11 minute read

Le popolazioni native del Nord America, discriminazione e genocidio

LE POPOLAZIONI NATIVE DEL NORD AMERICA, DISCRIMINAZIONE E GENOCIDIO

OGGI È UN BUON GIORNO PER ESSERE “QUALCOS’ALTRO”

Advertisement

di Chiara Casotti

Something Else, così sono stati classificate le comunita’ native dalla rete televisiva nazionale CNN durante gli scrutinii elettorali di qualche settimane fa: qualcos’altro. A parte la reazione di indignazione sollevata e le scuse dell’emittente televisiva piu’ importante degli Stati Uniti, è un elemento che fa notare come ad oggi ci siano criticita’ nell’affrontare i problemi che riguardano l’integrazione e il riconoscimento delle comunita’ native nord americane.

Ph: web-facebook

It’s a good day to be somthing else “oggi è un buon giorno per essere qualcos’altro”, ironizza un meme diventato virale sui social, ispirato al popolare film Smoke Signals del 1998. La frase originale era “It’s agood day to be Indigenous”.

Ph.: web-twitter

Quando si parla di popolazioni native nord americane, il quadro e’ assai complesso e variegato (anche dal punto di vista meramente terminologico di definizione della loro identita’: l’uso in italiano di Comunita’ native e in inglese di First Nations, sono le uniche due formule approvate da tutti i gruppi nord americani per identificarsi).

Con l’espressione nativi americani si intende indicare le popolazioni che abitavano il continente americano prima della colonizzazione europea e i loro odierni discendenti. L’etnonimo indiani d’America (e anche pellirosse) utilizzato e abusato, oggi è considerato termine inappropriato e di uso offensivo.

Le comunita’ sono tante e con usi, cultura, lingue diverse fra loro.

Cio’ che le accomuna dal diciassettesimo secolo in avanti è la costante azione di sterminio fisico e culturale che hanno subito, da parte dell’invasione “bianca” e della colonizzazione dei territori “scoperti” dagli europei.

Censimento 2010 delle popolazioni native negli USA

Fonte: U.S. Census Bureau, 2010 Census. 2010 Census Summary File 1.

Da poco tempo è stato sdoganato il termine “genocidio” per parlare della costante violenza subita dalle comunita’ native nordamericane.

Oltre al GENOCIDIO FISICO, che ha visto sterminare piu’ di dieci milioni di persone nell’arco di meno di un secolo, un’azione altrettanto grave e nefasta è stata quella che noi, oggi, definiamo GENOCIDIO CULTURALE.

Fin dai primi incontri con le popolazioni native fino ai giorni d’oggi, le azioni dei governi Statunitensi e Canadesi sono state volte ad annientare la cultura nativa, le sue tradizioni, le lingue, i costumi, il cibo, la spiritualita’, in molti modi.

La segregazione in aree impervie del territorio nord americano, i divieti di ritualita’ e uso della lingua, le adozioni forzate, ecc..

Un caso che ha segnato duramente ogni comunita’ nei terrritori del nord è stato l’imposizione in Canada delle residential schools per tutti i bambini e bambine native, scuole religiose, cattoliche e anglicane soprattutto, in cui si insegnava l’annientamento della persona in quanto nativa, per portarla all’assimilazione della cultura bianca anglosassone.

CANADA: Il sistema delle scuole residenziali

Mappa Nativi USA / A Quincentennial Map of American Indian History, Russell, George L., Phoenix: Thunderbird Enterprises 1992

Fonte: https://publications.newberry.org

Nella seconda metà dell’Ottocento, la Gran Bretagna aveva gettato le basi - prima con il Gradual Civilization Act del 1857, poi con l’Indian Act del 1876 - per rendere le popolazioni native una categoria legalmente inferiore di cittadini canadesi.

Ciò divenne possibile a partire dalle teorie razziste che i coloni inglesi ed i missionari cattolici condividevano: gli “indiani” rappresentavano un grado inferiore di civilizzazione, la loro religione era demoniaca, compito degli europei “civilizzati” e timorati da Dio sarebbe stato quindi quello di “uccidere l’indiano che c’era in loro” per rendere possibile al tempo stesso la conversione all’ “unico vero Dio” e l’assimilazione all’interno del sistema legale di dominio occidentale.

Il governo britannico e le quattro Chiese cristiane (Cattolica Romana, Anglicana, Presbiteriana e Metodista) arrivarono alla conclusione che il modo più rapido per assicurare l’assimilazione forzata dei nativi era attraverso il sistema educativo: per questo a partire da meta’ del XIX secolo migliaia di bambini nativi vennero presi con la forza e inseriti nel programma ministeriale delle Scuole Residenziali Indiane.

