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cultura europea medievale e moderna.817 Nondimeno, in ambito storicopolitico, la persistenza degli istituti di origine teologica medievale entro l‟apparato concettuale moderno, vieppiù secolarizzato, è stata dovuta, per un verso, alla articolazione, più o meno flessibile del “corpo politico” entro la struttura statuale, e per l‟altro alla capacità riservata al Dignitario, ossia al titolare ideale della dignitas, di conservare una qualche prerogativa di Governo morale, la quale, proprio perché distinta idealmente e funzionalmente dalle prerogative del Potere politico, manteneva un suo ufficio di legittimazione degli atti imperativi del legislatore. Il primo aspetto, diede origine alla struttura parlamentare della rappresentanza del corpo politico, che riuscì in qualche modo a trasferire entro la dialettica della rappresentanza politica degli interessi sociali il pluralismo originario del sistema feudale medievale, facendo dei moderni partiti politici degli aggiornati instrumenta coniuncta del corpo elettorale, versione secolare del teologico corpo mistico. La diffusione del parlamentarismo, non a caso, interessò le strutture statuali più fortemente radicate nella tradizione feudale europea, ma sempre in stretta concomitanza alla rilevanza istituzionale che la legittimazione storico-culturale assegnata alla dignità del Governo morale. Questo aspetto, infatti, non rilevava ai soli fini dell‟astratta ingegneria costituzionale, e dunque al mero bilanciamento tecnico delle funzioni istituzionali, ma ineriva precipuamente al ruolo morale riservato religiosamente alla persona dignitaria indicata come la titolare degli ideali “due corpi del Re”. E‟ indubbio che le forme politico-istituzionali

817 Prima, dunque, della rinascita aristotelica, che interessò prevalentemente la riabilitazione esplicita della metafisica naturalistica greca, che rimaneva comunque implicita nell‟ontologia platonica. Significativamente, il corpo fisico e tangibile della persona empirica, fu indicato dai giuristi laici come “corpus verum”, mentre l‟entità giuridica (universitas) e sociologico-politica (populus) fu indicata come “corpus mysticum” o “fictum”, con una inversione dell‟originario principio ontologico di realtà, che considerava “vera” la realtà ideale eterna e non quella empirica transeunte. “Dopo che san Tommaso aveva ecclesiasticizzato il Filosofo, […] Goffredo di Fontaines, un filosofo belga del tardo XIII secolo, riuscì ad integrare con grande precisione il corpus mysticum negli schemi aristotelici”, per cui esso non fu più concepito come “una creazione soprannaturale, ma un dono di natura”, con la sostituzione della “natura” alla “grazia” divina: Ivi, pagg. 180 e 181. 410

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che maggiormente riuscirono stricamente ad armonizzare questa ideale correlazione tra Potere e Governo furono la Chiesa cattolica, orientata verso una rappresentazione terranea ed eurocentrica del governo divino, e l‟Inghilterra anglicana, 818 secondo una versione marittima e mondialistica superatrice dello spazio dogmatico teologico-politico continentale,819 le quali riunirono in una stessa persona giuridicoreligiosa la dignità morale e la sovranità politica. La conseguenza diretta fu la stretta correlazione tra l‟universo di senso teologico e quello di senso politico, che si intersecarono inestricabilmente a definire un‟area semantica che ha strette attinenze con la vita civile, che assumeva una dimensione quasi sacrale, che era il rovesciamento speculare in senso profano del carattere politico assegnato alla patria celeste da Agostino. L‟idea di una patria non più solo letteraria o celeste ma politica, trasferisce la charitas verso il prossimo e la sua travagliata esistenza in un amor patriae localizzato, a difesa del quale si poneva non una militia coelestis ma armata, il cui sacrificium per gloriam venne comunque considerato alla stregua di un opus divinum ed equiparato alla beatitudine del martirio spirituale.820 La caratterizzazione idealistica della patria come entità mistico-politica, trasferendo in essa le prerogative riservate alla Chiesa e all‟Impero universale, stabiliva un rapporto di equivalenza morale tra quella che era stata la communis patria trans-nazionale e la patria propria di carattere territoriale e nazionale, diversa a sua volta da quella locale (la patria sua del Digesto, intesa come pays o Heimat), conferendole un carattere idealmente universale di corpus mysticum patriae (o reipublicae) sul modello aristotelico del corpus morale et politicum, astratto da ogni grandezza geografica e connotato da “quel codice di

