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di Claudia Chieppa

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di Mattia Giusto

di Mattia Giusto

I giovani

«Non è colpa nostra»

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Le storie di Giacomo, Giorgia e Luca sono comuni a quelle di tanti giovani che si stanno affacciando al mondo del lavoro oggi, tra le tante difficoltà causate dalla pandemia

di Natasha Caragnano

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L’ufficio stile di una nota azienda di moda, diventare cooperante internazionale, aprire un ristorante. Giacomo, Giorgia e Luca hanno messo da parte tutto questo, almeno per il momento, perché qualcosa d’incontrollabile come la pandemia glielo ha imposto. «Può sembrare una frase fatta, ma ci hanno davvero tappato le ali». La voce di Luca è rassegnata, come quella di tanti altri ragazzi che come lui cercano di costruirsi un futuro e di entrare nel mondo del lavoro oggi, tra le tante difficoltà causate dalla pandemia. Sono 656mila i posti di lavoro persi durante la prima ondata dei contagi, ma questa crisi non ha avuto un impatto omogeneo sulla popolazione. La classe dei lavoratori tra i 25 e i 35 anni è stata quella più colpita, Giacomo rientra tra i più piccoli della fascia. Raccoglie i capelli e li lega in una coda sulla nuca mentre con un marcato accento pugliese, che Milano non è ancora riuscito a cancellare, mi racconta del suo amore per la città dove si è trasferito cinque anni fa per studiare Fashion design. «Durante gli anni universitari ho sempre lavorato per ammortizzare le spese. Anche se dopo la laurea, nel 2018, ho iniziato subito uno stage in un’azienda di moda ho continuato il mio secondo lavoro in una discoteca. La retribuzione dello stage non era abbastanza per vivere tranquillo». Secondo il rapporto Censis, l’istituto di ricerca socioeconomica, il 60% degli individui nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 35 anni ha visto le proprie condizioni economiche peggiorare improvvisamente durante il lockdown: Giacomo, come tanti altri suoi coetanei, ha perso il lavoro in discoteca in questo periodo. «Il problema però è sorto quando ho terminato il mio stage. Mi avevano promesso un contratto, ma poi l’azienda è entrata in cassa integrazione e ho perso questa opportunità. Sono tornato in Puglia perché non trovavo lavoro e non riuscivo a mantenermi da solo a Milano». Sembra contento di poter passare un po’ di tempo a casa, vicino al mare, ma pronuncia sempre con nostalgia la parola «Milano». I settori dell’intrattenimento e della ristorazione sono quelli in cui sono impiegati il maggior numero di giovani, e anche quelli più colpiti dalla crisi economia causata dal Covid-19. Il Dpcm firmato il 24 ottobre 2020 ha bloccato nuovamente l’attività di una fetta di lavoratori giovani e a basso a reddito, Il 27,4% dei dipendenti nei servizi della ristorazione appartengono alla fascia 25-34 anni. Tra questi c’è Luca che lavora come sommelier in un ristorante nella provincia di Taranto. «È dal 26 marzo che sono in cassa integrazione, ma ancora non sono arrivati i sussidi dallo Stato. Adesso vivo dei risparmi che avevo messo da parte per realizzare i miei progetti». Luca ha 25 anni e lavora nel mondo della ristorazione da quando ne ha 17, sogna di aprire un locale tutto suo un giorno. «Ma adesso il futuro che ho sempre sognato mi sembra più lontano». Non investire sulle nuove generazioni vuol dire ridurre le prospettive di questi ragazzi nel territorio in cui vivono e un blocco nella crescita economica del nostro Paese.Il mancato investimento pubblico sulla formazione e l’inserimento nel mondo del lavoro attraverso stage e tirocini è il principale nodo da sciogliere. «Io sono una tirocinante, ma a causa della pandemia il mio percorso formativo si è fermato. Questi mesi di formazione non li potrò più recuperare». Giorgia ha 27 anni e dopo la laurea in Giurisprudenza ha conseguito un Master in diritti umani e gestione dei conflitti. «Nella posizione in cui sono ora non riesco a trovare lavoro perché non ho abbastanza esperienza, ma allo stesso tempo non ci sono tirocini perché hanno tagliato tutti i fondi per noi». Nei periodi di difficoltà economica le aziende preferiscono investire in professionisti già performanti e non attendere la formazione degli stagisti. Ma questo impedisce a Giorgia di acquisire l’esperienza richiesta a tutti i colloqui: «Negli ultimi mesi ho ricevuto tanti di quei no che posso allestire un museo con le email che ho ricevuto». Quando l’emergenza sanitaria sarà finita ci troveremo con una bassa presenza degli under 35 nel sistema produttivo italiano, è questo l’allarme lanciato dal Censis. Ma devono essere i giovani la risposta alla crisi economica che stiamo vivendo. ■

