Zoom Giappone 19

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Rivista

gratuito - numero 19 marzo - giugno 2021

gratuita

Speciale Birra Eric Rechsteiner per Zoom Giappone


ZOOM EDITORIALE L O SGUARDO DI ERIC RECHSTEINER

Pshitt! Dopo aver esplorato l’universo giapponese del sakè e del vino, la nostra attenzione va alla birra, una bevanda che i giapponesi consumano in gran quantità. Ciononostante, la “cultura della birra” esita ancora nel trovare il suo giusto posto, come ci confermano gli esperti con i quali ci siamo confrontati. Come sempre abbiamo incontrato dei veri appassionati, capaci di darsi fino all’ultimo in progetti che sembrano promettenti. Vista dall’Europa, dove la birra ha già una sua lunga storia, la situazione giapponese sembra ancora più interessante: tutte le iniziative imprenditoriali mostrano un’energia incredibile ovunque nel Paese, dalle regioni remote del nord-est alla grande capitale.

© Eric Rechsteiner

Tôno, prefettura di Iwate

La città di Tôno, nel Nord-est dell’Arcipelago, è il principale centro di produzione del luppolo in Giappone (vedi pp. 24-26). Come le altre regioni rurali del Paese, anche qui la popolazione anziana è aumentata molto. Questo non pesa solo sulla produzione, che non ha cessato di ridursi d’anno in anno, ma spinge questa comunità, come molte altre in tutto il Giappone, a sovvenzionare un servizio di bus per permettere lo spostamento degli anziani, molti dei quali vivono in case isolate.

LA REDAZIONE info@zoomgiappone.info

43% Si tratta della percentuale di giapponesi consumatori abituali di alcolici, che dichiara di bere birra “tutti i giorni”. Il 22% lo fa invece “4 o 5 volte a settimana”. Tra i vari tipi di birra disponibili, la più amata resta la “vera” birra (87%), davanti ai “nuovi generi” (50%) e allo happôshu (43%, vedi pp. 6-8).

ESPERIMENTO

Trasformare la birra in gin

EXPORT Kirin

La crisi sanitaria ha avuto un forte impatto sulla vendita di birra nel Paese. Soltanto ad aprile è crollata di oltre il 52% rispetto al 2019. Invece di gettare la produzione in eccesso, alcune compagnie come Ethical Spirits & Co, ABInBev Japan e il produttore di sakè Gekkeikan hanno deciso di lanciare un nuovo progetto: riutilizzare la birra invenduta trasformandola in gin. Il risultato di questo esperimento può essere acquistato qui: https://shop.ethicalspirits.jp//

Mentre in Giappone la birra artigianale non occupa che l’1% del mercato, a Taiwan copre il 5%. Ecco perché Kirin, con il suo marchio Spring Valley Brewery (vedi pp. 14-16), intende sedurre i taiwanesi proponendo cinque birre artigianali, prodotte in un centinaio di stabilimenti. Un’opportunità interessante in un mercato in pieno sviluppo.

3 marzo : Festa delle bambole

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guarda verso Taiwan



ZOOM INCHIESTA Birra, un amore per la vita Limite della prefettura

Pub-birrificio Micro-birrificio Grande birrificio Principali produttori Kirin Beer

Sapporo Beer

Asahi Beer

Suntory

Orion

ECHIGO BEER

WOODMIL BREWERY KYÔTO https://echigobeer.com

https://woodmill-brewery.kyoto

Stabilimenti di produzione di birra

Hassaku white

Koshihikari Echigo Beer

http://mishima-farm.com/honami

Micro-birrificio, dettaglio nella miniatura

FARMER'S BREWERY HONAMI

Mare del Giappone

Golden

Prefettura de Kyôto

https://nichinan-beer.com

7

NICHINAN BAKUSHU

WOODMIL BREWERY KYÔTO

3

Ishikawa

Kyôto

FARMER'S BREWERY HONAMI Hamada Belgian White

Toyama

Tottori

Shimane

Fukui

Yamaguchi

Hiroshima

Okayama

Hyôgo

Nagano

Yama

Kagawa

Ôita Nagasaki

Aichi

Tokushima

Ehime Kôchi

Wakayama

Nara

Mie

Shikoku

Kumamoto

http://ishigakibeer.com

Honshû

Shiga

Fukuoka

Saga

ISHIGAKIJIMA BEER

Miyazaki

Kyûshû Prefettura di Ôsaka

NICHINAN BAKUSHU Kagoshima

Nichinan

Tanegashima

Oceano Pacifico 200 km

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Weizen

Yakushima

Gifu

Shizuoka


ZOOM INCHIESTA

OTARU BEER ZENIBAKO BREWERY

OTARU BEER ZENIBAKO BREWERY

Otaru

ABASHIRI BEER

Abashiri

Hokkaidô Hokkaidô Otaru Beer

Abashiri Okhotsk Blue Ryûhyô Draft

www.takahasi.co.jp/beer

https://otarubeer.com

ABASHIRI BEER

Aomori

KAMIHEI SHUZÔ https://kamihei-shuzo.jp

Akita

Iwate

KAMIHEI SHUZÔ Tôno

ECHIGO BEER Yamagata Zumona Beer

Miyagi Niigata

Niigata

COEDO BREWERY

Oceano Pacifico

www.coedobrewery.com

Fukushima Tochigi Gunma Ibaraki Saitama

COEDO BREWERY Higashimatsuyama

anashi COEDO

Prefettura di Tôkyô Chiba

14

Prefettura di Kanagawa 25 10

Okinawa Okinawa

ISHIGAKIJIMA BEER Miyakojima

Cartografia : Aurélie Boissière, www.boiteacartes.fr

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Ishigaki Fonti : Always Love Beer, Zoom Giappone.

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Eric Rechsteiner per Zoom Giappone

ZOOM INCHIESTA

I giapponesi amano la birra, sebbene questa bevanda non abbia sempre avuto le stesse caratteristiche della birra consumata in Europa.

Una storia a singhiozzo Se il mercato attuale della birra è simile ad altri Paesi, le trasformazioni da un secolo a questa parte sono importanti.

L

a fabbricazione di birra in Giappone rimonta a circa 400 anni fa. tutto è cominciato grazie ai mercanti olandesi che ne hanno dapprima importato ingenti quantità, per poi produrne direttamente sull’isola di Dejima, a Nagasaki, durante il periodo Edo (1603-1868). Gli stessi mercanti aprirono persino una fabbrica di birra per placare la sete dei marinai che garantivano la rotta tra il Giappone e le colonie olandesi. Ne avrebbero addirittura offerta a tokUGAwA Yoshimune nel 1724. Lo shôgun è famoso per aver reso più flessibili le norme quasi centenarie contro l’importazione di cultura straniera e incoraggiato la traduzione di libri in altre lingue,

iniziando così lo sviluppo dei cosiddetti “studi olandesi”, o rangaku. Secondo Jason Josephson, queste misure sarebbero state influenzate da una serie di conferenze tenute prima di lui dall’astronomo e filosofo NIShIkAwA Joken, ma il suo interesse per la birra non sarebbe estraneo. In ogni caso, la consumazione di birra in Giappone è rimasta limitata all’enclave olandese e a qualche giapponese fortunato fino alla seconda metà del XIX secolo. Un secondo incontro con la bevanda occidentale ha avuto luogo quando il commodoro Perry è arrivato nel 1853 per forzare il Paese ad aprirsi al commercio estero. Poco tempo dopo, il padre della chimica nipponica, kAwAmoto kômin, utilizzò il suo sapere per diventare il primo giapponese a fabbricare la propria birra. Pubblicò il suo metodo nel 1860. La prima ondata di birre importate seguì il trasferirsi delle

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comunità occidentali nelle zone portuali del Paese aperte al commercio. Nel corso del decennio successivo, sono stati importati in Giappone diversi marchi britannici e birre bavaresi a bassa fermentazione, ma il mercato fu dominato dalla Bass Pale Ale, una birra inglese fabbricata dalla distilleria Base, allora la più grande al mondo. Alla fine del XIXesimo secolo, la bevanda rimaneva un prodotto costoso che soltanto i ricchi potevano permettersi. Quelli che volevano provare il brivido della degustazione, ma che non avevano i mezzi per accedere alla birra autentica, si consolavano con una sorta di “birra d’imitazione”: degli intrugli appena bevibili, fabbricati localmente, venduti in bottiglie di birra usate per avere sembianze di autenticità. Avevano probabilmente un gusto orribile, ma i


ZOOM INCHIESTA contrabbandieri dovettero fare fiorenti affari visto che le autorità erano obbligate a vietare le false etichette. La produzione commerciale in Giappone cominciò più o meno durante la stessa epoca, sempre grazie allo spirito d’impresa degli occidentali. L’Americano di origine norvegese william Copeland, giunto in Giappone nel 1864, fondò la Spring Valley Brewery a Yokohama nel 1869. Era situata presso una sorgente naturale nel distretto di Yamate, alle pendici della collina dove viveva la ricca comunità straniera. Vi scavò una grotta di 210 metri nel fianco della collina e utilizzò la sua bassa temperatura per fare maturare la bevanda. L’anno seguente, l’olandese J.B.N. hecht aprì un’altra fabbrica nella stessa città. Nel 1872, la società Shibutani Shôzaburô, con sede a Ôsaka, diventò il primo produttore commerciale e nel 1876, venne creata a Sapporo la fabbrica di birra kaitakushi hokkaidô, una società controllata dal governo. Nella stessa epoca, altri birrai venuti d’Europa e altrove, giunsero per contribuire alla crescita dell’industria locale. I due decenni successivi videro un aumento esponenziale della produzione, a tal punto che nel 1866, per la prima volta, la quantità di birra prodotta localmente superò le quantità importate, e una fiera commerciale nel 1890 vide la partecipazione di 83 marchi provenienti da 23 prefetture diverse. Alla fine del secolo, il loro numero era quasi raddoppiato. Sfortunatamente, quello che appariva come un mercato promettente venne progressivamente penalizzato dal governo. A contare dalla promulgazione della tassa sulla birra nel 1901, un processo di consolidamento e razionalizzazione ebbe luogo nel corso del primo decennio del XXesimo secolo, spingendo progressivamente i piccoli produttori verso il fallimento. Addirittura, nel 1908, una modifica della legge impose una produzione di almeno 180 kl di birra all’anno per ottenere una licenza di fabbricazione. Soltanto poche grandi imprese potevano gestire una tale quantità. Eliminando la concorrenza interna, le autorità continuarono la stessa politica che in altri settori favorì l’emergere di monopoli. Nel 1907, la Spring Valley Brewery di Yokohama divenne kirin Beer e tre altri grandi birrifici (Sapporo, Nippon et Ôsaka), grazie all’intervento del ministero dell’Agricoltura e del Commercio, vennero uniti per formare la Dai Nippon Beer Company che, fino al 1949, con 70% di quote di mercato, rappresentava una quota di mercato dominante in Giappone. D’altra parte, concorrenti minori quali la Sakurada Beer, la kabuto Beer, la Lion Beer et l’anglo-giapponese Brewing Company furono costretti a chiudere, gli uni dopo gli altri, o a essere assorbiti da imprese maggiori. La situazione divenne ancora più grave nel 1940, quando la quantità minima di produzione annuale

