La preesistenza genera progetto | Francesco Collotti (a cura di)

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La preesistenza genera progetto

Il caso studio di Torri, Siena

a cura di francesco collotti

La serie di pubblicazioni scientifiche Ricerche | architettura, design, territorio ha l’obiettivo di diffondere i risultati delle ricerche e dei progetti realizzati dal Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università degli Studi di Firenze in ambito nazionale e internazionale. Ogni volume è soggetto ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata al Comitato Scientifico Editoriale del Dipartimento di Architettura. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, per favorire non solo la diffusione ma anche una valutazione aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.

Il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze promuove e sostiene questa collana per offrire un contributo alla ricerca internazionale sul progetto sia sul piano teorico-critico che operativo.

The Research | architecture, design, and territory series of scientific publications has the purpose of disseminating the results of national and international research and project carried out by the Department of Architecture of the University of Florence (DIDA).

The volumes are subject to a qualitative process of acceptance and evaluation based on peer review, which is entrusted to the Scientific Publications Committee of the Department of Architecture. Furthermore, all publications are available on an open-access basis on the Internet, which not only favors their diffusion, but also fosters an effective evaluation from the entire international scientific community.

The Department of Architecture of the University of Florence promotes and supports this series in order to offer a useful contribution to international research on architectural design, both at the theoretico-critical and operative levels.

Editor-in-Chief

Saverio Mecca | University of Florence, Italy

Scientific Board

Gianpiero Alfarano | University of Florence, Italy; Mario Bevilacqua | University of Florence, Italy; Daniela Bosia | Politecnico di Torino, Italy; Susanna Caccia Gherardini | University of Florence, Italy; Maria De Santis | University of Florence, Italy; Letizia Dipasquale | University of Florence, Italy; Giulio Giovannoni | University of Florence, Italy; Lamia Hadda | University of Florence, Italy; Anna Lambertini | University of Florence, Italy; Tomaso Monestiroli | Politecnico di Milano, Italy; Francesca Mugnai | University of Florence, Italy; Paola

Puma | University of Florence, Italy; Ombretta Romice | University of Strathclyde, United Kingdom; Luisa Rovero | University of Florence, Italy; Marco Tanganelli | University of Florence, Italy

International Scientific Board

Francesco Saverio Fera | University of Bologna, Italy; Pablo Rodríguez Navarro | Universitat Politècnica de València, Spain; Nicola Braghieri | EPFL - Swiss Federal Institute of Technology in Lausanne, Switzerland; Lucina Caravaggi | University of Rome La Sapienza, Italy; Federico Cinquepalmi | ISPRA, The Italian Institute for Environmental Protection and Research, Italy; Margaret Crawford, University of California Berkeley, United States; Maria Grazia D’Amelio | University of Rome Tor Vergata, Italy; Carlo Francini | Comune di Firenze, Italy; Sebastian Garcia Garrido | University of Malaga, Spain; Xiaoning Hua | NanJing University, China; Medina Lasansky | Cornell University, United Sta tes ; Jesus Leache | University of Zaragoza, Spain; Heater Hyde Minor | University of Notre Dame, France; Danilo Palazzo | University of Cincinnati, United States; Silvia Ross | University College Cork, Ireland; Monica Rossi | Leipzig University of Applied Sciences, Germany; Jolanta Sroczynska | Cracow University of Technology, Poland

a cura di francesco collotti La preesistenza genera progetto Il caso studio di Torri, Siena

Il volume è l’esito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze.

La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.

progetto grafico

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Dipartimento di Architettura

Università degli Studi di Firenze

didapress

Dipartimento di Architettura

Università degli Studi di Firenze

via della Mattonaia, 8 Firenze 50121

© 2023

ISBN 978-88-3338-180-0

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset

indice Introduzione 9 Giuseppe Gugliotti Prefazione 13 Francesco Collotti Tipi e paesaggi 17 Tipi architettonici del palinsesto rurale toscano: evoluzione e interpretazione 19 Eliana Martinelli Nel paesaggio senese 27 Chiara Simoncini, Giulia Gabriella Sagarriga Visconti I progetti: ripensare l’antico abitato 37 Nel solco dei campi e delle mura 41 Marco Frascarelli, Iacopo Menegatti L’impronta dell’antico: riabitare il vuoto 49 Lucia Nobilini, Samuele Romeo, Alessio Solari Frons urbis: borgo teatro di vita 57 Sofia Rosati, Claudia Tognetti, Giacomo Tolaini Tracce del passato 65 Giulia Hu, Klejvi Mallunxa Terre di Siena 73 Marta Garcia Devse, Rebecca Masina, Emanuele Miseria Le Quinte 81 Ludovica Caschetto, Giacomo Rosselli, Francesco Spini Il caso studio di Torri, L’antico genera progetto 88 Mostra la Tinaia, Sovicille Bibliografia del laboratorio 92 Abitare la città medioevale 95 Tesi di Laurea, Milo Agnorelli
la preesistenza genera progetto • francesco collotti 6 Dalla memoria al progetto 115 L’identità del luogo. Dalla memoria al progetto 117 Marco Corridori, Giulia Francesconi La conservazione di un’immagine. Le facciate 127 Marco Corridori, Giulia Francesconi Il progetto delle piccole città. 137 Esperienze di recupero e valorizzazione a tema culturale Giada Cerri Appendice documentaria 145 Note per la storia dell’abbazia e del paese di Torri 147 Andrea Barlucchi Profili biografici 166

La toponomastica è, spesso, rivelatrice della vocazione dei luoghi. E’ così nel borgo di Torri dove la denominazione ‘Piazza Centrale’ indica una centralità fisica – centro del paese, o anche di una più vasta porzione di territorio – ma, insieme, evoca la profonda attitudine di uno spazio urbano che, per diversi secoli, con la vicina Abbazia benedettina, è stato centro di una rete di relazioni civiche, religiose, politiche, diplomatiche di straordinaria rilevanza per la storia della Repubblica di Siena.

Una cifra, quest’ultima, che si è espressa anche in scelte urbanistiche ed edilizie, oltrechè architettoniche, che meritano di essere indagate in maniera più articolata. La collaborazione fra Comune di Sovicille e Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze comincia proprio da Torri: dal fascino di un abitato nel quale la storia si è stratificata fino a mescolarsi con la vita quotidiana e in cui, dunque, più che altrove, nel momento in cui si è avviato un percorso di recupero urbanistico, è stato possibile maturare la consapevolezza che lo studio e la rielaborazione condivisa del ‘passato’ rappresentano la precondizione essenziale e imprescindibile per generare una progettualità nuova, a misura delle esigenze del tempo di oggi. Perché non può darsi riqualificazione urbana senza comprensione profonda dello spirito dei luoghi, senza rilievo delle ragioni che hanno animato l’organizzazione degli spazi della città. D’altronde, la ‘rigenerazione urbana’ è autenticamente tale se, attraverso il recupero, rispettoso, partecipato e coraggiosamente innovativo, del patrimonio edilizio e urbanistico, diventa progetto di rigenerazione delle comunità; se, in altre parole, riesce a restituire un ambiente capace di accompagnare e consolidare uno stare insieme sostenibile e coeso, animato da persone che si conoscono, si riconoscono reciprocamente e, insieme, si riconoscono nel proprio spazio di vita e nei suoi simboli (le piazze, le vie, le chiese, etc.), con l’orgoglio di un’appartenenza che potremmo definire un’ ‘identità buona’, antidoto allo ‘spaesamento’, generatrice, invece, di sicurezza, solidarietà, vicinanza, accoglienza.

In questa logica, il progetto per Torri ha acquisito, allora, sempre di più i connotati di un caso di studio e di una buona pratica. Non un semplice disegno redatto da un progettista e approvato dall’Amministrazione, ma un processo di confronto e di coinvolgimento che ha visto il

introduzione

protagonismo di cittadini, associazioni, architetti, Università, Comune, altre Istituzioni. La cittadinanza sollecitava spazi riconsegnati alla socialità, l’Amministrazione Comunale ha raccolto l’istanza e se ne è fatta carico; i professionisti incaricati e il Dipartimento di Architettura, con il supporto della Sovrintendenza, hanno avviato una ricerca storico-topografica indispensabile per elaborare una progettualità che armonizzasse sapientemente antico e moderno; i privati hanno messo mano a investimenti di ristrutturazione del patrimonio edilizio coerenti con l’impianto progettuale complessivo. In definitiva, ha preso forza una sinergia che è anche diventata laboratorio di cittadinanza, intesa nel senso più pieno del termine: amore per l’abitare la città. Da qui è partito il rapporto fra Comune e Università e nostra intenzione è proseguire nel solco tracciato, aprendo la riflessione anche su argomenti ulteriori rispetto al primo ambito di studio che ha riguardato il rapporto con la città medievale. Un’interessante sfida di urbanistica partecipata, sarà, ad esempio, quella di prefigurare interventi che diano un senso armonico e comunitariamente sostenibile a centri urbani cresciuti ‘per mera addizione’, senza un’anima precisa, negli anni del boom edilizio.

Un’altra storia da scrivere insieme, alla quale stiamo già lavorando.

