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CRISI UCRAINA

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CRISI UCRAINA Accoglienza ai malati

L’Italia apre le porte ai malati di cancro ucraini

La guerra nel Paese est-europeo ha peggiorato una situazione sanitaria già compromessa. Nel caso dei malati di cancro, l’emergenza è tale da richiedere spesso l’evacuazione verso ospedali attrezzati, molti dei quali in Italia

“MEDICI E RICERCATORI SUBITO ATTIVI”

Scienziati, ricercatori, medici, psicologi e infermieri: tra i profughi in fuga dall’Ucraina vi sono anche persone con qualifiche che potrebbero essere utili sia per l’accoglienza e la presa in carico dei loro connazionali, sia per l’Italia stessa. Per lavorare in una università, o per praticare la medicina e 12 | FONDAMENTALE | GIUGNO 2022la psicologia in un Paese diverso da quello in cui si è studiato, serve, di norma, un riconoscimento formale dei propri titoli e delle proprie competenze. A occuparsi di convalidare i titoli di studio esteri ci pensa il Centro di informazione sulla mobilità e le equivalenze accademiche (CIMEA), diretto da Luca Lantero. La crisi ucraina ha però accelerato l’applicazione di un regolamento che vuole favorire l’entrata nel mondo della scienza e del lavoro per chi è profugo o rifugiato. “Esiste una norma che prevede una strada preferenziale per i rifugiati o richiedenti asilo” spiega Lantero. “Nel caso dell’Ucraina abbiamo attivato un servizio chiamato Focus Ucraina che consente la verifica rapidissima dei titoli di studio.” Non solo: con

a cura di DANIELA OVADIA Come in ogni guerra, anche nel caso dell’Ucraina sono i civili a pagare il prezzo più alto, in particolare i più fragili, inclusi i malati oncologici.

La distruzione di tutta l’infrastruttura sanitaria nella parte orientale del Paese, a causa dei bombardamenti russi, ha portato, nel momento in cui scriviamo, all’evacuazione di intere aree e città. Alcuni degli sfollati si sono stabiliti più a ovest, in particolare a Leopoli (Lviv), al confine con la Polonia. Altri (circa 5,5 milioni alla fine di aprile) si sono rifugiati all’estero. Tra questi, fin da subito, i malati più gravi.

I malati di cancro

La European Cancer Organisation (ECO), che riunisce 31 società scientifiche oncologiche, insieme all’Organizzazione mondiale della sanità e alla Commissione europea ha dichiarato fin dai primi giorni del conflitto che gli attacchi al personale medico e paramedico sono crimini di guerra e che tutti i Paesi europei hanno il dovere etico di facilitare l’accoglienza dei malati di cancro che hanno bisogno di cure e trattamenti. Ha inoltre creato il sito onco-help.org, che fornisce ai malati e ai medici ucraini tutte le informazioni sulle risorse a disposizione per la cura del cancro nei Paesi che offrono asilo ai rifugiati.

Anche l’Italia non si è tirata indietro. Molti istituti oncologici collaboravano da tempo con l’Ucraina, che scontava già, prima del conflitto, le conseguenze di una organizzazione sanitaria con mezzi limitati e con un ridotto accesso a farmaci e terapie innovative. In quel Paese i tassi di mortalità infantile per tumore erano molto superiori a quelli delle nazioni europee: se in Europa in media guarisce il 75-80 per cento dei bambini, in Ucraina si arrivava a malapena al 55 per cento. La causa principale di tassi di sopravvivenza così bassi è da sempre il ritardo nella diagnosi e la mancanza di strumenti e terapie di avanguardia che, quando disponibili, sono a totale carico delle famiglie, poiché i fondi della sanità pubblica sono molto limitati. La guerra ha fatto precipitare una situazione già critica.

una norma speciale, il Governo italiano ha decretato che tutti gli operatori sanitari ucraini (medici, psicologi e infermieri) possono lavorare in Italia fin da subito, per un anno. Si spera in questo modo di facilitare l’assistenza sanitaria ai rifugiati ma anche di trovare personale qualificato interessato a colmare le posizioni aperte nel Servizio sanitario nazionale (in particolare come medici di base e come infermieri).

