L'ESPRESSO 34

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Settimanale di politica cultura economia N. 34 • anno LXVIII • 28 AGOSTO 2022 Domenica 3 euro L’Espresso + La Repubblica In Italia abbinamento obbligatorio alla domenica. Gli altri giorni solo L’Espresso 4 euro POLITICA Centristi infiammati e dossier incagliati ESTERI La Germania frena Scholz frana IDEE Nessuna immagine è innocente Il Meridione assente dall’agenda politica, il viaggio di sola andata dei giovani talenti. Il divario Nord-Sud. La memoria perduta e la bellezza sfregiata. Dialogo tra il fotografo Giuseppe Leone e lo stilista Domenico Dolce ConversazionesulPaeseart.1comman.46)27/02/04legge(conv.inA.P.-D.L.353/03s.p.a.sped.inItalianePoste1-DCBRoma-Austria-Belgio-Francia-Germania-Grecia-Lussemburgo-Portogallo-PrincipatodiMonaco-Slovenia-Spagna€5,50-C.T.Sfr.6,60-SvizzeraSfr.6,80-Olanda€5,90-Inghilterra£4,70

28 agosto 2022 5 Altan

Sommario 62 40 28 OpinioniRubriche Altan 5 Makkox 10 Riva 31 Serra 35 Valli 98 La parola 9 Taglio alto 25 Bookmarks 79 Ho visto cose 94 #Musica 94 Scritti al buio 95 Noi e voi 96 Editoriale Il divario Nord-Sud è un’ipoteca sul futuro LirioAbbate 13 Prima Pagina Lo spreco della bellezza colloquioconD.DolceeG.LeonediConcettoPrestifilippo 14 Centristi infiammati AntonioFraschilla 22 Sovranisti a spese nostre VittorioMalagutti 26 Il catalogo di Leporello LoredanaLipperini 32 Generazione Z: l’agenda del governo che verrà A.S.DeMussoeE.DeFaveri 36 Sbarchi, l’onda anomala BiancaSenatore 38 Ventimiglia imbuto d’Europa EricaManna 42 Nell’inferno delle carceri SimoneAlliva 46 Semiliberi, seconda chance SilviaPerdichizzi 50 La profezia del generale GianCarloCaselli 54 Pizzo, chi tace è complice Addiopizzo 57 Il Cancelliere Tentenna FedericaBianchi 58 Trump a furor d’indagine AlbertoFloresd’Arcais 62 Traditi dai Bitcoin AlessandroLongo 66  Idee Nessuna immagine è innocente WlodekGoldkorn 70 Il cinema allo specchio FabioFerzetti 76 Di Anna in Anna colloquioconAnnaBonaiutodiFrancescaDeSanctis 80 Storie Un calcio allo stigma dei pazienti psichici AdilMauro 82 Mollo tutto ma non il laptop SalvatoreDiMauro 86 Usa: cure in gravidanza, non per tutte JessicaM.Masucci 90 COPERTINA Foto Emanueladi Alfano numero 34 - 28 agosto 2022 28 agosto 2022 7 Abbonati a SCOPRI L’OFFERTA ILMIOABBONAMENTO.ITSUL’Espresso fa parte in esclusiva per l’Italia del Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi Ricevi la rivista a casa tua per un anno a poco meno di €6,00 al mese (spese di spedizione incluse) Le inchieste e i dibattiti proseguono ogni giorno sul sito e sulle pagine social de L’Espresso. UNISCITI ALLA NOSTRA COMMUNITY lespresso.it @espressonline @espressonline @espressosettimanale 70 31

Senza il difetto il vero volto di una persona resta lontano, vago, idealizzato. L’amore cristiano porta all’estremo questa passione per il difetto, postulando l’amore per il non desiderabile, il reietto, il malato, lo scarto; chi è, in un modo o nell’altro, nel corpo o nell’anima, «difettoso». Nella percezione del difetto c’è pure la speranza di un futuro pieno di promessa: la possibilità di migliorare, di cambiare. La perfezione, invece, non ha futuro: solo un eterno presente. Ma c’è pure un altro livello da considerare: se qualcosa è «difettosa» significa che non funziona, cioè, alla lettera – dal latino «de-ficere» – non fa quel che deve fare, e dunque fa «altro» rispetto a ciò che è previsto. Il difetto allora è l’elemento di disordine, di eccezione: è l’imponderabile, l’imprevedibile, lo squilibrio. Per questo si amano, dunque, i difetti: rendono visibile l’originalità della vita che non è meccanicamente fedele agli ordini, alle leggi e ai L’intelligenzameccanismi.senza difetti è quella ordinatrice del computer che, appunto per questo, in spagnolo si chiama «ordenador» e in francese «ordinateur». Ciò che distingue l’uomo dalla macchina ordinatrice è proprio il disordine, il difetto nel ragionamento, che la macchina non può produrre. Anche perché la macchina non sa amare.

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28 agosto 2022 9 La parola ANTONIO SPADARO

difetto

Ci si innamora dei difetti, in realtà. Sì, certo, la bellezza integra e la perfezione della forma attraggono, suggestionano perché suggeriscono un equilibrio al quale si tende e che dà pace. Il classicismo dei nostri gusti ci fa tendere all’assoluto dell’armonia. Ma è anche vero che la perfezione spaventa e crea distanza, e talora annoia. Davanti ad essa ci si sente inadatti, inferiori. Come innamorarsi della bellezza perfetta? La si contempla e la si ammira, sì, ma non la si ama. Invece il difetto è un appiglio, un gancio di umanità, la possibilità di un compromesso, un accesso. Un neo può rendere davvero «attraente» una pelle che invece senza di esso sarebbe semplicemente «perfetta». Non si può amare una persona senza aver conosciuto le sue cattive abitudini, gli aspetti spiacevoli del suo carattere e le sue contraddizioni.

10 28 agosto 2022 Cronache da fuori

28 agosto 2022 11 Makkox

Su questi punti si muove la conversazione sul Paese tra il grande fotografo Giuseppe Leone e lo stilista Domenico Dolce che ho voluto in apertura del giornale, perché interpreta la realtà, il periodo che stiamo attraversando, tutto questo in linea con un’informazione di opinione e d’intervento. I protagonisti del dialogo sono entrambi siciliani ma con esperienze di vita e professionali diverse. Uno è attaccato alla sua terra da dove non è mai voluto andar via, l’altro è un artista di successo mondiale ottenuto dopo aver lasciato l’isola. I problemi di cui discutono sono attuali e la loro esperienza permette di suggerire soluzioni.

Dallo scempio edilizio e ambientale al lavoro, dalla burocrazia nemica dell’imprenditoria, all’immigrazione e l’integrazione da sostenere, la globalizzazione, il commercio, fino alla borghesia e quindi alla politica e alla classe dirigente che si continua a mostrare scadente, sono le linee guida della conversazione sul Paese. Perché nessuno deve essere discriminato, e l’esperienza e la capacità di ognuno possono aiutare a non far restare indietro alcuno. Come ha detto il premier Mario Draghi al meeting di Rimini rivolgendosi ai giovani: «Vivete la politica soprattutto come testimonianza di una vita coerente con gli ideali, sperate, combattete e costruite. Voi giovani siete la speranza della politica». La fiducia nel futuro sarà la nostra forza.

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Il risultato elettorale che ha dato vita a questa ultima legislatura ha tracciato una divisione che non si riscontrava dal referendum istituzionale del 1946, quando il Sud monarchico si contrappose al Centro-nord repubblicano, prima plastica rappresentazione di quelle due Italie postunitarie che durante il periodo fascista si erano ancora di più distanziate. C’è una netta divergenza di interessi e di condizioni di vita lungo l’asse Nord-Sud, lungo la stratificazione di quella divisione economica che dopo il 1861 non ha trovato mai un definitivo superamento. Anzi, nonostante i tentativi fatti di mitigarla durante il trentennio d’oro dell’economia italiana (1950/1980) si è ancora di più ampliata dopo il ventennio di egemonia berlusconiano-leghista. La divisione NordSud si sta dimostrando il dato di maggiore continuità della nostra storia, il caso di maggiore insuccesso, l’elemento determinante della nostra fragilità di nazione.

alla Sicilia alla Lombardia, dall’Italia all’estero, può essere ancora considerata per i giovani una strada di solo andata? Perché c’è ancora una frattura economica e geografica nel nostro Paese. Il Meridione, saccheggiato dai partiti durante la campagna elettorale, viene dimenticato dopo ogni voto politico. Lo è stato sistematicamente fino adesso. E i giovani continuano a cercare fuori dal loro territorio un equo compenso per le competenze e il lavoro a cui possono essere impiegati.

28 agosto 2022 13 EditorialeLirio Abbate

Fuori

centraledeidall’agendapartitiènell’analisidiBankitalia.RaccontadellafugadeicervellidaunMeridionesemprepiùpoverodiopportunità.Leorigini,lenecessità,iltalento,labellezzamortificataelamemoriasepolta.NeldialogodicopertinatrailfotografoLeoneelostilistaDolce

Il divario Nord-Sud è un’ipoteca sul futuro

D

Il divario, come scrive la Banca d’Italia nel rapporto dedicato al tema, si è ampliato nel decennio 2010-2020. «La questione meridionale è diventata ancor più chiaramente parte di una più ampia questione nazionale», scrive l’istituto centrale, che analizza come al Sud «il settore privato, già fortemente sottodimensionato rispetto al peso demografico dell’area, si sia ulteriormente contratto e presenti ora una composizione ancora più sbilanciata verso attività produttive a minore contenuto di conoscenza e tecnologia e a più bassa produttività». Ma c’è pure una questione di moralità che deve essere alla base della società.

IL FOTOGRAFO LEONE E LO STILISTA DOLCE SI INCONTRANO PER LAVORO IN SICILIA. NE NASCE UN DIALOGO SULLE ORIGINI, SUL SENSO DEL TALENTO E SUL VIAGGIO DA EMIGRANTI. SUL SUD E IL NORD E SU UN’ITALIA CHE SFREGIA LA MEMORIA LO SPRECO DE Conversazione sul Paese 14 28 agosto 2022

LLA BELLEZZA COLLOQUIO CON DOMENICO DOLCE E GIUSEPPE LEONE DI CONCETTO PRESTIFILIPPO FOTO DI GIUSEPPE LEONE E EMANUELA ALFANO Prima Pagina

ittorio Nisticò, mitico direttore del giornale “L’Ora” distingueva i siciliani in due categorie: quelli di scoglio e quelli di mare aperto. Siciliani che si ostinano a rimanere nell’Isola e isolani che devono allontanarsene per dare il meglio di sé. Alla prima categoria appartiene il fotografo ragusano Giuseppe Leone che con caparbia determinazione continua a ritrarre la Sicilia da quasi settanta anni. Alla seconda Domenico Dolce, stilista mondiale che ha scalato i vertici del successo trasferendosi a Milano. Due personaggi che hanno incrociato le loro storie professionali. Leone è l’autore di una celebre campagna pubblicitaria che si è avvalsa delle sue immagini fotografiche per raccontare il concetto di Sicilia, cifra caratteristica della maison Dolce & Gabbana. Una collaborazione che si traduce in una conversazione in Sicilia di vittoriniana memoria. Il pretesto un contest fotografico organizzato sulle Madonie dalla Fondazione P.G. 5 Cuori. Un’organizzazione voluta dallo stilista siciliano che ha sede a Polizzi Generosa, suo paese natale. Giuseppe Leone è stato chiamato a presiedere il concorso fotografico a cui hanno partecipato giovani talenti della fotografia. Nel corso di una pausa pranzo i due artisti siciliani hanno intessuto un confronto sulla Sicilia intesa come metafora, per dirla con il titolo di un libro di Leonardo Sciascia che Leone ha fotografato per molti anni, fino al suo ultimo ritratto.

«Ho scoperto di essere siciliano a Milano», esordisce con velata ironia Domenico Dolce. «Sembra paradossale, ma fino a quando sono rimasto in Sicilia non avevo coscienza di quanto questo luogo mi avesse profondamente segnato». Il racconto della partenza e dell’arrivo nel capoluogo lombardo assume la connotazione di un fotogramma di Giu-

Conversazione sul Paese

V “LA QUESTIONE MERIDIONALE SEMBRA SCOMPARSA DALL’AGENDA POLITICA. COSÌ LA GIOVANE CLASSE DIRIGENTE DEL MEZZOGIORNO VA VIA PER NON TORNARE MAI PIÙ” 16 28 agosto 2022

Prima Pagina

Anche per Giuseppe Leone Milano doveva diventare approdo di ragione, come era accaduto per schiere di siciliani, da Verga a Vittorini. «Quando cominciai a pubblicare i miei primi libri di successo per la Bompiani fui tentato di trasferirmi a Milano, di lasciare la Sicilia. Ma era più forte di me, non riuscivo a sopportare l’idea di abbandonarla. Scelsi di fare ritorno a Ragusa. Percorrendo l’Isola in lungo e largo ho testimoniato ogni avvenimento, immortalando i grandi personaggi e l’umanità che la popolava. Avevo scelto di testimoniare le trasformazioni radicali che si annunciavano seguendo anche l’impegno del sociologo pacifista Danilo Dolci. Era la fine della cultura contadina, la rimozione violenta e veloce che ha spazzato via tradizioni, antichi mestieri, sapienze arcaiche, deturpato il paesaggio. Fotografavo con ossessione, prima che uno dei due, o me o il paesaggio sparisse, come scriveva il mio amico Vincenzo Consolo». Il capoluogo lombardo è il luogo che accomuna i due artisti siciliani. Sottolinea Domenico Dolce: «A Milano ho preso consapevolezza di chi ero veramente. Lì non con-

Concetto Prestifilippo Giornalista 28 agosto 2022 17

seppe Tornatore. «Dal mio paese mi ero trasferito a Palermo per frequentare il liceo, anni terribili. A Palermo non mi sentivo a mio agio, mi metteva ansia. I miei compagni di classe privi di ogni complicità, tutti volti a primeggiare, io odio le competizioni. Inizialmente avevo deciso di fare l’architetto. Un pomeriggio mi sono ritrovato nella sede dell’allora Sip in piazza Martiri d’Ungheria. Ho scelto un elenco telefonico di Milano, non erano ancora i tempi di Internet. Trovai l’indirizzo di una casa di moda milanese, la Marangoni e decisi di partire. A Milano sono sbarcato il 15 aprile del 1978. Chiesi subito di accompagnarmi in piazza Duomo. Era una giornata insolita ammantata da una luce speciale, un’atmosfera sospesa. Alzai lo sguardo verso la Madonnina esprimendo il desiderio di farmi rimanere in quella città. Quasi l’invocazione di un miracolo. E così è stato. Io credo nel destino, come Ulisse che si lascia guidare dal Fato».

Da sinistra, in senso orario, secco caratteristicilaConsolo.SciasciaBufalino,ritrattoaccanto,annipaesaggioscorcioSettanta.leGiacomo.perSemprefestaprocessioneCapizzi (Messina),negliAcreidePalazzolo(Siracusa)anniOttanta;perladiSant’Antonio.Capizzi,corteolafestadiSanEntrambefotosonodeglianniInalto,lodiverdeinunibleodegliSettanta.EquiilcelebrediGesualdoLeonardoeVincenzoInapertura,terraibleaconimuria

tava chi ero, quali fossero i miei orientamenti sessuali, religiosi. Contava solo la determinazione, il talento, la voglia di fare. Quella città è stata per me una sorta di Stargate, un passaggio immediato, una porta di accesso verso un altro mondo. Non è stato facile, ho impiegato due anni per integrarmi. Una terribile insegnante della scuola di moda che frequentavo mi aveva consigliato di fare ritorno in Sicilia. Io ho abbassato il capo, non per sottomettermi. Ma come mi avevano insegnato i miei nonni, per lavorare ancora più duramente e non mollare. Dovevo dimostrare che potevo farcela. Ho fatto le mie prime ferie a 35 anni. Ho sgobbato duro. Il successo è fatto di rinunce. A Milano ho imparato che il talento non basta, serve disciplina. Ho imparato a non arrivare in ritardo perché non ti aspetta nessuno. Poi, ad un certo punto, mi sono reso conto di essere diventato milanese. Correvo anche se non ero in ritardo. Dunque ero diventato milanese di patria e siciliano di cuore». Milano città che sa anche essere spietata. Anche per il couturier siciliano non sono mancati momenti di inquietudine. Un lungo contenzioso ammi-

nistrativo e giudiziario con il Fisco si è concluso dopo qualche anno con un’assoluzione. Dunque Milano luogo di scontro e di riscontro. Uno scenario professionale diametralmente opposto a quello in cui ha operato Giuseppe Leone. «Ho visto progressivamente chiudere molte case editrici siciliane, nomi di grande prestigio. Le committenze dei giornali e delle riviste sono sparite, travolte dall’avvento del digitale. Fare il fotografo in Sicilia significa fare i conti con una committenza pubblica inaffidabile. La spaventosa macchina burocratica, la politica ineffabile, la mancanza di grandi sponsor. Un calvario nel corso del quale ho assistito sgomento allo spopolarsi dei borghi, dei paesi dell’entroterra. Le coste aggredite dal cemento, le case abusive costruite sul demanio pubblico. Ho cercato di denunciare fotografando. Un grido d’allarme spesso inascoltato. Nel mio archivio di quasi cinquecentomila scatti è scritta la vita di questo scorcio di secolo. A guardarla bene, si legge la storia recente di questa nazione. I contadini meridionali che affollavano i treni che li avrebbero deportati in grigie periferie urbane, trasformandoli da

Conversazione sul Paese

Le guglie del Duomo di Milano sul finire del 2000; Il Pirellone; la Galleria Emanuele;Vittorioilpoeta e antropologo Antonino Uccello, in fondo, il sociologo pacifista Danilo Dolci, al centro in camicia bianca, e il pittore Ernesto Treccani   agosto

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2022

Prima Pagina e rosolio. La sera, a casa, il picchiare del battente annunciava la visita dei contadini. Venivano dopo il lavoro per la prova dell’abito e registravo la stessa aristocratica delicatezza e gentilezza d’animo. Poi è stato l’avvento della borghesia, il tripudio sguaiato, privo di classe. La borghesia che non era né inferno, né paradiso, un mondo di Purgatorio che vaga nel buio perché ha rinnegato le sue origini».

TRAMONTO

Il mancato sviluppo del Meridione è la questione irrisolta e la grande opportunità per questa nazione. Aggiunge con rassegnata amarezza Giuseppe Leone: «Attendo ormai da decenni un moto di orgoglio dei siciliani. Una regione che negli ultimi anni è stata governata da una classe dirigente scabraccianti in operai. Ho denunciato lo scempio edilizio che ha dato vita a periferie anonime svuotando i centri storici. Ho dato volto ai grandi artisti come Sciascia, Bufalino, Consolo, Guccione, Sellerio, solo per citarne alcuni. Erano voci di dissenso, si producevano in una costante denuncia sociale e rivestivano ruoli di primo piano dello scenario artistico e culturale italiano».

Sembra rafforzare questa analisi il convincimento dello stilista siciliano: «Pagheremo a caro prezzo l’illusione della globalizzazione. L’illusione del tutto possibile, tutto facile. La pagheremo con una progressiva perdita di identità. Ai miei nipoti chiedo ogni anno di tornare a Polizzi Generosa nonostante vivano in giro per il mondo. In Oriente si dice che quando non sai dove andare devi fermarti e guardare da dove sei partito. E io sono partito da un luogo dove convivevano la magia del mondo aristocratico e la delicatezza di quello contadino. Ho avuto la fortuna di accompagnare mio padre nella sua attività di sarto. Andavamo dai baroni Carpinello. Ricordo il rintocco della campana alle due del pomeriggio, la baronessa che sottovoce ci offriva dolci IL DELLA CIVILTÀ BORGHESIA

SGUAIATA CHE BRANCOLA NEL BUIO PERCHÉ HA RINNEGATO LE PROPRIE ORIGINI” 28 agosto 2022 19

“CON

CONTADINA, L’AVVENTO DI UNA

dente, non all’altezza della situazione. Mi domando come è possibile che tutto il mondo sia andato avanti e noi siamo rimasti gli ultimi della classe. Mancano le grandi opere di collegamento. Possiamo contare su ferrovie e autostrade degne di un paese del Terzo Mondo. Assistiamo sgomenti alle pratiche di spreco di ogni risorsa, economica e ambientale. Lasciati soli a fronteggiare l’emergenza migranti in maniera indecorosa. La questione meridionale sembra scomparsa da ogni agenda politica. Giovani talenti che dovrebbero essere la classe dirigente meridionale che va via e non ritornerà più. La perdita definitiva di mestieri antichi, del grande artigianato, della bellezza, della memoria».

Prima Pagina Conversazione sul Paese

Q ©RIPRODUZIONE

Il fotografo Giuseppe Leone e Domenico Dolce a GenerosaPolizzi(Palermo) in una pausa del pubblicitariaamaisonl’artistaqualedellodallafotografico organizzatocontestFondazionestilistaalhacollaboratocheperlahalavoratouna campagna

PERDITAILDELDELLA“PAGHEREMO CARA L’ILLUSIONEGLOBALIZZAZIONE,TUTTOPOSSIBILEEFACILE.PREZZO SARÀUNAPROGRESSIVADELLANOSTRAIDENTITÀ” 20 28 agosto 2022

Gli fa eco Domenico Dolce: «Per me l’agire politico è la quotidianità. Forse è venuto il momento di sciogliere anche questo consolidato: che la colpa sia riconducibile solo alla politica. Politica per me è prima di tutto educazione civica, comportamento quotidiano, rispetto della comunità. La maleducazione, il cattivo gusto, trionfano imperanti perché è crollato il mondo della scuola. Insegnanti dileggiati, pagati male. Politica è investire sulla formazione dei giovani, educarli alla bellezza del nostro patrimonio artistico. Non servono solo le grandi opere, servono interventi mirati. La verità sui siciliani è che non apprezziamo la Sicilia perché non è opera nostra. Tutto quello che riceviamo gratuitamente rischia di non avere valore. Sia esso un bell’abito, un dipinto o un tempio greco. Non riusciamo a governare la bellezza ereditata e valorizzarla adeguatamente. La Sicilia è stata inventata dagli altri. Da quelli che l’hanno edificata e da quelli che l’hanno raccontata. Non abbiamo dato il la a queste meraviglie. Ecco perché i siciliani chiudono gli occhi per non vedere la realtà, bella o brutta». RISERVATA

Il Geoportale della Cultura Alimentare è un progetto promosso dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale (ufficio autonomo del Ministero della Cultura) e finanziato dal PON "Cultura e Sviluppo".

Più fruibile e interattivo, ricco di contenuti da esplorare. Il Geoportale della Cultura Alimentare narra le pratiche, le tradizioni e le memorie collettive che rendono unico il Patrimonio Immateriale legato al cibo. www.culturalimentare.beniculturali.it

Manovre a destra INFIAMMA CENTRISTI

Antonio Fraschilla Giornalista Da sinistra, in senso orario, Giorgia Meloni, Elisabetta Gardini, Guido GianfrancoCrosetto,Rotondi e Giulio Tremonti

CON DUE FONDAZIONI DI RIFERIMENTO: EINAUDI E DE GASPERI. CRONACA DI UNA METAMORFOSI D’INTERESSE

DI ANTONIO FRASCHILLA opo Giulio Andreotti, Giorgia Meloni è il solo politico romano capace di una leadership nazionale». Basterebbe questa frase detta dal democristianissimo Gianfranco Rotondi per iniziare il nuovo capitolo della storia di Fratelli d’Italia, scritto da Guido Crosetto, altro ex Dc e tra i fondatori del partito con la Fiamma. Titolo: come far sembrare FdI un partito moderato. Sottotitolo: mettiamo la polvere della destra che guarda ancora al Duce sotto il tappeto. Un capitolo che da qualche anno per conto di Meloni sta curando in persona lo stesso Crosetto, tessendo una rete moderata dentro e fuori i palazzi della politica. Poi si vedrà se alla fine questo gran lavoro avrà un peso nelle scelte di un possibile governo guidato da FdI, intanto l’opera di inserimento di centristi ed ex Dc nelle file del partito si è conclusa con la presentazione delle liste ufficiali. Un tassello di una operazione di “democristianizzazione” del partito che è anche culturale, come si vede da certi amorosi scambi che vanno avanti da qualche mese tra Meloni e la Fondazione De Gasperi o la Luigi Einaudi di Roma: uno snodo chiave, come vedremo, della rete di Crosetto per allargare lo spazio del partito che sul simbolo ha, con orgoglio rivendicato dalla leader, la Fiamma stilizzata che riprende quella storica del Movimento sociale italiano, la casa degli ex fascisti fin dal 1946.

La strategia di allargamento al centro va comunque avanti da un paio di anni almeno, guardando proprio al voto delle Politiche, a dimostrazione di come da tempo Meloni e Crosetto stiano studiando da prossimi capi di governo. Sì, entrambi: perché se è chiaro che Meloni è la leader in pectore, i bene informati in casa FdI dicono che anche l’ex sottosegretario alla Difesa e presidente della

D CROSETTO REGISTA DELLA CAMPAGNA ACQUISTI DI MODERATI ED EX DC IN FDI.

INFIAMMATI 28 agosto 2022 23

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DEMOCRISTIANI PER GIORGIA Meloni in piena campagna elettorale prova a smorzare i toni rudi utilizzati al comizio di Vox in Spagna e lo fa seguendo i buoni consigli di chi gli dice di aprirsi ai centristi e agli ex democristiani: lei non ama entrambi, come sanno bene in casa FdI, ma l’operazione di “incipriamento” iniziata già da un paio di anni è andata a compimento proprio nel giorno della presentazione delle liste che vedono al loro interno nuovi ingressi, tutti di aree centrista. Un gesto di apertura nei confronti degli alleati Lega e Forza Italia, alle prese con tagli e la grana dei tanti uscenti, per accogliere moderati. Ma anche un colpo a effetto perfetto per la campagna elettorale. Con Fratelli d’Italia per la Camera sia all’uninominale ad Avellino sia nel proporzionale in Sicilia è candidato proprio Rotondi, democristiano fin dal 1975, che da settimane si lancia in lodi sperticate di Meloni: non solo definendola la nuova Andreotti, ma sostenendo la tesi che grazie a lei gli ex democristiani possono trovare adesso una casa sicura. Insomma, Meloni come Berlusconi, FdI come Forza Italia, seguendo il ragionamento di Rotondi. In questo scenario non sorprendono quindi le candidature con Fratelli d’Italia dell’ex ministro simbolo del berlusconismo Giulio Tremonti nel collegio uninominale di Milano e capolista nel proporzionale alla Camera e del professore Marcello Pera al Senato, capolista in Campania e nell’uninominale in Sardegna.

Prima Pagina

Un nome che gira tra i possibili ministri della Giustizia è quello dell’ex magistrato Carlo Nordio, candidato in Veneto al proporzionale e all’uninominale per FdI, che fa parte del Consiglio di amministrazione della Fondazione insieme a un’altra new entry nel “pensatoio” del partito, Fabrizio Palenzona: un nome che conta nel sistema economico del Paese, banchiere e dirigente d’impresa, già ex vicepresidente di Unicredit e consigliere di Mediobanca e numero due di Confcommercio.

La Fondazione Einaudi, guidata dal messinese Giuseppe Benedetto, ex componente del Pli poi liquidatore e amministratore di diverse società, ultimamente non a caso si è distinta per le sue aperture a Meloni, con scambio di amorosi intenti. Come quando la leader di FdI ha pubblicamente aderito «alla proposta della Fondazione di eleggere insieme al prossimo Parlamento una assemblea costituente per riformare la Carta». La Fondazione sui social ha scatenato polemiche, difendendo ad esempio

LE FONDAZIONI CENTRISTE Sempre con la regia di Crosetto c’è anche un’operazione culturale che FdI sta portando avanti per allargare il raggio di azione, diciamo così. Molti nomi della possibile nuova classe dirigente di governo FdI li sta pescando dalla Fondazione Luigi Einaudi di Roma e dalla Fondazione De Gasperi, non proprio due centri culturali assimilabili alla destra,Crosettoanzi.da tempo ha messo piede nella Fondazione Einaudi, come componente del comitato scientifico con delega alle Politiche internazionali: insieme a lui c’è anche l’ex ministro della Difesa del governo Monti e ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, che ha aderito a FdI nel 2013 dopo lo scontro a Palazzo Chigi sulla gestione del caso dei due marò in India.