818 Il giurista John Fortescue, contemporaneo del Cusano, nel suo De laudibus legum Angliae definì l‟Inghilterra “dominium regale et politicum”, mentre il trinomio di Re, Lords e Comuni furono paragonati alla divina Trinità e le procedure parlamentari all‟officio di una messa. Ved. E.H. Kantorowicz, I due corpi del Re, cit., pagg. 194-195. Ciò a riprova ulteriore della giustezza storica della tesi di Schmitt. 819 Epimeteo, Finis Europae, cit., pagg. 193-197. 820 E.H. Kantorowicz, I due corpi del Re, cit., pagg. 210-211 e 220. 411

etica patriottica che venne allora delineandosi per restare poi comunemente accettato sino ai giorni nostri”, sul quale ha insistito l‟umanesimo eroicizzando l‟eroe patriota e modellando la moderna mentalità laica, contrapponendolo al corpus mysticum ecclesiae. 821 La insuperabile differeza tra i due corpi di Cristo e i due corpi del Re risiedeva sul carattere trascendente della regalità cristica, ossia sulla fides cristiana nel Governo divino, distinta dalla ratio delle sue forme teologico-politiche umane, laddove il concetto di Stato assorbì le due dimensioni nella sola potestà regale giuridicamente assoluta e politicamente totale. Le due dimensioni autoritative furono distinte da Dante come Governo morale degli uomini, necessario a seguito del peccato originale, rappresentato dal “papatus”, e come Potere politico sulle moltitudini che, per mancanza di maturità di senno, vivono in una condizione di “puerizia d‟animo”, espresso dallo ”imperiatus”.822 Il Potere politico s‟impone dunque poiché, come dice il Poeta, “la maggior parte de li uomini vivono secondo senso e non secondo ragione, a guisa di pargoli; e questi cotali non conoscono le cose se non semplicemente di fuori, e la loro bontade, la quale a debito fine è ordinata, non veggono, per ciò che hanno chiusi li occhi de la ragione, li quali passano a veder quello”. 823 La duplice mancanza, l‟una morale e l‟altra intellettiva, impedisce ai più di essere un “uomo perfetto” (optimus homo), che è modello esemplare del genus humanum su cui commisurare il valore di chi ricopre l‟ufficio papale e quello imperiale, essendo rispettivamente “maxime unus in genere suo”.824 I due generi rispecchiano la duplice realtà umana, volta per un verso, quello divino, allo spirituale, e per l‟altro, quello naturale, al materiale. Rispetto al filosofo pagano, l‟Uomo perfetto cristiano ha in sé la natura divina, che fa del suo spirito una componente eterna della sua vita terrena. Se fosse unicamente terrena e politica la natura umana, basterebbe all‟uomo coltivare il solo senno razionale, e dunque ricercare l‟ottimo vivere solo per il versante

821 Ivi, pagg. 212-213, 229-230. 822 Dante, Monarchia, III, XI, 52-57, pag. 264. 823 Dante, Convivio I, 4, 3. 824 ved. E.H. Kantorowicz, I due corpi del Re, cit., pag. 394. 412

