Il Calciatore Maggio_Giugno_2020

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Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/PD –Anno 48 –N. 03 Maggio/Giugno 2020 –Mensile

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Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori

MAG-GIU

2020

Centrocampista del Sassuolo

Manuel Locatelli scendere per risalire


FIGURINE 2019•2020

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editoriale

di Damiano Tommasi

Vietato ai minori Ripartire ma non per tutti. Mi ha fatto un certo effetto leggere nei protocolli della ripresa, come fosse un dettaglio, che i pochi raccattapalle previsti dovranno essere maggiorenni. Sicuramente un particolare che non rende precaria la ripresa ma un emblematico messaggio si può leggere tra le righe. Vietato ai minori. Lo spettacolo, il ritorno in campo, la “normalità” ritrovata sono cose per adulti. Non sono stato a chiedermi più di tanto i motivi sanitari o legali dietro a questa scelta ma ho avuto la conferma che il ritorno in campo è stato complesso e continua ad essere complicato. Si è alleggerita la quarantena obbligatoria e, al momento in cui andiamo in stampa, non dovrebbe essere più un possibile detonatore che fa tornare tutto al 10 marzo, giorno di chiusura.

I “minori”, però, non sono solo i raccattapalle. I minori del nostro sport sono anche tutti quelli che non se lo sono potuti permettere. Il calcio di Serie A e B è ripartito soprattutto perché i conti non tornavano. In tutte le discipline, in tutte le federazioni, l’unico ragionamento alla base delle scelte è sempre stato quello della convenienza economica. Si perde di più a riprendere o se ci si ferma? Per settimane e mesi si è discusso di sicurezza sanitaria, protocolli, competitività, ricorsi e verdetti sportivi da riservare al campo. Più passavano i giorni, però, e più si guardavano i conti. Riprendere per terminare la stagione 2019/2020 quanto avrebbe inciso sulla stagione 2020/2021? Riprendere a porte chiuse quanto avrebbe inciso sui mancati incassi? Riprendere la stagione quanto avrebbe inciso sui costi per il personale? Ma soprattutto, chiudere tutto anticipatamente avrebbe fatto risparmiare qualcosa o no? Se dovessimo guardare i fatti e contare le discipline che hanno ripreso la stagione ci rendiamo conto, quindi, che il ritorno in campo è davvero vietato ai minori. Proibito a tutti

quelli che vivono di pubblico pagante e di sponsor del territorio, proibito a chi non deve difendere i diritti TV a tutti i costi perché il loro peso percentuale sui ricavi è davvero voce secondaria del bilancio. Il calcio dilettantistico, il femminile e quasi tutte le discipline sportive al di fuori del calcio hanno chiuso anzitempo e ci possiamo rendere conto oggi che sono fratelli e sorelle minori. La Lega Pro è rimasta a metà del guado, con la scelta altrettanto emblematica del “chi se la sente", tradotto siete minorenni ma chi si sente già adulto può continuare. Forse al momento l’unico aspetto positivo, a proposito di vietato ai “minori”, sono le porte chiuse. In un periodo di grande sensibilizzazione al tema del razzismo, dove lo sport si è decisamente esposto contro ogni forma di discriminazione, ci stiamo evitando l’imbarazzo di qualche mugugno, fischio o qualcosa di peggio durante le partite. Almeno quei “minorenni" li stiamo lasciando fuori. Tornando ai campionati e al calcio giocato il ragionamento può tranquillamente essere esteso a livello europeo. Cipro, Olanda, Malta, Belgio realtà che hanno certificato lo status di “minorenni" con la chiusura e forse anche la Francia si è resa conto di non essere ancora adulta. Fa però impressione catalogare tra i minorenni anche le Nazionali. Tutto rimandato per dare precedenza alle Coppe Europee forse è l'atto di abdicazione più simbolico di sempre. Ubi maior direbbe qualcuno ma la riflessione obbligatoria per tutto il sistema sportivo, allora, è se davvero solo ciò che gode di diritti TV ultra milionari può permettersi di aspettare, di correre quel rischio calcolato che consente di tornare a giocare? O più semplicemente, anche la salute ha un prezzo e permettersi di rischiarla è cosa per pochi (“maggiorenni”).

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sommario Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/PD –Anno 48 –N. 03 Maggio/Giugno 2020 –Mensile

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Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori

MAG-GIU

2020

Centrocampista del Sassuolo

Manuel Locatelli scendere per risalire

l’intervista 6 di Diego Guido

Incontro con Manuel Locatelli, centrocampista del Sassuolo, che racconta gli aspetti più significativi della sua carriera che, seppur breve, racchiude già molte fasi della vita di un professionista: riflettori, pressioni, bocciature, rinascite.

Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori

direttore direttore responsabile condirettore redazione

foto redazione e amministrazione tel. fax http: e-mail: stampa e impaginazione REG.TRIB.VI

Sergio Campana Gianni Grazioli Nicola Bosio Pino Lazzaro Stefano Sartori Stefano Fontana Tommaso Franco Diego Guido Mario Dall’Angelo Claudio Sottile Fabio Appetiti Maurizio Borsari A.I.C. Service Contrà delle Grazie, 10 36100 Vicenza 0444 233233 0444 233250 www.assocalciatori.it info@assocalciatori.it Tipolitografia Campisi Srl Arcugnano (VI) N.289 del 15-11-1972

editoriale

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regole del gioco di Pierpaolo Romani

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serie B di Vanni Zagnoli

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serie B di Claudio Sottile

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scatti

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scatti di Stefano Ferrio

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segreteria

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amarcord di Pino Lazzaro

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femminile di Fabio Appetiti

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femminile di Pino Lazzaro

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di Damiano Tommasi Ripartenza

Emanuele Giaccherini, piccolo grande uomo Manuel Iori

di Maurizio Borsari

Tre foto tre storie

Calcio e SLA: la ricerca continua La partita che non dimentico

Il lungo viaggio di Aida Xhaxho

Visioni Mondiali/6: Elena Linari

politicalcio di Fabio Appetiti

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calcio e legge di Stefano Sartori

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secondo tempo di Claudio Sottile

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io e il calcio di Pino Lazzaro

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Nico Stumpo

Il TAS ed un caso di “Res Judicata” Questo periodico è iscritto all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana

Finito di stampare il 10/06/2020

Francesco Zizzari Matteo Trentin

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l’intervista

di Diego Guido

Centrocampista del Sassuolo

Manuel Locatelli, scendere per risalire La carriera ancora breve di Manuel Locatelli racchiude già molte fasi della vita di un professionista. Riflettori, pressioni, bocciature, rinascite.

è un’ammissione di impotenza di fronte a quel riflesso imprevedibile.

La seconda stagione di Manuel Locatelli al Sassuolo è forse la sua prima da giocatore maturo. L'avverbio forse non è lì a mettere in dubbio il valore oggettivo di una crescita tecnica e cere-

Ho incontrato Manuel tre giorni prima di quella partita. Ci siamo seduti in una sala riunioni al primo piano del bellissimo Mapei Football Center, inaugurato nemmeno un anno fa. “Appena sono arrivato qui è stato pesante, poi mi sono calato nella realtà, l’ho capita, e ora sto molto bene”. Se è vero che non lo si può definire un veterano, è altrettanto vero che per la sua età ha già vissuto esperienze importanti. Importanti in termini di assunzione di responsabilità, di visibilità, di numero di presenze da professionista. Prima in una squadra molto importante, mediaticamente universale seppur in anni di ridimensionamento sportivo; poi in una realtà provinciale eppure estremamente ingegnerizzata in ogni sua progettualità.

le sue peculiarità e come le metta a disposizione del contesto disegnato da De Zerbi. Nel primo intercetta di testa sulla trequarti un rinvio di Mancini creando così, dal nulla, le condizioni per il 3 chiu"La certezza di diventare un giocatore ade0 lachepartita già nel primo di Serie A te la dà solo il debutto" tempo. Un inbrale oggettiva; l'avverbio forse mette tervento fatto di senso della posizione in dubbio che possa essere definito e totale fiducia nelle proprie capacità maturo un calciatore che ha appena di lettura del gioco. Nella seconda sicompiuto 22 anni. tuazione, anticipa di qualche frazione di secondo Edin Dzeko a non più di cinUno degli apogei toccati dalla squadra quanta centimetri dalla linea di porta. emiliana nel corso di questa stagione è Un intervento istintivo di Consigli su la vittoria di Reggio Emilia contro una un tiro da fuori area di Cristante, sta Roma allora quarta. Uno spettacolare per far arrivare al bosniaco la palla sul 4 a 2 in cui Locatelli spicca negli hidestro. Locatelli segue la traiettoria e ghlights di fine gara con due giocate si allunga. Dzeko si gira verso i compadecisive. Due gesti che cristallizzano gni allargando le braccia. Non è stizza;

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“Mi ricordo molto bene il viaggio in macchina da casa mia a qui. Ero con la mia ragazza. Avevamo prenotato una camera in un hotel a Modena. L’avrei lasciata prendere confidenza con la città mentre sarei andato solo al centro d’allenamento che allora era ancora lo stadio Ricci, nel centro di Sassuolo”. Manuel si ricorda perfettamente i pensieri che gli passavano per la testa. “Mi dicevo che dovevo capire che sarebbe stato diverso, che avrei trovato un posto diverso da Milanello. Me lo ripetevo per prepararmi”. Le sue parole risuonavano all’interno di quella macchina sull’Autostrada del Sole, diretta verso l’uscita di Modena Nord, con il timore che potesse essere l’uscita da altro. Voleva predisporsi al cambiamento. Voleva fare in modo che il dispiacere per aver lasciato il Milan non si traducesse in zavorra ma in benzina per i mesi successivi. E così è stato, anche se non fin dal primo momento. Manuel era legato alla maglia rossonera. “Appena arrivato qui, mi man-


l’intervista

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l’intervista

cava tutto. L’ambiente, Milanello, i tifosi, San Siro”. Già molte volte ha parlato del peso delle aspettative che nel suo periodo milanista si è trovato

in Primavera e questo mi aveva permesso di andare spesso ad allenarmi con la prima squadra. A gennaio mi hanno aggregato definitivamente. Allenandomi con "Se ora sto facendo ricredere loro mi rendevo che avrei qualcuno mi fa piacere ma non era conto potuto dire la e non è quello il mio obiettivo" mia. La certezza di diventare a sostenere. Gli chiedo se sia più un un giocatore di Serie A però te la dà vantaggio o uno svantaggio per un rasolo il debutto. Per me è stato quello gazzo avere più possibilità di esordire lo spartiacque. Prima sono solo senin una squadra così importante eppure sazioni, quando invece entri in campo così orfana di punti di riferimento, di senti le certezze”. leader emotivi. “Ci sono le due facce della medaglia. Hai la possibilità di L'esordio arriva sul finire della stagiorealizzare un sogno, però poi devi esne 2015-2016. L’anno dopo, a 18 anni, sere capace di sostenere il peso delle diventa titolare del Milan. “All’inizio pressioni da solo”. Mi racconta che c’era lo stupore. Venivo riconosciuto, già negli anni della Primavera il blaera molto bello. Poi è arrivato il macisone della società e del nome Milan ti gno. Mi sono ritrovato in una situaziofacevano sentire un giocatore imporne più grande di me e non sono stato tante. Forse troppo. “Avevo alzato il capace di gestirla in ogni aspetto”. livello nell’autunno del 2015 giocando L’impressione è che nel momento in cui si diventa titolari nel Milan nessuno poi pensi più alla tua età, al fatto che se hai 18 anni devi ancora migliorare molto, ossia sbagliare molto. Sei il titolare del Milan e tutti si aspettano che tu giochi da titolare del Milan. “Sì, è un po’ così, se giochi dove giocava Pirlo tutti si aspettano che tu faccia il Pirlo. La squadra non andava bene, c’era bisogno di parlare, c’era bisogno di trovare degli appigli, così si sono messi a parlare tanto di me dopo le prime buone partite”. Mi chiedo se a quell’età si possa materialmente gestire un tale peso. “Serve molto equilibrio, la mia famiglia mi aveva aiutato molto. Ma poi sono arrivate comunque le difficoltà. Con la maturità raggiunta ora sono certo che affronterei tutto diversamente, per forza”. La posizione di Manuel non è per nulla vittimistica. Riconosce i suoi errori senza troppi rimpianti. E senza

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l’intervista

nascondersi dietro a facili accuse al sistema mediatico che prima ti può idolatrare e poi demolire. “La bellezza di stare lì nasce proprio dalla quantità di occhi addosso che hai. Dal fatto che se fai un cambio gioco il pubblico lo sottolinea con gli applausi. Porti una maglia che è pesante perché ha fascino, e ha fascino perché l’hanno messa i più grandi. Se non vuoi sentire troppe aspettative attorno a te allora non puoi giocare nel Milan. Devi essere pronto alla pressione, devi essere pronto a San Siro. Io ero pronto per giocare, non ancora invece per gestire tutto quello che accadeva fuori dal campo. Probabilmente mi mettevo addosso anche troppa pressione da solo”. Ironia della sorte, ad alzare quel peso sulle sue spalle sono stati soprattutto i due gol arrivati ad inizio stagione. Chissà se troppo presto. Due gesti tecnici per nulla banali,

decisivi per due vittorie. Invece che un certo tipo di ambiente, un certo fargli guadagnare credito hanno crepalcoscenico, un certo tipo di città. Poi poco alla volta ho trovato l’equiato un primo debito: stampa e tifosi lo hanno presto investito di speranze librio. Sono stato avvolto dal conche chiedevano di essere ripagate in "Non è il contesto che rende fretta. La telecropesanti o leggeri gli errori. Devi naca emozionata di Ambrosini per essere tu a dargli il giusto peso" Milan Sassuolo del 2 ottobre 2016 - anche lui aveva segnatesto famigliare che si respira qui”. to il suo primo gol al Milan da fuori La scelta di Locatelli è ricaduta sul Sassuolo per molte ragioni, mi spiega. area, in quella porta, a quell'incrocio Perché c’era un progetto serio, perché - ha aggiunto epica sulle spalle ancora De Zerbi lo voleva fortemente, perché troppo giovani di Locatelli. la società era pronta a fare un investiLa maturità è arrivata a Sassuolo. Mamento importante per lui. La lezione che ha imparato in quei primi mesi non nuel sente che è così nonostante le semplici è l’importanza di trovare una difficoltà iniziali. “Qui sto benissimo, chiave di volta interiore. “Ad un ragazma all’inizio è stato molto difficile. In alcuni momenti mi sono sentito giù, zo di vent’anni che non senta più la avevo la testa che macinava di contifiducia in una grande squadra e decida di rimettersi in gioco in una realtà nuo. Pensavo a cosa avevo lasciato:

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l’intervista

LA SCHEDA

di sbagliare. Mi dice di no. “Siamo in Serie A, il risultato conta qui quanto altrove. Non è tanto il contesto che rende pesanti o leggeri gli errori. Devi essere tu a dargli il giusto peso, a superarli”. Ho l’impressione che sia assurdo credere che lui abbia ritrovato il miglior Locatel"Ho imparato che è meglio non li semplicemente a ventidue fare troppi voli di fantasia. Non do perché anni non può esserci ancora stato “il più nulla per scontato" miglior Locatelli”. sbagliare. In un posto come il Milan è Manuel è d’accordo con me. “Negli tutto talmente bello che anche in Priultimi mesi credo di aver giocato su mavera ti senti un giocatore di Serie livelli migliori rispetto al mio miglior A, e questo può essere pericoloso”. momento al Milan”. Ora resta tutto il futuro. “Ho ben chiaro quale vorrei L’addio al Milan e l’arrivo al Sassuofosse il mio percorso e la dimensione lo, per Locatelli non sono stati vissudella mia carriera. Sarà poi il tempo ti con il sapore della rivalsa. “Se ora a dire se riuscirò a raggiungere i miei sto facendo ricredere qualcuno mi fa sogni. Sono molto ambizioso ma allo piacere, non lo nascondo, ma non era stesso tempo voglio tenere i piedi e non è quello il mio obiettivo. Mi inben piantati a terra”. Si alza, prende la teressava solo dimostrare a me stesgiacca, mi stringe la mano. Lo aspetta so il mio reale valore. Tirare fuori le l’allenamento e c’è il tempo per un’ulmie qualità, potermi migliorare”. Gli tima battuta. “Ho imparato che è mechiedo se sia più facile migliorare qui, glio non fare troppi voli di fantasia. in un contesto che ti lascia più libertà Non do più nulla per scontato”. più piccola, direi di dimenticarsi del contorno. Dimenticarsi dello stadio importante, dei tifosi, delle attenzioni. Di concentrarsi soltanto su di sé. Sulla ricerca delle motivazioni dentro di sé. Sull’importanza del lavoro di ogni giorno e sull’importanza di

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Manuel Locatelli è nato a Lecco l’8 gennaio 1998. Originario di Galbiate, comincia a giocare nella squadra dell’oratorio di Pescate, allenata dal padre Emanuele. Dopo alcune stagioni nelle giovanili dell’Atalanta, a 11 anni passa al Milan. In rossonero gioca dagli Esordienti alla Primavera. Nella seconda parte della stagione 20152016 viene aggregato alla prima squadra (allenatore Brocchi) e il 21 aprile 2016, a 18 anni, esordisce in Serie A nella partita contro il Carpi (0-0) disputata a San Siro. Nella stagione successiva Montella lo impiega con continuità dopo l’infortunio occorso a Montolivo e il 2 ottobre 2016 realizza il suo primo gol in Serie A nella partita vinta 4-3 contro il Sassuolo. Vince una Supercoppa Italiana (contro la Juve) e all’inizio della stagione successiva, il 3 agosto 2017, fa il suo esordio nelle coppe europee (in Europa League contro i rumeni del CSU Craiova). La stagione successiva viene ceduto in prestito con obbligo di riscatto al Sassuolo. Ha vestito le maglie di tutte le Nazionali giovanili (U15, U16, U17 e U19) ed è l’attuale capitano del nuovo ciclo dell’Under 21 guidata da Paolo Nicolato. Stagione

Squadra

2019-2020

SASSUOLO

Serie Presenze Reti A

17

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2018-2019

SASSUOLO

A

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2

2017-2018

A.C. MILAN

A

21

0

2016-2017

A.C. MILAN

A

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2

2015-2016

A.C. MILAN

SG

16

3

2015-2016

A.C. MILAN

A

2

0

2014-2015

A.C. MILAN

SG

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2


regole del gioco

di Pierpaolo Romani

Coronavirus e dintorni

Ripartenza Ripartenza. È stata questa una delle parole che più abbiamo sentito pronunciare in prossimità dell’avvio della cosiddetta “fase 2”. Dopo diverse settimane di quarantena collettiva, di lockdown, è certamente comprensibile la voglia di ciascuno di noi di ripartire. Il che significa poter uscire dalle proprie case per fare una passeggiata,

forte la voce, a volte anche aspra, per sollecitare il Governo ad autorizzare rapidamente la possibilità di ripartire, di riaprire. E questo anche durante le settimane in cui la cosiddetta curva epidemiologica non scendeva affatto verso il basso. Leggendo certe dichiarazioni si è percepito che per alcuni dirigenti sportivi, così come per alcuni imprenditori, uno scudetto e Il calcio si fa con i calciatori, non il profitto vengono prima delcon le banconote. E i calciatori sono la salute, che le regole sono persone prima che personaggi. considerate dei una corsa, andare a lavorare o a tro“lacci e lacciuoli” anziché strumenti vare i propri parenti e amici. Ma anche che ci proteggono, che stabiliscono dopoter giocare. Sia per divertimento veri e, allo stesso tempo, garantiscono i che dal punto di vista professionale. nostri diritti, compreso quello di lavoraIl Covid 19, tuttavia, ci ha insegnato re in sicurezza. una cosa: ogni nostro desiderio, ogni Ci siamo domandati perché alcune fenostra esigenza, va ponderata con derazioni sportive hanno deliberato di quanto ci dicono gli esperti, in partichiudere in anticipo i loro campionati colare i medici. Il virus è un nemico e il calcio no? Si dirà: in questo mondo invisibile che non guarda in faccia vi sono forti interessi, economici e di nessuno. Non è ancora scomparso. potere. Vero. Ma il calcio si fa, innanziMolte persone sono contagiate e non tutto, con i calciatori, non con le banlo sanno. Ci vorrà ancora del tempo conote o le monete. E i calciatori sono per trovare il vaccino. Il rischio di torpersone prima che personaggi. Al pari nare indietro è concreto se non rispetdegli altri lavoratori, anche chi gioca a tiamo certe regole, anche semplici, calcio e coloro che operano al fianco come quello di lavarsi ripetutamente le mani, di indossare la mascherina, di mantenere il distanziamento fisico. Dobbiamo convivere con il coronavirus, ci è stato autorevolmente detto, e questo significa non solo convivere con l’incertezza e il rischio, ma anche dover rinunciare a determinate abitudini, pensare ad un nuovo modo di vivere, di viaggiare, di lavorare, di stare insieme. Questo vale anche per il mondo dello sport, compreso quello del calcio, che è parte integrante ed importante della nostra vita sociale. In questo periodo così difficile e drammatico, da parte delle società calcistiche, in particolare di Serie A, così come dal mondo imprenditoriale, si è alzata

dei calciatori hanno diritto ad operare in sicurezza e in salute. Non è un concetto facile da far passare nell’opinione pubblica. Come per i politici, tantissima gente pensa che i calciatori siano tutti ricchi, benestanti e senza problemi. Chiariamolo subito: per pochi è così, per moltissimi altri no. La paura di ammalarsi e di perdere il posto di lavoro sono presenti anche nel mondo del calcio e questo agisce sulla salute mentale degli atleti. FIFPro, il sindacato mondiale dei calciatori, ha diffuso recentemente una ricerca, svolta in collaborazione con l'università di Amsterdam, che ha coinvolto 1.602 tra calciatrici e calciatori professionisti, di 16 paesi europei. Secondo questo studio, la percentuale degli atleti e delle atlete che hanno dichiarato di essere depressi a causa delle conseguenze del Covid 19 è raddoppiata. Giorgio Chiellini, consigliere di AIC, ha dichiarato: “È molto importante che i giocatori di calcio, come le famiglie e le altre comunità, si prendano cura l'uno dell'altro, durante questo difficile periodo, rimanendo in contatto via telefono o con videochiamate. Manteniamo forte lo spirito di squadra anche quando non c'è il calcio giocato”.