Federazione aziende italiane per l'aerospazio e la difesa stia facendo più di un pensierino alla poltrona di Palazzo Chigi.

Con Fratelli d’Italia sono passati volti storici del centro come quello di Raffaele Fitto, giovane forzista già ministro del quarto governo Berlusconi, di Elisabetta Gardini e Alfredo Antoniozzi, che hanno lasciato Forza Italia alle scorse elezioni Europee, ma anche di Luciano Ciocchetti, ex Udc e proveniente da una famiglia storica di democristiani romani e di Lucio Maran, volto azzurro nel Nord: oggi tutti candidati nelle liste di Fratelli d’Italia per il voto del 25 settembre. Dal mondo cattolico e centrista sbarcano nelle liste nilederatiSaveriodemocristianocandideràpartito:zioneblindaticedutomagnanima,giornalistaconmelonianeancheEugeniaRoccella,deputatailPdledexportavocedelFamilyday,elaAlessiaArdesi.AlSudinmanierainoltre,ilpartitodiGiorgiahaadalleatidelcentroalcunicollegichesullacarta,einbaseallasparti-nazionale,spettavanoinizialmentealcomequellodiPalermonelqualesil’exministrodell’AgricolturaedexallievodiCalogeroMannino,Romano.Matuttol’accordoconiMo-diNoiconl’Italia,chealivellonaziona-avrà17collegiquasisicuri,èfruttodeibuo-ufficiedelleaperturediGiorgia.

ROTONDI VEDE IN MELONI LA NUOVA ANDREOTTI.E DAL THINK TANK EX SCUDOCROCIATO UNA STIMA: BACINO ELETTORALE DA 5,6 MILIONI DI VOTI Manovre a destra 24 28 agosto 2022

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TAGLIO ALTO MAURO BIANI

na, diventi fucina di classe dirigente futura di Fratelli d’Italia: Lorenzo Malagola, segretario della Fondazione, è candidato nelle liste FdI al proporzionale in Lombardia. La Fondazione lo scorso aprile insieme alla società di ricerca Ipsos ha poi pubblicato i risultati di un sondaggio sull’orientamento di voto degli ex sostenitori della Democrazia cristiana. Secondo lo studio, nel Paese il bacino degli ex Dc vale 5,6 milioni di voti potenziali e la preferenza andrebbe soprattutto a due partiti: il Pd e Fratelli d’Italia, la nuova casa dei centristi, a sentire Rotondi. Quella di Meloni è una strategia che davvero vuole cambiare il percorso del partito, o soltanto un’operazione di facciata buona per il voto e nulla più? O meglio: se davvero arriverà lei al governo del Paese, ascolterà anche questo mondo nelle scelte politiche o no? In casa Fratelli d’Italia c’è chi ha più di un dubbio sulla reale bontà dell’operazione. Dice un dirigente di peso del partito: «Giorgia si fida di pochissimi e alla fine decide sempre ascoltando due, tre persone del suo cerchio magico, non di più». E di questo cerchio magico non farebbe parte Crosetto, bensì Ignazio La Russa, la sorella Arianna e il cognato Francesco Lollobrigida. Giorgia ha aperto la sua casa a centristi ed ex Dc e si è già presa gli applausi del meeting di Comunione e liberazione a Rimini: ma dopo il voto in quale stanza li ospiterà, nel salotto o nel ripostiglio?  RISERVATA

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Meloni dall’accusa di essere fascista o con tweet che equiparavano «fascismo e comunismo». Certo, difficile spiegare poi come una Fondazione che si ispira al liberale Einaudi possa strizzare l’occhio a un partito che ripropone il ritorno dello Stato nell’economia. Ma nel Paese vista voto tutto può succedere. Anche che la Fondazione De Gasperi, un nome che evoca moderazione e il cuore della storia della Democrazia cristia-

Prima Pagina

INGRESSI Raffaele Fitto, ex forzista, è diventato un riferimento dei moderati in FdI. Al centro, Marcello Pera, ex Forza Italia e già presidente del Senato, nell’altra pagina, Eugenia Roccella

Vittorio Malagutti Giornalista

ITA AIRWAYS, TIM, MONTEPASCHI: SULLE GRANDI PARTITE DI

S

INDUSTRIALE MELONI DETTA LA LINEA AGLI ALLEATI. E IL CONTO FINALE È

DELLO STATO

FotoA3/M.MinnellaFoto: del centrodestra

SOVRANISTI A S

26 28 agosto 2022

DI MALAGUTTI che nel programma della coalizione presentato ai primi d’agosto la questione del futuro delle grandi imprese di sistema è stata liquidata in una sola riga: «Difesa delle infrastrutture strategiche nazionali». Cinque parole in tutto per uno slogan che lascia il tempo che trova. Il problema, semmai, sarà passare dalle parole ai fatti. E qui i tre partiti alleati navigano tra contraddizioni e promesse impossibili da mantenere.

VITTORIO

Prendete Alitalia, ora Ita Airways, giunta all’ennesimo giro di boa di una storia trentennale, di sprechi, bilanci in rosso e fallimentari tentativi di salvataggio. «Spero che il presidente Draghi smentisca l’ipotesi di un’accelerazione del processo di vendita di Ita a Lufthansa», ha scandito Meloni il 2 agosto mischiando un po’ le carte, visto che il gruppo tedesco è solo il partner di minoranza (20 per cento) di una cordata di aspiranti acquirenti di Ita che vede come azionista principale al 60 per cento l’armatore italiano con base in Svizzera Gianluigi Aponte, mentre un altro 20 per cento resterebbe di proprietà dello Stato italiano. Va poi ricordato che oltre ad Aponte-Lufthansa in gara c’è anche l’offerta concorrente presentata dal fondo statunitense Certares insieme ad Air France. Lo spauracchio

I programmi

i fa presto a dire sovranismo. Parola che applicata al campo largo dell’economia si traduce nel vagamente intimidatorio «padroni a casa nostra». Concetto semplice, elementare: vuol dire che tutte le aziende strategiche per il sistema Paese devono restare in mani italiane. Grandi banche, reti di telecomunicazioni, energia, acciaio e via elencando in un crescendo di nazionalismo, tra parole d’ordine patriottiche e fantasiose evocazioni di complotti stranieri ai danni di Roma. E allora: «Giù le mani dalle imprese tricolori». Giorgia Meloni e Matteo Salvini lo vanno predicando da sempre, anche se il secondo di recente ha un po’ abbassato i toni. Un ripiegamento tattico, con la Lega del «prima gli italiani» ridotta a fare da stampella al governo di Mario Draghi, già nemico numero uno di tutti i populisti di ogni ordine e grado. Ma ora che l’ex banchiere ha gettato la spugna, i toni leghisti sono tornati quelli di sempre, anche perché c’è da arginare in qualche modo l’ascesa di Fratelli d’Italia, partito cresciuto a suon di opposizione dura e pura alla politica economica draghiana.Inquesta gara di decibel e slogan tutta interna al centrodestra, quasi non si sente la voce dei berlusconiani, persi tra surreali proposte di dentiere gratis e pensioni per tutti a mille euro al mese. Sarà per questo ILVA, POLITICA SEMPRE A CARICO

Gli aerei di Ita con la nuova livrea

PESE NOSTRE

28 agosto 2022 27 Prima Pagina

28 28 agosto 2022 tedesco però fa comodo per evocare la svendita allo straniero cattivo pronto a mangiarsi in un sol boccone un pezzo d’Italia. E a ben guardare non c’è neppure l’accelerazione citata dalla leader della destra. Anzi, la vendita è già in ritardo di due mesi sulla tabella di marcia fissata a febbraio dal governo.Com’era prevedibile, Draghi ha confermato che intende completare la privatizzazione entro settembre, prima delle elezioni. In caso contrario, e nell’ipotesi (al momento molto accreditata) che dalle urne esca vincente la coalizione di centro destra, si tornerebbe tutti alla casella di partenza, con il ministero dell’Economia azionista unico di una compagnia aerea che pare destinata a chiudere i conti in rosso ancora per anni. Lo stop alla privatizzazione aprirebbe con ogni probabilità un contenzioso con la Commissione di Bruxelles, quantomeno sugli aiuti di Stato indispensabili per evitare il crac della neonata Ita. In prospettiva, quindi, sarebbe il bilancio pubblico a finanziare l’ennesimo salvataggio. Un argomento, quello dei costi a carico della collettività, difficile da spendere in vista del voto. E così Meloni, comprensibilmente, preferisce parlar d’altro sventolando la bandiera del sovranismo economico. Salvini e Berlusconi invece tacciono. D’altronde, quando qualche mese fa il governo diede via libera alla privatizzazione, fissandone anche i tempi, Lega e Forza Italia, entrambe parti dell’esecutivo, non fecero una piega. E allora, adesso, è meglio ripiegare su un dignitoso silenzio, anche a costo di lasciare campo libero a un’alleata che non perde occasione per recitare la parte di leader della coalizione. Non per niente, solo pochi giorni fa, Fratelli d’Italia si è intestata un’altra battaglia decisiva per il futuro del sistema Paese. La questione in verità non è nuova e ruota intorno al quesito seguente: chi avrà il controllo della rete di cavi in fibra ottica che trasporta voci, dati e immagini in ogni angolo della Penisola? «La proprietà dev’essere pubblica», va ripetendo Meloni da anni. «Serve un’infrastruttura unica, a cui tutte le aziende telefoniche possano accedere per vendere i loro servizi al pubblico». Questa in breve la posizione di Fratelli d’Italia. Facile a dirsi. Il problema è che al momento le reti su scala nazionale sono due: quella di Tim, l’ex monopolista, a cui va aggiunto il network di Open Fiber, l’azienda nata nel 2015 su impulso del governo di Matteo Renzi e ora controllata dalla Cassa depositi e prestiti (al 60 per cento) e dal fondo australiano Macquarie per il restante 40 per cento. Nei piani di Draghi, l’accordo tra i due gruppi avrebbe dovuto portare ad una rete unica con l’azionista pubblico in maggioranza (Cdp) insieme a due partner finanziari privati, cioè Macquarie e gli americani diIlKkr.piano messo a punto sulla carta si è però fin da subito dimostrato molto difficile da realizzare. Il socio principale di Tim è il gruppo francese Vivendi di Vincent Bolloré con una quota del 23 per cento, seguito dalla stessa Cdp con il 10 per cento circa. Ebbene, da Parigi hanno messo in chiaro che la rete di Tim vale almeno 31 miliardi. Questa sarebbe l’offerta minima per dare via libera alla cessione. Una simile richiesta mette in grave difficoltà Cdp, che in base agli accordi tra le parti entro agosto dovrebbe formulare una prima proposta d’acquisto insieme a Macquarie e Kkr. Se poi si considera che non è nemmeno chiaro il perimetro delle attività che dovrebbe essere ceduto, è facile con-

SULLA COMPAGNIA AEREA SI AGITA LO SPAURACCHIO

Veduta dell'acciaieriaaerea Ilva di Taranto

I programmi del centrodestra

TEDESCO. PER LA RETE UNICA CDP POTREBBE TROVARSI A SPENDERE QUATTRO MILIARDI

Matteo Salvini. In alto, la statua di Sallustio Bandini, in piazza Salimbeni davanti alla sede del Monte dei Paschi di Siena

28 agosto 2022 29 FotoA3(2),ImagesGettyFoto: Prima Pagina

so per non irritare il suo socio transalpino. D’altra parte, quando la matassa si fa troppo complicata da sbrogliare, perfino il sovranismo declamatorio alla Meloni qualche volta cede il passo a valutazioni più articolate. Capita perfino che la patriota tutta d’un pezzo arrivi a chiedere l’intervento di Bruxelles. Com’è successo un paio di anni fa sulla vicenda dell’Ilva di Taranto quando la leader di Fratelli d’Italia esortò il governo ad appellarsi all’Unione europea per fare in modo che la Germania continuasse a comprare acciaio italiano per le proprie aziende automobilistiche. All’epoca qualcuno le fece notare che Berlino può fare tranquillamente a meno delle nostre forniture, visto che la siderurgia tedesca è la più forte del continente. Da allora la situazione non ha fatto che peggiorare. Lo Stato ha affiancato Arcelor nell’azionariato dell’ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia, che però viaggia ancora al minimo, con gravi problemi di liquidità. Nei giorni scorsi è arrivato il pronto soccorso del governo che ha garantito, non si sa con quali tempi, mezzi freschi per un miliardo. Il futuro di Taranto, però, resta ancora in bilico. Questione ambientale, rapporti con l’azionista straniero, nuovi investimenti.

Prendere una posizione chiara su questi argomenti potrebbe costare migliaia di voti anche al centrodestra, che nei mesi scorsi si è limitato ad attaccare l’immobilismo del governo senza proporre soluzioni alternative. All’occorrenza, invece, può anche tornare utile la soluzione di sempre: prendersela con l’Europa come causa di tutti i mali. All’inizio di agosto, per dire, la Commissione di Bruxelles ha concesso più tempo all’Italia per dismettere la sua quota nel Montepaschi, in cambio di nuovi impegni precisi sulla ristrutturazione dell’istituto. Il piano di Bruxelles è «un'ulteriore mazzata» a base di «licenziamenti e chiusure», è subito partito all’attacco Salvini. Parole che certo non hanno tranquillizzato gli investitori internazionali. Gli stessi che il prossimo autunno, quando forse la Lega sarà al governo, dovranno in parte finanziare l’aumento di capitale per 2,4 miliardi di cui Mps ha assolutamente bisogno. Niente paura, se l’operazione non andrà in porto, Lega e Fratelli d’Italia potranno comunque dare la colpa alle trame della finanza internazionale. E all’Europa cattiva. Ovviamente.  Q RIPRODUZIONE RISERVATA

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cludere che l’operazione rischia di rimanere ferma ai blocchi ancora a lungo. Non è neppure pensabile che la Cassa depositi e prestiti, che custodisce il risparmio postale degli italiani, possa indebitarsi a rotta di collo per soddisfare le richieste dei francesi. Al momento manca un piano B. Meloni però insiste. Ecco perché a metà agosto hanno preso a circolare in Borsa le indiscrezioni su una possibile offerta pubblica d’acquisto (Opa) su Tim lanciata da Cdp con l’obiettivo di rilevare il 90 per cento dell’azienda telefonica che ancora non controlla, per poi cedere al migliore offerente le attività diverse dalla rete. Un’operazione simile, che ai valori di Borsa attuali costerebbe oltre 4 miliardi, non può certamente partire mentre a Roma c’è un governo dimissionario. Solo dopo il 25 settembre, se davvero il centrodestra uscirà vincente dalle urne, si capirà se i progetti attribuiti a Fratelli d’Italia hanno una qualche consistenza. Nel frattempo, Meloni si limita a ribadire che la rete deve tornare pubblica, «come in tutte le grandi democrazie occidentali», ha dichiarato nei giorni scorsi. Sullo stesso tema, invece, non è chiaro cosa pensino gli altri due leader del centrodestra. Nel caso di Berlusconi, è comprensibile l’imbarazzo ad affrontare il caso, visti i rapporti pregressi con Vivendi, importante azionista di Mediaset con cui Fininvest ha chiuso solo l’anno scorso una lunga battaglia legale. I francesi però restano azionisti del gruppo televisivo con una quota di oltre il 20 per cento che in base alle intese raggiunte verrà messo gradualmente sul mercato nei prossimi anni. Non è una sorpresa, allora, che il capo di Forza Italia preferisca tenere un profilo bas-

28 agosto 2022 31 Prima PaginaIl commento di GIGI RIVA

Esecrabile in tempi normali, la postura diventa esiziale in questo tempi straordinari in cui la guerra in Ucraina sta sconvolgendo la scala delle priorità perché nel pianeta interconnesso nulla è circoscrivibile al luogo in cui avviene. E allora sarebbe interessante essere informati su cosa pensano i candidati delle sfide epocali che ci attendono. Come si collocano rispetto al disegno egemonico della Russia di Putin e la domanda è rivolta soprattutto alla destra dello schieramento i cui leader, al netto di prese di distanza della ventitreesima ora obbligate dalle circostanze, avevano manifestato condiscendenza nei confronti del Cremlino. Condividendo di fatto posizioni sovraniste, un certo disprezzo verso le democrazie liberali considerate «obsolete» per usare una definizione dello zar Vladimir quando era in auge e stampato in effigie sulle t-shirt. Il confitto in Europa non ridefinisce solo i confini ma anche i destini della globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta sinora. E in questo caso sia la destra sia la sinistra dovrebbero illuminarci circa le rispettive ricette su come regolamentarla, su come salvare i diritti minacciati dal mercato del lavoro globale dunque impazzito. E c’è di più. È sempre la guerra che raffina e ridefinisce il grande dualismo tra democrazie e democrature e la scelta di campo, invece che ovvia, sconta i troppi ammiccamenti verso sistemi illiberali e autoritari che stanno nel perimetro delle alleanze delle Meloni come dei Salvini. Di fatto, è l’ideologia che si riprende il suo spazio quando per un trentennio era scomparsa a favore dell’unica prassi che sembrava possibile: il capitalismo. Per questo, accanto a temi naturalmente importanti come l’economia, dovrebbe farsi largo anche una profonda discussione su quale è il modello di vita, stretto parente del modello istituzionale a cui facciamo riferimento, dei valori che vogliamo difendere e accanto a chi. Quanto manca, insomma, a una campagna elettorale dimentica di tutte queste sfide e invece concentrata sulla battuta del momento, su una personalizzazione da cortile che guarda i destini personali quando in gioco la posta stavolta è assai più alta. Oltre ai contenitori, alle facce da mettere sui manifesti per la propaganda, sarebbe ora di spiegare i contenuti circa la Cenerentola dei nostri dibattiti: la politica estera. Mai come stavolta la politica estera è molto, molto interna ai nostri interessi vitali. RISERVATA

delleunaimpegnol’essenzastipendioiSuccedecicedonostioniaspirantidellasiesclusi“sicuro”?nilati,delcicomesefosseilsaledellapolitica?CheimportaselapresidenteuscenteSenato,lavenetaElisabettaCasel-finisceinBasilicataoseFratoian-rinunciaalpostonell’uninominaleCheciimportadell’iradegliodeiduellitraibig?Quinonconosceoquasinessunadelleideestragrandemaggioranzadeglionorevoliesenatorisuque-chiavedelnostrofuturocheec-ilgiardinettodicasamachechiamanopesantementeincausa.datempo,èvero,daquandodestinipersonali,larincorsaaunosicurooallapensionesonoenonlaconseguenzadiunchedovrebbecontemplarevisionedelmondo,unagerarchianecessità,unprogettodiPaese.

Nel mondo le sfide globali a noi toccano risse da pollaio Ma in fondo che ci importa della sarabanda sulle candidature che per giorni ha tenuto banco

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Matteo Salvini nella Piazza Rossa con indosso la maglietta pro-Putin

S LipperiniLoredana Giornalista DI LOREDANA LIPPERINI Matteo Renzi e Carlo Calenda Verso il voto IL CATALOGO

Vale la pena spendere due parole sul termine «meritocrazia»: che, sorpresa, non nasce con Margaret Thatcher, ma all’interno della narrativa fantastica. Passo indietro: Michael Young era un sociologo inglese, impegnato politicamente (suo il manifesto del partito laburista del 1945), che nel 1958 scrisse un romanzo, o un pamphlet, o tutte e due le cose. Si intitolava The rise of meritocracy, L’avvento della meritocrazia, e vi si sosteneva che la meritocracy, neologismo coniato appositamente da Young, avrebbe portato a una diseguaglianza sociale ancora più marcata. In poche parole, quel termine appare per la prima volta in una distopia dove la posizione sociale di un individuo viene determinata dal suo quoziente intellettivo e dalla sua resa lavorativa. Scrive Young: i chiama stratagemma delle liste e non si riferisce alle candidature elettorali: è, invece, un antico espediente della commedia dell’arte che serviva a divertire il pubblico attraverso un’elencazione strabordante. L’esempio più noto è il catalogo di Leporello, portato a perfezione da Lorenzo Da Ponte e Wolfgang Amadeus Mozart in Don Giovanni, laddove il servitore rende note al pubblico le innumerevoli conquiste del suo signore. Ovvero: In Italia seicentoquaranta; In Alemagna duecento e trentuna; Cento in Francia, in Turchia novantuna; Ma in Ispagna son già mille e tre. Bene, il programmone di Azione e Italia Viva è come il catalogo di Leporello: 68 pagine e 20 punti che comprendono tutto quanto si può immaginare. Incremento del 2 per cento del Pil in tre anni, no al reddito di cittadinanza, sindaco d’Italia, salario minimo a 9 euro. Su tutto, però, un concetto che vale la pena approfondire: la meritocrazia. Perché nel programma il merito è ovunque, fin dalle parole introduttive: «Compito della politica è mettere tutti sulla stessa linea di partenza, e lasciare che ognuno possa dispiegare liberamente il proprio potenziale. Non serve inventare nuove tasse, sognare la patrimoniale o riempirsi la bocca di “redistribuzione della ricchezza”, serve il connubio inscindibile tra meritocrazia e pari opportunità». Merito e premio, queste le parole chiave, un po’ ovunque. Dai rifiuti («sul modello dell’Emilia-Romagna, proponiamo di premiare i Comuni con le migliori performance in materia di riduzione e trattamento dei rifiuti») al lavoro («stimolare la produttività del lavoro riducendo le tasse che si pagano sulla retribuzione erogata per premiare gli incrementi della produttività, detassando completamente i premi»), dalla scuola («va ripreso il percorso interrotto dai governi Conte, perché non può esserci autonomia senza valutazione») all’Università. Per la quale, a proposito, si propone la trasformazione degli atenei Come nel Don Giovanni, il programma di Azione e Italia Viva è un mirabolante elenco di buone intenzioni. Con una parola d’ordine insistita: meritocrazia

32 28 agosto 2022 in fondazioni di diritto privato (a capitale «orgogliosamente pubblico»), visto che «le università sono realtà di mercato».

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA(2)AgfFoto: Prima Pagina DI LEPORELLO

Infine, una parola sulla cultura, capitolo 16, dove si ricorda che gli italiani leggono pochissimo, dunque occorre «valorizzare e rendere le librerie dei luoghi di incontro e di comunità». Bellissimo. In particolare, si propone di «finanziare le librerie che offrono corsi di avvio alla lettura per bambini. In questo modo si potenzia anche il ruolo delle librerie come luogo di scambio e di formazione. Saranno sostenuti anche i librai che avvieranno collaborazioni con le scuole primarie per queste attività durante le ore del tempo lungo scolastico».

Ecco, forse qualcuno dovrebbe dire agli estensori del programma che la maggior parte delle librerie sono già luogo di scambio e formazione (anche le biblioteche peraltro, mai nominate nel documento), e che in moltissimi casi già collaborano con le scuole e che in altrettanti casi propongono iniziative di lettura per bambini. Poi, qualcuno dovrebbe anche dire che i bambini e le bambine leggono: è dai 18 anni in poi che non si legge, e che sono i manager italiani a leggere pochissimo rispetto ai Paesi europei. E qualcuno dovrebbe anche ricordare un meraviglioso articolo che Beniamino Placido scrisse sulla partita Roma-Liverpool del 30 maggio 1984 per la finale di Coppia dei campioni (la Roma perse ai rigori): se non ci furono catastrofi e risse, fu grazie all’Estate romana e alla chitarra di Antonello Venditti che intonò “Grazie Roma” placando gli animi. «Fu il trionfo della civiltà dell’Estate romana, della civiltà dell’Effimero. Alla quale molti, che hanno in testa solo il cemento armato (costruite scuole, case, ospedali!) fanno la stessa domanda che sanno fare alla Letteratura o alla Musica: a che serve? Serve - sciocconi - a civilizzare le persone». (Ma in Ispagna son già 1003, già)

28 agosto 2022 33 «Gli uomini, dopotutto, si distinguono non per l’uguaglianza ma per l’ineguaglianza delle loro doti. Se valutassimo le persone non solo per la loro intelligenza o la loro efficienza, ma anche per il loro coraggio, per la fantasia, la sensibilità e la generosità, chi si sentirebbe più di sostenere che lo scienziato è superiore al facchino che ha ammirevoli qualità di padre, o che l’impiegato straordinariamente efficiente è superiore al camionista straordinariamente bravo a far crescere le rose?». Per la cronaca, nel testo i governanti meritocratici finiscono malissimo. Questa è la cornice. Quanto al catalogo, si rivela fitto di interessanti contraddizioni. Sull’immigrazione, per esempio, si propone di «ristabilire una distinzione tra profughi umanitari (che hanno specifiche tutele internazionali) e migranti economici (che potrebbero inserirsi direttamente nel mercato regolare del lavoro solo con permesso di soggiorno ad hoc). In tal senso è funzionale la reintroduzione della figura dello sponsor per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro a distanza». Dove? In agricoltura, per esempio. Dove si immagina «la reintroduzione del permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di lavoro garantito da uno sponsor (appunto, ndr)» e il ripristino dei voucher. Ma la cosa interessante, come già notato su questo giornale, è l’inserimento dello Ius Scholae non nel capitolo diritti ma proprio in quello sull’immigrazione. Quindi i ragazzi e le ragazze di seconda generazione, che in Italia sono nati o cresciuti e studiano, vengono nei fatti considerati ancora «immigrati». Sulla scuola, torna la libertà educativa, che era anche proposta di Fratelli d’Italia, se ricordate, e dunque vale lo stesso commento. Sui diritti: da una parte si intende approvare la legge contro l’omotransfobia, dall’altra si propone la procedibilità d’ufficio nei casi di violenza domestica o stupro, quindi anche in assenza di denuncia (non dovrebbero decidere le donne se denunciare o no?).

28 agosto 2022 35 C hi decide il prezzo del gas? Un insieme di più fattori, che niente hanno a che vedere con il personaggio di fantasia Libero Mercato, che, come Babbo Natale, pare abbia origine da antiche saghe nordiche. Ancora oggi si racconta ai bambini, quando chiedono come mai la mamma piange e il babbo è disoccupato, che «è stato Libero Mercato». Ma è una fola alla quale, già verso gli otto-nove anni, nessuno più presta fede, anche per evitare di essere presi in giro dai compagni di scuola. La verità - Come altri prezzi, anche quello del gas viene determinato da cause molto concrete. Se per esempio i consiglieri di amministrazione di Gazprom devono cambiare panfilo, la maniera più semplice è aumentare il prezzo del gas. La sigla, del resto, sta per Gaz Pro Me, fortemente voluta dall’oligarca Popov quando, arrivato prima degli altri all’ufficio postale di Kutsk, si intestò con un’autocertificazione tutti i giacimenti di gas della Russia, fino ad allora assurdamente considerati patrimonio pubblico. Oltre a Gazprom, negli anni Novanta in Russia distribuiva il gas anche un’altra compagnia, Gazn, che però dovette sospendere l’attività per le proteste dei clienti: se aprivano il gas sul fornello compariva la scritta «spiacenti, errore numero 300Y67H». Fu in quel periodo che nel mondo slavo presero piede i cibi freddi.

Gas dal estrarloProseccoè pericoloso CanuIvanIllustrazione:

La soluzione - Sarebbe consumare un po’ meno e mettersi il maglione quando fa freddo, come sostenuto dall’ideologo ambientalista Charles Malheur fino a quando la sua utilitaria è saltata in aria. I governi di tutto il mondo hanno rivendicato l’attentato. RIPRODUZIONE RISERVATA

La colpa dei rincari attribuita a Libero Mercato è una favola per bambini. Pesano invece le accise per la guerra in Crimea del 1853

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Satira Preventiva Michele Serra

quido, via nave, il gas va rigassificato, ma recenti ricerche dimostrano che la qualità migliora se il processo viene ripetuto più volte: da liquido a gas a liquido a gas a liquido ancora a gas, meglio ancora se con una fase intermedia di solidificazione grazie alla quale il gas, ridotto a cubetti, è facilmente trasportabile. Il costo di tutti questi trattamenti è altissimo, e questo viene molto apprezzato dalle aziende di trasformazione. Gas autarchico - I tentativi di sostituire al gas russo quello italiano sono ancora in alto mare. In un primo momento si è pensato alle bottiglie di Franciacorta e di Prosecco, ciascuna delle quali contiene gas in quantità sufficiente ad alimentare un traghetto. Ma l’alto tasso di esplosività sconsiglia l’uso civile di un propellente in grado di proiettare un tappo anche a chilometri di distanza. Si è dunque proceduto a varie trivellazioni, in mare, nei campi, in case private, ma con risultati deludenti: tracce di gas sono state trovare solo in alcune cucine d’appartamento, e si sospetta che provenisse dalle condutture condominiali.

