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Nella tempesta la nave ha i motori spenti Vittorio Cogliati Dezza 36 Grande freddo alle porte Gloria Riva
from L'Espresso 31
by BFCMedia
GRANDE FREDD
DI GLORIA RIVA
opo due trimestri di man-D cata crescita gli Stati Uniti sono ufficialmente entrati in recessione. E il Fondo monetario internazionale prevede che nei prossimi tre mesi faranno la stessa fine la Francia e la locomotiva d’Europa, la Germania. E l’Italia? È il paese più dinamico d’Europa. Nel secondo trimestre il Pil italiano è salito dell’uno per cento e del 4,6 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, grazie soprattutto alla tenuta dell’industria e ai consumi interni. L’ottimismo, però, potrebbe non durare a lungo. Dicono gli analisti che i prossimi mesi per l’Italia non saranno facili e che già entro settembre si dovrebbe registrare un rallentamento dell’economia e i maggiori rischi potrebbero materializzarsi fra la fine dell’anno e l’inizio del 2024, a causa dell’impatto ritardato dello choc inflazionistico, del possibile razionamento del gas e dell’instabilità di governo. Al Nord l’industria manifatturiera, che è il motore dell’economia italiana, si sta velocemente attrezzando per reggere l’urto dando il via a una serie di trasformazioni. Le imprese sono un cantiere aperto: i capi reparto sono pronti a far spazio a nuovi robot pur di far fronte alla cronica carenza di tute blu provocata dal fenomeno della Great resignation, gli imprenditori puntano a nuovi business per sopravvivere, i manager individuano innovativi modelli di gestione e mantenere così in vita lo smartworking a cui nessuno vuole rinunciare, l’ufficio acquisti fa i conti con Gloria Riva blocchi improvvisi della Giornalista supply chain e l’urgenza di
CON GLI USA IN RECESSIONE, FRANCIA E GERMANIA SEGUONO A RUOTA. L’ITALIA VA, MA LA CRISI È SOLO RINVIATA. E LE IMPRESE CAMBIANO PELLE. MA SOLO NORD
O ALLE PORTE
reperire altrove semilavorati e materie prime, la produzione deve cambiare stile in nome della circolarità e dell’efficienza energetica, l’ufficio commerciale si apre a mercati diversi dal solito per essere meno dipendente dal partner tedesco, che è alle prese con difficoltà di approvvigionamento energetico ancor più giganti delle nostre. Se queste sfide per il 25 per cento delle imprese manifatturiere significano intravedere la crisi d’autunno, perché non possiedono i mezzi per affrontarle, il resto dell’industria è pronto a superare anche questa mareggiata. Per tutti è chiaro che non si tratta di una trasformazione indolore, tanto più che gli imprenditori si apprestano a compierla in solitaria, senza contare sull’aiuto del governo Draghi e neppure di quel partito, la Lega, che un tempo rappresentava le loro istanze. Delusi dall’immobilismo del leghista moderato Giancarlo Giorgetti, che nulla ha fatto per convincere Matteo Salvini e i compagni di partito a tenere in vita il governo Draghi almeno per quegli ultimi quattro mesi che mancavano alla naturale scadenza del mandato – quattro mesi importanti, perché in autunno c’è da scrivere la finanziaria -, allibiti dalle sparate di Silvio Berlusconi, che promette pensioni, alberi e dentista gratis, annoiati da un Enrico Letta che non esprime alcun programma, alcuni puntano sul decisionismo di Giorgia Meloni, pur temendo l’effetto boomerang sui mercati internazionali. Altri – bresciani e veneti in testa – sostengono Mariastella Gelmini che in questi mesi si è data parecchio da fare per allacciare rapporti con le imprese del Nord, mentre al Sud si tifa per Mara Carfagna, concentrata soprattutto al sostegno dell’industria al Sud, e Carlo Calenda, che avevano imparato ad apprezzare ai tempi del governo Renzi, quando era ministro dello Sviluppo economico e aveva varato il piano Industry 4.0 per portare una ventata di modernizzazione nelle loro officine.
«C ’è grande preoccupazione per settembre, perché alla crisi energetica si somma la preoccupazione elettorale», dice Paolo Scudieri, che guida il gruppo campano Adler, leader nella componentistica per automotive, e continua: «Al Sud si contava sulla messa a terra del Pnrr per ridurre lo storico gap del meridione nei
Le linee di produzione della pasta Barilla con il reparto dove avviene l’inscatolamento nello stabilimento dell’azienda a Parma
confronti dell’Europa, ma la crisi di governo e l’incertezza che ne deriva rende tutto più complicato», dice l’imprenditore che, dal canto suo, sta puntando sulla crescita dimensionale, acquistando nuovi stabilimenti, e sull’innovazione tecnologica per rendere gli stabilimenti a emissioni zero e sostituire i derivati degli idrocarburi con materiali biocompatibili.