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serie B

di Vanni Zagnoli

Centrocampista del Chievo

Emanuele Giaccherini, piccolo grande uomo Il Giak è un nostro vecchio amico. L’avevamo intervistato più volte, da quando si è rivelato, anche di persona, a Cesena, in mixed zone, per radio nazionali. Giak è un grande, ha giocato da titolare Euro 2012, con Prandelli, e il ’16, con Conte, gli è mancato giusto il Mondiale in mezzo, nel Sunderland era un po’ sparito dai radar azzurri. Giak è un piccolo grande uomo, un guizzante eclettico, un bravissimo ragazzo, uno che avrebbe meritato di rivelarsi prima, uno che a quasi 35 anni (a maggio) resta parecchio competitivo. Uno e 67 per 60 chili. A metà febbraio, prima dello stop causa Coronavirus, ha segnato una doppietta alla Salernitana pochi giorni più tardi ha parlato un’ora abbondante con

ai ragazzi quanto sia importante affrontare qualsiasi negativa: “È fondamentale ascoltare i consigli di persone fidate che in quel momento possono avere più esperienza”.

L’esterno di sinistra del Chievo ha raccontato anche i differenti modi di comunicare di alcuni dei suoi ex allenatori: da Prandelli a Donadoni, fino a Conte e Sarri: “Fa piacere vedere una così alta partecipazione attiva da parte di ragazze e ragazzi, attenti a quanto racconto, probabilmente perché vivono esperienze simili. È fondamentale e delicato il compito che hanno gli insegnanti a scuola e gli allenatori di tutti gli sport, riuscire a comunicare nel modo più corretto i giusti messaggi a quest’età è “È fondamentale ascoltare i consigli troppo imporIo ho avudi persone fidate che possono avere tante. to la fortuna di conoscere tanti più esperienza”. allenatori, algli alunni di prima e seconda media cuni dei quali ex giocatori di livello, e dell’istituto comprensivo di Dossobuomi sono sempre relazionato bene con no, nel Veronese, assieme a Daniel Frey tutti di loro, seppure a volte uno stile (attaccante esterno della primavera) e comunicativo fosse differente da quelad Alessia Pecchini, difensore del Chielo che io intimamente preferivo”. vo Fortitudo women. Organizzato dal responsabile del proGiaccherini ricorda il passaggio più getto “giovani cronisti” Patrizio Binazdifficile. zi, il convegno si è sviluppato intorno “A 23 anni, pensavo di smettere di ceral tema “La comunicazione nello sport care di diventare un calciatore profes– Un linguaggio rispettoso”. Di fronte, sionista, perché non vedevo sbocchi i tre gialloblù si sono ritrovati 240 alunper la carriera. Volevo tornare a casa ni accompagnati dagli insegnanti scomia, a Talla, in provincia di Arezzo, e lastici. Ognuno di loro ha sviluppato il continuare a giocare a calcio solo per tema portando agli studenti le rispettipassione, pensavo di mettere a frutto il ve esperienze sportive: Alessia collabodiploma di perito meccanico ottenuto ra con la FIGC come psicologa sportiva. alle scuole superiori. In quei momenti, chi mi era vicino ha saputo dirmi le cose Emanuele porta esempi diretti delgiuste, al momento giusto. Non ho molla carriera, spiega come è riuscito a lato e ho avuto la mia occasione. E da superare momenti difficili che l’hanno quel momento ho iniziato a realizzare fatto dubitare di poter fare della sua il mio sogno di diventare un calciatore passione calcistica il suo lavoro, soprofessionista, fino a indossare da proprattutto in gioventù, facendo capire tagonista la maglia della Nazionale”.

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Applausi, ovvi, quasi un pizzico di commozione. “Se c’è un insegnamento che si può trarre dalla mia storia, se tu capisci che devi sempre dare tutto te stesso per ottenere l’obiettivo che ti sei dato, niente è irraggiungibile. L’augurio che faccio a tutti questi ragazzi è proprio questo: a scuola, nello sport, ma in generale nella vita, cercate sempre di capire chi vi può dare i giusti consigli. Ascoltateli e date sempre il massimo in qualsiasi campo. Così facendo conquisterete i vostri obiettivi, qualsiasi essi siano”.


serie B

LA SCHEDA

Un altro bel round dialettico di Giaccherini era stato a fine ottobre. “Gli ultimi mesi sono stati difficili, non ero mai retrocesso nella mia carriera. È stato dolorosissimo, allo stesso tempo però il calcio mi ha insegnato a rialzarmi davanti agli infortuni, alle tribune, alle categorie inferiori con cui ho dovuto convivere. Non potevo andarmene, non potevo chiudere così. Prima devo riportare il Chievo dove l’ho lasciato”.

Il più basso del nostro calcio resta Giovinco, che aveva debuttato in Nazionale. “Fossimo uno e 80, nessuno ci noterebbe”.

È proprio così, caro Emanuele. I brevilinei piacciono. A Prandelli, in particolare, a Conte, molto meno a Lippi, che in Sudafrica 2010 puntò su Iaquinta e su Pepe, non così di classe ma ben strutturati fisicamente, al pari di Marchisio. Giaccherini è tifoso dell’Inter, siamo convinti resterà nel calcio, è troppo È fresco di terza paternità, Edoardo applicato e serio per non essere apè nato proprio pochi mesi fa. È stato prezzato. Intanto, gli auguriamo moll’uomo dei due scudetti con la Juve di te altre stagioni. Chissà, magari farà Antonio Conte, agli Europei di Polonia come Zola, arrivato a 39 anni, in Serie e Ucraina debuttando contro la SpaA, con il Cagliari. Al Chievo si è fermato per infortuni musco“Noi piccoletti giochiamo meglio, lari, adesso sta bene e reggere altri 4 campalla a terra. Fossimo uno e 80, può pionati. Chissà se vorrà chiudere magari in B, in nessuno ci noterebbe” anticipo, o se scenderà gna campione del mondo di Iniesta e in D, di fatto equivalente alla serie C2 Xavi, mentre in Francia 2016 fu il mida cui è partito. gliore in campo, gol compreso, contro Lo chiamavano il Messi toscano, ha il Belgio di De Bruyne (fenomenale a qualche movimento in comune con Madrid con il Manchester City) e di l’argentino, in Nazionale si era fatHazard. to largo con un presidio feroce della fascia sinistra, nel centrocampo a 5. Mille volte abbiamo ricamato sulla Undici campionati di fila a buoni livelli, sua altezza, in particolare a Cesena. uno dei giocatori più continui del no“Noi piccoletti giochiamo meglio, palla stro calcio. Un eclettico e frenetico. a terra”. Spettacolare.

Emanuele Giaccherini è nato a Talla (AR) il 5 maggio 1985. Cresciuto calcisticamente nelle giovanili del Rassina, dell’Arezzo e del Bibbiena, viene prelevato dal Cesena che lo cede in prestito al Forlì (C2) e successivamente, sempre in prestito, per due stagioni al Bellaria Igea Marina (C2) con la cui maglia subisce un brutto infortunio (asportazione della milza) e rischia di dover interrompere la carriera. Recuperato fisicamente passa al Pavia e successivamente rientra al Cesena (C1) dove diventa uno dei punti cardine della squadra che, nel giro di due stagioni, ottiene una doppia promozione fino in Serie A. Nella massima serie esordisce con i romagnoli e, grazie ad una stagione straordinaria, arriva il grande salto con il passaggio alla Juve di Conte. Due stagioni aTorino (2 scudetti, una Supercoppa e convocazione in Nazionale), poi il trasferimento in Inghilterra al Sunderland, il ritorno in Italia al Bologna, poi Napoli e dal gennaio 2018 al Chievo.

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serie B

diStefano Claudio Sartori Sottile di

Manuel Iori… ai tempi del Coronavirus

“La Casa de Manuel”, the show must go on In cabina di commento Manuel Iori e Manuel Pascali. Il centrocampista del Cittadella e il difensore del Fanfulla (Serie D), grandi amici anche fuori dal rettangolo di gioco, sono stati i mattatori di una striscia di live su Instagram, nati per cercare di portare un po’ di leggerezza durante la quarantena e trasformatisi in un “bar sport” realizzato con intelligenza e ironia. Dalle loro abitazioni di Cittadella e San Donato Milanese hanno dato vita a “La Casa de Manuel”: da una parte “Il Professore” Iori, dall’altra “Edimburgo” Pascali.

Dopo due giorni di dirette, tramite ‘All Stars for Good’, un’agenzia con la quale avevo già collaborato, abbiamo avuto l’opportunità di abbinare a questo cammino anche un fine benefico, che era uno degli scopi che ci eravamo fissati inizialmente, mettendo a diposizione un po’ di nostre maglie. Abbiamo chiesto loro di dare tutto il ricavato ai due ospedali che avevamo individuato, di Cittadella e Cosenza. I ragazzi di ‘All Stars for Good’ sono stati grandissimi, si sono adoperati perché ciò avvenisse, e ci hanno permesso di donare il 100% di quanto raccolto, senza trattenere commissioni: oltre 2000 euro. Non volevamo Com’è nata l’idea di queste dirette impostare un meccanismo ad asta per social… prof. Manuel? non scatenare un gioco a rialzo, capi“Dalla voglia di trascorrere un po’ di vamo il momento e quindi le persone magari non potevano "Se in Italia il sistema è basato fare grossi sforzi, perabbiamo lasciato sulla modalità a cascata, se non tanto abbastanza libera la beneficienza. È stato granriparte la A sotto muoiono." dioso, abbiamo intrattetempo in maniera diversa, raccontando nuto la gente e siamo riuscirti a fare del alla gente aneddoti, che magari in un bene. Ci ha fatto veramente piacere”. altro momento non avremmo tirato fuori. Non volevamo far passare il concetC’è una diretta che ti è piaciuta più di to stereotipato del calciatore sempre altre? uguale. E poi avevamo voglia di fare un “Non ne ho una preferita, tante mi qualcosa che potesse alleggerire un po’ hanno divertito, molte persone interla situazione che si era creata nei primi venute non le conoscevo direttamente. giorni di lockdown. Da lì l’idea di conLe storie di Simone Rota o di Moreno tattare Manu, che è un mio amico, una Beretta, ragazzi che hanno giocato persona cui voglio bene e che stimo. Gli con noi o contro di noi nei primi anni ho mandato un messaggio chiedendodi C2, le abbiamo raccontate perché gli se avesse voluto fare quattro chiacsono particolari. Mi ha fatto piacere chiere su Instagram, e ha subito acche tutti quelli contattati hanno dato consentito. La sua mente ha partorito disponibilità immediata. Penso ad il nome del programma, mi ha chiesto esempio ad Alino Diamanti dall’Auquali soprannomi avessi avuto in carstralia, o ad Alessandro Matri. Né io riera, gli ho detto ‘Manu’ e ‘Professore’. né Pascali abbiamo giocato con Ale, Da lì l’idea di intitolare quella striscia ma ci ha detto subito di sì. Ci portiaquotidiana ‘La Casa de Manuel’, visto mo dietro tante cose belle. Abbiamo che anche lui si chiama così, parafrainanellato più di 60 dirette con altretsando la famosissima serie Netflix, che tanti ospiti. Anche quando non c’era ha tra i protagonisti proprio un persoun ospite siamo ugualmente andati naggio soprannominato ‘Professore’. in onda. Li chiamiamo ospiti perché

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ormai siamo nel mood giornalistico, sono comunque ex compagni o gente che ha giocato con noi, ma è più facile chiamarli cosi (ride, ndr)”. Molto particolari le due storie che hai citato. “Simone Rota è un ragazzo adottato, che ha esordito tra i professionisti nella Pro Sesto. Ha smesso di giocare, è ritornato nelle Filippine dove lui è nato, e adesso vive nel Convento dal quale era stato adottato. Dà una mano alle suore che lo hanno cresciuto e intanto gioca nella principale serie del suo Paese. Moreno Beretta, invece, ha deciso di dire basta col calcio e adesso gira il mondo da surfista”. Stai valutando una carriera da commentatore televisivo? “Onestamente non c’ho mai neanche


serie B

di Stefano Sartori

pensato, mi piacerebbe fare l’allenatore, ma prendo questa domanda e ci ragiono... Nella vita mai dire mai, pensi di essere bravo in una cosa, e invece lo sei in un’altra. Se mi volessero in cabina di commento però devono prenderci in coppia, ormai siamo un duo (ride, ndr)”. Le vostre chiacchierate sono molto spontanee. “Quando giochi con un compagno non conosci alla perfezione tutta la sua carriera, l’unica preparazione che facevamo era magari andarci a rivedere il curriculum. È sempre stata improvvisazione, non abbiamo mai creato un copione o robe del genere. Tutto molto naturale, e credo che sia emerso. C’era empatia, abbiamo avuto un seguito inaspettato. Non siamo Bobo Vieri o Nicola Ventola, siamo due ragazzi che hanno fatto una buona carriera, ma non eccellente, non ci aspettavamo un feedback così. Le persone ci scrivevano che attendevano l’appuntamento fisso, ci chiedevano di non smettere e così siamo stati invogliati a continuare. È nata per noi, per occupare la mente e non diventare matti ed è diventata per tutti. Abbiamo iniziato il 12 marzo. Se non avessimo avuto seguito non saremmo stati ancora qui dopo oltre due mesi. Non abbiamo ancora interrotto, il sabato e domenica di solito non la facciamo. Ci siamo ripromessi di andare avanti fin quando non ripartiremo con la vita normale”. Com’è andata l’emergenza dalle vostre parti? “Siamo geograficamente vicini a Vò Euganeo, uno dei focolai, comunque complessivamente in Veneto non abbiamo situazioni simili a quelle della Lombardia”. Non sei nuovo a iniziative benefiche. “Con Alberto Paleari, il nostro portiere del Cittadella, nel dicembre scorso abbiamo venduto panettoni per Giò,

raccogliendo oltre ventimila euro e riuscendo a far fare tutte le terapie al bambino, nato con l’emimelia tibiale, dopo l’intervento che aveva subito. Ci siamo messi in prima persona a fare le consegne, veicolando tutto tramite i nostri canali social, per essere sicuri che l’iniziativa fosse gestita correttamente. Sono contento, l’annata è andata bene dal punto di vista solidale. Abbiamo spedito oltre duemila panettoni in tutta Italia, pensavamo di venderli solo a Cittadella, ma abbiamo avuto ordini davvero da tutte le parti. Il bambino ha finito il periodo di riabilitazione, ha subito un altro piccolo intervento nel frattempo, ma si sta avviando a un percorso di normalizzazione”. Provando a parlare di calcio: ritorno in campo, sì o no? “Bisogna valutare due questioni. Sarebbe giusto riprendere per il calciatore? Non lo so, perché dietro ci sono tanti aspetti a livello di salute. Sarebbe giusto riprendere per il sistema? Se il nostro mondo si regge su questo e non possiamo più stare fermi perché siamo la terza azienda in Italia, in qualche modo qualcuno deve pur riprendere. Se in Italia il sistema è basato sulla modalità a cascata, se non riparte la A sotto muoiono. Sarebbe bello provare a cambiare le cose proprio in questo momento. È il momento di mettere ancora più regole, non di toglierle. Se una società magari adesso chiederà di non presentare la fideiussione, come funzionerà l’ingranaggio tra qualche mese? Bisogna stare attenti a ciò che accadrà dopo, non togliere paletti, bensì metterli. C’è chi è in grandissima difficoltà, tuttavia ci sarà anche chi cavalcherà l’onda, e il pericolo è che ci rimetteranno quelli che vanno in campo”. Come ti sei allenato durante la quarantena? “Con Alex Frustaci, un preparatore che

ci ha dato una grossa mano, eravamo un bel gruppo che lavorava assieme su ‘Zoom’ in una sorta di spogliatoio virtuale. È stato un qualcosa per lavorare e rimanere comunque in forma”. Hai pensato a quando calpesterai di nuovo l’erba? “Sarò stranissimo, innanzitutto perché giocheremo a porte chiuse. Se riprenderemo, saremo rinchiusi per tot tempo in un albergo, giocare sarà bello perché torneremo a fare ciò che ci piace di più, ma mancherà qualcosa. Mi manca tantissimo il campo, ma a me manca tantissimo tutto il resto. Lo spogliatoio, il poter dare il cinque a un compagno, dire una cazzata, litigare con uno, gli scherzi, parlare prima e dopo con i custodi, stare con i fisioterapisti, arrivare al campo e bere il caffè con i magazzinieri, la mia doccia e il mio massaggio. Dietro alla nostra professione c’è tanto altro, è un mondo, non esiste solo il campo. L’altro giorno pensavo a quante ore ho passato al campo nella mia vita, credo che siano tremila, più di quelle trascorse con mia moglie”.

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Volo di Colombi Simone Colombi in Sassuolo - Parma 0-1

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di Maurizio Borsari


scatti Quella carezza della sera Ciro Immobile con Caicedo, Luis Alberto, Milinkovic-Savic e Marusic in Lazio - Inter 2-1

Deep Impact Sanabria, Pinamonti, Tomiyasue e Palacio in Bologna - Genoa 0-3

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scatti

di Stefano Ferrio

Tre foto tre storie

Gli stadi che ci aspettano, lo Za e il romanzo sui virus di un medi Dallo straordinario archivio fotografico dell’Associazione Calciatori affiorano questa volta gli spalti vuoti per Coronavirus, l’autogol che alle Olimpiadi del 1924 fa vincere l’Italia contro la Spagna del “divino” portiere, e il ritratto di Renato Acanfora, prima centrocampista di Inter e Monza, e poi dottore e scrittore. Parma-Spal, dove ci siamo lasciati (e dove ci ritroveremo) - Il cameraman e il tecnico impegnati nel riprendere le squadre a centrocampo risultano la presenza più importante, addirittura "profetica", di questa Parma-Spal, giocata l'8 marzo 2020, e vinta dagli estensi 1-0 grazie a un rigore trasformato da Andrea Petagna. Né sembra un caso che l'operatore e il suo assistente dotato di cavo siano le uniche due figure vive, in movimento, di fronte a squadre e terna arbitrale schierate prima del fischio d'inizio. Fra le poche altre figure presenti, tutte bloccate al proprio posto, spicca un secondo operatore, incaricato delle riprese da lontano. Quest'immagine ha acquistato sempre più "peso" con il passare del tempo, dato che si riferisce a una delle ultime partite della ventiseiesima gior-

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nata di Serie A, in particolare quelle disputate a porte chiuse prima dello stop a ogni attività sportiva, scattata il 10 marzo nell'ambito della quarantena provocata dalla pandemia di Coronavirus. Mentre il presente numero de “Il Calciatore” va in stampa sono trascorsi quasi tre mesi dal derby emiliano a cui fa riferimento la foto e una delle poche certezze in un quadro ancora molto caotico e denso di preoccupazioni riguarda la permanente attualità di quest’istantanea. Se la Serie A farà ritorno in campo nel breve termine, ma anche nel medio, e porte chiuse appaiono infatti l'unica via possibile per garantire il massimo di sicurezza possibile alle partite, il cui racconto raggiungerà milioni di tifosi e appassionati solo attraverso le dirette televisive. A proposito di ciò, anche in queste

pagine ci siamo lasciati "una vita fa", considerando che l'ultima immagine appositamente tratta dall'archivio dell'Associazione Calciatori riguardava l'esultanza di Joaquin "Tucu" Correa, l'attaccante argentino della Lazio, fotografato dopo il suo gol siglato nella partita vinta 2-0 contro il Bologna, dentro uno stadio Olimpico ribollente di tifo biancoceleste. Una scelta dovuta alla netta sensazione di fermare nel tempo qualcosa destinato ad eclissarsi a lungo: i boati, i fischi, gli applausi e i cori di una passione a cui risulta così difficile rinunciare. Quel match fra Lazio e Bologna si giocava il 29 febbraio 2020 in un'Italia che, nonostante l'epidemia stesse avanzando in modo inesorabile, ancora si rifiutava di credere alla sola eventualità di campionati bloccati a tempo indeterminato con la possibilità, apparsa all'orizzonte, di uno scudetto addirittura non assegnato, come accaduto unicamente durante le due guerre mondiali del '900.