Altri fattori - Ma torniamo al nostro prezzo del gas. Il venditore, dicevamo, lo raddoppia perché in tal modo, secondo l’economista Jeff Pakoosian, «si guadagna il doppio; se il prezzo triplica si guadagna il triplo, e così via». (Lo studio sul prezzo dei combustibili gli è valso il Nobel per l’Economia). Poi, lungo il viaggio nel gasdotto, può esserci qualche dispersione: non è raro, nelle tratte vicino ai centri abitati, vedere contadini, massaie e soldati che scaldano la cena, o ricaricano la lampada a gas, dopo avere praticato un forellino nel grosso tubo. La dispersione, ovviamente, viene ricaricata sulla bolletta. Poi ci sono le accise per la guerra di Crimea (quella del 1853) e per il terribile maremoto nelle isole Aleutine del 1649; il contributo per la famiglia Putin; il prelievo per finanziare le campagne elettorali dei partiti sovranisti in Europa; l’otto per mille da destinare alla chiesa ortodossa del patriarca Cirillo, sempre sia lodato. Poi ci sono i distributori locali che, comprensibilmente, qualcosa dovranno pure guadagnare, per evitare che la moglie, facendo shopping a Capri, si senta umiliata dalla moglie dell’oligarca, che svuota le boutique. Alla fine della filiera, ecco che il gas, che all’origine vale due copechi al metro cubo (il salario dell’operaio che lo estrae), quando arriva da noi costa duecento euro al metro cubo. Come vedete, Libero Mercato non c’entra nulla. La lavorazione - Quando arriva li-

Dal punto di vista strettamente didattico è certo che l’idea di integrare il percorso formativo unicamente nozionistico con delle esperienze pratiche possa costituire nient’altro che un arricchimento per noi giovani studenti. Molti però sono gli aspetti critici: negli istituti professionali, a differenza dei licei, si entra già da subito in azienda, oppure le celeberrime “competenze trasversali” vengono acquisite tramite esperienze a tutti gli effetti lavorative, non retribuite (passa spesso in sordina il termine “sfruttamento” che guarda caso affianca spesso il termine “alternanza scuola-lavoro”).Inmassaimovimenti studenteschi si dichiarano profondamente contrariati riguardo il persistere dell’esperienza pseudo-lavorativa nelle scuole, disciplinata dai commi 33 ai commi 43 della legge 107 (La Buona Scuola) del 2015, in quanto portatrice di valori negativi quali il classismo e il servilismo, oltre che totalmente intrisa di ideologie capitalistiche e consumistiche: prima ancora di essere visto come una mente pensante, lo studente viene catapultato in realtà lavorative alienate, valutato perciò solo strettamente in base al suo valore di forza-lavoro. Pensiamo a giovani come Lorenzo Parelli, il 18enne morto in fabbrica a Lanuzacco, in provincia di Udine, nell’ultimo giorno di stage per l’alternanza scuola-lavoro o anche al 17enne di Merano (Alto Adige) investito da un ritorno di fiamma in una carrozzeria. Siamo sicuri che queste “competenze trasversali” siano più importanti della vita degli studenti stessi? n

*Studentessa del liceo classico Leonardo da Vinci di Molfetta la

© RIPRODUZIONE RISERVATA DI ANNA SERENA DE MUSSO* Anna Serena de Musso 18 anni I giovani e il voto GENERAZIONE Z SCRIVIAMO NOIL’AGENDA DEL GOVERNO CHE VERRÀ Dall’ambiente ai diritti. Idee di futuro contro

politica ammuffita

SIAMO STUDENTI NON OPERAI IN NERO

36 28 agosto 2022

La mia esperienza di Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) risale al triennio, dal 2019 al 2022. Ho svolto diverse attività: uno sull’arte e sull’educazione al patrimonio culturale, artistico e paesaggistico del nostro territorio durante il terzo anno di liceo; uno sul giornalismo, convenzionato con l’editore “Tuttoscuola”, una tra le più accreditate testate giornalistiche, specializzata nel settore scolastico; ho partecipato al progetto Nerd, un programma creato nel 2012 da Ibm in collaborazione con l’Università Sapienza, realizzando una chatbot, vale a dire un software progettato per simulare una conversazione con un essere umano, incentrato sull’ecologia e il riciclo.

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L’Espresso ha dedicato la copertina del numero 33 del 21 agosto alle proposte concrete formulate dalla Generazione Z sui temi dell’istruzione - scuola e università - ambiente, cultura, diritti e lavoro. Su lespresso.it lo spazio rimane aperto ai contributi di chi vorrà scrivere una vera agenda per il governo che verrà

L’Italia ha la necessità di far interfacciare questi tre settori, perché il mondo di oggi sfocia nella superficialità e ti adagia, proprio perché ti sostiene con bonus e sussidi. Il mondo del lavoro è da rivoluzionare per i giovani che sono l’Italia del domani, e che sono coloro che pagheranno la pensione a questa generazione. Tutto nasce dalla meritocrazia, e oggi purtroppo la meritocrazia non c’è più. Q

IMPRESE E SCUOLE  LAVORINO INSIEME DI EDOARDO DE FAVERI* DeEdoardoFaveri

SU

i chiamo Edoardo De Faveri, ho 21 anni, sto frequentando la facoltà di amministrazione aziendale presso la sede di Biella dell’università di Torino e il 4 ottobre 2021 sono stato eletto sindaco del mio paese, Zumaglia, un Comune situato sulla collina Biellese. Nonostante la mia giovane età ho deciso di mettermi in gioco per migliorare il mio paese. Per questo, visto che le prossime elezioni si stanno avvicinando, ho pensato di esprimere un’opinione su cosa un nuovo governo dovrebbe fare come obiettivo prioritario. Ad alcuni lettori potrebbe sembrare un utopia ma io penso che il focus del nuovo governo debba assolutamente essere quello di rivoluzionare il mondo del lavoro. In questo momento non funziona e non possiamo andare avanti così. Credo che l’unico modo per intervenire sul mondo del lavoro sia partire sradicando tutto ciò che gravita intorno ad esso e rivoluzionarlo.

*Sindaco di Zumaglia (Biella) 21 anni DI PROGRAMMA LESPRESSO.IT

La prima area da rivisitare è il mondo delle imprese, oggi infatti chi fa impresa ed ha a che fare con il mondo del lavoro ha delle difficoltà notevoli, legate principalmente agli stipendi minimi, alle assunzioni. Le aziende non riescono ad assumere a tempo indeterminato e quindi assumono a tempo determinato. Questo modo di agire non da specificità ai lavoratori e quindi questo cambio repentino non permette di sviluppare le conoscenze, le competenze e l’esperienza necessarie in un ambito specifico. La seconda sfera è quella della scuola, infatti la scuola deve diventare il serbatoio di preparazione per il mondo del lavoro. Quest’ultimo, in caso contrario, entrerà in difficoltà perché non avrà persone preparate. Oggi, spiace dirlo, ma la scuola non prepara più al mondo del lavoro, va rivisto in modo tale da dare una prospettiva in ambito lavorativo agli studenti e di garantire una specificità di conoscenze. La terza area da rivisitare è quella dello Stato: è necessaria una revisione importante sul mondo dei sussidi. Oggi purtroppo si vive di aiuti, in cui lo Stato smette di preparare le persone e di inserirle nel mondo del lavoro e le sostiene con sussidi.

28 agosto 2022 37 Fotogramma/SabbadiniA.Foto: Prima Pagina

PROPOSTE

Le rotte dei migranti / Africa L’ONDA ANOMALA SBARCHI DI BIANCA SENATORE 38 28 agosto 2022

L’ordine da chi è arrivato? chiediamo insistentemente. Ma Rasim non lo sa o non lo dice. Di sicuro qualcosa è cambiato nei comportamenti. A confermarlo è Kun, che è appena arrivato in Marocco dalla rotta desertica. È scappato dal Sud Sudan insieme a sua moglie dopo che lui è stato torturato e lei ha subito uno stupro di gruppo. Ora sono in salvo, alla fine di un viaggio lunghissimo che, però, negli ultimi tratti è diventato improvvisamente più agile. «Abbiamo attraversato molti Paesi e abbiamo dovuto pagare molti soldi. Ci hanno bloccato più volte nella giungla della Repubblica Centrafricana, poi in Ciad ci hanno preso soldi e ci hanno rimandato indietro. Siamo passati per un’altra strada e prima ancora di arrivare in Niger ci hanno respinti ancora», racconta Kun  che però aggiunge: «Poi, a un certo punto, ai posti di blocco ci hanno lasciato passare senza problemi e dall’Algeria al Marocco nessuno ci ha più fermati. Ci hanno anche dato un passaggio insieme ad un altro gruppo di persone. Viaggiavamo su un pulmino l telefono squilla. Dopo quasi due mesi e mezzo Rasim (nome di fantasia) ha riattivato la linea e ricompare anche su Telegram. L’ultima volta che lo abbiamo sentito era in Serbia, pronto a traghettare, per la modica cifra di 5mila euro alcuni siriani attraverso i confini europei. La sua attività non si è mai interrotta, anzi, è riuscito a entrare in un vero e proprio network di smugglers che in questi giorni sta lavorando tantissimo, dice. Più del solito. Non vuole rivelare la sua posizione esatta, ma conosce il polso della situazione delle partenze dalle coste del nord Africa. E sa che stanno arrivando molti migranti. «Sì, li stanno portando ai punti di imbarco in centinaia alla volta, nessuno li ferma», racconta Rasim. «Lo stanno facendo in Tunisia, in Libano, in Libia e anche in Marocco, per far partire quanta più gente possibile». La conversazione è molto nitida e lui sembra non avere peli sulla lingua. Gli chiediamo perché e soprattutto il senso di quel «nessuno li ferma». Il punto caldo della questione migratoria, in questo momento, sembra essere proprio questo. «Da metà giugno è iniziata a circolare la voce tra di noi di aiutare più gente a passare, di chiedere meno soldi, ma non mi frega di politica. Per me è lavoro», ammette Rasim. Altri trafficanti, invece, hanno accettato e poi hanno iniziato a portare in massa gente sulle coste. «Hanno allentato i controlli sulle rotte interne, lì dove le milizie bloccavano, respingevano o incarceravano, c’è stato il via libera». Il sospetto che dietro l’incremento delle partenze verso l’Italia ci fosse la brigata Wagner guidata dai mercenari russi c’era da tempo. Anche Repubblica ne ha parlato il 29 luglio scorso. Ma dai racconti dei trafficanti, sembra che dietro ci sia un coinvolgimento ben più vasto. Obiettivo: destabilizzare l’Italia e l’Europa. Secondo il dossier del Viminale, pubblicato il giorno di Ferragosto, tra il 1° gennaio e l’11 agosto 2022, 45.664 migranti sono arrivati sulle coste italiane. Circa il 40,3 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Si pensi che tra il 1° agosto 2019 e il 31 luglio 2020 erano sbarcati in ItaI

«C’è un aumento delle partenze, te lo garantisco e non solo verso l’Italia ma anche verso la Spagna. Lo so perché le notizie ci arrivano», specifica Rasim. Il riferimento è ancora una volta alla rete di trafficanti che avrebbe avuto l’ordine di allentare le maglie e far passare più migranti.

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lia 21.616 migranti ma già l’anno seguente, cioè tra il 1° agosto 2020 e il 31 luglio 2021 erano sbarcate 49.280 persone, con un aumento del 128 per cento. Nel lungo periodo i numeri sono già da tempo in crescita ma è l’infittirsi di arrivi in un lasso di tempo limitato ad autorizzare altri scenari. Perché nel frattempo, è scoppiata una guerra in Europa che vede contrapposti Russia e Occidente e intanto in Italia è caduto il governo Draghi. Con le elezioni a settembre e un possibile cambio degli equilibri in Europa, l’immigrazione torna a essere tema e leva di propaganda. E una emergenza indotta potrebbe essere un’arma elettorale.

L’ITALIA E L’EUROPA

Prima Pagina IL SOSPETTO DI UNA STRATEGIA DIETRO L’IMPENNATA DI ARRIVI. PER DESTABILIZZARE

Migranti lungo la rotta subsahariana radunati nei punti di raccolta dai trafficanti che li caricano sui pick up

Luz/Panos/MaitreP.Foto:

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Alcune centinaia di migranti attendono di essere trasferiti da Lampedusa a Porto Empedocle a bordo della nave Diciotti della Guardia costiera

Prima Pagina Le rotte dei migranti / Africa

bianco, eravamo una trentina». Giunti in Marocco, Kun e sua moglie vogliono chiedere asilo ma molti altri migranti, invece, vogliono proseguire il viaggio. E si stanno spostando nella zona di Tan Tan per imbarcarsi verso le Canarie, soprattutto verso Fuerteventura e Lanzarote. Negli ultimi giorni gli sbarchi in territorio spagnolo sono cresciuti e ci sono stati anche molti morti. Lo scorso 12 agosto un barcone con 54 persone tra cui 13 donne e 1 bambino si è capovolto. La Royal Moroccan Navy è intervenuta e ha salvato 36 migranti ma 18 risultano dispersi e nemmeno un corpo è stato ritrovato tra le onde. Poi ci sono le partenze direttamente dall’Algeria, verso Maiorca e Alicante attraverso la rotta oceanica, molto più impegnativa di quella del Mediterraneo. Secondo i dati del ministero dell’Interno spagnolo, alle Canarie c’è stato un aumento degli sbarchi del 25,8 per cento. Erano stati 8.222 nel 2021 e fino ad agosto se ne sono contati 10.347. L’incremento è stato proprio negli ultimi 15 giorni, quando tra Fuerteventura e Lanzarote sono arrivate 758 persone. Sarà, probabilmente, il risultato del passaggio libero ai checkpoint dell’Africa subsahariana, proprio come hanno raccontato Rasim e Kun. Nonostante l’incremento, però, i dati ufficiali diffusi dal governo di Madrid dicono che il numero totale di migranti arrivati irregolarmente in Spagna fino al 15 agosto è 18.147, l’1,1 per cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2021. Anche il dato spagnolo, dunque, conferma che, come sta accadendo in Italia, l’aumento degli sbarchi registrati nell’ultimo periodo, è legato a una strategia contingente, messa in atto, forse, per generare allarmismo. Mettere sotto pressione alcuni Paesi europei e provare a indirizzarne l’andamento politico, facendo leva sui fattori fisiologici, guerre, violenze, terrorismo e siccità che da sempre sono alla base dei flussi. Tra i migranti arrivati a Lampedusa, Pozzallo e Roccella Ionica, le condizioni mediamente non sono buone. Molti sono stati torturati in Libia o nei Paesi d’origine.

Agf/SerranòA.Foto:

Altri sono arrivati denutriti e feriti e hanno riferito ai medici di indicibili violenze. «Stavo per morire in Libia. Provare a navigare il Mediterraneo era solo una chance. Sarei morta in mare, non mi importava più…», ha raccontato una giovane donna salvata dalla Ocean Viking di Sos Mediterranee. Tra le strategie geopolitiche, la propaganda e gli slogan c’è tutto il dolore di questa ragazza e la dignità calpestata di migliaia di uomini, donne e bambini. Usati ancora una volta come «armi non convenzionali».

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D’EUROPA DI ERICA MANNA FOTO DI MICHELE LAPINI T TANTA POLIZIA MA NESSUNA ASSISTENZA, SE NON QUELLA DI DIOCESI E ONG. LA FRONTIERA NORD FAR WEST DEI TRAFFICANTI   WorldWeFoto: Le rotte dei migranti / Italia Erica Manna Giornalista 42 28 agosto 2022

L’ex sindaco Gaetano Scullino, che con la sua lista civica sostenuta da Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega aveva vinto le elezioni promettendo «mai più degrado», è stato sfiduciato dalla stessa maggioranza e ora gli è subentrato il commissario prefettizio Samuele De Lucia, ex capo di gabinetto di Massa e Carrara. È qui, alla frontiera che «continua a essere uno dei posti peggiori per un migrante», come spiega l’ultimo rapporto di Save the children, «un cono d’ombra dei diritti umani e una zona di affari per i trafficanti», che Matteo Salvini ha rivolto lo sguardo in campagna elettorale. Dopo la visita all’hotspot di Lampedusa, ha acceso i riflettori, dopo «l’ennesima maxi rissa tra clandestini»: i vecchi slogan sull’immigrazione tornano a scandire la sua corsa.

Si mettono in coda la mattina presto, i migranti, nell’aria già rovente davanti ai cancelli di via San Secondo 20. È qui che gli operatori della Caritas distribuiscono la colazione e hanno riaperto il servizio mensa, ma soprattutto rappresentano un punto di primo approdo. L’associazione WeWorld e Diaconia Valdese danno assistenza legale, e chi ha bisogno di un medico viene indirizzato al servizio sanitario. Dal lunedì al sabato, dalle 9 alle 11, si raccolgono donazioni di vestiti puliti e in buono stato. Ma è la notte, il problema. «Facciamo miracoli, le istituzioni ci hanno totalmente abbandonato. Per dare un riparo ai migranti, la Diocesi ci ha messo a disposizione due alloggi a Ventimiglia alta: i posti, in teoria, sono una dozzina. In pratica, l’altra sera c’erano persone accampate anche nei corridoi», sintetizza Maurizio Marmo, operatore della Caritas di Ventimiglia. A luglio, la Caritas ha assistito 496 migranti: tra loro, 392 uomini, 70 donne e 34 minori soli. Quanto all’accoglienza temporanea, «in tutto il mese abbiamo ospitato cinquantotto persone, tra cui venti bambini». Poi c’è la consulenza di strada: perché a dormire all’aperto, per terra o su materassi di fortuna, ogni notte sono in media più di cento. «Andiamo dove sappiamo di trovarli: lungo i binari, sul piazzale, accanto al fiume. Portiamo coperte, chiediamo di cosa hanno bisogno», continua Maurizio Marmo. A luglio i migranti raggiunti sono stati 282: arrivavano da Sudan, Tunisia, Eritrea, Afrascorrono la notte nel greto del fiume e lungo i binari della ferrovia, i migranti che tentano di oltrepassare la frontiera. La mattina si mettono in coda in via San Secondo, accanto alla stazione, davanti ai cancelli della sede di Caritas Intemelia dove i volontari distribuiscono la colazione e i vestiti. Spesso si lavano alle fontanelle dei giardini pubblici. E la sera si radunano sul piazzale di fronte al cimitero, dove associazioni francesi si danno il cambio per portare loro la cena. È diventata un grande accampamento, Ventimiglia: la Lampedusa del Nord, imbuto d’Europa dove si sommano e si infrangono tutte le storture delle politiche migratorie, dal Trattato di Dublino ai decreti sicurezza. Ma oggi Ventimiglia è soprattutto una terra di nessuno. Perché la presenza dello Stato si percepisce per la concentrazione delle forze di Polizia, ma non esiste più alcun servizio di assistenza e di accoglienza formale per i migranti in transito, neppure per i minori stranieri non accompagnati e le famiglie con bambini: a supplire restano la Diocesi e le organizzazioni umanitarie, come Save the children che ha allestito due tendoni negli spazi gestiti dalla Caritas. Il centro di accoglienza della Croce rossa, il Campo Roja, è stato smantellato ormai due estati fa. E adesso anche l’amministrazione è implosa: il Comune, infatti, da giu gno è commissariato.

VENTIMIGLIA

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mattina distribuiscono il cibo Prima Pagina 28 agosto 2022 43

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Le rotte dei migranti / Italia ghanistan. Ma la vita per strada lascia il segno: altri traumi, che si sommano alle ferite del viaggio. Spiega Marmo: «Alcuni hanno iniziato a bere, così a ottobre abbiamo aperto un alloggio dedicato ai più fragili, la Asl ci aiuta nella presa in carico. In questo momento ospitiamo quattro ragazzi. Ma i posti necessari sarebbero molti di più».

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La fila per la distribuzione del cibo. A destra, in alto, il cosiddetto ping-pong dei minori tra Francia e Italia. In basso, una donna con la figlia verso Ventimiglia  agosto

La differenza rispetto a quando era aperto il Campo Roja, ripetono gli operatori, è che adesso è più difficile intercettare i migranti e dare informazioni: anche metterli in guardia rispetto ai pericoli del viaggio. Sono ancora numerosi quelli che si arrampicano sui tetti dei treni, che si infilano negli anfratti delle motrici, che per corrono l’autostrada a piedi. La sede della Caritas è tappezza ta di cartelli che illustrano queste situazioni di rischio: ma non basta. Il 31 gennaio e il 2 marzo due persone sono rimaste folgorate sul tetto del treno da Ventimiglia a Mentone. Il 4 aprile sulla A10, nei pressi di Bordighera, un furgone ha investito due uomini cingalesi fatti scendere da un camion nella vicina area di sosta. Morti di frontiera. «L’anno scorso si era tornato a parlare dell’apertura di un nuovo campo di accoglienza. Era stato anche individuato un luogo, oltre i giardini Hanbury. In realtà non sarebbe stato adatto: troppo lontano dal centro, non abbastanza capiente. Ma poi tutto è rimasto sospeso. E i migranti restano in strada, con tutti i rischi che questo comporta. La polizia francese, poi, continua a fare muro alla frontiera», ripercorre Maurizio Marmo. La Francia insiste nella sospensione del trattato di Schengen: alcuni giorni i respingimenti superano il centinaio, riferisce il secondo rapporto “Nascosti in piena vista” di Save the Children: solo il 6 maggio il team di ricerca ha visto almeno trenta persone tornare a piedi dal confine di Ponte San Luigi. Respinte in modo sommario, senza approfondire i loro diritti, come hanno denunciato associazioni francesi come Anafé e la rete del progetto Cafi. Il risultato è che «sono i trafficanti a farla da padroni, consigliano i treni meno controllati, organizzano il tragitto a piedi lungo il Passo della Morte, con i taxi nelle stradine di montagna o nei camion», prosegue il rapporto.Manelgrande accampamento di Ventimiglia esistono anche perimetri sicuri. Spazi dove le donne migranti possono prendere fiato, cambiarsi d’abito. Truccarsi, anche. E, per i bambini, ricordarsi cosa significa giocare. Sotto i tendoni di IL CENTRO DELLA CROCE ROSSA SMANTELLATO. IL SINDACO DI CENTRODESTRA SFIDUCIATO IL COMUNE COMMISSARIATO

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WorldWeFoto: Prima Pagina

Alle elezioni successive, Gaetano Scullino vinse con una lista civica sostenuta dal centrodestra. Oggi è la stessa maggioranza a staccargli la spina accusandolo di «dispotismo», dopo le dimissioni del vicesindaco leghista Simone Bertolucci per protestare contro lo sfascio della locale protezione civile: «Non si poteva proseguire con una maggioranza raccogliticcia e litigiosa, serviva un reset», è stata la dichiarazione-pietra tombale delle segreterie cittadine e provinciali di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Il reset si chiama Samuele De Lucia, commissario prefettizio. Contattato da L’Espresso, spiega che sta ancora prendendo le misure: «Mi sono appena insediato e i problemi sono quelli che tutti conosciamo, li sto affrontando, consapevole della loro complessità». Intanto, Scullino già scalda i motori in vista delle prossime amministrative nel 2023: annuncia che è pronto a sostenere una federazione di liste civiche. E si dice disponibile a candidarsi anche come consigliere comunale. L’ex sindaco Enrico Ioculano, oggi consigliere Pd all’opposizione in Regione Liguria, si prende la sua rivincita: «In tre anni non è stato fatto nulla, hanno solo smantellato quello che c’era. Sono fenomeni che vanno gestiti: non con gli slogan». A Ventimiglia, intanto, è sera. L’aria è ferma, sul piazzale della stazione l’asfalto ancora ribolle. I migranti, a gruppi, si dirigono lungo il fiume: il loro rifugio per la notte. I volontari si preparano per il giro di ricognizione. Ognuno al proprio posto, si ricomincia. Q RISERVATA

Save the children si cerca di ricreare una bolla di serenità, anche se per poche ore. «La parola chiave è riduzione del danno, siamo presenti sul territorio con un team fisso dal 2018. Nell’ultimo periodo abbiamo esteso il nostro intervento a nuclei con minori e ci focalizziamo sulle giovani donne. Proviamo a offrire una risposta a bisogni primari: materiali, emotivi. E a fornire gli strumenti per chiedere aiuto se durante il viaggio hanno subito violenza», spiega Silvia Donato dell’associazione. Sono circa trenta, le donne che ogni mese passano di qui. Hanno viaggiato sole da Etiopia, Eritrea, Co sta d’Avorio, Guinea, Nigeria. E poi ci sono i più invisibili di tutti: i minori soli. In crescita. «A luglio ne abbiamo raggiunti almeno 75, a giugno 120, ma quelli che chiedono di essere inseriti in accoglienza sono pochissimi: perché il loro obiettivo, per lo più, è arrivare nel Regno Unito. Così fanno di tutto per restare sotto traccia. Hanno paura di essere intercettati dal sistema di protezione istituzionale: lo vedono come

In questa campagna elettorale pochi ricordano che uno dei leader in campo è sotto processo per temi che riguardano l’immigrazione. Il segretario della Lega Matteo Salvini è accusato di sequestro di persona «per avere, nella sua qualità di ministro dell'Interno pro-tempore, privato della libertà personale 107 migranti giunti in prossimità  di Lampedusa il 14 agosto 2019» a bordo della Open Arms. Il processo si è aperto a Palermo e va avanti a rilento da un anno, con continui rinvii chiesti dalla difesa di Salvini. Con il risultato che la sentenza arriverà dopo il voto del 25 settembre. Ma ci sarà una udienza in piena campagna elettorale, il 16 settembre: saranno ascoltati due ex ministri, Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta.

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qualcosa che li trattiene dal proseguire il viaggio», spiega Silvia. I minori che arrivano a Ventimiglia «hanno percorso la rotta balcanica o provengono dalla Libia, hanno ferite alle gambe, ai piedi, per aver camminato per chilometri. Portano segni freschi di torture. E ferite psicologiche, le più difficili da rimarginare», raccontano le operatrici di Save the Children.LaLega, a Ventimiglia, alle Europee prese il 46 per cento. Quando Matteo Salvini si presentò qui nel 2018 riempì il teatro. Il sindaco Pd di allora, il trentenne Enrico Ioculano, si trovò a gestire il picco di sbarchi e la cittadina in subbuglio.

