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MARKETING

MARKETING

di Sebastiano PORRETTA

La guerra dei marchi

Non era mai successo che i consumatori identificassero un prodotto farmaceutico da chi lo ha sviluppato, prodotto e distribuito, per non parlare del fatto che anche sui social media i nomi delle aziende farmaceutiche figurano da tempo fra i trend topic. Non credo ci sia nemmeno mai stato nessuno che abbia conosciuto, né tantomeno ricordato, il nome del vaccino anti morbillo, difterite, tetano, epatite B, parotite, varicella, mentre, come noto, i marchi dei vaccini per il Covid 19 si sentono (e si pretendono) come un buffet in cui i consumatori in realtà non hanno molta scelta. Alla fine non si sta riuscendo ad attenuare una temuta battaglia fondata sui marchi: l’uno, considerato il putiferio comunicazionale su forniture ed eventi avversi, ha tentato in extremis, quando ormai era troppo tardi, un’operazione di marketing per distinguere il proprio marchio da quello del prodotto, ma il tentativo non è stato avvertito da nessuno; l’altro, sfruttando i sentimenti molto favorevoli da parte dei consumatori durante la pandemia oltre al nome, ha lanciato il primo “rebrand” dopo decenni con un logo nuovo con l’obiettivo di evidenziare il passaggio dell’azienda da gigante diversificato dell’assistenza sanitaria a uno più finalizzato allo sviluppo di farmaci da prescrizione e vaccini capaci di curare e prevenire le malattie. Si tratta di un interesse del mercato più generalizzato che sta spingendo le maggiori aziende farmaceutiche a comunicare più apertamente i loro processi interni. Con riferimento al recente vaccino contro il Covid19, per evitare il rischio di predicare solo ai “convertiti”, cioè di promuovere a persone già ricettive al messaggio, viene impiegato un metodo di comunicazione indiretto che non mette in gioco il marchio. Ad esempio, Anheuser-Busch InBev per la prima volta in 37 anni ha saltato la pubblicità del proprio marchio al Super Bowl annunciando che avrebbe invece donato una campagna di sensibilizzazione sui vaccini. L’azienda Krispy Donut ha offerto una ciambella gratuita a chiunque si fosse presentato con una tessera di vaccinazione e per evitare di alienare i clienti che avessero assunto la decisione altamente personale di non vaccinarsi, questi ultimi avrebbero comunque potuto ricevere una ciambella per un periodo definito.

Il farmaceutico, come sappiamo, è un settore sempre più contiguo con l’alimentare, seppure con regole molto diverse: non dimentichiamoci, ad esempio, quanto incida il nome commerciale di un farmaco, che è capace di creare aspettative nel consumatore in termini di efficacia e sicurezza in un modo talmente potente che nel settore alimentare verrebbe sanzionato. Una scelta semantica e linguistica sul piano psicologico che attiva l’immaginario e anticipa la prestazione del prodotto, orientando in tal modo atteggiamenti, motivazioni e memorizzazione del consumatore in merito alla scelta. La strategia adottata dal settore per costruire il vero elemento distintivo consiste nell’evitare di comunicare il lato razionale della proposta, quale efficacia, sicurezza: in tal modo si entrerebbe in una guerra esclusiva di prezzi o vantaggi, mentre conta di più umanizzare il marchio per renderlo un elemento della nostra quotidianità capace di rassicurarci.

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