di birra passò da 180 a 1800 kl, misura che distrusse definitivamente qualunque aspirazione da parte di piccoli produttori, di ottenere una licenza. Dal punto di vista del governo, la consolidazione del mercato presentava due vantaggi. In primo luogo, portava nelle casse statali delle somme considerevoli (nel 1955, le tasse sugli alcolici rappresentavano ancora un sesto degli introiti fiscali). Inoltre, i grandi birrifici avevano più possibilità di avere successo sui mercati esteri. In effetti, la Dai Nippon Beer venne conosciuta come “il re delle birre d’oriente”, poiché rappresentava la più importante fabbrica di birra a est del canale di Suez. Nello stesso tempo, mentre l’industria della birra continuava a svilupparsi e a diventare una fonte notevole di reddito, la morte temporanea dei micro-birrifici fece estinguere l’eccitante varietà di stili, metodi di produzione e sapori in voga nei primi anni. La nascita della tipica birra giapponese così come la conosciamo oggi, (una pils leggera, frizzante, dal gusto estremamente leggero) rimonta a quegli anni. Ne conseguì una situazione bizzarra occorsa durante la guerra del Pacifico. Nel maggio 1943, poiché l’utilizzazione di etichette che esponessero marchi era ufficialmente vietata, dovevano essere impiegate soltanto etichette anonime con la semplice scritta generica “birra”. Visto

che tutti i marchi erano caratterizzati più o meno dallo stesso sapore, divenne praticamente impossibile distinguerli. Il controllo serrato del governo sulla produzione e sul commercio della bevanda continuò per tutto il periodo bellico; le cose cambiarono poi nel 1949, con la promulgazione dell’attesa legge anti-monopolio. Ci fu una scissione presso Dai Nippon che vide la nascita di due realtà imprenditoriali: Asahi e Nippon (quest’ultima diverrà in seguito la birra Sapporo). ogni impresa si vide attribuire un capitale di 100 milioni di yen; Nippon/Sapporo regnava sull’area da hokkaidô a Nagoya e Asahi controllava Ôsaka e l’ovest del Giappone. A partire dagli anni Cinquanta, i quattro grandi marchi (nel 1960 il gigante del whisky Suntory raggiunse Asahi, kirin e Sapporo) affrontarono in una lotta implacabile per aggiudicarsi il primato su un mercato della birra che, nel corso dei due decenni successivi, non smise mai di crescere, parallelamente all’economia nazionale. Visto che tutte le birre avevano lo stesso gusto, le quattro società immaginarono delle campagne pubblicitarie originali per conquistare i favori del pubblico. Nel 1958, ad esempio, Sapporo Beer lanciò lo slogan “Munich Sapporo Milwaukee”, per sottolineare il fatto che queste tre

BUONO A SAPERSI Una questione di vocabolario

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er un buon numero di persone, qui ma anche nello stesso Giappone, il termine “bîru” abitualmente impiegato nell’Arcipelago per designare la birra, deriverebbe dalla parola inglese “beer”. Dopotutto, sulla maggior parte delle etichette, si ritrova il termine scritto in caratteri latini. Questo spiega la confusione. Senza dimenticare che le imprese giapponesi fanno spesso e volentieri ricorso all’inglese per questioni di marketing. Tuttavia, il termine bîru non trova la sua origine nella lingua di Shakespeare, ma in quella di Erasmo da Rotterdam, ossia l’olandese. Si tratta infatti di “bier”, “ie” è un “i” allungato che i giapponesi identificano con “î”. Come già spiegato in un altro articolo su questo numero, i mercanti olandesi furono i soli Occidentali ad essere autorizzati a commerciare col Giappone per più di due secoli di chiusura da parte dell’impero nipponico, e a disporre di un punto di scambi commerciali al largo di Nagasaki. Numerosi termini olandesi sono entrati a far parte del vocabolario giapponese nel corso del tempo, fino all’apertura dell’Arcipelago al

resto del mondo nella seconda metà del XIXesimo secolo. Fu nel 1724 che il termine bîru si sostituì alla parola giapponese “bakushu”, che serviva a indicare questo tipo di bevanda. 150 anni più tardi, quando l’influenza dei Paesi Bassi ha cominciato a indebolirsi, un nuovo termine per definire la birra fece la sua apparizione nel quotidiano dei giapponesi. Si tratta di biya hôru che indica i luoghi in cui ci si ritrova per consumare cibo e birra. Questa volta, l’espressione deriva dall’inglese “beer hall”, “beer” diventa in giapponese “biya”. Si tratta di un dettaglio linguistico, ma merita di essere considerato dal momento che si tende spesso a sottovalutare l’importante ruolo avuto dagli olandesi nello sviluppo della curiosità e dell’interesse dei nipponici verso il mondo esterno. Bisogna ricordare che, per molti anni, i giapponesi definivano Rangaku (studi olandesi) tutto il sapere venuto da fuori, in particolare dall’Occidente. Rimangono numerose tracce di questa influenza, in particolare nella lingua. Innanzitutto, la maggior parte di nomi di nazioni derivano dall’olandese. Doitsu (Germania),

o Furansu (Francia), per esempio, trovano rispettivamente le loro radici in Duits e Frans. Altri termini comuni come garasu (bicchiere), kôhî (“koffie”, caffè, 1797), randoseru (“ransel”, borsa, cartella) o ancora dansu (“dans”, danza) sono stati inseriti nel vocabolario corrente grazie ai contatti coi commercianti olandesi che, ogni anno, viaggiavano fino a Edo per portare oggetti e prodotti ancora sconosciuti nell’Arcipelago. Questi scambi hanno generato talvolta delle parole composte da termini olandesi e giapponesi. È così che kanzume (scatoletta) deriva sia dal termine kan (vaso, bidone in olandese) e zume (da “tsumeru”, riempire in giapponese). Così, la prossima volta che ordinerete una birra in Giappone, vi ricorderete di questa storia. Non dimenticatevi però di dire “kampai” al momento di brindare, perché se esclamate un “proost” (“alla vostra salute” in olandese), nessuno vi capirà. “Kampai” viene in effetti dalla Cina; i cinesi esclamano da tempo immemore “ganbei” prima di bere in compagnia una bevanda alcolica. ODAIRA NAMIHEI

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città famose per la loro birra si situavano tutte sul 45esimo parallelo nord. La campagna ebbe successo presso il pubblico, sempre più attirato dalle destinazioni internazionali. Nei primi anni del dopoguerra, Sapporo dominava il mercato grazie alla sua vasta rete di bar e locali nell’est del Paese. tuttavia, con il cambiamento delle abitudini di consumazione e l’introduzione della birra in lattina, nel 1958, sempre più persone cominciarono a bere tra le mura domestiche. Questa dinamica favorì kirin, che impose il suo primato superando rapidamente i rivali, fino al lancio, alla fine degli anni ottanta, di un nuovo prodotto proposto da Asahi. L’Asahi Super Dry conobbe un successo istantaneo (vendette circa 200.000 casse durante le prime due settimane e superò le 100 milioni di casse in soltanto tre anni ), posizionando il birrificio in cima al podio del mercato, una leadership che non si è mai interrotta fino ad ora. Il successo di questo prodotto ebbe un duplice impatto sul mercato. Da una parte, le sue caratteristiche (“gusto pronunciato e rinfrescante, simile a quello di certe birre del nord della Germania, senza i sapori di malto più pesanti dei prodotti concorrenti”, secondo i termini della sua campagna pubblicitaria) resero la birra commerciale ancora più leggera e frizzante di prima. In secondo luogo, il significativo aumento della domanda dei consumatori per questo tipo di birra innescò quelle che vengono definite le “guerre delle Dry”. La risposta di kirin al best- seller di Asahi fu la kirin Dry, lanciata nel 1988. Due anni più tardi, kirin rilanciò e propose sul mercato la Ichiban Shibori. I nuovi prodotti però, anziché indebolire Asahi finirono per fare concorrenza alla kirin Lager e ad altri prodotti più datati della stessa società. Sapporo conobbe una situazione ancora più difficile e mise un termine alla produzione delle sue birre Dry dopo soltanto due anni. Suntory, invece, si rese conto di quanto fosse inutile battersi contro Asahi e lanciò una doppia offensiva con la Suntory Dry 5.5, una birra più forte grazie all’aumento della gradazione alcolica da 5% a 5.5%. Parallelamente, procedette a senso inverso lanciando un nuovo marchio di malti accompagnati da una campagna “I don’t do dry”. Più recentemente, due eventi hanno scosso il mercato nel 1994. Prima di tutto, i fabbricanti di birra hanno immaginato una nuova creazione, una bevanda a basso tenore in malto chiamata happôshu, concepita per evitare la tassa punitiva sugli alcolici. Confermando la mancanza di gusto dei consumatori giapponesi, questa sorta di “birra di imitazione” ha rapidamente conquistato il mercato, seguita più tardi da altre creazioni bizzarre: i “nuovi generi” o la “terza birra” (Shin janru ou daisan no bîru)

Kirin Beer

ZOOM INCHIESTA

Pubblicità del 1926 per la Lager Beer prodotta da Kirin.

che non contengono più un’oncia di malto. Nello stesso anno, il governo ha ridotto le condizioni per l’ottenimento della licenza di fabbricazione, passata da una produzione annuale proibitiva di 2.000 kl a soltanto 60 kl. Di conseguenza, numerose piccole fabbriche regionali hanno cominciato a fiorire in tutto il Paese, ristabilendo infine quella diversità assente dagli inizi del XXesimo secolo. Certamente, i circa 180 micro-birrifici attualmente in attività non producono tutti un’ottima birra. ma secondo gli esperti, esistono almeno 20-25 birrifici giapponesi che propongono prodotti di prima qualità, oltre a una vasta gamma di stili e sapori. Ancora oggi, quando i giapponesi pensano alla

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birra, hanno una sola cosa in mente: una bevanda alcolica fresca, facile da bere, che plachi la sete. mentre negli Stati Uniti la birra artigianale gode di un’invidiabile quota di mercato pari al 12% (22% della quota totale della birra) e mentre in altri grandi Paesi consumatori la parte di mercato dedicata alla birra proveniente da piccole realtà imprenditoriali si situa tra il 5% e il 10% , in Giappone, la percentuale è ancora appena dello 0,8%. malgrado ciò, i micro-birrifici non vogliono certo rappresentare una realtà effimera, e gli appassionati di birra hanno oggi la possibilità di gustare un’ampia gamma di birre artigianali che non hanno nulla da invidiare alle loro sorelle occidentali. JEAN DEROME


ZOOM INCHIESTA MERCATO

Sotto forte pressione fiscale

La birra resta popoare con il 40% di quota sul mercato degli alcolici, ma l’attuale situazione economica ha la sua incidenza.

Orion Beer

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iappone e birra: un binomio fortunato. In termini assoluti, il Paese è il settimo più grande consumatore al mondo di questa bevanda, nonostante la taglia ridotta del suo territorio. In termini di consumazione per abitante, si situa invece al 50esimo posto, con 40,1 litri annui a persona. Il mercato è dominato da quattro grandi imprese (Asahi, kirin, Sapporo e Suntory) che nel 2018 rappresentavano da sole più del 94% del mercato locale. Asahi Beer è in testa con una percentuale del 37,6%, seguita da kirin (30,3%), Sapporo (15,3%) e Suntory (10,2%). Una quinta società, orion, basata a okinawa, detiene lo 0,8%. I prodotti di questi marchi (in particolare le quattro società più grandi) si trovano in tutti i supermercati, i negozi di alimentari e i bar del Paese. Il mercato giapponese della birra è diviso in tre categorie, in virtù della legge che regola la tassa sugli alcolici: la birra, l’happôshu e i “nuovi generi”, o “terza birra” (Shin janru o daisan no bîru). Per capire il funzionamento e l’impatto del sistema di classificazione sulle scelte dei consumatori, è importante conoscere le differenze fra queste tre categorie. Le bevande al malto simili alla birra sono divise in quattro categorie in funzione del tenore di malto: 67% o più, da 50% a 67%, da 25% a 50% e meno di 25%. Fino al 2016, una bevanda a base di malto era classificata come birra se la percentuale di estratto di malto superava il 67% degli ingredienti portati a fermentazione. oggi, il limite è stato abbassato al 50%: questo significa che il regolamento giapponese vieta ormai l’impiego del termine “birra” per descrivere le bevande aventi meno del 50% di malto (ciò autorizza però fino al 50% di ingredienti aggiuntivi, come il riso, il mais, il sorgo, la patata, l’amido e lo zucchero). Un’altra innovazione recente nella normativa è legata all’autorizzazione di utilizzare una più grande varietà di ingredienti, in particolare la frutta, le spezie, le erbe, certe verdure, il miso, il té e il caffè, oltre a ingredienti ancora più “esotici “ come le ostriche, il varech, le alghe e il pesce essiccato. tradizionalmente, la tassa sugli alcolici in Giappone ha avuto un ruolo più importante rispetto agli altri Paesi consumatori di birra: 77 yen (0,64€) su una lattina di 350 ml contro l’equivalente di 46 yen (0,38€) nel Regno Unito, 16 yen (0,13€) in Francia, nove negli Stati Uniti e quattro in Germania.