PROCESSO SALVINI A RILENTO LA SENTENZA DOPO IL VOTO 28 agosto 2022 45

46 28 agosto 2022 Penitenziari / Dietro le sbarre DI SIMONE ALLIVA NELL’INFERNO DELLE CARCERI IL NUMERO DEI SUICIDI SFIORA GIÀ IL TOTALE DELLO SCORSO ANNO. E IL SOVRAFFOLLAMENTO TOCCA PUNTE VICINE AL 200 PER CENTO. LE VOCI DEI DETENUTI DI SOLLICCIANO

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SestiniMassimo/CambiNiccolòFoto:

ultimo, al momento in cui scriviamo, è un trentenne di Cerignola morto a Foggia nel giorno del suo compleanno. Si è impiccato, come l’italiano di 52 anni che l’ha fatta finita all’interno del reparto di osservazione psichiatrica del carcere di Piacenza. Arrestato per reati comuni, era in attesa di una decisione del magistrato di sorveglianza e delle autorità sanitarie. Prima di lui era toccato a Alessandro Gaffoglio. Ventiquattro anni e un’infanzia complessa, affetto da disturbi psichici, talvolta faceva uso di droghe. Il 2 agosto, a Torino, coltello alla mano, ha rapinato due supermercati. La polizia lo ha arrestato ed è finito davanti al giudice per la convalida del fermo. Il primo arresto, il primo giorno in carcere. Una misura cautelare, non una condanna. In cella, Alessandro ha resistito due settimane, poi si è tolto la vita soffocandosi con un sacchetto di nylon. Qualche giorno prima aveva provato a impiccarsi con le lenzuola. Il contatore delle persone che si sono ammazzate in carcere soltanto negli ultimi otto mesi arriva a 54. L’anno scorso furono 55, su 133 decessi. In 22 anni, sono morti suicidi 1.273 detenuti. Una strage. Ma la statistica è una scienza sgarbata, parla per numeri e lascia fuori tutto il resto. Cinquantadue suicidi tra le sbarre dovrebbe suggerirci qualcosa, riportarci brutalmente allo stato delle cose. Ma i numeri non dicono tutto. Non raccontano di chi c’era prima, cosa pensava, come è arrivato spalle alle fiamme di cui David Foster Wallace parla quando dice: chi si uccide, chi si butta di sotto è perché ha le fiamme alle spalle, e gettarsi è un sollievo al cospetto del fuoco. I numeri non spiegano nulla. Non li tratteniamo neppure il tempo necessario per tradurli in un pensiero. E del resto un pensiero ai detenuti non lo dedica neanche questa campagna elettorale che su queste morti non ha speso neanche una parola. Ma le storie ci parlano. Le storie somigliano tutte a qualcosa che conosciamo bene e che ci riguarda. Dalla casa circondariale di Sollicciano a Firenze arrivano a Il carcere di Sollicciano che ha un sovraffollamento del 120 per cento

Simone Alliva Giornalista

«Qui a Sollicciano persino le guardie fumano all’interno del carcere. Ci sono detenuti che hanno fatto battaglie contro il fumo passivo: perse ovviamente». Non solo blatte, guano e muffe nelle celle. «Le cucine versano in un degrado spaventoso: sporcizia, pozze d’acqua stagnante, insetti, scarafaggi. Dif ficile mangiare il cibo sapendo dove viene preparato». Difficile anche sapere cosa si mangia: «I generi in vendita qui allo spaccio presentano prezzi assurdi. Ma non è solo questo: le vaschette che vengono distribuite sono prive di etichette. E questo ci impedisce di capire anche semplicemente che tipo di carne stiamo preparando». Non va meglio all’aperto: «Gli spazi somigliano a discariche. Spazzatura, sporcizia, ratti e scarafaggi. Ma cerchiamo di cavarcela, abbiamo costruito attrezzi sportivi con bidoni, pezzi di legno e di scopa». «Non si può neanche lavorare. Nel mese di maggio hanno lavorato 59 detenuti su circa 600. Le attività alternative al la-

48 28 agosto 2022 L’Espresso le voci dei detenuti del reparto maschile. Si differenziano solo nel timbro, nell’intonazione e nelle cadenze. Quelle di Giulio, Yassin, Klodjan, Dorian, Emiliano, Tommaso esprimono tutte lo stesso dolore. Appartengono alle 589 persone costrette in un edificio aperto nel 1983 e che ne dovrebbe contenere massimo 491. Con una popolazione reclusa straniera pari al 70 per cento, a Sollicciano non ci sono mediatori culturali. Solo una persona presta, su base volontaria, un servizio di mediazione destinato a chi arriva dal Maghreb. Come sottolinea l’associazione Antigone Onlus sono carenti le attività culturali, ricreative e sportive, così come il lavoro. Secondo la relazione del garante per i detenuti Giuseppe Fanfani (relativa al 2021), la situazione di Sollicciano vede un totale di 589 detenuti (meno rispetto al picco di 791 del 2019 ma comunque tanti): di questi 395 sono stranieri. Nel carcere fiorentino la presenza di detenuti tossicodipendenti è a quota 182, il sovraffollamento totale del 120 per cento in un Paese che conta strutture penitenziarie con indici di sovraffollamento che sfiorano il 200 per cento (Latina 194,5, San Vittore 190,1).

Per tentati suicidi, Sollicciano è al primo posto in Toscana, così come per atti di autolesionismo: ben 591. Perché? Per capirlo bisogna affidarsi a chi il carcere “lo abita”. I reclusi ci prendono per mano e ci accompagnano fin dentro i corridoi curvi, oltre le inferriate azzurre e ci mostrano quello che sempre resta fuori dal cono di luce dell’hashtag trending topic. «Molti di noi hanno capito che con rivolte aggressive, sommosse anche motivate, peggiorano le cose e la riabilitazione che cerchiamo si allontana. Dunque, proviamo a tenerci informati, leggere, costruire contatti, a scrivere. Abbiamo trovato un decreto del presidente della Repubblica (n. 230 del 30 giugno 2000) che istituisce il trattamento penitenziario», spiegano a L’Espresso. Ma la distanza che separa quel regolamento della vita in carcere è un baratro e sono gli stessi detenuti a misurarla. All’arrivo vengono fornite due lenzuola pulite e una coperta, polverosa, bucata dall’odore sgradevole: «Neanche un cane ci dormirebbe sopra». Cuscini strappati, materassi già pieni di ci mici. Non ignifughi. «Qui i detenuti che entrano sani, iniziano ben presto a lamentare dolori alla schiena o alla cervicale. Il cambio del materasso è addirittura un’impresa epocale».

Le condizioni igieniche sono oltre il limite: «In celle di pochi metri quadrati, tre persone si devono lavare faccia e denti. E dopo i pasti nello stesso lavandino i piatti e le posate. L’acqua calda permetterebbe un’igiene più accurata, e in inverno una sofferenza minore: ma non c’è».

Entriamo nelle sezioni, con le celle che si affacciano nei corridoi: «Sono piene di scarafaggi, topi, cimici, insetti nei letti. Le docce ricoperte di funghi e parassiti. Ci fanno ammalare. A queste si aggiungono infiltrazioni d’acqua, muri scrostati e muffe». Molte celle restano al buio. «Non ci sono nemmeno le plafoniere, né le televisioni. Reparti come il transito e l’accoglienza o la sezione numero 1. Mangiamo senza luci, viviamo così, con i cavi elettrici scoperti»

POCHE DOCCE, SPORCHE E SENZA ACQUA CALDA, OVUNQUE TOPI E BLATTE. CELLE AL BUIO. LA TESTIMONIANZA DEI RECLUSI DEL CARCERE FIORENTINO Penitenziari / Dietro le sbarre

voro per tutti gli altri sono consistite in questo: catechismo che ha coinvolto 20 persone, attività teatrale 15 e musicale dieci. Qui ci si ammala». È una chiosa costante nelle parole dei detenuti di Sollicciano. Fanno riferimento a un male invisibile e devastante, quello che arriva nel tempo sospeso e che accentua il senso di inadeguatezza, l’inutilità e che porta spesso al suicidio: «Il tempo in carcere è un alternarsi di speranza e rassegnazione. Ci abituano a non decidere nulla, ci deresponsabilizzano. Quando si esce ci si rende conto di quanto in carcere il tempo sia immobile, di fatto i rapporti con la società, con le persone, con i parenti sono come congelati. Fuori si cambia e dentro si rimane fermi. Per questo al momento dell’uscita non mancano le catastrofi: le separazioni, l’allontanamento dei figli, i drammi personali che sfociano a volte addirittura nel suicidio».

L’ultimo a Sollicciano si è consumato l’8 luglio. Un uomo di 47 anni, aveva chiesto di essere spostato nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Alle spalle già un tentato suicidio. Era assistente capo della polizia di Stato in custodia cautelare con l’accusa di aver sparato a un gambiano alle Cascine: una volta a casa aveva tentato di togliersi la vita (lo aveva riferito lui al giudice) e altre volte in cella. Ci è riuscito mentre a pochi metri, al Giardino degli Incontri per i colloqui c’erano i vertici del Dap, la politica, il tribunale di sorveglianza a discutere del «senso di umanità» della giustizia. Si è impiccato usando le lenzuola della cella.  È stata la polizia penitenziaria a trovarlo privo di vita, durante il giro del pomeriggio. L’istituto, infatti, come segnala Antigone Onlus nel suo ultimo report, non ha un sistema di sorveglianza dinamica e non è attiva la videosorveglianza per il control lo da remoto. La decisione di non adottare questo sistema è stata giustificata elencando una serie di problemi relativi ai costi di attivazione, al fatto che le telecamere possano essere oggetto di atti vandalici e a precedenti eventi critici che il personale reputa incompatibili con la ratio della sorveglianza dinamica.  «Di questo suicidio abbiamo avuto notizia dai media. Fa riflettere che sia avvenuto durante un convegno sul carcere e su di noi, senza di noi. È la misura esatta di quello che vogliamo far capire. Non vogliamo essere un altro grado di giudizio su questa persona. Ci interessa segnalare la sua solitudine al momento del gesto, in solitudine maturato e lucidamente attuato, c’era indifferenza intorno alla sua disperazione che non ha trovato ascolto. Mani tese. Ci interessa sottolineare le responsabilità di coloro a cui era affidato la sua sicurezza così come la nostra. Sono sempre impegnati sul futuro, ma il dramma è oggi».  RISERVATA

La lavanderia del carcere di Sollicciano inaugurata nel 2013. In basso, i bicchieri degli occupanti delle celle da 6 persone. A sinistra, una delle sezioni del carcere

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IPASestini(2),Massimo/GasperiniTommasoFoto:

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50 28 agosto 2022 con la collaborazione della Garante dei detenuti, Gabriella Stramaccioni, e con l’allora provveditore alle carceri di La zio, Abruzzo e Molise, Carmelo Cantone, “Seconda Chance” è diventata realtà: oggi è un’associazione del terzo settore, ha un suo sito e ha trovato lavoro a un’ottantina di detenuti, facendo da cerniera tra le aziende e il carcere. E si sta espandendo. Grandi marchi come Nespresso e Tsg Group stanno assumendo personale dagli istituti di Monza, Opera e Bollate e varie offerte stanno arrivando da altre Regioni.

I colori rievocano la Palermo dei Normanni. E di siciliano ha tutto, anche lo sguardo schivo di chi ti scruta e ci mette un po’ a fidarsi. Quarantasette anni, 21 dei quali vissuti in carcere tra Italia e Francia, accusato di narcotraffico da alcuni collaboratori di giustizia, Marcello passa la sua prima detenzione nella sezione di massima sicurezza. «Otto anni, ma io ero innocente e questo lo deve scrivere», ripete. Prima del carcere aveva tre edicole e gestiva un ristorante nel centro di Contrasto/TaniaFoto: FOTO DI RAFFAELE PETRALLA  alati junco chi passa la china», così Marcello riassume la sua storia, perché in questo proverbio siciliano c’è il senso della sua vita: «Piegati giunco che la piena del fiume passa». Adattati, non opporre resistenza, che poi ti rialzerai più forte di prima. Marcello è uno dei detenuti che grazie al progetto “Seconda Chance” sta avendo la sua seconda occasione, la possibilità di riscatto da una vita «segnata». Tutto nasce nel gennaio del 2021 dalla forza di volontà di una giornalista di cronaca giudiziaria del TgLa7, Flavia Filippi, che a furia di sentire racconti di vite sprecate per mancanza di altre opportunità, decide di rimboccarsi le maniche, rivitalizzando una legge che vivacchiava nei cassetti della burocrazia. La legge Smuraglia del 2000 - voluta fortemente dal partigiano Carlo Smuraglia, da poco scomparso - prevede sgravi fiscali e contributivi per le aziende che assumono detenuti, ma al di fuori delle carceri ha trovato applicazioni circoscritte. A Roma e a Velletri, C

MARCELLO

Penitenziari / Oltre le sbarre DOPO ANNI IN CELLA HANNO UN LAVORO ALL’ESTERNO. GRAZIE AGLI INCENTIVI PREVISTI DALLA LEGGE SMURAGLIA   SECONDA CHANCE SEMILIBERI DI SILVIA PERDICHIZZI

Palermo. Nel 2001 viene arrestato e da quel momento la sua vita cambia completamente. Dal 2015 vive dietro le sbarre di Rebibbia e dall’aprile scorso è aiuto cuoco nel Bistrot Le Serre by ViVi, a Roma Nord. La sua grande occasione per prepararsi a tornare alla vita, un’occasione in cui non credeva più dopo anni passati nella sfiducia più totale verso il sistema «di uno Stato che mi ha abbandonato», dice. Per capire sino in fondo Marcello, bisogna partire dalla sua mentalità da “uomo d’onore”, nel senso più letterale del termine. «Nella giustizia italiana a differenza della Francia, se tu detenuto non vuoi essere visto, non ti vedono. Se tu non vuoi metterti nei guai, non ti ci metti. E se non chiedi aiuto, nessuno te ne dà. Nessuno si interessa a te. Non esisti», spiega. E Marcello non ha mai chiesto niente, «per dignità», precisa. «Non ho mai voluto lavorare, per esempio, per un carcere che non mi ha insegnato nulla. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto da solo».

28 agosto 2022 51 Prima Pagina

All’inizio la sua salvezza sono stati i libri, il corso di laurea in Lettere e filosofia all’Università di Tor Vergata, e la musica. Ma senza speranza per il futuro: «Vedevo buio, qui si fanno tanti sogni sul “dopo”, ma prima o poi ci si scontra con la realtà». Una realtà che per lui, però, prende una strada inaspettata. Come se avesse deciso di fare pace con il passato, di piegarsi alla piena del fiume per poi rialzarsi più forte. «Ad un certo punto mi sono detto: ma perché io non devo prendere soldi dallo Stato, quando lo Stato si è preso la mia vita? E ho iniziato a lavorare in carcere, prima come lavapiatti, poi come cuoco». E lì che forse Marcello si sente «visto» e accetta di aderire al progetto “Seconda Chance”. Ad aprile esce da Rebibbia e si trova catapultato in una città che non conosce, in un’epoca che non ha mai vissuto: quella dell’euro e dei cellulari che fanno le foto e i video. «Ho pensato di essere pazzo, vedevo la gente parlare da sola e non sapevo dove andare. Mi sono sentito perso, un alieno in preda alla follia». Ma la brigata della cucina delle Serre by ViVi lo ha accolto a braccia aperte, «sono arrivato con dei fogli tenuti da un

L’interno di una delle sezioni di Rebibbia PerdichizziSilvia Giornalista

52 28 agosto 2022 elastico, mi hanno regalato uno zaino e l’abbonamento della metro». Le proprietarie, Cristina e Daniela, il primo giorno di lavoro hanno fatto il tragitto dell’andata con lui. «Quando esco la mattina prendo a morsi la vita, ma quando torno mi sento morire, perché entrare, sulle mie gambe, in quell’inferno è come consegnarmi ogni sera». Una volta, dice, non lo avrebbe mai fatto, ma ora lo ha accettato, «mi sono rassegnato, il passato è andato e la vita non si spreca. Anche perché io ho un “fine pena”, e non è nemmeno così lontano. Calati junco chi passa la china. La mia sta passando».

ALESSIO Chi, invece, è senza dubbio grato al carcere è Alessio: romano, 24 anni appena compiuti, il più piccolo del suo reparto. Riservato, silenzioso, chiuso in un mondo tutto suo, non si fida di nessuno e si fatica anche a sentirlo parlare. «Se oggi sono qui lo devo alle educatrici, alle psicologhe, ai detenuti e alle guardie. E alla mia forza di volontà». Racconta: «Quando sono arrivato, stavo talmente “fuori” che non capivo nulla». Non sentiva nemmeno il peso della condanna: 21 anni (poi scesi a 4 anni e 10 mesi), lui che di anni ne aveva solo 20. Ma Alessio voleva essere «beccato», lo confida, dietro quello sguardo criptico, impossibile da decifrare ma anche da dimenticare. La sua disperazione era estrema ed estrema è diventata la sua richiesta di aiuto. È arrivato a Rebibbia una notte del 2019, colto sul fatto e accusato di aggressione a mano armata, tentato omicidio e violenza. Dopo un anno in sezione di media sicurezza è finito in regime punitivo per tornarci dopo quattro mesi, in piena emergenza Covid-19. «Il carcere può piegarti, stai lì, in quelle quattro mura, con un paio d’ore d’aria e una convivenza forzata», dice. Eppure ai suoi occhi quella era la sua unica salvezza. «Quando mio padre è andato via di casa avevo sette anni, dopo tre ho smesso di parlargli. Ho sentito il dovere di indossare i panni dell’uomo di casa, ma ero troppo protettivo nei confronti di mia madre e delle mie sorelle». Un peso eccessivamente grande per un bambino. «A un certo punto non c’ho avuto più il cervello pe’ regge’, me so’ sentito un fallito e ho sbroccato», dice tutto d’un fiato. Eppure Alessio non si sbilancia mai, pesa bene le parole. Più volte sottolinea il valore che per lui ha avuto la psicologa, così come un suo compagno di cella, che ora non c’è più. «È morto poco dopo essere uscito», racconta. Anche per lui ha accettato di entrare in art.21, ovvero tra i detenuti lavoranti. E poi di aderire al programma “Seconda Chance”. Da meno di un mese fa il cameriere presso Eggs, ristorante nel cuore di Trastevere, «io tutto sto’ lusso non l’avevo mai visto», sorride. Uno di quei pochi sorrisi furtivi che concede. Ha riallacciato i rapporti con suo padre e la sua famiglia è venuta a vederlo lavorare in quella che per lui rimane la “Roma dei ricchi”. «Ho realizzato che mio padre ha cinquant’anni e non deve pagare per stupidaggini che non ha commesso. Lui è innocente, il colpevole sono io. E sto pagando», sussurra salutando. Alessio oggi ha ripreso a disegnare, sogna un futuro da tatuatore. È l’unico modo che conosce per parlare di sé.

GIOVANNI “Giannetto er matto”, così lo chiamavano per come guidava durante le rapine. Giovanni, 47 anni, “romano de Roma”, una vita consumata tra una cinquantina di istituti penitenziari, 11 dei quali in Romania. A vederlo così sembra, se così si può dire, lo stereotipo del carcerato: 110 chili di muscoli e tatuaggi. Ma, come capita a ogni persona, anche lui

“LA GALERA PUÒ PIEGARE”. MA C’È CHI RIESCE A TRASFORMARLA IN UN’OCCASIONE PER RIPRENDERSI IN MANO LA VITA Penitenziari / Oltre le sbarre

Giovanni, 47 anni. a47pagina, Marcello,Roma.lavoro24AvittodistribuzioneABotwpressoLavoral'aziendadiPomezia.sinistra,ladelaRebibbia.destra,Alessio,annialdaEggsaNell’altraanni,incucinaLeSerreaRoma

28 agosto 2022 53 Prima Pagina si scioglie nelle emozioni. E lo fa mentre si racconta, ansioso di poter dire che lui vuole rifarsi una vita. Che la vergogna per come ha vissuto è forse la spinta che l’ha fatto cambiare. Insieme alla voglia di non deludere le due donne che gli hanno offerto un’altra possibilità, l’ispettrice di reparto. E soprattutto sua figlia. Giovanni è dietro le sbarre dal 1998 per diverse accuse di tentato omicidio, rapina a mano armata ed estorsione. Da poche settimane lavora come manovale da Botw, un’agenzia che organizza grandi eventi, con sede a Pomezia. «Nella mia vita ho fatto tanti impicci. Vivevo coi miliardi, co’ le macchine di lusso. Mi credevo Dio e davo importanza alle cose che non contano niente. Ho buttato 24 anni della vita mia». Parla di un’infanzia in collegio, di una vita difficile tra droga e alcool, di un padre padrone a cui non dà colpe. Racconta del passato con amarezza mista a orgoglio. Il perché lo si capisce quando apre il capitolo Romania: «In quei posti la gente è povera e pe’ fa’ du’ spicci è disposta a tutto, anche a prostituirsi. Quello che gira nelle carceri sono per lo più anabolizzanti e cellulari, per cui so’ tutti lottatori… capitava allora che le guardie la sera passassero per le celle e dicessero: “tu, tu e tu domani a intervallo”. E se tu eri tra quelli, sapevi già che il giorno dopo eri su un ring a lotta’ per la vita tua che per loro valeva i du’ spicci che avevano scommesso». Giovanni ci tiene a precisare che sta raccontando solo le cose «che non fanno vomitare»: «Di notte ti rifilavano 20-30 pasticche per dormire e la mattina ti svegliavi nudo, a pancia sotto». Poi, di colpo, lo sguardo fiero: «Però quando Giannetto er matto è uscito dal carcere, gli hanno battuto le mani e gli hanno urlato: “Ecco il mafioso se ne va”. Perché io ho resistito pure in Romania. E ho resistito da leone, non da pecora». Cade il silenzio per qualche secondo. Si torna al presente con un po’ di imbarazzo. “Giannetto er matto” se ne è andato. Ora tocca a Giovanni che non vuole deludere nessuno, che sogna una sua impresa edile, una macchina normale e un rapporto con una figlia che solo da qualche mese lo chiama papà. Sorride timidamente: «Solo che io er papà nun so come se fa’». Q © RIPRODUZIONE RISERVATA

le istituzioni; anche al ministro Rognoni manifesta analoghe preoccupazioni, facendo esplicito riferimento al fatto che si sarebbe dovuto scontrare con alcuni esponenti della Dc siciliana.

Giudice a Torino nella stagione del brigatismo rosso, membro del Csm, procuratore di Palermo. Ha guidato il Dap, procuratorepenitenziariadell’amministrazionedipartimentoedèstatogeneralediTorino L’opinione 54 28 agosto 2022

5) L’intervista si conclude con una considerazione raggelante, quasi una profeI poteri negati e l’isolamento a cui lo consegnò la Dc e il polipartito della mafia: la raggelante premonizione di dalla Chiesa, il prefetto di Palermo, ucciso 40 anni fa da Cosa nostra

4) Al generale-prefetto erano stati promessi i mezzi e poteri necessari per contrastare adeguatamente la mafia fino a vincerla nell’interesse dello Stato. Un impegno formalmente assunto dal Consiglio dei ministri del 2 aprile 1982, mai adempiuto; in una famosa intervista a Giorgio Bocca dalla Chiesa lamenta più volte che tale impegno non è stato «codificato», per cui «vedremo a settembre».

l 3 settembre di quarant’anni fa a Palermo, in via Carini, la mafia uccideva il generale-prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’autista Domenico Russo. Fissiamo alcuni punti.

2) Al presidente del Consiglio Spadolini il neo prefetto esplicita la sua preoccupazione per quello che definisce il polipartito della mafia, riferendosi alla profonda compenetrazione di Cosa nostra con pezzi della politica, della imprenditoria e delI

LA DELPROFEZIAGENERALE

DI GIAN CARLO CASELLI

MAGISTRATO

3) In un colloquio con Andreotti dalla Chiesa gli dice con chiarezza che non avrà riguardi per i suoi grandi elettori in Sicilia; al che Andreotti risponde facendo uno strano riferimento al rientro in Italia di Pietro Inzerillo in una bara e con un biglietto di 10 dollari in bocca.

1) Prendendo possesso del nuovo incarico , dalla Chiesa scrive nel suo diario di «una Dc che su Palermo vive con l’espressione peggiore del suo attivismo mafioso, oltre che di potere politico». Aggiunge di essere stato nominato prefetto «non per la volontà di combattere e debellare la mafia e una politica mafiosa, ma per sfruttare il suo nome» e la stima acquisita sconfiggendo il terrorismo brigatista.

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Prima Pagina

zia per se stesso: «Credo di aver capito la nuova regola del gioco; si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può uccidere perché è isolato».

In ogni caso, per Cosa nostra fu un «pessimo affare» (copyright Giovanni Bianconi). La disperazione che si diffuse in tutta l’Italia dopo la morte di dalla Chiesa si trasformò in irrefrenabile rabbia. Svegliandosi da un torpore di decenni, il nostro Paese riconobbe l’esistenza della mafia, inserendo nel codice penale un articolo (il 416 bis) che cancellava finalmente la vergogna di tanti interessati proclami secondo cui la mafia era soltanto un’invenzione di qualche provocatore.

LA STRAGE Il 3 settembre del 1982, in via Isidoro Carini, tra il Borgo Vecchio e la centrale via Libertà a Palermo, un commando di Cosa nostra uccise il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, da 100 giorni prefetto di Palermo, la moglie Emanuela Setti Carraro (nella foto) e l’agente Domenico Russo. Dopo la sua morte fu introdotto il reato di associazione mafiosa e la confisca dei patrimoni mafiosi voluta dal segretario regionale del Pci, Pio La Torre ucciso nell’aprile precedente 28 agosto 2022 55

6) L’intervista di Bocca è del 10 agosto 1982: la strage di via Carini di pochi giorni dopo: 3 settembre. A questo punto, unendo i puntini numerati possiamo concludere. Il generale è un rappresentante di spicco degli apparati di sicurezza dello Stato. In quest’ottica la sua “vulnerabilità” appare inspiegabile. Si potrebbe persino ipotizzare che vi sia stata una sorta di ritiro delle credenziali, con un repentino precipitare della situazione fino alla la perdita del proprio status. La strage di via Carini, perciò, potrebbe leggersi come un’azione - per quanto compiuta da killer di Cosa nostra - troppo “politica” per non segnare un salto di qualità nella storia delle mafie italiane. Una declinazione di quel polipartito della mafia che dalla Chiesa aveva ben percepito e avrebbe voluto combattere.

Veniva così messo a disposizione degli inquirenti uno strumento potente, pensato con riferimento alla concreta realtà della mafia, grazie al quale il pool di Falcone e Borsellino costruì il capolavoro investigativo-giudiziario del maxiprocesso, dimostrazione tangibile che la mafia esisteva e poteva essere sconfitta. Un tragico “regalo” di dalla Chiesa al nostro Paese. Q © RIPRODUZIONE RISERVATA

Oggi però, se si vuole segnare una svolta, occorre ripartire da due imprescindibili direttrici. In primo luogo, la riformulazione dell’analisi sul fenomeno delle estorsioni per giungere all’adozione di nuovi strumenti amministrativi, utili a rendere sconvenienti le relazioni di connivenza che lesionano il mercato e sterilizzano la libera concorrenza a danno di imprese e consumatori. La seconda, specie in un momento in cui si registra un calo di interesse sui temi della lotta alle mafie nell’agenda elettorale dei partiti, riguarda chi si candida a rappresentare i cittadini che non può ignorare il tema della «qualità del consenso». Fu proprio Libero Grassi nell’aprile del 1991 a rilanciare tale questione sostenendo la necessità di mettere al bando «le cattive raccolte di voti». Del resto non si può chiedere a commercianti ed imprenditori di denunciare le estorsioni se da chi governa e amministra non proviene il buon esempio.

DI ADDIOPIZZO

Il manifesto con il quale Addiopizzo avviò la campagna per il consumo critico contro il racket delle estorsioni

Prima PaginaL’intervento

Si tratta di commercianti e imprenditori che in cambio del pizzo pagato chiedono servizi alla criminalità organizzata: c’è chi paga e non denuncia perché si rivolge al suo estorsore per impedire l’apertura di concorrenti nel proprio quartiere oppure per recuperare crediti presso i propri clienti, dirimere vertenze con i dipendenti e risolvere problemi di vicinato. C’è chi paga e non denuncia perché appartiene a Cosa nostra o perché il pizzo lo corrisponde al proprio cugino o genero, che è l’estorsore del rione. Dinanzi a tali casi è illusorio aspettarsi collaborazioni proprio per gli interessi e le relazioni tra chi paga e Cosa nostra. Da qui l’esigenza di ridefinire l’analisi perché le estorsioni e soprattutto chi paga non hanno più, su Palermo, le caratteristiche di vent’anni fa. Per tale ragione

trentuno anni dall’omicidio di Libero Grassi si può affermare che a Palermo si è creata, grazie in particolare a forze dell’ordine e magistratura, la possibilità di denunciare le estorsioni. I processi degli ultimi due decenni raccontano infatti che a Palermo sono maturate centinaia di denunce di commercianti e imprenditori che si sono opposti a Cosa nostra. Tuttavia, a fronte di un fenomeno non più capillarmente diffuso, va ribadito come c’è ancora chi paga e non denuncia. Su questa tendenza va ridefinita l’analisi e aggiornata la narrazione, approfondendo le condotte di chi corrisponde le estorsioni e si ostina persino a negarne l’evidenza.