Per essere “protetti da ogni male che li circondava”, i bambini nativi vennero allontanati dai genitori, dal nucleo familiare e dalla comunità, per essere “tenuti costantemente all’interno della società civilizzata”, dove era proibito parlare la propria lingua e usare vestiti e oggetti non occidentali. Fratelli e sorelle non potevano comunicare, erano costretti a lavori pesanti, veniva loro cambiato il nome e addirittura in alcune scuole veniva loro assegnato solo un numero di identificazione.

Anni dopo, denunce dei sopravvissuti alle scuole residenziali hanno portato alla luce un quadro di abusi fisici ed emozionali sistematico, sommato a una formazione effettivamente povera, perché al governo canadese non interessava l’educazione degli alunni nativi, cio’ che interessava era la loro assimilazione, e distruzione della loro identita’ originaria. Oltre al genocidio culturale, un gran numero di bambini perse la vita nelle scuole residenziali.

Nel 1996 la Royal Commission on Aboriginal Peoples stimò che oltre la metà degli studenti nativi morì all’interno delle scuole; molti morirono di malnutrizione, altrettanti furono stroncati dalla tubercolosi, malattia importata dagli inglesi. Inoltre, dopo l’emanazione ad Alberta nel 1928 del Sexual Sterilization Act, molte bambine e donne native vennero sterilizzate senza il loro consenso, all’interno delle scuole residenziali come nelle strutture ospedaliere federali. Le sterilizzazioni forzate continuarono fino al 1973.

Nell’ambito della psichiatria alcuni autori, tra cui Llowyd Hawkeyes Robertson, hanno individuato in molti ex alunni delle scuole residenziali indiane il cosiddetto Disturbo da Stress Post-Traumatico (Post Traumatic Stress Disorder), rinominato per l’occasione “Sindrome della Scuola Residenziale” (Residential School Syndrome).

Cross Lake Indian Residential School in Cross Lake, Manitoba, Canada. Foto d’archivio, Febbraio 1940 (Indian and Northern Affairs/Library and Archives Canada/Reuters). Nell’ambito della psichiatria alcuni autori, tra cui Llowyd Hawkeyes Robertson, hanno individuato in molti ex alunni delle scuole residenziali indiane il cosiddetto Disturbo da Stress Post-Traumatico (Post Traumatic Stress Disorder), rinominato per l’occasione “Sindrome della Scuola Residenziale” (Residential School Syndrome).

Indian and Northern Affairs/Library and Archives Canada/Reuters

Episodi di razzismo sistemico si verificano anche oggi nelle scuole e nelle università. Uno studio recente ha infatti dimostrato come gli studenti universitari nativi debbano convivere costantemente con un sentimento di inadeguatezza e frustrazione, a causa delle costanti discriminazioni di colleghi, gestori di servizi (librerie, biblioteche, posti di ristorazione, locatori di appartamenti) e personale di vigilanza, sviluppando sentimenti di insicurezza, supposta inferiorità, inadeguatezza a cui possono seguire stress, depressione, dipendenza da psicofarmaci, da droghe o da alcool.

Sebbene avvicinarsi alla cultura tradizionale possa giocare un ruolo positivo nell’affrontare la discriminazione, i risultati dello studio suggeriscono che gli studenti nativi che svolgono le pratiche tradizionali siano ancora più discriminati degli altri.

Le scuse ufficiali del governo canadese, riguardo alla creazione del sistema criminoso che rispondeva al nome di scuole residenziali indiane, sono giunte solo nel 2008 con il primo ministro Stephen Harper, e un’azione di “riconciliazione” avviata da allora, che prevede azioni di documentazione, indennizzo, e integrazione educativa del sistema.

AZIONI LEGALI E DI SUPPORTO ALLE COMUNITA’ NATIVE

Per quanto riguarda il genocidio fisico e culturale nel Nord America, non c’è stato un processo unitario o una azione legale presso le competenti sedi internazionali (Corte Penale Internazionale, Commissione Interamericana per i Diritti Umani, ecc..) e nazionali (Corte Suprema) efficace, volto a condannare gli Stati Uniti e il Canada per il genocidio nei confronti delle comunita’ native nord-americane, (e le poche petizioni giunte in sede alle Nazioni Unite si sono arenate nella poltiglia della politica diplomatica..).

In questi ultimi anni, la parola genocidio, per indicare tutte le violenze subite dalle First Nations, sta diventando di uso comune e accettata: sta avvenendo un lento, ma costante, cambianto culturale (di pensiero) e politico (di approccio alla questione).