Pubblicità del produttore Orion, originario di Okinawa, in possesso dello 0,8 % del mercato di birra in Giappone.

La tassa elevata sull’alcol, combinata alla recessione dei primi anni Novanta, ha contribuito alla contrazione crescente del mercato della birra, facendo così passare la consumazione totale da 70 milioni di ettolitri nel 1994 a 51 milioni nel 2017. L’improvvisa perdita di interesse dei consumatori nei confronti della birra, particolarmente forte tra il 1998 e il 2003, è stata anche la conseguenza della comparsa sul mercato, nel 1994, di una nuova bevanda alcolica, l’happôshu. Con un tenore più debole in malto, è stata posta in uno scaglione di imposizione fiscale inferiore, diventando così immediatamente popolare presso i consumatori a corto di mezzi. Quando il governo ha aumentato la tassa sull’happôshu contenente da 50% a 67% di malto, i fabbricanti hanno reagito abbassando ulteriormente la dose di malto nei loro prodotti. oggi, la maggior parte di queste bevande ne contiene meno del 25%, collocandole così nella categoria di birre a debole tenore di malto, le meno tassate. L’economia giapponese ha ripreso un po’ di vitalità nel corso di questi ultimi anni. Questo ha innescato una crescita del mercato globale delle bevande. tuttavia, il mercato della birra ha continuato a decrescere, in ragione della demografia in calo e dei cambiamenti delle abitudini dei consumatori. In particolare i più giovani bevono meno birra rispetto alle generazioni precedenti. Dal 2004, persino l’happôshu soffre della concorrenza di un nuovo tipo di bevanda, chiamata “nuovo genere”: una bevanda aromatizzata alla birra che contiene delle alternative al malto (ad

esempio la soia), oppure un mix di happôshu e di un altro tipo di alcol. Se si paragonano le lattine da 350 ml, la tassa sui marchi “nuovo genere” si limita a 8 yen (0,23€), mentre anche l’ happôshu meno caro è tassato fino a 47 yen. Di conseguenza, la consumazione di birre “nuovo genere” nel 2017 si è rivelata quasi tre volte superiore a quella dell’happôshu. L’innalzamento della tassa sul consumo nel 2019 ha avuto un impatto negativo sulle abitudini dei giapponesi, ormai più attenti a selezionare prodotti di qualità a basso prezzo. I grandi produttori hanno dovuto esercitare una notevole pressione per rilanciare la loro produzione in difficoltà, visto che a partire dall’ottobre 2020, il governo ha corretto il sistema di tassazione sull’alcol. Nel corso dei prossimi sei anni, la tassa sulla birra tradizionale si abbasserà mentre quella sul “nuovo genere” e sull’ happôshu meno costoso sarà alzata fino al 2026, data in cui le tre categorie saranno sottomesse alla stessa tassa di 54,25 yen (0,45€). mentre il mercato della birra tradizionale ha attraversato dei momenti difficili, le birre artigianali prodotte localmente diventano progressivamente sempre più popolari. Con circa l’1% della quota di mercato, la loro importanza rimane ancora relativa, ma il futuro sembra promettente. Nell’insieme, malgrado il fatto che se ne consumi di meno, la birra (compresi l’happôshu e i “nuovi generi”) conserva una quota di mercato pari al 40%, rimanendo quindi la bevanda alcolica più popolare in Giappone. GIANNI SIMONE

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ZOOM INCHIESTA

Un brindisi gioioso

Attraverso l’incontro tra la giornalista seguito, dopo aver ottenuto il diploma di studi suNodA Ikuko e la birra, scopriamo il periori, ho deciso di provare. Una sera, una delle rapporto tra i giapponesi e questa bevanda. mie amiche è venuta a trovarmi. Ho atteso che

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e i giapponesi amano la birra da più di un secolo, la maggior parte di loro non conosce la ricchezza e la varietà che caratterizzano il mercato, al di fuori del gusto Pilsner dominante. Per rimediare a queste lacune ed educare il pubblico, un gruppo di esperti e autori specializzati nello studio di questa bevanda, ha creato, nel 2010, l’Associazione dei giornalisti giapponesi specializzati nella birra (JBJA). I membri di questa organizzazione informale, raccolgono e condividono informazioni sulla birra, visitano birrifici e coprono gli eventi legati a questa bevanda, organizzando atelier e degustazioni. Zoom Giappone ha intervistato la vice-presidente della JBJA, NoDA Ikuko. oltre ad insegnare presso la Beer Journalist Academy, NoDA Ikuko scrive per diverse riviste, fra cui Beer Ôkoku (Il regno della birra), e ha pubblicato numerose opere sull’argomento. Fervente partigiana delle birre artigianali, la giornalista, da più di dieci anni, tenta di mostrare ai giapponesi che esiste un mondo immenso e appassionante al di fuori del mercato domestico della Pilsner, e che la birra può essere gustata in svariati modi. “Quando i giapponesi pensano alla birra, soprattutto durante l’estate calda e umida, non possono immaginare che a una cosa: bere una bevanda fresca e gustare un piatto di frittura, seduti in un locale all’aperto”, spiega. “Ma non è la sola opzione possibile. Esistono numerosi tipi di birra e alcuni possono e devono essere consumati a temperature più calde. Ci sono anche birre aromatizzate al cioccolato e alla banana e alcune che sono acide come l’aceto. Questo è davvero sconvolgente per molta gente, qui.” La vita di NoDA Ikuko è stata un lento viaggio iniziatico. ha persino vissuto diverse esperienze traumatiche sul suo percorso, che l’hanno portata a una sorta di “illuminazione” in fatto di birra. “Mi ricordo chiaramente della mia prima birra. Mio padre ne beveva tutte le sere. Cominciava a bere mentre mia madre preparava la cena, prima ancora che la nostra famiglia di sette persone si mettesse a tavola per mangiare. Beveva della Kirin Classic Lager e nient’altro. Sempre in bottiglia, mai in lattina. Mio nonno preferiva il saké caldo, ma per mio padre niente poteva essere paragonato a una buona birra accompagnata da calamari salati”, confida l’autrice. “A forza di assistere a questa scena ogni sera per lunghi anni, ho finito per dirmi che doveva essere deliziosa, sebbene non fossi che una bambina. In

tutti dormissero per intrufolarmi in cucina e prendere una delle birre di papà in frigo. Dopo un sorso di questo liquido freddo, io e la mia amica ci siamo guardate, gli occhi spalancati per la sorpresa, e abbiamo esclamato: “ è buono!” (ride). Ho adorato il gusto amaro della birra. Immagino che l’alcol fosse già nel mio DNA! Dopotutto, vengo dalla prefettura di Yamagata, (a nord-ovest del Paese, zona celebre per i suoi sakè). Insomma, quella notte mi dissi che ero diventata un’adulta!” La tappa seguente nell’educazione di NoDA nella conoscenza della birra venne superata grazie ai manga. “Non posso spiegare perché io ami la birra senza menzionare BAR remon hâto (Bar Lemon heart) di Furuya Mitsutoshi. Ho cominciato a leggere questo manga agli inizi degli anni Novanta. Si tratta di una bibbia per tutti gli appassionati di alcolici. I personaggi principali sono il barman e qualche cliente assiduo, fra cui uno che non ha nessuna conoscenza in materia. Questo manga parla di ogni sorta di bevanda, ovviamente, e ho avuto la fortuna di imparare moltissime cose. In un episodio, Matsu-chan, uno dei clienti, beve una Timmermans al gusto di ribes nero. È così che ho scoperto l’esistenza della birra belga. Inoltre, sono stata sorpresa nell’apprendere che una birra poteva contenere della frutta. All’epoca, non si trovava generalmente questo tipo di birra in Giappone. Dopo aver letto l’episodio, le porte della curiosità intellettuale si sono aperte davanti

Fra le sue numerose iniziative e partecipazioni, il mook della serie Gokujô no bîru o nomô ! (éd. Entâburein)

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a me” ricorda. ha finito poi per gustare una timmermans nel corso di una fiera della birra organizzata in un grande magazzino di tôkyô, il Printemps Ginza. “Avevo sviluppato una piccola ossessione per questa birra al ribes, quindi, non appena l’ho scorta, mi sono precipitata ad acquistarla. Ne comprai anche un’altra: l’etichetta era decorata con un motivo simile alla vetrata di una chiesa, mi era piaciuta. Sono tornata a casa per assaggiarle. Per me, bere birra leggendo qualcosa sul balcone di casa mia è la maniera ideale per trascorrere un momento gioioso”, racconta. La seconda birra acquistata per puro capriccio, fu un’altra rivelazione. “Ancora una volta, sospirai di soddisfazione, che cosa poteva essere? Aveva un intenso gusto fruttato, come di fichi maturi, ed era un po’ speziata. Fu il mio primo incontro con la Leffe Radieuse, una birra fabbricata in un monastero belga. L’avevo comprata solo per la sua graziosa etichetta, ma ho scoperto un nuovo mondo: una birra speziata dal gusto complesso, con note di scorza d’arancia e semi di coriandolo” aggiunge. NoDA Ikuko fu talmente impressionata da questa esperienza che decise di visitare il luogo in cui queste birre incredibili venivano prodotte. “Avevo previsto di partire in vacanza in Inghilterra e in Francia per un paio di settimane, ma chiamai immediatamente l’agenzia di viaggi per chiedere di includere il Belgio nel mio programma. Certe esperienze sono talmente intense che spingono le persone a cambiare comportamento”. Il suo terzo incontro formatore si verificò con una birra artigianale. “Penso fosse verso il 1996 o l’anno seguente. Ho scoperto una bottiglia di birra Ginga Kôgen. Anche in questo caso, l’ho acquistata principalmente grazie alla sua etichetta -una graziosa renna - ma non ho di certo rimpianto la mia scelta. Da subito, sono stata sorpresa dal suo gusto dolce e zuccherato, che ricordava la banana. È una birra bianca in stile tedesco, ho imparato più tardi che veniva fabbricata con del grano. Mi sono così resa conto che anche in Giappone, si poteva trovare una birra deliziosa, né troppo dolce, né troppo amara.” Dopo i suoi studi, NoDA Ikuko trovò un impiego di receptionist presso un albergo, ma con l’apparizione di Internet, si rese conto che lavorare con un computer le avrebbe permesso la libertà di lavorare dove desiderasse. “Quando ho parlato a un’amica delle mie aspirazioni, lei mi fece notare che amavo i libri e le riviste, che avrei dovuto diventare un’editrice. E ho finito per diventarlo davvero” dice. Fu assunta per un part-time presso ASCII (oggi

