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Capra e cavoli nel campo largo Gabriele Bartoloni
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by BFCMedia
I CALENDIANI SONO PER NUCLEARE E GAS, LA SINISTRA NO. IL REDDITO DI CITTADINANZA VEDE INSIEME ROSSO-VERDI E M5S MA ALLONTANA GLI ALTRI. E IL PD DEVE TENERLI UNITI
CAPRA E CAVOLI NEL CAMPO LARGO
DI GABRIELE BARTOLONI
e in vista delle prossime elezioni S politiche a monopolizzare il dibattito pubblico sono più le alleanze elettorali che i programmi da presentare, la responsabilità è da attribuire ad una questione a primo impatto secondaria: la legge elettorale, il Rosatellum. Un argomento ostico, che non scalda i cuori degli elettori nonostante il clima torrido della campagna elettorale, ma di fondamentale importanza per determinare gli schieramenti che si sfideranno il prossimo 25 settembre. Il motivo sta nel meccanismo che occupa buona parte del sistema attualmente in vigore: il maggioritario. In poche parole nei collegi sparsi sul territorio (un terzo del totale) a vincere sarà lo schieramento o il singolo partito che riuscirà ad ottenere un solo voto in più dell’altro. Il ragionamento, dunque, all’interno delle segreterie dei partiti, è presto fatto: meglio raccogliere più alleati, aggregare più liste possibili a sostegno del candidato nel collegio uninominale, in modo da accaparrarsi più preferenze rispetto all’avversario che, a sua volta, sarà spinto a fare il medesimo ragionamento. Lo schema, va da sé, comporta più di un rischio. Primo tra tutti, il pericolo di creare accorpamenti composti da soggetti che tra loro hanno poco o nulla da spartire. Il rischio implosione, prima o dopo le urne, è dietro l’angolo.
All’interno dei partiti del centrodestra, nonostante le frizioni degli ultimi mesi, non si registrano divergenze sul piano ideologico. In più i nodi che ancoravano la coalizione all’immobilismo sono stati sciolti durante il vertice andato in scena la settimana scorsa. Lì Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni si sono accordati sia sulla spartizione dei collegi che sul nodo spinoso premiership. Tutto liscio, dunque, almeno per ora. I problemi sono ancora piuttosto visibili nel campo opposto. Il centrosinistra fatica a trovare una quadra: i partiti che lo compongono - dai centristi fino ai rosso-verdi - non hanno fatto altro che porre veti, lanciare insulti e proporre soluzioni in antitesi
fra di loro. Il Partito democratico, che della coalizione dovrebbe essere il collante, ora è stretto tra i distinguo lanciati ripetutamente dalla sinistra e dal centro.
Mercoledì 26 luglio la direzione del Pd ha dato pieno mandato ad Enrico Letta di gestire l’intera operazione elettorale, compresa la partita delle alleanze. Il segretario non ha posto veti su nessuno ad esclusione del Movimento 5 stelle. Lo ha fatto capire durante la direzione - votata all’unanimità dai dirigenti dem - e lo ha ripetuto nei giorni successivi: «Noi non mettiamo veti nei confronti di nessuno», ha detto rispondendo ai cronisti durante la Festa dell’Unità di San Miniato, in provincia di Pisa. L’obiettivo di Letta è quello di costruire uno schieramento più largo possibile, che vada dall’Alleanza Verdi e Sinistra ( frutto della fusione tra i Verdi europei e Sinistra italiana) fino al Patto repub-
blicano di Azione e PiùEuropa. Due aree, quelle su cui vorrebbe fare affidamento il Pd, in totale contrapposizione sul piano personale e programmatico. Nei giorni scorsi, tra calendiani e rosso-verdi, sono volati gli stracci. Il segretario di Azione ha definito «frattaglie di sinistra» i leader della cosiddetta alleanza-cocomero (verde fuori e rossa dentro) e ha poi inviato una lettera a Letta chiedendo di escluderli dai collegi uninominali. Ma dietro ai continui botta e risposta ci sono questioni di merito che, ancor più delle scaramucce quotidiane, rischiano di mettere in discussione l’unità dell’alleanza. Calenda, insieme ai principali azionisti di Patto repubblicano (esponenti come Emma Bonino, Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi) ha presentato un programma in totale opposizione allo spirito ecologista caro ai rosso-verdi. Al terzo punto si parla apertamente della necessità di investire nei rigassificatori, perché - si legge - «il gas rimarrà una fonte di energia indispensabile». Per quanto riguarda il nucleare - altra questione assai divisiva - il fine dei repubblicani sarebbe quello di costruire nuove centrali «per il raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni». Non solo: nel programma si parla anche di «acqua pubblica» come nient’altro che di uno slogan che ha «portato l’Italia ad avere la peggiore rete idrica europea». Per non parlare del ridimensionamento del reddito di cittadinanza, misura cara tanto ai Cinque stelle quanto ai rosso-verdi, ma costantemente messa nel mirino della galassia centrista. Certo, nel programma si fa riferimento anche a una forma di salario minimo e all’abolizione di tirocini gratuiti. Ma basterà per placare gli animi di chi intende costruire un’agenda di governo incentrata sulla giustizia sociale e climatica? L’accordo raggiunto in settimana tra Pd, Azione e PiùEuropa non ha fatto altro che provocare un’ulteriore crepa all’interno del centrosinistra. Il patto (oltre ai rigassificatori e all’agenda-Draghi) prevede l'esclusione dai collegi uninominali per le «personalità che possano risultare divisive». Fratoianni e Bonelli, fiutata l’aria, hanno subito chiesto un incontro a Letta per «verificare se ci sono ancora le condizioni per un'alleanza elettoGabriele rale». Nel frattempo il Movimento 5 stelle - Bartoloni rimasto orfano del Pd dopo lo strappo sul Giornalista governo - ha già iniziato a corteggiare
Il segretario del Pd Enrico Letta e il leader di Azione Carlo Calenda alla conferenza stampa al termine dell’incontro presso i gruppi parlamentari a Roma di martedì scorso
sono stati benvenuti fin da subito. Persino Enrico Letta, durante la direzione del Pd, ha aperto alla possibilità di pescare dal bacino elettorale degli ex berlusconiani. «Forza Italia è un partito con cui abbiamo collaborato al governo, abbiamo lavorato bene», ha detto. E ancora: «O noi convinciamo una parte degli elettori che hanno votato lì o sarà difficile giocarla solo sugli astensionisti. Dobbiamo parlare anche con chi ha votato Fi alle ultime elezioni o le liste civiche».