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Il caso studio di Torri schizzo su lucido Torri è un insediamento incastellato che nel toponimo tiene dentro un tipo edilizio preciso e la memoria di come la schiena costruita della collina fosse punteggiata di emergenze.

Il bordo che cinge il grappolo di case è allungato su un fianco della collina simile a quelle che vedi qui vicino se volgi lo sguardo. Se fai l’esercizio di togliere l’urbanistica alla geografia ritrovi qui a fianco, dalla parte opposta di Siena, alcune dita di colline che si inerpicano segnate nella controluce da filari precisi di olivi che salgono con sesto d’impianto regolare e antica fatica dell’uomo (e delle donne) su questa terra.

Le case del borgo (o forse meglio del villaggio) poste sul limite del pendio, e che son quasi muri di sostegno a tener dentro Torri come in un cestino, hanno ancora voglia di farsi mura e mostrano basamenti generosi con rade aperture alla base che vanno infittendosi verso l’alto a guardare il paesaggio d’intorno.

Con Chiara Simoncini, Eliana Martinelli, Giada Cerri, Giulia Sagarriga Visconti e Milo Agnorelli abbiamo avuto il privilegio di studiare questo luogo per il semestre del Laboratorio di Progettazione dell’Architettura V 2021-2022 (Milo in particolare ci si era già avvicinato con la propria tesi di laurea qualche tempo prima).

In questa ricerca siamo stati in parte agevolati dal fatto che qui un gruppo di ricercatori e di giovani architetti coordinato da Marco Corridori aveva rilevato in precedenza il sistema degli spazi pubblici e condotto una riflessione progettuale alla scala di alcune piazzette e lastricature.

Di tutte queste ricerche e questi lavori diamo conto nelle pagine che seguono.

Abbiamo cercato di capire innanzitutto una regola, una sequenza, le sue ragionevoli eccezioni, insomma dei limiti razionali e dei dati certi da cui partire.

Abbiamo preso misure coi passi e con le braccia, traguardato enfilade tra i vecchi archi e i muri storti, cercato con gli occhi il campanile dell’abbazia che domina e conclude il borgo con il suo chiostro (fin troppo ben) rifatto, ridisegnato più e più volte gli uni sugli altri fili di strada e linee di colmo a capire che cosa avessero da raccontarci.

prefazione

Abbiamo indagato i pochi tratti incerti del vecchio edificato laddove si potesse inserire un pezzo di progetto necessario a far comprendere le ragioni del nuovo nel vecchio, oppure con gesti minimali a ritrovare l’antico per levare, togliendo elementi successivi talvolta incongrui rispetto al tutto pieno del borgo originario. Coi disegni rifatti a mano, schizzati grossi e poi sempre più fini, abbiamo ritrovato analogie e allineamenti che forse furono chiari solo agli antichi facitori di questo borgo in un tempo di cantiere che si perde nei secoli addietro. Col disegno sempre andando dietro alla realtà dei luoghi, abbiamo immaginato di ritrovare dei vuoti e dei pieni, talvolta disegnando il vuoto come pieno a carpirne quasi la solidità del limite, il contenitore che dava forma al vuoto stesso. Alcune delle nostre allieve e dei nostri allievi hanno lavorato sul completamento della parte centrale dello slargo dove un tempo forse sorgeva una spina di casa che scandiva la sequenza di piccole corti attorno a cui si organizza ancora oggi l’abitato. Altri gruppi si sono invece misurati col connettere per punti di torri e corpi una sequenza di sguardi che il luogo portava con sé.

Il tutto comunque ancora una volta a dimostrare come in questo nostro bellissimo Paese, l’antico e le preesistenze siano in grado ancora oggi di generare progetto di architettura.

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Tipi e paesaggi

prefazione • 17

• Il ‘Palazzaccio’ nei pressi di Sovicille

Foto: G. Biffoli, n. 78 (Biffoli, Ferrara, 1966)

tipi architettonici del palinsesto rurale toscano:

evoluzione e interpretazione

Campagna e urbanità

Le ricerche documentate nel presente volume hanno come ambito di progetto l’antico borgo di Torri, in provincia di Siena. Il toponimo Torri, molto diffuso in epoca medievale, è un chiaro richiamo al carattere difensivo del borgo. Certe architetture di tipo turrito sono ricorrenti anche negli insediamenti rurali, del Senese e non solo, per i forti legami sociali ed economici che si sono mantenuti, nei secoli, tra campagna e città. Fino all’inizio del Novecento,

“la campagna toscana, specie nell’edilizia, venne sempre influenzata dalla città che vi esercitava una sua egemonia amministrativa, economica, morale. Lo prova l’architettura contadina che se può essere definita ‘spontanea’, per la relativa semplicità strutturale, resta tuttavia legata ai canoni prevalenti nei vicini centri urbani. […] La casa campagnola altro non era che un edificio cittadino, simile a quelli abitati dal popolo minuto, dagli artigiani, con quei mutamenti imposti dalla funzionalità agricola: la torre colombaia, la stalla inserita nell’edificio, o costruita nella corte, di là dall’aia, il forno attiguo alla cucina o esterno […]” (Benedetti, 1966, pp. 7-8).

Il processo di formazione della casa rurale toscana ha inizio nell’alto medioevo. Con la nascita e lo sviluppo del feudalesimo e il progressivo svuotamento delle città, il contado comincia a essere ordito da una trama di strade, sentieri e casolari, posti in funzione della rocca o del castello signorile: l’agricoltura non è più soltanto un’attività produttiva, ma si tramuta via via in una forma di ‘colonizzazione’ della campagna (Ferrara, 1966). Dopo il Mille, la popolazione rurale si emancipa, passando da servitù della gleba a libero colonato. Nasce così la casa mezzadrile, la cui principale caratteristica è l’isolamento, poiché il contratto di mezzadria presuppone la residenza stabile del mezzadro con la famiglia sul fondo (Fondi, 1979). La famiglia diventa dunque l’unità di misura del contesto agrario, che viene disseminato di insediamenti sparsi, mentre il podere e la casa divengono espressione di uno stabile rapporto sociale tra campagna e città. La sussistenza del colono è

Il castello di Montarrenti nei pressi di Rosia Foto: G. Biffoli, n. 83 (Biffoli, Ferrara, 1966) • Tav. XXV Podere detto di Salvadonica Da un cabreo di fattoria dell’Archivio del Principe Tommaso Corsini, 1816 (Edizioni Cassa di Risparmio di Firenze, 1967)

garantita dalla policoltura, altro elemento comune ai poderi mezzadrili, che ne determina anche la varietà tipologica. In Toscana, diversamente da altre regioni italiane, la crescita della città e del potere comunale non confligge con la campagna, che diviene invece estensione di detto potere. Il tipo edilizio è espressione diretta di questa relazione, poiché trae la sua origine formale proprio dai castelli fortificati. Bisogna ricordare che, prima del sorgere degli insediamenti sparsi, i contadini vivevano e svolgevano le loro attività nelle città, più precisamente nelle aree racchiuse tra i bastioni e il centro urbano, dove la casa doveva svilupparsi in altezza. Le prime abitazioni sul podere sono casetorri, tipi trasposti dai borghi, che nel successivo sviluppo diventano palombare per allevamento dei colombi. Anche la casa del signore è strettamente legata al tipo della casatorre cittadina, tanto che a volte sembra confondersi con il cassero dei castelli. Nel ‘400 la casa colonica è a tutti gli effetti una realtà tipologica, descritta perfino nel De re aedificatoria da Leon Battista Alberti, che non dà però regole di forma né di costruzione, affermando che nella realizzazione bisogna affidarsi alla “industria e alla diligenza del lavoratore”. La sicurezza collettiva aumenta progressivamente, e con essa si sviluppa sempre più la mezzadria. Diversi castelli medievali finiscono per

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Articolo di G. Michelucci per Domus.

L’arte della casa

n. 56, 1932, pp. 160-161

Pagine dal catalogo della VI Triennale di Milano

Architettura

rurale italiana (Pagano, Daniel, 1936, pp. 54-55)

Alcune foto sono di P. N. Berardi

essere adattati a fattorie o dimore rurali, come avviene, per esempio, al ‘Palazzaccio’ e al ‘Palazzone’, nei pressi di Sovicille, o ancora al castello di Montarrenti vicino a Rosia (Ferrara, 1966). Nonostante la conversione a residenza rurale, gli edifici hanno preservato il loro carattere fortilizio, a dimostrazione dello stretto legame formale tra architettura militare e contadina. Durante il XV e XVI secolo avviene il declino dell’agricoltura toscana, dovuto allo sviluppo del commercio. Tuttavia, dal punto di vista architettonico, nasce un nuovo interesse, da parte delle classi dominanti, per le case di campagna, ritenute luoghi dove godere del paesaggio rurale. Nasce così un nuovo tipo edilizio, la villa-fattoria, spesso costruita con i proventi commerciali di mercanti e banchieri. In questo periodo vengono introdotti nuovi elementi tipologici, come la loggia aperta, che ritroviamo nelle case coloniche dalla fine del XV secolo. Nel Settecento, la cultura urbana arriva in campagna attraverso il filtro dell’illuminismo, espresso nelle simmetrie e nella razionalità. Si cerca dunque di valorizzare le campagne e dare regola alla costruzione delle case contadine1. L’esempio più celebre

è dato dal granduca Leopoldo, che, dopo ingenti opere di bonifica, costruisce in Val di Chiana le case coloniche per i suoi poderi, andando a codificare il tipo della casa

Leopoldina, caratterizzata da una loggia in facciata, in posizione centrale, e dalla tipica colombaia, ottenuta dall’estrusione di un volume centrale.

