Azione 23 del 7 giugno 2021

Page 25

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 giugno 2021 • N. 23

25

Politica e economia

Se la vita di una donna vale pochi spiccioli

Contro la cultura dello stupro

Prospettive Il ruolo della comunicazione

L’analisi In Pakistan oltre il 90 per cento della popolazione femminile nella battaglia anti-brutalità

è vittima di violenza. Il delitto d’onore è uno dei pilastri della società

Romina Borla Francesca Marino Si chiama, o più probabilmente si chiamava, Saman. Aveva 18 anni, e di lei non si sa più nulla. La ragazza, di origine pakistana, aveva chiesto aiuto ai servizi sociali per ben due volte, per sfuggire a un matrimonio combinato dalla famiglia. Viveva in una struttura protetta ma era tornata a casa, fidandosi della famiglia, per recuperare alcuni documenti. Da allora si sono perse le sue tracce. In seguito i suoi genitori sono tornati in fretta e furia in Pakistan per un presunto lutto. Di lei, per il momento, resta solo un post su Instagram dei suoi piedi che calzano scarpe da tennis e quasi danzano sulla strada. Hashtag #italiangirl. Prima di Saman, in Italia, c’era stata Hina, ammazzata dai genitori perché, come Saman, voleva essere libera di studiare e di scegliere la propria vita. Come Sana, riportata in Pakistan da Brescia con un trucco e sgozzata dal padre e dal fratello. Come Farah, che è stata più fortunata perché è stata riportata in Italia dall’Ambasciata. Avevano ucciso il bambino che aspettava da un ragazzo italiano ma lei era ancora viva. O Memoona, che ha chiesto aiuto alla sua scuola ed è stata riportata in Brianza. E la lista potrebbe essere molto più lunga. Il copione è, più o meno, sempre uguale: la ragazza vuole studiare, lavorare, frequentare i coetanei, sposare un ragazzo di sua scelta. Si inventa un matrimonio o un funerale in Pakistan e si lascia là la ragazza. Per essere data in moglie contro la sua volontà o, più spesso, per essere uccisa quasi impunemente. Perché, in Pakistan, quella contro le donne è una vera e propria guerra combattuta con l’arma letale del delitto d’onore. Circa tre donne vengono uccise ogni giorno per motivi legati all’onore familiare e più di mille donne l’anno muoiono per delitti travestiti da «incidenti domestici». Ogni due ore una donna viene rapita, seviziata o stuprata. Ogni otto ore qualcuna è vittima di uno stupro di gruppo. Più del novanta per cento della popolazione femminile è vittima di qualche forma di violenza da parte dei famigliari. Il comportamento femminile considerato come disonorevole comprende relazioni extraconiugali presunte o reali, la scelta di un marito contro il volere dei genitori, la richiesta di divorzio. O, anche, l’essere stata vittima di uno stu-

C’è chi rischia la vita ogni giorno per la libertà di scegliere. (Shutterstock)

pro. Stupro che nel 2007 è stato finalmente considerato dal Parlamento un delitto da codice penale e non un’offesa contro la morale, punibile secondo l’ordinanza Hudood (la quale ha lo scopo di implementare la Sharia, la legge islamica). Secondo l’Hudood la prova dello stupro è a carico della donna che lo subisce. La vittima deve presentare, per provare di essere stata violentata, quattro testimoni musulmani e di sesso maschile. Altrimenti viene processata d’ufficio per adulterio, crimine per cui la stessa legge prescrive la lapidazione. Secondo l’ordinanza Hudood, in generale, la testimonianza di una donna vale metà di quella di un uomo e l’adulterio, o il sesso prematrimoniale, vengono considerati un crimine contro lo Stato e puniti di conseguenza. Per i rappresentanti dei partiti islamici tradizionalisti, inoltre, non esiste la violenza domestica. Attribuire a una donna il diritto di denunciare il marito o di chiedere il divorzio in caso di maltrattamenti, mina alle fondamenta i sani principi su cui si basa la società pakistana. La prima donna che è andata a registrare una denuncia per violenza domestica a Lahore è stata rimandata a casa perché le botte, se non arrivano alla tortura, costituiscono parte integrante della normale dialettica di coppia. Non ci si deve quindi stupire se gente come i genitori di Hina, di Saman o di Sana pensa di poter regolare «alla pakistana» le proprie «questioni d’onore» anche in Italia o all’estero. E se la famiglia tutta congiura nel coprire i colpevoli. Il delitto d’onore è uno