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Oggi, a differenza del passato, il tema che investe la maggior parte di coloro che pagano non è più quello della paura né tanto meno della solitudine, ma quello della connivenza. Emergono a più riprese dai processi relazioni di grave contiguità tra chi paga senza remore le estorsioni e Cosa nostra.

molti di coloro che sono acquiescenti alle estorsioni non possono considerarsi vittime. Negli ultimi due decenni il contrasto a tale fenomeno a Palermo è stato contrassegnato da un trend di denunce e collaborazioni più o meno costante, senza diminuzioni o incrementi esponenziali. Da un lato singole denunce, dall’altro significative anche se isolate ribellioni collettive registrate nelle cinque operazioni Addiopizzo nel 2008 sul mandamento San Lorenzo; nell’area industriale di Carini nel 2009; nell’operazione Apocalisse del 2014 sul mandamento di Resuttana; in via Maqueda nell’operazione nata con le denunce dei commercianti bengalesi nel 2016; e per ultimo nell’operazione Resilienza a Borgo Vecchio nel 2020.

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA A PIZZO, CHI TACE È COMPLICE A 31 ANNI DALLA MORTE DI LIBERO GRASSI LA PAURA PER GIUSTIFICARE IL SILENZIO NON È PIÙ ACCETTABILE

Lui stesso aveva annunciato nel discorso del 27 febbraio al Bundestag che era arrivato lo «zeitenwende», il «momento della svolta», di cui la guerra in Ucraina era stata la miccia. Dopo 15 anni di politica di riappacificamento  di Berlino con la Russia, era in arrivo un nuovo corso. A Bruxelles l'annuncio - la Germania avrebbe iniziato a riarmarsi - era stato accolto a coriandoli e champagne. La potenza economica d'Europa, superato il dramma del nazismo, avrebbe finalmente assunto il ruolo di guida del Vecchio Continente. Almeno sul piano della sicurezza e della difesa comune.

IL CANCELLIER

A dire la verità lui avrebbe voluto dimostrarsi l'allievo non particolarmente brillante ma molto affidabile di Merkel, che poi è il motivo principale per cui è stato votato quasi un anno fa. Ma ci si è messa di mezzo la Storia che, si sa, sorprende quando meno è opportuno, e allora, nel giro di 48 ore, Scholz, con un colpo di reni, ha annunciato la rivoluzione tedesca: un riarmo celere e massiccio, ben A

LA GERMANIA FRENA E IL SUO LEADER FRANA SOTTO IL PESO DELLA CRISI. ENERGETICA E POLITICA. TRA GAFFE E ACCUSE  ll'inizio di quest'anno il cancelliere tedesco Olaf Scholz era apparso come il timoniere che avrebbe condotto la Germania, e con essa l'Europa, a testa alta verso una nuova era.

58 28 agosto 2022 Il rebus tedesco

Federica Bianchi Giornalista

DI FEDERICA BIANCHI

Sei mesi più tardi poco rimane di quell'entusiasmo. Due terzi dei tedeschi non approvano l'operato del governo. Gli europei si domandano che fine abbia fatto la leadership di Berlino proprio quando il presidente francese Emmanuel Macron ha perso il controllo del Parlamento e l'italiano Mario Draghi è stato mandato a casa da chi aspira a prenderne il posto. Negli occhi dell'opinione pubblica tedesca il cancelliere più che a un ghepardo, come sono chiamati i carri armati antiaereo inviati dalla Germania in Ucraina, assomiglia sempre più a un lumacone. Grande ammiratore di Angela Merkel e della sua politica attendista a cui ha contribuito da ministro, oggi fatica a camminare nelle sue scarpe. O forse sono quelle scarpe a essere diventate inutili ora che il mondo di fine anni Novanta è tramontato. «Nessuno capisce la sua strategia», dice Daniel Gros, l'economista tedesco che dirige il think tank di studi europei Ceps: «La sensazione generale è che non abbia idee proprie, che faccia poco e controvoglia, lasciandosi spingere dagli altri. Che insabbi molto». I sondaggi più recenti vedono il suo consenso in caduta libera, con il partito socialista scivolato al terzo posto tra le preferenze dei cittadini, dopo i democristiani della Cdu e i Verdi, questi ultimi alleati di governo che si stanno dimostrando più agili nell'adattare idee e azioni al nuovo corso della Storia.

28 agosto 2022 59 Prima Pagina Il cancelliere tedesco Olaf Scholz E TENTENNA

60 28 agosto 2022 Il rebus tedesco oltre gli impegni assunti in sede Nato. E, distinguendosi da una Merkel che dopo l'invasione russa della Crimea non aveva imposto nessuna battuta di arresto nei rapporti economici con la Russia, ha anche sospeso a tempo indeterminato la certificazione del secondo gasdotto Nordstream, che era questione di settimane, invitando il sistema economico tedesco a investire sulle energie rinnovabili e pianificando due terminali di gas naturale liquefatto per importare gas da Paesi amici. Una rottura netta per un Paese che dipendeva al 55 per cento dai fossili russi.

D’altronde una parte dei vecchi socialdemocratici continuano a evocare la vecchia Ostpolitik, politica ad Oriente, di cui l'ex cancelliere socialista Gerhard Schroder è diventato insieme il massimo e peggiore esponente, dopo avere accettato posizioni ben retribuite in varie società fossili russe e non avere condannato l'invasione dell'Ucraina.

Per i sondaggi la maggioranza dei tedeschi è disposta ancora a fare sacrifici per l'Ucraina ma il sostegno alla guerra sta diminuendo, soprattutto ad Est, e la popolazione chiede più attivismo al suo cancelliere. Qualcosa questa estate si è mosso. Il governo tedesco ha tagliato dal 19 al 7 percento l'Iva sul gas (il governo Draghi l'aveva abbassata al 5 per cento quasi un anno fa) e Scholz si è lanciato alla ricerca di fonti alternative in Paesi amici come il Canada o la Spagna, con cui sta lavorando alla realizzazione di un gasdotto europeo da est verso ovest. «La sua reputazione è quella di un leader indeciso ma occorre dire che ha aiutato a formulare una risposta europea alla guerra russa che è ben aldilà di ciò che ci saremmo aspettato dagli europei», sottolinea l'americano Ian Bremmer, presi-

Poi però, con l'avanzare dei mesi e dei problemi, Scholz il coraggio sembra averlo perduto. Il fondo militare da 100 miliardi è diventato non un supplemento degli impegni presi ma il loro strumento di finanziamento, e nemmeno per intero. La promessa di fornitura di armi pesanti all'Ucraina è diventata uno scambio circolare: la Germania avrebbe rifornito di armi moderne la Polonia e, più recentemente, la Slovacchia, nella misura in cui queste avessero ceduto il loro arsenale sovietico all'Ucraina. I carri armati promessi all'inizio dell'inverno sono arrivati alla fine della primavera e solo pochi giorni fa, dopo che gli Usa hanno impegnato ulteriori tre miliardi di euro, Scholz ha promesso altri 500 milioni in armi pesanti. Da consegnare, naturalmente, con calma. La giustificazione è stata inizialmente la paura di innescare un conflitto nucleare, successivamente la mancanza di armi in dotazione all'esercito tedesco. Ma il confronto con gli alleati, soprattutto la Polonia, che si è spogliata di ogni difesa pur di soccorrere l'Ucraina, è implacabile.

VERDI I co-leader del partito dei Verdi fiumecamminanoRobertAnnalenatedescoBaerbock eHabecklungoilSprea

A trovare spazio nel sentire comune è stata invece l'impressione che Scholz sperasse nella risoluzione naturale degli eventi: una fine negoziata della guerra in tempi rapidi, che avrebbe reso superflua la consegna dei carri armati e gli avrebbe risparmiato l'onere di uno scontro diretto con Putin.

Di certo la situazione politica ed economica non è stata clemente con Scholz e con i suoi tentativi di mediazione all'interno della coabitazione tra socialisti, liberali e verdi. La guerra, prossima al sesto mese, potrebbe andare avanti ancora un biennio stando ai calcoli americani. L'inflazione si sta avvicinando al dieci percento, riducendo sia i salari sia i risparmi accumulati durante la pandemia. E Putin non si fa scrupolo di chiudere ripetutamente i rubinetti del gas a Berlino, facendone lievitare il prezzo a livelli mai nemmeno immaginati, nella convinzione che con le prime nevi la Germania prima, e l'Europa poi, sarà costretta a cedere alle sue mire espansionistiche.

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Non è detto, anzi è improbabile, che la nuova legge rimanga estranea alle controversie. Ma il fatto che si sia preso la briga di portare avanti il programma più ampio della coalizione potrebbe far ben sperare chi non ha perso ogni fiducia in Scholz. Ed è disposto a dargli ancora il beneficio del dubbio. «È troppo presto per dire se sia l'uomo sbagliato per questi tempi turbolenti», ha detto Bremmer: «Quest'inverno avremo un'idea più chiara».

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Una settimana prima quando, durante una conferenza stampa a Berlino, il presidente palestinese Mahmoud Abbas aveva affermato che Israele aveva inflitto «50 olocausti» alla Palestina dal 1947, Scholz si era mostrato contrariato ma era rimasto silente, attirandosi le ire della stampa e dell'opposizione. «Un evento incredibile nella cancelleria», lo aveva subito rimproverato Friedrich Merz, leader della Cdu. Il tweet di Scholz era arrivato la mattina dopo, lapidario - «Sono disgustato dalle osservazioni fatte dal presidente palestinese Mahmoud Abbas. Per noi tedeschi ogni banalizzazione dell'Olocausto è intollerabile e inaccettabile» - ma tardivo. Negli stessi giorni Scholz era stato anche chiamato a testimoniare in un gigantesco caso di frode fiscale che avvenne quando era sindaco di Amburgo: avrebbe permesso a Warburg, la principale banca della regione, grande finanziatrice, di non pagare 47 milioni di euro di tasse arretrate. Lui nega ogni evidenza ma il caso tiene banco da quando sono spuntate le prove che il suo circolo di amici fosse a conoscenza del piano di esonerare la banca. Insomma, un'estate complicata. Eppure c'è un dettaglio della politica di Scholz che aldilà di ogni critica, rafforza la sua immagine di politico affidabile. Lo scorso 30 giugno, nel silenzio generale, nonostante la guerra e la crisi economica, non si è dimenticato del suo impegno per i diritti civili. Come stabilito nel programma di coalizione, ha elaborato una proposta per abolire l'attuale legislazione sul cambio di genere, considerata vecchia e umiliante (peraltro molto simile a quella in vigore in Italia): se approvata entro la fine dell'anno, come previsto, i tedeschi potranno cambiare genere tramite una semplice dichiarazione a partire dai 14 anni (con il consenso dei genitori sotto i 18).

28 agosto 2022 61 ImagesGEtty/AFPMomani/Images,/GettyAndersen/AFP60-61:PagineLuz./Boness/PanosS.58-59:Pagine Prima Pagina dente di Eurasia Group. Di certo le sue continue gaffe non lo stanno aiutando politicamente. A cominciare dalla più recente. Durante il suo volo verso il Canada il 23 agosto è stato fotografato insieme al ministro dell’Economia Robert Habeck a parlare ai giornalisti senza indossare la mascherina, che è richiesta sugli aerei e treni tedeschi. «Non c'è nessuna eccezione per i voli di governo», ha subito twittato Armin Laschet, il cristianodemocratico che aveva perso la gara per la cancelleria l'anno scorso: «Ma nessuno si rende conto che sarebbe quasi peggio se fossero fatte eccezioni per esponenti del governo?».

TRUMP A FUROR D’INDAGINE RISCHIA SUI DOSSIER SEGRETI  SEQUESTRATIGLI DALL’FBI MA TIENE IN PUGNO I REPUBBLICANI. E CRESCONO POPOLARITÀ E DONAZIONI DI ALBERTO FLORES D’ARCAIS La destra americana

L’ex presidente Donald Trump tiene un discorso in North Carolina  hlfelder for AG. Trump for prison”. Nel weekend scorso un piccolo aeroplano ha sorvolato decine di volte Mar-aLago, il resort dell’ex presidente Usa in Florida, con questo esplicito striscione (Daniel Uhlfelder è il candidato democratico ad Attorney general, ministro della Giustizia, dello Stato), che meglio di tanti editoriali sintetizza la lotta politica negli Stati Uniti di oggi. Quando mancano poco più di due mesi alle elezioni di Mid Term (8 novembre) che cambieranno il Congresso (tutti i deputati e un terzo dei senatori), un’America tra le più divise della storia dovrà rifare i conti con Trump, con un partito repubblicano che sempre più somiglia a The Donald e con il futuro della democrazia Usa (per come l’abbiamo sempre conosciuta) a rischio.

L’ex presidente fa notizia ormai ogni giorno. Le news rilanciate da giornali, tv e da quel mondo dei social network oggi forse più importante dei media tradizionali in termini elettorali, sono per lui allo stesso tempo negative e positive, rendendo complicata l’analisi agli “esperti” e difficile ogni previsione. Stanno peggiorando perché la perquisizione e il sequestro da parte del Fbi di documenti riservati della Casa Bianca che l’ex presidente aveva nascosto a Mar-a-Lago lo espongono a nuove indagini giudiziarie e a possibili reati anche molto gravi. Perché uno dei suoi fedelissimi, Allen Weisselberg, l’ex direttore finanziario della Trump organization, si è dichiarato colpevole di 15 accuse di partecipazione a uno schema di frode fiscale e ha accettato di testimoniare contro la Trump organization in un processo penale previsto per ottobre. Perché l’indagine sui tentativi di The Donald di fare pressione sui funzionari elettorali della Georgia per annullare i risultati del 2020 ha coinvolto Rudy Giuliani (l’ex sindaco di New York, oggi suo avvocato) e Jenna Ellis, la sua legalLeadvisor.buone notizie (per lui) arrivano dal suo partito. Il Grand old party che fu di Abraham Lincoln, Teddy Roosevelt, Dwight Eisenhower, Ronald Reagan e da ultimo dei Bush (padre e figlio), in que-

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28 agosto 2022 63

U ImagesGetty/JoyceAllisonFoto: Alberto d’ArcaisFlores Giornalista

64 28 agosto 2022 sta fine estate del 2022 è di fatto scomparso, il partito repubblicano degli Stati Uniti è oggi il partito di Donald Trump. Nessuna accusa di scorrettezza o illegalità, nessuna preoccupazione di fomentare il più bieco estremismo e una violenza anti-sistema, nessuna documentata violaziorazzista e sovranista. «Credo profondamente nei principi e negli ideali su cui è stato fondato il mio partito», ha detto ai suoi sostenitori accettando la sconfitta: «Amo la sua storia e amo ciò che il nostro partito ha rappresentato, ma amo di più l’America». Ha condannato le bugie elettorali di Donald Trump («se ci credete dovete anche credere che decine di tribunali federali e statali che si sono pronunciati contro di lui, compresi molti giudici da lui nominati, fossero tutti corrotti e prevenuti; che ogni sorta di folle teoria cospirativa ci ha rubato l’elezione; e che Trump rimane effettivamente presidente ancora oggi»). Ha messo in guardia contro nuove violenze («dare voce a queste cospirazioni provocherà violenza e minacce di violenza. È successo il 6 gennaio e sta succedendo di nuovo. È del tutto prevedibile che la violenza si intensificherà ulteriormente, eppure lui e altri continuano di proposito ad alimentare il pericolo. Nessun americano patriottico dovrebbe accettare queste minacce o farsi intimidire da esse»).

La destra americana

Un discorso, quello di Liz Cheney, che nel mondo della destra americana di oggi cade nel vuoto. La presa di Trump sul partito repubblicano ha creato una nuova schiera di potenziali legislatori del Gop al Congresso che ripetono come un mantra

partitoleiTrump”,comenteunagresso.valevalorischierarsitigazionista”elettoralenaldtempodelCheneyhannopidoglioruolotonifacilmente,poggiatiInormaiWyoming,vicepresidentetari.sorriderecotanzalezionitatomilionicheThetimente(compresiindebitol’Fbiamericana.carenedelloStatodidirittosembrapoterintac-ilsuoapparentedominiosulladestraQuandoèstatorivelatochestavaindagandosuTrumpperilsuopossessodidocumenticlassificatialcunitopsecret,presumibil-legatiall’arsenalenuclearedegliSta-Uniti)lareazionepartigianadeifansdiDonaldallerivelazioninonhafattoaumentareilpesodiTrump,portandodidollarididonazionialsuocomi-d’azionepolitica(giàprontoperleele-presidenzialidel2024)ealimentandocritichedelladestraperlapresunta«tra-delloStato».CisonopoiirisultatidelleprimarieafarTheDonaldeisuoicollaborato-Laschiacciantesconfittadelladeputa-repubblicanaLizCheney(figliadell’exdiBush,DickCheney)inhafattoesultareilTrumpworld,sinonimodelpartitorepubblicano.diverseelezionilocaliicandidatiap-dall’expresidentehannovintodeidiecideputatirepubblica-uscentichealCongressoavevanovota-perl’impeachmentdiTrump(perilsuonell’istigazionedell’assaltoalCam-del6gennaio2021)soloinduelapossibilitàdiunariconferma.LizhapersoleprimarierepubblicaneWyomingcontroHarrietHageman,unalleatodiCheneyecriticodiDo-Trump,madiventatoincampagnasostenitorediTheDonalde“ne-delleelezioni2020.Comemol-repubblicani,HagemanhadecisocheconTrump,ancherinnegandoidelGrandold party,èunprezzochelapenapagarepertornarealCon-LasconfittadiLizCheneynonèstatasorpresa,isondaggiladavanoampia-battuta.Haperòunvaloresimboli-rilevanteperqueirepubblicani“nevermaiconTrump,chesperavanoinperdifenderel’ultimabarricatadiunassediatodalladestrapopulista,

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tutte le bugie dell’ex presidente sulle elezioni del 2020. Secondo un’analisi pubblicata da diversi media Usa, quasi due terzi delle candidature del Grand old party a cariche statali e federali coinvolgono candidati che hanno abbracciato falsità e teorie cospirative sulla precedente elezione, negandone la legittimità. Nel periodo trascorso da quando Trump ha lasciato l’incarico, la sua influenza sui repubblicani è costantemente cresciuta, quando lancerà la campagna presidenziale per il 2024 la maggior parte dell’establishment repubblicano si schiererà docilmente dietro di lui. Per diversi democratici e per quei (pochi) repubblicani che credono ancora nei valori e negli ideali fondanti degli Stati Uniti i guai giudiziari potrebbero però fermare The Donald anche politicamente. È ormai chiaro che il negazionismo elettorale, i discorsi cospirativi di Q-Anon e il giustizialismo della destra radicale sono le linee-guida del Gop a prescindere da ciò che può accadere (penalmente) allo stesso Trump e che il partito e i militanti che sono sorti a sua immagine e somiglianza continueranno a vivere e a prosperare anche senza di lui. Ma è anche possibile che nel momento in cui Trump si rivelasse - con condanne pubbliche - un perdente e un truffatore, molti decidano di non seguirlo più. Dopo la perquisizione di Mar-a-Lago ci sono stati una serie di episodi di violenza e arresti di sostenitori dell’ex presidente che minacciavano violenza sui social media e la vicenda ha provocato molti distinguo e critiche anche nel Trumpworld. I primi segnali arrivano dai vertici. Mike Pence, che di Trump è stato il vicepresidente, si è schierato a favore del Fbi, Alex Jones, leader della destra oltranzista, teorico delle cospirazioni e con un seguitissimo talk-show alla radio sta passando dall’appoggio a Trump a quello a Ron DeSantis, il governatore della Florida che potrebbe essere il vero rivale di The Donald nelle primarie per la Casa Bianca 2024. Chi, all’interno del partito repubblicano, teme che i guai giudiziari di Trump possano condizionare le elezioni di Mid Term, cerca un difficile compromesso tra mostrare fedeltà all’ex presidente e allo stesso tempo tagliarlo fuori dalle decisioni più importanti.

Sette anni dopo che Trump è entrato formalmente in politica - conquistando una presa sull’immaginario nazionale che rimane intatta nonostante le sconfitte - il partito repubblicano si è convinto di poter riconquistare facilmente il Congresso (sia la Camera che il Senato). Il crollo degli indici di gradimento di Joe Biden, durato un anno, è stato visto finora come una garanzia di questo risultato, dato che l’attuale presidente è diventato nei sondaggi il leader politicamente più impopolare degli ultimi decenni. Con il finire dell’estate questa sicurezza non c’è più. Per Simon Rosenberg, presidente del think-tank liberal New democrat network, «nell’era di Trump nulla è normale, nulla segue la fisica e le regole tradizionali». Secondo lui, Trump non sta tanto uccidendo i suoi nemici politici, quanto piuttosto distruggendo «il suo stesso organismo ospite, cioè il partito repubblicano». Negli ultimi cicli elettorali nulla ha unito gli elettori democratici più della possibilità di votare contro l’ex presidente, i repubblicani hanno perso il voto popolare in sette delle ultime otto elezioni presidenziali e Trump è stato il primo presidente in carica in corsa per la rielezione dopo Herbert Hoover a far perdere al suo partito la Casa Bianca, il Senato e la Camera in soli quattro anni.

28 agosto 2022 65 ImagesGetty/WongAlexImages,Getty/AFP/VieraGiorgioFoto: Prima Pagina

SCONFITTA La repubblicanadeputata Liz Cheney dopo la sconfitta in Wyoming. A sinistra, sostenitori di Trump vicino a Mara-Lago, il resort dell’ex presidente Usa in Florida

TRADITI DAI BITCOIN

Alessandro Longo Giornalista

TRUFFE

SERVONO

L’australiana Katie Davis ha chiesto al giudice la restituzione dei 138mila dollari che lei e il marito avevano dato a Celsius. «Il pensiero di perdere una tale somma di denaro è terrificante», ha scritto Davis. «Se non mi verrà restituita, porrò fine alla mia vita perché la perdita avrà un impatto significativo su di me e sulla mia famiglia». Celsius ha fatto

66 28 agosto 2022 Investimenti a rischio o creduto a tutti gli spot, ai social media e alla pubblicità secondo cui Celsius era un conto di risparmio ad alto rendimento e a basso rischio. Ci è stato assicurato che i nostri fondi sono più sicuri presso Celsius che in banca. Questi soldi sono i miei risparmi di una vita». Così Raphael DiCicco, americano di origini italiane, ha scritto in una lettera rivolta a una corte dello Stato di New York, dopo aver perso quasi 16mila dollari per il fallimento di Celsius, piattaforma che prestava soldi al pubblico in forma di criptovalute. Sono circa 100mila i creditori di Celsius che hanno scritto lettere disperate ai giudici curatori del fallimento, come emerso ad agosto.

NEGLI USA IL FALLIMENTO DI CELSIUS E IL CROLLO DI TERRAUSD. IN ITALIA, L’INCHIESTA SU NFT: LE CRIPTOVALUTE PERDONO CONSENSI, TRA E FURTI. CAUTELE E REGOLE  DI ALESSANDRO LONGO ILLUSTRAZIONE DI GIOVANNI GASTALDI un buco di 1,2 miliardi di dollari. Scandalo estivo tutto italiano è invece Nft (New financial technology), dove a temere per i propri soldi sono circa 6mila persone. Indaga la procura di Pordenone. Aperta un’indagine preliminare sulla società di Silea (Treviso) che prometteva cedole del 10 per cento ai propri clienti con un investimento minimo di 10mila euro. Nft diceva di contare su un suo presunto “algoritmo” di arbitraggio, in grado di sfruttare l’oscillazione di valore delle criptovalute tra diversi mercati. Dallo scorso giugno ha smesso di versare quanto dovuto per contratto ai propri clienti, parlando di non meglio precisati problemi di cassa. Spariti i soci fondatori, forse a Dubai; così come i soldi, circa 100 milioni (secondo le prime stime). Allo stato non è chiaro se si tratta di un crac più o meno in buona fede, come Celsius, o di una truffa. Estate difficile anche per chi sperava di fare guadagni stellari con TerraUsd, una H

28 agosto 2022 67 Prima Pagina

«Tutti questi casi si spiegano così: l’improvvisa fama delle cripto presso una massa di persone attirate da facili guadagni ma prive di competenze; parallela nascita di tante aziende con caratteristiche, tecniche e finanziarie, inadeguate a gestire questa enorme massa di transazioni», dice Stefano Da Empoli, presidente dell’osservatorio I-Com. Un incrocio fatale di domanda e offerta, insomma.

E chi non perde soldi per via del cattivo investimento può subire lo stesso destino per colpa dei ladri. Da gennaio a luglio 2022, sono stati rubati 2 miliardi di dollari in criptovalute tramite attacchi hacker (secondo un rapporto di Chainalysis). Il denaro è stato sottratto o dai portafogli vir tuali presenti sui dispositivi degli utenti o dalle piattaforme che ne ospitavano il conto. Se derubano una banca, il correntista non perde soldi, però. E in Europa ci sono

Gli investitori hanno così evitato gli investimenti ad alto rischio, come le criptovalute, ed è partito un circolo vizioso di ribassi che ha distrutto Celsius e TerraUsd, tra gli altri.

stablecoin; particolare tipo di criptovaluta che dovrebbe essere “stabile”, ancorata a un valore di riferimento come il dollaro. E invece: nel giro di pochi giorni l’ancoraggio è saltato e TerraUsd è diventata come un titolo spazzatura, bruciando 60 miliardi di dollari. Il confine fra truffa e “normale” flop è sottile, quando si tratta di criptovalute, di cui la più famosa è il bitcoin. Duemila investitori di TerraUsd hanno infatti denunciato l’azienda (Terraform) basata a Singapore, fondata da Do Kwon, tecno-imprenditore coreano. La accusano di scarsa trasparenza, di non avere permesso loro di capire quanto rischioso fosse l’investimento. Proprio come con Celsius. Colpevoli anche molti influencer su TikTok, Twitter e Youtube che hanno continuato a decantare facili guadagni, anche quando gli scricchiolii dell’intero sistema cripto si facevano evidenti. Le quotazioni dei bitcoin sono crollate sotto i 20mila dollari a giugno, dai massimi di 68mila di fine 2021 (per poi salire a 30mila ad agosto). Colpa di vari fattori, tra cui il rialzo dei tassi di interesse in Europa e Stati Uniti, l’inflazione galoppante, le tensioni geo-politiche.

68 28 agosto 2022 Prima Pagina Investimenti a rischio ImagesGetty/BloombergFoto:

L’Europa ci lavora con una prima bozza del regolamento MiCa (Markets in Crypto asset), uscita a giugno. «Con MiCa i fornitori di servizi per le cripto-attività dovranno rispettare requisiti rigorosi per proteggere i portafogli dei consumatori e assumere la responsabilità in caso di perdite», spiega l’avvocato esperto in digitale Fulvio Sarzana. Tuttavia «non è ancora chiaro come il regolatore riuscirà a tutelare sia gli investitori sia le potenzialità di innovare e democratizzare la finanza insite nel mondo cripto», dice l’avvocato Roberto Culicchi.