Le comunita’ native che vivono in nord America sono moltissime e agiscono spesso in modo separato tra loro: questo è stato un grosso problema in passato, perché ha frazionato le azioni legali per la loro tutela, ne ha ridotto forse la forza di impatto e ha creato differenze di recepimento normativo da provincia a provincia (in Canada) o da stato a stato (in Usa). Nello stesso tempo pero’, questo pullulare di azioni si è intrecciato alle vicende politiche contemporanee, modificando positivamente comunque la situazione odierna delle comunita’ native all’interno dei due macro sistemi Canada e Usa.

Si riportano qui, come esempi, alcuni casi recenti:

Lo Stato della California l’anno scorso (2019) ha riconosciuto e si è scusato ufficialmente per l’avvenuto genocidio (ha usato proprio questo termine) delle comunita’ che abitavano in quel territorio.

Nel 2013 la comunita’ Lakota del South Dakota ha presentato una petizione all’ONU per dichiarare gli Stati Uniti colpevoli di genocidio. Questa petizione aveva uno scopo forse piu’ simbolico, per catturare l’attenzione su altri problemi legali della comunita’, in particolare per fermare l’affidamento dei bambini nativi a famiglie bianche (qui bisognerebbe aprire una parentesi specifica riguardo ai numerosi children act).

Tra il 2008 e il 2015 la Commissione per Verita’ e Riconciliazione si è occupata del riconoscimento delle violenze perpetrate nelle scuole residenziali in Canada e ha denunciato chiaramente il sistema di genocidio culturale e assimilazione dei bambini nativi pianificato dal governo per oltre due secoli.

Sempre in Canada è in atto un lento processo di riconciliazione politica, che passa attraverso il riconoscimento del Governo e degli Enti locali di stare occupando la terra delle comunita’ native. È un’azione simbolica, ma importante per far prendere coscienza a tutti gli abitanti canadesi della pari dignita’ dei loro connazionali nativi.

Molte sono le azione a difesa dell’ambiente, che per le comunita’ native sono azioni a difesa dei loro territori e diventano, di fatto, azioni a tutela della cultura sociale nativa.

Negli Stati Uniti, ad esempio, forse qualcuno avra’ sentito parlare della lotta per fermare la costruzione di un oleodotto all’interno della riserva di Standing Rock (e’ una delle poche azioni arrivate perfino sulla nostra stampa italiana..). Come questa, ce ne sono in atto molte altre.

Io personalmente, sto seguendo la vicenda legale della comunita’ di Grassy Narrow, che combatte contro una multinazionale del legname, che ha distrutto l’habitat della sua riserva (falde acquifere inquinate, deforestazione, impoverimento faunistico..).

Le sentenze e i provvedimenti politici, che vengono presi a seguito di tutte queste azioni, (solo per citarne alcune, a titolo puramente esemplificativo e non esaustivo, sentenza Tsilhqot’in Nation v. British Columbia del 2014, sentenza Sparrow del 1990, sentenza Van der Peet del 1995, Haida Nation v. British Columbia del 2004, ecc...) stanno denunciando le violenze subite a causa del colonialismo moderno e contemporaneo e stanno riconoscendo i diritti finora negati. É un processo di cambiamento lento, ma costante e concreto.

È interessante anche osservare come stia evolvendo nei piani scolastici, didattici e culturali il resoconto della vicenda storica del genocidio (dal mio punto di vista è ancora agli albori..)

Dunque, Amnesty International sta procedendo in questo modo: cammina al fianco delle comunita’ native, constatando che la necessita’ primaria è supportarle nelle azioni che loro direttamente attivano e stanno attivando per ottenere giustizia (legale, sociale, culturale).

Diritti umani e le devastazioni ambientali in Canada & negli USA

I nativi in contrapposizione con i governi e contro le multinazionali: oggi sono tra i principali difensori dell’ambiente e dei diritti ad essa correlati. La loro lotta quotidiana parte spesso da problemi locali di violenza e abuso di risorse ambientali.

Qui riportiamo alcuni casi seguiti dal Coordinamento, per dare un quadro dei diversi aspetti racchiusi nel termine “diritti ambientali” in relazione ai diritti umani.

1. Canada, Provincia del British Columbia:

Il popola nativo Anishinaabe di Grassy Narrow, che vive a nord del Superior Lake in Ontario, sta subendo dagli anni ‘70 l’avvelenamento delle proprie acque con il mercurio delle compagnie del legname che disbocano la zona. Il popolo nativo Secwepemc, che vive nel sito di Mount Polley, nella regione del Lago Quesnel, dal 2014 subisce l’avvelenamento delle proprie acque con sostanze chimiche di scarto, riversate da parte della omonima Compagnia Mineraria.

