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68 Ivi, pag

dell‟Impero coincide per Dante come per Cicerone con lo stesso “finis iuris”, ossia con l‟affermazione di quel diritto universale che è il fine proprio dello Stato come ideale, poiché come è inconcepibile pensare all‟uomo senza riferirsi all‟animale, o alla sanità degli uomini senza l‟idea di salute, così “inpossibile est iuris finem querere sine iure”. E dal momento che a ogni fine corrisponde una e una sola realtà, è impossibile che due cose mirino veracemente allo stesso fine, e dunque una delle due è “inutile” (“quod alterum scilicet esset frustra”).688 Il fine dello Stato “est comune bonum”,689 e questo “bene comune” non può essere conseguito che dallo Stato stesso. La polemica statalistica verso ogni pretesa allotria della Chiesa è il portato sociologico dello stesso principio razionalistico della esclusione della legittimità di uno dei due termini che avanzino la stessa pretesa di veridicità, decretata per via sillogistica dalla affermazione storico-fattuale della potenza del popolo romano, che sottomettendo il mondo ha conseguito lo stesso fine del diritto, legittimando per via empirica, in virtù cioè della propria affermazione politico-militare, si è attribuita la dignità del suo Impero.690 La portata morale di questo principio di effettività è devastante, in quanto delega gli uomini a servire un destino di potenza - e rispettiva sottomissione - del quale si fa responsabile Dio, che assume sotto altre spoglie, più arbitrarie e imponderabili,691 lo stesso ruolo che la sapienza antica attribuiva al Fato naturalistico, che esalta la forza fisica degli eroi e umilia la debolezza dei pavidi imbelli. La natura infatti costituisce anche per Dante un ordinamento inviolabile dall‟uomo, “de iure servatur” in quanto “in providendo non deficit ab hominis providentia”, dispensatrice com‟è di quel bene che è il portato non migliorabile della sua stessa causa.692 Il bene naturale consiste nello stesso ordine giuridico fissato dalla natura “cum respectu suarum facultatum”, per cui violare il diritto vale quanto violare l‟ordine naturale che ne è a fondamento, essendo i due termini “inseparabilmente congiunti”. Il popolo romano, “ad imperandum fuit a

688 Ivi, 110-127 , pagg. 191-192. 689 Ivi, 148-149, pag. 193. 690 Ivi, 110-118, pag. 191. 691 Ivi, VII, 1-3, pag. 196. 692 Ivi, VI, 1-3, pag. 193.

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