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INCONTRO


ASCII media works), una casa editrice specializzata nelle riviste sull’informatica. “Lavoravo per MAC People, una pubblicazione consacrata ai prodotti Apple, rivolta agli utilizzatori principianti o di livello intermedio. Oggi, la pubblicazione assistita da computer (PAO) è la regola, ma, all’epoca, le riviste di ASCII erano le sole a farvi ricorso. Erano veramente all’avanguardia del progresso. La mia prima opportunità di partecipare a un lavoro legato alla birra fu la serie “Let’s meet at the bar” pubblicata proprio in quel magazine verso il 2003-2004. Incontravamo dei rappresentanti dell’industria informatica per parlare del loro lavoro, bevendoci una birra insieme! Poi un ex collega che sapeva quanto amassi la birra mi disse che prevedeva di organizzare un mook sul tema e mi chiese se volevo contribuirvi. Fu il primo della serie intitolata “Gokujô no bîru o nomô !” (Beviamo la birra migliore).” All’epoca, le birre straniere suscitavano un entusiasmo particolare, ma i micro-birrifici locali erano generalmente trascurati. “Ho cominciato a fare delle ricerche sui negozi e sui bar specializzati nei marchi belgi, tedeschi e altre etichette straniere”, spiega. “Penso che il principale fattore che ha partecipato alla sensibilizzazione del pubblico verso la produzione artigianale giapponese è stata la catena di bar Craft Beer market creata nel 2011. Improvvisamente, vi trovavate a disposizione numerosi locali che proponevano buon cibo e birre che nessuno aveva gustato prima, a prezzi accessibili. Questa catena ha fatto parlare di sé e favorito l’interesse nei confronti delle birre artigianali giapponesi. Grazie a questa catena, il numero di nuovi appassionati di birra è aumentato in maniera significativa”, aggunge NoDA Ikuko. “Da un punto di vista commerciale, non si può dire che la birra artigianale abbia un margine di profitto elevato, a causa degli alti costi di produzione. Quando si tratta di birra straniera, bisogna poi aggiungere i costi di importazione. Ma questi bar hanno introdotto un sistema di prezzi uniforme, su due livelli (attualmente corrisponde a 490 yen (4€) per un bicchiere e 790 yen (6,60€) per una pinta (ossia prezzi molto competitivi), relativamente poco cari per il mercato giapponese. Da questo momento, il numero di bar dedicati alla birra artigianale è aumentato molto rapidamente”. Secondo lei, questo ha permesso la progressiva trasformazione dell’universo delle birrerie. “Senza alcun dubbio, ciò rappresenta un’autentica grande tendenza, in questi ultimi anni. È apparso un nuovo tipo di locale che offre un’esperienza completa, offrendo uno spazio dove si può gustare dell’ottima birra e del buon cibo, con ambienti gradevoli e una scelta di birre che evolve nel tempo. Si tratta di una nuova filosofia: i clienti sono incoraggiati a interagire coi proprietari, quest’ultimi sempre felici di poter condividere le loro conoscenze per aiutarli a scegliere la birra migliore”, sottolinea

Eric Rechsteiner per Zoom Giappone

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La giornalista NODA Ikuko ha fatto ruotare la sua vita professionale attorno alla passione per la birra.

la giornalista. Esistono attualmente più di 400 micro-birrifici in Giappone; il mercato della birra artigianale, sebbene ancora modesto, vede una crescita costante. “L’entusiasmo attuale per questo prodotto è cominciato nel 1994, quando il governo ha allentato le regole fiscali”, spiega. tuttavia, ancora all’epoca molte birre artigianali o jibîru (birre locali) come venivano chiamate, prodotte fino agli inizi degli anni 2000, erano care e mediocri: molti produttori non

avevano né l’esperienza, né il savoir faire necessario. Era il genere di birra eccentrica che i turisti potevano essere tentati di acquistare come souvenir, ma non commettevano mai l’errore di comprarla una seconda volta! “Le cose hanno cominciato a cambiare circa 10-15 anni fa, quando i birrai giapponesi hanno voluto presentare i loro prodotti nelle competizioni internazionali. Il cambiamento più significativo è giunto poi nel 2015, quando le quattro grandi aziende

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giapponesi hanno cominciato a investire nella fabbricazione di birra artigianale. Le vendite di birra erano calate da diversi anni, avevano bisogno di un nuovo prodotto che fosse diverso dallo stile abituale della Pilsner che dominava il mercato dagli inizi del XXesimo secolo. Kirin, in particolare, prese il comando delle operazioni cooperando con alcuni micro-birrifici locali e condividendo con loro la sua lunga esperienza e il suo know-how tecnico. Questa collaborazione ha contribuito a aumentare considerevolmente la qualità media della birra artigianale in Giappone” afferma NoDA Ikuko. L’esperta si mostra particolarmente ottimista nei confronti del ruolo che kirin, Asahi e gli altri grandi produttori possono avere nella diversificazione del mercato nazionale della birra. “Ricordatevi di quel che han fatto con l’ happôshu e la birra definita “nuovo genere”. Meritano molto rispetto per aver creato queste nuove bevande decisamente popolari. Detto questo, è un peccato che abbiano utilizzato la loro esperienza e una tecnologia superiore per sviluppare un prodotto come l’ happôshu. Dopotutto, è nato solo per sviare la tassa punitiva sugli alcolici. Se volete il mio parere, avrebbero potuto fare un uso migliore delle loro competenze. Senza contare che questi nuovi prodotti hanno favorito una certa confusione, poiché vi sono certe birre straniere (birre autentiche) che, in Giappone, sono etichettate come happôshu, unicamente perché contengono del coriandolo, dei frutti, e perché hanno una bassa gradazione alcolica.” Secondo la giornalista, l’altro fattore importante che si è prodotto in questi ultimi anni è il cambiamento di mentalità dei produttori di birra artigianale. “Agli inizi, la fabbricazione di birra venne importata dall’estero. Anche il concetto di birra artigianale, nel suo insieme, è nato in Europa, poi è stato adottato, sviluppato e fatto proprio dai fabbricanti americani. Quanto ai produttori giapponesi, per numerosi anni si sono accontentati di copiare la fabbricazione di birra straniera, sia nello stile inglese , che nello stile americano. In questi ultimi anni, hanno imparato a introdurre dei metodi di produzione originali e degli ingredienti locali quali le erbe giapponesi, le alghe, ecc. Il tipo di birra che i Giapponesi sanno produrre molto bene è la birra alla frutta. Ogni regione è celebre per un certo frutto, e i produttori li utilizzano a loro vantaggio. Pesche, natsu mikan (arance amare estive), pompelmi, ecc. I birrai giapponesi sanno trovare alla perfezione il giusto equilibrio tra le caratteristiche della birra e le particolarità dei frutti” assicura. Quando le si chiede ciò che ama di più nel suo lavoro, NoDA Ikuko risponde che è la birra stessa, ma si affretta ad aggiungere che altri elementi sono ugualmente importanti. “Apprezzo il fatto di scegliere diverse birre in funzione di diversi criteri: dove vado a bere, con chi, e con che cibo ac-

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Creata nel 2013, Bîru Ôkoku è l’opera principale per gli appassionati di birra in Giappone.

compagno la bevanda. Tutti questi elementi devono essere presi in conto poiché rendono l’esperienza ancora più divertente e interessante. Pensateci, la birra è una sorta di strumento di comunicazione. Scegliere una birra rivela un’azione molto soggettiva: è una maniera per conoscere sé stessi e le persone con cui beviamo. È divertente osservare le scelte altrui, scoprire ciò che preferiscono bere” confida. La giornalista ama bere nei bar e nei pub perché ognuno di questi locali rappresenta un concetto diverso, e grazie alla gentilezza e alle conoscenze dei barman, scopre sempre nuovi meravigliosi marchi. Purtroppo, la recente crisi sanitaria ha seriamente limitato le sue uscite, ma tenta comunque di sostenere come può l’universo della birra. “Compro spesso direttamente dai produttori. Confesso di non essermi più recata in un bar da diversi mesi a questa parte, ma ho acquistato un contenitore da

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cinque litri che faccio riempire al bar per poter gustare la mia bevanda preferita in tutta sicurezza nella mia veranda, in compagnia di mio marito. È il minimo che possa fare per aiutare i professionisti che lavorano in questo campo…e naturalmente per continuare il piacere delle degustazioni.” (ride) oltre alle degustazioni di birra, NoDA Ikuko ha altri hobby, fra i quali le immersioni subacquee. Ama molto il fatto di poter combinare queste due passioni ogni volta che può. “Baird Beer” ha costruito una fabbrica a Shuzenji, nella prefettura di Shizuoka, nel 2014. Shuzenji si trova in una regione di sorgenti termali sulla penisola di Izu, un vero paradiso per gli appassionati di immersioni. “Per me, un viaggio a Izu è dunque l’occasione per immergermi al mattino, approfittare delle sorgenti termali durante il pomeriggio e gustare un’eccellente birra artigianale la sera. Il piacere assoluto!” J. D.



ZOOM INCHIESTA IL GIGANTE

Kirin, l’onnipresente

L’azienda ha adottato una multistrategia che le permette di affrontare il futuro con una certa serenità.

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Kirin Beer

i dice che il cane sia il migliore amico dell’uomo, ma in Giappone, e in un numero crescente di altri Paesi, gli amanti della birra preferiscono il qilin, una mitica creatura cinese a testa di drago e dal corpo di cervo. La sua pronuncia giapponese, kirin, è diventata ugualmente il nome di uno dei principali produttori di birra in Giappone: la sua rappresentazione appare su tutte le bottiglie e su tutte le lattine. È anche vero che la kirin Brewery Company, Ltd. offre una vasta gamma di prodotti: dal chûhai o Chu-Hi, abbreviazione di shôchû highball, una bevanda costituita da un mix di alcol distillato con acqua frizzante e limone, a alcolici di diversa natura, senza contare il whisky, che ha recentemente attirato parecchia attenzione sulla scena internazionale. tuttavia, kirin è soprattutto conosciuta per la sua vasta gamma di birre. L’impresa commercializza due fra le birre più popolari del Paese: la kirin Lager e l’Ichiban Shibori (conosciuta all’estero con il nome di kirin Ichiban). Fondata nel 1907, kirin è considerata come la rappresentante della birra giapponese tradizionale, sebbene il suo predecessore, la Japan Brewery Company, fosse in effetti creata nel 1885 dopo la ripresa degli attivi della Spring Valley Brewery,

fondata a Yokohama nel 1869 da william Copeland, un birraio americano di origine norvegese. La kirin Lager, uno dei prodotti più venduti della società, venne lanciata all’epoca dei pionieri, nel 1888, in un momento in cui la birra non era ancora molto diffusa in Giappone. Era fabbricata con strumenti, cereali e luppolo maltato provenienti dalla Germania. Gli ingegneri tedeschi produttori di birra erano allora invitati in Giappone per fabbricare birra autentica. “La Kirin lager è stata il punto di inizio della cultura monozukuri (passione nel creare degli oggetti) propria alla nostra impresa”, confida tAkAShImA Ataka, responsabile della comunicazione. “Da allora, non abbiamo cessato di affinare le nostre tecniche di produzione per offrire la migliore qualità possibile.” Nel 1990, gli sforzi dell’azienda sono sfociati nella creazione di quella che è considerata come la birra-simbolo di kirin, l’Ichiban Shibori. “È la prima birra di questo tipo al mondo” assicura m. tAkAShImA. “È prodotta utilizzando unicamente il primo mosto che cola dall’orzo. È un procedimento impiegato raramente, che permette di assaporare il vero sapore dell’orzo.” kirin è ugualmente leader nella categoria degli happôshu (letteralmente “bevanda alcolizzata frizzante”), una birra a basso tenore in malto lanciata sul mercato giapponese nel 1994. In questo settore, la kirin tanrei è la più venduta a livello nazionale. Attualmente, la produzione totale della società