A

è

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1 questo proposito degno di nota il trattato architettonico Delle Case de’ Contadini, scritto nel 1770 da Ferdinando Morozzi, nobile colligiano e ingegnere delle Regie Possessioni in Toscana.

Inattualità del tipo

Come abbiamo visto, la mezzadria ha determinato la formazione di specifici tipi edilizi, generalmente costituiti da abitazione e rustico (stalla e fienile), senza altri alloggi né corte. Uno dei primi ad aver analizzato la casa rurale toscana, dal punto di vista etnografico, è stato Renato Biasutti (1938), attraverso gli inventari dei beni rustici appartenenti all’Ospedale fiorentino di Santa Maria Nuova. Biasutti individua due categorie maggiormente diffuse, generate dalla relazione planimetrica tra residenza e rustico. La prima categoria, in cui le abitazioni sono sovrapposte al rustico, è suddivisa nei tipi a scala esterna, a scala interna e di pendio (in questo caso l’accesso è garantito dalla pendenza naturale del terreno); la seconda, nella quale le abitazioni sono allo stesso piano del rustico, è suddivisa nei tipi di pianura, sub-collinare e di montagna. Nel corso del Novecento, l’architettura rurale è stata oggetto di grande attenzione anche da parte dei progettisti, interessati da un lato alle questioni di abitabilità del patrimonio rurale dal punto di vista igienico e sociale2, dall’altro alla ricerca di una via mediterranea al razionalismo. In particolare, Giovanni Michelucci pubblica su Domus alcune composizioni volumetriche basate sulle fotografie di due case coloniche toscane “a dimostrare come ‘nuovissime’ forme, quelle che il pubblico poco attento definisce nordiche o, per essere più precisi ‘tedesche’, hanno pure radici da noi, nella chiara serena nostrana tradizione […]”

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2 Basti pensare che in Toscana nel 1949 il 72% della superficie coltivabile era ancora legata al contratto mezzadrile.

(1932, p. 160). L’anno seguente, Michelucci e il Gruppo Toscano sceglieranno di esporre nella nuova stazione di Santa Maria Novella le case coloniche fotografate da Pier Niccolò Berardi.

Le medesime fotografie entreranno a far parte della mostra Architettura rurale italiana alla VI Triennale di Milano, nella quale Giuseppe Pagano e Guarniero Daniel indagheranno il rapporto tra tipo e forma della casa contadina, “con lo scopo di dimostrare il valore estetico della sua funzionalità” (1936, p. 6). Lo schema teorico di interpretazione intende essere provocatorio nei confronti dell’architettura ufficiale, presentando la casa rurale come pura e astilistica, vicinissima alla contemporaneità. Scrivono a questo proposito: “la casa rurale, quindi, come ogni prodotto dello spirito umano, rimane una cosa vivente. Essa si forma e si trasforma obbedendo a quella legge eterna che, lo premettiamo, viene determinata dalle relazioni che esistono tra lo scopo utilitario e forma relativa” (Pagano, Daniel, 1936, p. 26).

Le variazioni tipologiche non avvengono in modo così immediato da cancellare nella fase successiva il ricordo della fase precedente, poiché “l’inerzia dell’uomo (che si chiama tradizione o eredità) tende effettivamente a conservare la forma anche quando lo scopo utilitario e primario ha cessato di esistere” (Pagano, Daniel, 1936, p. 27). Il loro studio tenta di rivelare le cause utilitarie che hanno portato a forme talvolta apparentemente fantasiose.

Le forme sono determinate da tre concause: il materiale, il clima e l’economia agricola. La casa rurale, infatti, è un tipo di edilizia strettamente legata alle condizioni economiche in cui sorge, vale a dire alle spontanee abitudini dei contadini di provvedere per loro stessi, utilizzando pietre, tufi, mattoni o legno in base alla reperibilità del materiale in loco. La materia costruttiva è data dal suolo su cui sorge l’edificio; sussiste pertanto una reciprocità strettissima tra architettura e terreno, tra architettura e paesaggio. Proprio nell’inerzia delle forme si esprime l’inattualità del tipo, intesa come capacità di non rispondere direttamente ai valori dominanti di una data epoca, e per questo, di essere propedeutica alla costruzione di un nuovo futuro. Ancora oggi, il senso, per noi progettisti, è ritrovare nel patrimonio edilizio rurale un modus vivendi legato alla cura dei luoghi e delle comunità. Ludovico Quaroni (1957) osserva che l’architettura spontanea si è sviluppata attraverso una forma di “tradizione statica”, propria del tramandare da padri a figli. Una tipizzazione lenta, dunque, non compresa dagli stessi artefici, in cui il fatto razionale è quasi coincidente con l’istinto. In tale ripetizione risiede un modo di pensare e di vivere comune, ben diverso dalla riproduzione in serie di un oggetto industriale, sempre uguale a se stesso.

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Bibliografia

Alberti L. B. 1833, De architectura, seu de re aedificatoria libri X, trad. Bartoli C., Milano.

Benedetti A. 1966, La società, in Biffoli G., Ferrara G., La casa colonica in Toscana, Vallecchi Editore, Firenze, pp. 5-14.

Biasutti R. 1938, La casa rurale nella Toscana, Zanichelli, Bologna.

Fanelli G., Mazza B. 1999, La casa colonica in Toscana. Le fotografie di Pier Niccolò Berardi alla Triennale del 1936, Octavo, Firenze.

Ferrara G. 1966, La storia e l’architettura, in Biffoli G., Ferrara G., La casa colonica in Toscana, Vallecchi Editore, Firenze, pp. 35-80.

Fondi M. 1979, La casa della mezzadria, in AA.VV., Case contadine, Touring Club Italiano, Milano, pp. 106-131.

Michelucci G. 1932, Fonti della moderna architettura italiana, «Domus. L’arte della casa» n. 56, pp. 160-161.

Morozzi F. 1967, Delle case de’ contadini e Tavole da un cabreo di fattoria, Edizioni Cassa di Risparmio di Firenze, Firenze.

Pagano G., Daniel G. 1936, Architettura rurale italiana, Quaderni della Triennale, Ulrico Hoepli Editore, Milano.

Quaroni L. 1957, Tipizzazione, unificazione e industrializzazione dell’urbanistica, «La Casa» n. 4, pp. 88-109.

Sereni E. 1961, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Bari.

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Ambrogio Lorenzetti, Gli effetti del Buon Governo, 1337, particolare della campagna, Siena, Palazzo Credits: Di Ambrogio LorenzettidJ3E935Z8-A at Google Cultural Institute maximum zoom level, Pubblico dominio, https:// commons.wikimedia.org/w/ index.php?curid=23689393

Terre dipinte

Nel più generale contesto della rappresentazione figurativa del territorio, il paesaggio, ed in particolar modo il paesaggio senese, venne sviluppato all’interno della tradizione figurativa secondo varie declinazioni nell’arco di età differenti, talvolta divenendo quasi assente o ridotto a pura simbologia (Berque, 1990).

La raffigurazione del paesaggio, nell’arte senese, prima delle innovazioni apportate da alcuni artisti divenuti tra i più noti esponenti della sua rappresentazione, come i fratelli Lorenzetti, ebbe quasi sempre un’importanza secondaria, quale sfondo subordinato al soggetto rappresentato. Seppur dunque il paesaggio senese si inserisca all’interno di una tradizione raffigurativa paesistica, a differenza del metodo simbolico giottesco, assunse una funzione pratica, divenendo fedele rappresentazione dell’azione umana sul territorio.

Non si trattava di una rappresentazione minuziosa e fedele del verde, come quella tipica del ‘secondo stile pompeiano’, in cui si andò definendo la nuova figura del paesaggista che, a Roma così come a Pompei, dipingeva i particolari dei giardini; o la rappresentazione trasfigurata, appartenente al primo medioevo, in cui, nel decadimento della nozione stessa di spazio, la natura diveniva oggetto di una semplificazione simbolica, ma di un nuovo e spiccato interesse per la bellezza naturale, piuttosto inusuale per il periodo, che non trovò riscontro neanche nel coevo filone pittorico fiorentino, e che così venne introdotto da Cennino Cennini 1 nel suo Trattato della Pittura:

“Se vuoi pigliare buona maniera di montagne, e che paino naturali, togli di pietre grandi che sieno scogliose e non polite; e ritra’ne del naturale, dando i lumi e scuro, secondo che la ragione t’acconsente.” (Cennini, 1821, cap. LXXXVIII)

* Il paragrafo Terre dipinte è stato scritto da Chiara Simoncini; Terre in sequenza è stato scritto da Giulia Gabriella Sagarriga Visconti.

