Voci - Numero 2 Anno 6 - Amnesty International in Sicilia

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Umanità violata: storie di popoli perseguitati

LE PERSECUZIONI NEI CONFRONTI DEI CURDI di Giusi Muscas e Giorgio Galli

Combattente curda delle YPJ, Unità di Protezione delle Donne, ramo femminile delle Unità di Protezione del Popolo, in prima linea contro lo Stato Islamico. Siria, Novembre 2014 © Bruno Deniel-Laurent

I curdi sono circa 35 milioni. Sparsi su un vasto territorio di montagna, sono il più grande popolo senza nazione e uno dei più discriminati. Non esiste infatti uno Stato del Kurdistan: i curdi vivono fra Turchia, Iran, Iraq e Siria e non sono né arabi, né persiani, né turchi, pur rappresentando la quarta etnia del Medio Oriente. Il territorio su cui vivono è uno dei più ricchi della regione, soprattutto di petrolio e risorse idriche. La lingua curda è una delle lingue iraniche insieme al farsi e al pashto. Si tratta quindi di una lingua indoeuropea, non associabile al turco. È vero tuttavia che per molto tempo gli intellettuali curdi si sono espressi in turco, non lasciando traccia scritta della propria lingua madre. La maggior parte degli studiosi ritiene che i curdi non siano etnicamente indoeuropei e che la loro lingua sia il frutto di un’assimilazione progressiva. Non esiste peraltro un’unica lingua curda, ma tre varietà evolutesi parallelamente: il kurmanji, parlato a settentrione; il sorani, nell’area centrale, e il pehlewani -o curdo meridionale- parlato nell’Iran occidentale. Al tramonto dell’Impero ottomano, Francia e Inghilterra se ne spartirono le spoglie. Il territorio curdo venne smembrato: il trattato di Sèvres, del 1920, che istituiva l’attuale Stato turco, prevedeva la formazione di un Kurdistan indipendente, ma tale ipotesi fu fermamente respinta da Mustafa Kemal, fondatore della moderna Turchia. Il successivo Trattato di Losanna - del 1923 - cancellava ogni riferimento Voci - DICEMBRE 2020 N.2 / A.6

alle rivendicazioni territoriali curde. Sottoposti a una politica di assimilazione forzata dai diversi Stati e in particolare da quello turco, i curdi sono stati deportati, hanno dovuto cambiare i loro nomi e l’uso della loro lingua è stato tollerato solo in privato. La Turchia è arrivata persino a negare la loro esistenza come gruppo etnico, chiamandoli spregiativamente “turchi di montagna”. Ancor più grave il comportamento dell’Iraq di Saddam Hussein, che nell’attacco chimico di Halabja del 1988 arrivò a uccidere 5.000 curdi. Risale al 1978 la creazione in Turchia del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), fondato da Abdullah Öcalan e dichiarato organizzazione terroristica anche da Stati Uniti e Unione Europea. Con lo scoppio del conflitto siriano, nel 2011, è nata la Federazione del Nord della Siria -non ufficialmente riconosciutanota anche come Rojava o Kurdistan occidentale. Fondamentali nella lotta allo Stato islamico, i curdi del Rojava sono stati considerati terroristi dalla Turchia perché legati al PKK. Nel 2019, con il ritiro del contingente americano dalla regione, il governo di Ankara si è sentito libero di sferrare l’attacco militare noto come Operazione Sorgente di pace, che ha provocato centinaia di vittime e 160.000 sfollati. Dato il legame tra Putin e Ankara, l’unico alleato rimasto ai curdi del Rojava è il dittatore siriano Bashar al-Assad. Di orientamento socialista, il PKK ha annesso grande importanza all’emancipazione femminile, contrariamente a quanto suggeriva la retorica 24


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