Presso Kirin, il monozukuri è al centro della cultura dell’impresa . 14 ZOOM GIAPPONE N. 19 marzo - giugno 2021

si divide pressapoco a parti uguali tra la birra (39%), l’happôshu (28%) e la birra definita “nuovo genere” (33%), mentre i principali concorrenti hanno tendenza a concentrarsi sia sulla birra tradizionale (Asahi e Sapporo), sia sulla birra “nuovo genere” (Suntory). “Oltre ai nostri prodotti di base, come la Kirin Ichiban, sviluppiamo prodotti che rispondono alle diverse esigenze dei nostri clienti”, sottolinea tAkAShImA Ataka. “Ci concentriamo ugualmente su prodotti con debole tenore di zuccheri e di purine, e su prodotti a base di birra senz’alcol, per rispondere alle aspettative dei clienti attenti alla loro salute.” Secondo l’addetto stampa, le modifiche alla tassa giapponese sull’alcol promosse nell’ottobre scorso, divideranno probabilmente il mercato in due gruppi. Il primo fondato sul prezzo e l’altro (definito “birra-funzionale”), composto da bevande concepite come “healthy”, con effetti benefici sulla salute (ad esempio, le birre senza zuccheri e senz’alcol). oggi, questo tipo di birra rappresenta più del 32 % del mercato e include l’ happôshu e le birre “nuovo genere”. kirin detiene il 41% del mercato totale. “Pensiamo sia importante creare marchi che i clienti possano sostenere in ogni categoria”, nota m. tAkAShImA. “La Kirin Ichiban Shibori ha un mercato prospero come d’abitudine nella categoria standard, mentre nella categoria economica, ci concentriamo sulla Honkirin e sulla Kirin Nodogoshi Nama. L’anno scorso, ad esempio, le vendite della Honkirin sono aumentate del 60 %. Questa bevanda è molto apprezzata per il suo gusto intenso e corposo, sebbene non si tratti di una birra ricca di malto, ma di un prodotto di un genere nuovo. Nella categoria definita funzionale, sviluppiamo marchi come Kirin Tanrei Green Label, una birra priva di alcol. Le birre senz’alcol rappresentano circa il 5% dell’insieme delle bevande alcoliche sul mercato giapponese. Sebbene possa sembrare poco, la loro quota è aumentata del 3% nel corso degli ultimi tre anni, e pensiamo che la tendenza sia destinata a progredire”, aggiunge. Il mercato della birra artigianale è un altro settore che conquista lentamente popolarità in Giappone, soprattutto presso le giovani generazioni, nonostante, secondo un sondaggio di kirin, la sua importanza sia ancora limitata, con 0,9% del volume totale delle vendite. Nel 2014, dopo aver visto lo scarto aumentare col concorrente e leader Asahi, in termini di quote di mercato attribuite a ciascuno, scarto dovuto (secondo certi osservatori) all’assenza presso il segmento di birre premium kirin, di un prodotto-simbolo, il gigante della birra ha deciso di


Kirin Beer

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L’Ichiban Shibori, commercializzata all’estero sotto il nome di Kirin Ichiban, rappresenta una delle birre più popolari in Giappone.

reagire adottando un approccio diverso, tornando alle origini delle tradizioni di produzione, entrando nell’arena della birra artigianale. Resuscitando il nome originale dell’impresa fondata nel 1869, la società ha lanciato una filiale autonoma chiamata Spring Valley Brewing. Un anno dopo, alcune birrerie aprivano a tôkyô e a Yokohama. “Nel 2016 abbiamo sancito un’alleanza con il pioniere americano della birra artigianale, la Brooklyn Brewery, per sviluppare il Tap Marché, un sistema di spillatori che forniscono quattro tipi di birra artigianale per unità”, spiega m. tAkAShImA. “Fino ad oggi, siamo riusciti a distribuirli in più di 13.000 bar e ristoranti in tutto il paese. Il numero di birrifici coinvolti è passato a dodici, allargando così la scelta a 26 tipi di birra diversi”. Questa iniziativa ha valso a kirin il ricevimento del Premio dei Ristoratori giapponesi nel 2019 per compensare gli sforzi in favore della diffusione della birra artigianale sull’insieme del territorio nazionale. Quest’anno, la pandemia di Covid 19 ha toccato tutti i settori dell’economia giapponese, compreso il mercato della birra. tanto la produzione che la distribuzione hanno dovuto affrontare numerosi problemi tecnici e sanitari, sia le vendite che la

consumazione di birra ne hanno sofferto. tuttavia, secondo il rappresentante di kirin, le cose vanno meglio del previsto. “Se le vendite nei ristoranti e nei bar hanno subito un calo, quelle registrate nei centri di grande distribuzione come gli ipermercati i supermercati sono aumentate, visto che sempre e più persone amano bere a casa, in ragione delle misure restrittive imposte dal distanziamento sociale.” Fra le iniziative prese per l’anno fiscale 2020 che terminerà in marzo, l’impresa si concentra su una strategia a lungo termine, immaginata per la prima volta tre anni fa e chiamata “gestione del CSV”. “CSV è l’abbreviazione di Creating Shared Value, poiché desideriamo creare un valore che possa essere condiviso con la comunità. Nel 2017, abbiamo ribadito il nostro impegno nell’affrontare tre questioni sociali importanti: la salute e il benessere, l’impegno per la comunità, l’ambiente. In altri termini, vogliamo che la società giapponese e la nostra impresa si sviluppino in armonia.” Nell’ambito delle sue iniziative in favore dell’ambiente, per esempio, kirin aumenta il numero delle fabbriche fornite di pompe a calore, per raggiungere il suo obiettivo di ridurre le emissioni di

gas a effetto serra del 30%, entro il 2030. Per quanto riguarda l’impegno sociale e ambientale, nello sforzo di migliorare la qualità del luppolo giapponese e stabilizzare l’approvvigionamento, la società lavora con le collettività locali e gli agricoltori, al fine di costruire un sistema di produzione compatibile con l’ambiente, avente come obiettivo la produzione di 100 tonnellate di luppolo giapponese nel 2027. “Sviluppiamo ugualmente campagne in favore di una consumazione responsabile e una nuova cultura dello “slow drink”, assicura tAkAShImA Ataka. “La nostra nuova gamma di bevande non alcoliche fa parte della nostra risposta alla sensibilizzazione dei consumatori sulle questioni legate alla salute e al benessere. Kirin Greens Free, per esempio, è fabbricata solo con tre ingredienti: il grano, il luppolo e l’acqua. È la prima birra giapponese a non contenere alcun additivo, quali gli aromi e gli edulcoranti artificiali generalmente impiegati per creare un gusto simile a quello della birra.” La percezione comune, la più condivisa, a proposito della birra senz’alcol, una volta era in genere quella di un povero surrogato della birra autentica.

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malgrado ciò, sempre più consumatori la scelgono, dal momento che così possono apprezzare il gusto della birra e della sua carbonatazione, senza gli effetti nocivi. “E non dimentichiamo il fattore economico. Con la riforma della tassa sugli alcolici, speriamo che i consumatori di birra siano numerosi nel dedicare attenzione alle birre non alcoliche” si augura. In effetti, nel corso degli ultimi 15 o 20 anni, le vendite di birra e di happôshu sono precipitate in Giappone, a causa dei cambiamenti di abitudini delle nuove generazioni. kirin ha seguito la tendenza nazionale. Le vendite di birra nel 2019, per esempio, sono scivolate verso il basso con un - 4,9%, mentre le vendite di happôshu hanno registrato un calo del 6,9%. Nello stesso tempo, le bevande “nuovo genere” sono aumentate del 9,2%. “Elaboriamo una strategia per creare un nuovo ambiente favorevole alla scoperta e alla consumazione della birra, collaborando con diverse scene artistiche e musicali” spiega il responsabile della comunicazione di Kirin. “Il nostro obiettivo è quello di conquistare la fiducia dei ventenni e dei trentenni, che non sono particolarmente tentati dall’universo della birra. Detto questo, siamo particolarmente ottimisti quanto alla crescita del mercato delle bevande non alcoliche al gusto di birra. Il nostro obiettivo per quest’anno è di raggiungere un aumento delle vendite del 22% in questa categoria.” C’è da aggiungere che kirin è riuscita ad entrare con successo, nel corso degli anni, nei mercati stranieri grazie a una serie di acquisizioni strategiche e a vari partenariati. Ad esempio, la società detiene una partecipazione del 100% nella Lion Nathan Limited, una fabbrica di birra australiana che opera soprattutto in Cina. kirin detiene ugualmente una partecipazione del 48% nel birrificio San miguel, il più importante produttore di birra nelle Filippine, mentre nel 2006, conquistò il 25% del capitale della società cinese hangzhou Qiandaohu Beer Co. tra il 2011 e il 2017, kirin ha detenuto il secondo più grande produttore brasiliano, Brasil kirin, dopo averlo acquistato a Schincariol. L’ha in seguito rivenduto a heineken. Da circa 40 anni, l’Europa riveste un ruolo importante nelle attività della società all’estero. Fondata nel 1983 a Düsseldorf, in Germania, kirin Europe è stata fin dall’inizio un ufficio di rappresentanza per sostenere l’approvvigionamento in luppolo e altre materie prime, e per fornire una vasta gamma di servizi. Ancora oggi, una delle sue principali attività consiste nel raccogliere le più recenti informazioni tecnologiche in Europa, culla della produzione della birra. Nel 1991, è stata creata la società kirin Europe Gmbh (kEG) e, due anni più tardi, ha cominciato a vendere prodotti del marchio kirin in Europa. “Dal 2010, il nostro partner attuale, il birrificio di Weihenstephan, conosciuto come il più antico birrificio

Kirin Beer

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Il qilin (kirin in giapponese), l’animale mitico cinese, è diventato l’emblema del marchio.

al mondo, ha cominciato a produrre localmente la birra Kirin Ichiban”, sottolinea tAkAShImA Ataka. “Siamo stati il primo marchio giapponese a essere prodotto in Germania, regolamentato dalla legge sulla purezza della birra. Commercializziamo attualmente i nostri prodotti in 29 paesi, principalmente in Europa, ma anche in Medio Oriente e in Russia, attraverso distributori di prodotti alimentari giapponesi e distributori locali.” kirin ha poi esternalizzato la fabbricazione e la vendita a birrifici partner sotto licenza nel Regno Unito. Grazie al suo soft power, la cultura e la

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cucina del Giappone sono ormai apprezzate in Europa e nel mondo intero, e kirin prevede di sviluppare la sua impronta diffondendo l’immagine dell’artigianato tradizionale nipponico. “In Europa, siamo stati confrontati agli stessi problemi legati al coronavirus dell’Arcipelago”, ricorda. “Visto che i ristoranti giapponesi, nel cuore dei circuiti di vendita, sono stati fortemente impattati dalla crisi, ci stiamo concentrando sull’ampliamento dei nostri circuiti di vendita attraverso il commercio online e il commercio al dettaglio”, conclude. G. S.



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Baird Beer, piccolo ma fortissimo!

