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Pena di morte e coscienza europea /Pena di morte

PENA DI MORTE E COSCIENZA EUROPEA

di Vincenzo Ceruso

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Negli anni della “primavera hitleriana” Montale scriveva (1):

la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue / s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate, / di larve sulle golene, e l’acqua seguita rodere / le sponde e più nessuno è incolpevole

Quanto scriveva il poeta è ancora più vero oggi, in tempo di globalizzazione. Nessuno è incolpevole, cioè nessuno è irresponsabile dei crimini perpetrati nei confronti di un altro essere umano in qualunque parte del mondo avvengano.

Dopo la II guerra mondiale, l’Europa ha sentito fortemente questa responsabilità nei confronti del resto del mondo. Il continente che si era reso colpevole delle peggiori violazioni dei diritti umani, è divenuto il primo continente liberato dalla pena capitale e primo nella lotta alla pena di morte nel mondo.

Il 4 novembre 1950 i governi riuniti a Roma adottarono la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Tale trattato, oltre ad essere giuridicamente vincolante, istituiva una Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La giurisprudenza della Corte è giunta a vietare agli Stati membri l’estradizione di individui verso paesi che applichino la pena di morte. Si è trattato di una lettura combinata dell’articolo 2 della Convenzione, che sancisce il diritto alla vita di ogni individuo, e del Protocollo n. 6 alla stessa Convenzione, adottato nel 1983 (2). Infatti, nella sua prima stesura, l’art. 2 stabiliva: “Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nei casi in cui il delitto sia punito dalla legge con tale pena”. Il successivo Protocollo ha abolito del tutto la pena di morte, salvo ipotesi eccezionali confinate al tempo di guerra.

La Carta dei Diritti dell’Unione Europea ha espresso un orientamento netto in tal senso, asserendo che “nessuno può essere condannato alla pena di morte né giustiziato” (comma 2, art. 2). La coscienza europea ha affermato sempre di più il legame strettissimo tra il diritto alla vita e il no alla pena di morte. Una rapida lettura della geografia della pena di morte basta a mostrare quanto ciò non sia affatto scontato, tanto che in diverse parti del mondo si è arrivato ad “ipotizzare che l’irrogazione della pena di morte possa essere sanzione adeguata per assicurare essa stessa il diritto alla vita” (3). Tale interpretazione, oltre a ribadire una funzione deterrente della pena di morte che non ha alcun fondamento storico-giuridico, sottende una finalità puramente retributiva della pena che ha trovato un autorevole avallo giurisprudenziale presso alcune sentenze della Corte Suprema degli Stati Uniti. Non è inutile ribadire l’ingenuità di questa concezione retributiva e il volto feroce di un diritto che somiglia fin troppo alla legittimazione della semplice vendetta.

In taluni contesti questa lettura ha trovato spazio appoggiandosi ad una lettura fondamentalista del Primo Testamento che, in realtà, non trova ragione d’essere rispetto ad una corretta esegesi: “non bisogna confondere la vendetta di cui si parla nel Primo Testamento con l’idea di vendetta della nostra società. La vendetta va innanzitutto intesa come il ristabilimento del diritto anche con l’uso della forza” (4). Dio si presenta negli antichi testi come il garante del diritto, che interviene per ristabilire la giustizia nel mondo, tutelando il debole, l’oppresso, il povero.

Per concludere, mi sembra singolare che oggi il sogno europeo di una tutela universale dei diritti umani e di abolizione della pena di morte, sia incarnata da un Papa argentino, che non esita a dire un no radicale alla pena di morte in tutte le sue forme, sia quelle extragiudiziali, sia quelle legali, giungendo ad equiparare l’ergastolo ad una pena di morte mascherata. Rivolgendosi ai giuristi, Bergoglio si è espresso contro il “populismo penale” che anima alcuni sistemi giuridici: “Si è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e collettivi più degni di protezione” (5).

In un’Europa afflitta dagli egoismi nazionali e localistici, che rischia di dimenticare le sue radici culturali e spirituali, ripartire dal no alla pena di morte è un modo per ribadire l’umanesimo che è alla base della costruzione europea, ben oltre ogni logica mercatista.

Mappa tratta dal Rapporto “Death Sentences And Executions 2014” http://www.amnestyusa.org/pdfs/DeathSentencesAndExecutions2014_EN.pdf

(1) - E. Montale, Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 2012, p. 256.

(2) - C. Russo – P. M. Quaini, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Giuffrè editore, Milano, 2006, p. 87.

(3) - V. Angiolini, Diritti umani. Sette lezioni, Giappichelli editore, Torino, 2012, p. 61.

(4) - A. Spreafico, Da nemici a fratelli, San Paolo, Milano, 2010, p. 132.

(5) - Discorso del Santo Padre alla delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale, 24 ottobre 2014.

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