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La promessa di una finanza globale alternativa, a vantaggio di consumatori e piccoli imprenditori, è ancora valida; per quanto offuscata da tutta la cattiva reputazione fin qui maturata. Stime di Chainanalysis riportano che la stragrande maggioranza delle transazioni in criptovaluta sono speculazione finanziaria pura; poi una piccola percentuale sono pagamenti a e tra criminali e riciclaggio di denaro sporco. Un intero Paese, la Corea del Nord, sfrutta le cripto per finanziarsi in barba alle sanzioni Usa. Le transazioni dirette a normali consumatori, imprenditori o esercenti, alternative all’uso di carta di credito, prestiti o bonifici, sono ancora rare.

forti garanzie anche contro il suo fallimento. Tutte salvaguardie assenti nel mondo cripto, perché non previste dalle norme; almeno per ora. «Nel frattempo che arrivino norme migliori, bisogna mettere in atto alcune cautele», suggerisce Luca Fantacci, che insegna Storia economica e Scenari economici internazionali all’Università Bocconi ed è autore di “Per un Pugno di Bitcoin” con Massimo Amato (edizioni Bocconi): «Occorre chiedersi innanzitutto se le attività economiche sottostanti siano tali da giustificare i grossi rendimenti promessi. In secondo luogo, occorre sempre valutare attentamente i rischi. È bene investire, perciò, soltanto ciò che si è disposti a perdere. Infine, se non c’è chiarezza riguardo alle prospettive di rendimento o ai rischi, è meglio non investire affatto». «La prima cosa da sapere è che le cripto sono prodotti ad altissimo rischio, come sottolineato dalle autorità di controllo (Consob per l’Italia ed Esma in Europa)», dice Massimiliano Nicotra, avvocato e noto consulente in quest’ambito. «Per limitare il rischio, bisogna verificare prima la solidità del progetto per il quale si richiede l’investimento, le competenze del team, il coinvolgimento della community, la reperibilità di informazioni e la trasparenza delle stesse», conferma Nicotra. Serve trasparenza, insomma, su come funzionano gli investimenti e chi ci sta dietro. Ma la vera trasparenza è possibile solo per chi ha le competenze tecniche sufficienti a capire certi meccanismi; gli esperti quindi suggeriscono di studiare prima a fondo come funBicoccale»,perquest’esperienzavalutadelComezionanolecriptovaluteelarelativatecnologia(blockchain).consentaaduepersonequalsiasi,inqualsiasipartemondo,conunaconnessioneainternet,ditrasferireinpochiminutisenzaalcunintermediario.Consarebbestatopossibilesapereche«il10centodiguadagnosfruttandol’arbitraggioèimpossibidiceriguardoaNftFerdinandoAmetrano,docenteallaefondatoredidiverseaziendenelramo,dicuiè

uno dei pionieri in Italia. L’altro passo sono le regole. I sostenitori dei bitcoin e in generale della cosiddetta “finanzia de-centralizzata” (senza intermediari) ne sostengono ancora il valore innovativo e rivoluzionario. E non solo loro. «Nell’attuale fase di deglobalizzazione, anche i colossi della finanza tradizionale, come Citigroup e Hsbc, stanno mettendo in discussione il modello centralizzato», dice Fantacci. «La finanza decentralizzata offre la possibilità di avvicinare debitore e creditore, eliminando costi e tempi di alcune intermediazioni». E tuttavia «alcune forme di intermediazione sono essenziali perché, grazie al loro patrimonio di conoscenze, competenze e reputazione, consentono di appianare le asimmetrie informative e garantire l’equilibrio fra le controparti». Perciò non si trat ta di vietare, bensì di regolamentare le innovazioni.

«L’obiettivo è quello di ricondurre le cripto-attività all’interno di un quadro normativo chiaro, a beneficio dell’intera società. Quello delle criptovalute è del resto un fenomeno irreversibile», riassume l’avvocato Vittorio Colomba. Il regolatore prima o poi arriverà; troppo alta la posta in gioco. Le criptovalute sono parte integrante della nuova economia globale digitale. Ma nel frattempo toccherà ai cittadini studiare per non rischiare di perdere tutto in una cripto-trappola.

“L’applicazione del regolamento è ancora molto lontana, inoltre e nel frattempo questo mondo resterà un Far West», riflette Ametrano. Anche se qualche passo avanti lo si vede già. In Italia ad esempio da quest’anno c’è il registro Oam dei fornitori di servizi cripto, che «aumenta sicurezza e tutela degli investitori, perché consente di distinguere gli operatori legittimi dalle iniziative velleitarie, se non addirittura fraudolente», dice Ametrano.

Do Kwon, tecno-imprenditore coreano. Fondatore di Terraform

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Ambigui, complici, mai neutrali. Tutti gli scatti contengono un preciso punto di vista sulla realtà. Come svelano i racconti visivi di questa violenta estate  di Wlodek Goldkorn illustrazione di Ivan Canu

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le sedie. Poi sentiamo un uomo gridare ripetutamente «Oh, my God» (Dio mio).

Al suono delle parole si sovrappongono le immagini di un palco dove una dozzina di persone sono disposte sul lato sinistro in un cerchio. Lentamente, entra in scena un poliziotto con un cane al guinzaglio ed entrambi, l’uomo e l’animale, sembrano smarriti e fuori luogo. Il punto è questo: fuori focus è tutto quello che succede. Ma sappiamo (da altre fonti) che il video documenta il tentativo di uccidere, con quindici coltellate, Salman Rushdie. Sappiamo pure che molti anni fa a Teheran è stata emessa una fatwa, una condanna a morte contro di lui per aver scritto e pubblicato “I versetti satanici” e non riassumeremo questa vicenda né il libro. Quello che ci interessa è il contesto. Basta leggere “I figli della mezzanotte”, il romanzo con cui lo scrittore, oltre 40 anni fa, è assurto alla celebrità e ha vinto il Booker Prize per capire che si tratta di un autore critico nei confronti del rapporto che l’Occidente ha con il resto del mondo, che in quel libro decostruisce la lingua inglese coloniale, introduce gli idiomi molteplici e spuri delle strade di Mumbai (un e immagini non sono innocenti e le verità che trasmettono sono molteplici, spesso ambivalenti, sempre soggette alla nostra interpretazione perché sono fatte dallo sguardo di chi le produce, del fotografo (professionale o meno), di chi filma un evento con il suo smartphone; uno sguardo che successivamente incrocia l’occhio di che ne usufruisce. E né lo sguardo né l’occhio sono tabula rasa, guidati invece da opinioni e pregiudizi, talvolta da ideologie o utopie future o nostalgiche o anche dalla libido (che non tratteremo qui), da un racconto precostituito. Lo sappiamo da decenni, da quando - per fare un solo esempio - una studiosa come Susan Sontag alle fotografie ha cominciato a dedicare libri e e saggi. Eppure ogni volta che vediamo un’immagine, che voglia essere eclatante o scandalizzare lo spettatore, caschiamo nell’illusione che quella sia la verità accertata. Del resto la nostra memoria più che delle parole è fatta da immagini. È successo pure in questa estate violenta, fra un assassinio feroce, un tentativo di uccidere uno scrittore celebre e un ritratto di un leader che guida un Paese in guerra. Ma procediamo con ordine. A partire da un video amatoriale in cui si vede niente o poco. Siamo in una sala a Chautauqua nello Stato di New York il 12 agosto. Nel filmato, della durata di 45 secondi, vediamo persone che si alzano dalUno sguardo non è mai tabula rasa,  perché  è guidato da opinioni e pregiudizi, da ideologie, da nostalgie e da utopie future. Dai nostri desideri

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72 28 agosto 2022 Fotografia

Idee

Da sinistra: la copertina di Vogue, con il leader ucraino Zelensky e la moglie Olena, in uno scatto di Annie Leibovitz; lo scrittore Salman Rushdie; l’omicidio di Alika Ogorchukwuch, a Civitanova Marche

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Poi c’è invece la vicenda di una serie di immagini non casuali, non amatoriali ma esplicitamente posate e volutamente artificiali. Stiamo parlando delle foto di Volodymyr Zelensky assieme alla moglie Olena, scattate da Annie Leibovitz e pubblicate a fine luglio su “Vogue”. Ci interessa, di nuovo, il contesto e la memoria. Memoria delle fotografie. Ecco, la più discussa fra le immagini raffigura la coppia presidenziale seduta a un tavolo, le facce rivolte verso l’obiettivo. Lui abbraccia quasi disperatamente la compagna della vita come se fosse la sua ancora nell’universo. Il punctum (per usare il termine caro a Roland Barthes) è la mano destra piuttosto grande del marito che stringe il corpo della moglie: la fede sul dito medio in vista. Sopra le braccia e i corpi ci sono i volti dei due con la guancia della donna attaccata alla guancia dell’uomo. Lei ha i capelli biondi mossi dal vento, gli occhi verdi-azzurri e la pelle dalla carnagione bianca. Lui ha i capelli e la barba neri come è anche il colore degli occhi, la carnagione della pelle è scura, il naso pronunciato, grande. Lui è forte, lei fragile? Non lo sappiamo. La foto è ambigua, è lecito il sospetto che sia la ragazza bionda stretta dalla manona dell’uomo

AnsaContrasto,/Photo13/HaasMauriceFoto: po’ come hanno fatto gli autori ebrei americani usando parole in yiddish nei loro testi) e parla dello sguardo che i colonizzati percepiscono e subiscono da parte degli occidentali. Ma è più che lecito sospettare che l’attentatore e gli estensori della fatwa sappiano poco o nulla di approfondito su Rushdie. O forse, al contrario, l’ira dei fondamentalisti si è rivolta contro un autore che vive la letteratura come indagine sulle verità, del mondo lontanissimo da ogni ideologia o fede rivelata. E che proprio per questo e non per la sua (inesistente) blasfemia lo vogliono morto. Tutto questo nell’immagine immediata filmata e diffusa non si vede, ovviamente. Ma anche nelle cronache si parlava raramente dei “Figli della mezzanotte”, come se per raccontare lo scrittore fosse importante solo l’ultimissimo episodio. A scanso di equivoci: Rushdie, una volta amico e oggetto delle lodi di Edward Said pioniere degli studi post-coloniali, negli ultimi anni ha avuto un atteggiamento sempre più critico nei confronti dell’Islam ma il libro resta e l’autore ne è sempre fiero e ne rivendica l’approccio.

74 28 agosto 2022 Fotografia scuro a dargli la forza e la fiducia. Ecco, a questa foto è stata mossa l’accusa di futilità, di immoralità, di qualcosa che non andava fatto perché il glamour - la foto è glamour - non si addice a un Paese in guerra dove vengono distrutte le città e ammazzate le persone. Può darsi. Però, nella discussione è mancato tutto quello che oltrepassa lo scatto. Intanto elenchiamo due elementi. Il primo. Le foto di Leibovitz fanno eco a un altro servizio della stessa autrice di vent’anni fa. In quelle fotografie del 2002 Leibovitz aveva raffigurato, sempre in chiave glamour, George W. Bush e il suo staff di allora: da Condoleeza Rice a Dick Cheney a Colin Powell e Donald Rumsfeld (e quella immagine fece anche da copertina di questo settimanale). In ambedue i servizi, la fotografa, compagna di Sontag (ci torneremo) racconta il potere in guerra, potere che tenta di apparire romantico nella convinzione che la forza e il sacrificio possano fare leva sulla storia e riscattare la dignità di un popolo (per Bush la guerra contro l’Iraq cui si stava preparando doveva riscattare l’umiliazione subita l’11 settembre). Ma anche l’idea di portare la libertà sulla punta delle baionette, per quanto sbagliata, è romantica. Romantica è pure la percezione che lo spettatore ha della solitudine e della tristezza del potere. Nella foto di Zelensky con la moglie lo spazio attorno sembra vuoto, quasi incolore, come un po’ lo sono i vestiti che i due indossano. Foto glamour si è detto. Infatti sono destinate a un pubblico che vuol essere glamour: il ceto urbano di Kiev, Leopoli e Mariupol, gente che ambisce a vivere esattamente come i loro pari a AbbiamoMilano.detto che le immagini non sono innocenti. E allora parliamo del secondo elemento mancato nella discussione sulle foto di Leibovitz. Eccolo, perfino le immagini che documentano la Shoah e ne sono testimonianza non ci dicono la “verità oggettiva” ma svelano l’occhio di chi le ha fatte. E alcune sono glamour. Lee Miller era una fotografa americana e una delle prime donne reporter di guerra. È celebre la foto dove lei posa ma in realtà ne è la regista: nuda nella vasca da bagno di Hitler, un paio di scarponi da soldato davanti. È un’immagine metaforica e come tutte le metafore soggetta a interpretazioni e non priva di ambiguità per l’ambientazione e il richiamo all’intimità. Miller ha anche scattato fotografie a Buchenwald. In una, glamour, si vedono detenuti, davanti a un mucchio di ossa. Gli ex prigionieri hanno addosso maglioni e giacche civili più che decenti, ai piedi scarpe robuste. Solo i pantaloni sono quelli da lager. Eppure, quella foto posata ebbe un impatto enorme nel fissare la memoria dei campi nazisti. Ma c’è di più. Tutti noi (o quasi tutti) abbiamo presenti le immagini degli ebrei sulla rampa di Auschwitz prima di essere avviati alle camere a gas, o sull’orlo delle fosse in cui finivano i corpi dei fucilati, per esempio a Babij Jar alle porte di Kiev. Però, osservando queste immagini vediamo le vittime con lo sguardo dei loro assassini. La stragrande maggioranza delle fotografie della Shoah sono state infatti scattate dai carnefici. Ecco perché le immagini non sono innocenti. E per tornare a Sontag, in un bellissimo testo del 2002 “Looking at War” pubblicato su “New Yorker,” parlando delle foto della guerra civile in Spagna, la grande pensatrice si chiedeva se l’esteSopra: la celebre laladinelladell’americana LeefotoMiller,vascadabagnoHitler. Adestra,dall’alto:scrittriceSusanSontag;fotografaAnnieLeibovitz

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28 agosto 2022 75 CollectionGalellaRon-GalellaR.leemiller.co.uk,reserved.rightsAll2022.EnglandArchives,MillerLeeFoto: ImagesHistory/GettyResearchersPhoto-CartierJ.Images,Gettyvia Idee tizzazione uccide l’autenticità. Domanda aperta. Ma poi dice pure che non basta vedere gli orrori per essere contrari alla guerra. E non è neppure sufficiente condannare la guerra per stare dalla parte giusta. Occorre empatia, la capacità di distinguere. Cose difficili queste senza indagare il contesto delle foto, le fonti e la genesi dei fatti rappresentati. O se vogliamo, la stessa immagine può raccontare due storie opposte. Ma le immagini sono comunque testimonianze (per la memoria e per la giustizia). Lo dice uno storico della Shoah, Christopher Browning, motivo per cui tutte quante sono importanti nonostante la loro provenienza, che va spiegata. Vale pure per chi viene accusato di ignavia per non aver impedito la violenza estrema. A Civitanova Marche il 29 luglio, un uomo uccideva a colpi di stampella un altro uomo. Saliva il coro di indignazione: perché le persone intorno non sono intervenute per fermare l’omicida e invece si sono limitate a filmare l’accaduto? Ma quelle immagini, sfocate, frammentarie, sono importanti non solo e non tanto per il loro valore simbolico quanto prima di tutto per i Tribunali della Repubblica. Lo sono però perché il contesto ci è noto.

Viviamo in un’epoca che ha perso la metafora, il simbolo, il contesto. Ricostruirli è una forma di resistenza. Ed è necessario per comprendere

La Nobel polacca alla letteratura Olga Tokarczuk dice spesso che viviamo in un’epoca in cui tutto viene preso alla lettera e sono scomparsi la metafora, il simbolo, il contesto. Ricostruirli è una forma di resistenza perché la metafora, il simbolo, il contesto ci rendono consapevoli di quanto viviamo dentro la catastrofe, di quanto le vittime non sempre sono esseri angelici, ma quanto in fin dei conti occorre scegliere da che parte si sta. O, per parafrasare Hannah Arendt: per aver la capacità di osservare e dare giudizio (quindi, aggiungiamo noi, interpretare le immagini) non occorre abbracciare tutto il mondo ma considerarsi soltanto cittadini del mondo. Q

76 28 agosto 2022 Appuntamento in Laguna

Il cinema allo specchio

Venezia

di Fabio Ferzetti Un cartellone sovraccarico ed eclettico. Che guarda alla cronaca, alla storia, a vite eccezionali. E, tra streaming e sale vuote, affronta le sfide del grande schermo a prima edizione della Mostra del Cinema di Venezia non si tenne alle soglie dell'autunno ma in piena estate e precisamente dal 6 al 21 agosto 1932, anno decimo dell'era fascista. Non sappiamo se l'agosto di 90 anni fa fu torrido come questo, probabilmente no. In ogni caso il Cinema era un ragazzino che aveva appena imparato a parlare e aveva davanti a sé un radioso avvenire. Tanto che al Lido «sia pure per poco tempo si respirò un'aria di grande libertà non riscontrabile in nessun'altra realtà italiana coeva», come ci ricorda Gian Piero Brunetta in un volumone da 1200 pagine straripante di nomi e di storie che è il primo evento di questo anniversario (“La Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. 1932 - 2022”, Marsilio). Novant'anni più tardi la Mostra (dal 31 agosto al 10 settembre) contiL

nua a guardare avanti ma soprattutto si guarda intorno. Anche troppo forse, a giudicare da un cartellone sovraccarico quanto eclettico. Mai come in questo terzo anno dell'era Covid infatti il futuro del cinema è apparso più tumultuoso e confuso, sotto ogni profilo. Artistico, industriale e politico se Alberto Barbera, uno dei direttori più longevi che Venezia ricordi, si è concesso il lusso di denunciare la faciloneria con cui in Italia oggi si possono produrre film che poi nessuno va a vedere proprio perché pensati male e realizzati peggio. Un aperto attacco a un sistema sostenuto dalle leggi vigenti che L'Espresso è stato tra i primi a stigmatizzare ma che ha ben altro peso provenendo dal direttore di un'istituzione come la Mostra di Venezia. Anche se poi di bei film se ne fanno ancora e di registi italiani ce ne sono molti in tutte le sezioni.

O a “Marcia su Roma” dello storico del cinema e regista inglese Mark Cousins che, partendo dalla rilettura di un film di propaganda del 1923 (“A noi” di Umberto Paradisi), crea un inquietante cortocircuito fra la situazione attuale e l'ascesa delle dittature nell'Europa del '900.  Ma pensiamo anche alle scatenate protagoniste di “Las Leonas”, documentario di Isabel Achaval e Chiara Bondì prodotto da Nanni Moretti. Un gruppo di badanti e domestiche immigrate da diversi continenti, unite dalla passione per il calcio, che con i loro racconti finiscono per disegnare un'immagine insolita, toccante e a tratti disturbante del nostro Paese. Ricordandoci quanto è importante vedersi riflessi in occhi altrui. Mentre nelle sezioni ufficiali, malgrado la sovrabbondanza dei titoli, Venezia mostra il fianco proprio nella nitidezza dei percorsi Cominciamoproposti.dalConcorso.

Solo in Concorso ne figurano cinque. Gianni Amelio con “Il signore delle formiche” sul processo per plagio subito da Aldo Braibanti, Emanuele Crialese con l'autobiografico “L'immensità”, Susanna Nicchiarelli con “Chiara”, cioè santa Chiara, finalmente protagonista, a cui si aggiungono i due film girati negli Usa da Andrea Pallaoro (“Monica”) e Luca Guadagnino (“Bones and All”).

laTurbanti),ni” dizionaservatainterpretanotoformazionecess”debuttomangiono.Malesezioniparallelenonsonodame-Orizzontischierafraglialtri“Tiilcuore” diPippoMezzapesa,alcinemadiElodie,e“Prin-diRobertoDePaolis,raccontodisperimentalescrittoegira-conalcuneprostitutenigerianechesestesse.EselaSettimanadellaCritica,ri-agliesordi,solitamentesele-unsolofilmnazionale(“Margi-NiccolòFalsettieFrancescoalleGiornatedegliAutoripresenzaitalianaèdeclinatanei

L'onore dell'apertura va a un film dello statunitense Noah Baumbach, regista in continua ascesa, tratto da uno dei libri più ardui di Don DeLillo, “White Noise”. Produce Netflix, ed è la prima volta che il colosso dello streaming inaugura la Mostra. Un segno dei tempi, certo, del resto anche l'ultimo Baumbach, “Marriage Story”, correva per Netflix a Venezia nel 2019 e nessuno ebbe da ridire. Ma la pandemia non era ancora scoppiata e le sale non erano in caduta libera. Mentre quest'anno al Lido la “N” (così napoleonica) della casa di Reed Hastings sventola su altri tre titoli: “Blonde” di Andrew Dominik, Da sinistra, in senso orario: una scena dal film “Las Leonas”; “The son” di BaumbachNoise”McDonagh;Farrell didell’isola”Zeller; “GliFlorianspiriticonColinMartin“Whitedi Noah

28 agosto 2022 77 Idee modi più diversi, con attenzione speciale per temi e sguardi forti. Ma anche per le ibridazioni culturali più inattese. E qui, restando in Italia, pensiamo al “Padre Pio” di Abel Ferrara, testimone nel 1920 di una specie di prova generale del fascismo nascente.

In alto: “Marcia su Roma” di Mark Cousins; una scena del documentario “In viaggio”, di Gianfranco Rosi, dedicato alle missioni di Papa Francesco

78 28 agosto 2022 Appuntamento in LagunaIdee

biopic filologicamente correttissimo di Marilyn Monroe ispirato al libro di Joyce Carol Oates. “Bardo” di Alejando Gonzales Inárritu, che a Venezia deve buona parte della sua carriera. Infine, più inaspettatamente, “Athena”, pirotecnica ricostruzione di una rivolta di banlieue diretta da Romain Gavras e scritta con Ladj Ly, il regista di “Les misérables”. Mentre c'è la Metro Goldwyn Mayer, cioè Amazon, dietro gli amanti cannibali di Guadagnino, scandalo annunciato e film più secretato della Mostra. Ed è sempre targato Amazon “Argentina 1985” di Santiago Mitre, ricostruzione dell'epica battaglia giudiziaria condotta da due giovani avvocati contro i generali che avevano insanguinato il Paese tra il 1976 e il Naturalmente1983. nessuno invoca chissà quale assurda purezza. Ormai questi sono gli assetti di mercato. E poi lo streaming porta ovunque film inaccessibili ai più. Ma è giusto ricordare che in Orizzonti, o Fuori concorso, per non parlare delle sezioni autonome come le Giornate degli Autori o la Settimana della Critica, di titoli targati Amazon, Netflix o Disney non ce n'è. Ne consegue che lo spazio per gli indipendenti in Concorso va restringendosi. E che per chi fa festival è sempre più arduo impostare una politica culturale capace di influenzare non solo il gusto ma il mercato, saldamente in mano a un numero sempre più limitato di Delplayer.restovale anche il ragionamento inverso. Quanti film delle sezioni parallele vedremo in streaming tra un mese o tra un anno? Pochini. E quasi tutti su Mubi, l'unica grande piattaforma davvero sensibile al tema, che da quest'anno diffonderà i nuovi talenti del cinema italiano in collaborazione con le Giornate degli Autori. Basterà a rianimare il gusto per lavori che ci siamo rassegnati a dire “di nicchia”? No naturalmente, anche perché il cinema ha perso da un pezzo l'impatto e la sacralità degli anni d'oro, così ben raccontati dal libro di Brunetta. Niente paura comunque. In una Venezia sempre più inclusiva c'è spazio per tutti. Ormai sono le serie a modellare l'immaginario? Benissimo, se ne vedranno un paio anche al Lido, entrambe danesi e molto d'autore: la terza stagione di “The Kingdom” di Lars Von Trier, che proprio a Venezia debuttò negli anni Novanta (Mubi), e “Copenhagen Cowboy” di Nicolas Winding Refn (ancora Netflix). Entrambe Fuori Concorso naturalmente, la sezione jolly della Mostra. Fuori Concorso troviamo infatti l'allegoria apocalittica e assai politica di Paolo Virzì, “Siccità”, ma anche il film postumo del compianto Kim Ki-duk, “Call of God”, e l'attesissimo “Don't Worry Darling” di Olivia Wilde, uno dei titoli più caldi del cartellone, per richiamo divistico e spettacolare. Sono Fuori Concorso il docu controcorrente di Oliver Stone, “Nuclear”, il documentario di Gianfranco Rosi sulle missioni internazionali di Papa Francesco (“In viaggio”) e l'esplosivo “The Matchmaker” di Benedetta Argentieri, ritratto di una jihadista britannica che per anni ha trovato mogli (occidentali) ai combattenti dell'Isis. Da abbinare idealmente al film di finzione su tema analogo del brasiliano Sérgio Tréfaut, “A noiva”, La sposa, che sta invece in Orizzonti.

Anche se in fondo tutte queste sono illazioni della vigilia. Alla fine a Venezia contano soprattutto i premi. A chi andrà il Leone? A “Gli orsi non esistono” del grande iraniano Jafar Panahi, attualmente incarcerato dal regime? A “The Son” di Florian Zeller, il drammaturgo di “The Father”? O a “Gli spiriti dell'isola”, nuova fatica di Martin McDonagh, l'osannato autore di “Tre maripeta.ment”.tasonifestiaEbbing,Missouri”?L'annoscor-vinseasorpresaunaoutsiderassolu-comeAudreyDiwancon“L'événe-NonèdettocheilmiracolosiMasipuòsempresperare. RISERVATA

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28 agosto 2022 79 Bookmarks/i libri IL FILO (INVISIBILE) DI ARIANNA PAOLO DI PAOLO

Matteo Nucci scrive una “novella fiabesca” su come uscire dal labirinto del dolore Esiste una via - letteralmente, un percorso - per uscire dalla tristezza? Forse è fatta di parole, sembra dire Matteo Nucci in questo suo inatteso “Sono difficili le cose belle”. Le epigrafi da Platone, sibilline, rimandano alla grande conoscenza di Nucci del mondo classico e funzionano da segnaletica. D’altra parte, la bambina protagonista del romanzo, che si chiama Arianna, ha bisogno di un qualche filo per venire fuori da un labirinto di dolore in cui è entrata da quando sua nonna ha traslocato «in cielo». Così le dicono, perché così si dice ai bambini. Ma no, non è così, se la nonna suona il clacson e dice alla nipote di montare in macchina. Il segno che si può aspettare anche chi non può tornare. «Sono con voi tutti, ma soltanto quando lo volete! Non sempre, sennò sai che palle!», ride nonna Maria. E qui comincia l’avventura (Nucci gioca, nei sottotitoli dei capitoli con l’impianto dei classici per l’infanzia) – un’avventura terrena, terrestre, che riporta Arianna e sua nonna nei luoghi che già erano loro, su tutti Villa Pamphili a Roma; e che rinsalda il legame a forza di racconti. Pezzi di memoria familiare, partite a carte, mal di pancia perduti nel tempo, ricordi che si trasformano e non fanno più piangere. È di una metamorfosi complessiva che Nucci ci parla: mutano le sembianze di chi ci era accanto, si fanno invisibili ma non intangibili, e mutiamo noi. Che dobbiamo ostinarci a non perdere una certa fede, anzi la fiducia «estrema e stregonescamente entusiasta che tutto possa essere sempre e sempre e per sempre possibile». Occorre restare in ascolto. Mantenere l’attenzione ai dettagli. Farsi guidare dalle sensazioni. Preferire le emozioni ai ragionamenti. Accettare l’incomprensibile. L’autore chiama il libro, scritto in prima istanza per le nipoti, «novella fiabesca» e la definizione è efficace, a patto che si intuisca come l’incredulità vada sospesa per cogliere meglio le sfumature del reale. Perché la realtà non è solo quella che si vede.   Q ©RIPRODUZIONE RISERVATA

complicità,sueLecarpentier,ammetteeappassionatoinediti,unviaggiocollanainauguratolavolumefa,qualchevenutofumettistadel grandefrancese,amancaresettimanailraffinatocolqualecasaeditricehalasuaFumetti.Unintornoall’amicizia attraversocentinaiodidisegni,perlopiùtratteggiatia83anni, daverodiquesto sentimentoda“testardoidealista”.Comeinconversazione con Marcmentretraducenelleinconfondibilifiguredifficoltà,ironiedell’essereamici. “SONO DIFFICILI LE COSE BELLE” Matteo HarperCollins,Nucci pp. 288, € 16 “BREVE STORIA DEI TRATTORI IN UCRAINA” Marina Lewycka (trad. L. M. Sponzilli) Astoria, pp. 305, € 19 “NOI SIAMO LUCE” Gerda Blees (trad. Claudia Di Palermo) Iperborea, pp. 238, € 17 “SINCERE Jean-JacquesAMICIZIE”Sempé (trad. Dylan Rocknroll) 21Lettere, pp. 162, € 19,50 A cura di Sabina Minardi

“Noi siamo la notte. Ci portiamo dietro il buio e le ubriacature, le liti tra gatti, il sonno e l’insonnia, il sesso e la morte”. “Noi siamo il pane quotidiano”. “Noi siamo i fatti”. “Noi siamo suono e amore”. Cosa accade quando l’irrazionale entra nelle nostre vite, affianca il desiderio di unicità, si salda con la tentazione di svincolare il corpo dalle sue schiavitù? Ispirata a un fatto di cronaca, e sorretta da una prosa ipnotica, una storia in venticinque frammenti di verità.

In onore

Un anziano padre che si innamora di una eunalalacoalizzarsifigliedonna.giovanissimaDuedeciseacontrofolliasenile.EsuggestionediPatriaperdutaritrovatadietroquel colpo di testa sentimentale. Da un’autrice di origine ucraina, nata in un campo per rifugiati di Kiel, una divertente commedia familiare che è anche un pezzo di storia dell’Ucraina sovietica. Dove una sorprendente passione per trattori e mezzi agricoli maschera potenti nazionalismi.