1 Cennino di Andrea Cennini (Colle di Val d’Elsa, 1370 - Firenze, c. 1440) è stato un pittore italiano, noto soprattutto per aver scritto in volgare, all’inizio del XV secolo, un trattato sulla pittura organicamente monografico sulla produzione artistica, contenente informazioni su pigmenti e pennelli, sulle tecniche della pittura, dell’affresco e della miniatura, introducendo inoltre consigli e ‘trucchi’ del mestiere, L’opera è stata interpretata dagli studiosi come momento di passaggio fra l’arte medievale e quella rinascimentale;

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*

Giotto, Francesco che dona il mantello ad un cavaliere, 1337, particolare delle rocce, Assisi, Basilica di San Francesco

Credits: https://it.wikipedia.org/wiki/San_Francesco_dona_il_mantello_a_un_povero#/media/

File:Giotto_di_Bondone_-_Legend_of_St_Francis_-_2._St_Francis_Giving_his_Mantle_to_a_Poor_ Man_-_WGA09119.jpg

In queste parole è racchiuso uno degli aspetti rivelatori delle intenzioni della pittura del Trecento, in particolare di quella montagna-sasso ideata da Giotto, che ritroviamo nelle Storie di San Francesco dipinte ad Assisi alcuni anni prima. È però necessario tenere a mente gli intenti illusionistici del realismo giottesco, che mirava ad un effetto di tangibilità delle cose, più che di fedeltà al reale, mantenendo dunque un carattere sostanzialmente simbolico ed araldico, ma in cui il paesaggio diventava per la prima volta elemento importante e protagonista della scena rappresentata, si trattava dunque di una ‘età nuova’, succeduta alla lunga parentesi medievale, seppure sarà necessario aspettare il secondo-terzo decennio del Quattrocento, con il rinnovamento rinascimentale di Masaccio e le osservazioni naturalistiche di Gentile da Fabriano, perché nella pittura italiana si diffonda una più vera concezione della rappresentazione paesistica.

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I paesaggi senesi trecenteschi divennero così rappresentazione documentaria del territorio, come nel caso degli affreschi raffiguranti l’Allegoria del Buono e del Cattivo Governo (1338) che Ambrogio Lorenzetti dipinse nel Palazzo Pubblico di Siena, in cui ritroviamo le prime raffigurazioni della natura ‘governata’ dei colli senesi. Il Buon Governo non è soltanto una pietra miliare nella storia della rappresentazione artistica del paesaggio, ma anche una preziosa introduzione alla lettura del paesaggio culturale senese in cui è possibile cogliere il sistema di valori condiviso alle classi dirigenti cittadine impresso sulla città e sullo spazio rurale di sua pertinenza.

Le vedute della città e della campagna sono così attente alla vita industriosa e lavorativa degli uomini ed all’effetto che tale azione ha conferito alla natura circostante, da porsi come il punto più avanzato della ricerca figurativa sul paesaggio di tutto il Trecento europeo.

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Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano e la presa di Montemassi, 1330, Siena, Palazzo Pubblico e Credits: KWGsA/YolN09ww at Google Cultural Institute maximum zoom level. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/urid=23689341

“Nessun altro documento figurativo è degno di fede quanto questo affresco nel descrivere l’aspetto stabile del paesaggio intorno alla città ben governata” (Romano, 1978, p. 32)

Ciò che ci importa rilevare qui è l’aspetto descrittivo e quasi ritrattistico con cui il paesaggio è reso, con un approccio assai diverso da quello dei fiorentini contemporanei, seguaci del metodo rappresentativo naturalistico giottesco che non era ancora un’idea di paesaggio, comunemente intesa, ma un modo per esternare in pittura la tridimensionalità. La verità paesistica raggiunta a Siena era difatti legata ad una pratica artistica propria e distintiva della città, quella di raffigurare fedelmente i castelli della Repubblica senese, non a caso rappresentati sulle pareti del Palazzo Pubblico, così da renderli immediatamente riconoscibili, come nel caso di Montemassi, arroccato sul versante del colle che guarda verso la Maremma, con una validità quasi di documentazione catastale. Il paesaggio senese, segnato dall’attività umana, veniva così indagato e rappresentato con una fedeltà che non ebbe riscontro altrove in questo periodo, divenendo un importante documento, sondato dagli storici dell’ultimo mezzo secolo per una completa comprensione del mondo rurale e della vita agreste appartenente al mondo del pieno medioevo.

Bibliografia

Berque A. 1990, Mediance: de milieux en paysages, Reclus – Documentation française, Montpellier

Brandi C., Barzanti R. (a cura di) 1987, Aria di Siena. I luoghi, gli artisti, i progetti, Editori Riuniti, Roma

Cennini C. 1821, Trattato della pittura, 1821

Cosgrove D., Daniels S. (a cura di) 1988, The iconography of Landscape, University Press, Cambridge

Pazzagli C. 1992, La terra delle città, Ponte alle Grazie, Firenze

Piccinni G. 1992, Il contratto di mezzadria nella Toscana medievale. III – Contado di Siena, 1349 – 1518, Olschki, Firenze

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Turri E. 1997, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Marsilio, Venezia

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Terre in sequenza

Il ‘paesaggio agrario toscano’ con tutte le sue rappresentazioni, è lo scenario attraverso il quale è possibile comprendere quella che ad oggi è definita ‘cultura toscana’, nella quale l’immagine del ‘bel paesaggio’ è rintracciabile in tutti i campi delle arti, dal pittorico di Benozzo Gozzoli, al ‘bel paesaggio’ poetico di Boccaccio nel Ninfale Fiesolano. (Sereni, 2016)

Se l’immagine della società è in parte riflessa nella sua rappresentazione, è possibile indagare, dal punto di vista storiografico, un contesto studiando in maniera analitica le sue forme artistiche.

Per lo studio del XX secolo abbiamo gli strumenti per prendere in considerazione forme d’arte come il cinema, di cui fino ad ora non vi era la possibilità di analizzare a pieno l’estensione. (Melanco, 2005)

La correlazione cinema-storia porta con sé molti dibattiti che nel corso degli anni ’70, vengono riassunti da Lino Miccichè nel suo volume Momenti di storia italiana del cinema (Miccichè, 1979). Miccichè individua due correnti: una corrente critica-censoria, dove gli storici appaiono più legati alla metodologia classica, ed una corrente teorica-operativa2, in cui si vuole dimostrare come la cinematografia possa essere fonte di storia. (Melanco, 2005)

Secondo Miccichè “il cinema, in quanto legato ad un hic et nunc storicamente determinato, è sempre documento di un determinato momento storico” (Miccichè, 1979, p. 7-12 ), questa constatazione3 viene anche sviluppata da Pierre Sorlin nella Sociologia del cinema in cui afferma come “il cinema non ci dà un’immagine della società, bensì quello che una società ritiene sia un’immagine, compresa una possibile immagine di sé stessa; non ne riproduce la realtà, ma la maniera di trattare il reale” (Sorlin, 1977, p. 32).

Il paesaggio porta con sé la cultura tradizionale del luogo; non consiste in un oggetto distaccato e autonomo, ma in un’esperienza: conoscerlo implica comprendere il modo in cui si costruisce lo spazio circostante ed i rapporti che con esso si innescano. Nel cinema esiste una relazione tra paesaggio, personaggio, cinepresa e pubblico osservatore traducibile in un rapporto complesso di sguardi disposti su piani diversi. È presente un personaggio, che è l’osservatore del paesaggio; una cinepresa che osserva l’osservatore ed infine lo sguardo del pubblico che traduce i precedenti in maniera differente poiché dipende dal soggetto spettatore stesso che li percepisce secondo i propri modelli culturali. (Melanco, 2005). Questo rapporto tra più livelli di sguardo rende l’atto del ‘guardare’ un atto conoscitivo; il cinema quindi può essere inteso come uno strumento utile non solo per mostrare il mondo,

2 Sorlin e Ferro;

3 In seguito Miccichè chiarisce come “lo schermo non dice mai come fu il passato, ma come voi vi potete immaginare che sia stato” considerando lo spettatore parte integrante dell’evento storico che non ne documenta le gesta ma le immagina;

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Nostalghia, Tarkovskij, 1983

Credits: https:// w.1977magazine. com/wp-content/ uploads/2017/12/ nostalghia.jpg

ma anche per intendere come l’uomo guardi il mondo. (Melanco, 2005)

Il contesto diventa ‘teatro’ della trama, esso permette di coglierne la cultura e le relazioni. Osservando l’ambientazione è possibile individuare le architetture, le differenti tipologie edilizie, che scandiscono gli spazi urbani dagli spazi rurali e che si traducono in differenti contesti e stili di vita. (Guardenti, 1999)

Nel panorama cinematografico, il paesaggio senese è personaggio di molti film4. Si comincia con Feu Mathias Pascal di Marcel L’Herbier (1926) e - a seguire - Palio di Alessandro Blasetti (1932) storia di amor tradito e offeso onore, Lorenzino de’ Medici di Guido Brignone (con un potente Alexander Moissi, amico di Adolf Loos - 1935). Dopo la guerra Il principe delle volpi di Henry King (1949) e Il Cristo proibito di Curzio Malaparte (1951) seguito da Giulietta e Romeo di Renato Castellani (1954), e la commedia leggera La ragazza del palio di Luigi Zampa (1957). È del 1964 La ragazza di Bube che Luigi Comencini trae da Cassola per arrivare a Franco Zeffirelli nel 1972 con Fratello Sole e sorella Luna. Ancora poi Il prato dei fratelli Taviani (1979) e finalmente Nostalghia di Andrej Tarkovskij (1983), seguito in ordine di tempo dal cast formidabile di Speriamo che sia femmina per la regia di Mario Monicelli (1986) che ritorna nel paesaggio toscano con

4 Tra cui documentari come: Art in 14th. Siena, Florence and Padua. The Palazzo Pubblico, Siena; Brigata Partigiana – Giuseppe Ferrara (1962); Mezzadria – Sergio Micheli

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Cari fottutissimi amici, Mario Monicelli, 1994

Credits: https:// www.davinotti. com/forum/ locationverificate/carifottutissimiamici/50003245

Io ballo da sola, Bernardo Bertolucci, 1996

Credits: https:// www.wechianti. com/2017/04/23/ gaiole-chiantitre-giorni-eventiinstallazionifloreali-nelcasolare-del-filmballo-sola/

Cari fottutissimi amici (ancora Monicelli ma nel 1994). Del 1994 è Con gli occhi chiusi di Francesca Archibugi che trascrive un Tozzi drammatico del 1919, seguito da Io ballo da sola di Bernardo Bertolucci (1996) fino a chiudere (per ora) con Il paziente inglese di Antony Minghella (1996).