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1. Giorgia a Lima, a lavoro su un progetto per il riciclaggio dei risidui solidi condotto dalla Ong per cui ha svolto un tirocinio di sei mesi

2. Luca a lavoro come sommelier

di un ristorante, poco prima che scoppiasse la pandemia

3. La scrivania di Giacomo

nell'ufficio stile di un'azienda di moda durante il suo anno di stage

«Un freelance è uno che si sbatte dalla mattina alla sera»

Gabriele Cruciata e Alessandro Tonti sono due giovani liberi professionisti che hanno rimodellato il loro lavoro sui ritmi imposti dalla pandemia. Ecco le loro storie

di Erika Antonelli

Se si scinde la parola e la si traduce dall’inglese, free lance vuol dire lancia libera. Libertà e professionalizzazione costituiscono il cuore anche dell’espressione italiana: liberi professionisti.

Gabriele Cruciata è uno di loro, una lancia libera nel mondo del lavoro, un libero professionista. Ha 26 anni e le idee chiare. «Ho deciso che avrei fatto il giornalista quando sono passato davanti a una scuola intitolata a Ilaria Alpi». I nonni gli raccontano di quella reporter nella Somalia devastata dalla guerra civile, dell’inchiesta a cui lavorava e della morte sotto i colpi di kalashnikov. «E lì ho capito quale sarebbe stato il mio mestiere», ricorda lui.

Dopo aver frequentato una scuola di giornalismo a Groninga, nei Paesi Bassi, Cruciata torna a Roma. Collabora con diverse testate italiane e internazionali, ama fare podcast e ha vinto uno dei premi giornalistici più prestigiosi, quello intitolato a Roberto Morrione per il giornalismo investigativo.

Talento e organizzazione maniacale delle giornate, lui la chiama «mentalità imprenditoriale». Significa che spesso, anche se gli incarichi sono tanti e il tempo scarseggia, l’ennesimo lavoro si accetta lo stesso. «Perché a volte mantenere una buona rete di contatti è persino più importante che guadagnare».

E guardando ai dati, Cruciata fa bene a cercare di gestire tutto. Secondo un sondaggio condotto da Acta, l’associazione dei freelance, e dalla testata on-line Slow News, il 66% dei giornalisti viene pagato solo se il lavoro commissionato risulta pubblicato. Le cose non sono migliorate con la pandemia, che da una parte ha costretto i professionisti dell’informazione a orari estenuanti e dall’altra ha ridotto i compensi e prolungato i tempi di pagamento.

Già, la pandemia. Il Covid-19 e i milioni di professionisti costretti a casa. E tra quelli c’è anche Alessandro Tonti, 29 anni, pugliese naturalizzato a Roma. Ha un master in traduzione e adattamento audiovisivo e una laurea in interpretariato, lingue di lavoro inglese e tedesco. Faceva tre lavori Alessandro, prima che arrivasse il Covid-19: l’interprete, il traduttore e l’insegnante. «Ora non si organizzano conferenze da quasi un anno, su quell’entrata non posso più contare. Stessa cosa per le traduzioni. Per fortuna mi è rimasto l’insegnamento».

Per fortuna, e per bravura, Tonti continua a lavorare. La scuola interpreti con cui collabora tre giorni a settimana è aperta, studenti in presenza ma distanziati. «Sono contento di mantenere la mia indipendenza economica», racconta. Bisogna fare qualche sacrificio,

Alessandro Tonti, 29 anni, pugliese, vive e lavora a Roma come interprete, traduttore e insegnante

Gabriele Cruciata, 26 anni, giornalista freelance, vive a Roma, collabora con diverse testate italiane e internazionali. Ha vinto il Premio Morrione per il Giornalismo investigativo

ma lui e la sua compagna Maria Antonietta l’affitto riescono a pagarselo da soli. Ora è un appartamentino alla periferia ovest di Roma, poi chissà.

Alessandro e Gabriele lavorano con partita Iva, entrambi l’hanno aperta un anno fa. Tonti ha anche ricevuto i 600 euro di indennità Covid-19, 300 a marzo e altri 300 ad aprile, previsti dal governo per i liberi professionisti in difficoltà. «Mi hanno fatto comodo, certo, non credevo fossero così puntuali nell’erogazione».

Cruciata e Tonti, non ancora trent’anni e tanta passione per un lavoro che «la maggior parte dei mesi ti fa guadagnare poco più di mille euro». Non si conoscono, eppure hanno qualcosa in comune. Sono giovani, motivati, un po’ come quelle lance libere di cui parlavamo all’inizio. Lavorano con impegno, anche se secondo Acta è proprio la fascia dei quasi trentenni quella più esposta al rischio di compensi bassi e discontinui. Loro lo sanno, e a volte è dura: «Un freelance è uno che si sbatte dalla mattina alla sera» dice Gabriele, «ma io la libertà di fare quello per cui ho studiato non la cambierei con niente», gli fa eco Alessandro. ■

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