Rivista
gratuito - numero 18 settembre - dicembre 2020
gratuita
1970-2020
L'avventura di An An Eric Rechsteiner per Zoom Giappone
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Ci sono compleanni che talvolta preferiremmo non festeggiare perché ci spingono a un bilancio delle nostre vite. I cinquant’anni simboleggiano talvolta una spiacevole crisi esistenziale. Non sembra essere il caso del magazine An An, lanciato proprio cinque decenni fa. La rivista ha rivoluzionato per sempre l’universo della stampa femminile e ha saputo adattarsi ai cambiamenti del suo pubblico di lettrici. Sebbene non abbia più la potenza creativa degli inizi, conserva un posto particolare nel cuore del pubblico, rappresentando il fulcro di una rivoluzione spinta dalle donne, diventate finalmente motore di un cambiamento sociale. Anche solo per questo fatto, merita di essere festeggiato. Omedetô!
LA REDAZIONE info@zoomgiappone.info
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miliardi di yen, ossia circa 2,1 miliardi di euro. Si tratta della somma che il governo ha deciso di sbloccare per incitare gli industriali giapponesi delocalizzati in Cina a lasciare il paese e rimpatriare la produzione in Giappone o stabilirsi in un altro Stato. Il gruppo Iris Ohyama, leader mondiale nel settore della plastica, ha così deciso di spostare la sua catena di produzione da Dalian in Cina a Kakuda nel nord-est del Giappone.
L O SGUARDO DI ERIC RECHSTEINER Città di Naha, prefettura di Okinawa
© Eric Rechsteiner
Omedetô!
La primavera 2020 resterà nella memoria dei giapponesi come un periodo nel corso del quale si sono ritrovati soli, senza la presenza talvolta rumorosa e invadente dei turisti stranieri che, ormai da qualche anno, hanno fatto del Giappone una delle destinazioni più ambite. Colpa del Covid 19. I Shisa con la mascherina all’ingresso della Kokusai-dôri, d’abitudine una delle arterie più animate di Naha, ne sono testimoni.
INNOVAZIONE
Le distillerie in prima linea
GIUSTIZIA Pena
Dopo l’iniziativa lanciata ad aprile da Kiuchi, produttore di birra di Naka, nella prefettura di Ibaraki, di produrre soluzioni disinfettanti usando come base stock di birra inutilizzati dopo la chiusura forzata di numerosi bar e ristoranti, i due più grandi produttori, Kirin e asahi hanno seguito l’esempio. Forniranno così gel disinfettante alle prefetture che ne faranno domanda.
Nel 2016, UematSU Satoshi aveva assassinato a colpi di arma bianca 19 disabili mentali in un istituto specialistico di Sagamihara, a sud della capitale. Un tribunale di Yokohama ha sentenziato, il 16 marzo, la pena di morte per l’accusato. I suoi avvocati avevano giocato la carta dell’incapacità di intendere e di volere definendo il loro cliente come “mentalmente disturbato”. Il giudice ha tuttavia considerato che “non c’è posto per la clemenza” in questa atroce vicenda.
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di morte per il killer di disabili
Eric Rechsteiner per Zoom Giappone
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Sin dalla sua apparizione nel marzo 1970, An An segna l’affermarsi di una donna giapponese più forte e indipendente.
An An e il nuovo volto del Giappone Il 1970 vede l’emergere di un Giappone nuovo, in cui le donne conquistano un ruolo sempre più centrale.
I
l Giappone, uscito annientato dalla Seconda Guerra Mondiale, ha scelto la via della ricostruzione, sulla scia del modello occidentale, intraprendendo un percorso difficile per raggiungere il suo obiettivo all’insegna del pacifismo. Ci sono alcune date simbolo che hanno segnato la trasformazione di questo paese distrutto per l’80 % nel 1945, e tra tutte il 1964 e il 1970 sono particolarmente significative. Non a caso l’editore De Agostini Japan ha lanciato la sua storica collezione Shôwa Taimuzu [Shôwa Times] destinata a fare il bilancio dei sessantaquattro anni di regno dell’imperatore Shôwa (hirohito), nonno dell’attuale sovrano, con i primi due numeri dedicati a queste simboliche date. Vista da una prospettiva esterna il 1964 è una data ovvia, in quanto coincidente con il ritorno
del Giappone sulla scena internazionale grazie ai giochi Olimpici di Tôkyô. Nelle stesso anno inoltre, il Paese del Sol Levante è entrato a far parte dell’OCSE e ha inaugurato la sua prima linea ferroviaria veloce tra la capitale e Ôsaka. Non ci sono davvero dubbi sul fatto che questi trentanove anni di regno dell’Imperatore hirohito costituiscano una fase significativa per il Giappone. Sempre da un punto di vista esterno, invece, il 1970 non pare avere la stessa forza, eppure per molti giapponesi rappresenta un punto di svolta imprescindibile. Venticinque anni dopo la fine della Guerra, un Giappone nuovo, radicalmente diverso (e non è un’esagerazione!) si impone alla popolazione. Il decennio precedente era infatti terminato con il drammatico assalto della polizia, nel tristemente noto gennaio 1969, contro gli studenti che occupavano l’auditorium Yasuda dell’università di Tôkyô. L’episodio si è concluso con l’arresto di circa seicento giovani, e ha messo fine a diversi anni di contestazione universitaria,
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pur non significando la fine del fermento di protesta, anche violento. All’inizio della primavera l’increscioso episodio del dirottamento del Boeing 727 della Japan Airlines verso Pyongyang, in Corea del Nord, precipita il Giappone nel cupo clima del terrorismo di estrema destra che incomberà per decenni. Qualche mese più tardi, il 25 novembre, MIShIMA Yukio, scrittore e militante nazionalista, dopo l'occupazione del Ministero della Difesa assieme a un gruppo di paramilitari da lui guidati, mette in atto il suo suicidio rituale. Il gesto ha avuto un’eco molto ampia e ha colpito fortemente gli animi giapponesi, contribuendo a caratterizzare il personaggio di MIShIMA nell'immaginario della letteratura come autore di romanzi centrati sulla dicotomia fra i valori della tradizione e l'aridità spirituale del mondo contemporaneo. Questo spettacolare atto segnerà lo spirito dei tempi in Giappone, poiché i motivi che lo hanno ispirato non sembravano più essere rappresentativi della sensibilità dei
zOOm INCHIeSta in particolare, a rispondere all’appello, dimostrando il loro bisogno di libertà e An An è lì, al loro fianco, per accompagnarle. All’epoca si trattava di una libertà effimera, poiché permaneva una forte pressione sociale per riportare le donne “sulla retta via”, quella del matrimonio. Nonostante persino le canzonette di moda all’epoca avessero come titolo Kekkonshiyô [Sposiamoci!] o ancora Hanayome [La giovane sposa], si avvertiva ormai chiaramente la volontà di abbattere le convenzioni e conquistare nuove
libertà anche in ambito lavorativo. Dieci anni dopo l’ uscita del primo numero di An An, un’altra rivista segnerà un momento importante nella storia della stampa giapponese: il settimanale Torabâyu, dal francese “travail” (lavoro), lanciato nel febbraio 1980, si rivolge proprio alla “working woman”, desiderosa di dimostrare al mondo che è più di una semplice e futile consumatrice: insomma, la rivoluzione continua. ODAIRA NAMIHEI
Eric Rechsteiner pér Zoom Giappone
giapponesi e soprattutto delle giapponesi. Questo genere di radicalità non sembra interessare più un popolo alla ricerca di una nuova forma di libertà legata all’espressione individuale. Dopo l’investimento collettivo fatto per circa un quarto di secolo nella ricostruzione del paese, una nuova voglia di cambiamento e scoperta si esprimeva simbolicamente con la nascita del magazine An An, nel 1970, una piccola rivoluzione nel mondo editoriale (v. pagg. 6-8). La rivista bimensile, infatti, pensata principalmente per un pubblico femminile, trattava di moda, viaggi e piacere in generale, in una forma inedita anche dal punto di vista grafico. Degno di nota è il fatto che questa rivista abbia rappresentato il motore per questo nuovo Giappone, incarnandone il sogno con la sua simbolica apparizione, mentre a Suita, nella periferia di Ôsaka, si inaugurava l’Esposizione Universale sul tema “Progresso e armonia per l’umanità”, che esprimeva appieno questa volontà di proiettarsi in un mondo nuovo. Il successo fu evidente: sessantaquattro milioni di visite in 183 giorni di apertura al pubblico. La Torre Del Sole, dell’artista OkAMOTO Tarô, è il simbolo sia dell’Esposizione che di questo nuovo Giappone, ed è in questo contesto che An An mette in luce l’importante ruolo rappresentato dalle donne. Tanto gli uomini sono ostaggio di un sistema aziendale che li vuole soldatini disciplinati, tanto le donne si allontanano da un sistema di valori nel quale non si riconoscono più. In un paese in cui esiste una tradizione di riviste femminili e femministe, di cui la prima apparsa nel 1903, An An esprime perfettamente l’evoluzione del ruolo delle donna nella società. Già novant’anni prima, nel primo numero della rivista Seitô, hIrATSUkA raichô scriveva: “La donna era all’origine un autentico sole, un essere a parte e intero. Oggi la donna è una luna che dipende dagli altri per vivere e brilla di luce riflessa, somigliante al pallido viso di un malato”. L’uscita editoriale di An An segna in maniera evidente che le cose stanno mutando, sancendo l’affermarsi di una visione della donna giapponese forte e indipendente. Il settore dei viaggi è stato uno dei primi in cui questa tendenza di allontanamento dalle convenzioni ha iniziato a mostrarsi. Proprio mentre An An promuoveva la scoperta di nuovi luoghi alle sue lettrici, la Japan Airlines il primo luglio 1970 inaugurava il suo primo Boeing 747. L’era del Jumbo Jet e della democratizzazione del turismo all’estero coincide proprio con il lancio della campagna Discover Japan da parte della compagnia nazionale delle ferrovie, che nonostante lo slogan inglese, rivolge il suo programma di promozione turistica al mercato interno. E sono proprio le donne e le giovani
Dopo cinquant’anni, generazione dopo generazione, An An continua a soddisfare le sue lettrici. settembre - dicembre 2020 N. 18 zOOm GIaPPONe 5
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Una rivoluzione a tutto tondo
Il magazine An An ha rivoluzionato il mondo editoriale giapponese sia per i contenuti che per la grafica.
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e riviste femminili moderne sono andate incontro, negli anni, a diverse evoluzioni, ma poche di esse possono vantarsi di aver segnato la storia con un debutto sensazionale come quello di An An nel marzo del 1970. La copertina raffigurava un piccolo grazioso panda - mascotte della rivista - e una modella straniera glamour, Marita Gissy, musa di Christian Dior, la cui espressione di sorpresa corrispondeva probabilmente a quella di coloro che ammiravano per la prima volta la rivista. Con il suo slogan “Scegliamo di essere più alla moda”, il suo concept grafico strabiliante e nuovi quanto appassionanti contenuti, An An ha portato un soffio nuovo nel mondo editoriale giapponese, trasformandolo in maniera sostanziale. 2191 numeri dopo, il magazine ha celebrato il suo 50° anniversario con una mostra a kyôto, e Zoom Giappone ha avuto l’occasione di intrattenersi in compagnia di SATÔ Masako, organizzatrice dell’evento e proprietaria dell’agenzia Contact, specializzata nella produzione di eventi fotografici. “La mostra purtroppo è stata interrotta causa covid-19, ma abbiamo comunque avuto l’occasione di celebrare lo straordinario percorso di An An. cinquant’anni è in effetti una bella età per una rivista, molte pubblicazioni non sono durate tanto, e il successo continuo di An An è la prova che le lettrici giapponesi la trovano sempre attuale e interessante”, ci spiega. Quando le hanno chiesto di occuparsi della mostra sapeva benissimo che sarebbe stato impossibile ripercorrere tutta la storia del magazine, così ha scelto di concentrarsi sugli inizi. “ero particolarmente interessata al leggendario direttore artistico HOriucHi Seiichi, sono sempre stata una grande fan del suo lavoro”, ci confida Masakoa. “Negli anni Sessanta, appena trentenne, aveva lavorato per il settimanale heibon, occupandosi di moda, prima di raggiungere il famoso magazine maschile heibon Panchi [heibon Punch]. Quando l’editore Heibon Shuppan (che si chiama ora Magazine house) decise di lanciare un magazine femminile, Seiichi integrò subito l’équipe creativa di An An, fin dagli inizi. Nel 1971 ricevette il premio ADc per il suo lavoro alla rivista e collaborò con altri titoli delle stesso editore, tra cui Braccio di Ferro, Bruto e Olivia”. Dopo un’esperienza di quattro numeri alla
Per il suo primo numero, An An ha potuto vantare un contributo di MISHIMA consacrato al glamour.