In particolare se prendiamo in analisi Nostalghia, uno dei film più ermetici di Tarkovsky, il paesaggio diviene qui il mezzo primario con il quale il protagonista da corpo alla nostalgia della propria terra. La piazza di San Gimignano, la vasca di Bagno Vignoni ed infine lo scheletro del monastero di San Galgano, dove il film si conclude con la morte del protagonista, si caricano di significati fortemente ritualizzanti fondamentali per la comprensione della pellicola.

Accezione completamente differente si percepisce invece nel film Io ballo da sola, dove il paesaggio diventa testimone del fenomeno di ‘colonizzazione’ da parte di stranieri alla ricerca del ‘bel paesaggio’ matrice della ‘cultura toscana’. In questo caso la cinepresa interpreta lo sguardo della giovane americana Lucy che ammira il paesaggio rurale toscano con una curiosità che coinvolge lo spettatore non conoscitore di queste terre.

A livello cinematografico quindi uno stesso luogo è raramente descritto nel medesimo modo, esiste una diversa intensità di percezione del territorio non sempre omogenea: in alcuni casi il paesaggio è protagonista indissolubile, in altri solo scenario, ma è sempre “il risultato del lento stratificarsi dell’azione intellettuale e delle attività messe in opera delle generazioni che quel territorio hanno vissuto, pensato idealizzato e trasformato”. (Guardenti, 1999, p. 123)

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 34

Bibliografia

Bernardi S., 2002, Il paesaggio nel cinema italiano, Marsilio Editori, Venezia.

Melanco M., 2005, Paesaggi, Passaggi e passioni. Come il cinema italiano ha raccontato le trasformazioni del paesaggio dal sonoro ad oggi, Liguori Editore, Napoli.

Miccichè L., La storia italiana del cinema, in “momenti di storia italiana del cinema”, a cura di Marisa di Lonardo di Amministrazione Provinciale di Siena, Quaderni dell’assessorato Istruzione e Cultura, n.5, 1979.

Sereni E., 2016, Storia del paesaggio agrario italiano, Editori Laterza, Bari.

Sorlin P., Sociologie du cinéma. Ouverture pour l’histoire de demain, Editions Aubier Montaigne, 1977 (tr it. Sociologia del Cinema, Garzanti, Milano, 1979 p.32).

Vecchio B., C. Capineri, 1999, Museo del paesaggio di Castelnuovo Berardenga, Protagon Editori Toscani, Siena. (Il senese nel cinema: la drammaturgia del paesaggio – Renzo Guardenti).

Filmografia

Feu Mathias Pascal, Marcel L’Herbier, 1926

Palio, Alessandro Blasetti, 1932

Lorenzino de’ Medici, Guido Brignone, 1935

Il principe delle volpi, Henry King, 1949

Il Cristo proibito, Curzio Malaparte, 1951

Giulietta e Romeo, Renato Castellani, 1954

La ragazza del palio, Luigi Zampa, 1957

La ragazza di Bube, Luigi Comencini, 1964

Fratello Sole e sorella Luna, Franco Zeffirelli, 1972

Il prato, fratelli Taviani, 1979

Nostalghia, Andrej Tarkovskij, 1983

Speriamo che sia femmina, Mario Monicelli, 1986

Cari fottutissimi amici, Mario Monicelli, 1994

Con gli occhi chiusi, Francesca Archibugi, 1994

Io ballo da sola, Bernardo Bertolucci, 1996

Il paziente inglese, Antony Minghella, 1996

nel paesaggio senese • chiara simoncini, giulia gabriella sagarriga visconti 35
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I progetti: ripensare l’antico abitato

Laboratorio di Progettazione dell’Architettura V

a.a. 2021 2022 DIDA - Università degli studi di Firenze

Docente

Prof. Francesco Collotti

Collaboratori

Dott. Milo Agnorelli

Arch. PhD Giada Cerri

Arch. PhD Eliana Martinelli

Arch. Giulia Sagarriga Visconti

Arch. Chiara Simoncini

Studenti

Ludovica Caschetto, Marta Devesa

Garcìa, Alessia Fausto, Marco Frascarelli, Giulia Hu, Klejvi Mallunxa, Rebecca Masina, Iacopo Menegatti, Emanuele

Miseria, Lucia Nobilini, Samuele

Romeo, Sofia Rosati, Giacomo Rosselli, Francesco Spini, Alessio Solari, Claudia

Tognetti, Giacomo Tolaini

nel paesaggio senese • chiara simoncini, giulia gabriella sagarriga visconti 37

[...] Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale [...] (Calvino, 1972)

Con queste parole Italo Calvino in Città invisibili descrive una città difficile da identificare attraverso singoli elementi, simboli e forme, raccontando di vicende che definiscono la storia del luogo. Il borgo di Torri non è distante da questa suggestione, straordinaria fotografia di un passato modo di abitare il territorio. Assopito sul versante di collina, l’incastellamento di Torri domina sulla campagna misurata dalla mano dell’uomo. La vocazione agricola forte e identitaria si mostra nella vecchia macina del borgo, nel ex complesso della fattoria, nel forno che si apriva sulla piazza, oggi oramai in disuso, e nei capitelli fitomorfi del chiostro, tesoro nascosto del luogo. Le tradizioni si lasciano così scoprire ancora attraverso gli occhi di chi sa osservare, seppur l’evolversi del modo di abitare abbia privato il borgo della propria dinamicità. In un contesto, così complesso, una nuova architettura deve dunque saper leggere il passato, generando occasioni per far nuovamente vivere spazi oggi abbandonati, innestando nuove attività, riscoprendo luoghi e tempi dimenticati, eppur da sempre parte di quel complesso paesaggio arroccato trai colli senesi. La testimonianza storica di una delle attività più importanti del piccolo villaggio, legato al mondo del grano, ha suggerito la progettazione di un centro per la comunità articolato in tre elementi che avesse come fulcro il laboratorio destinato alla produzione del pane, con annesso un piccolo forno, attorno a cui la cittadinanza potesse ritrovarsi all’interno dello spazio polivalente di aggregazione e da dove fosse possibile, attraverso una torre panoramica, recuperare quello sguardo che dallo spazio definito del borgo sapesse perdersi nel paesaggio aperto e segnato dei campi. Una nuova architettura pensata all’interno di un sistema paesaggio così affermato non può che partire così dallo studio di ritmi, proporzioni e misure propri del territorio, che sappiano tornare a farsi progetto in una rielaborazione contemporanea, capace però di dialogare sempre armonicamente con le pre-esistenze del luogo, così da definire un percorso di crescita dell’intero sistema.

nel solco dei campi e delle mura • Modello in scala 1:50 sezione in cartonlegno avorio

Elaborati grafici Schemi di progetto, piante, prospetti e sezio ni significativi

42 •
43
la preesistenza genera progetto • francesco collotti 44 •
Sezione tecnologica
nel solco dei campi e delle mura • marco frascarelli, iacopo menegatti 45 • Esploso assonometrico
la preesistenza genera progetto • francesco collotti 46 •
Vista della piazza
nel solco dei campi e delle mura • marco frascarelli, iacopo menegatti 47

l’impronta dell’antico: riabitare il nuovo

Il progetto nasce da un’analisi condotta a partire dall’evoluzione storica del borgo di Torri, che, per quanto si presenti fortificato e compatto, è contemporaneamente caratterizzato da quella che potremmo identificare come 'un'anomalia dimensionale': è, difatti, sviluppato lungo una piazza le cui dimensioni appaiono come un vuoto fuori scala, se comparate al costruito circostante.