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amora beffato ico-calciatore Era bello, era facile andare allo stadio. Giocatori e tifosi se ne ricorderanno a lungo, di fronte ai tanti spalti vuoti che ci attendono, come questi di Parma-Spal. Spetta solo alla professionalità degli atleti "riempirli" comunque, e per chissà quante dirette televisive a porte chiuse, con i numeri della propria bravura e i sacrifici della loro dedizione alla maglia che indossano. Quell'autogol che beffa il "Divino" Zamora - Non è la scena di una comica finale, anche se ne ha tutta l'aria con quel difensore "incappucciato" che insacca il pallone nella propria porta, osservato come fosse un alieno dall'elegante portiere con berretto da ammiraglio. Forse il giocatore ha proprio nascosto la faccia dentro la maglia a causa della vergogna di avere battuto un compagno di squadra abituato a parare semplicemente "tutto" quanto può provenire da parte avversaria, beffato nell'occasione dalla dabbenaggine di uno che, in te-

oria, dovrebbe essere del suo stesso schieramento. Invece la frittata è proprio fatta nel modo più irreparabile, mancando sei minuti alla fine di una partita fino a quel momento bloccata sullo 0-0. Il 25 maggio 1924, allo stadio di Colombes, nei dintorni di Parigi, è proprio questa consapevolezza ad affliggere in modo quasi straziante lo spagnolo Pedro Saturnino Vallana, 26 anni, un istante dopo avere realizzato l'autogol che deciderà puntualmente l'incontro fra la sua nazionale e l'Italia. Le aggravanti sono perlomeno tre. La partita è valida come primo turno di qualificazione delle settime Olimpiadi moderne, organizzate nella capitale francese, per cui la sconfitta costa l'eliminazione alla Spagna; Vallana (scomparso nel 1980, a 82 anni di età), giocatore-bandiera della squadra basca dell'Arenas Gexto, è il capitano di quella nazionale iberica; come se non bastasse, il portiere messo alla berlina da un così sgraziato harakiri, si chiama

Ricardo Zamora, nato a Barcellona il 21 gennaio 1901, passato alla storia del calcio come "Il Divino". Lucido, acrobatico, all'occorrenza spericolato, Zamora, morto nella sua Barcellona l'8 settembre 1978, compone con il russo Lev Jascin (1922 – 1990) e l'inglese Gordon Banks (1937 – 2019) il trittico dei portieri più ammirati nella storia del calcio. A quelle Olimpiadi francesi la fama di Zamora è già tale che quanti accorrono allo stadio sognano di vedere a quale confronto daranno vita Il Divino da una parte, e l'attaccante italiano Virgilio Felice Levratto dall'altra. Ligure di Carcano, dove è nato il 26 ottobre 1904, il diciannovenne Levratto, schierato sull’ala contro la Spagna dal commissario tecnico Vittorio Pozzo, gode già di una considerevole notorietà, dovuta a un sinistro così potente da fargli meritare il nome di battaglia di "Sfondareti". Che non è affatto campato per aria, visto come le sue botte mancine ne abbiano bucate più di una, anche in occasione della prima finale di Coppa

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Italia della storia, il 16 luglio 1922. Se infatti l'albo d'oro della manifestazione riporta per primo il nome del Vado, squadra ligure di terza divisione, il merito è soprattutto del giovanissimo "Levre" (altro suo soprannome), il cui gol decisivo, marcato durante un tempo supplementare giocato "a oltranza", sfonda regolarmente la porta della malcapitata Udinese. Viste le credenziali dei due campioni, è ovvio che i palati fini del football affollino le tribune di Colombes chiedendosi chi mai la spunterà fra il portiere catalano e l'attaccante italiano, destinato a un grande futuro con la maglia del Genoa. Ma, come spesso accade nella vita, in cui il calcio si rispecchia, a decidere la sfida è il più classico degli imprevisti, di scarsa utilità anche per l'Italia, che sarà eliminata ai quarti dalla Svizzera, poi battuta in finale dai formidabili campioni della prima "potenza calcistica" della storia, l'Uruguay. Renato Acanfora: calciatore, medico e scrittore – Se qualcuno cerca libri profetici del mondo sconvolto dalla pandemia di Covid-19, c’è anche “Il virus nascosto nel ghiaccio”, romanzo pubblicato da Kairòs nel 2011, e dato alle stampe da un medico, Renato Acanfora, 62 anni, salernitano di Scafati, noto anche per essere stato giocatore di Inter e Monza. Non occorre dunque essere nati nel Rinascimento per assimilare tante professioni in una vita sola, come "Leonardo da Vinci, ingegnere, pittore e profumiere" (sì, era una superstar anche nella cosmesi), o "Pico della Mirandola, matematico e teologo". Già nel XX secolo giocare così bene a pallone da farlo di professione ha consentito a Sergio Campana, centravanti del Lanerossi Vicenza negli anni '50 e '60, nonché fondatore dell'Associazione Calciatori, di potersi qualificare come "calciatore e avvocato", vista la bravura dimostrata nel superare gli esami universitari di leg-

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ge. Prima di lui stessa sorte era toccata ad Annibale Frossi (1911 – 1999), laureatosi in giurisprudenza dopo essere stato attaccante dell'Inter campione d'Italia e capocannoniere della Nazionale che nel 1936 vince le Olimpiadi di Berlino. Dopo Campana è invece Lamberto Boranga, portiere del Cesena negli anni'70, a qualificarsi come biologo e medico, tracciando una strada poi seguita da sempre più professionisti del pallone. In questo secolo è diventato usuale imbattersi in calciatori-dottori come Giorgio Chiellini, Massimo Oddo o Guglielmo Stendardo, ma fino alla fine del '900 la coesistenza fra laurea e scarpette chiodate era decisamente più rara. Fra i primi a infrangere il tabù è giusto ricordare anche Renato Acanfora, centrocampista di talento, debuttante in Serie A a 18 anni con la maglia dell'Inter.

Alla fugace esperienza in nerazzurro seguono una dozzina di onorevoli campionati divisi fra B e C, con menzione speciale per le quattro stagioni trascorse fra i cadetti a Monza, dove arriva a sfiorare la Serie A nel 1979, quando la squadra brianzola perde a Bologna lo spareggio-promozione contro il Pescara. Proprio mentre gioca nel Monza, il centrocampista salernitano, assiduo frequentatore della biblioteca comunale, prosegue gli studi di medicina che lo porteranno fino alla laurea. Attualmente il dottor Acanfora è il medico sociale dello Scafati Basket, che milita in Serie A2, ma trova il tempo anche per una ragguardevole attività di scrittore, come testimoniato dai romanzi "L'uomo senza chiave" (IS.E. DI.C.A., 2017) e, per l'appunto, "Il virus nascosto nel ghiaccio".


segreteria Studio condotto dall’Istituto Mario Negri

Calcio e SLA: la ricerca continua I calciatori si ammalano prima e di più di SLA, ma non vi è associazione con le squadre in cui hanno militato. L’aggiornamento al 2019 dello studio, condotto in collaborazione con l’AIC, ha individuato 34 casi di SLA. I più colpiti risultano essere i centrocampisti: 15; più del doppio degli attaccanti: 7; mentre i difensori sono 9 e i portieri 3. Lo studio condotto da Elisabetta Pupillo e da Ettore Beghi dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, in collaborazione con Nicola Vanacore dell'Istituto Superiore di Sanità e con l’Associazione Italiana Calciatori (AIC), pubblicato sulla rivista scientifica Amyotrophic Lateral Sclerosis & Fronto Temporal Disease, ha escluso qualsiasi associazione tra le squadre in cui i calciatori avevano militato e l’insorgenza della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), pur confermando la correlazione tra il gioco del calcio e l’insorgenza della degenerazione neuronale. Come già precedentemente comunicato, lo studio, infatti, ha confermato una diffusa convinzione: i calciatori si ammalano di SLA in misura maggiore rispetto alla popolazione generale. La ricerca era partita dall’esame di 23.586 calciatori, individuati tramite gli Almanacchi Panini, che hanno giocato in Serie A, B, C dalla stagione 1959-'60 fino a quella del 1999-2000. L’aggiornamento dello studio al 2019 ha

individuato 34 casi di SLA. I più colpiti risultano essere i centrocampisti: 15; più del doppio degli attaccanti: 7; mentre i difensori sono 9 e i portieri 3. Il rischio di SLA tra gli ex-calciatori risulta essere circa 2 volte superiore a quello della popolazione generale, e il rischio sale addirittura di 6 volte analizzando la sola Serie A. Inoltre i calciatori si ammalano di SLA in età più giovane (45 anni) rispetto a chi non ha praticato il calcio (media europea: 65.2 anni). “I dati definitivi” – ha commentato Ettore Beghi del Dipartimento Neuroscienze dell’Istituto Mario Negri “ci dicono che le differenze sull’età d’esordio si confermano importanti. I calciatori si ammalano in media a 45 anni, cioè con 20 anni in anticipo rispetto al resto della popolazione. La motivazione purtroppo non è ancora chiara. Oggi disponiamo di dati definitivi di uno studio da noi iniziato nel 2013 che confermano l’anticipazione dell’età di esordio della SLA nei calciatori e che un numero elevato di calciatori si ammala di SLA, ma non

sappiamo ancora il perché”. “I nostri dati confermano invece che non vi è alcuna associazione tra le squadre in cui i calciatori hanno militato e l’insorgenza della malattia” – ha aggiunto Elisabetta Pupillo, Capo Unità di Epidemiologia delle Malattie Neurodegenerative dell’Istituto Mario Negri. “Altri studi condotti insieme a colleghi europei e americani però ci inducono a pensare che la causa non sia il gioco del calcio in sé, ma una serie di concause, ancora da definire nei dettagli. Tra queste ricordiamo il ruolo dei traumi, l’attività fisica intensiva, una predisposizione genetica e altro ancora. Ogni fattore potrebbe avere un ruolo ad oggi ancora non chiaro”. “Questo studio” – ha concluso Elisabetta Pupillo – “ha posto le basi per ulteriori indagini con collaborazioni internazionali, volte ad approfondire le nostre osservazioni attuali. Abbiamo una grossa responsabilità e vogliamo andare fino in fondo. Ringrazio il Presidente Tommasi per la sensibilità e la straordinaria collaborazione mostrata da parte di tutta l’AIC. L'AIC è stata parte attiva di questo studio, collaborando a stretto contatto con i ricercatori nel raccogliere le informazioni necessarie".

Adriano Lombardi, Gianluca Signorini, Stefano Borgonovo e Pietro Anastasi: quattro campioni vittime della SLA.

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amarcord

di Pino Lazzaro

La partita che non dimentico

Andrea Malgrati (Lecco)

“No, non è che mi sia “preparato”, per me è un ricordo diciamo semplice, soprattutto pieno di affetto. Avrei potuto riandare alla partita che ho giocato contro il Benevento in Coppa Italia o quella contro il Pisa, dove ho pure fatto gol, piazze importanti insomma, però quella che più è impressa nel mio cuore è una dell’anno scorso, qui col Lecco, eravamo ancora in D, contro il Casale. Pochi giorni prima era morto mio nonno, a lui ero molto legato, così fare gol – e pure salvandone un altro qualche minuto dopo – è stato un che, come dire, di perfetto. Un calcio d’angolo nel primo tempo, in anticipo di testa: capitato di rado nei miei anni, ma quel giorno è capitato. Subito dopo, sempre di testa, come detto ho deviato e ribattuto un pallone sulla traversa, gol salvato, proprio un momento speciale. Alla squadra non avevo detto di mio nonno, di mio sono pure la mia parte timido e introverso, magari potevo pure influenzarli i compagni e comunque sono sempre stato abituato a lasciare tutto il resto fuori quando metto piede nello spogliatoio e in campo. Ho fatto gol, mi sono fermato: è arrivato l’abbraccio dei compagni e ho alzato le braccia al cielo, un gesto semplice, c’erano anche i miei genitori quel giorno, bello così. Aveva 92 anni mio nonno, aveva perso la vista eppure era sempre informatissimo. Appassio-

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natissimo di calcio, tifoso juventino, lui che mi chiamava sempre, mi chiedeva degli allenamenti, sempre lì, anche perché magari non mi facevano giocare… mio nonno”. “È vero, ho sempre giocato praticamente in Lombardia, di squadre qui ce ne sono in effetti tante, qualcuno mi ha sempre cercato. Al sud potevo anche andarci, da giovane, anche in serie B, ma qualcosa non è andato col procuratore che avevo all’epoca, diciamo che qualche treno l’ho perso, anche se comunque le mie stagioni le ho fatte quasi tutte tra i professionisti. Ora di anni ne avrò presto 37, so bene che non si vorrebbe mai smettere… comunque sto bene, non ho mai avuto infortuni troppo gravi, spero intanto di poter fare un altro anno, stiamo parlando con la società”. “Al dopo un po’ ci ho già in ogni caso pensato, una base ce l’ho, si sa che i nostri in C sono degli stipendi normali e si sa che la carriera finisce: con mia moglie abbiamo un centro benessere ed estetico, ce l’ho già così un altro lavoro. Spero comunque di poterci stare ancora dentro al calcio, penso a un ruolo da dirigente, che so, diesse o team manager, continuando così a dare il mio apporto specie ai giovani. Sì, qui sono il capitano e devo dirti che la fascia mi ha quasi sempre accompagnato, anche

proprio da giovane e in squadra c’era chi aveva 30 anni e più, non era così semplice, ho dovuto imparare presto. Mi considero un capitano atipico, nel senso che per me nello spogliatoio vige la democrazia, le decisioni le dobbiamo prenderle davvero assieme, compresi quelli che hanno tanti anni meno di me, 15 o più, loro che ragionano e vedono le cose in un modo diverso, che io faccio fatica magari a vedere. Dialogo e tolleranza insomma, quando serve le situazioni vanno sì prese di petto, ma ci vuole un giusto equilibrio, col rispetto pure delle gerarchie, ma senza arrivare al nonnismo, non l’ho mai trovato giusto”.

Che aria tira? “Momento difficile, ovvio. Con la società ci si sente spesso, il preparatore ci ha dato settimana dopo settimana i programmi, ora che si può un po’ uscire, si può almeno correre. Sono in contatto con l’Associazione, anche a noi la società non ha pagato gli stipendi, di certo delle rinunce le dovremo fare, ma senza però essere giusto dimenticati, tanti di noi guadagnano quanto un normalissimo operaio, è così. Con la società continuiamo a parlarci e una soluzione la troveremo”.


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Carlo Pelagatti (Padova)

“Certo che ci ho pensato, avrei potuto dirti di una vittoria del campionato o del mio esordio in Serie B, ma quella che più mi ha toccato nel profondo è una tra l’altro recente, dello scorso anno, una parti-

atterravo mi sono girato e ho visto la palla in quell’angolino basso, una confusione e un’emozione dentro che poi non ho dormito per tre notti. Quasi due anni che non mi capitava di segnare, un’apoteosi. Lì allora verso Una partita dei quarti di finale playoff dello scorso anno. quella rete, verIn casa, ad Arezzo, contro la Viterbese. Gol dell’1 a 1 in so i miei amici: indimenticabile. rovesciata. Ora quel gol ce l’ho pure nel telefonino. Noi che avevata dei quarti di finale playoff. In casa, ad mo iniziato come matricola, intanto per Arezzo, contro la Viterbese avevamo vinsalvarci e che poi in semifinale siamo to l’andata ed è proprio del ritorno che ti stati fermati dal Pisa, uno squadrone, parlo. Io che sono di Arezzo, io che andaperò giocandosela sino alla fine, non vo allo stadio a tifare Arezzo lì in curva, mancava poi tanto perché passassimo io che tanti amici li ho adesso sempre noi. Ora quel gol ce l’ho pure nel telein quella curva. Dopo due anni belli col fonino, il filmato me l’avranno mandato Cittadella in B, avevo deciso di tornare un centinaio di persone, sì, me lo vado a a casa, c’era sto progetto, tante ambiriguardare ogni tanto”. zioni. A Viterbo il clima era parecchio infuocato, a scaldarlo ci aveva pensato “A che punto sono della mia carriera? pure il loro presidente, Camilli. VincevaDopo tutti questi anni che gioco, sento mo 1 a 0 e dopo il risultato dell’andata di poter dire che da questi ultimi 2-3 anni (Arezzo-Viterbese 3-0; ndr), eravamo sono nel mio momento migliore. Qui all’iabbastanza tranquilli. Mancava circa un nizio col Padova un po’ di fatica l’ho fatquarto d’ora alla fine e c’è stato sto corta, soprattutto di testa, avevo lasciato la ner, dalla parte della curva degli ospiti, la squadra della mia città, problematiche “nostra” insomma, erano venuti in tanti varie, ne parlerò solo a tempo debito, mi da Arezzo. Allora corner, palla respinta limito a dire che c’erano tante promesse e lì da fuori aerea un mio compagno, Foda parte di chi gestiva la squadra che glia, che la rimette dentro di testa. Io stanon sono state mantenute, mi fermo vo tornando indietro dal primo palo, mi qui. Tornando a questi miei anni, penso arriva sta palla e così, d’istinto, mi viene di essere nel periodo più importante, di fare una rovesciata, su di destro: palla sto bene fisicamente e con me ho pure incrociata sull’altro palo e gol. Fin che un bel po’ di esperienza. Nello spoglia-

toio sono uno che ci sa stare, lasciami dire pure abbastanza carismatico, dai. Con i giovani sono convinto che bisogna parlarci né troppo, né poco… portare sì quando capita la tua esperienza ma senza esagerare, possono magari anche adagiarsi, fai presto in ogni caso a vedere se un giovane c’è”. “Per il dopo non so. Prima di avere nostro figlio – adesso ha 10 mesi – la mia compagna viaggiava molto per lavoro, per strutture alberghiere, ora s’è dovuta fermare. Ora come ora il mio pensiero è quello di non rimanere nel calcio, dalle giovanili in poi sono vent’anni che sono in giro, per adesso la penso così”.

Che aria tira? “Mah, da domani cominceremo gli allenamenti a gruppi, orari diversi, doccia a casa, sarà strano, nemmeno in Seconda categoria… Con la società un accordo l’abbiamo trovato e per tutti i giocatori che ho via via sentito, la volontà è quella di tornare a giocare, di provarci almeno. Attorno sta riaprendo tutto, lo stesso dovrebbe fare il calcio. Speriamo si trovi il modo di fare tutto in sicurezza, ma se non si prova adesso, come si fa?”.

