4 minute read

Le persecuzioni nei confronti dei Curdi

LE PERSECUZIONI NEI CONFRONTI DEI CURDI

di Giusi Muscas e Giorgio Galli

Advertisement

I curdi sono circa 35 milioni. Sparsi su un vasto territorio di montagna, sono il più grande popolo senza nazione e uno dei più discriminati. Non esiste infatti uno Stato del Kurdistan: i curdi vivono fra Turchia, Iran, Iraq e Siria e non sono né arabi, né persiani, né turchi, pur rappresentando la quarta etnia del Medio Oriente. Il territorio su cui vivono è uno dei più ricchi della regione, soprattutto di petrolio e risorse idriche.

La lingua curda è una delle lingue iraniche insieme al farsi e al pashto. Si tratta quindi di una lingua indoeuropea, non associabile al turco. È vero tuttavia che per molto tempo gli intellettuali curdi si sono espressi in turco, non lasciando traccia scritta della propria lingua madre. La maggior parte degli studiosi ritiene che i curdi non siano etnicamente indoeuropei e che la loro lingua sia il frutto di un’assimilazione progressiva. Non esiste peraltro un’unica lingua curda, ma tre varietà evolutesi parallelamente: il kurmanji, parlato a settentrione; il sorani, nell’area centrale, e il pehlewani -o curdo meridionale- parlato nell’Iran occidentale.

Al tramonto dell’Impero ottomano, Francia e Inghilterra se ne spartirono le spoglie. Il territorio curdo venne smembrato: il trattato di Sèvres, del 1920, che istituiva l’attuale Stato turco, prevedeva la formazione di un Kurdistan indipendente, ma tale ipotesi fu fermamente respinta da Mustafa Kemal, fondatore della moderna Turchia. Il successivo Trattato di Losanna - del 1923 - cancellava ogni riferimento alle rivendicazioni territoriali curde. Sottoposti a una politica di assimilazione forzata dai diversi Stati e in particolare da quello turco, i curdi sono stati deportati, hanno dovuto cambiare i loro nomi e l’uso della loro lingua è stato tollerato solo in privato. La Turchia è arrivata persino a negare la loro esistenza come gruppo etnico, chiamandoli spregiativamente “turchi di montagna”. Ancor più grave il comportamento dell’Iraq di Saddam Hussein, che nell’attacco chimico di Halabja del 1988 arrivò a uccidere 5.000 curdi.

Risale al 1978 la creazione in Turchia del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), fondato da Abdullah Öcalan e dichiarato organizzazione terroristica anche da Stati Uniti e Unione Europea. Con lo scoppio del conflitto siriano, nel 2011, è nata la Federazione del Nord della Siria -non ufficialmente riconosciuta- nota anche come Rojava o Kurdistan occidentale. Fondamentali nella lotta allo Stato islamico, i curdi del Rojava sono stati considerati terroristi dalla Turchia perché legati al PKK. Nel 2019, con il ritiro del contingente americano dalla regione, il governo di Ankara si è sentito libero di sferrare l’attacco militare noto come Operazione Sorgente di pace, che ha provocato centinaia di vittime e 160.000 sfollati. Dato il legame tra Putin e Ankara, l’unico alleato rimasto ai curdi del Rojava è il dittatore siriano Bashar al-Assad.

Di orientamento socialista, il PKK ha annesso grande importanza all’emancipazione femminile, contrariamente a quanto suggeriva la retorica ufficiale turca - che sottolineava il divario tra donne turche, formalmente emancipate, e patriarcato degli arretrati curdi. Le donne del PKK sono state etichettate dal governo turco come prostitute perché, in una prospettiva patriarcale, non potevano essere considerate terroriste e la loro ribellione doveva essere degradata in termini sessisti. Ma anche i nazionalisti curdi hanno frenato sullo sviluppo di un movimento femminile indipendente. Essi hanno infatti insistito sul mito - poco fondato nella realtà storica - di un’ancestrale autonomia delle donne curde, sminuendo il ruolo dei movimenti di liberazione femminile. Il mito della libertà della donna curda è stato creato soprattutto per ottenere le simpatie dell’Occidente. In realtà, l’azione dello Stato turco e quella dei nazionalisti curdi sono state singolarmente concordi. Per reagire all’assimilazione, infatti, i curdi si sono radicati ancor di più nelle loro tradizioni, portando a un’ulteriore sottomissione delle donne. Quasi completamente analfabete, queste ultime parlavano il curdo come unica lingua ed erano depositarie della memoria storica del popolo. L’insorgere del conflitto è stato la loro occasione per rivendicare libertà dai loro stessi uomini. Il PKK poi ha segnato una significativa rottura con il passato già da quando, con l’imprigionamento di molti indipendentisti uomini a partire dal 1980, le donne curde hanno dovuto imparare a relazionarsi con l’autorità pubblica e la burocrazia, ampliando la loro sfera di azione. Il 1987 ha visto la nascita dell’Unione Patriottica delle Donne del Kurdistan e nel 1993 sono state formate le prime unità militari di sole donne. Il processo è culminato nel 2005 con la fondazione del Consiglio Superiore delle Donne. L’esercito turco si è reso responsabile di violenze sistematiche contro le donne militanti. Tali violenze avevano un ruolo simile a quello degli “stupri di guerra” nella ex Jugoslavia: erano volte infatti a umiliare il nemico ledendo quella che nella cultura patriarcale dominante è considerata una sua proprietà. L’attivismo delle donne curde contro la Stato islamico va visto anche in questo contesto: l’affermazione dell’Islam politico significherebbe infatti la perdita di tutti i progressi compiuti per l’emancipazione femminile nell’arco di oltre un secolo.

Va tuttavia sottolineato che, secondo Amnesty International, anche i curdi del Rojava si sono resi responsabili di violazioni dei diritti umani. Un rapporto di fine 2015 riporta infatti che le forze curde del nord della Siria potrebbero aver commesso crimini di guerra, quali trasferimenti forzati e demolizioni di case della popolazione araba locale, saccheggi e distruzioni di villaggi e paesi.

Giusi Muscas: Membro del Coordinamento Europa di Amnesty International Italia

Giorgio Galli: Attivista di Amnesty International Italia

FONTI:

- Osservatorio Diritti https://www.osservatoriodiritti.it/2020/01/09/curdi-siria-in-turchia-news-isis-cosa-stasuccedendo-storia/

- Nena News http://nena-news.it/le-radici-della-rivoluzione-delle-donne-curde-i-parte/

- Eastjournal https://www.eastjournal.net/archives/67057

- Amnesty International https://www.amnesty.org/en/documents/mde24/2503/2015/en/

Combattente curda delle YPJ, Unità di Protezione delle Donne, ramo femminile delle Unità di Protezione del Popolo, in prima linea contro lo Stato Islamico. Siria, Novembre 2014

© Bruno Deniel-Laurent

Curdi iraniani Peshmerga membri del Kurdistan Democratic Party (KDP-Iran) prendono parte alle esercitazioni militari di routine a Koya, 100 km a est di Arbil, la capitale della regione autonoma curda dell’Iraq settentrionale. 9 dicembre 2014

© SAFIN HAMED/AFP via Getty Images

This article is from: