolo. Diversamente dalla città di Omuta, nella prefettura di Fukoka, in cui il primo pozzo era stato aperto già nel XV secolo, la fossa di Manda è stata aperta nel 1899 e il suo utilizzo non è cominciato che tre anni dopo, ovvero nell'anno 35 dell'era Meiji. Man mano che ci si avvicina si capisce chiaramente per quale ragione il luogo sia stato inserito tra i siti dell'Unesco. Esso sprigiona una sorta di potenza, malgrado la mancanza di manutenzione precedente il suo inserimento nel Patrimonio Mondiale dell'Unesco. Gli edifici in mattoni rossi ricordano l'influenza europea, essendo stati importati dalla Gran Bretagna e sono testimoni di un'epoca in cui il ritmo della regione era dettato dal carbone. Ospitavano, come noto, il macchinario che consentiva ai minatori di scendere a 268 m, al fondo del pozzo numero due per estrarne quelle pepite nere fondamentali per la trasformazione del paese. Alcune guide volontarie, spesso vecchi lavoratori, accompagnano i visitatori in un'immersione nell'universo della miniera giapponese. Come ha scritto nel 1908 Natsume Soseki in “Il minatore" (Kofu, edizione italiana del 2015, tradotta e curata da Antonio Vacca) "fra i lavoratori, il minatore era quello più crudelmente sfruttato". Vi lavorarono infatti per molto tempo perfino donne, bambini e prigionieri, prima che l'impresa decidesse, allo scoppio della Prima Guerre Mondiale, di mettere fine a tale sfruttamento, favorendo in tal modo una manodopera più qualificata. A testimonianza di questa evoluzione vi è la costruzione, nel 1916, proprio all'entrata del sito, di un piccolo santuario scintoista. Lo Yama no kami saishi shisetsu (installazione rituale per il Dio della montagna) è stato installato in questo luogo affinché i minatori pregassero per la protezione del sito. Prima la sicurezza non aveva rappresentato una priorità, soprattutto perché i proprietari della miniera potevano contare su una manodopera numerosa e poco esigente in fatto di remunerazione. Ascoltando le guide che hanno vissuto l'ultima fase dello sfruttamento della miniera locale, si capisce come i minatori siano diventati progressivamente i porta voce della protesta operaia, in particolare dopo la Seconda Guerra Mondiale, e protagonisti dei grandi scioperi del 1959, scoppiati in seguito al licenziamento di massa voluto a seguito di una recessione nel settore del carbone.

A settantacinque anni Sobu Masayoshi, venditore ambulante di ekiben, è una delle leggende della stazione Hitoyoshi. marzo - giugno 2019 N. 13 ZOOM GIAPPONE 21


ZOOM CULTURA SIMBOLI

Castello o morte

Dopo i danni subiti dall’edificio nel terremoto dell’aprile 2016, la sua ricostruzione è diventata una priorità.

I

dopo il bombardamento della città nell’agosto del 1945, o di quando la compagnia Sanriku Tetsudo riaprì parte della ferrovia dopo il terribile sisma del 2011, che aveva distrutto quasi ogni infrastruttura. In un paese che ha conosciuto numerose catastrofi, iniziative simboliche come queste sono necessarie per evitare che lo sconforto prenda completamente il sopravvento. Questi sforzi hanno portato a dei risultati visto che le impalcature che circondavano l’edifico sono state rimosse l’autunno scorso con la speranza di completare i lavori di restauro del mastio entro quest’anno, data importante perché Kumamoto si troverà sotto i riflettori della Coppa del mondo di rugby da settembre a novembre e dei mondiali di handball femminile da novembre a dicembre. Il cantiere dei muri esterni sarà comunque ancora lontano dall’essere finito, come il recupero delle pietre e il restauro stesso, che come per un puzzle gigante, richiederanno ancora molto tempo; nonostante però queste numerose ferite il simbolo di Kumamoto è stato capace di riconquistare il suo fascino. O. N.