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di Fabio Appetiti

La bella storia di Aida Xhaxho

Il lungo viaggio di Aida, azzurra di Tirana Mi ricordo bene quella sera di cinque anni fa al Foro Italico, anche se in verità nel caos della serata (c’era davvero tantissima gente) non avevo percepito appieno il valore storico e sportivo di quella partita. L’ho rivissuto nelle parole di Aida Xhaxho, calciatrice nazionale di futsal, quando ne ho ascoltato l’emozione e anche la fatica per arrivare a quella "notte magica", che ha rappresentato la prima volta della Nazionale di Calcio a 5 femminile. E Aida, per arrivare a quell’esordio in maglia azzurra, di strada ne ha fatta davvero tantissima arrivando in Italia all’età di 7 anni dalla sua città natale, Tirana capitale dell’Albania. Un viaggio cominciato per seguire il papà, che due anni prima era arrivato in Italia per cercare un lavoro e garantire un futuro migliore a lei, alla sua mamma ed ai suoi due fratelli. La sua storia non può che cominciare da qui. È una bellissima storia di sport e di integrazione visto che lei, pur senza dimenticare la sua terra di origine, ormai è orgogliosamente italiana. “Io sono nata in Albania e sono arrivata in Italia all’età di 7 anni, insieme alla mia mamma ed ai miei due fratelli. Mio padre, come tanti nel mio Paese in quegli anni, decise di emigrare in Italia ed era partito due anni prima per trovare lavoro e dare una prospettiva a tutti noi. Papà è un grande lavoratore ed io, sinceramente, non ricordo in 26 anni di vita che abbia preso un solo giorno di ferie. Ha fatto sacrifici enormi pur di garantire una vita serena a tutti noi. Mia madre però ne ha fatti altrettanti;

i due anni trascorsi a Tirana senza mio padre non furono affatto semplici, di fatto mandava avanti da sola l’intera famiglia. Successivamente abbiamo raggiunto papà a Folignano, vicino ad Ascoli Piceno, dove c’era anche una piccola comunità di albanesi. Lì ho avuto la possibilità di cominciare dall’inizio il ciclo scolastico e questo ha reso tutto più facile per me, a differenza dei miei fratelli, che purtroppo si inserirono solo a cicli scolastici iniziati”. Come comincia il tuo amore per il calcio? “Come spesso succede a noi ragazze, ho cominciato con i miei fratelli a giocare a calcio. In verità, qualche volta ho causato anche qualche litigio familiare, perché i loro amici chiamavano me e non loro per giocare! Un giorno il papà di un mio amichetto che faceva l’allenatore, vedendomi giocare, mi chiese di andare ad allenarmi nella sua scuola calcio, dove poi sono rimasta per 4 anni giocando con i miei coetanei maschi. Devo ammettere di essere stata anche fortunata, perché sia mio padre che mia madre hanno sempre assecondato questa passione, all’epoca non era come oggi, c’erano ancora pregiudizi sulle ragazze che giocavano a calcio. Io mi allenavo la sera e mio padre, appena terminato il suo turno di lavoro, mi accompagnava al campo, qualche volta si alternava anche con i miei fratelli. Tutti mi sono stati sempre vicino”.

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La crescita è stata veloce, a 14 anni eri già in serie B “Sì, a 14 anni sono passata in una squadra di Calcio femminile di Serie B, il Picenum di Ascoli Piceno. All’epoca non c’erano settori giovanili, quindi io giocavo con la prima squadra ed insieme a ragazze di 25- 30 anni. A parte il primo giorno, in cui l’emozione mi aveva bloccato lo stomaco (complice anche un hot dog mangiato pochi minuti prima a dire il vero…) non ho avuto alcun problema ad integrarmi. Ho giocato 4 anni lì, poi a seguito di una partita di play off con la Imolese che fu promossa in A2, i dirigenti di questa squadra mi cercarono insistentemente ed io alla fine accettai con gioia questo passaggio. Frequentavo allora il quarto superiore e mi allenavo durante la settimana con la squadra del mio paese, poi tutti i week-end mi trasferivo ad Imola. Così è cominciata la mia avventura. Iniziarono anche le prime convocazioni in Nazionale U17, ma non avevo la cittadinanza e non potevo giocare. Questa cosa mi dispiaceva molto, anche se mai nessuno del mondo del calcio mi ha fatto sentire discriminata anzi, tutt’altro, però c’era questo limite normativo. Ci fu anche


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la possibilità di vestire la maglia della Nazionale albanese ma, per quanto onorata della proposta, ormai io mi sentivo italiana e sognavo esclusivamente la maglia azzurra”. Eri una promessa di calcio a 11, ma poi sei diventata una grande calciatrice di Futsal. Perché questa scelta? “A dire il vero per me il calcio era tutto e non avevo mai preso in considerazione il Calcio a 5. Al termine degli studi però mi arrivò una chiamata da parte del presidente del Grottammare, che era una società di Serie A di Calcio a 5 femminile. Avevo 18 anni, mi offrì un rimborso sostanzioso e questo per me era molto importante. Ho anche pensato che in uno spazio ridotto le mie capacità tecniche sarebbero state valorizzate. Ci ho riflettuto a lungo, nel calcio a 11 ormai ero pronta anche al salto in A, ma alla fine scelsi di accettare questa proposta e non me ne sono mai pentita. Diciamo che il calcio a 11 è stato un grande amore ma, come è finito, subito mi sono innamorata di nuovo del Calcio a 5 ed in questa scelta sono stata davvero fortunata. Così è cominciata la mia carriera, sempre in Serie A, fatta di molte tappe: da Chieti ad Ancona, da Firenze a Roma con la Lazio, infine ora a Montesilvano, una vera e propria società modello. In mezzo, l’esordio bellissimo con la Nazionale nella partita con l’Ungheria , i titoli italiani con il Terracina Beach Soccer e l’iscrizione all’Università a Scienze della comunicazione”.

Terracina Beach Soccer, un club storico in questa disciplina. Il beach soccer è un mondo a parte, si gioca con la musica, è uno sport di grande fascino, che sta a metà tra il lavoro e la vacanza. Con il Terracina ho fatto anche due Champions League in Portogallo, in un clima di allegria pazzesco, arrivammo quinti in Europa. Con il Terracina siamo diventati anche due volte campioni d’Italia. La dimensione di questo sport però non è facile da descrivere, bisogna solo viverla per comprenderla appieno. Ti alleni sulla spiaggia ed è faticosissimo, ma per una ragazza della mia età rimane una meravigliosa esperienza che ti rimane dentro”. La tua è una carriera da professionista a tutti gli effetti, anche se non lo sei… “Dal punto di vista sportivo, io mi sento a tutti gli effetti una professionista. Io non ricordo un pranzo domenicale insieme alla mia famiglia dall’età di 14 anni. La mia vita è l’allenamento quotidiano, i sacrifici il sabato sera e la domenica sempre impegnata con le partite. Sono enormi sacrifici, ma non

mi sono mai pesati perché amo quello che faccio. Sicuramente il Calcio a 5 mi consente di vivere anche bene, rispetto ad altri miei coetanei, sebbene da un punto di vista contrattuale non abbia molte tutele, perché basta poco a far saltare un accordo (per esempio, quando fallì la Società in cui militavo a Firenze e proprio l’AIC mi aiutò a recuperare delle somme perdute). Un altro problema è quello del vincolo fino a 25 anni, sempre a Firenze dovetti aspettare il fallimento della società per potermi svincolare. Diciamo che nel nostro mondo ci sono dirigenti seri, ma anche figure maldestre, che provano a sfruttare e ad approfittare delle situazioni. La presenza delle straniere, che sono tutte professioniste, invece ci ha aiutato a crescere collettivamente come movimento”. Come stai vivendo questa emergenza Covid19 “Io vorrei ricominciare domattina a giocare ed a chiudere questo campionato, eravamo una bellissima squadra, un gruppo molto affiatato. Nonostan-

Tantissime pagine di una carriera intensa, che è quasi difficile raccontare tutte, mi incuriosiscono però i due titoli italiani di Beach Soccer… “Sì, l’ho scoperto d’estate e mi sono appassionata tantissimo a questo sport, potevo giocarlo perché si trattava di due tesseramenti differenti. Ricordo che mi chiamò il presidente Cicuto, al quale sono molto affezionata, ed ho così accettato la richiesta del

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che però hanno smesso di pagare. Io mi auguro che questa crisi rappresenti l’occasione per far crescere questo movimento dal punto di vista della professionalità dei dirigenti e delle tutele per le ragazze, anche pensando ai percorsi post carriera: chi dedica circa 20 anni della propria vita allo sport, dovrebbe arrivare alla fine della propria carriera con maggiori opportunità e non con la paura di quello che accadrà dopo. Io sono una nazionale e mi sento ormai trattata come una professionista, ma vorrei che crescesse tutto il movimento e non solo la nazionale. Quando smetterò, mi piacerebbe rimanere nell’ambito dello sport e lavorare con gli atleti per sostenerli nei loro aspetti motivazionali e comunicativi. Sono ottimista per natura e voglio continuare ad esserlo, anche in questo difficile momento per il Paese”. te le difficoltà, sono rimasta sempre positiva ed ho approfittato di questa quarantena per studiare e preparare la tesi sulla “percezione della leadership dell’allenatore” e per migliorare la mia cucina, ma sempre con un occhio alla dieta. L’ultima partita è stata la vittoria della Coppa divisione e poi da lì è arrivato lo stop. Ho continuato anche ad allenarmi a casa, ma una cosa che mi manca tantissimo è la condivisione e le battute dello spogliatoio, per me quella è la parte più bella del nostro lavoro”. Chiudiamo con uno sguardo al futuro. Sei preoccupata? “Sono preoccupata per la tenuta del sistema. La mia società fino ad ora si è comportata benissimo, ma conosco le difficoltà di molte società e di tante ragazze che vedono messo a rischio il loro rimborso. Sono ad esempio estremamente preoccupata per la condizione di molte ragazze straniere, lontane

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da casa, che ora non hanno rimborso e vivono in appartamenti delle società,

Il viaggio è stato già lunghissimo per arrivare fin qui ma la cosa bella, cara Aida, è che sei solo all’inizio.


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di Vanni Zagnoli

Il volto garbato del calcio

Gigi Simoni, “tecnico gentiluomo” Ha ragione Massimo Moratti: “Gigi Simoni meritava quello scudetto”. Peccato che l’anno dopo l’abbia esonerato, proprio l’indomani del ritiro della panchina d’oro. Simoni se n’è andato per sempre venerdì 22 maggio scorso, un anno fa era stato colpito da ictus, non si era più ripreso, aveva sempre accanto la moglie, Monica Fontani. Si fatica a trovare qualcuno che parli male di Simoni, era un grande professionista e molto ammirato, proprio per lo stile. Lo ricordiamo con l’articolo dell’Ansa, di Alessandro Castellani. "Passerà alla storia come il 'tecnico gentiluomo', definizione che gli calzava a pennello, perché garbo e aplomb erano davvero il suo tratto distintivo. A 81 anni è morto Gigi Simoni, malato da tempo, e il calcio perde uno dei suoi protagonisti migliori. Un grande tecnico e un grande uomo, come ora ricordano tutti. Il volto gentile del pallone se ne va nel giorno del decennale del triplete di quell’Inter che lui aveva contribuito a forgiare. E proprio per i nerazzurri una volta perse la pazienza: a Simoni non era mai andato giù lo scudetto che, a suo dire, l’Inter che guidava avrebbe meritato nel 1998, ma che non ottenne anche per via dell’esito del confronto diretto con la Juventus, nel match passato alla storia per il fallo di Mark Iuliano su Ronaldo Fenomeno. Se sanzionato con quel rigore secondo lui evidente, a dire di Simoni la stagione avrebbe potuto avere un esito diverso. Quel giorno il tecnico interista perse la sua solita pacatezza dicendone di tutti i colori all’arbitro Ceccarini: cosa che gli costò l'espulsione e quel cartellino rosso fece notizia, perché per Simoni era praticamente un inedito. "Con la Var quel titolo lo avremmo vinto noi", dichiarò tanti anni dopo, alla vigilia dell'ingresso del 'video assistente' dell'arbitro nel calcio, novità a cui era favorevole. Simoni si rifece di quell'amarezza vincendo, un mese dopo, la coppa

Uefa '98 nella finale del Parco dei Principi di Parigi in cui i nerazzurri, trascinati da un Ronaldo strepitoso, travolsero per 3-0 la Lazio. Anche per quello Simoni venne insignito della Panchina d'oro. Ma la gloria del calcio è mutevole, così nel corso della stagione '98-'99 venne esonerato e al suo posto arrivò Mircea Lucescu. Sono state tante le panchine su cui l'allenatore-gentiluomo si è seduto, lasciando sempre un buon ricordo di sé e facendosi tanti amici: da Piacenza a Napoli, passando per Genoa, poi Brescia, Pisa (portò i toscani due volte in A e sotto la Torre era amatissimo), Empoli, Lazio, dove il presidente Giorgio Chinaglia gli affidò la squadra ma non centrò la promozione, Ancona e Cremonese, squadra che è stata un altro suo grande amore e che portò in serie A nel 1993 aggiudicandosi anche un altro riconoscimento personale, il "Guerin d'oro". Dei grigiorossi Simoni è stato eletto "allenatore del secolo", dello stesso club è stato anche presidente e direttore tecnico. L'ultima esperienza in panchina nove anni fa a Gubbio, dove aveva un ruolo dirigenziale ma poi subentrò in panchina al posto dell'esonerato Fabio Pecchia. Se ne va con un record ancora oggi imbattuto: è l'allenatore ad aver ottenuto più promozioni dalla B alla A, ben sette. L'ottava la ottenne dalla C/2 alla C/1 con la Carrarese, nel 1992. A

giugno dello scorso anno il ricovero per un malore dal quale non si è mai ripreso, e negli ultimi giorni il suo stato di salute si era ulteriormente aggravato. Dalla famiglia l'annuncio della scomparsa: "Accanto al mister gentiluomo, raro esempio di stile e sobrietà, c'erano la moglie Monica e il figlio Leonardo". Se ne va il volto garbato del calcio, ma anche un tecnico vincente". Ronaldo lo ricorda così. “Simoni per me non è stato solo un allenatore. Se oggi penso a lui, penso a un uomo saggio e buono, che non ti ordinava di fare le cose, ma ti spiegava perché quelle cose erano importanti. Penso a un maestro, come in quella foto che facemmo a Natale: lui direttore, noi l’orchestra. Lo ricordo così, con quel sorriso, la sua voce sempre calma, i suoi consigli preziosi. Potevamo e dovevamo vincere di più, ma abbiamo vinto insieme, la cosa che ci raccomandava sempre: grazie mister, mi hai insegnato più di quanto immagini”. Ha avuto un solo maestro, Edmondo Fabbri, che lo volle nel Mantova, il “Piccolo Brasile”. Il suo calcio in provincia ha saputo emozionare altrettanto. All’Inter gli mancò giusto un pizzico di spettacolo, per convincere Moratti. Che peraltro ha presto riconosciuto l’errore di averlo esonerato.

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di Pino Lazzaro

Mi ritorni in mente…

VISIONI MONDIALI /6: Elena Linari (Atletico Madrid) Sesta e ultima puntata di questa nostra rubrica che è sempre partita sì con uno sguardo all’indietro, a quelle giornate francesi del Mondiale d’inizio della scorsa estate, al ricordo/ricordi maggiormente impressi nel cuore e nella mente delle ospiti di turno, ma che ha cercato poi di concentrarsi sul presente/futuro, a quelle che – per forza di cose e per fortuna – non possono essere che nuove responsabilità (e con ancora maggiori consapevolezze). Rubrica dunque che chiudiamo con Elena Linari, giocatrice dell’Atletico Madrid, in una Liga che ha già decretato lo stop al campionato, assegnando lo scudetto al Barcellona, avanti di 9 punti proprio sull’Atletico, al momento della fermata per coronavirus. Lo stesso Barcellona che sarà/dovrebbe essere il loro prossimo avversario in Champions League (quarti di finale), sempre aspettando quelle che saranno le decisioni dell’Uefa. L’abbiamo sentita ancora in isolamento, Elena, in quel di Madrid. In cassa integrazione – qualcosa dunque in ogni caso arriva – e impegnata a tenersi comunque attiva, seguendo le indicazioni della società e pure del proprio preparatore atletico e sfruttando nel condominio dove vive, un piccolo cortile che le permette comunque di non perdere troppa confidenza col pallone. Con dei vicini di casa poi che in pratica l’hanno adottata e che la fanno così sentire, pur lontana dalla sua Firenze, comunque in famiglia. Concentrata nel voler ancor più migliorare il proprio spagnolo e nel continuare a studiare, per non perdere di vista un altro suo obiettivo: la laurea in Scienze Motorie. Come dire insomma, sue parole, che pur in isolamento sono comunque “giornate pienissime”. Elena, quale la prima immagine/ricordo/sensazione ti viene subito alla mente ripensando a quel periodo del Mondiale di Francia? “Quando ripenso al Mondiale, a quell’atmosfera, quel che rivedo subito sono i tunnel degli stadi, quelli

che portavano al campo. Mi vedo allora per esempio con a fianco le calciatrici dell’Australia, le gambe che mi tremavano, i brividi addosso dappertutto, brividi che ho anche adesso che son qui che ne parlo. Loro, forti e pure… grosse e lì a dirmi ma come poi

farò con queste qui. E poi fuori, tutta quella gente che era lì per noi, come realizzare un sogno, tutte quelle persone per vedere una nostra partita, di calcio femminile! Ricordo che ho pensato così, di colpo, a mia nonna, alla mia ragazza, di sicuro lì sui divani a guardare, come sempre ho fatto pure io quando guardo in tv una partita. Ricordo benissimo il verde di quel campo e il giallo del sole, dal tunnel si vedevano proprio i raggi, questo ho dentro”. Ancora riandando indietro, difficile poi calarsi sulle solite cose di tutti i giorni? “D’accordo, tornare intanto a casa è stato pure un po’ un peccato, pensa ce l’avessimo fatta ad andare ancora avanti; però nessun rammarico, nessun rimpianto. Siamo comunque riuscite a fare un po’ sognare l’Italia e in ogni caso per me è stato bello tornare a casa, già prima del Mondiale c’ero stata poco, il

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tempo l’avevo così passato a Madrid e ricordo che la prospettiva di tornare al mio quartiere, Castello, a Firenze, per un paio di settimane di relax mi attirava, la trovavo proprio una bella cosa. Con in più che lì dove vivo, sono sì conosciuta, ma è un posto tranquillo, non ci fanno troppo caso e anche questo aiuta a rimanere con i piedi per terra”. Quando hai ricominciato con l’Atletico, che accoglienza hai avuto? T’hanno guardato magari con altri occhi? “Beh, devo dirti che quando me ne sono andata da Madrid, era maggio, tutto sommato ero quasi una semisconosciuta: in campionato avevo giocato poco e credo che nessuna delle mie compagne avrebbe scommesso un euro su di me. E invece sono rientrata da “titolare”, giocandole poi tutte le partite del Mondiale e pure bene, dai. Tra l’altro, molte delle mie compagne dell’Atletico non hanno fatto altro che stare quasi sempre in panchina e ho senz’altro avvertito un cambiamento. Un misto, come dire, un po’ anche di gelosia ma ben consapevoli di quanto noi italiane eravamo riuscite a fare e di quanto avevo fatto io. Quest’anno? Ho giocato un po’ di più, non tanto, ma di più sì”.

dere ancor più in me stessa, che mi ha fatto capire che non sono una scarsa e posso così concentrarmi per ancora migliorare dove ho difetti, con in più la soddisfazione di far ricredere chi non ci credeva. Dentro di me sento insomma tanta forza e dunque tra le tante personalità che si muovono in questo mondo ci sono anch’io, anch’io con la mia esperienza posso essere/diventare un punto di riferimento. Capita adesso che in tanti mi chiedano l’autografo, ricordo lì al mare, in spiaggia, che si fermavano all’ombrellone, mi facevano i complimenti ed erano contenti. Ricordo lo stesso proprietario del bagno, lui poi a dirmi che mi aveva subito riconosciuto ma aveva preferito non dirmi nulla, di lasciarmi tranquilla. Però ero lì, comunque in mezzo alla gente, da normale, in un bagno normale, niente isolamenti vari in posti esclusivi: è così che voglio e spero di rimanere, normale”. Pensi anche tu che qui da noi, per il calcio giocato dalle donne, “non sarà più come prima”? Uno stop questo

Questo “scrollone” del Mondiale ti ha in qualche modo cambiata? Ti senti magari ancor più responsabilizzata? “Ti dico intanto che quando ho deciso di trasferirmi in Spagna, l’ho fatto perché volevo crescere e migliorarmi, anche a Firenze tutto sommato quando me ne sono andata, ero una semisconosciuta. Come detto in Spagna ho giocato poco, tanta panchina e a volte pure in tribuna e dunque questo scrollone, come dici tu, m’è servito non solo calcisticamente ma anche per me, come persona. Le ho giocate tutte, le ho fatte bene: mi sono divertita e ho capito che qualcosa valgo. So quanto ci ho messo di mio e sono contenta d’aver dimostrato qualcosa. Uno scrollone che mi ha fatto così cre-

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Elena Linari è nata a Fiesole (FI) nell’aprile del 1994. Così, nel suo sito personale (www.elenalinari.it) si racconta: “Nel 1999 inizio a dare i primi calci ad un pallone nell'Atletica Castello. Passo nel 2004 alla S.C. Desolati, con cui svolgo anche il mio primo ritiro estivo. L'estate del 2007 è quello del mio trasferimento all'ACF Firenze, dove in pochi anni passo dalla categoria Esordienti, alle Giovanissime e poi già a 14 anni in Prima Squadra! Disputo con questa maglia 2 stagioni in A2 e nel maggio 2010 veniamo promosse in Serie A. Gioco in Serie A con la maglia dell'ACF Firenze per 3 stagioni, dando una mano anche alla Primavera a vincere il campionato nel giugno del 2013. Nel 2013/14 la mia prima esperienza fuori da Firenze: passo al Brescia Femminile, squadra con la quale mi toglierò parecchie soddisfazioni, vincendo 2 scudetti, 2 Coppe Italia e 2 Supercoppe Italiane! Nell'estate del 2016 torno a casa... firmo con la Fiorentina Women's... con tanta voglia di continuare a vincere! E così fu: in due stagioni uno scudetto e 2 Coppe Italia. Nella mia città tutto questo ha ovviamente un altro sapore! Chiudo la stagione 2017/18 con 30 presenze ufficiali e 9 gol segnati. Il 20 giugno 2018 l'Atletico Madrid ufficializza il mio acquisto ed inizia un nuovo sogno... Finalmente sono una calciatrice professionista, per di più in uno dei club più importanti e conosciuti d'Europa. Che annata fantastica... prima stagione e siamo subito campionesse di Spagna! Un altro mio grande orgoglio è la Nazionale Italiana: inizio la trafila nelle nazionali minori nel 2009 con l'Under 17, per arrivare nel 2013 in Nazionale maggiore. È stato un onore giocare l'Europeo nel 2017 nei Paesi Bassi, ma soprattutto giocare i Mondiali del 2019 in Francia. Che soddisfazione!” Detto che sono attualmente 62 le sue presenze (a fine maggio 2020), ecco come chiude Elena il racconto del suo fin qui percorso: “Non smettete mai di credere nei vostri sogni, perché la passione e il coraggio li realizzano”.