L’esercizio progettuale presentato si pone così come obiettivo il ridimensionamento di tale vuoto, pur mantenendone la funzione sociale e rispettando le tracce dell’edificato esistente ed i segni di quel passato ancora leggibili nei bassi muretti che costeggiano la via che conduce alla piazza. Procedendo per antitesi, colmando i vuoti dell’antico nucleo risalente all’epoca dell’incastellamento, e cercando di conferire continuità al percorso che, dal nuovo parcheggio esterno, conduce alla piazza principale: il nuovo volume, posto fuori dalla mura, in adiacenza agli antichi lavatoi è separato eppur connesso al contempo a questi ultimi tramite una una scala percorribile a duplice velocità, capace di ricongiungere i due livelli altimetrici ed al contempo offrire comunque una vista suggestiva verso il paesaggio circostante.Il sistema urbano storico del borgo si sviluppa intorno al sistema chiuso della piazza, che risulta permeabile. Così il nuovo volume, che segue l’antico tracciato delle mura, sviluppato su due livelli, porta con sé linguaggi architettonici differenti. Scandito da piccole aperture al piano superiore, si presenta invece estroverso al piano inferiore. Il suo porticato permeabile, composto da un susseguirsi di pilastri, tra i quali si articolano una serie di sedute, definisce così un nuovo spazio pubblico. La compattezza del nuovo volume è però improvvisamente rotta da un muro che, ricalcando le tracce dell’antico edificato, stabilisce un confine, lasciando un’impronta. I nuovi confini trovano la propria conclusione lungo il lato Nord della piazza, dove un porticato corre lungo il prospetto dell’edificio appartenente all’impianto storico del villaggio, un tempo destinato alle botteghe. Le aperture sulla piazza vengono così evidenziate dal ritmo delle campate del nuovo porticato dove, il passo alternato dei pilastri, diviene accompagnamento ombreggiato e leggero del passo di coloro che ne percorrono il tracciato.

Modello in scala 1:50 sezione in cartonlegno avorio
Lucia Nobilini Samuele Romeo Alessio Solari

Elaborati grafici Piante, prospetti e sezioni significativi

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 50 •
l’impronta dell’antico: riabitare il nuovo • lucia nobilini, samuele romeo, alessio solari 51

Esploso assonometrico particolare nodo trave pilastro

Assonometria portico con stratigrafia

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 52 •

Dettaglio portico sezione terra-tetto e particolari

l’impronta dell’antico: riabitare il nuovo • lucia nobilini, samuele romeo, alessio solari 53 •
la preesistenza genera progetto • francesco collotti 54 •
Vista sulla piazza
l’impronta dell’antico: riabitare il nuovo • lucia nobilini, samuele romeo, alessio solari 55 •
Vista sul paesaggio affaccio interno dalla torretta

Modello in scala 1:50 sezione in cartonlegno avorio

Torri, con la sua realtà urbana stratificata e archetipica, analizzata a partire dal topos di borgo incastellato, è diventato il panorama dell’ intervento ipotizzato come espressione dello studio della scena urbana e delle relazioni umane che definiscono e vivono il luogo, con l’intento di esaltarle e colmarle nelle loro lacune. Ecco che in questo contesto si inserisce una ipotesi progettuale che affronta diverse tematiche, dalla riconfigurazione dell’ingresso alla piazza, fino al tentativo di restituire a determinate aree una funzione ormai persa nel tempo, con mutamenti del loro assetto originale, sordi rispetto al Genius loci. Lo studio e la comprensione delle realtà volumetriche dell’impianto urbano sono divenuti matrice progettuale dell’intervento che si inserisce all’interno delle contrazioni e dilatazioni che caratterizzano il tessuto urbano del villaggio. Tale analisi ha permesso di individuare quale fosse il modulo spaziale, tecnologico ed umano del sistema del borgo, individuandolo nel complesso ecclesiastico del paese e nella piazza Maestro Ristoro da Torri. Il modulo si è fatto misura di un sistema di terrazze che incornicia ed esalta il paesaggio, divenendo al contempo accesso al nuovo parcheggio posto al di fuori dell’abitato più denso, ed ingresso del nuovo volume principale inserito nella piazza. Il lavatoio, feretrio di memoria, è eco di una realtà passata, di un modo di vivere differente che ha caratterizzato il borgo e che nel progetto rimane, a ricordare un tempo oggi lontano. Un ulteriore intervento ha tentato di delimitare i confini della piazza, divenendo al contempo protezione e rinforzo del muro che sulla piazza si affaccia. La tettoia definisce così tale vuoto, luogo caro agli abitanti del borgo, non agendo solo sulla struttura del muro, ma divenendo esaltatrice di pathos della rappresentazione urbana. Questi tre elementi assieme definiscono così una nuova scena urbana, in un contesto inteso non solo come luogo di abitazione e di produzione economica, ma anche come teatro delle vicende umane, come grande scena che rimane da secoli immutata ed in cui gli 'atti', cambiando, si susseguono senza sosta. Ecco quindi che emerge l’espressione ultima del progetto: la necessità di ridare quinte alla piazza, limiti esaltatori dei vuoti stessi, frontis scenae del borgo.

frons urbis: borgo teatro di vita •
Sofia Rosati Claudia Tognetti Giacomo Tolaini

Elaborati grafici

Pianta piano

terra e piano

primo piano, prospetto ovest, sezione AA’

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 58 •
frons urbis • sofia rosati, claudia tognetti, giacomo tolainiromeo, alessio solari 59

Dettaglio piano secondo esploso assonometrico

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 60 •
frons urbis • sofia rosati, claudia tognetti, giacomo tolainiromeo, alessio solari 61 •
Sezioni tettoia e lavatoio
la preesistenza genera progetto • francesco collotti 62 •
Vista esterna
frons urbis • sofia rosati, claudia tognetti, giacomo tolainiromeo, alessio solari 63 •
Vista interna

La lettura di ciò che ha definito storicamente i modi di formazione del villaggio divengono riconoscibili in alcuni degli elementi che caratterizzano l’insediamento: la traccia muraria che segna e racchiude il luogo, la tipologia di paramento murario, essenzialmente costituito da muratura in laterizio e pietrame, che si ritrova nel paesaggio circostante, su cui si staglia Siena all’orizzonte. Tali caratteristiche sono così divenute divenute matrice progettuale, per un intervento che potesse divenire parte di un sistema paesaggio appartenente al mondo rurale toscano.

Nella sua definizione urbana il borgo si presenta caratterizzato da un susseguirsi stretto di dilatazioni e compressioni che si alternano tra il sistema di piazze e, nel chiostro dell’Abbazia di Torri, alle strette vie che li connetono e che si diramano all’interno del tessuto incanalando gli sguardi che si rivolgono al paesaggio circostante. Così i salti di quota, che caratterizzano l’insediamento, divengono particolari punti di osservazione per l’alternarsi di questo sistema di aperture e chiusure definito da un accostamento di volumi differenti e di addizione degli stessi, quasi a definire quello che potremmo chiamare 'un accumulo'.

Lo sguardo si apre nella piazza principale, prima dilatazione dell’intero sistema, oggi snaturata dalla sua funzione collettiva; caratterizzata da un vuoto, una mancanza subito percepibile se si osserva la cinta muraria di cui si individua la traccia incorporata nelle abitazioni, oggi persa nella sua totalità.

Tali tracce, significative nel susseguirsi dei livelli di definizione dell’insediamento di Torri divengono, nella loro riproposizione progettuale, trasfigurata, elementi di valorizzazione degli eventi storici del borgo, capaci di riproporre una architettura che sappia parlare di un nuovo tempo e che sappia, al contempo, divenire nuovo fulcro della vita sociale e culturale del villaggio.

Così la lettura cronologica dell’insediamento urbano è divenuta architettura tramite i nuovi volumi custodi delle caratteristiche uniche di questo luogo e degli sguardi che appartengono a questo paesaggio, raccontato attraverso le tre aperture che dall’ultimo piano della torre si rivolgono verso uno dei paesaggi collinari più conosciuti al mondo.

tracce
del passato
Modello in scala 1:50 sezione in cartonlegno avorio

Elaborati grafici

Pianta dei vari livelli,sezione longitudinale e trasversale

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 66 •
tracce del passato • giulia hu, klejvi mallunxa 67

Esploso assonometrico pensilina

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 68 •

1. Rivestimento in lastre di rama

2. Piastre di ancoraggio

3. Guaina impermeabilizzante

4. Tavolato in legno OSB 20 mm

5. Traversi in acciaio 100x100 mm

6. Trave in acciaio HEA 240

7. Pilastro in acciaio HEA 240

8. Fianco d’acciaio di rinforzo

9. Elemento di rinforzo per pilastro

10. Basamento in cls

11. Piastra di giunzione

12. Fondazione in cls 50 mm

tracce del passato • giulia hu, klejvi mallunxa 69 • Dettagli costruttivi
la preesistenza genera progetto • francesco collotti 70 •
Viste esterne
tracce del passato • giulia hu, klejvi mallunxa 71 •
Vista interne

