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Sahara Occidentale: l’ultimo territorio conteso in Africa

SAHARA OCCIDENTALE: L’ULTIMO TERRITORIO CONTESO IN AFRICA

di Martina Costa

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Quella del Sahara Occidentale è la storia di un territorio ancora conteso. Una costruzione coloniale, al cui centro vi è la supremazia con i suoi specifici processi di assoggettamento, repressione e violenza. La storia di un popolo cresciuto nell’occupazione e che continua a lottare per liberarsene.

Le mappe geografiche portano i segni di questo conflitto. I confini che vengono mostrati nelle mappe danno già una chiara idea di quello che quotidianamente, ormai da un secolo e mezzo, succede in questo lembo di terra. Linee tratteggiate, carte topografiche oscurate, confini astratti o arbitrariamente segnati: questa è la storia dell’ultimo territorio conteso in Africa.

Classificato dall’ONU come “Territorio non indipendente”, il Sahara Occidentale è situato nell’Africa occidentale, tra Marocco, Mauritania e Algeria. Circa 1000 km delle sue coste affacciano nell’oceano Atlantico, che fanno del Sahara Occidentale uno dei Paesi più pescosi della regione.

Dalla fine dell’Ottocento, durante il periodo coloniale, il Sahara Occidentale è stata una colonia spagnola. Nel 1958 la zona meridionale del Sahara occidentale (Río de Oro) insieme alla parte settentrionale (Saguia el-Hamra) vennero unite in un’unica provincia sotto il nome di “Sahara Spagnolo”.

La presenza coloniale nel territorio produce dei movimenti e delle forme di resistenza. Di fronte alla repressione della Spagna, nel 1973 viene fondato il Fronte Polisario (Per la libertà del Saguiet-elhamra e del Rio de Oro), il movimento di ribellione di aspirazione socialista. Sostenuto dall’Algeria, il movimento inizia sin da subito la lotta armata per il rientro in patria.

Nel 1975 la Spagna di Franco, prossima alla fine, e soggetta alle pressioni ONU nei processi di decolonizzazione, abbandona la colonia africana. Vengono allora firmati gli Accordi tripartitici di Madrid con il Marocco e la Mauritania, ma invece di organizzare il referendum previsto per l’autodeterminazione, i due Paesi invadono il Sahara occidentale, dividendoselo. Durante la Marcia Verde, 350 mila marocchini vengono mandati nel Sahara Occidentale, per rivendicarne il possesso; così il Marocco ottiene i due terzi del nord e la Mauritania un terzo del sud.

La nuova occupazione del Marocco e della Mauritania viene vissuta come un’ulteriore invasione e una nuova colonizzazione. Così nel 1976, viene proclamata la Repubblica Araba Sahrawi Democratica (RASD) dal Fronte Polisario, che con il sostegno attivo dall’Algeria, ha proclamato la propria sovranità sul territorio. La lotta armata del Fronte Polisario colpisce con incursioni fulminee le forze marocchine e mauritane che considera come nuove forze di occupazione.

I bombardamenti aerei con napalm e fosforo bianco delle forze marocchine portano all’esodo decine di migliaia di civili saharawi dal Paese, che si rifugiano a Tindouf in Algeria, dove i campi profughi diventano la nuova base operativa del Fronte Polisario. Esiliati, ai campi profughi vengono dati i nomi delle città saharawi che la popolazione è stata costrette ad abbandonare (Aousserd, El-Ayoun, Boujdour, Smara e Dakhla).

Nel 1979 il fronte Polisario ottiene il ritiro della Mauritania dai territori occupati, annessi successivamente al Marocco che domina adesso la maggior parte del territorio.

Il conflitto armato tra il fronte Polisario e il Marocco si rivelerà lungo, estenuante e privo di risoluzione.

Al fine di impedire le incursioni del Polisario nei territori occupati e l’acquisizione delle risorse naturali, negli anni Ottanta, il Marocco inizia a costruire dei muri di sabbia. Dal 1989 il muro difensivo, anche detto il muro della vergogna o “berm”, disegna una nuova geografia: dividendo in due il Sahara Occidentale, la maggior parte del territorio è occupato dal Marocco, mentre il 20% ad est del muro è sotto il controllo del Fronte Polisario.

La lunga guerriglia contro il Marocco ha un momento di pausa nel 1991 con il cessate il fuoco imposto dall’Onu, che costituisce la missione “Minurso” (Missione delle Nazioni Unite per l’organizzazione di un referendum in Sahara Occidentale), volta a sorvegliare il rispetto del cessate il fuoco, facilitare il rientro dei profughi e vigilare sullo svolgimento del referendum per l’autodeterminazione del popolo saharawi, da sempre osteggiato dal Marocco.

Dopo 29 anni, l’impegno dell’Onu a favore di una soluzione politica definitiva non è stato ancora concordato tra le parti e il referendum non si è ancora tenuto.

Il prezzo di questa pace apparente è stato molto caro e alla speranza di un ritorno nel proprio Paese sono seguiti 29 anni di silenzi, rinvii, proroghe, e ancora repressione, torture e minacce.

Nel frattempo il muro di separazione, che taglia il Paese da nord a sud in quello che dovrebbe essere il Sahara Occidentale, ha raggiunto i 2.720 chilometri ed è il più lungo al mondo, dopo la muraglia cinese. Il Marocco dispiega a presidio della linea difensiva circa 185 mila soldati, che corrisponde alla quasi totalità della popolazione saharawi che vive nei campi profughi.

I campi attorno alla costruzione di sabbia contengono circa 6 milioni di mine antiuomo, facendo di quell’aria una delle più minate al mondo. Le mine rendono il territorio particolarmente inospitale, soprattutto a causa del fatto che vento e pioggia hanno spostato e sotterrato i dispositivi, rendendo la bonifica della zona particolarmente complessa.

Il costo di questa securitizzazione dei confini è elevatissimo: si calcola che la gestione di questo muro costi a Rabat circa 4 milioni di dollari al giorno.

Il popolo saharawi, e intere famiglie sono quindi separate: una parte vive nei territori occupati in Sahara Occidentale, sotto la sovranità del Marocco, altri vivono in esilio in Mauritania, e secondo i dati ufficiali dell’UNHCR del 2018, rifugiati nei campi profughi di Tindouf vivono almeno 173.600 saharawi.

Quanto costa la pace in Sahara Occidentale? Dopo 44 anni dalla proclamazione della Repubblica saharawi e 29 anni dalla promessa del referendum, violazioni dei diritti umani, arresti arbitrari, rapimenti, torture e sparizioni a danno di oppositori politici e attivisti saharawi sono continuati ben oltre il cessate il fuoco del ’91.

La situazione dei civili saharawi che vivono nei territori occupati del Marocco è critica. Diversi rapporti di Amnesty International documentano tutta una serie di brutali tecniche di tortura usate dalle forze di sicurezza marocchina nei confronti dei detenuti, soprattutto attivisti per i diritti umani e militanti. Inoltre, le autorità marocchine impediscono sistematicamente i raduni nel Sahara Occidentale a sostegno dell’autodeterminazione saharawi, ostacolano il lavoro di alcune ONG locali per i diritti umani e reprimono il lavoro di attivisti e giornalisti che documentato i crimini dell’occupazione marocchina contro il popolo saharawi.

Sebbene gli studiosi della decolonizzazione pongano come data conclusiva del fenomeno il 1997, il colonialismo non è ancora finito. Il Sahara Occidentale è, ad oggi, l’unico Paese in Africa il cui territorio rimane conteso, uno dei conflitti post-coloniali non ancora risolti.

Ma perché un territorio arido e sabbioso suscita questo incredibile interesse? Da una parte, poiché il Sahara Occidentale è bagnato da una parte d’oceano tra i più pescosi dell’Africa, il Paese detiene una delle più grandi industrie ittiche, e dall’altro vi sono tra i più grandi giacimenti di fosfati al mondo.

Il Sahara Occidentale è infatti un Paese ricco di pesce, fosfato, petrolio, uranio e ferro. I giacimenti di petrolio e le coste pescose sono considerate fra le più ricche dell’intera costa africana.

Il governo del Marocco, che considera il Sahara Occidentale come parte delle sue province meridionali, continua a portare avanti un’occupazione illegittima e a sfruttare il territorio a danno della popolazione autoctona che da decenni denuncia l’espropriazione delle risorse naturali del proprio territorio.

La risposta internazionale all’occupazione illegittima del Marocco è alquanto contradittoria. Mentre nel 2015 e nel 2016 due sentenze della Corte di giustizia dell’Unione Europea hanno invalidato parzialmente due accordi di commercio tra Unione Europea e Marocco, che non ha diritto di sfruttare le risorse naturali del Sahara Occidentale non detenendone legalmente la sovranità, nel 2018 un nuovo accordo di pesca tra Unione Europea e Marocco è stato siglato.

La repubblica saharawi è riconosciuta da diversi Paesi africani, che ha permesso il suo ingresso nel 1982 nell’Unione Africana, con la conseguente l’uscita del Marocco, rientrato solo nel 2017. Il Marocco, che conta dell’appoggio della Spagna e della Francia, primo e secondo partner commerciali, cerca di finanziare gli Stati che non riconoscono il Sahara Occidentale.

Le Nazioni Unite, che dovevano essere la soluzione, sono invece diventate parte del problema. Il processo di negoziazione sponsorizzato dalle Nazioni Unite tra il Marocco e il Fronte Polisario per l’autodeterminazione del Sahara occidentale è rimasto bloccato, causando sfiducia e sconforto nel popolo saharawi che non crede più alle promesse internazionali.

Il 13 novembre 2020, dopo 29 anni di calma apparente, la regione è stata testimone di nuove tensioni.

Da diverse settimane, attivisti e militanti saharawi stavano protestano pacificamente, impedendo la circolazione di merci e persone nell’unico passaggio terrestre utilizzato dal Marocco, quello nella zona del El Guerguerat, nell’estremo sud-ovest del Sahara occidentale, situata al di fuori del muro di difesa. Questo varco illegale, di fondamentale importanza soprattutto in questo periodo, permette infatti al Marocco di collegarsi con la Mauritania e commerciare illegalmente con l’Africa, depredando le ricchezze del Sahara Occidentale.

L’esercito marocchino ha allora risposto lanciato un’operazione militare nell’area, penetrando nella zona cuscinetto di El Guerguerat e violando il cessate il fuoco del 1991.

In attesa che vengano rispettati gli accordi firmati dalle parti, il popolo saharawi è stanco e disilluso: 44 anni di occupazione militare, violazioni dei diritti umani, repressioni, intimidazioni, violenze di ogni genere, sfruttamento delle risorse economiche, il tutto nel silenzio mediatico internazionale. La causa saharawi è quella di un popolo che ha diritto all’autodeterminazione e a vivere dignitosamente nel proprio territorio.

Disillusi da accordi di pace inefficaci, adesso il popolo saharawi ritorna a combattere. Vogliamo vivere sulle nostre terre libere con dignità, altrimenti moriremo fino all’ultima anima ma almeno seppelliti sotto la nostra terra amata

(Mohamed Dihani, attivista saharawi per i diritti umani)

La lotta e il sacrificio del popolo saharawi devono riuscire a riscattare dall’oblio le parole della resistenza: libertà, dignità e autodeterminazione.

Martina Costa: Attivista del Gruppo Italia 290 di Amnesty International Italia

Uno dei campi profughi saharawi a Tindouf, Algeria

© Mahrez Ben Chenouf

Mappa geopolitica del Sahara Occidentale

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