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della pandemia che rallenterà la spinta o, peggio, vi farà magari tornare indietro? “Non lo so, davvero. Certo che il Mondiale è stato un unico, milioni di persone davanti alla televisione per vedere un calcio di cui quasi non si sapeva nulla, quasi non sapevano. Un movimento, il nostro, che ha dimostrato che può fare audience, attirare l’attenzione, fare avvicinare tanta e tanta gente, trasmettendo pure dei valori positivi. Ora abbiamo a che fare con questa pandemia che porterà tanta povertà e tristezza, con realtà dure. Bisognerà resistere e per come lo vedo io, questo nostro calcio è l’emblema della resistenza, del saper resistere. Sì, noi che siamo state ancor più che dilettanti e che in moltissimi casi ancora lo siamo. Con tantissime ragazze che per seguire la loro passione non hanno fatto altro che fare sacrifici, ancora e ancora, i nostri e prima quelli delle generazioni passate. Forse dopo il Mondiale eravamo arrivate per dire a 10, ora ci ritroveremo a ripartire da 5, però l’umanità del nostro calcio rimane, come pure la voglia delle donne di giocare a calcio e spero che anche le generazioni future continuino così, che non vengano giusto buttati via tutti gli sforzi e i sacrifici. E poi le donne il calcio non lo fanno solo per i soldi, chi viene a vederci la capisce sta cosa, c’è passione e c’è rispetto. Un calcio insomma, il nostro, che proprio per la sua umanità, poi potrà ancor più servire. Io ci credo”.


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di Fabio Appetiti

Nico Stumpo, deputato alla camera di Articolo 1

Scelte giuste per far ripartire il calcio in sicurezza Ho conosciuto l’on Nico Stumpo lungo la fascia destra del Granillo di Reggio Calabria, tra dribbling improbabili, ma con la consapevolezza per entrambe del perché eravamo lì: “Contro la ‘ndrangheta e in nome della Legalità” e per lui, deputato calabrese di Cotronei, quella partita aveva ancora più valore. Ci siamo ritrovati poi spesso a parlare durante questa lunga quarantena di tutela della salute e amore per il calcio e mi sembrava la persona più giusta per raccontare questa ripartenza ormai prossima del campionato di Serie A. Merito anche di una politica che è “scesa in campo” a fianco del nostro mondo comprendendone il valore economico e sociale e del presidente della FIGC Gabriele Gravina che, coerentemente, ha perseguito l'obiettivo della ripartenza in sicurezza schivando molte cassandre. In bocca al lupo a tutti i calciatori che torneranno presto in campo e buona estate di calcio davanti la tv a tutti i tifosi. Nico Stumpo, deputato alla camera di Articolo 1. Siamo in piena fase 2, che Italia vede in questa graduale uscita dall’emergenza sanitaria? “Io quello che vedo e registro sono due sentimenti: quello dell’uscita dalla paura che purtroppo che ci accompagnerà per molto tempo e la voglia di riprendere e di vivere che fa parte del dna del nostro Paese che ha saputo sempre riemergere anche nei momenti peggiori e più difficili della nostra storia. In questo binomio dobbiamo ovviamente far prevalere il secondo sentimento, facendolo però con prudenza e responsabilità per arrivare ad una ripartenza completa di tutte le attività della nostra sfera sociale ed economica. Il 3 giugno è stato il giorno della riapertura dei collegamenti anche tra le regioni e quindi stiamo completando questa fase graduale di fuoriuscita dall’emergenza, ma non dobbiamo però mai dimenticare cosa è alle nostre spalle e non possiamo far finta che nulla sia successo. Possiamo tornare a far tutto, ma con responsabilità e rispetto del prossimo in tutte le nostre attività da quelle secondarie che fanno parte della nostra vita come l’aperitivo o lo sport, fino a quelle che sono le principali attività economiche, industriali e commerciali del paese necessarie alla ripartenza definitiva del nostro sistema produttivo”. Il Ministro della Salute Roberto Speranza è un suo collega di partito e si

è ritrovato a gestire una emergenza impensabile solo qualche mese, ma lo ha fatto con grande competenza. Quale è il suo giudizio? “È passato quasi un anno e ricordo benissimo quei giorni di agosto in cui eravamo in riunioni continue con lui a seguito della caduta del governo giallo-verde. Quando fu nominato Ministro della Salute fu un momento di grande emozione e orgoglio per tutti noi, essendo Speranza il Segretario del nostro partito, Articolo 1. Certo nessuno pensava che si trovasse a gestire da lì a pochi mesi una emergenza di una pandemia che ha stravolto la vita di tutti noi. E da quando è cominciata l’emergenza Roberto ha smesso i panni del politico per dedicarsi totalmente, anima e corpo, a questa emergenza. Ricordo che la prima riunione politica non legata alle sue responsabilità istituzionali, dopo quasi tre mesi, l’abbiamo fatta sabato 23 maggio. Non tocca a me dirlo, visto il rapporto umano e politico che mi lega a lui, ma mi sembra riconosciuto da tutti abbia gestito l’emergenza con grande autorevolezza contornandosi, come fanno i politici più bravi, di personalità molto competenti e indipendenti, da Ricciardi a Rezza a Ippolito direttore dello Spallanzani. Inoltre, secondo me, ha avuto soprattutto il grande merito di tenere unito il Paese rispetto anche ad alcune spinte alla frammentazione che venivano da alcune regioni talvolta con

fughe in avanti del tutto inappriopriate. Non ci sono venti Italie della sanità, come qualcuno ad un certo punto voleva far credere, ma una sola Italia e credo che finita l’emergenza dovremo avviare una riflessione anche su questo aspetto, visto che non si possono avere indirizzi diversi tra il Veneto e la Calabria o sanità di serie A e serie B. Roberto ha saputo tenere unite le istituzioni politiche, gli enti locali, le autorità medico e scientifiche, i cittadini. Non era facile, né scontato”. Nel decreto rilancio previsti 55 miliardi di aiuti: tra questi importanti provvedimenti per il mondo dello sport. L’emergenza Covid19 ha fatto scoprire quante persone lavorano in questo settore e quasi 150 mila persone hanno richiesto il bonus sport. “Io ho sempre pensato che il mondo dello sport non fosse la gallina delle uova d’oro per gli alti stipendi di pochi, ma fosse uno dei più importanti settori produttivi del paese con una fetta di Pil di tutto rispetto, capace di svolgere un ruolo sociale ed educativo di grande rilevanza su tutto il territorio del nostro paese da nord a sud, dal piccolo centro alla grande città. Spesso si confonde lo sport con i 4/5

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mondo da quello di base e dilettantistico a quello professionistico. Senza dimenticare mai le aspettative che hanno i cittadini verso questo aspetto della vita sociale che ognuno può e deve praticare come meglio crede. Io sono convinto che tutti nella vita dovrebbero fare una esperienza in uno sport di squadra perché lo sport collettivo insegna ed educa moltissimo. Lo sport per me è anche cultura”.

club famosi di calcio e i loro campioni e ci si dimentica che nel calcio, come nelle altre discipline sportive, ci sono migliaia di lavoratori con stipendi normali che fanno lavori normali: dall’istruttore di piscina al magazziniere, dal preparatore atletico, al segretario della piccola associazione tanto per citarne qualcuno. Forse il Covid19 ci ha fatto capire che non bisogna approcciarsi con troppe certezze e stereotipi alle cose ma interrogarsi con la capacità di guardare in profondità la realtà. Nel mondo dello sport ci sono tantissime tipologie di lavori, spesso precari e scarsamente retribuiti, a cui il bonus ha dato una prima risposta efficace. Spero però che, superata questa fase emergenziale, si diano risposte strutturali al settore e la discussione che ci avviamo a fare sul collegato sport può essere una grande occasione. Proprio qualche giorno fa in Parlamento il Ministro si è impegnato a riprendere in mano il lavoro. Auspico che questa discussione sia fatta coinvolgendo tutto il Parlamento senza forzature, con un lavoro di condivisione. Bisogna ascoltare tutte le realtà sportive e gli operatori che vi operano con una regolamentazione complessiva di questo

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A proposito di lavoratori, la cassa integrazione per i calciatori della Lega Pro. La politica ha capito che il calcio non è fatto solo di superstar… “Come ho detto prima so benissimo che il calcio non è solo il luogo dei milionari, come viene spesso superficialmente rappresentato, anche se in Serie A sappiamo che le retribuzioni sono mediamente alte. Ma se parliamo di Serie B e Serie C, semiprofessionisti, l’impostazione cambia totalmente. Io ho sempre seguito questo calcio minore, lo seguivo nella mia regione e so quali difficoltà attraversano i club e i professionisti di queste serie. Quindi, come è stato fatto per altri settori della società italiana in difficoltà, siamo intervenuti anche nel mondo del calcio dove stare fermi tre mesi significa per molti ragazzi fare fatica ad andare avanti. Con la speranza che questo provvedimento arrivi il prima possibile nelle tasche degli sportivi e si aggiunga anche ad altri interventi solidaristici messi in piedi dalla Federazione e dalle Leghe”. Parliamo di ripresa del campionato. Lei è intervenuto per il suo partito alla Camera durante il dibattito sul campionato di calcio con il Ministro Spadafora. Qual è la sua posizione in merito? Soddisfatto della ripartenza? “La mia opinione, a distanza di un po’ di tempo da quando il Ministro è venuto in Parlamento, resta sempre la stessa. Io in quei giorni dissi che dovevamo guardare alla ripresa giorno per gior-

no e far sì che ci fosse un accordo tra le società, la Federazione e il Comitato Tecnico Scentifico. Registro che questo accordo c'è stato: dapprima con gli allenamenti individuali, poi in gruppo e ora con la decisione di ripartire seguendo ovviamente dei precisi protocolli. Perché la salute viene prima di tutto. Forse c’è stata qualche polemica di troppo ma, alla fine, è arrivata la scelta della ripresa che tutti aspettavamo ed è arrivata contestualmente ad una curva dei contagi che finalmente è in fase discendente e speriamo che continui così. Ora la speranza è mantenere questa fase di negatività per tutti coloro che lavorano nel calcio e speriamo che tutto si completi nel migliore dei modi con la conclusione dei campionati e le partite finali in Champions League ed Europa League. Speriamo che la curva dei contagi aiuti anche le altre serie a ripartire anche se, va detto, mai come in questo caso risultino evidenti le differenze tra le varie categorie della Serie A, della B e della Lega Pro e del Calcio femminile. La Serie B sembra aver risposto positivamente, mentre invece in Lega Pro e Calcio femminile permangono difficoltà. L'importante si faccia tutto nel rispetto della salute perché questo virus, nonostante ciò che si racconta, non è una passeggiata e può creare disturbi anche a fisici allenati e atletici come quello dei calciatori. Poi ovviamente ci sono regioni in cui tale problema è percepito maggiormente che in altre zone: se pensiamo che metà squadre è nelle tre regioni più colpite e che la Lombardia ne ha 4 nelle province dove più alto è stato il numero dei deceduti come Brescia Bergamo, Milano capiamo ci sia anche qualche riserva. Chi è a Roma o Napoli non ha la stessa percezione. Ma speriamo che tutto vada bene e sia una estate piena di gol per gli italiani. Con prudenza e gradualità chiuderemo questa stagione calcistica e faremo contenti tanti appassionati di calcio, me compreso, in crisi di astinenza”.


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Che effetto le ha fatto per esempio rivedere la Bundesliga a porte chiuse? Il calcio a porte chiuse perde un po' il suo fascino… “Sì, ho visto il Borussia Dortmund nella partita iniziale e continuo a registrare partite della Bundesliga. A dire il vero la prima impressione che ho avuto è che la "mia" Juventus abbia perso una buona occasione non acquistando Haaland che mi sembra un ragazzo davvero interessante! Scherzi a parte, io sono un patito del calcio in tv e nonostante con mio figlio abbia visto tutte le partite registrate in questi mesi di quarantena, avevamo voglia di calcio vero e la Bundesliga ha in parte sopperito a questa mancanza. Mio figlio poi essendo un appassionato giocatore di playstation conosce tutti i giocatori. Confesso, per me grande tifoso della Juventus, questi tre mesi senza calcio è stata un po’ dura. Credo che dovremo per un po’ di tempo abituarci a vedere queste partite a porte chiuse anche se c’è anche qualche effetto positivo nel silenzio di que-

ste gare senza tifosi: talvolta si sente chiamare lo scambio e l’uno dei due dei giocatori o si sente l’effetto della palla calciata e sembra davvero di essere dentro la partita. Non può essere il calcio del futuro e spero presto di rivedere le persone allo stadio, ma pur di

vedere una partita per ora va benissimo così e il calcio giocato mantiene il suo fascino”. Lei viene da una regione di grandi tradizioni calcistiche. Crotone e probabilmente Reggina in B, Cosenza e Catanzaro in Lega Pro. Quale è lo stato del calcio nella sua regione “Io sono nativo di un comune, Cotronei, che ha cambiato provincia da Catanzaro a provincia di Crotone e per me l’affetto va verso queste due squadre, Catanzaro e Crotone: una rappresenta il passato glorioso, l’altra il presente orgoglioso della Calabria. Il Catanzaro è i miei ricordi di bambino dove andavo con papà allo stadio ed ero abbonato. Era un grande Catanzaro quello dei primi anni ‘80 composto da grandi calciatori come Massimo Mauro, Ramon Turone, Celestini, Maldera, Santarini, Sabato. Ricordo un grande centravanti come Edy Bivi, Nastase e io li ricordo tutti: era una squadra straordinaria arrivata in semifinale in Coppa Italia con l’Inter in una epica sfida vinta 3-2. Sono i miei ricordi di tutta l’infanzia... prima ancora c’era Palanca. Negli anni successivi a questo ciclo importante purtroppo si è disperso tutto tra crisi economiche e finanziarie mentre piano piano è venuto in auge il Crotone, grazie ad una dirigenza forte partita dalla prima categoria, che l’ha portata fino alla Serie B e fino a quell’esperienza bellissima della Serie A. Anche qui sono passati calciatori che ora solcano palcoscenici più importanti come Florenzi e Bernardeschi. L’anno che abbiamo vinto il campionato in Serie B ho visto quasi tutte le partite, mentre ora è un po’ più difficile seguirlo. Devo essere onesto, mi sono più appassionato alla promozione dalla B alla A, che la Serie A stessa. Per me la promozione dalla B è stato il compimento del "grande sogno", mentre la retrocessione ingiusta del secondo anno fu una grande

amarezza visto che il Chievo successivamente fu fortemente penalizzato, ma non retrocesso. Ovviamente tutto quello che è calcio calabrese lo seguo con affetto e sicuramente è positivo che anche la Reggina, che ha scritto pagine importanti del calcio italiano, torni nel calcio che conta”. Il 23 maggio è stato l'anniversario dell'uccisione di Giovanni Falcone. Ci viene in mente una partita giocata con lei a Reggio Calabria per la legalità. Cosa significa questa parola e cosa può fare lo sport e il calcio per educare tanti ragazzi? “Mi hai ricordato una bellissima giornata giocata al Granillo con la Nazionale parlamentare dove giocammo contro una selezione di vecchie glorie della Reggina che, ovviamente, ci seppellirono di gol. Mi ricordo la partita fu organizzata da Rosanna Scopelliti, l’ex parlamentare figlia del giudice Scopelliti ucciso dalla ‘ndrangheta: fu un bellissimo pomeriggio anche se lo stadio era in uno stato un po’ di semi abbandono e la cosa mi aveva molto colpito essendo il Granillo uno stadio storico. Ma fu molto bello far rotolare oltre che la palla, la parola "legalità" che, nella mia regione, ha un valore estremamente importante. Lo sport può fare molto per la legalità grazie ai valori che insegna e io credo ci sia una stretta connessione tra le due cose e penso sia importante anche coinvolgere quei ragazzi più fortunati o semplicemente più bravi che hanno avuto successo nello sport e che possono diventare modelli positivi per tanti giovani. Il calcio è anche sacrificio, allenamenti e spesso è sacrificio per gli altri e mi viene in mente la famosa canzone "una vita da mediano" di Ligabue dove c'è davvero l'essenza di questo sport e del suo messaggio più nobile: "correre e sudare per gli altri". Se tutti imparassimo a correre e sudare per gli altri avremmo un paese migliore”.

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biblioteca AIC

di Pino Lazzaro

Il libro di Luciano Castellini

Il segreto del Giaguaro “All’inizio non sapevo, quasi quasi mi vergognavo, addirittura un libro… Poi ho detto sì, giusto perché a insistere era il figlio di un mio amico, lì sul lago di Como, io vengo da lì. Un paio di incontri a Torino, io raccontavo, un po’ di domande, poi ho visto la bozza, è andata”.

po’ capita pure a noi, dai, noi che ci troviamo ancora con mogli e nipoti, dopo tutti questi anni, era proprio un gruppo speciale il nostro. Ora mi capita di far vedere su YouTube qualche nostra partita ai miei nipotini, peccato che uno sia tifoso… della Juve, pensa te”.