Fondato nel 2000, il piccolo birrificio Baird dodici in un solo minuto. Il birrificio dispone Beer è riuscito a diffondere la sua produzione di tre sistemi di fermentazione (rispettivamente di qualità in Giappone e all’estero. di 60, 10 e 2.5 hl). Il più grande è semi-automa-

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tico, per cui serve qualcuno che carichi il malto in fondo alla macchina. Il luppolo fresco viene invece conservato in un’ altra zona. In molte birrerie giapponesi infatti, il luppolo viene fatto essiccare e poi compattato in granuli. Il problema di tale procedimento però è che il luppolo perde parte delle sue caratteristiche, nonostante Baird utilizzi esclusivamente luppoli freschi. Il luppolo viene lavorato in un ingegnoso macchinario che sembra un gigante colino da tè e permette ai birrai di aggiungere diversi aromi, come ad esempio delle arance per la loro Carpenter mikan Ale. La fabbrica dove la birra viene imbottigliata è anch’essa semi-automatica; le bottiglie sono caricate a mano, ma da lì pulizia, etichettatura, riempimento e incapsulamento avvengono automaticamente. Grazie alla possibilità di svolgere tutte queste operazioni in meno di un minuto, Baird Beer è in grado di imbottigliare più di cento birre al minuto. Fondato nel 2000 dall’americano Bryan Baird e sua moglie Sayuri, questo micro-birrificio è il tipico esempio del successo di un’impresa in partenza modesta che è riuscita a sfondare sul mercato (almeno nel suo settore). Al momento della sua creazione Baird Beer era il più piccolo birrificio del paese, si poteva infatti quasi parlare di un “micro-birrificio”, ma è progressivamente cresciuto, al punto di contare oggi più di cento

Eric Rechsteiner per Zoom Giappone

a penisola di Izu, a sud di tôkyô, è conosciuta per le sue spiagge, le sue sorgenti calde e le sue bellezze naturali. Dal 2014, però, attira un nuovo tipo di visitatori: gli amanti della birra. Il birrificio Baird Beer ha infatti stabilito la sua sede a Shuzenji, una celebre stazione termale circondata da colline verdeggianti nella regione centrale della penisola. oltre agli uffici e all’unità di produzione, la sede della birreria di Shuzenji comprende grandi giardini, di cui uno ricolmo di frutta, verdura e soprattutto luppoli, tutti coltivati e raccolti dagli stessi impiegati. Gli amanti della birra non sembrano poi cosi tanto interessati al panorama, ma si dirigono direttamente verso la sala al terzo piano, dove dodici birre Baird sono servite tutto l’anno, oltre ad una selezione di tre o quattro birre stagionali, una gamma estremamente varia. Shuzenji inoltre è solo uno dei nove bar (di cui uno a Los Angeles) che questa società gestisce direttamente o tramite i soci. Visitando la fabbrica si scopre un luogo dove l’etica artigianale del micro-birrificio si sposa con la tecnologia più avanzata, allo scopo di rendere la produzione più rapida ed efficiente. Il mulino originario ad esempio, poteva macinare due kili di malto in dieci minuti, mentre la macchina utilizzata oggi ne può macinare ben

il birrificio dispone di tre sistemi di fermentazione (rispettivamente di 60, 10 e 2,5 hl). 18 ZOOM GIAPPONE N. 19 marzo - giugno 2021

impiegati a tempo pieno o part-time e di essere il più noto tra i piccoli birrifici del Giappone. tuttavia la partenza non non è stata delle più semplici. “Quando sono arrivato in Giappone dopo aver terminato i miei studi negli Stati Uniti, la birra artigianale, detta anche jibiru (birra locale) all’epoca, cominciava a suscitare un grande interesse”, spiega Baird. “Il governo aveva appena liberalizzato il settore della birra e piccoli birrifici cominciavano a diffondersi ovunque. Benché io non avessi alcuna esperienza in quel campo, ero sempre stato attratto dalla birra artigianale e ho deciso di lanciarmi”. Nel 1997 Bryan ha infatti lasciato il suo lavoro a tôkyô e si è iscritto in una scuola negli Stati Uniti, dove ha seguito un programma intensivo di undici settimane di scienza e ingegneria della produzione della birra. “Una volta tornato in Giappone ho capito che avevo piuttosto bisogno di esperienza sul campo, allora ho costruito un piccolo sistema di produzione della birra a partire dalle botti usate, l’ho installato nella nostra veranda e ho cominciato a produrre in casa. Con questo sistema abbiamo lanciato il nostro primo pub-birreria. Era così piccolo (una produzione di appena 30 litri) che dovevo produrre in continuazione, cosa che mi ha permesso di acquistare una grande esperienza in breve tempo”. Però, mentre la coppia Baird apriva il suo primo birrificio a Numazu, nella prefettura di Shizuoka, la fortuna aveva già cambiato il suo corso e l’interesse iniziale per la jibîru aveva ceduto il posto ad un atteggiamento generalmente negativo verso un prodotto che nella maggior parte dei casi non era di alta qualità. “Il nostro primo grande problema è stato superare quell’immagine negativa che il settore aveva attirato su di sé nei primi anni. L’altra grande sfida era mettere sul mercato un tipo di birra mai visto prima in Giappone, soprattutto perché i giapponesi vivono in una società tendenzialmente conservatrice e relativamente conformista, al punto che è difficile andare controcorrente. E’ vero anche che i giapponesi sono molto curiosi nei confronti del cibo, ma, per ciò che riguarda la birra, esiste un’idea prestabilita per cui questa bevanda equivale ad una Pilsner leggera. I giapponesi hanno imparato a produrre la birra grazie ai tedeschi e per circa un secolo la Pilsner è stata l’unica nel Paese. Quindi, produrre qualcosa di più particolare, ad esempio delle birre ispirate alla tradizione artigianale inglese, belga o americana, significa procedere contro un muro”, racconta Bryan. Bard è uno dei pochi in Giappone ad utilizzare la fermentazione secondaria, processo che consiste nell’aggiungere alle bottiglie e alle botti delle


Eric Rechsteiner per Zoom Giappone

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Le magnifiche etichette che appaiono sulle bottiglie del birrificio di Baird sono state realizzate dall’artista Nishida Eiko.

fonti alimentari supplementari per la lievitazione attiva della birra non pastorizzata. “Il lievito si nutre di zuccheri e rilascia dei gas, creando così una carbonatazione naturale e dolce”, ci spiega. Bryan e Sayuri hanno aperto la loro prima sala di degustazione in una città di pescatori dove i clienti volevano soltanto Pilsner ghiacciata. hanno capito in fretta che per riuscire nel loro intento avrebbero dovuto partire da zero. “Purtroppo non basta proporre un buon prodotto. L’altro fattore che influisce sulle vendite di prodotti nuovi, come la birra artigianale in Giappone, è l’educazione graduale dei consumatori. Più capiscono ciò che uno propone e perché, più sono aperti a nuove esperienze. Questo cambio richiede tempo e perseveranza, ecco perché abbiamo cominciato come pub-birrificio. All’inizio, da un punto di vista economico, avevamo una capacità produttiva così bassa che la vendita di birra all’ingrosso non conveniva, dal momento che volevamo conservare tutto il profitto dato dal dettaglio. Ma soprattutto eravamo determinati a produrre una birra molto saporita e particolare e sapevamo che gli altri bar e pub non avrebbero

acquistato la nostra produzione, in quanto difficile da rivendere”, conferma Baird. Nel 2003 l’impresa è passata ad un sistema a 250 litri e ha cominciato ad imbottigliare birre destinate alla vendita per incrementare le entrate. Un cliente ha poi presentato la coppia a NIShIDA Eiko, grafico che avrebbe successivamente creato l’illustrazione che decora le bottiglie. L’impresa ha continuato a svilupparsi passando ad un sistema di fermentazione a lotti di 1000 litri nel 2006 ed aprendo, due anni più tardi, la sua prima sede a tôkyô. Lo stesso anno Baird ha anche cominciato ad esportare la sua birra, inizialmente verso l’America, poi in molti altri paesi. Infine, dopo dieci anni di attività, il birrificio ha cominciato ad ingrandirsi e a raggiungere un certo livello di stabilità economica. Nel 2010 gli sforzi di Bryan e Sayuri sono stati riconosciuti a livello internazionale, con ben tre medaglie d’oro in occasione della Coppa del mondo della birra, evento che si svolge ogni anno. Nonostante l’evoluzione dei processi di fermentazione, le birre prodotte sono rimaste in gran parte fedeli alle loro ricette originali, essendo lo

stesso Bryan a conservarne il controllo creativo. “Per me ogni birra che fabbrichiamo racconta una storia. Alcune ricordano degli avvenimenti storici, come la Kurofune (vascello nero), che simboleggia l’arrivo della flotta americana del commodoro Perry nel diciannovesimo secolo. Mio padre insegnava storia e mi ha trasmesso l’amore per questa materia. L’origine delle altre birre invece viene dalla storia della mia famiglia o da esperienze personali. La kabocha (zucca) Country Girl ad esempio, è dedicata a mia madre, cresciuta in campagna coltivando zucche”, ci racconta. La gamma delle Baird Beer mostra il suo approccio non convenzionale alla birra. La wabiSabi Japan Pale Ale, per citarne una, aromatizzata al wasabi e al tè verde, è un esempio emblematico della filosofia di Bryan. “Se penso che il sapore vada bene con la birra e che possa essere prodotta con equilibrio di gusti penso subito di farcene qualcosa”, rivela. La sua Asian Beauty Biwa Ale e la Shizuoka Summer mikan (rispettivamente a base di albicocche e arance giapponesi) riflettono questo pensiero. “Tutte le mie birre sono fatte in modo che non domini un sapore particolare,

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Baird Beer si distingue notoriamente per l’uso di malto a fiori interi essiccati.

ma ci sia un certo equilibrio. Quando ho finito i miei studi in materia nel 1997, i produttori di birra americani detestavano le birre fruttate, considerate esclusivamente come un modo di attirare nuovi clienti; si trattava semplicemente di aggiungere dell’aroma al lampone ad una birra. Provenendo da questa scuola, la mia filosofia consiste nel minimizzare le trasformazioni quanto a malto e orzo, anche se ciò non significa non poter aggiungere altri ingredienti, anche frutta, purché naturali, freschi, di stagione e soggetti al processo di fermentazione. Il risultato finale è una birra dove gli ingredienti in più non fanno altro che aggiungere un sapore molto sottile. L'ultima cosa che vorrei è che i miei prodotti fossero confusi con quelle birre aromatizzate comprate come souvenir dai turisti”, ribadisce Bryan. Per lui una buona birra è questione di caratteristiche precise, che nascono da un gioco di equilibri e complessità. “Una birra artigianale mal fatta tende ad essere complessa, ma manca di equilibrio, caratteristica invece peculiare, insieme alla complessità stessa, di una buona birra. Per noi, la chiave è minimizzare le trasformazioni, ragione per cui selezioniamo ingredienti che si trasformano minimamente, come orzo, malto, fiori, frutti interi. Dopodiché utilizziamo questi ingredienti nella maniera più semplice possibile, trasformandoli il meno possibile. Ad esempio non filtriamo la nostra birra e facciamo la carbonatazione naturalmente, tramite fermentazione secondaria, un po’ come si fa con lo champagne”. Anche se le birre artigianali rappresentano meno dell’1% del mercato mondiale, il Giappone offre un settore dinamico che acquista piano piano

sempre più adepti. La degustazione di birra artigianale può essere ancora qualcosa di episodico in questo paese, ma certo oggi è diventato un settore serio. Ciononostante, secondo Bryan, il Giappone presenta numerose difficoltà per i futuri birrai rispetto ad altri paesi,. “Innanzitutto il Giappone tassa la birra 220 yen al litro (1,83€), uno dei prezzi più alti al mondo. Questo porta ad aumentare di 77 yen (0,65€) il prezzo di ogni lattina di birra. Ma l’ostacolo principale è sicuramente il processo di rilascio della licenza, che prende molto tempo, un anno nel nostro caso, ed è soggetto ai capricci arbitrari dei burocrati. D’altra parte, una volta rilasciata la licenza, hanno un’attitudine piuttosto distante e non si immischiano negli affari dei produttori. C'è da dire poi che in Giappone non esiste quel sentimento semi proibizionista verso l’alcool che altri paesi hanno”, fa notare. Al di là delle questioni tecniche ed economiche, la birra artigianale è e resterà un prodotto di nicchia per sua natura. Anche nei grandi mercati di vecchia tradizione, come in America, la birra artigianale non rappresenta che il 10% del mercato della birra. “Rendendo particolare e complesso un certo prodotto lo si indirizza automaticamente ad un pubblico limitato”, spiega Baird. “È un problema, soprattutto in un Paese come il Giappone, dominato uniformemente da birre leggere come la Pilsner. Ecco perché il mercato della birra artigianale dipende dall'educazione. I venditori al dettaglio giapponesi ad esempio non hanno ancora capito quanto valga la pena investire nel campo della birra artigianale. Noi infatti introduciamo una diversità reale ed un elemento locale unico