fine degli anni Sessanta con Heibon Panchi Joseiban [heibon Punch for girls], An An debuttò nella primavera del 1970 in stretto legame con la famosa rivista francese elle. In un periodo in cui gli stilisti giapponesi non avevano ancora un posto sulla scena mondiale e i giapponesi alla moda seguivano con interesse solo ciò che arrivava da Londra o da Parigi, questo sodalizio rappresentò un colpo editoriale ben riuscito. Il primo numero riportava il messaggio dell’Ambasciatore di Francia in Giappone, Louis de Guiringaud, oltre a numerose firme di star dell’epoca come Adamo, Marcel Amont o ancora Mireille Mathieu, e di celebri couturiers quali André Courrèges e Daniel hechter. Con il suo grande formato, il suo design audace e i suoi articoli accattivanti, An An sbaragliò ve-
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locemente la concorrenza posizionandosi come il prototipo di un nuovo stile di magazine femminile giapponese. “Ancora oggi sono molte le persone nel mondo dell’editoria che considerano An An come una pubblicazione rivoluzionaria. Numerosi fotografi e illustratori importanti vi hanno collaborato; una delle foto di copertina è stata realizzata da TAKicHi Yoshihiro, e le pagine di moda sono state curate da personalità come KANeKO isao et HArA Yumiko. come KANeKO, anche HArA è oggi una famosa fotografa di moda, ma inizialmente fu assunta come traduttrice dal francese, poi, a partire dal 1972, cominciò a lavorare come stilista. Fu davvero la prima volta che una figura di quel calibro integrava la redazione di un magazine femminile, questo giusto per dare un’idea delle risorse di ta-
lento che la rivista ha saputo attirare negli anni. La redazione, a roppongi, era un centro creativo e HOriucHi Seiichi supervisionava il tutto. certo, c’era poi la linea editoriale, i contenuti, e numerosi sono stati i contributi letterari celebri, basti citare MiSHiMA Yukio e SHibuSAwA Tatsuhiko (v. pagg. 9-10) che hanno scritto per An An. “Non è certo il genere di autore che scrive oggi sulle riviste femminili”, nota SATÔ Masako. La portata innovativa di An An può essere compresa meglio se comparata a quella che era l’offerta editoriale dell’epoca: “Fino al 1960, numerosi magazine di moda pubblicavano modelli per la sartoria, riflesso di un’epoca in cui i negozi erano ancora rari e poche le donne che potevano permettersi di acquistare abiti già confezionati. La sartoria era anche una facile via d’accesso al mondo del lavoro e molte donne erano sarte. Potremmo dire che le prime riviste di moda erano più prossime all’artigianato che all’alta moda!”, continua Masako. La crescita economica e i Giochi Olimpici del 1964 avevano cambiato molte cose nella società giapponese. La gente aveva cominciato a pensare che la vita potesse non ridursi unicamente al lavoro e al sacrificio, a cercare il piacere e il divertimento come mai prima di allora: la moda ovviamente era parte di questa nuova visione della vita. “il lancio di An An deve essere letto in questa prospettiva, come il frutto di un cambiamento epocale: è stato il primo ad andare oltre la presentazione di begli abiti. La sua filosofia, come ben espresso dalla foto di copertina, pretende che la moda non significhi solo scegliere e portare bei vestiti, ma sia uno stile di vita che influenza la musica, la danza, il cinema, la letteratura, l’arte e il cibo, ovvero ciò che si mangia e come lo si mangia. in questo senso An An è stata la prima pubblicazione giapponese che poteva permettersi di esprimersi allo stesso livello delle grandi riviste internazionali tanto per contenuti quanto per la scelta delle veste grafica. L’investimento per arrivare a questo risultato è stato importante, molti i fotografi e le modelle inviate in europa e in America in un’epoca in cui i viaggi all’estero erano estremamente costosi e il tasso di cambio era pari a 360 yen per un dollaro americano. An An era uno scorcio privilegiato su un mondo esotico e glamour che pochissimi potevano permettersi di scoprire personalmente”, ricorda giustamente Masako. Nato dalla collaborazione con elle, An An è stato realizzato inizialmente per metà dalla redazione di elle con contenuti originali inviati dalla Francia. “All’epoca i magazine avevano un grado di libertà che sarebbe impensabile adesso. Oggi la scarsità delle risorse finanziare, la pressione della pubblicità e altri problemi di fatto influiscono fortemente sulla scelta dei contenuti. Tutto ciò non esisteva agli inizi degli anni Settanta. La
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Nel febbraio del 1972, An An pubblica questo numero speciale sui viaggi in Giappone.
redazione di An An aveva anche un margine di libertà con il suo partner francese, spingendosi fino a poter tagliare le foto ricevute dalla Francia e operare altri cambiamenti senza neanche consultare la redazione europea”, prosegue Masako nel suo racconto. “Potrei dire che Seiichi ha giocato un ruolo centrale non solo nella scelta della veste grafica ma anche nell’approccio ai contenuti come nella sua attitudine provocatoria. Le lettrici hanno colto e apprezzato l’energia e le vibrazioni che uscivano dalle pagine, un inedito sguardo sul femminile, capace di portare avanti certe idee libertarie iniziate negli anni Sessanta dal movimento studentesco protagonista delle manifestazioni internazionali per i diritti civili, senza mai porsi però come una lettura femminista”, aggiunge. La portata innovatrice del magazine è ancora più evidente se si considerano i mezzi tecnologici con i quali veniva realizzata, “Si tratta infatti
di un periodo in cui le riviste non avevano certo i mezzi che abbiamo oggi, lavoravano con pellicole e con processi analogici e meccanici, e il margine di errore era basso: se sbagliavano, dovevano rifare tutto da capo! erano lavori che solo i bravi professionisti erano in grado di svolgere. Secondo HArA Yumiko, ricevevano le immagini dalla Francia, in formato originale, e Seiichi elaborava l’impaginatura. una volta terminato questo lavoro, difficilmente rinviavano le foto alla redazione francese, tanto è vero che purtroppo decine di scatti di fotografi celebri come Helmut Newton sono andati perduti, ho cercato di ritrovarli per la mostra ma non ci sono riuscita.” Il 1970 è considerato come l’inizio dell’età d’oro delle riviste giapponesi, con l’apparizione di numerosi titoli la cui tiratura media ha superato le centinaia di migliaia di esemplari al mese. An An ha fatto la sua parte, ma secondo Masako la rivista non ha conosciuto subito il
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Per il numero consacrato ai suoi 50 anni, An An ha chiesto al gruppo King & Prince di vestirsi da panda.
successo che l’ha poi contraddistinta: “era avanti sui tempi, pioneristica, era considerata troppo d’avanguardia per il lettore medio. Per questo, dopo qualche anno è stata modificata per addolcirne alcuni angoli troppo acuti e renderla così più attraente per la sua nicchia di pubblico”, nota Masako. Mettendo l’accento su moda, bellezza, cibo e viaggi, la sua popolarità e la sua influenza sulle giovani giapponesi ha continuato a crescere per tutti gli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta fino a quando, nel 1982, ha deciso di mettere fine alla sua collaborazione con elle. “Quando avevo circa vent’anni leggevo molte riviste e all’università avevo seguito una specializzazione in giornalismo che mi avvicinò ulteriormente a questo mondo. Mi ricordo che in quegli anni le riviste femminili come An An e Marie Claire, la cui edizione giapponese è apparsa nel 1982, erano prodotti noti; se ne apprezzavano la qualità grafica e fo-
tografica ad ogni pagina. Presentavano abiti che probabilmente non avrei mai indossato ma il semplice fatto di sfogliare quelle pagine era una gioia per gli occhi, inoltre offrivano consigli in maniera disinvolta e naturale. An An stimolava l’immaginazione e dava spunti di riflessione. Verso i trent’anni, però, ho iniziato a notare che molte riviste si erano trasformate in semplici cataloghi senza alcuno stile, e ho perso l’interesse che provavo nel leggerle. Non mi piace la modalità un po’ ammiccante con la quale alcune riviste tentano di imporre quali abiti scegliere e come indossarli, come a dire: “se desiderate essere belle allora seguite le nostre istruzioni alla lettera!”, senza lasciare alcuna libertà di pensiero alla lettrice”. An An usciva inizialmente come bisettimanale, per poi diventare un settimanale negli anni ’80. Sul piano dei contenuti la rivista ha tentato di cavalcare gli anni della frenesia consumistica
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legata alla bolla finanziaria promuovendo in contemporanea la nuova immagine di una donna più forte e libera. La recessione dei decenni successivi ha però messo fine all’atmosfera spensierata che aveva prevalso negli anni della bolla e per molte persone l’inizio dell’era heisei (v. Zoom Giappone n°89, aprile 2019) è stata vissuta come un periodo di incertezza e ansia. Su questa scia, An An ha iniziato a proporre alle lettrici articoli a tema astrologico e “consigli d’amore” forniti da “esperti”come AkIMOTO Yasushi (il creatore di del gruppo musicale AkB48), la mangaka SAIMON Fumi e la storica cronista hAYAShI Mariko. Tra i soggetti preferiti dalle lettrici figurava poi la classifica degli uomini più ammirati, negli anni ’90 dominata da kIMUrA Takuya, membro della boys band SMAP: era così popolare da essere sulla copertina del 30° anniversario del magazine. Per il 50° anniversario, invece, la rivista ha proposto una nuova generazione di idoli: il gruppo king & Prince. Come kIMUrA Takuya nel 2000, i membri della band indossavano costumi da panda. Abbiamo chiesto a Masako il perché dell’ossessione di An An per questo simpatico animale: “il nome An An stesso pare sia ispirato a quello di un panda: circolano diverse ipotesi a questo proposito, come la storia della celebre attrice KurOYANAGi Tetsuko che pare avesse perso il suo panda, An An appunto, durante una visita allo zoo di Londra. Questo episodio è piaciuto al pubblico giapponese poiché all’epoca gli zoo in Giappone non ospitavano panda. Poco tempo dopo l’episodio ecco sorgere l’idea di lanciare una versione femminile di heibon Panchi. il nuovo magazine non aveva ancora un nome e i quattro numeri pilota offrivano una cartolina che i lettori potevano utilizzare per inviare le loro proposte. Alla fine è stata scelta l’idea di una liceale della prefettura di Akita che proponeva An An come nome per la nascente rivista”, ci spiega. Nonostante negli ultimi cinque decenni il mercato editoriale abbia perso il suo dinamismo, An An ha mantenuto dei buoni numeri di tiratura. Vista la sua età, i nomi chiave sono ancora kawaii (carino), oishii (delizioso) e oshare (elegante, alla moda), che descrivevano tanto il mondo della moda femminile quanto maschile, entrambi sempre rappresentati sulle copertine. “L’An An di oggi non può essere davvero paragonato alle sue prime pubblicazioni, sembra che ora le lettrici siano interessate solo agli idoli maschili e il magazine si adatta ai loro gusti. Attualmente la maggior parte delle pubblicazioni cerca di seguire la moda, in costante cambiamento, ma An An resta una delle rare eccezioni che hanno ancora il potere di fare tendenza ”, conclude. JEAN DEROME
PASSIONE
Il racconto di una lettrice accanita
MIzuMoto Akemi ha seguito fin dall'inizio l'avventura di An An. Ecco cosa ci racconta della sua passione per la rivista.
Collezione Claude Leblanc
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a pubblicazione di An An nel marzo 1970 è stata accolta da molte donne come una ventata d'aria fresca nel settore piuttosto conservatore dell'editoria giapponese. Nata e cresciuta a kyôto, MIzUMOTO Akemi è stata una delle prime lettrici di An An ed era ancora alle scuole medie quando l’ha scoperta. La rivista era indirizzata principalmente alle ragazze di età tardo-adolescenziale, fino ai venticinque anni indicativamente. Akemi, però, ne è rimasta talmente colpita da diventarne fin da subito una grande fan e, col passare degli anni, una lettrice fedele. "Avevo trovato degli esemplari di heibon Panchi Joseiban (Heibon Punch for girls, precursore di An An, lanciato nel 1966) in una libreria d'occasione", ricorda Akemi. "Doveva essere maggio o giugno 1970, perciò An An aveva già pubblicato cinque o sei numeri. All'epoca mi piaceva la moda, ma non ero una lettrice assidua di riviste”. Dopo le superiori, Akemi ha avuto diversi impieghi prima di lavorare per un marchio di moda, occupazione che ha aumentato il suo interesse per i vestiti e le riviste femminili. Gli anni '70 hanno rappresentato un punto di svolta per la moda giapponese, grazie alla presentazione della collezione di Miyake Issey a New York e alla presenza dei vestiti di kenzo sulla copertina della rivista elle. La cultura e gli sport statunitensi (come il tennis e il surf) erano diventati sempre più popolari in Giappone, creando così un mercato di moda più casual e informale, di cui facevano parte piumini e scarpe da ginnastica. I jeans, in particolare, hanno cominciato a essere considerati prodotti di creazione dai designer giapponesi, come accade ancora oggi. Inoltre, nuove riviste simili ad An An hanno dato origine alla diffusione della moda detta New Trad. Seguendo l’esempio del movimento legato alla tribù Miyuki (Miyuki zoku), che durante gli anni ‘60 promuoveva un look più conservatore e chic tradizionalista, An An ha spesso presentato sulle sue pagine abiti lunghi e borse di lusso nello stile di Gucci e hermès. Fin dall’inizio, ciò che ha distinto la nuova rivista dalla concorrenza sono stati il suo look e il suo design sorprendenti, grazie al lavoro rivoluzionario del direttore artistico hOrIUChI Seiichi e di un team di fotografi e designers esperti. “Per me era un approccio completamente nuovo rispetto alle altre riviste femminili ed è
Lanciato nel 1966, Heibon Panchi Joseiban ha aperto la strada a An An.
ciò che mi ha colpita fin da subito. Mi sono piaciuti soprattutto la grafica e tutte quelle belle foto a colori”, spiega Akemi. An An, però, è diventata famosa anche per la qualità dei suoi articoli e racconti, che si allontanavano chiaramente dalla solita formula adottata dalle altre riviste. “Anche se ero soltanto un’adolescente, i miei hobby preferiti erano guardare film e leggere”, racconta Akemi. “Data la mia giovane età, non avevo grandi esperienze di vita, perciò gli articoli che leggevo su An An
mi insegnavano un sacco di cose. La giornalista che mi piaceva di più si chiamava MiYAKe Kikuko: adoravo il suo stile, scriveva spesso su come godersi la vita da single, o su come cucinare dei piatti semplici ma gustosi. un altro autore che mi ha particolarmente colpita si chiamava SHibuSAwA Tatsuhiko”. Scrittore e critico d’arte, S hIBUSAwA era anche noto come traduttore, avendo contribuito a far conoscere la letteratura francese ai Giapponesi. I suoi primi pezzi per An An
MIZUMOTO Akemi ha conservato la maggior parte dei vecchi numeri di An An acquistati negli anni ‘70.