I volontari in loco

“La guerra non ha fatto altro che peggiorare le cose” spiega Roberto Brambilla, immunologo presso gli Istituti clinici Zucchi di Monza e volontario dell’associazione Soleterre, che, forte di una precedente collaborazione con il Reparto di oncologia pediatrica dell’ospedale di Leopoli, si è attivata fin dai primi giorni per portare i farmaci mancanti in territorio ucraino e per evacuare i casi più gravi verso gli ospedali italiani. Lo abbiamo incontrato al valico di frontiera di Medyka, in Polonia, mentre si accingeva a raggiungere Leopoli per dare una mano ai medici locali. “La situazione è drammatica anche nella parte ovest del Paese, ancora poco toccata dalla guerra” spiega. “Gli ospedali sono oberati di pazienti, al momento, a Leopoli hanno tre volte il numero di malati oncologici rispetto a quelli che sono abituati a curare. Si trovano in una situazione peggiore di quella che abbiamo vissuto in Italia all’apice della pandemia da Covid-19: i reparti sono pieni di feriti e malati gravi, le rianimazioni non hanno posto, tutte le risorse sono dedicate a far fronte all’emergenza. In questo contesto non solo è difficile curare chi è già in terapia, ma è impossibile fare nuove diagnosi e i ritardi accumulati peseranno sul destino dei malati.” Per questo essere trasferiti all’estero è spesso l’unica speranza per molti pazienti. E i centri italiani hanno aperto le loro porte fin dai primi giorni del conflitto.

La Lombardia è stata tra le prime Regioni ad attivare un ponte aereo. Sono arrivati pazienti all’Istituto nazionale dei tumori di Milano e all’Ospedale San Gerardo di Monza (in particolare presso l’ematologia pediatrica).

La Protezione civile si occupa di distribuire i pazienti su tutto il territorio nazionale: alcuni sono stati presi in carico dall’Ospedale Gaslini di Genova, altri dagli ospedali della Rete oncologica toscana. In prima linea anche i presidi del Piemonte e del Lazio. A fine marzo, la Guardia di finanza ha attivato la propria Centrale remota per le operazioni di soccorso sanitario (CROSS), che, grazie a voli dedicati, ha portato fino al confine ucraino gli oncologi dell’Ospedale Meyer di Firenze e poi della rete ospedaliera abruzzese, con lo scopo di assistere i colleghi ucraini, consegnare medicine e strumenti e accompagnare verso l’Italia chi aveva bisogno di essere evacuato.

L’Italia non è ovviamente sola in questo sforzo per supportare i malati di cancro. Tutti i Paesi europei contribuiscono come possono, ma la solidarietà ha anche attraversato l’oceano. ASCO, l’associazione degli oncologi statunitensi (di fatto la più grande associazione internazionale di oncologia) ha attivato una rete di sostegno e di consulenza che non riguarda solo l’Ucraina, ma anche i Paesi confinanti come la Polonia, la Romania e la Moldavia, sopraffatti dalle ondate di profughi e dalle richieste di assistenza. “Non possiamo lasciare soli i Paesi confinanti” ha detto infatti Hans Kluge, direttore dell’OMS per l’Europa. “Anche loro avevano problemi già prima della guerra a tenere in piedi il proprio sistema sanitario. Se i loro ospedali si troveranno in difficoltà nel gestire l’arrivo degli sfollati, la crisi sanitaria si estenderà e non riguarderà più solamente gli ucraini, ma tutta l’Europa dell’Est. Per questo è necessario organizzare un’azione efficiente e combinata che veda protagonisti tutti i centri di cura europei e che salvi il maggior numero di vite umane.”

Ucraina solidarietà pazienti oncologici

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