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nel mercato giapponese della birra, un grande cambiamento in confronto alle birre industriali.” tuttavia l’ostacolo principale alla diffusione della birra artigianale resta, secondo lui, la mancanza di marche eccezionali. “Anche se può capitare che dei produttori giapponesi ottengano vittorie importanti, come la Coppa del Mondo della birra, troppe birre locali sono in realtà piuttosto mediocri. Affinché i piccoli birrifici vengano presi sul serio, deve scomparire quell’oceano di birre artigianali di bassa qualità e che dovrebbe venir commercializzata una birra dal sapore più equilibrato. Purtroppo la produzione di birra artigianale giapponese è minuscola e il suo impatto commerciale molto ridotto e questo ostacola la portata del mercato”, lamenta. Il punto di vista di Bryan sul settore della birra artigianale giapponese non è molto positivo. “Esiste ormai da 25 anni e noi ne facciamo parte da venti. Malgrado i lampi di eccellenza e dinamismo, il quadro generale è piuttosto scarno, soprattutto a seguito del Covid”, aggiunge. Una spinta inattesa potrebbe arrivare da quattro grandi produttori industriali (Asahi, kirin, Sapporo e Suntory) che hanno recentemente cominciato ad investire nella ricerca e a creare le loro birre artigianali. “Si dice che l’imitazione sia la forma più alta di adulazione. Dopotutto la birra artigianale porta con sé un certo sex appeal che cattura il loro interesse. Ciò detto, preferisco mettere delle virgolette alla loro birra ‘artigianale’. Questi grandi gruppi vi si sono lanciati per motivi puramente economici. Hanno constatato che le birre industriali di base non vendevano più come prima, perché la popolazione diminuiva e le persone tendevano a bere meno. Hanno dunque deciso di fare qualcosa per rimediare, ma certo non basta mettere un’etichetta con ‘artigianale’ sulla loro birra. La loro birra artigianale è sicuramente ben equilibrata, ma manca di complessità. In fin dei conti l'artigianato è sinonimo di vera creatività, di autenticità, di savoir faire. Le grandi compagnie invece amano andare sul sicuro, è nel loro DNA. Noi siamo in competizione sul particolare, il sapore e la personalità. Le birre industriali invece devono piacere a tutti, per un birraio artigianale non è certo questo il caso. In conclusione i produttori artigianali e quelli industriali appartengono a due specie diverse, non penso siamo in concorrenza diretta”, ci dice. Bryan Baird ha forse guidato la rivoluzione della birra artigianale, ma certamente sa che l’ultima cosa che deve fare è adagiarsi sugli allori del successo ottenuto, specialmente visto il periodo difficile. ma al di là della debolezza del mercato nazionale e dei problemi legati al covid, Baird Beer resta determinata a diffondere il suo nome e la sua passione per la birra, in Giappone e nel mondo. G. S.



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Mete da non perdere a Tôkyô

Per scoprire al meglio il mondo della birra giapponese, vi proponiamo undici mete imperdibili.

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hiedete a dieci persone quali siano le loro birre preferite a tôkyô e otterrete probabilmente dieci risposte diverse. Ciononostante, le dieci mete qui descritte si sono rivelate tutte di grande qualità. troverete birre artigianali americane e europee importate, ma naturalmente anche l’equivalente giapponese. Baird Non preoccupatevi se non potete raggiungere la sede di Baird Beer a Shizuoka (pp. 20-22), dal momento che esistono diversi punti di degustazione, quattro a tôkyô, uno a Yokohama e uno a osaka. ognuno di questi ha il suo particolare stile e si concentra su una cucina diversa (yakitori a harajuku o cucina del Sud-ovest americano a kichijôji). troverete soprattutto l’eccellente selezione di birre Baird, il modo migliore di scoprirle è con l’offerta degustazione: tre assaggi di 14 cl per circa 1.000 yen. Per saperne di più: https://bairdbeer.com/ devil Craft Creata nel 2008 da tre birrai americani, questa catena di pub ha quattro sedi sparse per la capitale, con più di venti spillatrici l’una, che offrono le eccellenti birre Devil Craft. opta per uno stile americano e offre delle birre che non si trovano da nessun’altra parte. E’ anche conosciuta per la sua pizza in stile Chicago, che da sola vale tutto il viaggio. https://en.devilcraft.jp/ Ginza Lion E’ obbligatoria una visita non tanto per il suo menù (Sapporo lagers, patate e salsicce), ma per la

sua atmosfera di un tempo. Infatti questo luogo tenebroso (diretto discendente della prima sala da birra del Giappone) vanta interni decorati in marmo, quadri dell’architetto SUGAwARA Eizo e un grande mosaico dietro il bancone. Aperto nel 1934, è rimasto quasi intatto nel tempo. E, data la rapidità con cui le cose cambiano a tôkyô, è una vera rarità. 7-9-20 Ginza, Chûô-ku, tôkyô 104-0061 Aperto dalle 11.30 alle 23 Good Beer Faucets Qui servono più di 40 tipi di birre artigianali, principalmente provenienti dal Giappone e dagli Stati Uniti. Viene proposta anche una gamma di birre artigianali marca Nide, che sono prodotte da Baird Beer, a Shizuoka, e da Brimmer Brewing, a kawasaki. Esiste anche una sede a hakata, nella prefettura di Fukuoka. 1-29-1 Shôtô, Shibuya-ku, tôkyô 150-0046 Aperto dalle 17 alle 24 https://shibuya.goodbeerfaucets.jp/ Hitachino Brewing Lab Come altri produttori di sakè in Giappone, kiuchi (fondato nel 1823 nella prefettura di Ibaraki) produce la sua birra, la hitachino Nest, che potete trovare ad Akihabara. Dispone di ben dieci spillatrici e si rivela una miniera di informazioni. Non sorprende quindi che venda esclusivamente hitachino Nest, con una gamma che varia ogni giorno. Si tratta di uno dei pochi birrifici ad aver superato la prima ondata di birre artigianali degli anni ‘90 e, negli ultimi 20 anni, si è guadagnato una reputazione impressionante in tutto il Giappone ed oltre. tra le sue sono degne di nota una pale ale, una DIPA, una red rice ale, una espresso stout e una birra di grano belga, la più riconoscibile. Le etichette presentano colori vivi, con un gufo in stile cartone animato. Se amate il cibo speziato e la mostarda vi

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raccomandiamo il loro panino al manzo affumicato. Prenotando in anticipo potete anche produrre la vostra birra, I birrai vi seguiranno nel dar vita alla birra avete in mente. 1-25-4 kanda Sudachô, Chiyoda-ku, tôkyô 101-0041 Dal lunedì al sabato dalle 11 alle 23, domenica e festivi dalle 11 alle 21 http://hitachino.cc/brewing-lab/en/ La Cachette È uno dei pionieri della birra artigianale nella capitale, aperto nel 2001, comprende una ventina di marche giapponesi in una gamma in evoluzione continua. 1-10 kagurazaka, Shinjuku-ku, tôkyô 162-0825 Dal lunedì al sabato dalle 17 alle 1. Domenica e festivi dalle 16 a mezzanotte https://lacachette.owst.jp/en/ Nihonbashi Brewery Ispirato al birrificio hUB di Portland e con una ricca offerta di birre di produzione americana, è un luogo che presenta un’atmosfera davvero gradevole. Propone tredici birre, di cui qualcuna originale, ma è il cibo il loro vero punto forte. 10-13 Nihonbashi tomizawachô, Chûô-ku, tôkyô 103-0006 Dal lunedì al sabato dalle 11.30 alle 23, domenica e festivi dalle 11.30 alle 22 Popeye Il nome ufficiale è Bakushu Club Popeye, dove bakushu significa birra, ed è l’antenato dei pub che servono birra artigianale a tôkyô. ha aperto nel 1990 (pp. 6-8). Anche se i critici ritengono che ormai vi siano posti migliori a tôkyô, rimane il posto più ricco di offerte, con l’impressionante numero di settanta spillatrici. In altre parole, propone molte marche che non troverete altrove,


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Baird Beer ha aperto un punto di degustazione birra a Nakameguro.

solitamente scoperte di birrifici americani e qualche rarità. Vengono proposti più format e c’è anche uno speciale happy-hour in cui, ordinando alcune birre, vi verrà offerta una mezza porzione di antipasto. Un pub da visitare assolutamente almeno una volta nella vita. 2-18-7 Ryôgoku, Sumida-ku, tôkyô 130-0026 Dal lunedì al giovedì dalle 17 alle 23.30, venerdì dalle 15.30 alle 23.30, sabato e festivi dalle 15 alle 23.30. Chiuso la domenica The Aldgate Se amate quei pub inglesi un po’ all’antica che, persino nel Regno Unito, sono quasi del tutto scomparsi (pannelli in legno, sgabelli, parquet), ne troverete uno nel cuore di Shibuya. Propone ovviamente birre britanniche e una vasta scelta di birre giapponesi di vario genere, tra cui la celebre Aldgate Ale, prodotta da Swan Lake Beer, un piccolo birrificio a Niigta. E per una vera esperienza inglese dovete anche assaggiare il cibo: fish and chips, sandwiches, torte e soprattutto un pasticcio

irlandese farcito con carne e patate di qualità, servito con fagioli speziati. 3F 30-4 Udagawachô, Shibuya-ku, tôkyô 150-0042 Dal lunedì al sabato dalle 18 alle 2, domenica e festivi dalle 17 alle 2 http://www.the-aldgate.com/ Ushitora 1 & 2 Situati nel quartiere di Shimo-kitazawa, i due locali offrono trenta birre a volontà, con almeno dieci spillatrici dedicate alle loro birre, prodotte da Ushitora Brewing. Il resto è dedicato a bottiglie giapponesi e importate. Pour en savoir plus : http://blog.ushitora.jp/ Watering Hole Il proprietario, FUJIURA Ichiri, è una specie di leggenda nel campo della birra artigianale locale, visto che nel 1998 ha prodotto una birra alla noce di cocco grigliata che lo ha reso il primo non americano ad essere eletto homebrewer dell’anno

dall’American homebrewers Association. Questo birrificio è subito divenuto il preferito degli appassionati di birra, grazie alla sua lista di referenze ed alla sua atmosfera conviviale. La sua selezione di birre cambia tutti i giorni: venti birre alla spina (tendenzialmente giapponesi e americane), più una selezione di birre in bottiglia, principalmente europee, e del sidro. ma ciò che rende questo pub un luogo di successo è il suo personale entusiasta ed incredibilmente ben formato, che aiuta i clienti a scegliere la birra più adatta ai loro gusti. Una delle proposte più caratteristiche è il lotto di degustazione di quattro bicchieri (1.000 yen, servito dalle 15 alle 18 in settimana), ottimo modo di esplorare le ampie offerte. Quanto alla cucina, il menù è abbastanza completo, fresco e superiore alla media. 5-26-5-103 Sendagaya, Shibuya-ku, tôkyô 151-0051 Aperto tutti i giorni dalle 15 alle 23.30 http://wateringhole.jp/ MARIO BATTAGLIA

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La città di 26.000 abitanti è la prima del Giappone per produzione di luppolo.

Tôno, nel cuore delle leggende Principale centro di produzione giapponese di luppolo, la cittadina vuole diventare la città della birra.

