“Le ricadute dell’estinzione delle api non sono solo bucoliche, ma anche politico-economiche: il 75% dell’agricoltura industriale dipende ancora oggi dalle api e dall’impollinazione. Le api minacciate scappano dalle campagne e arrivano in città, dove trovano un ambiente meno ostile, una situazione assurda e significativa di questa nuova natura un po’ distopica” (intervista di Mascheroni L. in domusweb, 2017). Approccio critico e concettuale, libero da committenze tradizionali e con un’idea di futuro diversa, caratterizza, in parte, quello che possiamo definire design dell’Antropocene, portatore inoltre di nuove logiche di progettazione, produzione, consumo - e recupero -, compatibili con le urgenti questioni ambientali, sociali e culturali. Un’idea di futuro diverso, critico e libero dalle logiche di mercato, è quello che caratterizza il design dell’Antropocene. Ma come progettisti come possiamo comprendere il futuro migliore che dobbiamo progettare? Progetto e futuro Il design, disciplina che per natura lavora sull’innovazione, è spesso in grado di offrire, attraverso il progetto o dei concept, una visione su ciò che il futuro potrebbe essere. Il Design descritto precedentemente ci racconta questo. Nel caso dello speculative o critical design (Dunne e Raby, 2013) il progetto si spinge addirittura oltre proponendo scenari che hanno lo scopo di aprire la questione sul tipo di futuro che le persone vogliono e anche su quello che non vogliono. Il design speculativo fa leva sull’individuazione del problema di progetto piuttosto che sulla sua risoluzione. Apre quindi al design maggiore possibilità esplorative in quello che viene definito problem finding. Per comprendere quale sia la strada migliore per progettare il futuro è bene partire dalle prime definizioni metodologiche della disciplina. Il design è una disciplina progettuale che opera nel complesso mondo delle azioni umane (Buchanan, 2004) con l’obiettivo di trasformare una situazione esistente in una desiderabile e migliore (Simon, 1988, p. 55). La condizione di futuro è impressa nel concetto stesso di progetto. Partendo da questa definizione generica di design, che pone le basi disciplinari del fare progettuale, è giusto chiedersi quali siano oggi le responsabilità delle discipline del progetto calate nell’Antropocene che, oltre alle questioni ambientali, porta con sé profonde modificazioni delle strutture sociali, produttivo-tecnologiche, culturali e politiche. Progettare è dunque, o almeno dovrebbe essere, un processo di cambiamento che trasforma il presente in un futuro migliore. Il nodo cruciale di questo processo, come fa notare Findeli (2018, p.105), risiede nel significato di ‘futuro migliore’. Chi è che decide la migliore condizione futura da progettare? In termini di sostenibilità molti autori (Lofthouse, 2004 e 2006) (Thackara, 2005) (Vezzoli, Manzini, 2007) sono concordi sul fatto che la maggior parte dell’impatto ambientale - e non solo - del progetto si determina nelle primissime fasi di progettazione. Dai recenti studi sul design per la sostenibilità (Marseglia, 2018) abbiamo compreso anche che la strada del progetto non può essere quella dell’applicazione di metodi e strumenti di natura analitica (Life Cycle Design e Life Cycle Assessment). La loro applicazione è contraddittoria al concetto stesso di progetto che, soprattutto nelle fasi iniziali, deve dotarsi di un pensiero divergente orientato all’individuazione e alla risoluzione dei cosiddetti wicked problem (Buchanan, 1992). Se prendiamo come riferimento le più importanti teorie relative al flusso progettuale sin dalle prime definizioni metodologiche, come ad esempio il concetto di “macrostruttura” di Bonsiepe (1993), il ‘Problema-Soluzione’ di Munari (1996) o il più recente ‘Double Diamond’ del Design Council (2005), tutte queste nelle primissime fasi di progetto fanno riferimento ad un’analisi e ad una strutturazione del problema (pensiero analitico) per poi passare alla fase di azione creativa e progettuale (azione). Questo passaggio dal pensiero all’azione, come evidenziato da Panetti (2017), è spesso frutto di una no13 stra modalità di impostazione mentale che continua automaticamente a far riferimento al passato per ri-