Per Amnesty International e la communita’ internazionale quanto sta succedendo in questa determinata zona costituisce una forma di “genocidio ambientale”, poiché non solo modifica profondamente l’habitat naturale di questo popolo nativo, ma, anche, ne altera i comportamenti, in particolare tra i piu’ giovani che per piu’ tempo sono stati esposti a bere questa acqua contaminata e che finiscono con l’avere delle crisi nervose che ne alterano i comportamenti per l’appunto. Questi stessi giovani costituiscono la prima linea nelle proteste nei confronti di queste azioni (un esempio di questa lotta è Autumn Peltier una sedicenne attivista che si batte per la tutela delle acque e che è andata pure a parlare alle Nazioni Unite nel 2018 per denunciare questo problema).

Il premier canadese Justin Trudeau ha promesso di intervenire per porre rimedio a questo annoso problema, ma per il momento non ha fatto niente.

L’attivista canadese Autumn Peltier dell’isola di Manitoulin, al tempo appena tredicenne, si rivolge all’Assemblea generale delle Nazioni Unitein occasione della World Water Day del 2018. La sua richiesta diproteggere l’acqua del mondo faceva parte del lancio da parte delleNazioni Unite del International Decade for Action on Water forSustainable Development.

Manuel Elias/UN Photo

2. USA: diversi problemi di abusi dei diritti umani dei nativi nord-statunitensi:

A. Casi di “STUPRO ETNICO”

Nel 2007 Amnesty International pubblicava un rapporto intitolato “Maze of Injustice: The faillure to protect Indigenous Women / Una giustizia ingannata - la mancanza di protezione delle donne native dell’Alaska dalla violenza sessuale” in cui le donne Inuit (che impropriamente - e spesso in modo offensivo - vengono chiamati “eschimesi”) sono state vittime di stupro etnico, ovvero una forma di abuso sessuale finalizzato all’odio razziale. Si precisa che nei territori del nord (tra cui lo stato dell’Alaska stantunitense) ci sono enormi interessi economici, perché territori ricchi di materie prime, tra cui il petrolio. Questi territori vengono strenuamente difesi dalle comunita’ native locali.

Le autorita’ statunitensi al momento non hanno posto rimedio alcuno contro questa violenza etnica di genere, pur essendo vincolate a farlo anche in base agli standard internazionali dei diritti umani (vedasi anche la Convenzione di Istanbul per la Tutela delle Donne e lo Sradicamento di ogni forma di Violenza perpetrata nei Loro confronti, ndr).

B. Progetti infrastrutturali senza il consenso dei nativi:

Un caso emblematico, forse al momento il piu’ famoso, ma non l’unico nel genere, è il caso di mancata richiesta di consenso da parte della popolazione nativa Sioux del Nord Dakota nella costruzione a fianco della loro riserva di un oleodotto destinato a congiugere pozzi petroliferi del nord con il sud degli stati uniti fino ad arrivare fino in Illinois, un oleodotto lungo oltre 1000 chilometri. Per proseguire la costruzione di questo mostro ambientale sono stati registrati in molte occasioni abusi della forza - con connessioni razziste - da parte della polizia statunitense nei confronti di nativi residenti in quest’area, durante le proteste pacifiche messe in atto per questa devastazione ambientale a cui sono loro malgrado sottoposti.

C. Raccomandazioni di Amnesty International, affinché gli Stati Uniti:

1. Eroghino adeguati finanziamenti per i tribunali autogestiti dai nativi, che vengano tutelati i diritti delle donne tramite la Legge contro ogni forma di violenza alle Donne e che siano salvaguardati i loro diritti connessi con la salute e la sicurezza sociale dei nativi;

2. Implementino una formazione per le forze dell’ordine che contempli l’anti-razzismo e il differente approccio culturale da tenere con i nativi;

3. Attuino nei servizi sanitari i protocolli standard per il contrasto della violenza sessuale;

4. Il Congresso statunitense riconosca i tribunali nativi come gli unici organi penali nei loro territori, indipendentemente, dall’etnia del reo;

5. Gli USA adottino una politica esplicita atta a non alterare l’habitat dei nativi con dei progetti infrastrutturali senza il consenso dei nativi.

IN EVIDENZA: MAZE OF INJUSTICE: The faillure to protect Indigenous Women https://www.amnesty.org/download/Documents/AMR510592007ENGLISH.PDF

Chiara Casotti: Responsabile Coordinamento Nord America e Isole Caraibiche di Amnesty International Italia

This article is from: