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Medz yeghern, “il grande crimine”: lo sterminio degli Armeni

MEDZ YEGHERN, “IL GRANDE CRIMINE” LO STERMINIO DEGLI ARMENI

di Giuseppe Provenza

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Quando l’Impero Ottomano entrò in guerra, nell’ottobre del 1914, era guidato, fin dal 1908, dal “Movimento dei Giovani Turchi”.

Il Movimento, nato nell’ambito dell’esercito proclamando obiettivi democratici, aveva ottenuto il ripristino della costituzione, concessa da tempo e mai applicata, e la concessione della libertà di stampa.

Tuttavia il prevalere, nell’ambito dello stesso movimento, di frange ultranazionaliste, aveva portato l’Impero ad entrare in guerra a fianco di Germania e Austria-Ungheria e contro, in primo luogo, l’Impero Zarista.

La fazione più estremista del partito, sotto la spinta della guerra, aveva sostenuto l’esigenza di rafforzare l’unità nazionale mediante l’omogeneizzazione culturale, religiosa e linguistica dell’intera popolazione, composta in realtà da tante etnie.

Fra queste, particolarmente numerosa era la comunità armena, di religione cristiana ortodossa, nei confronti della quale il regime sollevò il sospetto di collaborazione con la Russia, con cui confinavano i territori a prevalenza armena, descrivendo gli armeni come dei traditori che costituivano delle vere e proprie minacce per l’Impero Ottomano.

In realtà gli armeni erano visti dal regime come il principale ostacolo alla creazione di uno stato turco omogeneo con unica lingua ed unica religione, occupando una vasta area ad oriente dell’Impero, parlando una lingua non turca e professando una religione diversa dall’Islam. Contro il popolo armeno, quindi, si concentrò l’azione del movimento al potere al fine del conseguimento dell’obiettivo prefissato.

L’accusa del tradimento, fra l’altro, forniva una giustificazione alla sconfitta subita nel gennaio del 1915 dall’esercito Ottomano da parte di quello russo, in cui si disse che militassero migliaia di armeni “traditori”.

Era la notte del 24 aprile 1915 quando i più importanti personaggi di etnia armena della città di Costantinopoli, oggi Istanbul, furono arrestati e deportati. In relazione a ciò la data del 24 aprile resta, per gli armeni, il giorno in cui si ricorda il genocidio.

In quei giorni le vittime della retata furono parecchie centinaia e molti di essi furono barbaramente uccisi nei giorni seguenti nelle carceri dell’Impero.

Ma quello fu, in realtà, soltanto l’inizio di un periodo di deportazione di massa della popolazione armena, che si prolungò anche dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano nella guerra mondiale.

Da Costantinopoli la persecuzione degli armeni si spostò nei territori a prevalenza armena. Iniziarono così i sequestri dei loro beni, riassegnati a turchi, e la deportazione di milioni di persone, uomini, donne, bambini, anziani, verso l’odierna Siria, allora parte dell’impero Ottomano, in un viaggio a piedi, durante il quale morì la gran parte dei deportati per la fame, la sete, le malattie, lo sfinimento.

Scriveva il 7 ottobre 1915 il New York Times, riferendo fatti denunciati dal console italiano:

“La procedura abituale era quella di radunare l’intera popolazione di una città designata. Una parte della popolazione fu gettata in prigione e il resto fu portato fuori città e nei sobborghi gli uomini furono separati dalle donne e dai bambini. Gli uomini venivano poi portati in un posto conveniente, fucilati e attaccati con la baionetta, le donne e i bambini venivano quindi messi sotto un convoglio di soldati del tipo inferiore e inviati in una destinazione lontana. Sono stati guidati dai soldati giorno dopo giorno. Molti caddero per strada e molti morirono di fame, perché non venivano loro fornite provviste. Furono derubati di tutto ciò che possedevano, e in molti casi le donne furono spogliate e costrette a continuare la marcia in quelle condizioni. Molte delle donne impazzirono e gettarono via i loro figli. Il percorso della carovana era segnato da una fila di cadaveri. Comparativamente poche persone giunsero a destinazione.”

Secondo rapporti diplomatici statunitensi nel luglio del 1915 migliaia di soldati armeni furono prima disarmati e poi, condotti presso delle cave, furono fucilati in massa dai soldati turchi ed abbandonati nelle cave.

In seguito a questi massacri da parte di alcuni armeni vennero costituiti dei centri di resistenza che il più delle volte si conclusero con nuovi massacri.

Una testimonianza agghiacciante della spietatezza del governo nei confronti degli armeni è fornita dal dispaccio inviato dal ministro Taalat Pascià al governatore turco di Aleppo il 15 settembre 1915: “Siete già stato informato del fatto che il governo, su ordine del partito (Unione e Progresso), ha deciso di sterminare l’intera popolazione armena… Occorre la vostra massima collaborazione… Non sia usata pietà per nessuno, tanto meno per le donne, i bambini, gli invalidi… Per quanto tragici possano sembrare i metodi di questo sterminio, occorre agire senza alcuno scrupolo di coscienza e con la massima celerità ed efficienza. Coloro i quali si oppongono a questo ordine non possono continuare a rimanere negli organici dell’amministrazione dell’impero”.

I numeri di questo genocidio sono molto dibattuti. Tuttavia la cifra più comunemente accettata è di 1.500.000 morti.

Finita la guerra, venne intentato a Costantinopoli un processo ad alcuni membri del partito dei giovani turchi per l’eccidio degli armeni (negando comunque i termini di eccidio e genocidio) più per addossare a questi le responsabilità che per reali scopi di giustizia.

Il 10 agosto 1920 i paesi vincitori della prima guerra mondiale sottoscrissero il trattato di Sèvres per la definizione del nuovo assetto territoriale dell’Impero Ottomano, guidato adesso dal Primo Ministro Kemal Atatürk, futuro Presidente, dal 1923, della Repubblica Turca, dopo la deposizione del Sultano.

All’Armenia fu assegnata gran parte dell’ex Caucaso ottomano, incluse regioni (ad esempio la provincia di Trebisonda, importante porto sul Mar Nero) nelle quali ormai non c’era una presenza significativa di popolazione armena, dopo i massacri e le deportazioni cui era stata sottoposta.

Il Trattato fu, tuttavia, ignorato dal governo kemalista che non ne accettava le condizioni, sicché svanì la nascita di un’Armenia indipendente comprendente sia i territori russi che quelli turchi.

Si era intanto costituita nel 1917 la Repubblica Federale Democratica Transcaucasica che comprendeva gli attuali stati dell’Azerbaijan, della Georgia e dell’Armenia, per poi divenire nel 1922 Repubblica Socialista Federativa Sovietica Transcaucasica.

Nel 1936 nacque la Repubblica Socialista Sovietica Armena come repubblica a sé stante facente parte dell’Unione Sovietica, occupando soltanto una piccola porzione di quello che per secoli era stato il territorio armeno e di ciò che il trattato di Sèvres aveva assegnato al suo popolo.

L’Armenia è quindi divenuta indipendente nel 1991 in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica.

Quella recente del popolo armeno è stata quindi in un primo tempo la storia di un genocidio, ma è diventata, successivamente, la storia di un popolo abbandonato dal resto del mondo ai voleri dei più forti.

Giuseppe Provenza: Membro del Comitato Direttivo di Amnesty International Italia. Membro del Gruppo Amnesty Italia 233.

Immagine tratta dalla storia dell’ambasciatore Morgenthau, scritta da Henry Morgenthau, Sr. e pubblicata nel 1918, p.314 - Didascalia dal libro: “THOSE WHO FELL BY THE WAYSIDE” (QUELLI CHE CADONO PER LA STRADA). “Scene come questa erano comuni in tutte le province armene, nei mesi primaverili ed estivi del 1915. La morte nelle sue varie forme - massacro, fame, esaurimento - distrusse la maggior parte del profughi. La politica turca era quella dello sterminio con il pretesto della deportazione”.

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