Come spiega Achille Fornasini, professore di Analisi dei mercati finanziari all’università degli studi di Brescia: «I responsabili degli acquisti delle aziende italiane ed europee stanno riducendo gli approvvigionamenti rispetto ai mesi precedenti. Sintomo di una strategia più cauta in vista di una possibile recessione che in ogni caso è destinata a interessare non solo Germania e Francia, ma l’intera economia occidentale, Italia compresa. Del resto, cos’altro ci si può aspettare dopo due anni funestati dalla pandemia, della crisi energetica e dal conflitto russo-ucraino? Effetti tuttora persistenti che hanno contribuito al boom dei prezzi delle materie prime e dell’energia, che a sua volta ha innescato quell’inflazione esplosiva che le banche centrali, in evidente ritardo, stanno tentando di arginare. Le nostre imprese, grazie ad una domanda ancora tonica, stanno resistendo malgrado le crescenti difficoltà di recuperare a valle i maggiori costi energetici e di approvvigionamento. Ma la contrazione dei margini industriali è persistente e rischia di diventare insostenibile». Si stima che gli aumenti delle materie prime stiano riducendo i margini del 75 per cento rispetto allo scorso anno, anche se la crisi che verrà, ovviamente, non impatterà allo stesso modo su tutti. Ad esempio, un’acciaieria come l’Arvedi di Cremona, che da settembre sarà a impatto zero, perché riceve da Enel solo energia da fonti rinnovabili, soffrirà meno delle Acciaierie d’Italia a Taranto, l’ex Ilva, che invece continua ad aver bisogno di carbone e fonti fossili. «Ma per tutti l’autunno sarà complicato», commenta Paolo Streparava, alla guida dell’omonimo gruppo dell’automotive e vicepresidente dell’Associazione industriale bresciana, che continua: «I costi di energia elettrica e gas sono quintuplicati. Farà fatica l’impresa energivora, così come il ristoratore. Sarà un inverno molto difficile». Con una nota di criticità in più per il settore automotive, privo di una direzione chiara: «L’Europa ha messo fuori legge i motori a combustione interna, imponendo quelli elettrici dal 2035, ma restano dubbi sulla capacità della rete di fornire energia da fonti rinnovabili per tutto il parco auto nazionale, qualora dovesse virare interamente sull’elettrico. Questi dubbi spingono gli imprenditori a restare in attesa di capire se puntare sull’idrogeno, sull’elettrico, su motori a impatto zero alimentati a biocarburante. La confusione non aiuta i piani di investimento».
Tornando ai problemi di approvvigionamento energetico, fa notare il professor Fornasini dell’università di Brescia che: «Nonostante le rassicurazioni del ministro della transizione energetica Cingolani, il prossimo inverno il gas disponibile potrebbe non essere sufficiente per far fronte alla domanda di famiglie e industrie e ci saranno ripercussioni sulla disponibilità di energia elettrica, con tutto ciò che significa per i settori energivori come metallurgico e siderurgico. Rischiamo razionamenti e fermate produttive».
In un momento così complicato, restare immobili non è un’opzione per le imprese, come conferma Massimo Sabatini, direttore generale di Fondirigenti, che ha
IL MINISTRO
Roberto Cingolani ministro della Transizione ecologica. In alto, l’azienda tessile Brioni e, a destra, il reparto saldatura di Fincantieri a Monfalcone, per la costruzione di navi da crociera
da poco ricevuto i risultati di una ricerca condotta sulle 14 mila imprese aderenti, a proposito delle opzioni formative dei manager d’azienda. Su cinque aree di interesse – transizione digitale, sostenibilità, inserimento professionale dei giovani, gestione rischi, competenze per il cambiamento - «su ben 1.200 piani formativi, la metà si è concentrata nell’area delle competenze per il cambiamento. Segnale che le aziende si stanno attrezzando per affrontare un momento di grande trasformazione». Nelle imprese del Sud, invece, c’è una prevalenza di formazione nella gestione dei rischi, avvertimento che le imprese del Meridione temono maggiormente l’impatto della crisi imminente. Coinvolte in questo fenomeno soprattutto le piccole e piccolissime imprese, come spiega Michele Albanese, direttore del piccolo Banco di credito cooperativo di Monte Pruno: «Questa crisi porterà gli imprenditori al ricorso al credito usuraio perché il sistema bancario, immobilizzato da normative europee che sembrano puntare a una disintermediazione delle stesse banche, non riesce a rispondere all’attuale richiesta delle imprese. Se consideriamo quello che potrebbe succedere in autunno e in inverno, le condizioni potrebbero essere simili a un’economia di guerra». E aggiunge: «Stiamo arrivato al punto che, a causa dei vincoli bancari calati dall’alto, vengono a mancare le condizioni per finanziare imprese, anche solide e sane, che si trovano alcuni valori di bilancio negativi in conseguenza, nello specifico, di ciò che è accaduto con l’emergenza Covid-19».
Anche sul fronte inflazionistico, nonostante la Banca d’Italia abbia annunciato una stabilizzazione dei prezzi nei prossimi due anni, l’apprezzamento del dollaro sull’euro sembra indicare tutt’altro, come spiega l’economista Fornasini: «L’inflazione statunitense è frutto di un eccesso di domanda interna e si può attenuare attraverso il rialzo dei tassi d’interesse. Al contrario l’inflazione europea è generata dall’aumento del costo dell’energia e delle materie prime. La nostra è insomma un’inflazione importata e dal momento che tutte le materie prime sono quotate in dollari il costo dell’importazione di queste ultime aumenta ancora di più a causa della rivalutazione del dollaro sull’euro. Di più. Mentre la Federal reserve punta a spegnere la fiammata inflattiva attraverso l’aumento dei tassi, la Banca centrale europea teme che ciò possa annichilire la tenuta della ripresa». La situazione sembra destinata ad avvitarsi perché la forza del dollaro spinge gli investitori internazionali a puntare sugli alti rendimenti del bond americano e ad abbandonare l’euro che, così facendo, continua a svalutarsi rispetto alla valuta americana: «È una condizione destinata a perdurare, aggravando così il caro prezzi in Europa. Se è vero che l’euro debole favorisce le esportazioni europee dirette verso l’area del dollaro, le conseguenti ricadute inflattive sono destinate a persistere e ad aggravarsi». Q