Eric Rechsteiner per Zoom Giappone

l castello di Kumamoto, orgoglio dell’intera regione, è sia il cuore della città che, per estensione, dell’intera prefettura. Quando il monumento è ben tenuto, infatti, gli abitanti se ne rallegrano, mentre quando subisce dei danni essi ne seguono con ansia il suo ripristino. Una buona parte della popolazione locale è stata tragicamente colpita dai danni subiti nel terremoto dell’aprile 2016 e benché il castello non sia stato ovviamente l’unico posto colpito dalla calamità, i suoi 8000 m² di muri distrutti sono diventati in fretta il simbolo stesso della regione ferita. Le scosse hanno infatti provocato decine di morti, migliaia di feriti e lasciato decine di migliaia di persone senza casa, che ancora più di tre anni dopo vivono in sistemazioni di fortuna. Il castello è diventato il simbolo di questo terremoto, poiché i danni provocati hanno largamente superato quelli del terremoto del 1889,

che aveva provocato il crollo di 2.700 m² di muro, mentre si avvicinano alla tragedia del 1877, data in cui fu incendiato da truppe ostili alle riforme condotte dall’imperatore Meiji. Il castello, costruito nel 1607, aveva allora più di 250 anni, il solo elemento originario ancora esistente è la torre Uto Yagura, un edificio a sinistra dell’entrata che serviva a conservare le armi ed è fortunatamente sopravvissuto al terremoto, purtroppo differente è stata la sorte del mastio (tenshukaku), gravemente danneggiato dal sisma. Per più giorni i media hanno trasmesso, nello stupore generale, le immagini di quello che una volta era il rifugio dei signori Hosokawa non fosse originale, essendo già stato ricostruito tra il 1960 e il 1990 l’edificio si era ormai imposto come il punto di riferimento locale. Anche la decisione di iniziare rapidamente dei lavori di restauro per il castello è stata accolta con sollievo dalla popolazione come un segno della volontà di tornare il più velocemente possibile alla vita di tutti i giorni. L’effetto è stato lo stesso di quando i tram tornarono in servizio a Hiroshima, soltanto pochi giorni

Per fortuna la torre Hitsujisaru Yagura non è stata colpita dal sisma dell’aprile 2016 22 ZOOM GIAPPONE N. 13 marzo - giugno 2019



ZOOM CUCINA TERRITORIO

Piaceri per gli occhi ed il palato

L’Orange Restaurant percorre i 117 km della linea Shin-Yatsushiro-Sendai deliziando i suoi passeggeri.

Gabriel Bernard per Zoom Giappone

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opo la scomparsa delle vetture-ristorante sulla maggior parte delle linee ferroviarie in Europa, ci siamo abituati a mangiare male a bordo di un treno. Anche in Giappone queste vetture sono state abbandonate, ma la radicata tradizione dell’ekiben (lunch-box venduto nelle stazioni o su certi treni) perdura e i viaggiatori apprezzano il poter degustare prodotti freschi e locali, scoprendo al tempo stesso la varietà dei paesaggi che sfilano fuori dal finestrino. Nonostante l’eccellenza di questi pasti take away, diverse compagnie ferroviarie hanno deciso durante questi ultimi anni, di ridar vita al vagone-ristorante. Invece di limitarsi a una sola vettura, hanno scelto incredibilmente di creare dei veri e propri treni-ristorante grazie ai quali i passeggeri hanno il piacere di gustare una cucina raffinata e ammirare al ritmo del treno le regioni più interessanti del Giappone. Beneficiando sia di prodotti locali rinomati, sia di una natura generosa, Kyushu è stata pioniera fra le regioni che hanno sviluppato questo tipo di treni, autentico successo per il turismo interno. È davvero una buona notizia, dal momento che questo servizio genera un fatturato notevole, senza il quale le imprese di trasporto ferroviario locali si troverebbero in una situazione finanziaria difficile. Ecco perché la piccola compagnia Hisatsu Orange Railway (Hisatsu orenji tetsudo) che utilizza la linea Shin Yatsushiro-Sendai (116,9 km) ha compiuto il passo decisivo lanciando, nel marzo 2013, l’Orange Restaurant (Orenji shokudo), un trenoristorante composto da due vetture che, dal venerdì alla domenica e nei giorni festivi, percorre la linea a velocità moderata, proponendo pasti degni delle migliori tavole della regione.

Una cucina a tre stelle a bordo dell’Orange Restaurant, attraversando meravigliosi paesaggi.