erano delle traduzioni di cappuccetto rosso e del Gatto con gli stivali di Charles Perrault. Se negli anni ‘80 è diventato un autore molto celebre grazie ai suoi romanzi fantastici e ai suoi saggi sull’erotismo e la magia nera, un decennio prima era ancora un outsider, una figura controversa che aveva sostenuto il Partito Comunista ed era stato coinvolto in uno scandalo dopo la sua traduzione di Juliette, ovvero la prosperità del vizio del Marchese de Sade, per la quale era stato accusato di oscenità pubblica. A partire dal settembre 1970, ha cominciato a percorrere tutta l’Europa e i suoi viaggi sono diventati oggetto di una serie di racconti pubblicati su An An. “Mi ricordo ancora dei suoi articoli sulla Germania, quando ha visitato la baviera e ha scritto su Luigi ii. Per una giovane giapponese come me, era come essere catapultati nel mondo delle fiabe”, confessa Akemi, che ha conservato alcuni numeri della rivista contenenti questi testi. I racconti di viaggio erano tra i contenuti più apprezzati dalle lettrici di An An, diventando una sorta di marchio di fabbrica per la rivista. Mettevano insieme testi interessanti di numerosi scrittori di fama, foto a colori e mappe altrettanto belle disegnate da hOrIUChI, amico di ShIBUSAwA. Questi racconti, insieme ad alcuni articoli simili pubbli-
cati sulla rivista Non-no, sono stati all’origine del fenomeno An-Non zoku, la tribù An-Non di giovani donne single di circa 20-25 anni che viaggiavano sole o in piccoli gruppi, sia in Giappone che all’estero (vedi pp. 4-5). Il nuovo ruolo giocato dalle donne sul mercato del viaggio ha trovato una colonna sonora nel disco ii hi tabitachi [Un bel giorno per viaggiare], che la famosa cantante YAMAGUChI Momoe ha pubblicato nel 1978. Se Akemi ammette di non aver mai viaggiato molto, ha però sempre amato i numeri speciali che An An dedicava ai viaggi. “Mi hanno aperto una finestra su un mondo completamente nuovo. erano un’occasione per scoprire nuovi orizzonti e per vivere indirettamente l’emozione di raggiungere destinazioni lontane. insomma, potreste dire che sono sempre stata una turista da salotto”, scherza oggi Akemi, che ha trascorso tutta la sua vita a kyôto. “Sono sempre stati molti i giapponesi desiderosi di abitare a Tôkyô. Non si fatica a capirne il motivo: la capitale è il centro di tutto, politica, cultura e commercio. Per quanto mi riguarda, ho sempre preferito vivere a Kyôto, vado a Tôkyô di tanto in tanto, ma non mi trasferirei lì per niente al mondo. Amo Kyôto, è una città più comoda, dove si può raggiungere più o meno tutto a piedi”, spiega Akemi.
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La sua città natale si è però trasformata progressivamente sotto i suoi occhi. “La città dove sono cresciuta da piccola è a stento riconoscibile al giorno d’oggi. i magnifici templi e giardini sono sempre allo stesso posto, ma sono protetti da vetro e cemento. Purtroppo, il luogo magico che An An descriveva nelle pagine dei suoi primi numeri non esiste più. Anche il centro è diventato più rumoroso e popolato, con tutti quei turisti provenienti dal mondo intero, ma ora che sono spariti a causa del coronavirus, devo ammettere che ci si sente un po’ più soli”, sospira Akemi, che conclude spiegando che oggi legge meno riviste. “Ne compro una ogni tanto se contiene una storia che mi interessa, ma non sono più una lettrice regolare, soprattutto di magazine femminili. Quando ero giovane, la loro qualità era di gran lunga migliore: erano delle vere riviste, con un’opinione editoriale più marcata, mentre oggi assomigliano a dei cataloghi”, rimpiange Akemi che, da lettrice di lunga data, accomuna il destino di An An a quello delle altre riviste. Dopo aver continuato ad acquistarla nei primi due decenni di pubblicazione, in seguito si è dedicata per lo più alla lettura di libri. “An An, in effetti, è cambiata molto. Negli anni ‘70 si potevano leggere articoli su star occidentali come elton John o Serge Gainsbourg e la rivista aveva molto più contenuto. Oggi, invece, le giovani lettrici sembrano essere interessate solo ai nuovi idoli giapponesi, basta guardare le copertine degli ultimi numeri per capirlo. Per questo preferisco rileggere quelli vecchi, in particolare quelli degli anni ‘70, che ho conservato per la maggior parte. Per me sono davvero un tesoro”. GIANNI SIMONE
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MIZUMOTO Akemi
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Travis Japan in copertina di An An del 13 maggio 2020.
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Un fermento permanente
La stampa femminile mette in luce quanto il ruolo delle donne si sia affermato nella società giapponese.
Eric Rechsteiner per Zoom Giappone
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rmai da molti anni le donne rivestono un ruolo chiave nella moderna società giapponese, guadagnandosi sicuramente il ruolo di maggiori consumatrici del Paese. Benché le donne si trovino ancora troppo spesso escluse dalle decisioni politiche ed economiche, sono diventate nel tempo le assolute protagoniste del mercato. I media, trattando temi quali l’amore, la sessualità, l’età, la famiglia, l’alimentazione e la moda, hanno fornito loro i mezzi per diventare delle pioniere, rendendole più pronte ad affermare la loro nuova identità e a dare un differente significato alla loro esistenza. Le riviste femminili sono lo specchio perfetto di questo mondo perché sottolineano costantemente le contraddizioni delle donne giapponesi, in bilico tra oriente e occidente, tradizione e modernità, continuità e cambiamento. Anche solo una breve visita in una libreria permette di notare i numerosi scaffali dedicati esclusivamente alle riviste femminili, divise fra titoli dedicati alle adolescenti, alle ventenni, alle donne sposate con figli o ancora alle donne che hanno scelto di privilegiare la carriera. In tutte queste pubblicazioni l’elemento comune è uno solo: lo status delle donne rappresentate, colte e abitanti della capitale; in altri termini l’aspirazione della maggior parte delle donne giapponesi. Il ruolo delle riviste femminili ha però conosciuto diverse fasi storiche. La prima copre la prima metà del XX secolo fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale e ha visto la diffusione di mensili come Fujin Gahô (1905), Fujin Kôron (1916), Shufu no Tomo (1917) e Fujin Kurabu (1920). Con la vistosa eccezione dell’estremamente liberale Fujin Kôron, queste pubblicazioni miravano a insegnare alle donne come essere “buone mogli e madri previdenti”. Nell’immediato dopoguerra e fino alla metà degli anni ‘50, il Giappone si è caratterizzato per una rapida ripresa economica e per l’aspirazione ad un tenore di vita superiore. Nuove riviste come Shufu to Seikatsu (1946) o Fujin Seikatsu (1946) si sono adattate al cambiamento, abbandonando la tendenza normativa dei loro predecessori per focalizzarsi su consigli pratici relativi alle faccende domestiche, con un uso crescente della fotografia. In seguito, e fino alla fine degli anni ‘60, iniziò l’epoca dei settimanali dedicati alla vita privata delle celebrità. Tuttavia, la principale tendenza di questo periodo era piuttosto la nascita di
Riviste femminili in un’edicola di Tôkyô
riviste femminili più ambiziose, che facevano sognare alle lettrici una vita più ricca. Queste testate, spesso con nomi stranieri come Misesu [Signorina] o Madamu [Signora], cominciavano a suggerire alle loro lettrici come godere al meglio della vita. Mentre le precedenti pubblicazioni insegnavano alle donne a ricamare i propri vestiti, le nuove insistevano sul loro acquisto. Il cambiamento era ancora più vistoso attraverso le pubblicità: i prodotti per la casa cominciavano a essere rimpiazzati da inserzioni di moda, accessori e relax e le lettrici erano sempre di più considerate consumatrici autonome.
La prima rivista di questo nuovo corso fu Katei Gahô, periodico nato nel 1958 che tentava allora di raggiungere le casalinghe della classe medio-alta, sulla quarantina e con figli almeno adolescenti. Queste caratteristiche consentivano infatti di dedicare più tempo ai piaceri della cucina, della moda e dell’arredamento della casa. La rivista è stata decisamente influenzata dall’americana Life, il che ha creato un notevole scandalo quando fu scoperto. All’epoca non esistevano delle riviste veramente attente alla grafica, sul mercato giapponese. Katei Gahô si distingueva per il lusso e per l’attenzione alla
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zOOm INCHIeSta ciavano a sgretolarsi mentre il numero di donne al lavoro cresceva in modo spettacolare. Da semplici componenti di una famiglia, le donne sono state per la prima volta considerate come persone dotate di propri specifici interessi ed esigenze. Insieme al loro reddito cresceva parallelamente l’interesse per viaggi e uscite al ristorante, il che diede ovviamente una spinta alle nuove pubblicazioni a tema. Titoli come Kurowassan sono stati infatti etichettati come “nuove riviste di famiglia”, un termine riferito ai nati nel baby-boom, che diventavano allora ventenni e avrebbero dovuto formare un nuovo tipo di famiglia. Lo stesso anno 1975 era stato designato Anno Internazionale della Donna, e i media giapponesi cominciarono ad interessarsi alla “donna volante”,
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tradizione, combinazione che garantiva alle pubblicazioni un carattere esclusivo, sofisticato e dedicato alle classi sociali medio-alte. La rivista rispecchiava inoltre alla perfezione un tipico approccio dei media alla questione della conservazione della cultura tradizionale giapponese. Le donne erano viste come le guardiane delle pratiche tradizionali quali la cerimonia del tè o le composizioni floreali. È interessante ricordare che queste pratiche erano una volta invece prerogativa degli uomini, persino degli stessi samurai, e avevano una forte caratterizzazione maschile. Le star della pagine di Katei Gahô parevano vivere in un passato idealizzato, ragion per cui portavano spesso un kimono, vestito che all’epoca era usato solo per rarissime occasioni;
Le giapponesi sono diventate il target principale degli editori di riviste.