della saggezza politica. Ma l‟uomo cristiano, illuminato dalla Grazia, ha conseguito, tramite la Rivelazione del Cristo, la sua anima spirituale e divina, per cui ogni mancanza morale va riportata alla insufficiente consapevolezza della sua originaria caduta, ignota alla sapeinza antica. Voler stabilire una lotta tra le due nature umane, significa misconoscere l‟essenza stessa dell‟Uomo, e dunque ignorare lo stesso aradigma del Cristo uomo-dio. Proprio in considerazione di questa perturbazione morale e intellettiva è necessario all‟uomo comune, ossia alla gran masssa, avere a guida morale il Papa e politica l‟Imperatore, ossia entrambi. Sicché nessuno dei due può prevalere sull‟altro senza venir meno alla sua missione trascendente, di conciliare per quanto umanamente possibile le due nature distinte dell‟uomo, che si uniscono solo nel modello perfetto. Il corpus morale della Chiesa, misticospirituale, va pertanto armonizzato al corpus politicum del regno secolare, l‟Impero, guidato secondo ragione. La ragione umana, nondimeno, non può essere intesa alla stregua della filosofia pagana, ossia un sistema di concatenazioni concettuali necessarie e corrispondenti,825 perché se così fosse non si comrenderebbe il fine della Grazia e il ruolo dello spirito nella esistenza umana. In tal senso, perciò, così come non ha ragione che il Potere imperiale combatta e fronteggi il Governo morale del papa, non ha senso che la ragione umana confuti la natura divina dell‟uomo, come invece aveva fatto la filosofia nei confronti del Mito pagano. E dunque, se la stessa sapienza antica si era sviluppata attraverso la contrapposizione del Logos al Mito, e duqne come una mito-logia, non poteva essere lo stesso per la ragione umana verso l‟anima spirituale

825 “Il significato del termine „sistema‟ […] ha di mira sempre e comunque un insieme deduttivo in cui ogni cosa sia collegata ad ogni altra, in cui una catena speculativa conduca dai principi primi alle ultime conseguenze. Ora, proprio l‟idea di tali sistemi era radicata in una convinzione assiomatica: che esistesse una catena dell’essere, che la catena specuativa non poteva che riprodurre. Deve esistere un sistema di pensiero perché l‟essere stesso costituisce un sistema. L‟ordine della dimostrazione riproduce l‟ordine dell‟essere. ciò che è „primo‟ nella teoria è anche primo nella realtà, il principio effettivo delle cose”: H. Jonas, L’anima nello gnosticismo e in Plotino (1969), tr. it. in Dalla fede antica all’uomo tecnologico cit., pagg. 452-453.

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dell‟uomo: la prima espressiva della condizine politica, l‟altra della condizione ecclesiale. Ma dovevano armonizzarsi per superare la condizione imperfetta di divisione storica (humanitas). In questo senso, la Monarchia di Dante prefigura un eone armonico in cui gli astratti modelli antropologici che ancora si combattevano avrebbero trovato “quodammodo” il loro superamento “ad immortalem felicitatem” rappresentata dalla “christianitas”. Il concetto di christianitas in Dante sta a indicare una condizione spirituale superiore a quella humana civilitas, caratterizzata dalla condizione politica descritta da Aristotele e interessante tutte le culture umane classiche, ma superiore anche alla condizione ecclesiale, tragicamente divisa da quella politica, che caratterizzava i soli cristiani romani, confinati alla teocrazia del “papatus”. La Cristianità cui pensa Dante era universale, non più solamente circoscritta agli antichi confini imperiali romani. Egli non “tolse l‟ „umano‟ dal campo cristiano e lo isolò come valore autonomo”, come è stato affermato,826 ma indicò nella condizione civile dell‟uomo quel fondamento naturalistico che non si doveva ignorare, ma che comunque andava trasceso, e non semplicemente distinto e combattutto o assecondato. Ciò che Dante contesta è propriamente l‟idea di una cristianità separata dal resto dell‟umanità e circoscritta a un‟area religiosa e culturale determinata (l‟Europa di Novalis). Egli trasferì nel concetto universale di “Monarchia” la condizione di “imperiatus” che storicamente era rappresetata dall‟Imperium romanum, che in quanto tale non era più proponibile, ma acquisibile come esempio storico imperfetto di quella humana civilitas che, caratterizzata dalle virtutes intellectuales, andava integrata dalle virtutes divinitus infusae della christianitas, a sua volta non più circoscritta alla limitata sfera del “papatus” ma estesa a tutto il genere umano. Solo attraverso una reale universalizzazione delle fino ad allora ristrette rappresentazioni della humanitas e della christianitas si sarebbe giunti per Dante alla finale realizzazione della organica christianitas universa, interessante tutto il genere umano, finalmente congiunto nel vivere la provvidenziale “pienezza dei tempi”,