Modello in scala 1:50 sezione in cartonlegno avorio

Passeggiando per il piccolo villaggio medioevale di Torri, si notano subito alcune caratteristiche che ne evidenziano l’essenza costruttiva: l’utilizzo della pietra e del mattone rosso, ma anche il susseguirsi di falde inclinate, copertura delle antiche costruzioni del luogo, divenute peculiarità subito riconoscibili del paesaggio senese. Proprio l’analisi dei materiali, dell’esperienza degli abitanti ed i ricordi di coloro che ne abitavano i luoghi sono diventati determinanti per definire le trasformazioni della maglia urbana e lo sviluppo del tessuto architettonico di questo luogo, divenuti punti di partenza dell’esercitazione condotta. Il pensiero progettuale ha dunque trovato il suo inizio nell’analisi storico-urbanistica dell’insediamento, ritrovando, nella dimensione centrale della piazza, che ha perso il proprio ruolo sociale all’interno della vita del paese, il luogo da cui ripartire. Il mercato allora, pensato come uno spazio permeabile attestato ad uno degli edifici della piazza, ne ridefinisce i confini, divenendo non solo sistema per lo scambio delle merci, ma anche luogo di ritrovo e celebrazione di atti pubblici. Il nuovo volume, nella ridefinizione della dimensione della piazza centrale, riparte da quelli che erano gli elementi fulcro del luogo: la chiesa ed il chiostro, custodi di precise proporzioni. Così la nuova architettura si sviluppa in un susseguirsi di sei campate di tre metri per sei, protette da una copertura a doppia falda inclinata, che risuona della tradizione costruttiva del borgo senese, così come la scelta di materiali che richiamano i colori del piccolo insediamento medioevale, come il calcestruzzo pigmentato con il quarzo, utilizzato nella struttura del mercato, che si colora, una volta ossidato, di un rosso mattone intenso. Un rosso che si ritrova anche nel mandolato che, con un sistema di gelosie appartenente al mondo rurale toscano, richiama una passata dedizione agricola del luogo appartenente ad un tempo remoto in cui il sistema mosaicato romboidale era soluzione funzionale alla conservazione dei prodotti agricoli, protetti dall’aria e dalla luce che filtravano tra le piccole aperture del sistema di tamponamento. Anche l’allontanamento delle acque piovane è divenuto così un motivo progettuale, venendo nascosto da un rivestimento in mattoni agganciato al pilastro tramite una clip metallica che ne semplifica la rimozione in caso di manutenzione.

terre di siena

Elaborati grafici Pianta, sezione C-C’, prospetto

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 74 •
terre di siena • marta garcia devse, rebecca masina, emanuele miseria 75

Sezione terratetto

Dettaglio assonometrico mandolato

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 76 •

Dettaglio costruttivo Dettaglio costruttivo aggancio pluviale

terre di siena • marta garcia devse, rebecca masina, emanuele miseria 77 •
la preesistenza genera progetto • francesco collotti 78 • Vista interna
terre di siena • marta garcia devse, rebecca masina, emanuele miseria 79 •
Vista esterna

Modello in scala 1:50 sezione in legno e cartonlegno avorio

Il paesaggio che si mostra dai piccoli affacci, dai piccoli scorci trai volumi dell’insediamento medioevale diviene scaenae frons, capace di raccontare la storia di un tessuto urbano che, sembra fondersi al colle su cui si staglia, nei colori e nei materiali della pietra. Due strutture teatrali, una interna ed una sul fronte esterno del paese, cercano di tener viva la recente tradizione del borgo, ripensando a quello che potrebbe essere un nuovo destino per il piccolo insediamento medioevale, che sappia diventare parte di una cultura in evoluzione. Due volumi, rivolti in due direzioni opposte, divengono sguardi che raccontano la capacità umana di agire all’interno di questo paesaggio-teatro tra i più famosi al mondo, nel quale si incontrano ed annodano cultura e natura, ed in cui il visitatore, e l’abitante possano sentire il paesaggio come manifestazione di sé e della propria cultura. Sotto un unico tetto la terra ed il cielo sembrano entrare in contatto, allineandosi in quel paesaggio dove la terra coltivata in modo alessandrino trova la propria prosecuzione nelle colline arretrate, che sfumano nell’aria tersa del cielo. Una nuova torre di avvistamento recupera così tale sguardo, un tempo proprio dell’insediamento medievale, completando la piazza con un il suo volume quadrato, metaforicamente frutto del vuoto del chiostro della Chiesa da cui prende le forme, le dimensioni e il tema della deambultatio.

La passerella interna al primo piano è illuminata una volta su ogni lato da un’apertura che, come in un teatro, rompe la quarta parete e si proietta verso l’esterno, fino a giungere all’ultimo piano, dove una terrazza si apre su tutti i lati concedendo lo sguardo all'intero paesaggio: a Sud e a Ovest le colline Metallifere della Montagnola senese, a Nord e a Est la Val di Merse.

La piazza trova così la sua conclusione nel confine già segnato da un basso muretto, frammento di altre costruzioni, lasciato come segno appartenente ad un mondo pre-esistente.

Un ulteriore nuovo sguardo si inserisce nel paesaggio, organizzato in una serie di terrazze che si susseguono nella parte esterna delle mura, ed in cui un nuovo volume, articolato in due livelli, come due palchi sovrastanti, consente di osservare lo sfumare della distesa verde, tra ulivi e vigneti che, con i loro profumi, inondano la grande ed ultima terrazza.

le quinte

Elaborati

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 82 •
grafici Piante, sezioni e prospetti
le quinte • ludovica caschetto, giacomo rosselli, francesco spini 83
la preesistenza genera progetto • francesco collotti 84 • Esploso assonometrico
le quinte • ludovica caschetto, giacomo rosselli, francesco spini 85 • Sezione tecnologica
la preesistenza genera progetto • francesco collotti 86 •
Vista esterna
le quinte • ludovica caschetto, giacomo rosselli, francesco spini 87 • Vista interna
mostra la tinaia, sovicille

Bibliografia del laboratorio

Bibliografia

Ahlberg H., Smithson A., Smithson P. Wilson, C. S. J. 1989, Sigurd Lewerentz, 1885-1975: The Dilemma of Classicism, The Architectural Association, Londra.

Ahlin J. 1987, Sigurd Lewerentz, architect 1885-1975, Byggförlaget, Stoccolma.

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Turri E. 2006, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Marsilio Editori, Padova.

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Riviste

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Filmografia

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Documentazione d’archivio

Paolini L., Torri e il suo Chiostro tra passato,presente e futuro. Pro loco Sovicille.

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Jacopozzi G.J. 2008, Il soave sorriso della sirena Pro loco Sovicille.

Fonti indirette consultate

Archivio di Stato di Siena.

Mappe del catasto toscano.

Pit - Piano di indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico 2015, Regione Toscana.

93 bibliografia del laboratorio

Ipotesi dei diversi tipi di insediamento ipotesi 1,2,3.

Pezzi mancanti

Il Villaggio di Torri rappresenta uno dei casi di conservazione di valori storici, architettonici e culturali che ancora risulta integro nel complesso del territorio toscano, eppure qualcosa sembra mancare. La presenza del grande spazio aperto della piazza principale in un paese di così piccole dimensioni è difatti testimone di un qualche ‘pezzo mancante’. Il lavoro di ricerca si è così focalizzato sull’utilizzo di un’area destinata ad un insediamento abitativo all’interno del nucleo storico principale che potesse rimarcare la traccia del passato ed in cui il dato storico fosse in qualche modo riportato alla luce e rispettato, pur prevedendo l’inserimento di nuovi elementi in uno spazio oggi vuoto. L’esercizio progettuale si è dunque sviluppato intorno a questa questione, partendo da schemi semplici di rigenerazione urbana fino a giungere a schemi più complessi ed alle varianti che ogni nuovo schema potesse offrire. Tutti gli insediamenti proposti sono accumunati dalla volontà di non compromettere la vista e la percezione dell’abbazia che si ha provenendo da ciascun vicolo del borgo, non alterando dunque l’immagine del simbolo del paese, ma rispettando le misure e la struttura dell’esistente, rendendo così il rapporto tra vecchio e nuovo, base dello sviluppo progettuale. La sintesi conclusiva di questo esercizio è racchiusa in due sistemi che prendono le stesse ‘mosse’, ma che si differenziano per posizione, distribuzione e tipologia, cercando al contempo di definire alcune linee guida da poter seguire per innestare un nuovo insediamento all’interno di un tessuto dal grande valore storico come quello del borgo di Torri.

• insediamento uno1:

lungo il muro di contenimento della piazza principale che affianca Via del borgo, dove si suppone che ipoteticamente sarebbe passata la prima cinta muraria.

• insediamento due2:

distribuzione all’interno della piazza principale, sulle tracce di quegli edifici che erano probabilmente presenti al suo interno.