sotto questo punto di vista la rivista può essere sicuramente considerata come un bastione del conservatorismo. Era infatti l’epoca in cui le giovani erano incoraggiate a coltivare dei passatempi una volta riservati all’élite, nella prospettiva di trovare più facilmente un marito e predisporsi a quella vita che i sociologi culturali Lise Skov et Brian Moeran hanno definito “una vita di coppia noiosa ed oziosa”. Ancora oggi, per quanto non sia ovviamente richiesta la conoscenza delle arti tradizionali per potersi sposare, tale conoscenza sopravvive nei centri culturali di tutto il Paese proprio grazie al contributo delle donne. Gli anni ‘70 segnano una vera rivoluzione nell’universo editoriale, con la comparsa di riviste come An An (1970), Non-No (1971), More (1977) e croissant (1977). Il Giappone si trovava in un periodo di forte crescita economica, le categorie sociali tradizionali comin-
riferimento al best-seller di Erica Jong Fear of Flying (in Italia, Paura di volare), categoria di donna che mirava a uno stile di vita differente da quello della tradizione giapponese. Nello stesso decennio la pubblicità conquistava man mano uno spazio sempre più imponente nelle riviste. Nel 1979, il numero totale di pubblicità nelle settantotto principali pubblicazioni superava le centomila pagine. Nei sei titoli principali, la proporzione di pagine pubblicitarie si situava tra il 25% e il 55% (An An), e a questo dato bisogna ovviamente aggiungere la pubblicità nascosta negli articoli. La dipendenza dell’editoria dalla pubblicità è considerevolmente cresciuta: tra 1976 e 1985 le tariffe pubblicitarie si sono moltiplicate per 2,46, mentre nello stesso periodo il ricavato delle vendite dirette è cresciuto solo per 1,86. Generalmente, la linea editoriale delle riviste femminili era ed è ancora vista come piuttosto
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debole, perché i rapporti economici pubblicitari dominano il contenuto del giornale, specialmente in settori come la moda. Le riviste giapponesi raccolgono abitualmente i dati delle loro lettrici tramite sondaggi ed inchieste, che indagano il loro stile di vita, la condizione economica e le loro opinioni su una vasta gamma di temi. Queste informazioni sono naturalmente trasmesse agli inserzionisti, per rafforzare la collaborazione. Negli anni ‘80 il “grande disegno” del primo ministro NAkASONE Yasuhiro, che puntava ad un’apertura internazionale del Paese, condusse alla liberalizzazione del mercato finanziario e ad un boom dei consumi, di cui le donne delle grandi città furono l’avanguardia. Nel 1982 la metà delle donne sposate lavorava, mentre molte altre aspiravano a seguirle. La legge sulle pari opportunità del 1986 non migliorò realmente il loro status nel mercato del lavoro, ma il dibattito per l'uguaglianza dei sessi portava gradualmente alla luce idee di indipendenza ed individualismo. Il principio guida era che le donne dovessero fare ciò che davvero desideravano. Nei trent’anni che seguirono la fine della Guerra, la società giapponese era dominata dai valori confuciani di sopportazione e duro lavoro, conseguenza naturale dell’idea che ognuno dovesse mettere da parte i propri piaceri per il bene comune. Eppure dagli anni ‘80 in particolare le donne single, a lungo emarginate nel campo politico ed economico, cominciavano a considerare di avere il diritto di godersi a pieno la vita e di spendere autonomamente il proprio denaro nella moda, nei piaceri e nella cultura. Furono per la prima volta anche toccati dei settori che fino a quel momento erano appannaggio esclusivo degli uomini: giovani donne cominciavano ad andare in moto, a bere nei locali, a giocare a golf e a scommettere sulle corse di cavalli. Sono state rapidamente soprannominate oyaji-girls (oldman/girls). In quell’epoca il posto occupato dalle riviste toccò l’apice nel settore dell’editoria. Non meno di mille trecento riviste furono lanciate tra il 1980 e il 1985, in costante ascesa rispetto alle vendite di libri, in declino continuo dal 1945. Le riviste femminili furono le grandi vincitrici del duello, con un tiraggio medio di diverse centinaia di migliaia di esemplari. La prima della classifica era Non-no, rivista destinata alle ragazze tra i dodici e i diciannove anni capace di raggiungere la strabiliante cifra di 1,3 milioni di esemplari. L’inizio degli anni ‘80 è stato parallelamente segnato dalla diffusione di edizioni giapponesi di riviste occidentali, come cosmopolitan (1980) e Marie claire (1982), mentre numerosi titoli locali prende-
vano dei nomi occidentalizzanti, come 25ans (1980), Lee (1983), ViVi (1983), classy (1984), Sophia (1984) e ef (1984). La crescente specializzazione e le tendenze sempre nuove del mercato editoriale hanno reso ogni fase successiva sempre più corta e competitiva. Così la sesta fase della rivista giapponese non copre che gli anni dal 1985 al 1989. In questo periodo il mercato veniva dominato da titoli che miravano a single tra i venticinque e i trentanove anni, considerate parte di una “élite cosmopolita” dell’epoca della bolla finanziaria. Si trattava di donne lavoratrici, che viaggiavano all’estero e acquistavano prodotti di marca piuttosto costosi, senza esitare ad andare in Italia o in Francia esclusivamente per fare shopping di lusso. Pur occupando dei ruoli subalterni sul posto di lavoro, questa categoria di donne disponeva di un salario sufficiente a soddisfare gran parte dei suoi desideri materiali. Il principale avvenimento editoriale legato a questo fenomeno è stato l’emergere di Hanako (1988). Destinata alle giovani OL (Office Ladies, impiegate d’ufficio) che avevano un salario da spendere, la rivista era venduta soltanto nella zona di Tôkyô e forniva informazioni su negozi, ristoranti e teatri nella zona della metropoli. Questa rivista diede vita alla cosiddetta tribù hanako (Hanako zoku) che nel picco della bolla finanziaria coinvolgeva le donne sulla ventina, desiderose di consumare, di viaggiare spesso all’estero, di acquistare prodotti di marca, di frequentare ristoranti costosi e di assistere agli spettacoli. Infatti, Hanako offriva consigli sulla maniera di affrontare questioni come la prenotazione di una camera d’albergo all’estero, il modo corretto di rivolgersi alla reception di un hotel o, ancora, i prodotti di marca da comprare. Contemporaneamente, un altro avvenimento editoriale significativo mise in evidenza una tendenza completamente nuova. Alcune catene di distribuzione come Daiei e Seiyu cominciavano a pubblicare i propri titoli, ad esempio Orange Page (1986) e Lettuce club (1986), e li distribuivano nei loro supermercati. Tendevano ad essere meno cari dei loro concorrenti e prediligevano informazioni pratiche, come la gestione domestica, sulle orme delle riviste nate dopo la Seconda Guerra Mondiale. Di fatto, queste nuove pubblicazioni anticipavano la grave recessione che colpì il Giappone nel corso dei due decenni seguenti. Con lo scoppio della bolla finanziaria all’inizio degli anni ‘90, i gusti dei consumatori diventavano sempre più sobri, per orientarsi verso una vita più moderata e “autentica”. Numerose riviste femminili si adattarono a questa nuova situazione proponendo articoli sul modo di gestire al meglio
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Lo sviluppo dell’occupazione femminile ha fatto evolvere il contenuto delle riviste.
i propri guadagni: una rivista lanciò persino una rubrica intitolata “Sono avara”, dove alcune lettrici suggerivano come risparmiare. Nel corso di questo periodo, sempre più donne decidevano di rinviare il matrimonio per concentrarsi sulla carriera o per liberarsi dalle responsabilità familiari: le riviste femminili indicavano loro come fosse possibile fare fronte al nubilato all’interno di una società che ancora valorizzava la figura della donna come moglie e madre. Ciononostante, numerose riviste avevano un approccio leggermente ambiguo a riguardo, giocando spesso sulla confusione e sull’ansia delle giovani lettrici. Da un lato, mostravano un esplicito rifiuto di quelli che possiamo definire i “valori tipicamente giapponesi” per mettere l’accento su mode e novità spesso importate dall’estero con l’intento di soddisfare il desiderio di indipendenza delle donne e la loro ambizione di raggiungere l’élite culturale mondiale. Dall’altro, rammentavano però che l’essere indipendente era considerato egoista dalla morale dominante: una donna poteva divertirsi per qualche anno, ma da lei ci si aspettava che diventasse alla fine una moglie e una madre matura, modesta e premurosa. Un’altra caratteristica interessante delle riviste femminili è il linguaggio di cui si servono. Mentre lo stile dei numerosi periodici giapponesi può essere definito di distanza formale, le riviste femminili utilizzano spesso un tono brutale e denso di imperativi per dare istruzioni dettagliate su vestiti e trucco. In altri termini, le riviste giapponesi sanno ciò che è meglio per le loro lettrici e non moderano di certo le parole per nasconderlo. L’effetto generale è allo stesso tempo autoritario e intimo: potrebbe quasi essere definito condiscendente. Tuttavia,
il successo di queste pubblicazioni nel corso degli anni sembra indicare che le lettrici non ne tengano particolarmente conto. Secondo certi ricercatori che hanno analizzato questo stile di scrittura, le riviste femminili sono considerate dalle loro lettrici come delle autorità che insegnano loro cosa fare e come farlo. Si può notare come negli articoli venga ripresa la lingua delle scuole giapponesi, incoraggiando l’imitazione e la ripetizione, elementi importanti dell’apprendimento. Il messaggio sottinteso è che le donne, in particolare quelle sulla ventina, sono poco sicure di sé stesse e hanno bisogno di consigli. Dopo avere trascorso sei anni alle medie e al liceo, dove devono indossare uniformi e seguire regole severe riguardo ad acconciature e accessori, si ritrovano d’un tratto libere di scegliere il loro aspetto; tuttavia, questa libertà, certo entusiasmante, è allo stesso tempo paralizzante e per questo le donne cercano consigli, trovandoli nelle riviste. È interessante notare il numero crescente di pubblicazioni, apparse alla fine degli anni ‘70 e destinate alle studentesse, che consigliavano spesso alle loro lettrici di vestirsi in modo tradizionale, come se fosse imperativo, dopo un lungo periodo passato a essere trattate come delle bambine, crescere rapidamente e prepararsi ad entrare nell’età adulta. Queste riviste arrivarono persino a creare delle pubblicazioni gemelle adattate al momento in cui le lettrici sarebbero entrate nella fase successiva della loro vita: JJ (1975) e cancam (1981) lanciarono infatti rispettivamente classy (1984) e Anecan (2007) per le giovani donne dai venticinque ai ventinove anni. Come di consueto, si può sottolineare la sinergia inevitabile che ogni nuovo titolo crea tra l’universo editoriale e
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Una lettrice potenziale di I Love Mama, rivista creata nel 2008 per le gyaru con bambini.
quello degli affari. Per esempio, al momento del lancio di Anecan, la grande rivista isetan e diverse aziende d’abbigliamento collaborarono con il periodico per creare dei marchi del tutto nuovi. È stato riportato che, dopo che Anecan fece la sua apparizione, i marchi segnati come “AneCan Style” vendettero vestiti per 30 milioni di yen in soli quattro giorni. riviste come cancam contribuirono anche al successo di celebri modelle che hanno poi avuto carriere di successo nella musica e nel teatro. EBIhArA Yuri, ad esempio, fu una modella esclusiva di cancam, tra i ventiquattro e i ventotto anni, prima di lavorare per Anecan durante gli otto
anni seguenti e prima di firmare un contratto con Domani, una rivista per trentenni sposate e attive. Gli anni ‘90 videro un’esplosione di riviste per adolescenti, le kôgyaru (le liceali), diventate le nuove grandi consumatrici e creatrici di tendenze in Giappone. Le vecchie pubblicazioni come Seventeen (1967) e Popteen (1980) venivano raggiunte da titoli molto popolari come Nicola (1997). È in questo periodo che il kawaii (carino/grazioso), il primo stile veramente giapponese del dopoguerra, conquista il mondo. Ma il kawaii non fu il solo concept a emersgere, anche la street mode e la cultura
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gyaru (da “girl”) influenzarono fortemente la moda giovane. La cultura gyaru, in particolare, costituiva un fenomeno fondato sulla ribellione al conformismo della società giapponese, compresi i canoni di bellezza dell’incarnato pallido e dei capelli scuri. La sua popolarità raggiunse l’apice negli anni ‘90 e all’inizio degli anni 2000, con migliaia di ragazze abbronzate e bionde che invasero le strade di Shibuya e di altri quartieri alla moda. Tale tendenza disponeva delle proprie riviste di successo, da egg (1995-2014, ormai soltanto online) a i Love Mama (2008-2014) per le gyaru con dei bambini o, ancora, Koakuma Ageha (2005) destinata alle giovani donne interessate principalmente all’arte dell’ospitalità. Il numero di riviste femminili non ha smesso di crescere neanche dopo la fine del secolo. Nel 1988 esistevano sessantuno riviste femminili con una diffusione di oltre diecimila copie, nel 1992 ne esistevano almeno ottanta. Nel 2020, la banca dati online dell’Associazione giapponese degli editori di riviste individua cento quarantotto titoli, ma il numero reale è sicuramente maggiore. Il mercato è più diversificato che mai: nuovi titoli escono senza sosta e alcuni più vecchi spariscono dalle edicole. Katei Gahô e Fujin Gahô sono tra le eccezioni che sono riuscite ad adattarsi a lettori in costante evoluzione. Fujin Gahô, ad esempio, è una delle più vecchie riviste ancora in circolazione e dispone tuttora di una diffusione rispettabile di 94 000 copie. Ciò detto, le nuove tendenze del lettore e soprattutto la concorrenza di internet hanno fortemente attaccato la circolazione delle riviste. All’inizio degli anni ‘90, per esempio, la stampa mensile totale di sei grandi titoli (An An, Non-No, JJ, More, 25ans e with) superava i 7,6 milioni di copie. Oggi, il numero si aggira intorno alle 800 000 copie per i più importanti, scendendo a 70 000 per 25 ans e 195 000 per More. Nonostante tutto, le riviste femminili continuano ad aprire uno spiraglio su quel che significa essere una donna in Giappone: i gusti in fatto di cibo, svaghi e sesso; le emozioni, le preoccupazioni e le ambizioni; la maniera di prendersi cura del proprio corpo e di cercare un partner. G. S.
Per SaPerNe DI PIù Women, media and Consumption in Japan, direzione di Lise Skov e Brian moeran, University of Hawai'i Press, 1995. Japanese Women's magazines, tanaka Keiko, in the Worlds of Japanese Popular Culture, direzione di D.P. martinez, Cambridge University Press, 1998.
zOOm CULtUra MANGA Lucca
Comics and Games
WORKSHOP
Ikebana a Vicenza
MOSTRA
Nonostante l’emergenza COVID-19, l’annuale festival di giochi e fumetti si terrà dal 29 ottobre al 1 novembre (“nel rispetto della sicurezza e della salute”) mentre le mostre ad esso legate cominceranno già dal 10 ottobre.
Il 3 e 4 ottobre il maestro KataYama Ken della scuola Sogetsu guiderà un workshop di ikebana presso il Northern Italy Study Group di Vicenza. Durante le lezioni verranno apprese le tecniche di lavoro, lo studio delle proporzioni dei materiali floreali dei contenitori, del loro armonizzarsi in una composizione e con l’ambiente. Verranno insegnati gli stili Moribana e Nageire, sia eretto che inclinato, composizioni in free style (stile libero) oltre che lo studio delle linee, dei colori, della massa, della tridimensionalità, dei materiali usati e dello spazio in cui saranno poste le composizioni. Le iscrizioni termineranno al raggiungimento del numero massimo di partecipanti. Per informazioni e iscrizione scrivere a workshop@northernitalystudygroup.it
L’assessorato alla Cultura di asolo organizza fino al 29 novembre una rassegna sull’arte informale, un momento cruciale per l’arte del Novecento. In questa prospettiva, l’edizione del 2020 vede al centro due artisti – SHImamOtO Shozo ed emilio Vedova, che hanno contribuito in modo significativo alla nascita e allo sviluppo di due movimenti d’avanguardia che hanno cambiato le arti visive a livello mondiale. accanto alle opere dei due maestri, saranno esposti i lavori di artisti che hanno condiviso la loro esperienza, sia in Italia che in Giappone. L’esposizone è un percorso di circa 50 opere di artisti quali afro, Burri, Corpora, De Luigi, Jenkins, miotte, mukai, Santomaso, Sumi, tobey e Uemae, oltre a quelle di SHImamOtO e Vedova. Museo Civico della Città di Asolo, via Cornaro 74, Asolo (TV). 10:00-19:00, sabato, domenica e festivi
La grande novità di quest’anno è che la rassegna è stata divisa in ben quattro eventi distinti: Lucca dal vivo (il festival consueto, con la precisazione che l’accesso a tutte le attività sarà consentito solo tramite biglietto, incluse le attività cosplay), Lucca online (per offrire appuntamenti unici anche a chi sarà lontano attraverso eventi in diretta e on demand), Lucca on air (la tV e la radio pubbliche italiane scendono in campo per sostenere il festival) e Lucca diffusa. Quest’ultimo aspetto prevede il coinvolgimento dei principali negozi specializzati in fumetto, giochi e narrativa fantasy di tutta la penisola per stimolare il contatto fra gli autori, gli editori e la comunità degli appassionati. al momento di andare in stampa, il programma è ancora in fase di preparazione. Per maggiori informazioni: www.luccacomicsandgames.com/it/lcg/home
PITTURA
Vedova/ Shimamoto a asolo
Hiroshige a Padova
Dal 10 ottobre all’11 aprile alcune opere dell’artista giapponese Hiroshige saranno presentate nell’ambito della mostra Van Gogh, i colori della vita. Oltre a essere uno dei maggiori artisti giapponesi dell’800,
Hiroshige è stato fra coloro che Van Gogh ha maggiormente ammirato e da cui ha
tratto ispirazione. I curatori della mostra hanno quindi deciso di affiancare a 78 dipinti del grande pittore olandese alcune stampe di Hiroshige. Centro San Gaetano, via Altinate 71, Padova www.lineadombra.itp
Zoom Giappone è pubblicato dalle Edizioni Ilyfunet 12 rue de Nancy 75010 Paris - Francia - Tel: +33 (0)1 4700 1133 www.zoomgiappone.info - info@zoomgiappone.info Deposito legale: a pubblicazione ISSN: 2492-7414 - Stampato in Francia Responsabile della pubblicazione: Dan Béraud Pubblicità: info@zoomgiappone.info Hanno partecipato a questo numero: Odaira Namihei, Gabriel Bernard, Eric Rechsteiner, Gianni Simone, Jean Derome, SEKIGUCHI Ryôko, Alissa Descotes-Toyosaki, Mario Battaglia, Sara Sesia, Eva Morletto, Lundberg, Silvia Madron, KOGA Ritsuko TAKACHI Yoshiyuki, KASHIO Gaku, TANIGUCHI Takako, MASUKO Miho, ETORI Shoko, NIITSU Mika Marie Varéon (concezione grafica)
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zOOm CULtUra ANIME Un
libro per i nostalgici dei robot
Corradi e Di Bona stilano un catalogo assolutamente personale di tutti i mecha protagonisti degli anni ‘80.