dei pilastri della società pakistana. Nel 2016 aveva fatto scalpore il caso di Qandeel Baloch, ammazzata dal fratello per aver disonorato la famiglia. Qandeel era una influencer e appariva in televisione o sui social media truccata e in «abiti succinti». La famiglia ha supplicato i giudici di perdonare il suo assassino in base alla legge, emendata dopo la morte della giovane, che permette all’assassino di non scontare alcuna pena pagando alla famiglia della vittima il «prezzo del sangue». Quanto vale in Pakistan la vita di una donna? Pochi spiccioli, pagabili da chiunque. E non si tratta di casi isolati o circoscritti a settori disagiati della società. Il premier Imran Khan di recente è andato in Tv a dire che l’incremento esponenziale dei casi di stupro (impuniti) nel Paese è da attribuirsi ai «valori osceni» propagandati dall’India, dall’Occidente e dai film di Hollywood. Aggiungendo che se le donne osservassero rigidamente le regole islamiche in fatto di abbigliamento e condotta, e cioè la segregazione totale, non ci sarebbero stupri. D’altra parte Imran Khan si è anche rifiutato di confutare la teoria di un mullah locale che considera il Coronavirus una punizione divina per i «misfatti» compiuti dalle donne. Quelle relativamente poche coraggiose che in Pakistan marciano ogni 8 marzo al grido di «non c’è onore nei delitti» e di «mera jism, meri marzi» (mio il corpo, mia la scelta). Quelle che, per la libertà di scegliere, rischiano ogni giorno la vita. Come Hina, Saman, Sana, Farah e Memoona.

Violenza domestica e femminicidi non accadono solo in Pakistan o in Italia (vedi p. 29). In Svizzera in media ogni mese una donna perde la vita per mano del compagno o dell’ex (Statistica criminale di polizia 2020). Mentre in Ticino, l’anno scorso, gli interventi della polizia cantonale «per disagi in famiglia» sono stati 1’105 (in media tre al giorno). Nella maggioranza dei casi le vittime erano donne. E si tratta solo della punta dell’iceberg. Uno studio commissionato dall’Ufficio federale di giustizia rivela infatti che solo il 20 per cento dei casi di violenza domestica viene notificato alle forze dell’ordine. La violenza sulle donne ha profonde radici nella disparità tra i sessi presente all’interno della società ed è perpetuata – come spiega l’Ufficio federale per l’uguaglianza tra donna e uomo – da una cultura che tollera e giustifica la violenza di genere e si rifiuta di riconoscerla come un problema. Una cultura sostenuta dal linguaggio e dalle immagini trasmesse da media e pubblicità. «Un bagaglio che ci tramandiamo di generazione in generazione e che rende abituali rappresentazioni della femminilità e della mascolinità stereotipate, limitanti». Ad affermarlo Flavia Brevi, fondatrice di Hella Network, una rete per la comunicazione inclusiva che riunisce migliaia di professioniste e professionisti (www.hellanetwork.com). «La cultura in cui viviamo sottolinea spesso la fisicità della donna. Nella pubblicità, ad esempio, lo sguardo è quasi sempre maschile, nonostante si sappia che sono soprattutto le donne a decidere per gli acquisti. Una ricerca del 2014 dell’Art Directors Club italiano indica

Flavia Brevi, fondatrice di Hella Network.