Ah, i tifosi del Toro… “Per me è proprio vero che i tifosi del Toro sono diversi, poco da fare. Si portano addosso comunque della sofferen-

Un ruolo, quello del portiere, un po’ in crisi ora da noi? “Per me no, sta crisi non c’è. Il fatto è che ai nostri tempi c’era solo la Rai, poi sono arrivate via via sempre più televisioni, se prima un errore lo si vedeva giusto una volta, ora te lo mostrano per una settimana intera. Per me insomma le cose non sono cambiate più di tanto; sì, ora si insiste tanto sull’iniziare l’azione da dietro, ma io resto sempre dell’idea che intanto la prima cosa che deve fare il portiere è parare. E guarda che noi del mio tempo, i cosiddetti piedi li avevamo, siamo cresciuti negli oratori, ci sapevamo fare, solo che non ce lo facevano fare, tutto qua”.

za. A partire da Superga, Meroni, lui che era di Como e ci conoscevamo e poi la morte del Capitano, di Ferrini. Ricordo una città felicissima quando vincemmo lo scudetto e quanto poi fossi arrabbiato quando me ne andai via. Poi il tempo passa, si capiscono più le cose… è pur vero che sono sempre stato un istintivo e so bene quanto ho dato, anche fisicamente: ho giocato pure con le dita rotte o con venti punti su una gamba. Mi colpisce sempre quando incontro i tifosi del Toro, avverto che per loro sembra giusto ieri, altro che 45 anni. Quasi non abbiano capito quanto sia cambiato il calcio, quanto possa essere in sé anche un dramma essere così legati al passato. Devo aggiungere però che un

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E adesso? Ancora in campo? “Sì, sono ancora qui che giro per l’Italia, andando per i Centri di Formazione collegati col settore giovanile dell’Inter, da Udine alla Sicilia. Ho modo così di vedere come vanno i ragazzini, come crescono, quanto imparano”.

Da via Lima, dove abitavamo quasi all’angolo con corso Sebastopoli, fino allo stadio Comunale, c’era poco più di un chilometro. Il Filadelfia, invece, era mille metri più giù e spesso la facevamo a piedi. La vita mia, di Luciano e Paolo ruotava attorno a quelle tre vie: la casa di via Lima, il campo di allenamento in via Filadelfia e lo stadio in corso Agnelli. Io e Luciano ci conoscevamo già ai tempi del Monza: Ciano ha due anni più di me e faceva il dodicesimo in prima squadra quando io giocavo ancora nel settore giovanile. Ci frequentavamo già in Brianza, ho sempre visto in lui un bravo ragazzo. Poi io andai al Napoli e arrivai al Toro in tempo per accoglierlo quando Pianelli fece il colpaccio di acquistarlo. Qualche anno dopo arrivò anche Gigi Radice e il gruppo di monzesi a Torino era completato, in tempo per vincere lo scudetto. Nel mio primo anno granata vivevo in quell’appartamento di via Lima con Emo Giannotti; l’attaccante toscano, però, quando arrivò Castellini fece la stessa strada in senso opposto, e finì al Monza. In casa, quindi, rimasi solo e l’andare a vivere assieme a Ciano fu la decisione più logica. Poi si aggiunse anche Pulici che voleva venire a vivere con noi a tutti i costi. Quello di via Lima, però, era un appartamento per due persone e quindi Pupi lo sistemammo su un letto a mezzaluna che doveva essere particolarmente scomodo. La prima


biblioteca AIC

Flavio Pieranni FabrizioTurco

L’incipit

… Lui è Ciano, il mio portiere notte Paolo dormì tutto rannicchiato, ma al mattino ci disse: “Ho dormito da favola”, e il trio era al completo. Ricordo che la sera spesso dicevo a Ciano: “Usciamo?”. La sua risposta, però, era sempre la stessa: “E se ci vedono in giro alle 22.30 che figura facciamo?”. Non voleva uscire, Ciano, preferiva stare a casa perché aveva grande rispetto per i tifosi e per la professione. Luciano pativa la tensione e quando le cose non andavano benissimo il compito di tranquillizzarlo spettava a me. Perché Ciano era un perfezionista e quelle poche volte che commetteva un errore tornava a casa e diceva: “Adesso faccio i bagagli e me ne torno a Menaggio: vado a giocare nel Mendrisio e stavolta faccio l’attaccante, mica il portiere. Ci sono troppe pressioni a fare il portiere". Io gli parlavo, lo calmavo e alla fine lo convincevo ad andare avanti più forte di prima. Quel pezzo di traversa… “Qualche anno fa sono passato in quello che restava del Filadelfia. C’era la traversa della porta su cui mi allenavo. La traversa di legno alla quale mi appendevo dopo ogni balzo, ogni guizzo, ogni deviazione durante gli infiniti allenamenti. Era per terra, fra l’erba alta, le pietre e i fossi. Ora io in casa mia ho un pezzo di legno. È un pezzo della porta del Filadelfia. Quello è il mio più grande cimelio Quando qualcuno viene a trovarmi e fra coppe, medaglie e trofei vede quel pezzo di legno e mi chiede ‘Cos’è quell’affare lì?’, io

rispondo che quello è il pezzo pregiato. È il mio orgoglio, quel pezzo di traversa del Fila. Una reliquia. È la cosa più importante che ho”.

Sfogliando … (pag. 21) Mi pagarono 218 milioni di lire, più il cartellino di quattro giocatori. Io avevo saputo della trattativa con la Lazio, ma Roma era tanto lontana, ecco perché quando mi dissero del Toro fui subito contento. Ma in quel momento io non sapevo dell’importanza del Toro, non sapevo cosa rappresentasse; quello lo avrei imparato successivamente. Io in verità non sapevo nemmeno quale fosse la mia valutazione; e comunque di quella cifra enorme non ho preso manco una lira. … (pag. 25) Gli osservatori granata, i cosiddetti Professori “Bida” Ussello, Bearzot, Cozzolino, Zambruni, mi avevano già visto nel Monza, dove si parlava di me già come di un portiere tutto genio e sregolatezza. Ma vennero e videro; e loro all’epoca raramente sbagliavano un acquisto. Probabilmente, oltre alle doti acrobatiche, al senso della posizione, alla guasconeria e alla spericolatezza nelle uscite, loro avevano intravisto quelle doti morali che sono necessarie a diventare un giocatore del Toro. Tant’è vero che fui accettato subito nel gruppo, ma in ogni caso ero uno che sapeva farsi rispettare. … (pag. 66) Ero bravo a bluffare. Sembravo tranquillo, anche se in realtà ero un vulcano.

IO SONO IL GIAGUARO

Prefazione di Claudio Sala Bradipolibri Milanese, del dicembre 1945, Luciano Castellini ha giocato cinque campionati nel Monza (uno in C e quattro in B) e l’esordio in Serie A, con la maglia del Toro, l’ha fatto nel settembre del 1970. Otto i campionati in maglia granata, mettendo assieme 267 presenze (201 in campionato, 42 in Coppa Italia e 24 in Europa). Nell’estate del 1978 passa al Napoli, club con cui chiude poi la carriera nel 1985 dopo 258 presenze (202 in campionato, 45 in Coppa Italia e 12 in Europa). Nel suo palmares una Coppa Italia (70/71) e uno scudetto (75/76), entrambi con la maglia del Torino. In Nazionale A ha giusto una presenza, partecipando comunque alla spedizione per il Mondiale 1974 in Germania. Dopo il calcio giocato è stato il preparatore dei portieri, prima col Napoli e poi con l’Inter (e per un lungo periodo pure con l’Under 21). Attualmente osservatore sempre con l’Inter, dopo esserne stato il coordinatore dei portieri a livello di settore giovanile. • Classe 1963, appassionato di storia dello sport e storico del Torino, Flavio Pieranni ha scritto diversi libri, tutti pubblicati da Bradipolibri. • Classe 1968, giornalista professionista, Fabrizio Turco da oltre vent’anni è corrispondente da Torino per la Repubblica e La Gazzetta dello Sport.

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calcio e legge

di Stefano Sartori

Questo mese parliamo di…

Il TAS ed un caso di “Res Judicata” I fatti: un calciatore colombiano e il club ecuadoriano SC Barcelona di Guayaquil sottoscrivono un contratto con scadenza al 30 giugno 2014; è presente una clausola che riconosce la giurisdizione della FIFA e del TAS in sede di appello.

in maniera poco chiara, si è espressa; b) la DRC non è competente a decidere sulla giusta causa della risoluzione in applicazione del principio di congruenza procedurale; in alternativa, si avrebbe una doppia competenza (Ecuador NDRC e FIFA DRC).

Il 26 novembre 2013, dopo che il club ha emesso tre assegni, rivelatisi scoperti, per le mensilità di settembre, ottobre e novembre, il calciatore chiede alla NDRC (Collegio Arbitrale) dell'Ecuador di condannare la società al pagamento dei tre stipendi pendenti. Con un provvedimento definito come “Providencia”, la NDRC esorta il club in data 13.12.13 a saldare gli arretrati entro 15 giorni ma trascorsi cinque giorni, cioè in data 18 dicembre, il calciatore risolve unilateralmente il contratto.

Il TAS Il 18 aprile 2017 il calciatore propone appello al TAS di Losanna chiedendo che la FIFA si dichiari competente e che al club sia ordinato di pagare gli importi arretrati ed un risarcimento del danno.

Il 27 dicembre il club, dopo aver pagato uno stipendio, si rivolge alla NDRC sostenendo che il calciatore – che nel frattempo ha firmato un contratto con un nuovo club – ha risolto il rapporto senza giusta causa ma il collegio ecuadoriano chiude il contenzioso affermando semplicemente che il club ha versato solo un 1/3 di quanto spettante al calciatore. Il 17 marzo 2014 il giocatore presenta ricorso alla DRC della FIFA, richiedendo i due stipendi arretrati ed un risarcimento per la rottura del contratto con giusta causa; la società presenta domanda riconvenzionale sempre per risoluzione del contratto senza giusta causa. La decisione della DRC La Dispute Resolution Chamber delibera quanto segue: a) il ricorso è irricevibile in base al principio della res judicata, in quanto la richiesta di pagamento è già stata presentata attraverso la NDRC Ecuador la quale, pur se

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A) Con riferimento al tema dell'ammissibilità, il Panel (collegio) del TAS considera quanto segue: - ai sensi dell’art. 22, lettera b), del Regolamento FIFA (RSTP), la dimensione internazionale del caso è palese in quanto la nazionalità del giocatore è colombiana mentre quella del club ecuadoriana; - la competenza della NDRC Ecuador non può essere affermata in quanto, come specificato dallo stesso TAS in diverse decisioni, le condizioni previste dalla FIFA -. indipendenza e terzietà – nel paese sudamericano non sono rispettate; inoltre, il Panel considera il tema come irrilevante in quanto la DRC, nella sua decisione, ha dichiarato di non aver preso in considerazione il caso a causa della sua inammissibilità (esistendo una precedente decisione) e non incompetenza; - nel contratto esiste una clausola specifica che devolve la competenza alla FIFA, e al TAS in appello; - infine, la decisione della NDRC Ecuador non ha avuto l'effetto di res iudicata. Per avere questo effetto, la decisione deve essere vincolante e non impugnabile e, d’altra parte, "non necessariamente ogni procedura termina con una decisione con effetto di res iudicata, poiché questo effetto si verifica solo dopo una procedura in contraddittorio, al termi-

ne della quale uno ius dicere viene prodotto attraverso una risoluzione riguardante il merito del caso". Ciò premesso il Panel ha convenuto che il principio del contradditorio non era stato rispettato dalla NDRC Ecuador, come evidenziato da numerosi elementi: la procedura (requerimiento, cioè richiesta), è prevista dai regolamenti della Federazione dell’Ecuador e non è quindi frutto di un accordo raggiunto dalle parti sindacali; dopo essere stata adita dal calciatore per il recupero degli stipendi non corrisposti, la NDRC ha espresso un documento, sottoscritto dal segretario, che si riferiva al parziale pagamento dell’importo senza quindi alcuna richiesta concreta e/o condanna nei confronti del club debitore. In particolare, il TAS evidenzia che “anche nell'ipotesi che fosse vero che la NDRC aveva già deciso, con effetto di res judicata, in merito alla retribuzione arretrata richiesta dal calciatore, ciò, in nessun caso, avrebbe impedito alla FIFA DRC dal decidere la questione relativa alla risoluzione del contratto”. Pertanto, sulla legittimità della risoluzione del contratto per giusta causa, va affermata senza dubbio la competenza della FIFA. B) Per quanto riguarda la risoluzione del contratto, il Panel ha valutato i seguenti dati di fatto: - il club ha ripetutamente violato il contratto non corrispondendo né gli importi dovuti né quanto dovuto per le spese relative all’alloggio; - il calciatore ha ricevuto ben tre assegni privi di copertura, con ciò minando il reciproco obbligo della buona fede nell’esecuzione del contratto, essenziale in particolare nei rapporti contrattuali di lavoro; - il fatto che il calciatore abbia risolto il contratto prima della scadenza del termine di 15 giorni concesso dalla


calcio e legge

NDRC Ecuador è considerato irrilevante, dal momento che il provvedimento chiamato “Providencia” citato nelle premesse non era obbligatorio né vincolante e non ha influito sulle motivazioni che hanno condotto il giocatore a risolvere il contratto. Inoltre, nel momento in cui il termine è scaduto, il club doveva ancora al giocatore importanti somme di denaro.

La decisione Il Tribunale Arbitrale dello Sport, riconosciuta la risoluzione del contratto per giusta causa, ha quindi ordinato allo SC Barcelona di pagare la retribuzione arretrata comprensiva degli interessi, con l’aggiunta di un risarcimento pari al valore residuo del contratto, dei costi totali dell'arbitrato a carico del club e delle spese legali sostenute dal calciatore.

C.U. n.1 del 5 luglio 2019

L’incidenza delle decisioni del TAS nell’ordinamento federale Si segnala un’importantissima decisione presa dal Tribunale Nazionale Federale, Sezione disciplinare, e pubblicata nel Comunicato Ufficiale n.1 del 5 luglio 2019. Per la prima volta, infatti, i giudici prendono in considerazione la questione riguardante l’incidenza, all’interno dell’ordinamento sportivo federale italiano, di una decisione, che può essere definita “esterna”, presa dal Tribunale di Arbitrato per lo Sport di Losanna (di seguito solo TAS). Nel deferimento il Procuratore Federale chiedeva la condanna del presidente, e legale rappresentante della società calcistica, per la violazione dei generali doveri di lealtà, probità e correttezza per non aver correttamente adempiuto a quanto stabilito da un lodo arbitrale reso dal TAS in data 14 settembre 2016 e successivamente reso efficace nel territorio italiano da un decreto della Corte d’Appello di Palermo, entrambi correttamente notificati alla società stessa. In conseguenza di ciò veniva richiesta anche la condanna della società stessa. In particolare il lodo aveva stabilito che la società era ancora debitrice di

altra società per non aver correttamente corrisposto l’importo stabilito tra le due da un contratto di trasferimento di un calciatore. I giudici, esaminati gli atti e rigettato le eccezioni preliminari avanzate dalle difese, hanno accolto il deferimento condannando presidente e società rispettivamente a quattro mesi di inibizione ed 1 punto di penalizzazione in classifica. Ciò che però rileva non sono le singole sanzioni ma quanto esposto nella motivazione posta alla base delle stesse. I giudici partono dal presupposto che il TAS è un organismo la cui giurisdizione è riconosciuta dall’ordinamento sportivo italiano e dai soggetti che ne fanno parte (secondo quanto disposto dall’art. 1, co. 5 lett. d) dello Statuto Federale). Il secondo presupposto è che le decisioni, prese da qualsiasi organo giurisdizionale riconosciuto, generano degli obblighi, in capo ai soggetti coinvolti, di adempimento a quanto stabilito in dette decisioni. Da questi punti base i giudici traggono la conclusione che ciò che rileva, al fine di ritenere fondato il deferimento presentato, è che una società facente parte

dell’ordinamento federale non ha adempiuto correttamente a quanto stabilito, a seguito di regolare procedimento in contraddittorio, da un provvedimento emesso da un organismo (il TAS) la cui giurisdizione è chiaramente riconosciuta ed altresì non è stata adempiuta la decisione dell’Autorità Ordinaria (la Corte d’Appello di Palermo) che conferiva efficacia a detto provvedimento. In poche parole ciò che rileva è che l’inadempimento ad una decisione, sia questa presa da un organismo extra federale o facente parte della giustizia interna, comporta inevitabilmente l’applicabilità delle sanzioni previste dall’ordinamento sportivo. E ciò, chiariscono infine i giudici, indipendentemente dal fatto che la decisione arbitrale sia dotata o priva della cd. “esecutività” poiché l’eventuale difetto della stessa non fa venir meno l’obbligo nato in capo alla società di adempiere quanto stabilito dal TAS, obbligo che, come detto in precedenza, risulta essere il vero elemento rilevante per l’ordinamento sportivo. Alfredo Giaretta

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secondo tempo

di Claudio Sottile

Non solo bomber…

Zizzari e il fattore casa Non manca certo il guizzo a chi è abituato a finalizzare. Francesco Zizzari nelle corde non ha solo il fiuto del cannoniere, ma anche la predisposizione a far del bene. Per info chiedere ai suoi compagni di attacco e al suo… “coinquilino”.

cio su Facebook e chiesto collaborazione agli amici di tutta Italia, in una giornata ho ricevuto decine di messaggi e richieste. La disponibilità era solo per una persona, considerando i dovuti distanziamenti. Tra tutti, mi ha scritto un infermiere, Michele di Assisi, ci siamo messi subito d’accordo Francesco, a qualche giorno dall’initelefonicamente. Lui ha raggiunto la zio della terribile pandemia, hai decistruttura a Pasqua, è in casa da quel so di far soggiornare gratuitamente giorno. Mi ringrazia in continuazione. una persona nella tua struttura ricetVoleva appoggiarsi per qualche giortiva di Ravenna. no da un amico, ma gli ho detto di “Ho un appartamento turistico a Raaccasarsi direttamente evitandosi un venna, che solitamente in questi pedoppio trasloco. Ecco fatto. Per il mio riodi era sempre pieno. Lo comprai gesto ho ricevuto il plauso dell’Assessore al Turismo di Ravenna e dal Co"Ho pensato di fare del bene mune, tuttavia mi aiutando qualcuno che ha bisogno". è venuto davvero spontaneo farlo. quando giocavo lì, era nuovissimo, non Mi fa piacere aiutare un ragazzo che c’erano nemmeno gli allacci e iniziai non sapeva dove andare, o che avrebbe ad arredarmelo con calma. Per me fu speso tanti soldi per un albergo. Si fa un investimento. All’epoca non volevo del bene a chi in questo momento sta affittarlo, perché ne ero geloso, ma poi aiutando tante persone”. decisi di affiliarmi alle varie piattaforme, e l’ho ribattezzato ‘Open Space Michele sapeva chi fossi? Martina’ in onore di mia figlia. È un “Non segue molto il calcio. Poi lui mi mercato che fino a tre mesi fa stava ha ricontattato perché ha visto i comandando troppo bene, ora bisognerà menti sui social e ha capito che sono vedere come usciremo da questa siun calciatore, si è scusato di non tuazione causata dal Coronavirus, avermi riconosciuto. Le ragazze che che ha colpito il turismo in modo pargestiscono la struttura per conto mio ticolare, si è fermato completamente mi hanno detto che è un ragazzo per il meccanismo. Complice il divieto di bene, educato”. spostarsi, a marzo in Italia giustamente nessuno se la sentiva di andare a Fino a quando soggiornerà? fare vacanze. L’appartamento, sempre “Siamo rimasti d’accordo fino al 30 pronto e disponile, si trova non distangiugno prossimo. Spero che da quella te dall’ospedale di Ravenna. Ho pensadata riparta il mercato, perché con to di fare del bene aiutando qualcuno tanti costi fissi basta poco e si va in che ha bisogno. In questo momento negativo”. infermieri e dottori hanno l’esigenza di spostarsi, io sono di Pistoia e conosco Che tipo di clientela ospiti solitamenpersonale sanitario del luogo impete? gnato altrove, fuori città. Ho pensato “Ho gente da tutte le parti del mondo, che sicuramente ce ne sarebbero stati più stranieri che italiani, molte famitanti che sarebbero stati chiamati a glie, ma anche tanti ragazzi, essendo lavorare a Ravenna. Ho messo l’annuna 20 km da Milano Marittima. Avere

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9,7 come media su 100 recensioni vuol dire che garantisci un servizio importante. Il massimo è 9,9 e quindi siamo contenti così”. Ravenna per te sarà sempre un pezzo di cuore. “Mi hanno cercato tanti ex compagni di quel Ravenna, dopo che hanno letto la notizia sui giornali locali. In particolare, Sandro Ciuffetelli e Paolo Sciaccaluga, che ormai vivono lì, mi hanno ringraziato come se avessi aiutato anche loro direttamente. In giallorosso nel 2008/2009 fui capocannoniere con 15 gol nel girone A di Lega Pro, ero in tandem con Davis Curiale, che arrivò a gennaio e ne fece 8. Ne segnai altri due nei playoff, ma in semifinale fummi eliminati dal Padova, che poi salì in Serie B”.


secondo tempo

Anche se fare beneficienza non è stato semplicissimo… “Esatto, perché se sui siti dedicati come ‘Airbnb’, ‘HomeAway’ o ‘Booking’ blocchi le disponibilità, ti si rovina la media. Ho impostato prezzi folli a notte con la speranza che nessuno prenotasse in queste settimane, ma per assurdo è arrivata una richiesta tramite ‘Airbnb’, periodo dal 9 maggio al 9 giugno, questa persona sarebbe stata disposta a spendere 5.000 euro in pratica. Non so se poi la prenotazione sarebbe andata a buon fine, nel caso sono contento di aver perso una grossa cifra per un fine nobile”. Fino a quando avete lavorato a pieno regime? “Ho avuto gente fino al 10 marzo, poi avevo diverse prenotazioni per i weekend soprattutto da aprile in poi. La casa è praticamente a Mirabilandia, la cui inaugurazione sarebbe stata il 1° maggio, ma ovviamente è tutto fermo. È un mercato morto al momento, purtroppo non se ne parla abbastanza, nel mio piccolo ho avvertito la crisi, figuriamoci per chi ha strutture grandi e vive solo di turismo”. Questo “gol” solidale è stato il più importante della tua carriera? “È stato un gol a porta vuota, era talmente facile decidere in poco… Tutto è nato quando su ‘Booking’ nel giro di due giorni ho ricevuto quattro cancellazioni una dietro l’altra, per Pasqua, Pasquetta, 25 aprile e 1° maggio. Vedere migliaia di euro in fumo ti colpisce, ho pensato ora che si fa? Sarebbe rimasta inutilmente vuota, da lì l’intenzione di farla usufruire a qualcuno di meritevole”. A proposito di gol, ancora la butti dentro. “Mi sono divertito anche quest’anno. Fino a dicembre ho fatto sei gol con il Castelfiorentino, Eccellenza toscana. A gennaio ho segnato un altro gol, poi mi sono strappato il polpaccio ed ero in fase di rientro prima del lockdown. Avrei terminato la stagione lì. Era un’annata bella, positiva, quando sei il più anziano e hai a che fare con tanti giovani ti piace che ti prendano come esempio all’interno di uno spogliatoio.

