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RICERCA

RICERCA Investimenti e carriere

All’Italia servono 50.000 nuovi ricercatori

Rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia è il fanalino di coda come numero di scienziati. Un problema che spinge i più giovani a emigrare e priva il Paese di una risorsa importante anche dal punto di vista economico

a cura della REDAZIONE L ’Italia ha bisogno di più ricercatori. Per l’esattezza, ne servono altri 50.000 circa per raggiungere una proporzione tra scienziati e abitanti simile a quella dei nostri vicini: al momento, fatte le dovute proporzioni, ne abbiamo la metà rispetto alla maggior parte dei Paesi europei. “Il nostro Paese ha investito finora in ricerca l’1,4 per cento del PIL contro il 2,1 per cento della media europea” spiega la ministra della ricerca e dell’università Maria Cristina Messa. L’Italia è infatti al ven-

tisettesimo posto in Europa per numero di ricercatori su 28 Paesi.

Eppure i nostri scienziati non hanno nulla da invidiare a quelli stranieri, anzi: l’Italia supera la media europea per numero di pubblicazioni scientifiche e produce il 10 per cento delle pubblicazioni più citate al mondo. Diversi ricercatori formatisi in Italia lavorano nei laboratori all’estero e sono molto apprezzati per la qualità delle competenze acquisite nelle nostre università: un vanto per il sistema formativo italiano ma anche un problema, perché formare un giovane in modo che sia pronto per fare ricerca è dispendioso, e vederlo andar via senza più tornare non è un buon investimento.

Capitale umano

Tra ricerca e innovazione

Per colmare il gap, si punta ora soprattutto a investire sul capitale umano, garantendo ai giovani che decidono di intraprendere una carriera nella ricerca un numero adeguato di posizioni lavorative, ma anche una retribuzione in linea con quanto guadagnano i colleghi al di là delle Alpi.

“Questo è uno degli obiettivi principali del PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, per quanto riguarda la ricerca scientifica” spiega ancora la ministra Messa che, prima di accettare il ruolo di Governo, è stata docente universitaria e poi rettrice dell’Università Bicocca di Milano e conosce quindi dall’interno i problemi da risolvere e in particolare la scarsa attrattiva delle retribuzioni.

“Il secondo obiettivo del PNRR è garantire agli scienziati un flusso costante di finanziamenti pubblici per la ricerca, in modo da permettere loro di programmare il proprio lavoro.”

La mancanza di bandi regolari per il finanziamento della ricerca scientifica attraverso fondi pubblici è infatti una delle principali ragioni che spingono i ricercatori più produttivi a lasciare il Paese.

“Dobbiamo inoltre risolvere il problema della distribuzione dei ricercatori nel Paese” dice ancora la ministra. “Per questo il PNRR prevede che il 40 per cento dei fondi per la ricerca scientifica vadano al Sud. Il bando per i giovani ricercatori servirà ad attrarre nuovi scienziati nelle aree più sguarnite e sarà concorrenziale anche per gli stranieri. Nella scienza, infatti, la mobilità è una componente naturale della carriera, per cui non è un problema se i giovani italiani vanno all’estero, purché il nostro Paese sia capace di attrarre altrettanti giovani stranieri, il che al momento non accade.”

L’Italia è il fanalino di coda per quel che riguarda la relazione tra ricerca e innovazione, ovvero il passaggio dei ricercatori dal mondo universitario a quello delle aziende e viceversa, un percorso che, almeno per alcuni settori, è invece la norma all’estero. Ed è anche una necessità: la ricerca scientifica deve tradursi in soluzioni pratiche per i problemi delle persone ogni volta che è possibile, e ciò si ottiene solo se esiste un canale di comunicazione costante tra le attività produttive e chi si dedica allo studio.

Aumentare il numero dei ricercatori aiuta quindi l’intera economia del Paese: senza innovazione, infatti, si perde in competitività.

“Per affrontare i problemi complessi che vengono posti alla ricerca di questi tempi non basta avere a disposizione alcuni nomi eccellenti, occorre avere molte teste per formare la massa critica capace di utilizzare le tecnologie più avanzate e, soprattutto, di collaborare e lavorare in gruppo” dice Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di ricerca Mario Negri di Milano. “Per questo tendo a essere contrario all’idea di creare pochi gran-

di poli di eccellenza. Credo che i fondi pubblici debbano servire ad aumentare la quantità e la qualità della ricerca scientifica diffusa su tutto il territorio nazionale.” Il primo passo in questa direzione è incentivare il maggior numero di giovani a conseguire un dottorato di ricerca: un percorso post-laurea che in Italia è ancora appannaggio di pochi, perché le posizioni retribuite sono limitate e perché il titolo di dottore di ricerca non è ancora sufficientemente apprezzato dal mondo del lavoro. “Dedicare qualche anno della propria vita alla ricerca scientifica significa imparare a risolvere problemi” spiega ancora Garattini. “Una dote che dovrebbe essere apprezzata in un collaboratore.” Infine, per far crescere il numero di “addetti alla conoscenza” è necessario aumentare la quantità di fondi a disposizione per i progetti di ricerca. “Oggi in Italia, nei bandi di concorso con L’importante fondi pubblici per progetti di ricerca, viene finanziato è garantire una progressione circa il 5 per cento dei progetti presentati, una miseria rispetto al 35 per cento della di carriera Germania, al 30 per cento dell’Olanda e al 50 per cento della Svizzera” conclude Garattini. “Il problema non è la qualità delle idee proposte, ma i fondi a disposizione delle strutture pubbliche italiane.” Il rischio è che anche idee che potrebbero dare buoni risultati non vengano sviluppate, soprattutto negli ambiti di ricerca per cui non esistono organizzazioni strutturate come AIRC a sostegno dei progetti meritevoli. “Se vogliamo consegnare alle prossime generazioni un futuro all’altezza delle loro aspettative, dobbiamo promuovere e supportare con decisione e senza esitazioni la ricerca scientifica, perché deve essere chiaro che questi investimenti sono una garanzia per il futuro” conclude la ministra Messa.

PNRR dottorato di ricerca fondi pubblici

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