che i prototipi più usati nella pubblicità per descrivere le donne sono le modelle e le grechine (cornici ornamentali). Mentre l’uomo è descritto come professionista, modello e sportivo: si mette dunque in risalto caratteristiche come la determinazione e l’essere attivo. La donna invece è molto spesso l’oggetto passivo e desiderabile dello sguardo maschile». Fino ad essere totalmente deumanizzata in certe reclame. Pensiamo – solo per fare alcuni esempi di qualche anno fa – alla pubblicità di una nota marca di abbigliamento di lusso con una violenza sessuale di gruppo o all’immagine della donna ammazzata per promuovere il black friday. «Queste rappresentazioni perpetuano la cultura della violenza e dello stupro», spiega l’intervistata. Ma anche il modo di raccontare i fatti dai media ha le sue responsabilità. «Esiste un problema nella narrazione quotidiana della violenza di genere che crea ulteriore violenza verso le donne. Ad esempio, in un caso di femminicidio si tende a mettere l’accento su come era vestita la vittima, su quanto alcol ha assunto o sul fatto di essere uscita da sola. Così facendo si sposta l’attenzione dal crimine a ciò che la donna ha fatto, come se ne avesse almeno in parte la responsabilità. Oppure si usano ancora espressioni come vendetta passionale o raptus di gelosia… Non c’è nulla di romantico nella violenza, ricordiamolo». È necessario, secondo Brevi, che chi lavora nella comunicazione sia consapevole delle sue responsabilità e che si sforzi di offrire modelli alternativi. «Il motto di Hella Network è: la comunicazione è figlia della società in cui nasce ma può mostrarle come essere migliore. Osservo che nella società si sta facendo largo la necessità di una comunicazione meno escludente e violenta. Le grandi aziende stanno già da tempo operando per eliminare gli stereotipi e aumentare la diversità al loro interno. Ci sono poi delle realtà che pensano ancora che per differenziarsi sia lecito tutto: nel bene o nel male purché se ne parli, insomma. Mentre diverse ricerche provano che le pubblicità stereotipate e con forti discriminazioni allontanano le persone. Nel mezzo ci sono quelli che ci provano ma non ci riescono o pensano che basti fare un’operazione di facciata. Fondamentale invece applicare delle politiche aziendali volte davvero all’inclusione, sia per quel che riguarda la rappresentanza ai vertici sia la parità salariale». Annuncio pubblicitario

Enoteca Vinarte, Centro Migros S. Antonino

Enoteca Vinarte, Centro Migros Agno

Enoteca Vinarte, Migros Locarno

Ora ti propone anche le migliori offerte di vini Mandorla Negroamaro/Primitivo di Puglia IGT

Casa Mia Syrah/Frappato Terre Siciliane IGT

Vieux Murets Dôle Blanche du Valais AOC

Jacopo Biondi Santi Sassoalloro Rosso Toscana IGT

Rating della clientela:

Rating della clientela:

Rating della clientela:

Rating della clientela:

50%

34%

33%

50%

2019, Puglia, Italia, 6 x 75 cl

31.50 invece di 63.–

5.25 a bottiglia invece di 10.50

*Confronto con la concorrenza

2020, Sicilia, Italia, 6 x 75 cl

15.60 invece di 23.70

2.60 a bottiglia invece di 3.95

2019/2020, Vallese, Svizzera, 6 x 70 cl

33.35 invece di 49.80*

5.60 a bottiglia invece di 8.30*

2018, Toscana, Italia, 75 cl

11.95 invece di 23.90*

71.70 a cartone da 6 invece di 143.40*

Offerte valide dall’8 al 14 giugno 2021 / fino a esaurimento / i prezzi promozionali delle singole bottiglie sono validi solo nella rispettiva settimana promozionale / decliniamo ogni responsabilità per modifiche di annata, errori di stampa e di composizione / iscrivetevi ora: denner.ch/shopvini/newsletter


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.