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LO SPAVENTAPASSERI

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FUTURO (IN)C ERTO

FUTURO (IN)C ERTO

chi scappa dalla cultura si fa scappare la cultura e rimane fermo al palo

Lucilla Cremoni

La cultura come materia prima è il titolo dell’incontro a “quattro mani” in cui Chiriotti Editori e Associazione Pièce hanno illustrato in quel di Sigep 2023 la filosofia che, da sempre, informa il loro lavoro e le accomuna nelle rispettive aree di interesse e attività: offrire opportunità di formazione e divulgazione di qualità per stimolare i professionisti (affermati e in divenire) a considerare la cultura come una materia prima; a studiare, curando i concetti che elaborano e il modo in cui li esprimono con la stessa meticolosità con la quale selezionano gli ingredienti; ad affinare la tecnica e cesellare le presentazioni. La parola “cultura” è impegnativa. Tanti ne sono intimoriti e per esorcizzarla mostrano di disprezzarla (l’ineffabile “con la cultura non si mangia” detto da un ministro della Repubblica) o la riducono a macchietta: eloquio ampolloso, erudizione esibita, noia. È comprensibile: gli stereotipi rassicurano, incasellando tutto in categorie stagne. Ottuse, perché la cultura è tutt’altro.

È vero, per “farsi una cultura” non ci sono alternative: bisogna faticare, studiare, leggere, imparare, assimilare informazioni e nozioni. E il risultato di questa fatica, anche quando è certificato da diplomi o lauree, non è già di per sè cultura, però ne è base indispensabile. Come la sola padronanza tecnica non fa il pasticciere ma è imprescindibile.

Ma allora, cos’è cultura? È “quel che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto”. Nelle definizioni da dizionario, è “quanto concorre alla formazione dell’individuo sul piano intellettuale e morale e all’acquisizione della consapevolezza del ruolo che gli compete nella società”. Una cultura di base ci dà le parole e le parole sono gli ingredienti del pensiero, sono il pensiero: conoscerne il significato e le sfumature vuol dire essere in grado di elaborare, organizzare ed esprimere il pensiero. Ci rende consapevoli, e la consapevolezza rende liberi.

Sì, ma cosa mi dà, in soldoni? Perché mai, se voglio passare la vita a fare pasticcini e dessert, dovrei avere un’infarinatura di storia, geografia, letteratura, arte, musica o politica? Banalmente, perché sono una persona e non una carota.

Sapere tutto di qualcosa (che sia la fisica quantistica o il panettone) e disinteressarsi a tutto il resto ci rende esseri umani aridi e incompleti. Il motore principale della cultura è, prima di tutto, la curiosità, la voglia di vedere, fare e capire, allargare i propri orizzonti, mettere in dubbio i dogmi. La curiosità ci porta a esplorare; la cultura ci dà gli strumenti per cogliere dettagli e fare collegamenti, capire e tradurre le percezioni in idee e progetti.

Poi, se vogliamo essere ancora più prosaici, possiamo elencare alcuni vantaggi molto pratici dell’avere almeno un po’ di cultura generale.

Migliora la soglia di attenzione, accelera la comprensione di un discorso o di un testo (manuale, ricetta, regolamento, norme legislative), aiuta a focalizzare e coordinare meglio anche gli aspetti gestionali e amministrativi del lavoro.

Aumenta esponenzialmente la capacità di valutare le fonti e informarsi in modo efficiente e corretto, facendo risparmiare tempo ed energie.

Amplia la visuale, aiuta ad acquisire un’equilibrata visione di se stessi, a contestualizzarsi come persone e professionisti. Un po’ di cultura può aiutare ad affrancarsi dall’acquiescenza a consuetudini vessatorie (come orari e ritmi impossibili) e dalla sudditanza psicologica nei confronti di personaggi con più ego che scrupoli.

La cultura è “quel che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto”

Visione E Rivoluzione

Le generazioni precedenti, i giganti sulle cui spalle noi ci arrampichiamo per vedere lontano, l’avevano capito benissimo. Fin dagli anni Settanta del Novecento, infatti, quelli che sono ora considerati i grandi Padri (e Madri!) Nobili dell’arte dolciaria hanno allargato le prospettive a una visione più ampia, in grado di cogliere i ritmi e le istanze dei tempi e applicarle alla pratica quotidiana. Maestri immensi come Fulvio Scolari, Luca Caviezel, Mario Morri o Eliseo Tonti, e molti altri, sono stati largamente autodidatti, perché la loro generazione non aveva le opportunità formative alle quali possono accedere oggi i ragazzi. Allora si imparava in bottega, puniti per gli errori ma raramente guidati: “guarda e impara” era il motto. Ma a loro non bastava imparare a riprodurre i gesti, volevano capirne il senso, e nel capirlo hanno preso a picconate il macigno del “si è sempre fatto così”, scoprendo che si poteva fare diversamente e meglio. Sono stati pionieri ed esploratori, hanno seguito e stimolato il progresso della tecnologia, dei processi produttivi, delle consapevolezze igienico-sanitarie, dell’evoluzione del gusto e dello stile. Hanno innovato e rigenerato il settore. Ma la forza della loro azione si è potuta manifestare solo perché alla ricerca e al lavoro in laboratorio hanno aggiunto la visione: hanno compreso la necessità di codificare il lavoro su basi scientifiche; di stimolare il confronto dandogli l’autorevolezza e il respiro internazionale delle grandi rassegne, fiere e concorsi; di far crescere le competenze dei singoli; di rivendicare il peso economico e sociale della categoria e del mondo che attorno ad essa gravita; di comunicare in modo sistematico ed efficace alla categoria e al pubblico.

Fra le menti di questo grande processo spicca quella, formidabile e rivoluzionaria, di Emilia Coccolo Chiriotti. La sua rivoluzione parte

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