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“EVADERE DALLA VITA CI FA PERDERE LA FESTA”

GUBBIO SI APPRESTA A CELEBRARE UN’ALTRA FESTA DEI CERI , PRECEDUTA DALLE PAROLE FORTI DI DON MIRKO ORSINI CHE INVITANO OGNI CERAIOLO A SCEGLIERE CIÒ CHE È ESSENZIALE, RICHIAMANDO VALORI DI AMICIZIA E FRATELLANZA.

“TROPPI EVENTI COLLATERALI SONO SOLTANTO SINONIMO DI EVASIONE. SI CORRE NON VERSO UN LUOGO MA VERSO UN INCONTRO COL SANTO ”

di ROBERTO BARBACCI

C’è un detto che dice che a Gubbio i Ceri durano tutto l’anno, e forse qualcuno l’ha preso a un po’ troppo alla lettera. Perché basta davvero poco ormai per ammettere che una buona maggioranza di ceraioli non sa stare senza la festa (anche se qualcuno la scambia più per la corsa), tanto da parlarne senza sosta durante qualunque mese o periodo dell’anno. Ogni scusa è buona per pensare ai Ceri, seppur così facendo il rischio concreto è di svilirne il significato e l’essenza più pura della festa. Che ha perso molto della sua spontaneità, quasi cristallizzata di fronte alla necessità di apparire, prima ancora di essere.

UNA NUOVA PROSPETTIVA. Le parole pronunciate da don Mirko Orsini, cappellano dell’Università dei Muratori, durante l’omelia della celebrazione eucaristica che ha preceduto il ritorno in città dei Ceri hanno sortito l’effetto desiderato: servivano a scuotere le coscienze, e hanno detto una volta di più una verità da molti sostenuta, ma mai realmente denunciata. “I ceraioli ormai arrivano al 15 maggio stanchi, perché vittima di tanti, troppi eventi collaterali che rischiano di uccidere una volta per tutti lo spirito della festa. Non si può arrivare in questo luogo se si parte dalla città già stanchi. Anzi, forse è giunta l’ora di cambiare la prospettiva stessa di ciò che significa correre con il peso della stanga sulle spalle: non si arriva in un luogo, ma si arriva a un incontro con Sant’Ubaldo. Che non diventa una meta da inseguire in senso fisico e materiale, quanto piuttosto un punto di unione con il Santo, che viene verso di noi per incontrarci. E che di tutto quel che succede prima non sa proprio cosa farsene”. Il richiamo è rivolto anche a ciò che ha lasciato in eredità la pandemia, con due anni di stop forzato della festa che pure, a sentire don Mirko, non sembrano aver insegnato poi tanto. “In quel periodo tutti ci sentivamo più uniti, perché privati di una gioia collettiva. E in quei momenti sottolineavamo anche quanto fossero già note le storture legate a troppi eventi che con i Ceri poco o nulla avevano a che vedere. Situazioni create per evadere dalla vita, dove l’unica cosa che conta è ricominciare a evadere il giorno seguente. La pandemia avrebbe dovuto insegnarci tanto, ma se siamo stati capaci di riportare le lancette all’8 marzo 2020 come se nulla fosse successo, allora probabilmente non siamo stati in grado di cogliere l’opportunità che un momento così doloroso ci ha mostrato”.

TOGLIERE IL SUPERFLUO. La festa alle porte rappresenta allora l’occasione per guardare avanti, imparando ad apprezzarne le cose semplici. La società contemporanea più volte s’è dimostrata fallace, illudendo soprattutto le giovani generazioni che tutto (inclusi gli eccessi) potesse apparire facile e scontato. Le parole di don Mirko hanno risuonato forte in questi giorni di attesa dove una comunità intera ha potuto nuovamente confrontarsi con se stessa, consapevole che la metafora della “corsa della vita” valga più di qualche spicciola parola pronunciata in sparute occasioni. Il tema meritebbe una riflessione seria, condivisa e approfondita: qualche “magnata” in meno non farebbe proprio male a nessuno, evitando anche di creare facili e futili protagonismi. Così come a nulla servono le tante “chiamate” ricevute dai Capodieci dei tre Ceri per andare a parlare nelle scuole, a casa di qualche eugubino o in luoghi (fatte le dovute eccezioni) dove il loro ruolo non trova neppure il modo di essere apprezzato (i ceraioli li hanno scelti per guidare la corsa e le rispettive zone negli anni a venire, non per andare a presenziare in ogni dove). “Mitizzare” certe figure è l’ultimo passo prima del non ritorno: chi ha orecchi per intendere, intenda.

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