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okohama, Sapporo e altre metropoli sono forse le principali zone di produzione della birra giapponese, ma pochi posti incarnano la cultura giapponese della birra meglio di Iwate, prima prefettura produttrice di luppolo. In questa zona infatti si coltiva la metà del luppolo dell’intero Paese, e la città di tôno sorge proprio al centro. Il pittoresco distretto agricolo di tôno si trova in una conca circondata da montagne che sembrano parte di un quadro. Si dice che una volta tutta la regione fosse un lago (la sillaba “tô” di “tôno” in ainu significa appunto “lago”) e che sia poi diventata una zona pregiata per l’allevamento di cavalli, l’agricoltura e la caccia. Per secoli e secoli la conca di tôno è stata completamente isolata dal resto della prefettura e fino alla fine degli anni ‘80 viaggiare in questa città significava immergersi ancora nella tradizionale campagna giapponese, dai mulini ad acqua alle vecchie passerelle in legno e muschio sui dolci ruscelli. Ancora oggi un viaggio sulla

ferrovia di kamaishi in direzione tôno rende l’idea dell’isolamento in cui una volta si trovava la regione. Il treno a binario unico si fa strada attraverso strette vallate ed imponenti e spettacolari montagne, che aprendosi rivelano piccoli villaggi e risaie aggrappate ai monti. Ai lati della ferrovia si intrecciano foreste di cedri e castagni, i cui rami sembrano pendere sui binari e sfiorano delicatamente i due vagoni del trenino. A lungo le fortune economiche della prefettura di Iwate sono state legate alla coltivazione del luppolo. tôhoku, la regione del nord-est dell’isola di honshû, è infatti il posto ideale per coltivarlo. Bisogna da subito sottolineare che la grande escursione termica tra notte e giorno è perfetta per la crescita della pianta, oltre al fatto che il tasso di umidità e il rischio di tifoni sono piuttosto bassi per tutta la durata dell’anno. Con queste caratteristiche ottimali non c'è da stupirsi che i grandi gruppi giapponesi della birra si siano da tempo interessati alla zona. I produttori di tôno ad esempio, hanno sviluppato una partnership con kirin beer, società di Yokohama che si impegna a comprare tutto il raccolto di luppolo. Questo comprende varianti indigene come l’Ibuki, luppolo dalle note aromatiche di limone

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e pompelmo, e il murakami Seven, una varietà all’aroma di uva che prende il nome da murakami Asahi, esperto giapponese che ha selezionato e sviluppato la variante di luppolo. Nel mio viaggio alla ricerca di luppolo fresco e buona birra ho subito fatto visita alla tono Brewing Company. Questa compagnia è la più giovane della scena locale, è stata fondata nel 2017 da un trio non originario di tôno grazie ad una fortunata campagna di crowdfunding, che ha reso possibile aprire un pub-birrificio nel centro città. Il direttore hAkAmADA Daisuke prima lavorava in tutto il Giappone come direttore di negozi della catena di indumenti UNIQLo ed è poi arrivato a tôno per unirsi a Next Commons Lab, un progetto nato per reclutare e formare nuovi imprenditori e rivitalizzare così l’economia locale. Su oltre 80 candidati è stato uno dei due selezionati a dirigere il nuovo birrificio. “Da appassionato della birra ho sempre sognato di aprire un mio locale. Devo però ammettere che l'inizio non è stato per niente facile, ad esempio abbiamo faticato molto a trovare uno spazio adatto. Alla fine siamo stati fortunati ad imbatterci in un magazzino abbandonato di sakè. Grazie ai contributi del crowdfunding abbiamo potuto


rimetterlo a nuovo e trasformarlo nel nostro punto degustazioni”, ci spiega hAkAmADA Daisuke. Eppure la vera difficoltà è stata creare una comunità di appassionati di birra artigianale in un mercato che continua a restringersi. Secondo i dati ufficiali del censimento, la popolazione a tôno ha toccato il picco verso il 1960, ma da allora non ha cessato di diminuire da 60 anni e oggi è inferiore a quanto fosse un secolo fa. Inoltre, secondo i dati del comune, il 37,6% della popolazione ha superato i 65 anni. “Tôno conta solo 26.000 abitanti, una base piuttosto piccola, soprattutto se in pochi avevano la cultura della birra artigianale, avendo bevuto Kirin e Asahi per una vita intera”, ci ricorda il proprietario della tono Brewing Company. L’impresa non era però una novità assoluta, visto che al momento della sua inaugurazione un birrificio più grande era già in attività. “Alla Kamihei Shuzô producono tradizionalmente sakè, ma da alcuni anni hanno iniziato con la birra artigianale Zumona”, ci spiega hAkAmADA Daisuke. “Non c’è per ora una diretta concorrenza: sono almeno cinque volte più grandi di noi e vendono la loro birra in negozi e supermercati mentre noi ci concentriamo solo sulla degustazione nel nostro locale. Piuttosto capiamo entrambi che l’unico modo di progredire è coordinarci per lavorare su diversi progetti che promuovano l’immagine della birra artigianale di Tôno. Di recente ad esempio abbiamo fabbricato una birra in collaborazione chiamata One and Only Tono Lager. Una parte dei ricavi viene donata alla campagna di prevenzione del Covid qui nella prefettura di Iwate”. A causa della pandemia la tono Brewing Company si è fermata per tutto aprile anche se all’epoca Iwate non aveva alcun caso di contagio. Gli affari non sono andati troppo bene dopo la chiusura. “Recentemente anche a Tôno è stato registrato un primo caso di coronavirus”, ci confida. “All'improvviso hanno tutti meno voglia di bere e mangiare fuori”. Ciononostante, la sera in cui ho visitato il birrificio diversi gruppetti di clienti stavano comunque degustando la birra e

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A Tôno si raccolgono oggi 202 tonnellate di luppolo rispetto alle 446 del 2008.

la cucina del posto. I problemi legati al Covid non sono che una parte delle difficoltà. Il problema principale è che l'industria locale del luppolo si trovi in contrazione e avrebbe grande bisogno di investimenti, nuove persone e nuove idee. La tradizione del luppolo a tôno ha 56 anni, ma ogni anno declina e la produzione attuale non è che un settimo dei picchi di una volta. “Per prima cosa mancano i giovani agricoltori. Vent’anni fa contavamo 239 coltivatori di luppolo a Tôno e oggi non sono che 33. L’anno scorso il raccolto è stato di 43 tonnellate, imparagonabile alle 229 del 1987”, sottolinea hAkAmADA Daisuke. La situazione di tôno è la stessa di tante altre regioni del paese. Secondo l’associazione nazionale degli agricoltori i raccolti di luppolo si sono dimezzati nell’ultimo decennio, passando da 446 tonnellate del 2008 a 202 tonnellate nel 2018, una piccola parte delle oltre 4.000 tonnellate che sono invece importate dall’estero. “Una delle ragioni dell’assenza di forze fresche

nella produzione del luppolo è che questa coltivazione necessita di maggiori investimenti rispetto ad altre. Installare i tralicci sui quali si sviluppano gli steli lunghi e sottili del luppolo e mantenere la coltivazione costa molto. Un altro problema è la relazione della regione con Kirin. La presenza del grande gruppo a Tôno risale a numerosi anni fa e ha ormai monopolizzato il mercato locale. Tutti gli agricoltori hanno dei contratti esclusivi con Kirin, con effetti negativi e positivi sul settore locale. Da una parte il sostengo di una grande azienda come Kirin li fa sentire sicuri e protetti, qualsiasi cosa accada si sa già che si venderà tutto il raccolto. D’altra parte questa condizione non favorisce in alcun modo il dinamismo e l’innovazione”, giudica l’imprenditore. Per salvare l’industria locale del luppolo bisogna prevedere due mosse. “Per prima cosa dobbiamo usare un’ottica strategica e mettere Tôno sulla carta della birra artigianale giapponese una volta per tutte. La popolazione locale è troppo bassa, dobbiamo attirare turisti e amanti della birra dal

Zoom Giappone è pubblicato dalle Edizioni Ilyfunet 12 rue de Nancy 75010 Paris - Francia Tel: +33 (0)1 4700 1133 / Fax: +33 (0) 4700 4428 www.zoomgiappone.info info@zoomgiappone.info Deposito legale: a pubblicazione ISSN: 2492-7414 - Stampato in Francia Responsabile della pubblicazione: Dan Béraud Hanno partecipato a questo numero: Odaira Namihei, Gabriel Bernard, Gianni Simone, Mario Battaglia, Silvia Madron, Sara Sesia, Eva Morletto, Eric Rechsteiner, KOGA Ritsuko TAKACHI Yoshiyuki, KASHIO Gaku, ETORI Shoko, TANIGUCHI Takako Marie Varéon (conception graphique) Pubblicità: info@zoomgiappone.info

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resto del Paese e dall’estero. Poi, per quanto riguarda la produzione, dobbiamo meccanizzare e rendere più efficiente la raccolta. Le coltivazioni usano ancora dei metodi inefficaci, vecchi di 30 o 40 anni, e questo porta a raccolti piuttosto scarsi rispetto a Paesi come la Germania in cui vengono usate le tecniche più moderne. Gli agricoltori devono poter comprare nuovi strumenti e aggiornare i loro metodi, così, anche se il numero di coltivatori continuerà a scendere, saremo comunque capaci di mantenere il rendimento attuale”, aggiunge. Ad avere la stessa idea di hakamada è stato anche YoShIDA Atsushi. Prima impiegato di un’agenzia pubblicitaria a Yokohama, da qualche anno si è trasferito a tôno, città natale di sua moglie, ed è diventato agricoltore. ha iniziato coltivando i Pimiento de Padrón, dei peperoni spagnoli spesso usati in Spagna come spuntino insieme ad una birra. Dopo essere passato al luppolo, ha importato dalla Germania una serie di macchinari dal valore di 25 milioni di yen (200.000 euro) e ha riorganizzato i campi per rendere la raccolta più veloce ed efficiente. “Usando le tecniche tedesche, i giorni necessari alla spollonatura dei vecchi ceppi, procedura necessaria per iniziare a coltivare ad aprile, sono ridotti a un settimo. Inoltre, ora, per la raccolta è sufficiente un addetto, mentre con i metodi tradizionali ne servono da tre a sette”, ci spiega. Il suo campo oggi non misura che un ettaro, ma prevede di aumentare progressivamente la zona coltivabile fino a 8 ettari entro il 2026 grazie ad una ricomposizione fondiaria. tornando alla tono Brewing Company, hAkAmADA Daisuke mi mostra il loro piccolo birrificio. La produzione attuale è così bassa che la birra è appena sufficiente per il locale, ma per il momento la scarsa quantità è bilanciata dall’alta qualità, anche grazie al collaboratore ÔtA mutsumi. Si tratta di un ex ingegnere con esperienze da NEC e Pioneer e senza alcuna conoscenza precedente nel campo della birra. Grazie al programma Next Commons Lab ha potuto però visitare più di 30 birrifici in tutto il Giappone e formarsi nel dettaglio in tre di questi. A tôno si occupa in particolare della produzione della birra, controllando la qualità e l’elaborazione di ricette. La tono Brewing Company ha il grande vantaggio di avere molto luppolo fresco a portata di mano. “Lo si raccoglie ad agosto e settembre. Non serve solo a dare alla birra il suo gusto amaro, ma sterilizza, stabilizza la birra e ne migliora la conservazione. Eppure il luppolo si rovina in fretta perché ha molta acqua, per questo di solito viene essiccato subito dopo il raccolto, prima di essere spedito. Per fortuna qui la vicinanza alle coltivazioni ci permette di usare il luppolo fresco appena raccolto”, spiega hAkAmADA Daisuke. Il suo piccolo birrificio ha prodotto finora 25 tipi diversi di

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Hakamada Daisuke ha fondato la Tono Brewing Company e la sua ambizione è farne un punto di riferimento nazionale

birra, dalle ales alle IPA alle stouts. Inoltre mettono a disposizione degli agricoltori e della cittadinanza il loro stabilimento, aiutandoli nella creazione di una birra personalizzata. “Il nostro obiettivo è fare di Tôno una destinazione turistica. Speriamo che progetti come il nostro festival annuale della raccolta del luppolo e l’inserimento nel circuito ‘Beer Experience’ contribuiranno presto a rendere nota Tôno come la città della birra e non solo come la città del luppolo”, ci dice l’imprenditore. JEAN DEROME

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INFORMAZIONI PRATICHE PARTENDO DA TÔKYÔ il modo più facile è usare il Tôhoku Shinkansen fino a Shin-Hanamaki (circa tre ore) e da lì prendere la linea Kamaishi fino a Tôno (55 minuti circa). Tono Brewing Company https://tonobrewing.com/ Zumona (Kamihei Shuzô) 31 Chiwari-19-7 Aozasacho Nukamae, Tôno https://kamihei-shuzo.jp/ Beer Experience www.beerexperience.jp Hops Harvest Festival www.facebook.com/tonohopharvestfes/


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