C
erte date non si scordano mai. Per me, una di queste date fatidiche è il 4 aprile 1978. All’epoca avevo 14 anni e le mie due grandi passioni erano la lettura – inclusi i fumetti – e la televisione. La sera del 4 aprile, in attesa che la cena fosse pronta, stavo smanettando come al solito sui pochi canali televisivi dell’epoca quando, alle 18:45, comparve sullo schermo un gigantesco robot con in mano quella che poi avrei saputo si chiamava “alabarda spaziale”. Atlas UFO robot non era un cartone animato come gli altri. Innanzitutto veniva dal Giappone, un paese di cui conoscevo ben poco. E poi la storia – e il modo di raccontarla – erano a dir poco alieni alla tradizione occidentale. Ne rimasi allo stesso tempo scioccato e affascinato. Decisi immediatamente che quella era una serie che non potevo assolutamente perdere. Ma c’era un problema: a casa mia cenevamo alle 7:00, in cucina, mentre la TV era in salotto. Un episodio durava una mezz’oretta, quindi non avrei potuto vederlo fino alla fine. Che fare? Io sono sempre stato un bambino ubbidiente ma in quell’occasione mi impuntai e dissi che da quel momento in poi avrei cenato da solo in soggiorno perchè mai e poi mai avrei poputo fare a meno della mia dose quotidiana di super robot.
INFOrmazIONI PratICHe È tUttO UN maNGa maNGa, Di roberto Corradi e the Hand. eF edizioni, 2020 150 pagine, €15.00.
Un mecha stilizzato campeggia sulla copertina di È tutto un manga manga
Devo confessare che Goldrake – il mecha in questione – è stato il mio primo e unico amore. Altri appassionati di anime sono poi passati a Mazinga, Jeeg e Gundam ma io mi sono fermato lì. Nessuno avrebbe potuto sorpassare la perfezione di Goldrake. Quando, molti anni dopo, mi sono trasferito a Tôkyô e ho scoperto che Grendizer (questo il suo nome originale) era un robot marginale e in Giappone quasi nessuno se lo ricordava, non ci volevo credere. Tutto questo lungo preambolo per dire che roberto Corradi (poliedrico creativo che sa anche fare il pandoro) e il disegnatore e fumettista Maurizio Di Bona (alias The hand) hanno fatto un lavoro eccellente, e che con-
sidero È tutto un manga manga un libro indispensabile per chi ama i mecha e, più in generale, gli anime e la cultura pop giapponese. In questa divertente “enciclopedia robottonica” sono elencati, descritti, a volte anche presi simpaticamente per i fondelli (Goldrake è l'unico robot “ad avere due coppie di banane infilate ai lati della testa”), trentuno robot giapponesi. Stranamente, fra i tanti robottoni maggiori e minori manca Evangelion, che ha segnato un’epoca nell’evoluzione del genere e che oggi è di gran lunga il più famoso dell’allegra Armata Brancaleone catalogata su queste pagine. Ma come scrive Corradi nell’introduzione, il libro si ferma alla fine degli anni ’80 – l’epoca d’oro dei super robot – e non è assolutamente una bibbia per completisti, tuttologi e sapientoni. Intendiamoci, le informazioni che troverete sono tutte vere ma, come sottolinea Corradi, vengono “amministrate con la disinvolta superficialità con cui all’epoca si potevano vedere i cartoni animati”. Ed è per questo – mi sia consentita questa coda un po’ polemica – che i libri sono ancora importanti. Se vi interessa solo sapere quanto è alto Gundam, chi pilota Mazinga o di quali accessori è dotato Daitarn, potete trovare tutte le informazioni su internet. Ma solo in un’opera d’autore trovarete dei gioiellini come questo: “Daltanious di faccia non è un granché , il corpo è imponente ma i lineamenti sono di uno che lavora in una ferramenta e soprattutto la testa è piccola, molto piccola e con delle antenne che sembrano quelle delle limousine americane di un tempo”. Per non parlare del sempre ottimo Di Bona e della sua mano d’oro (The hand!), i cui disegni aggiungono un ulteriore livello di lettura e di goduria. GIANNI SIMONE
/zoomgiappone
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zOOm CULtUra TRADIZIONI
In compagnia degli ultimi chindon’ya
Figure di un Giappone in via di sparizione, questi particolari artisti di strada tentano di resistere.
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vvolta in un kimono bianco costellato di fiori rossi e blu, NAGATA Mika suona il suo ingombrante tamburo chindondaiko, cantando le lodi di un nuovo ristorante di sushi. Suo marito hisashi, invece, mostra di saper padroneggiare alla perfezione il sistema di percussioni appeso al collo, mentre il clarinettista kacchan suona senza sosta una melodia dopo l’altra. Mika fa regolari pause per distribuire i volantini del ristorante e per chiacchierare coi passanti curiosi, sorpresi e visibilmente felici dell’improvvisa apparizione di questa formazione artistica nel loro quartiere. Il gruppo dei quattro originali e vistosi musicisti accompagnati da
con gruppi diversi. il nostro repertorio va dai generi tradizionali quali il min’yô (canzoni folk) o l’hayashi (musica festiva tradizionale) alla musica pop giapponese e occidentale. Avete forse notato che oggi Kacchan ha persino incluso una hit di SMAP. È ormai un veterano con una carriera di vent’anni alle spalle. Appartiene in effetti a un altro gruppo di chindon’ya, ma lavora spesso con noi come “extra”. È incaricato di selezionare le canzoni in funzione della stagione, del luogo in cui si va a suonare, del momento della giornata, o semplicemente secondo il proprio capriccio”, aggiunge. “riceviamo diverse proposte. Quando lavoriamo per ristoranti o altri esercizi commerciali, interpretiamo il ruolo “classico” dei chindon’ya, quello per cui sono principalmente conosciuti, ma, recentemente, riceviamo molte prenotazioni per
Col tempo, i chindon’ya sono diventati rari. Oggi è rimasto appena un centinaio di questi artisti.
una ragazza che distribuisce dei depliant si fa largo lentamente fra la gente nelle animate vie commerciali di hiyoshi, un quartiere residenziale a nord di Yokohama. Mika et hisashi sono una coppia di chindon’ya, a capo dell’impresa Chindon Geinôsha. Mika, la leader, fa questo lavoro da 27 anni et kyûchan, nome d’arte di hisashi, da 25 anni. “Vediamo raramente altri come noi perché i chindon’ya sono diventati rari. Negli anni cinquanta, la loro epoca d’oro, se ne contavano fra 2000 e 3000 in tutto il Giappone, ora non ne resta che un centinaio”, spiega Mika. “chindon Geinôsha è stata fondata nel 2007, quando ci siamo sposati. Prima, ci esibivamo
eventi speciali e persino da parte di case di riposo. in questo caso, il nostro lavoro consiste nel far divertire le persone anziane e le loro famiglie, un ruolo a metà tra l’esibirsi in concerto e organizzare una festa. così, ogni anno, siamo ingaggiati da una città in Hokkaido e in tre giorni lavoriamo in una quindicina di case di riposo. È un lavoro difficile, ma al tempo stesso molto divertente”, dice, sorridendo. “Dopo che mi sono lanciato in questa professione, abbiamo assistito a molti cambiamenti, a cominciare dalla clientela. Nel passato, avevamo molto lavoro nelle sale di pachinko (sale da gioco in cui i clienti tentano di vincere il più alto numero possibile di biglie d’acciaio che in seguito verranno
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scambiate con denaro contante) e le shôtengai (vie commerciali). Ma da qualche tempo, la situazione economica si deteriora. Le sale di pachinko, ad esempio, figuravano fra i nostri migliori clienti. rappresentavano circa il 70% della nostra clientela, ma le chiusure si moltiplicavano. Oggi, ne facciamo meno di dieci in un anno intero. Quanto alle shôtengai, sono ormai gestite da associazioni di piccoli commerci famigliari. Per molti anni, hanno costituito il cuore di ogni quartiere, e gli abitanti ci andavano per fare la spesa quotidiana, ma dagli anni Ottanta in poi, sono state duramente colpite dalla crescente concorrenza dei supermercati e dei centri commerciali in periferia. Molti negozi hanno dovuto chiudere e le shotegai che permangono sono lungi dall’essere prospere. Nel passato, quando organizzavano delle campagne promozionali, le shôtengai ingaggiavano dei chindon’ya praticamente ogni settimana. Oggi, sfortunatamente, ci chiamano soltanto una volta all’anno”, confida hisashi. Mentre parliamo, hisashi riceve una chiamata da una associazione di commercianti di kamata, a sud di Tokyo. Lo informano che, a causa della crisi legata al Covid 19, debbono per forza annullare l’evento a cui avrebbero dovuto partecipare. “A Aomori, dove sono cresciuto, non c’erano i chindon’ya. Non sapevo chi fossero prima di andare a vivere a Tôkyô. il termine “chindon’ya” era impiegato in maniera dispregiativa, generalmente per prendere in giro la maniera di vestirsi di qualcuno. “Somiglia a un chindon’ya”, veniva detto. Dopo il liceo, mi sono trasferito a Tôkyô e ho cominciato a lavorare per una società di architettura, ma preferivo di gran lunga uscire al bar con gli amici. Durante una di queste uscite, ho conosciuto un chindon’ya. Ho immediatamente lasciato il mio lavoro e, come per la maggior parte dei debuttanti, ho cominciato a distribuire dei volantini, studiando al tempo stesso e formandomi a questa arte, sotto la direzione del mio nuovo capo”, racconta. “il leader della troupe era una di quelle persone carismatiche che, ovunque vadano, attirano immediatamente l’attenzione di tutti. emanava una sicurezza in sé e un’energia incredibili. Mi ha fatto provare il potere del divertimento. Vederlo esibirsi è stata un’esperienza davvero toccante, e, per qualcuno come me che si era cimentato col teatro non da professionista, quest’esperienza fu una rivelazione. Decisi immediatamente che avrei voluto seguire le sue orme. Ho ancora molto cammino davanti a me prima di raggiungere il suo livello, ma sono felice di aver scelto questa strada. Amo il fatto che, ovunque andiamo, portiamo gioia e bei momenti. come avrete visto, tutti si
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fermano e apprezzano la nostra esibizione. Questo lavoro dà la possibilità di mettere in atto uno scambio diretto, senza intermediari, con la gente. Non siamo su un palco intenti a cantare o a recitare. Le nostre performance avvengono direttamente in strada, in mezzo alla gente ordinaria, e non manchiamo mai di suscitare una reazione spontanea e di far nascere dei sorrisi sui volti”, si compiace hisashi. “Anche da un semplice punto di vista commerciale, fa bene sapere che il nostro modo di interpretare e approcciare la pubblicità si traduce in generale in un vero interesse per i nostri clienti. Non soltanto i passanti afferrano il volantino - ciò che la maggior parte di persone evita come la peste quando qualcuno si limita a distribuirli all’angolo di una via - ma si fermano, si informano sul luogo pubblicizzato, vogliono sapere dove si trova, ecc. Ovviamente, questo non significa che siamo sempre ben accolti. Ogni tanto, incrociamo un brontolone che ci trova irritanti, ma questo fa parte degli inconvenienti del mestiere. Quando ero più giovane, questo comportamento mi disturbava, ma adesso, vi presto molta meno attenzione. Mi scuso con un sorriso e continuo come niente fosse. il lato negativo di questo lavoro è la precarietà economica. Non è finanziariamente sicuro. Non riceviamo uno stipendio alla fine del mese. Se non troviamo ingaggi, non guadagniamo nulla. Siamo puntualmente preoccupati di conoscere quando sarà la nostra prossima prestazione. Non possiamo quindi veramente rifiutare un’offerta, poiché chi può sapere se avremo a breve un’altra proposta o se questo cliente ci richiamerà? ecco perché alterniamo costantemente periodi in cui abbiamo troppo lavoro - come quando ci rechiamo a Hokkaidô - a periodi in cui non riceviamo nemmeno una chiamata. Dopotutto, si tratta di ciò che viene definito il mizu shôbai, ovvero un’impresa dedicata al divertimento il cui fatturato può essere alto, ma i guadagni incerti”, spiega. “chindon Geinôsha conta dieci membri. La maggior parte di essi è composta da giovani diplomati provenienti da un’università musicale vicina, attirati dal nostro universo. Mio marito ed io suoniamo entrambi il chindon-daiko. Lavoriamo raramente insieme - oggi è stata un’eccezione visto che spesso riceviamo più proposte per lo stesso giorno, quindi ci separiamo e dirigiamo diversi gruppi. il numero di persone ingaggiate per una prestazione varia in funzione della natura dell’evento e del budget del cliente”, aggiunge Mika. “casa nostra è anche la sede della nostra impresa. Quando effettuiamo una prestazione, i membri più giovani vengono da noi verso le 8 del mattino. ci trucchiamo, indossiamo i kimono e partiamo. Lavoriamo per sette ore, facciamo una sosta per
Eric Rechsteiner per Zoom Giappone
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NAGATA Mika ha scelto questo lavoro 27 anni fa e lo esercita sempre con la stessa passione.