80 28 agosto 2022 in colloquio con Anna Bonaiuto di Francesca De Sanctis Anna Da Martone a Zingaretti, dal cinema alla tv. Passando e ripassando dal teatro. Una grande attrice si racconta  l mio grande amore? Il teatro... Ancora mi emoziono quando devo andare in scena, come se fosse la prima volta». Non ha dubbi Anna Bonaiuto, eppure grandi soddisfazioni ne ha avute anche dal cinema, da “L’Amore molesto” di Mario Martone a “Il divo” di Paolo Sorrentino, tanto per citare un paio di film molto premiati. «E pensare che il cinema è arrivato per caso, non è mai stata una mia ambizione», racconta l’attrice. «L’ho sempre messo in secondo piano rispetto al teatro, per questo l’ho affrontato in maniera molto tranquilla. Quando dovevo recitare per Nanni Moretti tutti mi dicevano “farai 10 ciak” e invece, dopo un paio di ciak la scena era buona. Quando lavoro per il cinema non mi faccio prendere dalle ansie, sono sempre molto rilassata, evidentemente questo atteggiamento aiuta!». Il teatro le fa battere ancora il cuore, a quanto pare. Ma come è nato questo grande amore? «È una passione che nutro sin da quando ero piccola, non ho mai voluto far altro nella vita. Le mie prime rappresentazioni sono iniziate quando avevo tre anni. Aprivo la tenda del garage e chiedevo ai bambini di stare dall’altra parte». È vero che i suoi genitori non presero molto bene la sua decisione di diventare attrice? «Mio padre mi cacciò di casa». Ma perché? «Mi disse, con il suo accento napoletano: “Perché è una vita che si fa prevalentemente di notte”. Ma avere una famiglia che non ti capisce ti dà anche la forza per andare avanti per la tua strada fino alla realizzazione del sogno. E così, con una borsa di studio, sono riuscita ad iscrivermi e a frequentare l’Accademia d’arte drammatica Silvio D’amico a Roma». Erano gli anni Settanta. Com’era Roma? «Io provenivo dal Friuli e Roma era così diversa dal mio ambiente, così piena di artisti. Ero senza un soldo, ma gli incontri che avevo l’opportunità di fare mi ripagavano di ogni sacrificio. Potevo andare a teatro e vedere spettacoli di Carmelo Bene, Carlo Cecchi, Romolo Valli». Ha mai incontrato Pier Paolo Pasolini? «L’ho visto una sola volta mentre era seduto al ristorante, a Campo dei Fiori. Ma ero a Roma da poco, non ho avuto il coraggio di avvicinarmi, per me era un mito». A lui è dedicato lo spettacolo che quest’estate ha portato in scena in canza?poetaBenevento:“PPPval,gicod’artenelladueluoghimeravigliosi:aMontauro,GrangiadiS.Anna(ArmonieFestival),enelParcoArcheolo-diSegesta(SegestaTeatroFesti-finoal4settembre).Il29agosto3%”saràalTeatroromanodièunomaggioalgrandedicuisentiamotuttilamanI Anna Protagonisti Di

«Toni Servillo è un attore con il quale mi sono formata. Devo dire che siamo molto simili». Trova che sia cambiato il modo di fare teatro? «Purtroppo trovo che ci sia poca attenzione alla qualità dei progetti. Si dà molta importanza a spettacoli costosi, ai grandi attori, ai grossi progetti. Ma spesso si tratta di lavori che vedi e dimentichi subito dopo. Allora mi chiedo: che senso ha? Quando vai a teatro, deve rimanerti qualcosa dentro, soprattutto ora che viviamo tempi così bui, fra guerra, pandemia, povertà... Proprio perché viviamo in un periodo così carico di angoscia credo che la gente sia più disposta a lasciarsi andare. Io penso che la chiave di tutto sia l’intensità. Anche se uno spettacolo è leggero, se è intenso vuol dire che ha fatto centro. Stiamo dimenticando tutto troppo in fretta, per questo c’è bisogno di intensità, per lasciare un segno nell’animo della gente».

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Quali sono i registi che considera suoi maestri? «Ne ho avuti tanti, a cominciare da Ronconi. Ma voglio citarne uno che è stato prima attore, per questo sa comprendere gli attori fino in fondo: Otomar Krejĉa.

«In generale amo i libri che prendono alla pancia. Gli scrittori contemporanei li leggo solo se consigliati. Alla mia età non si può perdere tempo. Naturalmente ho apprezzato il romanzo di Nadia Terranova. “Addio fantasmi” indaga il rapporto fra una madre e una figlia, che vivono un dramma terribile».

Ho avuto la fortuna di essere diretta da lui ne “Le tre sorelle” di Cechov, era il 1981. Mai come allora mi sono sentita davvero compresa. Era come se conoscesse da dentro tutto il processo creativo. Un vero maestro». A proposito di maestri, in teatro ha lavorato anche con Toni Servillo...

Vuole anticiparci i suoi prossimi progetti? «Sto lavorando al primo film diretto da Francesco Frangipane, tratto da un suo spettacolo teatrale. Poi arriverà la nuova stagione della serie tv di Sky, “Il re”, con Luca Zingaretti. Infine, c’è un progetto al quale tengo molto: il nuovo spettacolo di Pascal Rambert prodotto dal Teatro Piccolo di Milano. Debutterà a maggio. Amo moltissimo il modo in cui Rembert lavora. Capita di rado che un regista scriva su di te. Lui ha incontrato e scelto i suoi attori, dopo averne visti tanti, e ora scrive su di loro, me compresa. Lo trovo meraviglioso». RISERVATA

«Io mi chiedo spesso cosa penserebbe oggi Pasolini. Non mi stancherò mai di rendergli omaggio. Avevo già affrontato i suoi testi anni fa nello spettacolo diretto da Francesco Saponaro, “Porno-Teo-Kolossal”, il film purtroppo mai realizzato da Pasolini a causa della prematura scomparsa. E da lì prende spunto lo spettacolo, “PPP 3%” di Teatri Uniti/Casa del contemporaneo, che in maniera più semplice e snella porta all’aperto, in bellissimi spazi archeologici, le parole del poeta friulano. Pasolini voleva realizzare questo film negli anni immediatamente successivi a “Salò e le 120 giornate di Sodoma”. Aveva una visione abAnna Bonaiuto

BenedettoDiF.Foto:

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“L’amore molesto”, tratto dal romanzo di Elena Ferrante, è stato un film importante per la sua carriera. Che ricordo ha di quell’esperienza? «Io credo che “L’amore molesto” sia stato il miglior film di Mario Martone. Dal punto di vista registico era perfetto. Quando uscì nelle sale, era il 1995, nessuno degli attori era conosciuto al grande pubblico (nel cast c’erano, tra gli altri, Peppe Lanzetta, Licia Maglietta, Francesco Paolantoni, ndr). Eravamo tutti presi da un entusiasmo giovanile. Eravamo allegri e tenaci, insomma c’era una bella energia».

La regia di “PPP 3%” è firmata da Saponaro, ancora una volta un regista partenopeo. Napoli è sempre stata molto presente nella sua vita... «Io adoro Napoli e la sento molto vicina, anche se non ci ho mai vissuto. Però mio padre era napoletano. Quando partivo con lui dal Friuli per andare a Napoli ricordo questa grande città in cui c’erano fuochi d’artificio, donne che preparavano pranzi, zie sempre pronte a festeggiare. Quel mondo ti rimane dentro».

Quello che stiamo portando in scena è un trittico di installazioni performative che parte da “Le ceneri di Pasolini” con la voce di Peppino Mazzotta, prosegue con “1975”, quasi un talk show multimediale fra Pasolini e Andy Wharol, e si conclude con “Porno-Teo-Kolossal».

E poi ha avuto un lungo periodo artistico napoletano, a cominciare dall’incontro con Mario Martone.

28 agosto 2022 81 Idee bastanza catastrofica del mondo ma questa sua visione era alleggerita dalla presenza di Eduardo De Filippo, che avrebbe voluto in “Porno-Teo-Kolossal”.

La battaglia per l’inclusione A ottobre gli azzurri giocano con il Senegal la sfida secca per il Mondiale. Un’esperienza pilota diventata un modello internazionale. E un docufilm  di Adil Mauro foto di Andrea Boccalini DOPO BASAGLIA “Crazy for football” Un calcio allo stigma dei pazienti psichici 82 28 agosto 2022

Lo psichiatra cita un episodio avvenuto durante le recenti selezio-

28 agosto 2022 83

La seconda edizione, ribattezzata “Dream world cup”, si è svolta a Roma il 13 maggio 2018, a quarant’anni dalla chiusura dei manicomi in Italia. Un omaggio al lavoro di Franco Basaglia, il più importante riformatore della disciplina psichiatrica in Italia e ispiratore della legge 180/1978 che aveva tra i suoi obiettivi principali il reinserimento sociale dei pazienti. Alla competizione hanno partecipato Italia, Giappone, Perù, Argentina, Cile, Ungheria, Francia, Spagna e Ucraina. Questa volta i nostri azzurri, dopo il terzo posto di Osaka, hanno conquistato la vittoria finale. Al mondiale del 2018 avrebbe dovuto partecipare anche la nazionale del Senegal – in rappresentanza del continente africano – ma per problemi economici non riuscì a gareggiare con le altre squadre. Il prossimo 29 ottobre l’equipe senegalese sfiderà l’Italia. «È stata decisa una cosa un po’ folle, e cioè di rimettere in palio la Coppa del mondo in una partita secca che si terrà sempre a Roma», annunciaSecondoRullo.l’ideatore di “Crazy for football”, le principali difficoltà di un’iniziativa del genere sono quelle legate a chi normalmente nasconde questi disturbi. «Abbiamo dovuto aiutare i ragazzi a convincere le famiglie perché in questi casi servono le liberatorie per utilizzare l’immagine e sapevamo che non sarebbe stato facile chiedere loro di metterci la faccia».

La rocambolesca avventura del team italiano in Giappone è stata seguita e raccontata da De Biasi in un altro documentario intitolato “Crazy for football”, vincitore nel 2017 di un David di Donatello. L’anno successivo la Uefa foundation for children l’ha scelto come strumento per la diffusione dei valori del calcio e proiettato in decine di scuole di tutta Italia, raggiungendo circa ottomila studenti delle superiori.

Al suo rientro in patria, Tanaka organizzò, con il patrocinio del Comitato olimpico e paralimpico internazionale di Tokyo 2020, il primo campionato del mondo di calcio a 5 per persone con disabilità mentale tenutosi a Osaka nel febbraio del 2016. La convocazione per le selezioni fu annunciata poche settimane prima del mondiale durante la storica trasmissione sportiva 90° Minuto. «Diversi pazienti che erano in trattamento presso comunità terapeutiche o in famiglia fecero fatica a convincere operatori o familiari che la proposta

Nelle parole dello psichiatra Santo Rullo c’è tutto il senso di “Crazy for football”, la nazionale italiana di calcio a 5 di persone con disturbi psichiatrici provenienti soprattutto dai centri di salute mentale (Csm), il primo presidio per i cittadini con disagio psichico. In campo non scendono operatori o soggetti esterni, ma solo chi ha una diagnosi specifica. Il progetto, nato ufficialmente nel 2016, affonda le sue radici nel documentario “Matti per il calcio” del 2004, realizzato da Francesco Trento e Volfango De Biasi, con la fondamentale collaborazione di Rullo. La storia è incentrata sulla squadra di calcio a 5 del “Gabbiano”, formata completamente da pazienti psichiatrici. Fu proprio l’opera di Trento e De Biasi su questi insoliti calciatori ad attirare l’attenzione di una docente di Sociologia dello sport all’università di Yokohama. «Nobuko Tanaka, che in Giappone aveva fatto un grande lavoro per deistituzionalizzare un sistema di assistenza basato su istituzioni totali come i manicomi, dopo aver visto online il documentario mi contattò e nel 2011 arrivò a Roma con una delegazione di colleghi per studiare la nostra esperienza», racconta Rullo.

Sessione di defaticamento al termine di un’amichevole a Cassino

Storie fosse vera», ricorda lo psichiatra.

Quando un pallone gira nei cortili dei centri diurni o nelle zone di attesa degli ambulatori i pazienti, anche quelli devitalizzati con una grande sedentarietà dovuta alla malattia o ai farmaci, si riaccendono».

Ultimo allenamento prima del mondiale: Danilo. Al centro, la nazionale italiana entra in campo per la prima amichevole a Corviale, Roma ni in Umbria: «Prima di iniziare, uno dei partecipanti mi ha detto: “Certo, è bello combattere lo stigma ma una volta che sono uscito sul giornale se poi vado a fare un colloquio di lavoro siamo sicuri che mi assumeranno sapendo che ho un disturbo bipolare?”. Ecco, quella è la grandeAll’iniziosfida».la comunità medica ha accolto con diffidenza questo nuovo approccio. «C’era l’idea che fossimo gli operatori che volevano divertirsi giocando a pallone», dice Rullo. Uno scetticismo superato anche con la presentazione di due progetti per il Bando Erasmus+ (il programma dell’Ue per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport in Europa, ndr). Uno dei due, quello ancora attivo che crea un’alleanza tra operatori della salute mentale e dello sport, ha visto l’adesione dell’associazione europea psichiatrica. fare quello che faceva la psichiatria istituzionale, cioè non offrire risposte innovative e non battersi per i diritti dei pazienti, ma svolgere un ruolo di contenimento sociale».

E non va dimenticata la visibilità ottenuta attraverso prodotti di intrattenimento come “Crazy for Football – Matti per il calcio”, fiction trasmessa lo scorso autunno su Rai1 e diretta ancora una volta da De Biasi, con Sergio Castellitto nei panni del protagonista ispirato alla figura di Rullo.

A guidare i ragazzi di “Crazy for Football” è il commissario tecnico Enrico Zanchini. Ex giocatore di calcio a 5, nel 2004 ha preso in gestione insieme ad altri “Il faro”, un piccolo centro sportivo nel quartiere Monteverde di Roma. «La struttura è diventata la casa romana della nazionale», spiega l’allenatore.«Primadel mondiale del 2018 abbiamo programmato raduni in giro per l’Italia e visto circa 170 calciatori preselezionati dalle loro strutture di riferimento. Da una parte lo scopo è quello di offrire una giornata di allenamento agonistico di calcio a 5, dall’altra siamo alla continua ricerca di atleti di alto livello. E per ottenere certi risultati bisogna girare tutto il

Un aspetto interessante del film è la dicotomia creata dagli sceneggiatori tra il personaggio di Castellitto e quello di Massimo Ghini, che interpreta uno psichiatra dal profilo più istituzionale. «In realtà non si tratta di un combattimento tra persone», precisa Rullo: «Ma di un’ambivalenza che c’è nella testa di qualsiasi operatore che ha la sensazione di svuotare il mare con un secchiello, per citare una battuta del film, e ogni tanto si chiede se non sia meglio limitarsi a

La battaglia per l’inclusione 84 28 agosto 2022

Ruggero all’ultimo allenamento in vista del Mondiale tutti disponibili quando decidiamo di fissare una data per un raduno. C’è chi magari in quel momento ha delle fragilità che non gli permettono di uscire di casa o di viaggiare», fa notare Zanchini.

Per sostenere il progetto più vasto di promozione dello sport nei percorsi di cura e riabilitazione psichiatrica è stata ideata la #crazychallenge, una sfida speciale per aziende, enti pubblici e la società civile in generale, per una partita vera sul campo di calcio a 5 in nome della responsabilità e dell’inclusione sociale. Nell’ultima sfida, svoltasi lo scorso luglio in Umbria, la nazionale ha affrontato in un triangolare l’azienda di Brunello Cucinelli e il comune di Corciano.

“Crazy for Football” è l’unica nazionale non ufficiale ad avere borse, tute e maglie ufficiali della Federazione italiana gioco calcio (Figc).

«Entrano in campo con la maglia e l’inno. È un messaggio molto forte visto che viviamo in una società che tende a escluderli. In questo modo l’appartenenza alla nazionale diventa uno stemma da rivendicare», dice il mister.PerZanchini quest’esperienza rappresenta un arricchimento umano e fa alcuni esempi. «Abbiamo organizzato un’amichevole con i detenuti del carcere di Rebibbia perché ritengo ci siano delle analogie tra l’esclusione sociale nei confronti dei carcerati e il trattamento riservato a chi ha problemi di salute mentale. Nella nostra formazione militano anche giocatori di origine straniera che in una normale nazionale non potrebbero giocare, ma la nostra non è una nazionale normale dei “presunti sani”, come li chiamiamo scherzosamente».

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Paese», sottolinea Zanchini. La pandemia ha fatto saltare questo modello di reclutamento e la terza edizione della “Dream world cup” prevista per il 2020 in Perù. In quel periodo il team tecnico è rimasto accanto ai giocatori realizzando delle schede di lavoro da fare a casa o all’aperto, quando possibile. Le selezioni sono ripartite l’anno scorso. Decine di persone si sono presentate a Roma, Bari, Napoli e a Gerenzano, in provincia di Varese. Ai vari raduni hanno preso parte anche ragazzi delle regioni limitrofe. «Siamo arrivati a una rosa di circa 25 calciatori che comprende sia alcuni veterani a cui non rinuncerei mai perché sono atleti fenomenali e di grande personalità, sia un gruppo di giovani molto promettenti».

La necessità di una rosa ampia è dettata dalla particolarità degli sportivi coinvolti. «Non è detto che siano

Mollo tutto ma non il laptop Giramondo per passione o abitanti dei nuovi borghi

ivere da nomade digitale è un bel sogno ed oggi non più soltanto dei giovanissimi: sono sempre di più, infatti, coloro che decidono di trasferire la propria scrivania su una spiaggia esotica sorseggiando Margarita. Chloe Zhao ne ha fatto una storia per gli Oscar con il suo Nomadland, raccontando la vicenda emozionante di una sessantenne che viaggia per l’America a bordo del suo van. Davanti a lei solo grandi spazi e solitudine, un modo alternativo di stare al mondo rispetto al nostro solito, ma anche una tendenza alla fuga, conseguenza naturale della precarietà lavorativa.

con uno stipendio dopo otto ore di lavoro al giorno, non troverai mai niente del genere che ti permetta anche di viaggiare. Diventare nomade digitale richiede grande fantasia, una quantità infinita di pazienza e tantissima determinazione». L’incessante cambiamento culturale e tecnologico ha permesso alle persone di fantasticare e scegliere inedite postazioni di lavoro: c’è chi ha optato per quelle vista mare, chi invece ha deciso di aumentare la produttività in mezzo ad una foresta e chi, ancora, ha scelto la vanlife, una postazione mobile all’interno di un camper ben attrezzato. Così il nomadismo digitale è diventato un vero e proprio “modus vivendi”, coinvolgendo un movimento globale di professionisti, desiderosi di scoprire altre destinazioni e culture, lavorando e guadagnando al tempo stesso, laddove i ritmi sono più lenti ed esiste ancora un valido rapporto intimo con la natura. «Prima ho vissuto in Australia e poi in Canada. Quando sono tornato da Vancouver, però, mi sono reso conto che quel modo di “lavorare viaggiando” non era sostenibile sul lungo periodo, perché ti impone di fermarti a lavorare in una sola località e solo dopo iniziare a viaggiare con i soldi che hai accumulato. Sarei stato schiavo di visti e datori di lavoro, così ho iniziato a pensare alla possibilità di lavorare e viaggiare nello stesso momento», racconta Gianluca Gotto. Anche per il travel writer e

V

DIGITALE

NOMADISMO

Vivere senza vincoli fino a poco tempo fa sembrava un’utopia e l’idea di un’esistenza romanzata con zainetto in spalla veniva associata ad un’indole stravagante: un’immagine stereotipata di una realtà rivolta per lo più ai ragazzi, desiderosi di fuggire dal quotidiano e dalèquotidianità.nuovoicosachenealtreunadaglièamantidellosvago.Oggiquestolifestylediventatosemprepiùricercatoancheovertrenta,bisognosiditrovarevalvoladisfogoversolaricercadiaspettativedivita.Aspiegarlobe-èilnomadedigitaleGianlucaGotto,nelsuolibro“Succedesemprequal-dimeraviglioso”,mettesucartaconsigliperintraprenderequestomododiconsiderarelapropria«Ilnomadismodigitalelapossibilitàdilavorareinremotopropriocomputer,mentresigirail

Lasciano un posto fisso e si dedicano ai viaggi, finanziandosi con lavori da remoto. Ma intorno a chi cambia abitudini c’è anche una rete di fattorie per smart workers: servizi che muovono l’economia dei prodotti locali   Gianuca Gotto al lavoro al computer in un coworking mondo. All’inizio ciò che più mi affascinava non era tanto la prospettiva di lavorare viaggiando, ma la libertà tanto desiderata», spiega l’autore anche attraverso le pagine del suo blog. La maggior parte delle professioni, però, non sono tutte digitalizzabili, quindi, per adattarsi a questo cambiamento è necessario imparare ad osservare il mondo con occhi diversi. «Devi anche rivedere le tue convinzioni e le tue pretese: se cerchi un impiego a tempo indeterminato, di Salvatore Di Mauro

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Un camper sosta in mezzo alla natura nell’Australia occidentale Storie ImagesGettyFoto: 28 agosto 2022 87

La sua fantasia viene continuamente alimentata da queste stravaganti esperienze, con le quali questo giovane web writer arricchisce i suoi blog, prima fonte di sostentamento. «La creatività la trovo facilmente entrando in un aeroporto, volando con i pensieri, osservando le nuvole fuori dal finestrino, svegliandomi in una città sconosciuta

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Stili di vita

Gianluca Gotto in una spiaggia thailandese. Al centro un nomade digitale al lavoro in una casa ufficio nel deserto negli Stati Uniti blogger Gianluca Orlandi, libertà e creatività sono due elementi essenziali della sua attività da digital nomad. Il suo sogno era quello di lavorare all’estero e ci era riuscito, tanto da trovare in Inghilterra un ottimo impiego nel marketing. Dopo due anni di stabilità, Gianluca ha deciso di comprare un biglietto aereo di sola andata, abbandonando quelle che fino ad allora erano state le sue certezze ed eliminando il superfluo, eccetto uno zainetto contenente gli indumenti essenziali, un paio di scarpe e il suo laptop. «Viaggio con il bagaglio a mano da dieci chili anche perché ormai ho ben poco da metterci dentro. Sono diventato minimalista, prima di tutto per risparmiare e in secondo luogo perché portavo sempre con me più oggetti o vestiti di quelli di cui avevo realmente bisogno. Non ho un indirizzo fisso e cambio città quando ne sento il bisogno», spiega Gianluca Orlandi. Nel suo libro “Vita da nomadi digitali” raccono semplicemente sognando mete lontane. Ho dedicato a questo progetto gli ultimi anni della mia vita, andando contro ogni logica e buon senso che mi voleva ancorato ad un posto fisso, per raggiungere la libertà di vivere in tanti Paesi differenti» racconta Orlandi. Ma questo stile di vita “alla giornata” diventa anche un modo per ripopolare borghi abbandonati, grazie ai numerosi progetti che permettono alla folta schiera di smart workers di ritrovare tutte le comodità di un comune ufficio nonostante ci si ritrovi dispersi in qualche località incantata. È il caso di Borgo office, la farm supporting di Federico Pisanty, ovvero una piattaforma creata dalla collaborazione tra aziende agricole, agriturismi e borghi che offrono ospitalità ai nomadi digitali, chiedendo in cambio una quota simbolica per essere sostenuti. «Molti

ta con grinta la sua identità girovaga, continuamente a spasso dal Messico a Singapore, dalla Cambogia alla Spagna, passando ogni tanto per l’Italia e ritornando poi in Colombia, dove ha un’abitazione stabile. Per i suoi viaggi last minute, Gianluca ha in tasca tanti biglietti di sola andata e in testa soltanto pensieri in ordine sparso. «L’obiettivo era quello di perdere le vecchie abitudini e acquisirne di nuove, mangiare piatti da tutto il mondo che non avevo mai assaggiato prima, visitare alcuni dei posti più belli e tante altre cose che fino a qualche anno fa solamente sognavo».

lavoratori hanno l’esigenza di stare in smart working, così abbiamo coinvolto diverse aziende italiane, proponendo pacchetti gratuiti per gli smart workers, mentre loro acquistano prodotti locali come forma di riconoscenza per essere stati ospitati gratuitamente,» spiega il founder di Borgo office. La richiesta dei requisiti è comunque minima: wifi potente, fotocopiatrici, stampanti, scanner e una postazione di lavoro gradevole per il lavoratore da remoto, perché un bel contesto agevola la propria attività, rendendola più performante. Inoltre, dopo il lavoro, il nomade è invogliato ad esplorare il borgo che lo ospita, raccontandone la bellezza nei blog e attirando così un turismo di prossimità. Un concetto di benessere globale: agricoltura a chilometro zero e vendita al dettaglio sostenuta dai singoli workers in visita, che permetteranno di tenere in piedi delle aziende in difficoltà, lontane dall’usuale idea che il business Gianluca Orlandi a Hong Kong debba necessariamente essere fondato su pernottamento e ristorazione. Ma ad aiutare i nomadi digitali a trovare tutte le comodità è anche la piattaforma Smartway di Berardino D’Errico, nata con l’obiettivo di mettere in contatto i professionisti con strutture italiane ben attrezzate per il lavoro da remoto, evitando di far finire un nomade in un borgo sperduto privo di connessione. «Mangiare ottimo cibo, respirare aria pulita e ritrovare ritmi di vita più naturali si traducono in migliore produttività. I nostri borghi sono dotati di servizi utili ai lavoratori per massimizzare i benefici che il lavoro da remoto offre. Il posto deve essere a misura di worker e non di semplice turista. Un obiettivo è anche quello di incentivare lo sviluppo delle zone agricole, in modo da dare loro una seconda vita», spiega Berardino D’Errico. Viaggio, avventura e fantasia sono i punti cardine su cui i nomadi digitali vogliono far fiorire le proprie attività, così da lasciare un segno importante nella propria vita, e non solo.

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Ovviamente chi è stuzzicato dall’idea di intraprendere questo insolito cammino, è necessario che abbia almeno delle buone basi di informatica ed abilità nella comunicazione attraverso i social, principale mezzo di dialogo tra nomadi digitali e aziende. Al contrario, per vestire i panni da “girovago” moderno, non serve assolutamente essere benestanti, poiché ci sono tante professioni adattabili a questo stile: web writer, graphic designer, digital marketer e travel blogger, basta scegliere la chiave giusta. Figure vagabonde, sospese tra mito e realtà, di sicuro non chimere, ma talenti fortemente motivati, che coltivano empatia grazie al contatto umano e culturale, che si tengono distanti dalla normale comfort zone e sono elogiati soprattutto per quel pizzico di follia che non guasta.