Durante la direzione alcuni esponenti dem hanno chiesto al segretario di «ponderare bene le alleanze». Matteo Orfini, insieme al ministro Andrea Orlando, è uno di loro. Contattato da L’Espresso ribadisce la linea esplicitata in direzione, secondo cui «è solo sulla base dei contenuti che si devono costruire le alleanze». «È legittimo che Calenda presenti il suo programma, dopodiché
in una coalizione il ruolo di primo piano ce l’ ha il partito più importante», spiega l’esponente romano. Prima i temi del Pd, dunque. Anche perché per i dem sarebbe assai difficile presentarsi alle urne come «il più grande partito ambientalista d’Europa» (copyright Enrico Letta) mentre si costruiscono alleanze con chi punta su gas e nucleare. E sarebbe altrettanto complicato presentare i candidati comuni senza aver prima trovato una quadra sui temi. L’accordo raggiunto tra Pd e centristi va in questa direzione. Rimane un punto: il Rosatellum non obbliga le coalizioni a presentare un programma unitario. Ogni partito presenta il suo, anche se nei collegi maggioritari l’elettore è chiamato ad esprimersi sul candidato sostenuto dai partiti di tutta la coalizione: da chi sostiene il nucleare e da chi intende puntare solo sulle rinnovabili, da chi rivorrebbe Draghi a Palazzo Chigi e da chi, allo stesso tempo, è sempre rimasto all’opposizione del governo guidato dall’ex capo della Bce. Q
Verdi e Si. Finora ci sono stati solo contatti informali, niente di più. L’ambizione dei rosso-verdi, però, sarebbe quella di riportare il M5s all’interno del “campo largo”. Una velleità più che un obiettivo, vista l’ostilità di Calenda e i rapporti che intercorrono tra gli ex compagni di governo. Va detto che l’agenda sulla quale intendono puntare i pentastellati non si distanzia troppo dal programma social-ecologista di Bonelli e Fratoianni. Non a caso, all’interno dell’alleanza “cocomero” non si fa troppa difficoltà nel definire i punti centristi come un programma di destra, soprattutto sul clima. In effetti, sempre da destra, al partito calendiano hanno cominciato a bussare esponenti contrari alla complicità di Lega e Forza Italia alla caduta del governo guidato da Mario Draghi. Si tratta delle ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna e del ministro Renato Brunetta. Le prime due hanno già ufficializzato il loro ingresso in Azione. Quella degli ex colonnelli azzurri è sicuramente una presenza “scomoda”, per l’ala più a sinistra dell'alleanza. «Non farò strada con Gelmini e Brunetta», ha tagliato corto Nicola Fratoianni. «Non mi troverà mai nessuno sulla stessa strada di chi da ministro insultava un lavoratore, di chi ha tagliato in modo impressionante i finanziamenti alla scuola pubblica. Nessuno mi troverà mai lì perché non avrò mai un programma comune con chi sostiene queste cose, non lo potrei mai avere in nessuna modalità». Per Calenda, al contrario, gli ex azzurri
L’APERTURA DI LETTA AI DELUSI FORZISTI AGITA LE ACQUE DEM. PRIMA I PROGRAMMI, GLI RICORDANO I SUOI. MENTRE DEGLI EX MINISTRI DI SILVIO FRATOIANNI NON NE VUOL SAPERE
Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, responsabili di Sinistra italiana Europa verde. In alto, Enrico Costa, Riccardo Magi, Benedetto Della Vedova, Carlo Calenda, Emma Bonino e Matteo Richetti alla presentazione di Azione-Più Europa
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