826 E.H. Kantorowicz, I due corpi del Re, cit., pag. 399. 414

rappresentata dall‟incarnazione di Cristo (Gal., 4, 4).827 Esattamente l‟esigenza di universalizzare in senso effettuale il principio moralespirituale, come già il principio etico-filosofico, implicava il ricorso all‟elemento politico come strumentale al conseguimento del fine morale (felicitas practica), riabilitando però con ciò stesso, assieme alla “libera forza dell‟intelletto”,828 la logica di dominio di Cesare, il Potere, avallandone surrettiziamente la sua funzione esclusiva, pure criticata, e pertando operando quella metabasi dell‟astratta tesi nella sua concreta antitesi di cui si è detto. Ciò che Dante condivise con la sapienza pagana fu quanto la stessa teologia cristiana aveva acquisito, ossia l‟idea di una universalità realizzata storicamente e trasferita dal mondo ideale della ragione alla realtà in divenire del mondo, per fermarne il corso in una definizione perfetta ed eterna. E viceversa, ciò che Dante non intese del messaggio evangelico fu il suo richiamo alla concretezza esistenziale dell‟uomo, alla sua unità mistica con Cristo e politica con gli altri uomini, senza possibilità di confusione tra le due dimensioni. Il battesimo cristiano significava una rinascita spirituale, e non etico-politica, come pretendevano gli zeloti.829 Trasferire nella dimensione socio-politica l‟unità mistica della chiesa spirituale equivaleva a secolarizzare non già

827 Non condivisibile la tesi di Kantorowicz, che fraintende il senso del richiamo dantesco all‟Impero romano, così come il rapporto tra christianitas e humanitas. Ved. Id., I due corpi del Re, cit., pagg. 400 sgg. e 415 sgg. 828 Ivi, pag. 404. “Quindi, concludeva Dante, la monarchia universale era necessaria per assicurare l‟attuazione perpetua dell‟intera humanitas; in senso qualitativo e quantitativo”: Ivi, pag. 405. Proprio l‟ipotesi razionalistca della realizzazione dell‟ideale segna il dominio della astratta ragione, della voluntas non sostenuta e guidata dalla Grazia, che si trasforma in voluptas, in volontà di potenza.

829 Diversamente E.H. Kantorowicz, I due corpi del Re, cit., pag. 416, alla cui acribia sfugge l‟evidenza simbolica che al Purgatorio segua il Paradiso, per il quale compagna di Dante, vate dell‟eone cristiano, è Beatrice, l‟immagine della Grazia dispensatrice di Beatitudine che assiste divinamente la sapienza umana, e non più il pagano Virgilio, il cantore della poesia classica e del mito imperiale di Roma, assistito “dalle sole forze dell‟intelletto e della ragione umana” (Ivi, pag. 419).