il pranzo e un’altra pausa durante il pomeriggio. Trascorriamo le nostre giornate libere a pulire i costumi, a fare dei lavori di riparazione, a fare le prove per le feste che arrivano o gli spettacoli in scena, e soprattutto, le trascorriamo nei vari commissariati di polizia per ottenere l’importantissimo dôro shiyô kyoka (permesso di circolazione) senza il quale non potremmo esibirci per strada. È in effetti la sola cosa che detesto veramente in questo mestiere. Dobbiamo andarci due volte, prima per chiedere il permesso e infine per ottenerlo. e dobbiamo sborsare circa 2000 yen”, fa notare lei. “Le basi della nostra professione sono le stesse ovunque, ma esistono delle differenze a seconda delle regioni. i chindon’ya di Tôkyô e dei suoi dintorni, per esempio, sono molto più spettacolari quando si esibiscono nelle loro prestazioni pro-
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mozionali. Le troupe della regione del Kansai (Ôsaka, Kôbe), in confronto, sono più eleganti e discrete. Non hanno bisogno di esagerare, dal momento che i passanti sono meno timidi, più chiacchieroni e più curiosi rispetto agli abitanti del Kantô (regione della capitale). Ho scelto questo mestiere perché posso veramente divertirmi al lavoro. colui che l’ha inventato, che ha avuto l’idea di aggiungere della musica al fastidioso compito della promozione commerciale, è stato un genio. Posso svegliarmi di cattivo umore, o smaltire una sbornia (ride), o ancora aver voglia di restare a letto anziché lavorare, ma una volta che la musica comincia, mi immergo nel personaggio e tutti i problemi e i sentimenti negativi spariscono come per magia”, assicura la signora dal kimono bianco, continuando a suonare il suo tamburo. GIANNI SIMONE
zOOm CULtUra SOCIETÀ
Cambiamenti a tutti i livelli
I sociologi David H. Slater e YAMADA Masahiro analizzano gli effetti del Covid 19 sui giapponesi.
Eric Rechsteiner per Zoom Giappone
C
he impatto ha il Covid 19 sulle relazioni umane in Giappone? Zoom Giappone ha posto la domanda a due professori: David h. Slater e YAMADA Masahiro. Osservatore privilegiato della gioventù nipponica, David h. Slater è professore di antropologia culturale all’università Sophia. Le sue ricerche riguardano la cultura giovanile, le ineguaglianze sociali, gli effetti del terremoto del marzo 2011 e i rifugiati stranieri in Giappone. Non contento di studiare queste numerose tematiche, ha ugualmente organizzato e coordinato un certo numero di progetti, in particolare gli archivi orali digitali “Voices from Tohoku” e “refugee Voices Japan”. “Gli studenti di Sophia sono formidabili. Sono un po’ differenti rispetto agli studenti universitari ordinari, poiché molti fra di loro sono cresciuti all’estero e sono ora tornati in Giappone, sempre identificandosi però come giapponesi. Adesso, col lockdown, sono tutti a casa e non hanno nessun impegno particolare, quindi come insegnante, tento di approfittare del loro tempo libero e della loro energia accumulata per coinvolgerli e mostrar loro la situazione attraverso uno sguardo più critico”, spiega il professore. Con un altro docente dell’università, NAkANO kôichi, si è interessato ai giovani militanti giapponesi. Per numerosi anni, l’attivismo è stato piuttosto blando nell’arcipelago, fino a che la triplice catastrofe – terremoto, tsunami e disastro nucleare – dell’11 marzo 2011, e i progetti di legge del governo sulla sicurezza del 2015, hanno fatto rinascere proteste e manifestazioni popolari. “Questo movimento non poteva essere duraturo”, nota. “Non era radicato in un contesto istituzionale come l’università. Non c’erano sezioni universitarie come negli anni Sessanta e Settanta. Persino gruppi come i SeALD (Students emergency Action for Liberal Democracy), non hanno avuto lunga vita. Queste azioni si generano di solito attraverso diverse ondate, con periodi di foga militante seguiti da periodi di inattività. Abbiamo pensato che il momento attuale potesse significare il ritorno delle proteste. Fino ad oggi, questo non è ancora successo, ma sento dire che diversi gruppi di giovani si riuniscono nuovamente, è molto interessante. Potremmo assistere a una certa mobilitazione quando lo stato di emergenza sarà terminato”. Secondo il professore dell’università Sophia, diversi fattori limitano l’impegno militante in Giappone. “innanzitutto, esiste ancora una sorta di stigmatizzazione contro il fatto di diventare troppo im-
“Le coppie non danno molta importanza all’intimità”, nota il sociologo YAMADA Masahiro.
pegnati politicamente”, constata. “Si potrebbe immaginare che ogni 10-15 anni, le persone tornino in strada, ma la maggior parte dei giovani preferisce un impegno sociale non conflittuale come il volontariato o il sostegno alle fasce di popolazione più deboli. esitano ancora, quando si tratta di manifestare. credo che una delle ragioni per cui i giovani giapponesi sono così poco impegnati politicamente è l’assenza di modelli che possano ispirarli, come per esempio Alexandria Ocasio-cortez negli Stati uniti, che gode di una reputazione internazionale e non ha paura di sfidare le autorità. in Giappone, le persone di età compresa tra 25 e 40 anni sono piuttosto silenziose. Qui, gli studenti non si identificheranno mai a politici più anziani”. David h. Slater pensa che il sistema educativo dovrebbe assumere una parte di responsabilità per quanto riguarda la debole comprensione della politica contemporanea dal dopoguerra a oggi, da parte di numerosi studenti. “Ne sanno più su Martin Luther King che sulle manifestazioni che si svolsero nella stessa epoca qui in Giappone”, ricorda. “La scuola dovrebbe aiutare gli allievi a esaminare le cause sociali e gli schemi dell’ingiustizia, ma pochi studenti hanno affrontato queste tematiche. i SeALD hanno veramente dovuto istruirsi su questi argomenti. Ma quando gli studenti ordinari si mettono da soli a imparare la storia del Giappone dal dopoguerra a oggi, la situazione è delicata. Più precisamente, nel nostro ruolo di insegnanti, non facciamo il necessario affinché gli studenti possano prendere posizione, formulare le proprie opinioni e difenderle contro altre opinioni. Non hanno
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l’abitudine di sfidarci, né di sfidarsi gli uni contro gli altri. Di conseguenza, anche nel contesto della crisi da coronavirus, la maggior parte non adotta un punto di vista critico sulla circolazione e sulla consumazione dell’informazione. Sappiamo ben poco di come il governo gestisca la situazione. Potremmo quindi immaginare che i giovani vogliano saperne di più”, aggiunge. Lontani dall’impegno collettivo con altri studenti, molti giovani in Giappone sembrano invece rinchiudersi nella loro bolla mediatica. “Penso che passino ancora più tempo dietro ai loro schermi. Poiché sono tutti a casa, tutti rigorosamente online, avremmo potuto immaginare che la densità degli scambi sui social network fosse più alta, che si stabilissero più contatti. ebbene, pare di no. in altri termini, vivono questo periodo come un momento di isolamento. Guardano un po’ più le informazioni, ma al tempo stesso si ritirano all’interno della famiglia e lontano dal flusso dei social media. Questo era davvero inatteso. Quasi tutti i miei studenti mi hanno detto che approfittano di questa opportunità perché il tempo trascorso in famiglia sembra essere molto importante. Suppongo che quando la scuola riprenderà, le cose cambieranno nuovamente”, nota l’insegnante. “certo, parliamo soprattutto di studenti ricchi, provenienti da università prestigiose. Gli studenti meno privilegiati continuano a lavorare nei negozi di prossimità e occupano altri posti di lavoro part time, fanno fatica ad andare avanti perché sanno di essere in pericolo. Quando lavori al FamilyMart (catena di minimarket aperti 24h/24), una mascherina non può salvarti. c’è una netta differenza fra le classi sociali in questo senso, i privilegiati
possono isolarsi in casa, mentre i meno fortunati sono sempre fuori a battersi per qualunque impiego possano trovare”, constata. Con la chiusura di numerose imprese, molti studenti non hanno potuto conservare il loro impiego part-time, e la sola opzione è quella di accettare le opportunità che rimangono disponibili, ossia lavori ancora più difficili e faticosi, come le pulizie, che, durante una pandemia, oltre ad essere debilitanti per il fisico si rivelano pericolose per la salute. “essere studenti è difficile per molti giovani. bisogna pensare che le università incassano parecchio denaro e ora non hanno più nemmeno bisogno degli addetti alle pulizie visto che, per il momento, tutte le conferenze avvengono online. Sono sicuro che hanno licenziato tutto il personale addetto alle pulizie e altri impiegati, ma nessuno ha intenzione di rimborsare le tasse universitarie. A Sophia abbiamo creato un fondo destinato agli studenti in difficoltà. Possono chiedere una riduzione delle spese scolastiche e talvolta anche un po’ di più. Ma anche qui, conosco qualche studente che ha dovuto abbandonare gli studi perché non poteva più pagare le spese o i prestiti. Questo stato di cose dimostra che la società giapponese è lungi dall’incarnare quella grande classe media stabile di cui ci si è tanto vantati”, spiega David h. Slater. “certi studenti non hanno nemmeno la possibilità di ritornare presso le loro famiglie. Alcuni non hanno un computer, non possono dunque seguire i corsi online che attraverso lo smartphone. una delle miei studentesse mi ha detto che aveva potuto pagare le tasse scolastiche perché aveva messo da parte abbastanza denaro, ma che se avesse seguito i corsi sul web da casa sua, tutti si sarebbero resi conto di dove e di come vive la sua famiglia. Ha una certa immagine pubblica, e non vuole mostrare l’ambiente in cui abita. il suo ragionamento implica che la giovane ha coltivato un look “da classe media” nel suo modo di vestirsi, ecc. e teme di mostrare la realtà del suo quotidiano. Ha quindi finito per traslocare da un’amica, e finché non avranno corso nello stesso orario, tutto andrà bene”. Professore di sociologia presso l’università di Chûô, YAMADA Masahiro è uno dei ricercatori più influenti. Molte espressioni da lui formulate, come parasaito shinguru (“single parassita”) e konkatsu (“ricerca di un partner coniugale”) sono entrate nel vocabolario generale. Specialista delle questioni famigliari e di genere, ritiene che uno degli aspetti più interessanti della crisi sanitaria attuale sia il fatto di aver spinto le persone ad adottare nuovi stili di vita. “in Giappone, come sapete, il telelavoro non è realmente un’opzione poiché la maggior parte di imprese non è abituata a questa possibilità”, ricorda. “uno dei miei studenti mi ha detto scherzando che, visto che il padre continuava come d’abitudine a recarsi al lavoro, in famiglia ognuno ha deciso
Eric Rechsteiner per Zoom Giappone
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David H. Slater è professore d’antropologia culturale presso l'università Sophia.
di consumare i pasti separatamente dagli altri, ognuno nella propria camera, per paura di contaminarsi” (ride). I Giapponesi affrontano le relazioni tra i sessi e in particolare il matrimonio - in maniera diversa rispetto alle pratiche occidentali. Un caso tipico è il bekkyokon (“matrimonio separato”) , un accordo nel quale una coppia sposata non condivide lo stesso tetto. I partner possono affittare appartamenti diversi nello stesso immobile o vivere nello stesso quartiere e vedersi quando ne hanno voglia. Un esempio simile è chiamato shûmatsukon (letteralmente “matrimonio del week-end”): gli sposi si incontrano solo nel fine settimana, generalmente perché durante i giorni lavorativi sono molto occupati e lavorano fino a tardi. Spesso, inoltre, i lavoratori uomini sono inviati in trasferta dalla loro impresa in succursali in città lontane, per qualche anno, lasciando così la famiglia a casa e andando a trovarla solo nel week-end. Sebbene queste pratiche non siano molto diffuse, suggeriscono una mentalità in cui l’intimità non è considerata come un elemento fondamentale per il matrimonio. “in Giappone, la comunicazione
orale, come dare o chiedere consigli, o ancora discutere su argomenti riguardanti la famiglia, non è considerata come una priorità”, spiega YAMADA. “L’uomo e la donna hanno ruoli e competenze completamente diversi in casa e fanno attenzione a non intralciarsi a vicenda. inoltre, oggi abbiamo talmente tanti gadgets elettronici che le persone si privano ulteriormente di interazioni: lei guarda la televisione mentre lui è impegnato coi videogiochi sul computer, o entrambi sono ipnotizzati dal loro smartphone. ciò, rappresenta certamente una realtà che riguarda il mondo intero. ecco perché, quando passano entrambi un lungo momento insieme, come in questo momento di lockdown, la casa diventa improvvisamente troppo piccola. Senza contare che, se ci sono dei bambini, il marito può innervosirsi se sono rumorosi o noiosi. in altri Paesi, sembra che il tasso di violenze domestiche sia più elevato a causa del coronavirus. Non abbiamo ancora dati concreti per sapere se il Giappone segua la stessa tendenza, ma sono stati organizzati dei servizi online e telefonici per rispondere a una domanda più importante di richieste di aiuto”. Un nuovo termine diffuso apparso in Giappone col virus è korona rikon (“divorzio da coronavirus”).