Concepite dal principe del design ferroviario Mitooka Eiji, questo relais gastronomico ambulante possiede un sicuro charme e fa ormai parte delle istituzioni locali. A dimostrarlo, la sua apparizione nel film Kazoku iro - Railways watashitachi no shuppatsu, uscito l’autunno scorso, con il grande Kunimura Jun. L’Orange Restaurant è stato scelto per ambientare la vicenda che racconta di una vedova obbligata a trasferirsi dal suocero, ferroviere, e a imparare il mestiere di conduttrice di treni. Questa scelta è dovuta in gran parte ai paesaggi meravigliosi attraversati dal convoglio. Una gran parte del viaggio si svolge lungo il mare di Yastsushiro (Yatsushiro kai) o Mar della Cina orientale, e offre magnifici punti panoramici visibili solo dal treno. Non è dunque sorprendente che i

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posti a bordo siano presto esauriti. È senza dubbio giudizioso prenotare (tel. 0996-63-6861, dalle 9h30 alle 17h o sul sito : www.hs-orange.com/ kankou/reserve/pub/Default.aspx?c_id=22). Riservare online permette contemporaneamente di assicurarsi fino a due mesi prima un tavolo disponibile e scegliere una formula che corrisponda ai nostri desideri. L’offerta dell’Orange Restaurant non si limita infatti soltanto al pranzo. Si può preferire una copiosa colazione o un’eccellente cena, a seconda dell’ora in cui si vuole viaggiare. I passeggeri più mattinieri (7h55 dalla stazione di Izumi in direzione di Shin-Yatsushiro) potranno offrirsi una deliziosa colazione per 8000 yen. Per il pranzo, la partenza avviene alle 10h08 a ShinYatsushiro. Ai comandi della cucina c’è lo chef Sakai Hiroyuki, grazie a lui i gourmet potranno


Gabriel Bernard per Zoom Giappone

Gabriel Bernard per Zoom Giappone

Questo treno gastronomico è in servizio dal 2013.

A pranzo, la cucina è d’ispirazione francese mentre la sera, prevalgono i sapori giapponesi.

Gabriel Bernard per Zoom Giappone

apprezzare ricette d’ispirazione francese (21 000 yen) ma realizzate coi migliori prodotti della regione, in particolare i frutti di mare e il wagyû Kuroge (bue giapponese). I romantici preferiranno senza dubbio la formula serale (13 000 yen) partendo da Izumi (16h40). Oltre ai tramonti eccezionali, potranno meravigliarsi di fronte ai piatti, patrimonio della tradizione gastronomica giapponese, in particolare il famoso maiale di Kagoshima. Secondo il momento della giornata, il treno può proporre delle soste più lunghe in certe stazioni, per permettere così per qualche istante la scoperta dei dintorni o per ammirare il restauro di alcune stazioni quali quella di Minamata affidata ancora al geniale Mitooka Eiji. Il successo dell’Orange Restaurant ha ispirato altre compagnie in altre regioni. Mitooka Eiji ad esempio, ha appena terminato la realizzazione di un nuovo treno ristorante per la piccola società Heisei Chikuho Tetsudo (49 km), nella vicina prefettura di Fukuoka. Chiamato Coto Coto Train (www.heichiku.net/cotocoto_train/), la data di entrata in servizio è il 21 marzo. Perché non approfittare di un passaggio a Kumamoto per fare un giro sull’Orange Restaurant e poi sul Coto Coto Train, ultima creazione in fatto di gastronomia ferroviaria? GABRIEL BERNARD

Le soste prolungate in certe stazioni permettono di scoprire i dintorni tra due portate.

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ZOOM CUCINA INDIRIZZI

Sapori di origine controllata

La qualità dei prodotti locali è leggendaria. Abbiamo provato per voi tre ristoranti eccellenti, da non perdere.

Odaira Namihei per Zoom Giappone

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Il sukiyaki alle due carni (bue Wao e maiale Rindo) è uno degli imperdibili di Shinojino.