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la Verità di fede, ma solo l‟errore umano insito nella ipotesi razionalistica di poter realizzare un astratto modello ideale. Reale e concreto, per la visione crstiana, è soltanto la singola esistenza personale, a sua volta non traducibile, per la sua unicità singolare, in una astratta persona, ossia in un concetto. La gradezza della predicazione di Gesù fu di aver sfatata l‟illusione di poter trovare negli astratti enti collettivi quella realtà dell‟Essere universale ed eterno che invece solo è rinvenibile in interiore homine, nella coscienza della fede nella Verità come divino Mistero, inaccessibile al Potere, che domina il collettivo in quanto corpo politico, e non mistico. Sullo spirituale solo di Dio è il regno. E sul campo spirituale, per il cristiano, andava trovata la salvezza, non sul piano politico, in quanto l‟Uomo non è “un‟idea di ottimo uomo”, ma una concreta singolarità storico-spirituale. 830 La dottrina cristiana, della quale si faceva sommo interprete Dante, non poteva pertanto essere brandita per scopi politici, essendo il contenuto umanamente comprensibile della Rivelazione sulla natura divina dell‟uomo. Cristo funge da memoria storica della condizione adamitica originaria, andata perduta dalla sapienza pagana, concentrata sui soli rapporti sociali, inter-umani e dunque politici. L‟umanesimo cristiano di Dante non può dunque separare le due nature, divina e naturale, né tantomeno tornare all‟umanesimo pagano, ossia a un‟antropologia immanentistica che pone l‟uomo nell‟esclusivo orizzonte esistenziale del politico, il cui strumento poetico è i Mito e quello concettuale la filosofia. E questo non potere deriva, non già da una costrizione logiconaturale o tradizionale, ma dalla consapevolezza interiore della coscienza, ossia dalla fede, la quale non giustifica razionalmente i suoi contenuti ma li pone in conseguenza della fiducia amorevole in Dio. Lo spostamento del baricentro noetico dalla necessità razionale, che consegue e giustifica l‟atto di fede nella verità del , alla libertà della , che fonda ogni pensiero e precede ogni atteggiamento pratico, costituisce un avanzamento della coscienza umana dal piano orizzontale dell‟uni-versale storico-geometrico a quello verticale dell‟in-finito e del tempo eterno. Tra le due dimensioni, della ragione e della fede, la differenza essenziale è nella esigenza uniforme ed esclusiva della prima e in quella unitaria e inclusva della seconda. Solo

830 Cfr. invece E.H. Kantorowicz, I due corpi del Re, cit., pagg. 422-423. 416

all‟interno dell‟orizzote di fede, infatti, è possibile co-esistere col prossimo senza confliggere e negare, mentre la negazione ed esclusione dell‟altro-da-sé costituisce il rapporto metodico che la ragione stabilisce nel vario molteplice, nel tentativo incessante di dominare l‟altro assoggettandolo al sé, uni-formandolo. Ed è proprio questa ratio dominii a costituire l‟essenza stessa del Potere, che domina senza amare, e che lo distingue dal Governo, il cui fine è di legare con l‟amore per l‟altro ciò che il Potere scioglie con la ragione di sé. Una Monarchia che fosse solo un dominio globale avente ad oggetto il Potere dell‟uomo sull‟uomo, non costituirebbe un avanzamento qualitativo sul piano della coscienza spirituale, erché comunque circoscritto alla misura della finitezza e del transeunte, ossia di quella humana civilitas e di quell‟Imperium romanum già conosciuti storicamente e consegnati all‟esperienza del passato. Il problema di Dante è simile a quello avvertito a suo tempo da Platone: costruire un Regno duraturo e di pace non temporanea per l‟uomo di ogni tempo. Solo assistito dalla Grazia, rappresentata da Beatrice, il cristiano sarà “sanza fine cive / di quella Roma [imperiale] onde Cristo [e non l‟imperatore] è romano [cioè cattolico]”. 831 La differenza è che mentre la Repubblica filosofica sarebbe un ideale iperuraneo da realizzare in terra con gli strumenti della sapienza umana, ossia la filosofia e le sue applicazioni etico-politiche, la Monarchia cristiana sarebbe garantita dalla sapienza divina rivelata dal Cristo, l‟unico che può garantire un regno “sanza fine”. Se sfugge all‟esegesi questo dato prioritario, essenziale all‟analisi critica, non si comprenderà il disegno soteriologico dantesco, annoverandolo tra le tante utopie letterarie vagheggiate da poeti e filosofi di ogni tempo.

831 Dante, Purgatorio, XXXII, 100-102 sgg.. 417

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