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Una ragione tipica per voler mettere fine a un matrimonio è che il marito, trascorrendo più tempo in casa rispetto all’ordinario, non aiuta nei lavori domestici e non partecipa all’educazione dei figli. Secondo uno studio condotto dal sito internet Lip Pop, il 38% delle persone interrogate pensa al divorzio o, quantomeno, ha dei dubbi circa la solidità del proprio matrimonio. In particolare, il 46% dei quarantenni sembra essere impattato negativamente dalla situazione. Malgrado ciò, il professor YAMADA ha tendenza a minimizzare l’effetto della pandemia sulle relazioni tra i sessi. “in Giappone, il matrimonio è molto spesso una questione di denaro e non d’amore”, racconta. “L’idea dell’amore romantico non ha veramente posto nella cultura giapponese; è stata importata dall’Occidente. Marito e moglie non hanno probabilmente una relazione idillica nel senso occidentale del termine, ma visto che il loro matrimonio è basato principalmente su considerazioni economiche, ci vuole una pesante crisi per mettervi fine. bisogna ricordare che in seguito alla catastrofe dell’11 marzo 2011, molti pensavano che il numero dei divorzi sarebbe aumentato. in realtà, il loro numero è rimasto più o meno stabile. Se una tragedia immane come questa non ha avuto un grande impatto sulle coppie, non credo che il covid 19 cambierà veramente le cose. Statisticamente, il primo motivo di divorzio per i giapponesi è il denaro, la seconda è l’adulterio. Ma a causa della pandemia, le persone hanno meno possibilità di tradire il proprio partner, dunque, in un certo senso, il coronavirus potrebbe avere un effetto positivo su queste relazioni. O forse no: gli uomini potrebbero insistere sul fatto che non possono recarsi nei loro hostess bar preferiti!” (ride). In Giappone, si dice che “il marito deve essere in buona salute e restare fuori casa”: questo significa che un marito in buona salute lavora duro e costituisce un buon sostegno economico ma la sua presenza in casa non è richiesta. In effetti, se passa troppo tempo tra le mura domestiche, diventa una fonte di lavoro supplementare per la donna poiché non partecipa ai lavori domestici. “bisogna capire che tradizionalmente, le coppie giapponesi non danno una grande importanza all’intimità”, prosegue YAMADA. “una volta che un bambino è nato, non si abbracciano e non si baciano più. Marito e moglie diventano padre e madre e cominciano persino a chiamarsi in questo modo. Questo non significa che perdano ogni interesse al “divertimento”. Secondo le mie ricerche, un uomo sposato su dieci frequenta hostess bar e prostitute”. Sottolinea poi che anche le giovani generazioni non sono interessate alla ricerca di un partner. “come ho scritto, per molti giapponesi, passare del tempo insieme diventa velocemente stancante e noioso. ci sono molti matrimoni
YAMADA Masahiro
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YAMADA Masahiro insegna sociologia presso l’università Chûô.
bianchi qui, e non parlo solo di coppie sposate. L’idea che flirtare, fare la corte, persino avere relazioni sessuali, sia noioso, fa parte di una mentalità diffusa recentemente anche fra i ventenni. Attualmente, una persona su quattro in Giappone rimane single.” Citando opere come Kazoku Nanmin (I rifugiati famigliari, 2014, inedito in italiano) e Kekkon kuraishisu (La crisi del matrimonio, 2016, inedito in italiano), l’universitario spiega perché, per numerosi giovani giapponesi, sposarsi e fondare una famiglia non sia più un’idea attraente. Secondo lui si tratta di una tendenza a lungo termine e la pandemia non farà molto per cambiare l’opinione della gente al riguardo. “Gli uomini e le donne trentenni o quarantenni non hanno assolutamente alcun problema nel vivere coi genitori”, fa notare. “È anche vero che molti di loro non guadagnano a sufficienza per affittare un appartamento da soli, senza parlare di matrimonio. Ma ci sono anche quelli che godono di un ottimo stipendio e preferiscono vivere con papà e mamma. il ragionamento è il seguente: perché dovrei vivere solo visto che mia madre prepara da mangiare e lava i miei panni? e in un certo senso, anche per i genitori, è una buona soluzione. Avere i figli non sposati in casa significa che quest’ultimi si occuperanno di loro quando saranno anziani o malati”. In fin dei conti, è tutta una questione di soldi, stima YAMADA. “Quarant’anni fa, l’economia giapponese era in migliori condizioni e l’idea di sposarsi seduceva la maggior parte delle persone. La maggioranza delle donne voleva convolare a nozze e smettere di lavorare e siccome numerosi
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uomini avevano un buon impiego, stabile e ben remunerato, era più facile trovare un partner adeguato. Poi la bolla economica è esplosa, il mercato del lavoro è diventato instabile, molta gente ha perso l’impiego a causa della riorganizzazione delle imprese. Da quel momento, i contratti precari sono diventati la norma, a tal punto che oggi, circa il 40% della manodopera giapponese è costituita da lavoratori non regolari. Nonostante tutto questo, le aspettative economiche della maggior parte delle donne in materia di matrimonio non sono cambiate. in altri termini, non vogliono lavorare e si aspettano che il marito sia il principale sostegno della famiglia. Persino all’università di chûô, dove insegno, circa la metà delle studentesse spera di poter diventare un giorno casalinga. Sanno che aria tira nel mondo del lavoro - soprattutto in Giappone - e preferiscono evitarlo. Non amano le interminabili ore in ufficio, il sessismo, o persino le molestie sessuali che persistono. Sposarsi diventa dunque una scappatoia ideale. Ma, tenuto conto della situazione economica attuale, le possibilità di trovare un “buon partito” sono molto più esigue rispetto al passato”, fa notare il sociologo. “D’altra parte la cultura giapponese continua a valorizzare le donne che restano in casa e allevano i bambini. Se il marito guadagna denaro a sufficienza per sovvenire alle necessità di tutta la famiglia, perché una donna dovrebbe cercare un lavoro? il fatto che sempre più famiglie abbiano un doppio stipendio non significa che le donne vogliano lavorare. Significa semplicemente che lo stipendio del marito non è abbastanza lauto”, conclude. JEAN DEROME
zOOm CUCINa TENDENZA tutti
pazzi per il fashion food
Nel corso degli ultimi cinquant’anni, i giapponesi sono stati contagiati da un’autentica frenesia del gusto.
L
e riviste sono espressione di un’epoca, intuiscono prima di tutti “lo spirito del tempo” e riescono a trasmetterlo. Il cibo può talvolta incaricarsi di questa singolare missione. hATANAkA Mioko, editrice di libri di cucina, lei stessa autrice di un libro su quello che viene definito “fashion food” (ed. Chikuma bunko, inedito in italiano), spiega che in Giappone il cibo fa parte degli “oggetti di moda” dagli anni Settanta. Si acquista un certo dolce perché “fa tendenza”, perché contiene uno storytelling: si consumano delle informazioni, una storia. È ugualmente in quest’epoca che il magazine An An ha visto la luce: la “generazione An An” fu la prima a lanciarsi nella ricerca di piatti e di ristoranti che potessero riflettere lo spirito della città, che fossero capaci di tradurne le tendenze e le aspirazioni. Secondo hATANAkA, la rivista è stata innovatrice in questo senso: ha sdoganato il cibo dal mondo poco attraente delle incombenze domestiche. Mentre le altre riviste femminili associavano puntualmente gli articoli sulla cucina alle ricette e alle piccole gioie famigliari, i pezzi contenuti in An An incitavano le ragazze a consumare specialità e piatti cucinati da altri e non da se stesse, le spingevano ad apprezzare e a formare un’indipendenza gustativa. hanno così in qualche sorta rappresentato una “resistenza” allo stereotipo imperante della “gentile casalinga” ancora ben presente all’epoca. Partiamo quindi per un viaggio singolare, alla scoperta dell’evoluzione dei protagonisti zuccherini che hanno animato il mondo della pasticceria negli ultimi cinquant’anni. Negli anni Settanta, si assiste soprattutto alla
La moda dei “sweets from America” raggiunge l’apice negli anni 2006-2011.
nascita della ristorazione rapida: il primo McDonald’s aprì a Ginza nel 1971, e le altre catene di fast food arrivarono a ruota coi loro prodottisimbolo: donuts, gelati all’americana, cheese cake. La grande moda dell’epoca, sopravvissuta fino ad oggi, è la “crêpe”. Il primo stand dedicato a questa ghiottoneria apparve nel 1976 a Shibuya, poi a harajuku, da una cinquantina d’anni il quartiere preferito dagli adolescenti. Le caratteristiche della crêpe alla giapponese, ripiena di palline di gelato, di panna e di frutta fresca, molto “girly”, hanno attirato tutti gli adolescenti che sognavano la capitale. Ancora oggi, la crêpe è la specialità “locale” di harajuku, e offre numerose evoluzioni e variazioni. Dieci anni dopo l’apparizione di An An, viene
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pubblicato Hanako, un magazine d’informazione destinato alle donne giovani e vettore di nuove mode. Nel mondo della pasticceria, la mousse diventa sempre più popolare. La sua consistenza prima di allora sconosciuta ha preparato il palato dei giapponesi alla ricerca della cosiddetta sensazione fuwa fuwa (tenera, aerea, soffice). Il 1990 segna l’ultima grande tendenza a livello nazionale, con la comparsa del tiramisù. La sua consistenza soffice e cremosa aveva tutto per piacere ai giapponesi. Parallelamente, si assiste in quegli anni a una nuova ondata di aperture di ristoranti italiani, che sostituiscono così quelli di cucina francese, considerati all’epoca come “locali di lusso”. I giapponesi aspirano alla convivialità, a una cucina semplice, gioiosa e informale.
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La crêpe è diventata la specialità locale di Harajuku.
Nuovi sapori arrivano dall’Europa negli anni ‘90
Dal 2014, il kakigôri ha sempre più successo.
Con l’arrivo di internet, i gusti cambiano in fretta. L’abbondanza di informazioni dà il via a una quantità di mode diverse, più effimere e frammentate. Nel 1991, va sempre più di moda la consistenza fuwa fuwa nei dolci. Volendo seguire l’onda del successo della pasticceria, tutti cercano di promuovere nuovi sapori e ricette dolci: le texture morbide e cremose continuano a piacere ai nipponici. Crème brûlée, pane al formaggio spalmabile, panna cotta, cioccolato cremoso… Nel periodo 1992-1993, con la tapioca o la crema di cocco, i dessert originali dei paesi asiatici raggiungono la vetta del successo per qualche anno. I giapponesi, fino ad allora concentrati sulle mode europee, si lasciano finalmente sedurre dal fascino delle tentazioni dei paesi vicini. In questo momento comincia anche il successo delle depachika, raffinati negozi di gastronomia che occupano spesso il sottosuolo dei grandi magazzini e offrono una vasta gamma di piatti e dessert da comprare e degustare a casa. Tre anni più tardi, si parla di cannelé (dolcetti tipici di Bordeaux, a base di rum e vaniglia), di cialde liégeoise, di kouign-aman (dolce tipico
della Bretagna) o ancora di pastel de nata (pasticcini a base di pasta sfoglia e crema) portoghesi. Le pasticcerie tradizionali e locali venute d’Europa, già comuni in Italia e Francia, si ritrovano così sotto i riflettori in Giappone. Nel periodo compreso tra il 2006 e il 2011, è l’inizio del boom dei dolci americani: popcorn senza olio, “ bean to bar chocolate”, crispie cream donut, pancake… La recessione colpisce anche il mondo della pasticceria: i dolci cotti come il pancake, la torta allo spiedo o il castella (sorta di pandispagna comune in Giappone, la cui ricetta pare essere stata diffusa dai missionari portoghesi) fanno allora la loro riapparizione per qualche anno. Un prezzo abbordabile, sapori semplici, da condividere in famiglia, adatti al palato di tutti… Dal 2014 in poi, è l’ora del kakigôri. Per molto tempo, i giapponesi si sono rivolti altrove per sognare, motivo per cui le pasticcerie venute dall’estero hanno avuto successo negli ultimi cinquant’anni. Da qualche anno, le nuove tendenze si rivolgono con interesse alla pasticceria tradizionale giapponese, rivisitata grazie a un’estetica moderna. Questa moda riflette al tempo stesso sia la chiusura del paese su se stesso,
sia la nascita di una nuova generazione di pasticceri capaci di osservare la propria cultura con uno sguardo nuovo. Il kakigôri, una sorta di granita a base di ghiaccio tritato e sciroppo, compare già nell’XI secolo nelle Note del Guanciale di Sei Shônagon (tradotto in italiano da Lydia Origlia). Oggi, questo dessert assiste a un’incredibile evoluzione: talvolta la consistenza del ghiaccio assomiglia a polvere di neve, vi viene versata una salsa alla spuma, vi vengono rivisitati sapori giapponesi, coreani, taiwanesi, o viene presentato in stile “granita”… Certi dessert hanno viaggiato in tutto il mondo: il tiramisù, il pastel de nata, il pancake ne sono perfetti esempi. Anche diverse tendenze giapponesi hanno conquistato gli italiani in differita, come il kakigôri, servito in qualche locale alla moda nelle grandi città. I criteri per essere la nuova star dei dolci sono molteplici: vegano, etico, senza glutine, halal… retro pop? A lunga conservazione, in questi tempi di coronavirus, non potendoci spostare troppo? Di origine lontana, per soddisfare la sete di viaggi? SEKIGUCHI RYÔKO
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Alissa Descotes-Toyosaki per Zoom Giappone
La confluenza dei fiumi Tama e Nippara.