Odaira Namihei per Zoom Giappone

due passi dal castello di Kumamoto, il ristorante Shinojino (1-10-3 Shimotori, Chuo-ku, Kumamoto, Ginza Play ottavo piano. Tel. 096-356-1029. Aperto dalle 11h30 alle 14H e dalle 17h30 alle 22h30) è un luogo perfetto per il viaggiatore che, non disponendo di molto tempo sul posto, intende scoprire la qualità delle specialità locali. In effetti tutto ciò che viene servito proviene dalle fattorie della regione, in particolare il delizioso bue Wao, o il non meno saporito maiale Rindo. Nel leggere il suggestivo menu e nell’ammirare le portate servite agli altri tavoli si avrebbe voglia di provare tutto! La nostra raccomandazione va al sukiyaki alle due carni. Una pura delizia. Ad Amakusa, i gourmet non mancheranno di fare un salto al caffè Marukin (11-10 Chuo Shinmachi, Amakusa. Aperto dalle 10h00 alle 18h00. Chiuso il mercoledì) per assaggiare il suo famoso taiyaki (150 yen), un dolce bizzarro a forma di pesce che qui ha la particolarità di avere una forma tonda e il cui ripieno è composto di crema e pasta di fagioli rossi (anko). Per il pesce -quello vero!- l’appuntamento è al ristorante tenuto dal giovane chef Hama Yoshiaki. Ja no me zushi (6-3 Ohama machi, Amakusa. Tel. 0969-23-2238. Aperto dalle 11h30 alle 14h e dalle 17h30 alle 22h. Chiuso il mercoledì) è senza dubbio uno dei migliori ristoranti di pesce crudo della regione. Fondato nel 1955, si tratta di un autentico affare di famiglia poiché il padre di Hama Yoshiaki ci lavora ancora in un’atmosfera conviviale. Se si ha la fortuna di essere accomodati al banco, si può osservare con quale destrezza gli chef preparano i differenti menu in programma. L’eccellente qualità del servizio contribuisce a fare di questa esperienza gastronomica un momento indimenticabile. O. N.

Ogni portata realizzata da Hama Yoshiaki è un piacere per gli occhi e per il palato.

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Alissa Descotes-Toyosaki per Zoom Giappone

Il cono perfetto del Komezuka, una delle cinque vette del monte Aso.

Il Monte Aso, selvaggio e imponente L’impressionante complesso vulcanico riserva numerose sorprese a tutti gli amanti della natura.

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La strada denominata Aso panorama line si snoda serpeggiante attorno ai pendii dei vulcani ricoperti a perdita d’occhio delle meravigliose piume bianche dei fiori di pampa, fiore tipico argentino che cresce anche qui, nell’est del Giappone, sull’isola di Kyushu, un’immensa regione vulcanica al centro della prefettura di Kumamoto. “Guardate, ecco il Nakadake”, ci spiega Yui, la nostra guida, indicando un cratere fumante che culmina a 1506 m. La depressione vulcanica del Monte Aso, uno dei più estesi al mondo, conta cinque vette tra cui il Komezuka, un cono perfettamente simmetrico ricoperto di erbe gialle, simili ad un meraviglioso budino al caramello appoggiato sulla sua piana. La strada continua a

salire sino all’entrata del parco nazionale AsoKuju (Aso Kuju kokuritsu koen) e poi fino al Nakadake, contornato da impressionanti fumi bianchi, il più vecchio (300.000 anni!) e più attivo vulcano nipponico è il solo che possa essere avvicinato nonostante la presenza di gas tossici emessi a diverse temperature durante tutta la giornata. “Le persone affette da asma o altri problemi respiratori sono invitate a non avvicinarsi al bordo del cratere” spiegano gli altoparlanti in diverse lingue. “Le teleferiche che portano al cratere sono spesso fuori servizio” ci spiega la nostra guida, aggiungendo come l’affluenza turistica si sia fortemente ridotta dopo il sisma che ha colpito Kumamoto nell’aprile 2016, causando alcune vittime e importanti danni materiali. La guida ci chiede più volte se siamo in buona salute, porgendoci un dépliant che somiglia di più ad una procedura in caso di urgenze che un volantino turistico: “Pericolo! Emissione di gas vulca-

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nico!”, il tutto scritto in rosso con tanto di spiegazione sui sintomi di inalazione da diossido di zolfo o di idrogeno solforoso. “Oggi il vulcano è particolarmente attivo”, ci spiega Yui osservando l’assenza di passeggiatori che si avvistano normalmente sui sentieri, e qualche attimo dopo ci ripariamo in un parcheggio vicino a delle barriere distrutte dal sisma: l’aria è pesantemente impregnata di gas e la presenza dei bunkers contribuisce a dare al luogo una atmosfera surreale e infernale. Dio protettore delle catastrofi, il Monte Aso ha conosciuto più di 160 eruzioni dal 533, sua prima collera documentata del Giappone, restando uno dei 110 vulcani più attivi del Giappone. Sul ciglio del suo cratere gigante, 600 m di diametro, una spessa coltre di fumo si muove nel vento, rendendo il lago sotto totalmente invisibile. “Basta che il vento cambi direzione per scorgerlo” ci dice un guardiano con il volto protetto da una maschera, necessaria per proteggersi dai gas tossici.