In quarantena ho ragionato sul futuro, se a 38 anni devo smettere non devo farlo perché l’ha deciso un virus, preferisco giocare allora ancora un altro

anno. Dopo che un giornalista mi fece notare che avevo raggiunto quota cento gol in carriera, ho voglia di aggiornare le statistiche”.

Uno di noi

Quella volta che… Era l’estate del 2013 quando Francesco Zizzari, reduce da una non brillantissima mezza stagione con la maglia del Bassano Virtus in C2 (10 presenze e 1 gol), vestiva la maglia dell’AIC per quel “rilancio” che l’avrebbe portato a Foggia (e poi Gavorrano) poche settimane dopo. Naturalmente stiamo parlando del ritiro AIC per calciatori senza contratto a Coverciano, al quale Zizzari prese parte portando a termine anche il corso allenatori Uefa B. Nato a La Spezia il 31 maggio 1982, l’attaccante ha vestito in carriera le maglie di Baracca Lugo, Brindisi, Spezia, Pordenone, Pavia, Pistoiese, Grosseto, Lucchese, Ravenna, Pescara, Reggina, Siracusa, Bassano, Foggia, Gavorrano, Sestri Levante, Ponsacco, Sporting Recco, Pietrasanta e Zenith Audax.calcio. Speriamo si trovi il modo di fare tutto in sicurezza, ma se non si prova adesso, come si fa?”.

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io e il calcio

di Pino Lazzaro

Matteo Trentin (ciclismo)

“E pensare che in bici ero scarso” “E pensare che in bici ero scarso, magari non è proprio che cadessi ogni volta, però quando capitava lo facevo… bene, ne ho parecchie di cicatrici. Poi un giorno, ero con mio padre, vedemmo i ragazzi lì del Veloce Club Borgo in bici, lui a dirmi se mi andava di provare e così ho cominciato. Da G1, avevo 6-7 anni. Per un po’ ho fatto pure pallavolo, ricordo la squadra degli U13 sempre a Borgo e poi

“Per me il bivio è stato da dilettante. Facevo pure l’università, Scienze Motorie, un bel po’ di esami li avevo già fatti ed è stato lì che mi sono chiesto da che parte volevo andare e chissà col ciclismo dove poi avrei potuto arrivare. Ho deciso di provarci, però senza lasciar perdere ogni cosa, fin là ero comunque riuscito a conciliare le due cose, in fondo mi mancava solo un anno per la laurea triennale. Sono poi riuscito a passare "Non sarebbe male che, come in professionista e in ce l’ho fatPortogallo, ci fosse un Juventus o seguito ta a finire gli studi, anche se con 3-4 Milan o Inter Cycling Team, no?" anni di ritardo. gli sport che ho fatto con la scuola, È stato nel 2015 e devo dire che, ora anche un po’ di calcio. La passione come ora, è giusto un pezzo di carta lì per la bici l’ho sempre avuta e mi ha in un cassetto, si vedrà”. aiutato pure il fatto che cambiavo, per dire ho fatto anche ciclocross, varian“La bici è diventata un lavoro vero e do è più difficile annoiarsi. All’inizio, proprio quando sono diventato per come sempre, è un gioco e secondo l’appunto professionista, il che vuol me è più tardi che diventa passione: dire insomma che mi pagavano. Sì, solo più avanti e se ce la fai, diventa da una parte mi sento un privilegiato pure un lavoro”. perché ho fatto di una passione il mio

lavoro, dall’altra aggiungo però che me lo sono meritato e ci ho messo tanto di mio, specie se guardo in quanti eravamo lì a provarci e quanto pochi sono arrivati poi al vertice. È uno sport fatto così il nostro, “serio” come dici tu lo devi essere per forza, altrimenti non lo puoi fare, non a certi livelli, è proprio uno spartiacque questa cosa qui”. “Normalmente la mia settimana tipo, pensando che la corsa, mettiamo pure una Classica, sia di domenica, prevede uno stacco sicuramente al lunedì, stacco che può arrivare pure al martedì se la corsa la domenica è stata particolarmente dura. Il mercoledì l’uscita è sulle tre ore, esco praticamente sempre al mattino, aggiungendo magari dei lavori specifici, legati al tipo di corsa che mi aspetta. Per dire, se sono previste delle salite brevi, allora me le vado a cercare e provare, idem se ce ne saranno invece di lunghe. Al giovedì l’uscita è più lunga, anche 5 ore, mentre al venerdì siamo sulle tre ore e mezza. Sabato tranquillo, massimo un’oretta, in scioltezza. Il nostro ritiro di preparazione, tutti assieme, di solito lo facciamo tra dicembre e gennaio, mentre durante l’anno, metti che la corsa sia di domenica, ci si trova con la squadra in genere il venerdì sera, solo prima dei grandi Giri, Giro-Tour-Vuelta, allora ci si trova in genere sin dal mercoledì, soprattutto perché ce ne sono tante di cose da preparare e a cui star dietro. Il ciclismo insomma è sì uno sport di squadra, ma questo capita solo nelle gare, per il resto ognuno bada a sé stesso”. “Certo che faccio palestra, specie d’inverno ma pure in stagione, dipende sempre da ciò a cui voglio star dietro. Di solito ci vado al lunedì o al martedì e aggiungo tra l’altro che vado spesso a nuotare. Curo insomma la tonicità della parte superiore, aggiungendo al bisogno lavori specifici pure per le gambe, siano esercizi per l’esplosività o la resistenza”.

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io e il calcio

“Macché turista, è un qualcosa che mi rompe questa. Si gira il mondo ma non si vede mai niente. Ricordo per dire al Giro di Turchia, quell’anfiteatro a cui passammo vicino in corsa, mi sarebbe piaciuto andarmelo a rivedere con calma o al Giro d’Italia, penso per esempio a Matera: solo la sera in televisione ho potuto vedere tutta quella bellezza, noi lì con la squadra in hotel, già un centinaio di chilometri lontani, è così. Ecco, nelle tappe di montagna, qualcosa riesco a vedere: mi stacco e così un’occhiata ai panorami attorno riesco a darla, tutto qua. In genere 70-80 giorni di corsa sono dedicati alle gare a tappe, viviamo così praticamente in pullman e penso tutto sommato di essere uno “da spogliatoio”, vedo che almeno ci provo”. “Ora sono fermo, siamo tutti fermi per la pandemia. La data per la nostra ripartenza l’hanno intanto fissata per il 1° agosto, noi tutti abbiamo corso pro-

prio poco, c’è chi ha fatto solo qualche giorno di gara, tipo lì negli Emirati, chi addirittura, quando è arrivato lo stop per il coronavirus, non aveva nemmeno iniziato. Gli obiettivi che avevo prima di tutto questo che è successo erano le Classiche e poi il Tour de France. Adesso bisognerà capire quello che si farà e come. Una prima bozza di calendario internazionale c’è già, la Federazione italiana ha proposto degli spostamenti e ancora è tutto in costruzione. Per fortuna abbiamo una data fissata per la ripartenza delle gare e così il mio obiettivo adesso non può essere che fare meglio possibile, di sicuro le prime corse saranno col coltello tra i denti, in tanti vorranno farsi vedere. Il confinamento lo stiamo avendo anche qui a Montecarlo, sono andato avanti e avanti con i rulli e finalmente da lunedì (il 18 maggio; ndr) si potrà tornare… sulla strada, con lavori più strutturati: è come insomma uno che deve fare la maratona e la prepara sul tapis roulant, così è andata sinora. Quasi due mesi ho fatto sui rulli, comunque nessun infortunio o problema, non penso d’essere poi così male”.

La scheda Di Borgo Valsugana (Tn), classe 1989, già campione italiano juniores di ciclocross nel 2007, MatteoTrentin è passato professionista su strada nell’agosto del 2011, dopo un’ultima stagione da dilettante in cui, oltre al titolo italiano, s’era aggiudicato due importanti corse quali il Gran Premio della Liberazione e ilTrofeo Alcide De Gasperi. Col gruppo belga della QuickStep (via via Omega-Pharma, Etixx ecc.) ha corso sino al 2018, passando poi alla Mitchelton e da questo 2020 al CCC Team. Vincitore di tappe al Giro d’Italia, al Tour de France e alla Vuelta de España e pure di due edizioni di una classica come la Paris-Tours, con la maglia della Nazionale ha vinto nel 2018 l’Europeo ed è stato medaglia d’argento al Mondiale su strada del 2019.

“Il calcio? Onestamente lo seguo poco e mi rendo conto d’essere stato pure un po’ indietro perché quando capitano i discorsi sul calcio mi trovo a essere spiazzato, con calciatori che giocano in squadre diverse da quelle che pensavo. Beh, tante e tante pagine sul calcio e magari giusto una per il ciclismo? Certo, sarebbe meglio che non fosse proprio così, però è stato comunque merito loro, del calcio se adesso il pallone la fa da padrone, se la gente, le televisioni e i giornali ne parlano così tanto. Sono stati insomma bravi loro a far diventare “dipendente” il Paese. Quello che sarebbe bello, questo però succede in effetti solamente in Portogallo, è che le squadre di calcio avessero una sezione ciclistica: non sarebbe male ci fosse un Juventus o Milan o Inter Cycling Team, no?”.

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internet

di Mario Dall’Angelo

I link utili

Per combattere tutte le forme di odio Sta suscitando grande preoccupazione la recrudescenza di atti e parole d’intolleranza dentro e fuori dagli stadi italiani. Ma le persone che assistono alle gare costituiscono un campione della società e infatti le manifestazioni di odio sono

aumentate in generale in questi ultimi anni, venendo messe sotto osservazione continua da parte del Governo. Una scelta forte, per contrastare la deriva, è avvenuta lo scorso ottobre, quando il Parlamento ha istituito una Commissione parlamentare d’indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza. Alla presidenza della Commissione è stata eletta la prima firmataria del provvedimento, la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz. Una scelta, quella del Parlamento, tanto più urgente in quanto recenti sondaggi hanno rilevato un considerevole aumento nella società italiana del negazionismo della Shoah, ovvero della falsa credenza che il genocidio del popolo ebraico compiuto dai nazisti nella seconda guerra mondiale sarebbe un’invenzione o un’esagerazione. L’istituzione della Commissione arriva dopo quella della “No Hate Parliamentary Alliance” da parte del Consiglio d’Europa. Infatti, il problema non è solo italiano e la rete costituita dal Consiglio d’Europa è composta da parlamentari di tutti i paesi UE impegnati sia nel proprio paese sia a livello internazionale contro le manifestazioni d’odio è particolarmente nei confronti dello “hate speech”, il discorso di odio.

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Anche le istituzioni del mondo del calcio si sono mosse. Il 16 gennaio scorso, all’interno dell’evento “Un calcio al razzismo” organizzato da Noemi Di Segni - presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane - la Federazione Italiana Giuoco Calcio, l’Associazione Italiana Calciatori – con il presidente Damiano Tommasi - e le Leghe professionistiche, alla presenza del Ministro dello sport Vincenzo Spadafora e del dirigente dell’Inter Javier Zanetti, hanno sottoscritto il “Manifesto della comunicazione non ostile per lo sport” messo a punto dall’Associazione Parole O_stili di cui abbiamo già scritto in questa rubrica. Il presidente Gabriele Gravina ha precisato la posizione della Federcalcio: “Si pensa che lo stadio possa essere il luogo dove tutto è consentito e questo ha chiesto una serie di interventi decisi. Il mondo del calcio ha attivato meccanismi di progettualità nel breve, nel medio e nel lungo termine. Bisogna capire che la punizione collettiva è eticamente sbagliata, dobbiamo colpire il singolo che compie l’azione. Nel breve periodo abbiamo reso più stringenti le norme contro il razzismo negli stadi; nel medio termine speriamo di arrivare alla sperimentazione di quello che abbiamo chiamato radar passivo (riconoscimento facciale ad alta definizione, ndr) e poi a lungo termine c'è il fatto culturale con il lavoro nelle scuole verso quelli che saranno i tifosi di domani”. In attesa che arrivi si arrivi l’implementazione nei fatti delle novità preannunciate da Gravina e anche a dei risultati – nel breve termine con il riconoscimento facciale, nel lungo periodo per quanto riguarda l’educazione alla tolleranza dei giovani – esistono già degli strumenti che, al di fuori del campo di gioco, possono essere utilizzati. Uno è l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, le cui pagine web sono accessibili sul sito del Mini-

stero degli Interni - www.interno.gov.it – cercando con l’acronimo Oscad nel campo per la ricerca. L’Osservatorio fornisce aiuto a chi è sottoposto a comportamenti di carattere discriminatorio. Si deve scrivere all’indirizzo email oscad@dcpc.interno.it nel caso in cui si sia stati offesi in base alla propria etnia, al credo religioso, all’orientamento sessuale, all’identità di genere e per eventuale disabilità. La segnalazione all’Oscad – che non sostituisce la denuncia alla magistratura di fatti penalmente rilevanti - mette in moto le necessarie verifiche da parte delle forze dell’ordine. Si tratta di un primo passo che aiuta chi subisce discriminazione e nel contempo consente l’emersione dei reati, permettendo al Ministero degli Interni di monitorare e analizzare il fenomeno, fornendo così al Governo e al Parlamento i dati necessari per le valutazioni e le misure da adottare. Ma il compito dell’Osservatorio non si ferma a questo. Tiene i rapporti con quegli organismi, pubblici e privati, che agiscono contro le discriminazioni. Sostiene la formazione specifica degli appartenenti alle forze dell’ordine. Stringe collaborazioni istituzionali sia all’interno sia all’estero. Contribuisce alla realizzazione di campagne di comunicazione sociale, sia per mezzo dei media sia delle diramazioni territoriali degli uffici di polizia. Tra i frutti di queste attività segnaliamo il protocollo d’intesa con l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del consiglio dei ministri. Federico Bernardeschi @fbernardeschi Un virus sta dominando le nostre paure. Ci terrorizza, limita la nostra libertà, ci fa disprezzare l’altro. Quando tutto questo finirà, ricordiamoci di questi giorni, di questa sofferenza, di questa isteria che ci ha trasformato in animali mossi solo dall’istinto di sopravvivenza, senza ragione, senza rispetto per nessuno.


internet

di Stefano Fontana

Calciatori in rete

Cavani e Guardiola, due “vecchie” conoscenze www.edicavaniofficial.com Sito ufficiale per Edison Cavani, attaccante uruguaiano classe 1987 in forze dal 2013 al Paris Saint-Germain. Prima di approdare a Parigi il fuoriclasse sudamericano ha militato nel Palermo prima e nel Napoli poi: in entrambe le

squadre ha lasciato il segno con reti numerose e pesantissime, entrando nel cuore dei tifosi. Inoltre, Cavani è titolare della Nazionale uruguaiana sin dal 2008, con la quale ha conquistato la Coppa America in Argentina nel 2011. Il sito è consultabile in diverse lingue tra le quali troviamo italiano, inglese,

Zlatan Ibrahimović @Ibra_official Do it with passion or not at all (Fallo con passione o non farlo affatto)

Miralem Pjanic @Miralem_Pjanic Il tuo ricordo è indelebile. Il tuo sorriso indimenticabile. Ciao Davide (Astori)... sempre con noi

jacopo sala @jacoposala Lascia che giudichino chi sembri, non tutti devono sapere chi sei realmente

francese e spagnolo. Nell’homepage troviamo una serie di suggestive immagini del giocatore, completate da una serie di interessanti statistiche come i minuti giocati nell’ultima stagione, le partite disputate ed i gol realizzati. Troviamo poi il risultato dell’ultimo incontro disputato dal Paris Saint-Germain e molto altro ancora. La sezione dedicata alla carriera ne ripercorre le tappe principali attraverso foto, video e filmati relativi a giocate e interviste con le maglie di Salto, Montevideo, Palermo, Napoli e Paris Saint-Germain. Grande spazio infine per un vivace social wall, dove troviamo raccolti gli ultimi post pubblicati su Instagram, Facebook e Twitter. Mentre carisma, talento ed istinto del gol risultano lampanti ammirando Edison in azione sul campo da gioco, negli scatti di vita quotidiana pubblicati nelle reti sociali è possibile apprezzare l’amore nutrito per la famiglia e gli amici più cari: scoprire l’uomo oltre il calciatore. Lasciamo a voi il piacere di scoprire cos’altro ha da offrire il sito ufficiale di Edison Cavani.

lebri e quotati al mondo. Ex centrocampista spagnolo caratterizzato da ottime doti tecniche e da un’eccellente visione di gioco, Guardiola ha preso il timone di importanti club internazionali come Barcellona e Bayern Monaco. Dal 2016 siede sulla panchina del Manchester City, prestigioso e storico club inglese club di proprietà di al-Mubarak, uno degli imprenditori più importanti ed in-

fluenti degli Emirati Arabi Uniti. Il sito ufficiale di Guardiola è consultabile in inglese, catalano, italiano, tedesco e spagnolo. Caratterizzato da tinte scure, atmosfera notturna ed elegante e grafica minimale, il sito personale di Pep è tra i più riusciti e suggestivi tra quelli www.pepguardiola.net da noi visitati negli ultimi anni. Tra i vari Pep Guardiola è uno dei tecnici più cecontenuti del sito troviamo un’esaustiva sezione biografica con cenni agli esordi, alla carriera da calciatore ed ovviamente da allenatore; non manca infine una dettagliata scheda tecnica. Cristiano Ronaldo @Cristiano La pagina dedicata ai trofei conquistati When we become patient and presente nel sito è il biglietto da visita consistent, we find the way to get più efficace per un uomo considerato through the difficulties (Quando diventiamo pazienti e coerenti, troviamo da molti esperti tra i migliori allenatori il modo di superare le difficoltà) di tutti i tempi. Guardiola si è aggiudi#backontrack #beresponsible cato almeno una volta il campionato nazionale di ciascuno dei club che ha allenato (per la precisione tre volte la Liga con il Barcellona, tre volte la Bundesliga con il Bayern ed una volta (fino ad ora) la Premier League con il ManGiorgio Chiellini @chiellini chester City. A tutti gli operatori sanitari e agli altri Non manca, infine, uno spazio dediprofessionisti che continuano a lavorare come veri eroi, un infinito applauso. Gli Eroi cato ad Instagram, social network dell'Umanità combattono contro #COVID19. sempre più in voga tra i big del mondo calcistico.