Okutama, un altro volto di tôkyô A due ore dalla capitale, una natura lussureggiante e esotica conquista gli amanti di trekking e attività all’aria aperta.
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ulle rive del fiume, una decina di campeggiatori finisce di gustarsi un barbecue tardivo, tra le volute di fumo. A sole due ore di treno da Tôkyô, il campeggio di hikawa nel comune di Okutama è una vera manna per molti cittadini che aspirano a “spezzare la routine” per un week-end. Comodamente seduta sulla sua seggiola pieghevole di fronte alla tenda, NUMAGA haruka beve una birra guardando soddisfatta il fuoco crepitante. Tutto attorno a noi, la foresta si tuffa nelle acque blu del fiume Tama. “È la prima volta che campeggio, me la sto cavando piuttosto bene!”, esclama haruka, affettando degli tsukemono - legumi fermentati - su un tagliere tenuto in equilibrio tra le ginocchia. Arrivate tardi, cominciamo appena a sistemarci mentre la maggior parte degli altri campeggiatori inizia già a preparare i bagagli per il ritorno alla fine del week-end. resta solo qualche fedelissimo amante del posto, intento a cucinare il pasto serale. “Dei veri professionisti!”, commenta haruka, ammirando l’organizzazione perfetta del loro spazio, dove nulla sembra superfluo. Più abituata al confort dei ryokan, gli alberghi tradizionali, questa tokyoita quarantenne avvezza alle discoteche ha dovuto compiere tre tentativi prima di far entrare tutto il necessario nel suo enorme zaino. Poi ha dovuto
portare il pesante fardello fin dalla stazione di Okutama, facendo una sosta per strada, il tempo di fare le compere per i pasti. Per fortuna, il campeggio di hikawa affitta tutto il materiale per cucinare e dispone anche di un caffè-ristorante per coloro che si rivelassero incapaci nella missione di accendere un fuoco! Nato quarant’anni fa, il luogo propone ugualmente dei bungalow di legno molto spaziosi e prenotati largamente in anticipo dagli studenti. Ma il campeggio rimane la soluzione più economica, poiché costa 1 000 yen (8,30 €) a persona al giorno, a condizione che vi sia lo spazio necessario per piantare la tenda. “Durante il passaggio del tifone Hagibis nell’ottobre 2019, abbiamo avuto molti danni e l’area del campeggio è stata ridimensionata a causa degli allagamenti. Oggi, le acque si sono ritirate ma vietiamo ancora di campeggiare sulla riva”, spiega il gestore, mostrando il cordone di sicurezza giallo che delimita l’area destinata alle tende. Vicino alla reception, situata all’interno di un grazioso chalet di legno, troviamo tutto il necessario per trascorrere la notte: fascine di legno, sacchi di carbone, pinze, casseruole, griglie per il barbecue, posate…. “evidentemente, se si affitta tutto questo, non è più così economico, ma rimane sempre meno caro rispetto a una notte in ryokan. ed è molto più divertente!”, fa notare haruka, pragmatica, mentre scende verso la riva con le braccia cariche di legna e di pentole.
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Il nostro menù serale sarà a base di petto di pollo alla griglia, fettine di manzo condite con peperoni e melanzane, wasabi - la grande specialità di Okutama - senza dimenticare le patate locali che cuociamo nella brace. Alle 17, il sole si è già addormentato dietro le montagne e una brezza fresca soffia sul canyon. È tempo di fare un buon bagno caldo prima della cena! Situate a un quarto d’ora a piedi sulla riva opposta, le sorgenti termali Moegi no yu sono accessibili attraverso un ponte sospeso appena illuminato. Una breve passeggiata notturna carica di emozioni! Soprattutto quando si esce dal rotenburo, la sorgente calda all’aria aperta, in mezzo alla foresta, e si ritrovano al ritorno le patate calde e un buon saké a temperatura ambiente. Di fronte al braciere, i campeggiatori fanno cuocere delle bistecche enormi o dei pesci appena pescati nel fiume Tama. Nel buio, i falò brillano di una luce calda e rassicurante, mentre un’ondata di profumi allettanti sale verso la chioma degli alberi. Il pasto vicino alle braci si prolunga tardi la sera, in un’atmosfera serena. Malgrado la vicinanza delle tende, si sente soltanto il rumore della corrente impetuosa del fiume. La foresta di Okutama ospita altre creature oltre ai campeggiatori. Un fruscio vicino alla nostra tenda ci fa scoprire con stupore un animale peloso, dal pancino voluminoso, la testa tonda e un’aria da orsetto lavatore. Un tanuki! Fugge immediatamente portando con sé la borsa che conteneva le provviste. Inseguiamo l’animale che
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Per 1 000 yen al giorno a persona, il campeggio di Hikawa è un’interessante alternativa agli albergi.
Lungo 138 km, il fiume Tama svela tutto il fascino di questo sito eccezionale.
alla stazione. Fondata e gestita da ormai due generazioni da un ex impiegato di una compagnia di autobus, l’hirakawa Service Station offre un ambiente retrò, grazie al suo vecchio televisore, ai disegni a matita sulle pareti e alle grandi vetrate che si aprono sulla foresta. Sazie, siamo pronte per visitare il santuario di Atago. Accessibile dal campeggio, il santuario deve essere meritato: situato in cima a un sentiero di montagna fiancheggiato da strane sculture di donne nude in pietra, bisogna affrontare una scalinata gigantesca di 181 gradini che fende la foresta di cedri e azalee. Col fiato corto, arriviamo in cima e troviamo una pagoda rosso vivo piuttosto brutta e alla fine, un po’ più in alto, il santuario, un edificio medievale in legno costruito da un anziano daimyô, un signore locale, per proteggere il suo
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si ferma sulla riva per ammirare il bottino. Al chiaro di luna, cominciamo uno strano corpo a corpo per recuperare la borsa di plastica, tirando ognuno dalla sua parte. Bruscamente mi rendo conto di avere di fronte un animale mitico della foresta giapponese, mia madre mi raccontava le marachelle combinate dal tanuki quando ero piccola. Animale endemico, il tanuki o “cane procione” è il protagonista di numerose leggende, avrebbe il potere di trasformarsi in oggetti vari o addirittura in un essere umano! Scherzoso e simbolo di buona fortuna, la sua effigie orna le vetrine dei negozi esibendo testicoli enormi la cui pelle morbida serviva in passato a setacciare l’oro. Questa caratteristica anatomica ha alimentato a lungo il folklore giapponese. Tuttavia è raro che il tanuki si avvicini così tanto agli uomini e siamo felici per questo incontro. “Tan Tan Tanuki no Kintama ha !”, comincia a cantare a squarciagola haruka accanto al fuoco. Si può tradurre con: “i gioielli della famiglia del tanuki dondolano anche se non c’è vento!”. Una canzoncina che finisce per far tornare il nostro amichetto, che, dopo aver rubato due brioche, ritorna a frugare come se niente fosse nella pattumiera vicina! Al termine di una notte piuttosto fresca, ci svegliamo al gracchiare dei corvi, anch’essi alla ricerca di viveri. Il giorno arriva infreddolito dietro le montagne, mentre i campeggiatori si radunano in fretta attorno al fuoco. Alla fine, il sole inonda la spiaggia, riscaldando improvvisamente i nostri corpi intorpiditi. Si sente il profumo del brodo di miso, del caffé e delle omelette. Una ragazza ci passa vicino e ci saluta. Poi ci chiede se per caso abbiamo incrociato un tanuki la notte scorsa! L’animale è entrato nella sua tenda, ma nel buio non ha saputo riconoscere di che cosa si trattasse. La conversazione anima gioiosamente il momento della colazione. Altri campeggiatori l’hanno visto rubare del pane, ma il gestore, interrogato sull’argomento, afferma di non aver mai sentito parlare di tanuki nel suo campeggio! Lasciamo la tenda, molto soddisfatte di quest’esperienza, per andare a camminare lungo i sentieri di trekking che hanno reso celebre Okutama. A partire dal santuario di Okuhikawa, a qualche centinaio di metri dal camping, prendiamo un sentierino lungo la valle di hikawa, collegato da un ponte sospeso da cui si può ammirare la confluenza delle acque del fiume Tama e di quelle del Nippara. Il posto è splendido, ornato di grandi spiagge di ciottoli dove la gente pranza con bentô di specialità locali come la trota, o la carne di cervo, molto apprezzata nella regione. Preferiamo andare a mangiare un menù di soba accompagnato da un’eccellente frittura di gamberetti tempura in una piccola trattoria vicino
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I ponti sospesi sono una caratteristica del posto.
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Bisogna salire i 181 gradini di questa scalinata gigantesca per raggiungere il santuario Atago.
castello dagli incendi. Il santuario in effetti ospita le divinità protettrici del fuoco, tra le quali una pietra sacra eretta sopra una grande roccia. Circondata da una corda e coperta di muschio e funghi, rappresenta lo spirito della montagna; qualche pellegrino ha appeso degli omikuji, degli oracoli scritti, portafortuna. Sull’altro versante, troviamo, nascosto sotto un manto vegetale, un piccolo altare con dei bavaglini sospesi a delle tavole di legno. “il dio del fuoco protegge anche le donne incinte e i bambini nati morti”, precisa haruka, adepta dei rituali scintoisti. rimaniamo un attimo sedute su una roccia per ammirare il panorama sulla vallata stretta fra le
montagne. Alcuni falchi danzano nel limpido blu del cielo, poi scompaiono verso le cime. Integrato al Chichibu-Tama-kai, il più grande parco nazionale della prefettura di Tôkyô, Okutama è sovrastata dai monti hinode et Mitake, che culminano a 1 266 m, entrambi accessibili grazie a sentieri di trekking. Preferiamo scendere passando per il Tôkei Trail che attraversa alcuni villaggi di casette giapponesi dai balconi inondati di sole, sui cui vengono fatte essiccare degli obi (cinture) e delle tenute contadine. Passiamo accanto agli orti e ai granai di riso, poi penetriamo di nuovo nella foresta, in mezzo alle colonne di cedri che formano una volta piena di
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vita. Non ci si stanca mai di ammirare i loro tronchi slanciati verso il cielo e di ascoltare le foglie dorate cadere, accompagnate da un fruscio leggero. Chiamate a giusto titolo Mukashi no Michi, o “strade di una volta”, questi sentieri stretti e impraticabili in automobile conservano tutto il fascino di una vita immersa tra le montagne. Oggi, appena 5000 persone abitano in questo comune, il più grande di Tôkyô per superficie e il meno densamente popolato. Tanto che la municipalità ha dovuto mettere in vendita quasi gratis case e parcelle di terreno per ripopolare e offrire un nuovo dinamismo alla città. In fondo, meglio così. La scarsa popolazione si è rivelata un bene. A 50 km a valle del fiume Tama, migliaia di ettari di foresta furono rasi al suolo per costruire la Tama new town, il più grande progetto residenziale della capitale. Questa città gigantesca, costruita a metà degli anni Sessanta, in pieno boom post-giochi olimpici del 1964, ha distrutto l’eco-sistema e la fauna, come racconta il celebre cartone animato Pompoko (Heisei tanuki gassen Ponpoko, 1994), realizzato da TAkAhATA Isao. Sulla via del ritorno, evochiamo con piacere questo racconto filosofico, prodotto dal mitico studio Ghibli, i cui eroi non sono altro che i nostri amici tanuki! Questi orsetti lavatori giapponesi, per vendicarsi del miracolo economico che aveva distrutto il loro habitat, hanno inventato tutti gli stratagemmi possibili per impedire le costruzioni, non esitando a utilizzare il loro scroto gigante come paracadute per andare a bombardare il cantiere! Oggi popolata da duecentomila abitanti, la Tama new town soffre di sovrappopolazione e della sua dipendenza verso Tôkyô, come molte altre città periferiche costruite sulla riva del Tama, lunga 138 km. Okutama, che significa il “Tama profondo”, porta perfettamente il proprio nome. risparmiata dalla deforestazione intensa dopo il declino del commercio di legname negli anni Novanta, la sua popolazione di 13.000 abitanti si è ridotta della metà. Questa debole densità umana ha probabilmente permesso di preservare una natura unica e piena di magia alle porte della megalopoli. ALISSA DESCOTES-TOYOSAKI
INFOrmazIONI PratICHe Per arrIVare, bisogna prendere la linea Jr Chûô in partenza dalle stazioni di tôkyô o di Shinjuku fino a tachikawa. Cambiare poi sulla linea Jr Ôme fino a Okutama. aldilà dei luoghi evocati nell’articolo, potete ugualmente visitare il frutteto di alberi di prugne di Yoshino (15 minuti dalla stazione di Hinatawada) o ancora il parco delle ferrovie di Ôme (10 minuti dalla stazione di Ôme).
MercoledĂŹ
17:30 / 23:30 / 05:30 / 11:30
Paesi e culture incontrano il Giappone in questo programma su scambi internazionali, preparazione alle catastrofi e altro ancora.
VOD a disposizione: www.nhk.or.jp/nhkworld /en /ondemand/program/video/culturecrossroads/