Alissa Descotes-Toyosaki per Zoom Giappone

L’entrata del cratere Nakadake parzialmente distrutta nel momento dell’eruzione esplosiva di ottobre 2016.

Unico vulcano attivo visitabile, il Nakadake racchiude un lago acido profondo 160 metri.

Alissa Descotes-Toyosaki per Zoom Giappone

Accanto a lui un venditore cerca di attirare qualche sprovveduto turista cinese nel tentativo di vendergli un efficace rimedio contro formiche, serpenti e persino corvi: un barattolino contenente lo zolfo del vulcano! “Avreste dovuto vedere le pietre protette dall’eruzione due anni fa, pesavano almeno 35 tonnellate”, continua il guardiano. Nell’ottobre del 2016, il tumultuoso vulcano è entrato in modalità eruzione esplosiva, che si è tradotta in un innalzamento del livello di allerta 3 su una scala di 5 punti. L’eruzione a sorpresa ha ricoperto di una spessa coltre di cenere nera la città di Aso, provocando un certo panico tra i 100.000 abitanti che la popolano. Nel 2014 il monte Ontake, nel centro dell’arcipelago, si era risvegliato in maniera improvvisa e inattesa, facendo più di 60 vittime, per lo più escursionisti, ricordando a tutti come la natura sia maestosa quanto imprevedibile. Un raggio di sole, timidamente, buca la massa di fumi, facendo dissipare dolcemente le nuvole per lasciare spazio alla stupenda colorazione turchese del lago, un immenso bacino acido, profondo 160 metri e la cui temperatura raggiunge i 60 gradi. Qualche minuto dopo il lago è già di nuovo ricoperto dal gas ancora più intensamente, la gola ci inizia a bruciare e delle persone tossiscono, anche gli altoparlanti gridano l’allarme: “Velocemente allontanarsi, pericolo, evacuazione in corso!”. Yui, la guida, ci spiega che abbiamo avuto fortuna a poter vedere il cratere, a volte addirittura inagibile, se dovesse dunque capitarvi di arrivare e trovarlo chiuso potete fare un giro al bel Museo del Monte Aso (Aso-kazan Hakubutsukan, Nagakusa, Aso, orario 9-17 www.asomuse.jp), situato all’entrata del parco, o approfittare per fare una passeggiata sulle pendici dei monti Nakadake e Takadake, come ci spiega Yui mostrandoci le foto di Sunasenri, un meraviglioso deserto vulcanico accessibile da un percorso a piedi direttamente dal parco. Altra opzione, gas permettendo, è una passeggiata a cavallo attraverso il verde pianoro di Kusasenri, ai piedi del cratere. Suefuji Yoshikazu, un nativo di Aso di una sessantina d’anni, relativizza così : “Ai miei tempi non c’erano sistemi di allarme e vivevamo tutti respirando il gas, è solo da quando ci è stato un decesso da inalazione che le autorità hanno organizzato queste restrizioni agli accessi”. Allevatore di cavalli da oltre trent’anni, ammette di aver temuto molto quando ha visto il Nakadake esplodere in piena notte, poco dopo il sisma di Kumamoto dell’aprile 2016, come non capitava da almeno trentacinque anni, “il sito è stato chiuso per un anno, una perdita economico anche, ora siamo in lenta ripresa”, ci spiega mostrandoci i suoi cavalli in attesa di essere sellati. I cavalli di Aso sono noti in tutto il Giappone con il nome di razza Ban’ei, un incrocio di cavalli da tiro europei: “Si tratta di cavalli Percherons o Bretoni che sono stati importati dalla Francia e dal Belgio fino

Alissa Descotes-Toyosaki per Zoom Giappone

ZOOM VIAGGIO

Lo zolfo del Nakadake è considerato uno dei più potenti repellenti contro serpenti, talpe e corvi. marzo - giugno 2019 N. 13 ZOOM GIAPPONE 29


Alissa Descotes-Toyosaki per Zoom Giappone

ZOOM VIAGGIO

Passeggiata nelle gole de Kikuchi, celebri per le foreste autunnali e le cascate.