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Il diritto alla salute Gli Usa hanno il tasso di morti legate al parto più alto tra i Paesi avanzati. Un record negativo speculare alle disuguaglianze sanitarie su cui si abbatte l’onda oscurantista. Un monito anche per l’Italia  MATERNITÀ FATALE Cure in gravidanza ma non per tutte  Così l’America anti-abortista condanna le minoranze etniche di Jessica M. Masucci 90 28 agosto 2022

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Storie

I n confronto agli Stati Uniti, la mortalità materna negli altri Paesi economicamente avanzati ha ben altre cifre. Anche in Italia. «Noi abbiamo un rapporto di mortalità materna pari a 8,58 morti materne ogni 100 mila nati vivi, stimato dal 2006 al 2017 per 13 regioni che insieme coprono l’81 per cento dei nati in Italia».Afornire il dato è Serena Donati, direttrice del reparto Salute della donna e dell’età evolutiva del Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute, dell’Istituto superiore di sanità. Donati, che è anche responsaUna paziente con la sua ecografia. A sinistra, una madre single  28 agosto 2022 91

l mondo post-Roe potrebbe diventare un luogo meno sicuro per la salute delle donne americane che, senza possibilità legale di scelta, dovranno affrontare una gravidanza. La decisione con la quale il 24 giugno la Corte suprema degli Stati Uniti ha rinnegato il precedente storico Roe v. Wade che garantiva l’accesso all’aborto, si è infatti abbattuta su un Paese già in crisi, con il tasso di mortalità materna più alto dei Paesi economicamente avanzati: nel 2020 era di 23,8 morti materne ogni 100 mila nati vivi, e da molti anni questo indicatore non fa che aumentare. Sono decessi spesso evitabili e c’è il rischio che negare il diritto all’aborto finisca per allontanare alcune donne dal sistema e dalle cure «L’effettonecessarie.saràavvertito soprattutto dalle donne con i redditi più bassi, le donne di colore, le donne che vivono negli Stati più restrittivi sull’accesso all’aborto», spiega a L’Espresso Munira Gunja, ricercatrice presso la fondazione privata non profit The commonwealth fund, che si occupa di equità nell’accesso alla sanità. Il problema infatti è che, se le pazienti corrono più pericoli, non si tratta tanto di una questione medica quanto sociale e politica. Le donne americane di colore rischiano quasi tre volte di più di morire per una complicanza dovuta alla gravidanza o al suo esito rispetto alle donne bianche: il loro Mmr (Maternal mortality rate) è di 55,3. Ma che cosa pesa di più, il reddito o l’etnia? Munira Gunja non ha esitato un istante: «Sono razza ed etnia il big factor, il fattore principale nel nostro Paese. Addirittura, le donne di colore che hanno frequentato il college hanno più probabilità di morire di parto di donne bianche meno istruite». La ricercatrice naturalmente ricorda che gli Stati Uniti non garantiscono la copertura sanitaria a tutti i loro cittadini; quasi 10 milioni di donne non sono coperte e milioni di altre hanno una assicurazione minima, rischiando spesso di pagare di tasca loro costi folli non solo per le cure in gravidanza, ma anche per quelle primarie. Un rapporto del The commonwealth fund evidenzia che il 52 per cento delle donne americane in età riproduttiva ha avuto almeno un problema nel pagare le cure mediche, magari perché l’assicurazione ha negato loro la copertura o le ha coperte solo in misura molto ridotta. I risultati sono controlli medici rimandati, esami, trattamenti e cure farmacologiche saltati, che si traducono spesso in condizioni di salute che se fossero state prese in tempo non sarebbero state fatali. Solo il 26 per cento delle donne in età riproduttiva crede nella validità del sistema sanitario americano. Circa la metà delle morti materne negli Stati Uniti, inoltre, avviene tempo dopo il parto. «Dobbiamo assicurarci che le donne abbiano accesso alle cure già da ben prima di restare incinte e anche dopo la gravidanza e che, soprattutto chi ha redditi più bassi, le donne di colore e le appartenenti ai gruppi sociali più vulnerabili, riceva le basilari cure di prevenzione fin da giovane», conclude Munira Gunja.

«L’ultima valutazione ha stimato la percentuale delle morti materne

Una donna allatta al seno il figlio il giorno dopo il parto mentre la figlia di un anno dorme sul divano di casa, a Dallas bile del Sistema di sorveglianza nazionale della mortalità materna, aggiunge: «Ci collochiamo alla pari di Francia, Regno Unito e Finlandia, mentre hanno dati leggermente più bassi l’Olanda, la Norvegia e la Danimarca. La Francia viaggia sull’8 per 100 mila, il Regno Unito sul 10, quindi siamo assolutamente in linea con Paesi con sistema sociosanitario simile al Calcolarenostro».questi dati non è stato semplice. La mortalità materna non riguarda solo i decessi che avvengono al momento del parto, ma tutte le morti che possono essere direttamente o indirettamente associate alla condizione della gravidanza, a partire dal concepimento fino a 42 giorni dopo l’esito, che può essere la nascita del bambino ma anche aborti spontanei, interruzioni volontarie di gravidanza e ancora altre possibilità. Per anni, nel nostro Paese e altrove, il la Norvegia del 62 per cento, la Slovacchia del 61, la Finlandia del 50 e la Francia del 36 per cento. Diciamo che noi, con il 60 per cento, siamo in linea con quello che è stato rilevato», afferma Donati. Avere chiare quali sono le reali dimensioni del fenomeno non è un tarlo da epidemiologi, ma è il punto di partenza per intervenire. Oltre alla raccolta affidabile dei dati, la sorveglianza sulle morti materne prevede che in presenza di un decesso per cause riconducibili alla gravidanza o al suo esito, il caso venga segnalato dall’ospedale o dalla clinica dove è accaduto e si avvii una complessa procedura di verifica, sia a livello regionale che nazionale. La conclusione è la risposta ad alcune domande, come: l’assistenza medica è stata adeguata? Che cosa si può migliorare? E, soprattutto, era una morte evitabile?

Un medico che compila il certificato di morte di una donna deceduta d’infartoe che ignora l’aborto spontaneo avvenuto un mese prima - potrebbe non ricollegare le due cose, e, pur potendo essere una morte materna, quel decesso non verrebbe registrato come tale. Dal 2008, in Italia si è iniziato a lavorare sull’associazione tra il certificato di morte e la scheda di dimissione ospedaliera, con una procedura detta record-linkage: quello che è venuto fuori è stato che sei morti materne su dieci mancavano all’appello. Il problema della sottostima non ha riguardato solo l’Italia: «Il Regno Unito ha rilevato una sottostima tra le due fonti del 56 per cento,

tasso di mortalità materna - Mmr secondo l’acronimo inglese - è stato gravemente sottostimato perché si basava solo sui certificati di morte.

Il diritto alla salute 92 28 agosto 2022

Protesta "Bans Off Our Bodies" ad Austin in Texas l’accesso alle cure prenatali appropriate.Esistono differenze tra le regioni. «Purtroppo il sistema sanitario di alcune regioni del Sud è più critico rispetto a quello di molte regioni del Nord, per minori risorse economiche e professionali ma anche per diversità in termini di capacità di programmazione, organizzazione e gestione dell’offerta assistenziale», afferma Donati, che poi esprime questo divario in numeri: «Per quel dato nazionale di 8,58 morti materne ogni 100 mila nati vivi, passiamo dal minimo di Friuli Venezia Giulia e Toscana rispettivamente con 5,18 e 5,49 fino al dato più alto, in Campania e in Sicilia, rispettivamente di 11,65 e Infine,12,24».bisogna tenere presente un ultimo punto per confrontarsi correttamente con il diritto delle donne a una gravidanza e a un parto sicuri: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, non c’è giorno in cui non muoiano nel mondo circa 800 donne per cause legate alla maternità che si potevano prevenire e il 94 per cento di questi decessi avviene nei Paesi più poveri, a basso o medio-basso reddito.Maanche da noi, nella parte privilegiata del mondo, è indiscutibile la necessità di lavorare per abbassare al minimo inevitabile la mortalità materna. Nonostante la situazione in Italia regga, e questo grazie al sistema sanitario nazionale che segue il principio dell’universalità, garantendo cure a tutti. «Lo manteniamo questo sistema? Perché se non lo manteniamo il nostro destino è già segnato», conclude Donati. L’esempio in negativo degli Stati Uniti, anche da prima del rovesciamento della Roe v. Wade, dovrebbe tenerci all’erta. RIPRODUZIONE

evitabili in Italia pari al 45 per cento», dice Donati, sottolineando che anche in questo caso il dato italiano non si discosta da quello di Paesi analoghi. Le cause delle morti evitabili sono in parte da attribuire a una assistenza non adeguata, e in parte a diseguaglianze sociali. L’esperta spiega che il rischio aumenta, per esempio, per le straniere: «Le donne con il rapporto di mortalità materna più alto, pari a 16 ogni 100 mila nati vivi, provengono dai Paesi a forte pressione migratoria, in particolare asiatici». Per le donne italiane un fattore che può fare la differenza è il livello di istruzione: quando è pari o inferiore alla terza media, il rischio raddoppia. Inoltre, le italiane con una istruzione elementare hanno un rischio più alto delle straniere di fare tardivamente la prima visita in gravidanza, utilizzata a livello internazionale come indicatore per valutare

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BEATRICE DONDI

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GINO

Il sapore inedito della serie diventata di culto ora che è su Netflix È triste a dirsi ma per una volta che la Rai si comporta da servizio pubblico il pubblico guarda il prodotto Rai quando passa altrove. È accaduto con “Mare Fuori”, una serie italianissima in cui, per sottolineare uno degli innumerevoli pregi, quando un protagonista cammina la macchina da presa non segue lentamente tutto il percorso se non è funzionale al racconto. Incredibile ma vero. Le due stagioni già passate sulla seconda rete senza il clamore che avrebbero meritato, perse su un canale a dir poco confuso, da quando sono disponibili su Netflix non si schiodano dalla classifica, i protagonisti diventano fenomeni e a decretare la consacrazione definitiva ci si mette persino una suora che blocca il bacio delle due attrici per uno spot. Che più sacro di così si muore. Le quasi ventiquattro ore di visione (una bella abbuffata non c’è che dire) trascorrono quasi interamente dietro le sbarre del carcere minorile di Napoli. E quando non si sta chiusi in cella con i ragazzi e le ragazze, si entra nella loro testa nel mondo del prima, quello in cui la pistola era lì per essere impugnata, la droga pronta per essere venduta, il coltello affilato per essere affondato. Il mare è fuori, come la libertà, come il desiderio di una vita altra, da possedere. Ma questa serie tra alti e bassi (una prima stagione davvero impeccabile, una seconda decisamente meno perché si sa che la tentazione della fiction è sempre in agguato) in realtà prova a raccontare il mare dentro, quell’onda anomala che scorre nelle vene di chi ha imboccato una strada che sembra segnata da altri. Da una famiglia, da un’appartenenza, da una deleteria scia di decisioni sbagliate che vengono sempre da molto, molto lontano. «Mai cercare di cambiare il destino figlia mia» aleggia sulle celle, come un mattone, come un omicidio, come il ringhio di un cane durante un combattimento. E c’è la camorra, ovviamente, con tutto quello che comporta il già visto seriale, la vendetta, l’onore, il rispetto, l’orrore. Ma soprattutto c’è l’adolescenza, nella sua furia insieme cupa e luminosissima, quell’età estrema in cui il futuro è il qui e adesso, in cui l’amore è per sempre, come l’odio, come il dolore che non passa se non trascinando con sé tutto quello che gira intorno. Un po’ “Orange is the new black” è un po’ “Skam”, certamente, ma anche un po’ “Mare Fuori”, perché quel luccichio dal sapore inedito rischia di diventare un bell’esempio. E se è una femmina si chiamerà Futura. RISERVATA

#musica

Dove si nasconde  il nuovo De André

C’è una vecchia battuta che torna

troverebbe.Deesistesseènelavrebbeunotrasformazioni:diquandonell’ambienteciclicamentemusicalecisonoperiodicrisiodigrandioggisesipresentassecomeDeAndréocomeGucciniqualchepossibilitàdifarsilargomondodellamusica?Èunabattuta,ovvio,nelsensocheseveramenteungiovaneall’altezzadiunAndréilmododivenirefuoriloMaladomandaèlecitase la estendiamo al range delle musiche possibili. Una cosa è certa, possiamo amare qualsiasi genere musicale perfino l’emo trap se ne abbiamo voglia, e pensare che sia l’unica possibilità espressiva al mondo, l’importante è che ci sia qualcun altro che invece prediliga la musica folk, qualcun altro il jazz, che ci sia qualcuno che voglia fare canzoni, altri musica dodecafonica, rumoristica, che ci siano le bande di paese, i cori alpini, il festival dell’ocarina, il rock dei Maneskin, le pallose e depresse canzoni dei cantautori, il cabaret, il rock sperimentale, il reggae, che ci siano metallari e rapper teppisti, tarantelle, musica barocca e poi perché no, Sferaebbasta, Rhove e Dua Lipa. Il bello della musica è sempre stato quello di rappresentare il regno del possibile, si può e si deve fare musica in mille modi diversi, se poi qualcuno vuole rinunciare a questa magnificenza e vuole ascoltare h24 solo le canzoni del suo autore preferito, beh, è un problema suo. L’importante è che il sistema musicale possa vivere della sua massima diversità, starei per dire biodiversità, anzi lo dico perché il paragone è stringente CASTALDO

94 28 agosto 2022 Ho visto cose/tv IL MARE DENTRO

Perché la specie umana continua a evolversi e in un futuro molto simile al presente saremo tutti un po’ mutanti. Dunque qualcuno cercherà di guidare le mutazioni, altri di reprimerle, altri ancora ne faranno un oggetto di piacere e di speculazione filosofica. Come in tutto il cinema di Cronenberg, che in fondo ruota intorno ad alcune attività fondamentali del genere umano, godere, soffrire, guardare.

E pensare, conseguenza inevitabile delle attività precedenti. Poco importa sapere come e perché Saul e Caprice, coinvolti in un delitto, saranno inseguiti e insieme corteggiati da due burocrati del Registro Nazionale Nuovi Organi (irresistibile la castissima scena di seduzione con Kristen Stewart), quindi costretti a superare sempre nuovi limiti. Conta sottolineare lo humour mai così esplicito, alleato a un pathos che ci porta al cuore, è la parola, del lavoro di Cronenberg. Nipotino di Kafka, certamente (“Nella colonia penale”) ma ossessionato dalla creazione anziché dalla Legge. Ovvero da ciò che il tempo fa ai nostri corpi. E che solo noi possiamo trasformare in bellezza.

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA “CRIMES OF THE FUTURE” di David Canada,Cronenberg107’ aaaab

Diciamo che è difficile, molto difficile, ed è un peccato perché con tutto il rispetto per la giovane musica italiana, a volte entusiasmante (anche questo lo sottolineo per evitare i soliti sgradevoli equivoci) potremmo perdere molto, o peggio ancora questo sistema potrebbe portare a una sorta di autocensura. Non c’è possibilità di fare musica diversa, tanto vale allinearsi e fare anche io trap, magari risultando un mediocre trapper e un mancato geniale cantautore.

ipa-agency.net/AlamyFoto: e molto calzante. Il rischio della stupefacente trasformazione in atto in questi anni è che utilizza sistemi che tendono a ridurre questa ricchezza stilistica. Senza entrare nel merito e senza mettere in discussione il valore di questa rivoluzione (lo ribadisco per non creare sgradevoli equivoci) le piattaforme sono un imbuto abbastanza stretto e stanno diventando quasi l’unica via di accesso. E così torniamo alla domanda iniziale. Sono un ragazzino, voglio fare musica, poniamo il caso che non abbia voglia di fare per forza trap, mi vengono in mente canzoni astruse, originali, emozionanti, oppure scrivo musica strumentale, magari sono anche un piccolo genio, oppure ancora voglio fare musica portoghese, scrivere canzoni in stile flamenco, oppure sono un nuovo De Gregori, ho qualche possibilità di fare ascoltare la mia musica a qualcuno?

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Un film in cui il limite tra umano e macchina è l’horror. O l’ironia Se il nuovo film di Cronenberg non fosse una meraviglia, bisognerebbe andarlo a vedere anche solo per godere delle macchine. Chi ha visto “eXistenZ”, “Il pasto nudo” o “Crash” sa di cosa parliamo. Macchine umane, fatte come pezzi di ossa o di carne perché destinate a interagire con il nostro corpo. Come ogni macchina, certamente, ma in modo - come dire - più organico. C’è un letto a forma di utero che dondola e oscilla appeso a certe liane che paiono tendini per aiutare chi vi giace a riposare e a lenire il dolore. C’è una specie di seggiola da dentista che ricorda una mascella e vi abbraccia e vi imbocca per digerire meglio. Poi c’è una macchina per fare autopsie, un po’ ostrica un po’ sarcofago, che ormai è un pezzo d’antiquariato e provoca brividi d’eccitazione negli amatori dell’arte più esclusiva, dunque proibita, che si radunano estatici per assistere a performance in cui la chirurga Caprice (Léa Seydoux) opera in diretta il suo compagno Saul Tenser (Viggo Mortensen), «artista del paesaggio interiore», rimuovendo con altre macchine gli organi, o forse sono tumori, che Saul produce spontaneamente. Il tutto provando e provocando un piacere imprevisto ma indubitabile (battuta chiave: «La chirurgia è il nuovo sesso?»)

28 agosto 2022 95 Scritti al buio/cinema CRONENBERG SCATENATO FABIO FERZETTI

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Mauro

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Finalmente il «qui comando io!» del benemerito Benito («Mussolini è stato un buon politico, il migliore degli ultimi 50 anni», diceva la Meloni) si riverbererà nella ragazza con gli stivali, diventati parte integrante del suo abbigliamento. Su consiglio di qualcuno che si intende di donne-immagine, la grezza Giorgia ha infatti modificato il suo aspetto e i suoi modi, sembrando più bella, nonché meno aggressiva per convincere certi moderati il cui voto incrementerà la sua lista. Ma non ce n’era bisogno, la Meloni balla da sola mentre la sinistra litiga in compagnia. Mi sa che stavolta Giorgia Meloni ha trovato davanti a sé un’autostrada libera e bella che la porterà dritta dritta ad affacciarsi dalla loggia di Palazzo Chigi per imporre i suoi giochi romani. Salvatore Monaco

SEGRETERIA

N. 34 28 AGOSTO 2022 TIRATURA COPIE 221.900 N. 34 - ANNO LXVII - 28 AGOSTO 2022 Certificato ADS n. 8855 del 05/05/2021 Codice ISSN online 2499-0833 DIRETTORE RESPONSABILE: LIRIO ABBATE CAPOREDATTORI CENTRALI: Leopoldo Fabiani (responsabile), Enrico Bellavia (vicario) UFFICIO CENTRALE: Beatrice Dondi (vicecaporedattrice), Sabina Minardi (vicecaporedattrice) REDAZIONE: Federica Bianchi, Paolo Biondani (inviato), Angiola Codacci-Pisanelli (caposervizio), Emanuele Coen (vicecaposervizio), Antonio Fraschilla, Vittorio Malagutti (inviato), Antonia

Cara Rossini, Giorgia Meloni, attaccata per la fiamma tricolore impressa sul simbolo di Fratelli d’Italia, fa intendere a chi la contesta che quella fiamma la condurrà a governare l’Italia. Rinunciarci proprio ora che a Palazzo Chigi stanno per accoglierla a braccia alzate, ops, allargate, sarebbe da stupidi. Quella fiamma si è rivelata una lampada votiva portatrice di voti, chi se ne frega se molti nostalgici con simpatie fasciste vi riconoscono la loro ideologia mai sopita. Il fascismo non è mai morto anche grazie a quella fiamma che l’ha tenuto sempre in caldo. E Giorgia, madre, sorella e cuoca, ha saputo girare e rigirare la frittata aspettando il momento propizio che pare sia arrivato. Lei sente dire tutti i giorni dai sondaggisti, dai giornali, dalle voci di corridoio che stavolta la destra ce la farà e che lei sarà la prima donna premier. Perché non dovrebbe crederci? È vero che al conclave chi entra papa esce cardinale, ma perché non sfruttare questo clima a lei favorevole? Se Giorgia conquisterà Palazzo Chigi le cose cambieranno da così a così e tutte le critiche rivolte ai governi pregressi troveranno soluzioni in quattro e quattr’otto; il suo piglio nel contestare tutto e bacchettare tutti servirà a mettere ordine in un Paese dove tutti hanno fatto il loro comodo.

96 28 agosto 2022 L’ESPRESSO VIA IN LUCINA, 17 - 00186 PRECISOCHE@ESPRESSOEDIT.ITLETTEREALDIRETTORE@ESPRESSOEDIT.ITROMA-ALTRELETTERE E COMMENTI SU LESPRESSO.IT Noi e Voi LA COSTRUZIONE DI GIORGIA RISPONDE STEFANIA ROSSINI [ STEFANIA.ROSSINI@ESPRESSOEDIT.IT ]

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Ma forse no, forse Fratelli d’Italia non vincerà con i margini raccontati, anzi minacciati, in queste ultime settimane. Ogni tanto in questo nostro impareggiabile Paese scatta un’attenzione esagerata per qualche personaggio della politica che, grazie soprattutto alla tv dove si fiuta l’aria e ci si cautela in anticipo (in scala minore si pensi a Renata Polverini che fu inventata dal nulla nelle trasmissioni di Floris), diventa il protagonista politico del momento. E, come ci fa intendere con ironia il signor Monaco, che c’è di meglio di una giovane donna, determinata e infaticabile, che ultimamente, ben pettinata e più snella, ha fatto sparire l’aggressività grossolana per cercare di assumere l’aplomb di una statista? Certo, è fascista e se ne vanta o, meglio, se ne vantava fino a ieri, perché oggi sorvola sul passato e fa qualche omissione sul presente. Chi non la vuole, e siamo in molti, si troverà come spesso negli ultimi decenni, a optare per un voto contro, scegliendo tristemente il meno peggio. Matarrese, Munafò (caposervizio web), Carlo Tecce (inviato), Gianfrancesco Turano (inviato), Susanna Turco Stefano Cipolla (caporedattore) GRAFICO: Martina Cozzi (caposervizio), Alessio Melandri, Emiliano Rapiti (collaboratore) Tiziana Faraoni (vicecaporedattrice) FOTOGRAFICA: Giorgia Coccia, Mauro Pelella, Elena Turrini DI REDAZIONE: Valeria Esposito (coordinamento), Sante Calvaresi, Rosangela D’Onofrio CONTROLLO DI QUALITÀ: Fausto Raso OPINIONI: Altan, Mauro Biani, Massimo Cacciari, Lucio Caracciolo, Franco Corleone, Donatella Di Cesare, Roberto Esposito, Luciano Floridi, Bernard Guetta, Sandro Magister, Marco Dambrosio Makkox, Bruno Manfellotto, Ignazio Marino, Ezio Mauro, Michela Murgia, Denise Pardo, Massimo Riva, Pier Aldo Rovatti, Giorgio Ruffolo, Michele Serra, Raffaele Simone, Bernardo Valli, Gianni Vattimo, Sofia Ventura, Luigi Vicinanza, Luigi Zoja COLLABORATORI: Simone Alliva, Erika Antonelli, Viola Ardone, Silvia Barbagallo, Giuliano Battiston, Marta Bellingreri, Marco Belpoliti, Caterina Bonvicini, Ivan Canu, Gino Castaldo, Giuseppe Catozzella, Manuela Cavalieri, Rita Cirio, Stefano Del Re, Alberto Dentice, Francesca De Sanctis, Cesare de Seta, Roberto Di Caro, Paolo Di Paolo, Fabio Ferzetti, Alberto Flores d’Arcais, Marcello Fois, Antonio Funiciello, Giuseppe Genna, Wlodek Goldkorn, Marco Grieco, Luciana Grosso, Helena Janeczek, Stefano Liberti, Claudio Lindner, Francesca Mannocchi, Gaia Manzini, Piero Melati, Luca Molinari, Donatella Mulvoni, Matteo Nucci, Eugenio Occorsio, Marco Pacini, Massimiliano Panarari, Gianni Perrelli, Simone Pieranni, Paola Pilati, Sabrina Pisu, Laura Pugno, Marisa Ranieri Panetta, Mario Ricciardi, Gigi Riva, Gloria Riva, Stefania Rossini, Evelina Santangelo, Elvira Seminara, Caterina Serra, Chiara Sgreccia, Francesca Sironi, Leo Sisti, Elena Testi, Chiara Valentini, Chiara Valerio, Stefano Vastano Cipolla Zendroni

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Il prolungamento della vita delle tre centrali del Paese è lo specchio della dipendenza dal gas russo. Ma la debolezza tedesca investe l'intera Ue

L’impopolare Scholz al dilemma nucleare

CanuIvanIllustrazione: Dentro e fuoriBernardo Valli

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98 28 agosto 2022

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ncheseilnuclearerappresenta in Germania soltanto circa il sei per cento della produzione di elettricità, le ultime tre centrali destinate alla chiusura potrebbero vedere la loro vita prolungata. L’emergenza spinge alla conservazione e al risparmio, in settori giudicati non indispensabili in tempi normali. La crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina può provocare, provoca, quel che era impensabile nella Repubblica federale dove l’avversione per il nucleare è per non pochi una ragion d’essere politica. Ideologica. Nell’Unione europea esso, sempre il nucleare, civile ben inteso, arriva a circa il venticinque per cento. Con la punta francese del settanta per cento (Le Monde). Il cancelliere Olaf Scholz non ha escluso che il funzionamento di quelle tre centrali nazionali, contrariamente al previsto, vada oltre il 31 dicembre. Una decisione in tal senso «potrebbe essere opportuna». Berlino si pronuncerà nelle prossime settimane, dopo le indispensabili valutazioni. Il cancelliere non gode di una stima che possa aiutarlo: deve affrontare le conseguenze di uno scandalo e la sua popolarità è ai minimi. Questo non l’aiuta ad affrontare le difficoltà dovute alla crisi, alla guerra vicina e coinvolgente in Ucraina. La conseguenza energetica del conflitto, in corso ormai da mesi nel cuore dell’Europa, ha un forte significato. Perché in veste anzitutto il principale paese dell’Unione. Accentuata dal fatto che è affrontata in Germania da una coalizione guidata da un socialdemocratico (Spd) che non gode della necessaria popolarità, e il cui vicecancelliere, Robert Habeck, incaricato dell’energia, è un esponente dei Verdi. Per i quali difendere quel che resta di nucleare nella Repubblica federale sarebbe una bestemmia: l’amor patrio renderebbe tuttavia tollerabile questa violazione almeno per alcuni. Il governo del Duemila, con Gerhard Schroeder cancelliere (Spd), aveva optato per un’uscita del Paese dal nucleare civile. Poi Angela Merkel (Cdu), diventata a sua volta cancelliera, non fu d’accordo, ma il grave incidente, la sciagura di Fukushima, in Giappone, più tardi le fece cambiare parere. La lettura del passato abbastanza recente non è favorevole né a Schroeder diventato, dopo il cancellierato tedesco, un alto dirigente della società russa del gas (carica di recente abbandonata), né alla Merkel, che a parte qualche polemica con Mosca, ha governato la Germania ricevendo dai russi, stando ad alcune stime, il cinquantacinque per cento del gas necessario all’industria tedesca, oltre che al riscaldamento delle case e ai fornelli delle cucine, sempre tedesche. La decisione del Cremlino di tagliare i rifornimenti alla Germania, che ha condannato con preoccupata fermezza l’invasione dell’Ucraina, ha creato una situazione più che imprevista. «The new Germany», come scrive The Economist, appare una potenza industriale destinata a dover funzionare per un certo tempo senza più l’energia sufficiente per tenere il ritmo che ha contribuito alla sua grandezza. Ma se avesse accettato la politica imperialista russa sarebbe venuta meno alla dignità nazionale. Sarebbe costato caro all’onore della Repubblica federale. Scholz riconosce: «Lo stato della nostra Bundeswehr e delle strutture di difesa civile, ma egual mente la nostra troppo forte dipendenza dall’energia russa, ci rivelano che ci siamo lasciati beffare da un falso sentimento di sicurezza» (Le Monde). A queste parole ne seguono altre più ferme, che il cancelliere pronuncia per dovere. L’imprevedibile Russia di Putin ha mancato la guerra lampo in Ucraina. Il conflitto dura più del previsto. I tempi si allungano. L’incerta situazione attuale ha messo in evidenza una forte resistenza ucraina. Al contrario degli Stati Uniti, e del loro deciso anche se non esaltante presidente, l’Europa stretta alle frontiere occidentali del conflitto non si è adeguata abbastanza alla situazione di guerra nel continente. Ha speso euro per le armi dei combattenti ucraini, ma anche e soprattutto per le proprie vacanze. Un non saggio equilibrio. Nel frattempo, senza dichiarare alleanze impegnative, i grandi Paesi asiatici: la Cina e altre nazioni, si preparano a manovre militari sul suolo russo. Manovre rituali, ma sospese da qualche anno, che adesso assumono un forte significato. È un conflitto ancora da scoprire. L’Europa in questo contesto da decifrare appare a volte perplessa a volte non abbastanza interessata o impegnata. Quel che risulta e viene sottolineata al momento è la situazione della Germania, indebolita dalla crisi del gas, che rischia di indebolire la sua industria. E quindi l’Europa di cui è larga parte. Un’Europa che ha fatto grandi progressi per rafforzare ed estendere l’Unione, ma che è rimasta ancora senza una vera difesa comune, e dipende essenzialmente dalla super potenza d’Oltreatlantico.

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