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segreteria

di Bianca Maria Mettifogo

“Facciamo gli uomini”: protagonisti

Solo uniti si può scendere in cam contro la violenza sulle donne “Facciamo gli uomini”, il progetto finalizzato alla sensibilizzazione contro la violenza di genere realizzato dall’Associazione Italiana Calciatori con il Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Pari Opportunità, ha iniziato un nuovo percorso dando voce a chi ogni giorno lavora ed opera per combattere questa battaglia attraverso l’ascolto delle donne vittime di violenza, il recupero dei maltrattanti, il supporto psicologico e l’aiuto concreto. Non solo: saranno approfondite le tematiche legate alla parità di genere, ai ruoli della donna nelle professioni e nella vita familiare. Il tutto, naturalmente, con un occhio di riguardo al mondo dello sport e del calcio in particolare, veicolo importantissimo di messaggi di solidarietà, di rispetto e di attenzione nei confronti di questo dramma sociale. Per inaugurare la rubrica “Protagonisti” abbiamo scelto Rossano Bisciglia, psicologo e psicoterapeuta ma soprattutto tra i fondatori del CAM, acronimo di “Centro Ascolto uomini Maltrattanti”, attivo da dieci anni. Alla giornalista Sabrina Carreras, Bisciglia ha sottolineato come “agire sul comportamento degli uomini che hanno comportamenti violenti è prevenzione. Anzitutto perché la violenza è fatta da due attori: chi la subisce e chi la agisce. L’obiettivo dei nostri programmi psicoeducativi” - ha continuato Bisciglia - “è quello di interrompere la violenza e iniziare a mettere in discussione le modalità controllanti degli uomini nei confronti della donna. Nel caso poi la coppia dovesse separarsi, nulla vieta all’uomo di riproporre le stesse modalità violente con altre donne, e quindi anche in questo caso il nostro lavoro diventa necessario”. Il fondatore del CAM analizza la difficoltà dell’uomo nel prendere coscienza di comportamenti violenti e gesti di prevaricazione: “Quello che io noto è che noi uomini abbiamo una difficoltà a tollerare quello spazio di frustrazione che c’è tra il problema e la soluzione del problema. Quello che voglio dire è che da un certo punto di vista la violenza è per un uomo come il junk food: è gratificante ed immediata. Perché dà all’uomo la possibilità di risolvere il problema senza fare fatica, senza una gestione

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del conflitto, senza comunicazione, senza scambio, ma solo utilizzando la forza fisica per prevalere. E questo è l’aspetto più psicologico della questione. ma poi c’è anche una componente sociale che ha che fare con quello che ci viene insegnato, su come io devo essere uomo. Viviamo in una società dove la violenza maschile è tollerata se non addirittura normalizzata”. Da qui l’impegno degli operatori del CAM di incontrare gli studenti, di lavorare con le scuole per abbattere gli stereotipi e lavorare sul tema della parità di genere. Il valore di educare i giovani, uomini e donne, è stato portato all’attenzione anche dalla Presidente del “Telefono Rosa onlus”, Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, che ha evidenziato “Dobbiamo continuare a fare opere di sensibilizzazione e prevenzione in ogni contesto possibile ma soprattutto prima delle donne dobbiamo educare le bambine, a scuola e in famiglia. Precisiamo che l’educazione deve arrivare sia dalla mamma che dal papà”. Il servizio, nato nel 1988, è costituito da un gruppo di volontarie che prestano il loro servizio e la loro professionalità gratuitamente: tra queste ci sono avvocate penaliste e civiliste, psicologhe, mediatrici culturali di diversa nazionalità. Dal 2012, il Telefono Rosa Onlus gestisce il 1522, numero di pubblica utilità attivato nel 2006 dal Dipartimento per le Pari Opportunità per contrastare la violenza intra ed ex-

Sopra, Rossano Bisciglia, tra i fondatori del Centro Ascolto uomini Maltrattanti. A lato, Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, Presidente del “Telefono Rosa onlus”. A destra, Luisa Pogliana, Presidente di “Donne senza Guscio”.

tra domestica attraverso un sostegno concreto alle donne. Il periodo legato all’emergenza sanitaria Covid-19 ha segnato un momento di grande impegno e di accresciuta attenzione nei confronti delle donne vittime di violenza ed il Telefono Rosa è stato sempre in prima linea nella sua opera di sostegno ed aiuto a tutte le donne. La Presidente Moscatelli spiega che “La vita delle donne in questo periodo di emergenza purtroppo è cambiata in modo negativo in quanto molte donne che già subivano violenza si trovano a convivere con il compagno 24 ore su 24 e questo inevitabilmente aumenta le situazioni di attrito e le conseguenti violenze. Le donne si trovano ad essere controllate ogni minuto della propria giornata non avendo più quel minimo di respiro che precedentemente potevano avere mentre il compagno stava al lavoro. Le difficoltà economiche che stanno aumentando in questo periodo per


segreteria

mpo e

buona parte degli italiani ovviamente non sono di aiuto. Influenzano ancora maggiormente le reazioni dell’uomo violento”. In generale però le donne non sono sempre pronte a denunciare episodi di violenza, fisica o psicologica, subiti dal marito/compagno o da un altro uomo. Continua infatti la Moscatelli: “Le donne spesso subiscono violenza da anni e sono abituate ad avere una relazione violenta per questo hanno difficoltà a riconoscere la gravità di quanto subito. Durante le nostre consulenze con le donne trasmettiamo loro il messaggio che i comportamenti messi in atto dai lori compagni costituiscono un reato. Da qui emerge la necessità che la donna stessa si riconosca come vittima di violenza e da qui il costruirsi di un percorso di fuoriuscita dalla violenza. Le donne hanno paura, paura di perdere i propri figli, paura di subire ulteriore violenza, paura di non farcela economicamente etc. Le donne non hanno solo paura ma anche vergogna, per questo si devono sentire supportate e in primis credute”. Nel percorso di sensibilizzazione, soprattutto tra le nuove generazioni, lo sport gioca un ruolo fondamentale,

come afferma anche la Presidente di “Telefono Rosa”: “Lo sport è sicuramente uno strumento di sensibilizzazione. In alcuni dei nostri progetti scolastici abbiamo proprio portato delle testimonianze dirette di alcuni sportivi per avviare un confronto con le classi proprio sul tema della parità di genere nello sport. In particolare ci riferiamo al mondo del calcio, fino a poco tempo fa completamente maschile”. E di sport come “laboratorio di nuove idee” parla anche Luisa Pogliana, imprenditrice che ha ricoperto incarichi dirigenziali riservati prevalentemente agli uomini, Presidente di “Donne senza Guscio”, un vero e proprio laboratorio di donne manager per condividere e promuovere esperienze innovative di organizzazione aziendale. Luisa Pogliana fa un’analisi del mondo imprenditoriale, dello spazio riservato alle donne nei vertici delle aziende affermando che “una società con forti diseguaglianze genera sempre violenza. I femminicidi sono la punta dell’icerberg di una cultura ancora machista e misogina che considera le donne come proprietàà e che le relega in posizioni socialmente inferiori. Basta dare uno sguardo alle storie

dei femminicidi: attraversano tutte le sfere sociali. Non sono figlie del degrado. E hanno un elemento in comune: sono storie di donne forti, che vengono uccise quando decidono di ribellarsi. Di riprendersi in mano la loro vita, di riprendersi la loro libertà”. La chiave per cambiare le regole del gioco, continua Luisa Pogliana, sta nella “consapevolezza. E per questo è importante stabilire relazioni con altre donne, alimentare reti femminili che scarseggiano sempre e che spesso sono denigrati nelle aziende a differenza di quelli maschili. E credo che questo lavoro di consapevolezza lo debbano fare anche gli uomini. Una societàà pretende dall’uomo di essere sempre vincente, di affermarsi sul lavoro, di fare carriera e tenere distinta la vita familiare ed affettiva da quella professionale alla fine è una gabbia che pesa su tutti”. Una consapevolezza che deve vedere gli uomini scendere in campo insieme alle donne per combattere ogni giorno, tra le mura domestiche, nei luoghi di lavoro, per strada, nello sport, in televisione, ogni tipo di stereotipo, di forma di prevaricazione e di violenza, in nome del rispetto e dell’uguaglianza.

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tempo libero Dua Lipa

Future nostalgia Secondo attesissimo album di Dua Lipa, artista britannica (di origini albanesi kosovare) che, ironia del destino, esce con “Future Nostalgia” in un momento storico davvero particolare del nostro pianeta. Un lavoro con il quale la popstar punta a fare il classico “salto”, ridimensionando l’impatto house e puntando a fare musica pop di qualità, non troppo commerciale per strizzare l’occhio alle classifiche, né troppo nostalgica, ricca di contaminazioni da altri generi e stili. Si passa dal funk all’electro-music, dalla musica anni ’80 alla synth-wave con chiare influenze di gruppi storici come

gli INXS e i Daft Punk, e di artisti immortali come Madonna e Prince. Di sottofondo una sorta di magia dance accompagna tutto l’album (ricordate la "Physical" di Olivia Newton-John?), che vuole comunque trasmettere messaggi importanti e sensibilizzare su certe tematiche (i diritti delle donne su tutte), senza retorica, un lavoro, la cui uscita volutamente non è stata posticipata nonostante il problema Covid-19, che alla fine risulta elegante e raffinato, e consolida Dua Lipa tra i principali punti di riferimento del pop femminile internazionale.

Edizioni inContropiede

O Zico o Austria di Enzo Palladini – 130 pagine - €15,50 Negli anni Ottanta poteva capitare che nell’Udinese giocasse uno dei talenti più puri della storia del calcio. Arthur Antunes Coimbra, per tutti Zico, è stato un fenomeno capace di incantare un paio di generazioni e di far sognare le tifoserie di tutto il mondo, comprese quelle del Giappone. Arrivato dopo una trattativa interminabile, coraggiosa e folle, Zico per due splendidi anni ha giocato allo stadio Friuli. “O Zico o Austria” è lo slogan che i tifosi dell’Udinese scandivano in piazza insieme al loro presidente, quando la Federcalcio minac-

ciava di invalidare quel trasferimento così romantico e così inspiegabile. Una voglia di separazione dovuta al pallone, quando di secessione non si parlava ancora. Di quella folgorante avventura è conservato poco nelle bacheche del club bianconero, ma è rimasto il racconto di un’utopia trasformata in realtà. Enzo Palladini narra la straordinaria epopea friulana di Zico senza tralasciare nulla della storia brasiliana: il Flamengo, il Maracanà, il fratello Nando perseguitato dalla dittatura e gli sfortunati mondiali giocati con la Seleçao.

S4M Edizioni

Non solo calcio di Valentina Porzia – 272 pagine - €21,00 Con la prefazione del presidente del CONI Giovanni Malagò, il nuovo lavoro dell’avvocato barese Valentina Porzia è un’opera di grande interesse e partecipazione verso il diritto sportivo, ma anche nei confronti di altre tematiche che non sempre consideriamo con serietà e attenzione. Come recita lo stesso titolo, il libro si dedica non solo al calcio, ma ai molteplici aspetti presenti all’interno del settore sportivo italiano: si spazia con grande competenza da temi legati alla costituzione di una società e/o associazione sportiva, ai controlli antidoping per gli atleti; dagli obblighi degli operatori del

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settore sportivo e degli atleti, agli aspetti legati alla gestione degli impianti. Ci sono ampie casistiche legate alle diverse discipline sportive come ad esempio: il rugby e la costruzione degli impianti sportivi dedicati, la gestione dei contratti dei rugbisti, equitazione e doping, il golf ed il ciclismo, il nuoto e la pallanuoto. Un libro multidisciplinare che tratta anche della differenza tra giustizia sportiva e giustizia ordinaria e tocca anche il tema della disabilità considerandolo come un importante valore sociale che attraverso lo sport trova un mezzo per poter dare spazio ai tanti che non ne hanno.


Benvenuto in Italia! Welcome to Italy! ¡Bienvenido a Italia!

Ti scriviamo queste poche righe di presentazione di quella che è la TUA associazione. Dal 1968 in Italia è presente un’Associazione di categoria che rappresenta tutti i calciatori. L’Associazione Italiana Calciatori dal 1968 associa, infatti, i calciatori professionisti e dal 2000 anche i calciatori dilettanti, le calciatrici e i calciatori del calcio a 5, Con più di 16.000 associati, è l’unica Associazione di categoria presente in Italia. AIC fa parte di FIFpro, il sindacato mondiale dei calciatori, del quale fanno parte le Associazioni di categoria della maggior parte dei Paesi nel mondo. In ogni squadra è presente il Rappresentante AIC, spesso il tuo capitano o uno dei veterani, che è il punto di riferimento per tutti gli associati della squadra e il tramite preposto per le comunicazioni con la struttura dell’Associazione. L’attuale Consiglio Direttivo è presieduto da Damiano Tommasi, Presidente AIC dal 2011. Di seguito potrai conoscere i componenti del Consiglio Direttivo che rappresentano tutte le

categorie di associati: Serie A, Serie B, Lega Pro, Dilettanti, Calcio a 5 e Calcio Femminile. Tra i servizi offerti dall’AIC sicuramente potranno essere di tuo interesse: • Assistenza legale tramite l’Ufficio Legale dell’Associazione e i suoi Avvocati Fiduciari su tutto il territorio nazionale; • Consulenza previdenziale e gestione dell’accantonamento al Fondo di Fine Carriera*; • Abbonamento gratuito all’App di Wyscout con fruibilità personalizzata del servizio di Video Analysis conosciuta a livello internazionale; • Servizi e scontistica applicata dai partner (www.assocalciatori.it) in ambito medico e assicurativo, dal Credito sportivo; • Percorsi di formazione post-carriera e per calciatori in attività; • Collegamento con l’Associazione calciatori del tuo Paese d’origine (o di tua ultima provenienza) per chiarimenti e/o problematiche di qualsiasi natura. L’iscrizione annuale all’AIC ti darà la possibilità di usufruire di tutto ciò e di altre attività

che potrai approfondire nel sito istituzionale www.assocalciatori.it o chiedendo informazioni al numero +39 0444 233233. Come avrai modo di vedere sarà semplice stabilire un contatto diretto con AIC e con i collaborator che sono in contatto continuo con i rappresentanti di squadra per aggiornamenti e/o problematiche che possono sorgere durante la stagione. La massima disponibilità di AIC è garantita dal fatto che è l’Associazione dei Calciatori, nata dalla volontà dei calciatori della nazionale nel lontano 1968 e da allora al servizio di questa professione tanto bella quanto piena di insidie personali e professionali. Buona permanenza nel nostro Paese, in bocca al lupo per il tuo lavoro e grazie per l’ascolto. Ti aspettiamo tra i nostri associati!

We are sending you a few lines to introduce YOUR association. Italy has had an Association representing all its football players since 1968. From that year,a the Associazione Italiana Calciatori – Italian Footballers’ Association – has united all professional players and in 2000 it extended its scope to include also amateurs, women and five-a-side players. With more than 16,000 members, it is the only footballers’ association in Italy. AIC forms part of FIFpro, the worldwide players’ union, of which the players’ associations of most countries of the world are members. Every team has an AIC Representative, often your team captain or one of the older players, who is the contact person for all team members and represents the team with the Association management. The present Management Council is chaired by Damiano Tommasi, AIC President since 2011. Later, you can get to know the members of the Management Council who represent

all categories of members: Serie A, Serie B, Lega Pro, Amateurs, Five-a-side football and women’s football. Some of the services of interest offered by AIC: • Legal assistance throughout Italy by way of the Association’s legal office and its lawyers; • Pension advice and management of contributions to the end of service fund*; • Free subscription to the Wyscout App with personalised use of the internationallyfamous Video Analysis service; • Services and discounts applied by partners (www.assocalciatori.it) for medical care and insurance, by the bank Istituto di Credito Sportivo; • Post-career and business training courses; • Contact with the footballers’ Association of your own country (or the country where you played last) for clarification and/or assistance with problems of any kind. Annual membership of the AIC will give you access to all of the above and many other activities which you

can see in more detail on the website www.assocalciatori.it or you can request information calling +39 0444 233233. As you will see, it is easy to make direct contact with AIC and its agents who are in continuous contact with team representatives for news and/or problems which can arise during the season. The AIC can assure you of its availability because it is the Footballers’ Association created by the Italian national team as long ago as 1968 and from then on has been at the service of this wonderful profession which, however, is also full of personal and professional pitfalls. Enjoy your stay in Italy, good luck with your work here and thanks for your attention. We hope to see you among our members!

Te escribimos estas pocas líneas de presentación de lo que es TU asociación. Desde 1968, en Italia existe una Asociación de categoría que representa a todos los futbolistas. Associazione Italiana Calciatori – Asociación italiana Futbolistas – asocia desde 1968 a los futbolistas profesionales y desde 2000 también a los aficionados, a las futbolistas y a los jugadores de fútbol sala. Con más de 16.000 asociados, es la única Asociación de categoría existente en Italia. AIC forma parte de FIFpro, el sindicato mundial de los futbolistas, integrado por Asociaciones de categoría de la mayoría de los países. En cada equipo hay un Representante AIC, que a menudo es el capitán, o uno de los veteranos, y hace de referente para todos los asociados del equipo y de intermediario encargado de las comunicaciones con la estructura de la Asociación. El actual Consejo Directivo es presidido por Damiano Tommasi, Presidente de AIC desde 2011. A continuación mencionamos a los componentes del Consejo Directivo que representan a todas

las categorías de asociados: Serie A, Serie B, Liga Pro, Aficionados, Fútbol sala y Fútbol femenino. Entre los servicios ofrecidos por AIC, indudablemente pueden ser de tu interés: • Asistencia legal a través de la Oficina Legal de la Asociación y sus Abogados Fiduciarios en todo el territorio nacional; • Asesoramiento sobre previsión y gestión de asignaciones al Fondo de Fin de Carrera*; • Abono gratuito a la App de Wyscout con uso personalizado del servicio de Video Analysis conocido a nivel internacional; • Servicios y descuentos aplicados por nuestros socios comerciales (www.assocalciatori.it) en ámbito médico y de seguros, por el Crédito deportivo; • Cursos de formación post-carrera y para futbolistas en actividad; • Conexión con la Asociación de futbolistas de tu país de origen (o de tu última proveniencia) para aclaraciones o por problemas de cualquier naturaleza. La inscripción anual en AIC te dará la posibilidad de aprovechar todo esto y otras actividades

sobre las cuales puedes informarte en el sitio institucional www.assocalciatori.it o pidiendo información al número +39 0444 233233. Como ves, es muy sencillo entablar un contacto directo con AIC y con los colaboradores, que a su vez están continuamente en contacto con los representantes de equipo para las actualizaciones o por cualquier problema que pueda surgir durante la temporada. La máxima disponibilidad de AIC está garantizada por el hecho de ser la Asociación de Futbolistas fundada por iniciativa de los jugadores del equipo nacional en el lejano 1968, desde entonces al servicio de esta profesión tan bella como llena de insidias personales y profesionales. Feliz permanencia en nuestro país, muchos éxitos con tu trabajo y gracias por escuchar. ¡Te esperamos entre nuestros asociados!

www.assocalciatori.it

*Ogni anno vengono accantonati dallo stipendio delle somme che potrai ritirare una volta concluso il contratto con la società sportiva in Italia. Ricorda che le cifre accantonate andranno richieste al Fondo.

*Each year amounts are put aside from your salary which you can withdraw once your contract with the Italian club ends. Remember that the amounts set aside must be requested from the fund.

*Cada año, parte del sueldo se destina a una asignación que podrás retirar una vez concluido el contrato con la sociedad deportiva en Italia. Recuerda que los montos de las asignaciones deberán ser solicitados al Fondo.


AIC SCEGLIE AVIS PER LA SUA MOBILITÀ A tutti gli associati AIC e ai loro familiari Avis garantisce tariffe agevolate fisse in qualsiasi periodo dell’anno. Basta comunicare il codice AWD X050205 in fase di prenotazione. Per maggiori informazioni: www.assocalciatori.it/convenzioni/convenzione-aicavis C O N AV I S H A I S E M P R E L A S O L U Z I O N E D I M O B I L I TÀ P I Ù A DAT TA A L L E T U E E S I G E N Z E . CALL CENTER 199 100 133* AV I S A U T O N O L E G G I O . I T * Numero soggetto a tariffazione specifica.


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