a Hokkaido per essere allenati prima di partecipare alle celebri corse di Ban’ei”, spiega Suefuji Yoshikazu evocando le celebri corse durante le quali i cavalli devono portare dei grossi pesi per centinaia di metri, in una competizione spettacolare che si è imposta nei gusti del numeroso pubblico dopo la Seconda Guerra Mondiale. Attualmente l’allevamento di questi cavalli è molto costoso e ed è quindi nelle mani di pochi, che offrono anche un servizio di noleggio a circa 8000 yen (70 euro) per 25 minuti. “Comprare una giumenta costa più di un milione di yen! ”, rincara l’allevatore. I cavalli di Aso vengono anche venduti per la loro carne, usata per il famoso basashi, il sashimi di cavallo. Numerosi ristoranti propongono anche altre specialità di Aso: i filetti di akaushi, una razza di wagyu o manzo giapponese particolarmente tenera, da degustare dopo qualche momento nell’onsen. Tra le 1.500 sorgenti termali della regione la più celebre è sicuramente quella che racchiude lo Jigoku onsen, o “bagni dell’inferno”, costruiti nel cratere dopo l’eruzione del monte Yomine. Questo antichissimo complesso (2327 Kawayo, Minamiaso Village, http://jigokuonsen.co.jp) vanta numerose sorgenti termali e un affascinante ristorante, dove si possono assaporare degli spiedini cotti sull’irori, un focolaio

tradizionale usato per riscaldare e cucinare. Sfortunatamente chiuso per lavori di rinnovamento, al pari di molti altri stabilimenti dopo il terremoto, dovrebbe riaprire i battenti nel 2019. Yui ci porta poi verso l’ovest di Aso, con destinazione i bagni di Iwakura onsen (http://iwakura0026.com), che regalano una vista stupenda sul fiume di Kikuchi, sul fondo della vallata. Questa è l’occasione perfetta per scoprire a piedi le gole di Kikuchi, celebri in tutto il Giappone per i loro meravigliosi paesaggi d’autunno. Passando per un sentiero escursionistico lungo all’incirca due ore, conosciuto per essere un “power spot” che rigenera il copro e lo spirito, attraversiamo la foresta, fiancheggiata da cascate dove foglie rosse e dorate cadono dolcemente. Al ritorno prendiamo la strada che, prima di girare intorno sul santuario di Aso, costeggia le fattorie e i ranch tipici del monte Aso. Il santuario, con alle spalle 2.300 anni di storia e sede di beni culturali notevoli, si dice sia curato ancora oggi dalla novantunesima generazione della stessa famiglia. Benché in continuo restauro e in parte danneggiato dal sisma, come nel caso del famoso portale Rômon, il santuario scintoista accoglie comunque dei pellegrini, molti venuti proprio a pregare per placare il dio del vulcano Takeiwatatsunomikoto, nipote dell’imperatore

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Jimmu, fondatore del Giappone. Secondo gli antichi, le eruzioni del monte Aso erano il chiaro segno della collera dei kami (dei) e potevano essere i segni premonitori di carestie o epidemie. Credenza che certamente non si mette in dubbio quando si guardano i crateri infiammarsi con i colori del tramonto. I canneti susuki tremano come dei capelli incandescenti mentre la caldera si copre di macchie beige e ocra. Rimasto solo nell’ombra, il Nakadake esala i suoi fumi, che si innalzano per lungo tempo nel cielo buio, presentando l’ultima visione vulcanica della sua potenza. ALISSA DESCOTES-TOYOSAKI

PER ARRIVARE DA KUMAMOTO, la scelta più semplice è prendere il treno o il bus. Con la ferrovia bisogna impiegare tra 1h10 e 1h40 sulla linea Hohi Honsen fino alla stazione di Aso. Tuttavia, essendo ancora in corso i lavori di rinnovamento dopo il terremoto del 2016, è preferibile prendere il bus Kyushu Odan (1,3 o 7). Impiegherete 1h40 dalla partenza del Kumamoto Bus Terminal (bus stop n°26, 1500 yen, prima partenza alle 7:44) fino alla stazione di Aso ed infine 35 minuti con il bus Aso Crater (650 yen) fino alla fermata “Asosan Nishi-eki” per arrivare direttamente al cratere del Nakadake.




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