1 XIII - XV Secolo, nell’epoca dell’incastellamento l’abitato si dota di una cinta muraria imponente e di due porte;

XIII - XV

abitare
medioevale •
la città
2 Secolo, in alcune carte storiche è presente un edificato interno alla piazza principale;
tesi di laurea

Plastico di inquadramento stato attuale cartonlegno

75 x 35 cm scala 1: 500

Prove di insediamento su plastico di dettaglio

In ordine: 0,2,1,3

Le due aree individuate vengono così modellate all’interno del borgo mantenendo quote, direzioni e dimensionamenti congrui al contesto in cui si inseriscono: in entrambe le soluzioni le direzioni principali, segnate dalle vie che si diramano all’interno del paese, sono rispettate ed enfatizzate. Così anche le quote dei nuovi edificati vengono sviluppate mantenendo l’attenzione su quella trama complessa che definisce l’esistente, ‘ricucendo’ un pezzo della città, che con il tempo è andata persa, completando il disegno del borgo e riuscendo ad offrire così alla popolazione nuovi luoghi generati nella trama storica. Nella prima ipotesi (insediamento 1) la piazza rimane uno spazio di grandi dimensioni, ma avvolto dai prospetti degli edifici che ne circondano completamente il perimetro. Nello spazio pubblico, dominato dall’abbazia, i nuovi edifici si affacciano sia sulla piazza centrale sia sul bosco antico di Siena vecchia. Nella seconda ipotesi invece (insediamento 2) la piazza centrale viene divisa da un edificato che determina un allungamento delle due vie principali, generando tre spazi pubblici minori: uno di ingresso sormontato dall’abbazia, uno davanti al volume dell’antico forno ed infine un terzo, affacciato su Via del Borgo. Entrambe le soluzioni proposte diventano così scenari che potrebbero addirittura coesistere. É possibile pensare anche ad un terzo ipotetico nuovo scenario dove sia la traccia delle vecchie mura, che quella delle vecchie abitazioni possono diventare oggetto di intervento. Il risultato, dato dall’inserimento di queste nuove volumetrie all’interno degli spazi della città medievale esistenti, riesce dunque a

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 96
abitare la città medioevale
la preesistenza genera progetto • francesco collotti 98 •
Sezione trasversale
abitare la città medioevale • milo agnorelli 99 0 2 10m 1 5
0 2 10m 1 5
abitare la città medioevale • milo agnorelli 101 •
Insediamento 1 Pianta alla quota della piazza
Insediamento 1 Vista prospettica

Insediamento 1

Vista da Via del Borgo particolare costruttivo facciata

Legenda

1 coppi in laterizio

2 guaina impermeabilizzante

3 tavolato (20 x 3 cm)

4 travetti (10 x 10 cm)

5 terzere in legno (14 x 16 cm)

6 puntoni in legno (20 x 24 cm)

7 rete elettrosaldata

8 stucco

9 laterizi

10 cordolo in c.a.

11 pignatta (40 x 20 x 25 cm)

12 intonaco per interni

13 intonaco per esterni

14 pavimentazione (5 mm)

15 colla

16 massetto cementizio

17 grondaia in rame

18 banchina in cemento

19 architrave in c.a.

20 scuri in legno

21 infissi in legno

22 guida

abitare la città medioevale • milo agnorelli 103 •

Pianta piano terra e primo piano disposizione ambienti e funzioni

Riferimento Pavilion

Apartments and Town Houses, Lafayette Park, Detroit, MI, Plans (Two-story town houses. Second and first floors.)

1955-1963

restituire

un disegno urbano che, seppur più movimentato risulta più compatto. Una quarta opzione, la soluzione ‘volume zero’ potrebbe invece lasciare libera la piazza e trasformare l’area, individuata nell’insediamento 1, in un parco verde composto da sedute e vegetazione. Tutte queste ipotesi sono dunque accumunate dalla medesima necessità di stabilire un collegamento tra la quota della piazza e la quota di Via del Borgo, tenendo nelle dimensioni e nei passi il ‘chiasso’3 della città medievale, che diventa così elemento fisso di tutti gli scenari.

Sulle tracce delle mura antiche

Il progetto abitativo riprende le mosse dal prototipo di casa a schiera sviluppato da Mies van der Rohe a Lafayette Park4 (Detroit), organizzato intorno ad un blocco centrale destinato ai servizi, che permette dunque di rendere fruibili il piano terra ed il primo piano, garantendo continuità alla casa. Non c’è quindi alcuna interruzione nei prospetti liberi e, aumentando l’illuminazione, la casa acquista una maggiore vivibilità, lasciando penetrare il bosco di Siena vecchia all’interno degli spazi dell’abitazione stessa. La composizione del nuovo fronte sulla piazza, riprendendo i motivi e le mosse dal progetto di Lafayette Park, è generato quindi da un nucleo abitativo, un centro civico con facciata vetrata ed una torre panoramica, che sul piano strutturale rappresentano la tipica casa tra due muri presente all’interno del borgo.

Pavilion Appartments di Mies a Lafayette Park.

Le case a Lafayette Park di Mies

"L’insediamento di Lafayette Park a Detroit, costruito nella seconda metà degli anni Cinquanta da Ludwig Hilberseimer e Ludwig Mies van der Rohe, dal paesaggista Alfred Caldwell e dal promotore Herbert Greenwald, costituisce un importante riferimento teorico e progettuale per i temi legati alle forme degli insediamenti. La collaborazione tra i due maestri tedeschi, Ludwig Mies van der Rohe e Ludwig Hilberseimer, costituisce un capitolo significativo per la comprensione della storia dell’architettura del Movimento Moderno." ( Bruno, Del Bo, Scotti 2018)

L’architettura precedentemente descritta riporta con sé i tratti caratteristici ‘miesiani’, con elementi strutturali pronunciati e pannelli di vetro piano, dove la caratteristica austerità è mitigata dalla configurazione degli edifici e del paesaggio circostante. Le case a schiera sono identiche, barre a due piani disposte perpendicolarmente e parallelamente l’una all’altra, in una conformazione che, seppur rigida, appare regolarizzata, seppur

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3 Indica un viuzza stretta, dal latino viculus, angiportus; chiassuolo e chiassolino ne sono i diminutivi; 4 Pavillon Appartment an Town Houses, Lafayette Park, Detroit, MI 1955-1963

Abitazioni _ case per due

1 hall / ingresso 10.50 mq

2 cucina 4.00 mq

3 ripostiglio / lavanderia 2.50 mq

4 soggiorno / pranzo 11.30 mq

5 studio / sala lettura 10.30 mq

6 bagno 4.00 mq

7 camera 14.00 mq

Centro civico_ torre panoramica

8 hall / ingresso 5.50 mq

9 sala polifunzionale 20.00 mq

10 torre panoramica 5.50 mq

11 terrazza panoramica 20.50 mq

abitare la città medioevale • milo agnorelli 105
0 2 10m 1 5
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Insediamento 2 Pianta alla quota della piazza Insediamento 2 Vista prospettica
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Insediamento 2
Vista dalla piazza Insediamento 2 Schema assonometrico funzionale
Sezione longitudinale del borgo

geometricamente rettilinea, appare ammorbidita dal verde e da una serie di visioni scelte. L’idea di riproporre in un contesto come quello di Torri le abitazioni di Lafayette Park potrebbe apparire come un gesto forzato, ma permette, in realtà, di garantire la configurazione di un nuovo modello abitativo, necessario a definire uno spazio intimo sufficiente e prezioso che sappia rispondere in modo appropriato alla sempre più complessa domanda abitativa. Occorre, ormai, riuscire a fornire soluzioni abitative che sappiano integrare la dimensione del risiedere con quella dell’abitare in un senso più generale, ipotizzando quartieri ed interventi edilizi capaci di rispondere in maniera flessibile al mutare delle istanze e delle popolazioni residenti e capaci al contempo di integrarsi con il contesto storico, come nel caso della ricerca di progetto qui presentata.

Bibliografia

Blaser W., Mies Van Der Rohe, Continuing the Chicago School of Architecture, Birkhauser Architecture, 1981;

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Collotti F., Appunti per una teoria dell’architettura, Luzern: Quart Verlag, 2002;

Collotti F., Idea civile di architettura - Scritti scelti 1990-2017, Siracusa: LetteraVentidue, 2018;

Cortonesi G., Un gioiello nel senese, La storia di Torri, della sua Abbazia e dei personaggi più illustri, Pro loco Sovicille, Collana di ricerche storiche sulle località del Comune di Sovicille N.1, 2015, Siena;

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Documentazione d’archivio

Fontani M., Da frusta e da randello, Pro loco Sovicille 2005.

Jacopo Jacopozzi G., Il soave sorriso della sirena Pro loco Sovicille settembre 2008.

Paolini L., Torri e il suo Chiostro tra passato,presente e futuro. Pro loco Sovicille.

Fonti indirette consultate

Archivio di Stato di Siena, Mappe del catasto toscano, Comunità di Torri. 1825

Pit - Piano di indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico, Regione Toscana, 2015

abitare la città medioevale • milo agnorelli 113
la preesistenza genera progetto • francesco collotti 114

L’identità del luogo, dalla memoria al progetto

abitare la città medioevale • milo agnorelli 115

• Torri, l’utilizzo dello spazio pubblico Foto tratta dalla mostra allestita per la Festa di Santa Mustiola a Torri, 2014 Premessa

Il progetto di valorizzazione degli spazi pubblici di Torri nasce dalla volontà della comunità locale di prendersi cura del proprio spazio. Tale volontà si è tradotta in un processo partecipativo che ha portato l’amministrazione comunale a realizzare un piccolo stralcio dei lavori in Piazza Maestro Ristoro e ad affidare la progettazione per lo studio di un intervento più ampio che riguardasse la riqualificazione di tutti gli spazi pubblici all’interno della cerchia muraria. Tale progettualità è risultata tra le proposte ammesse al contributo per i fondi della Regione Toscana relativi al bando "Interventi di sostegno per le città murate e le fortificazioni della Toscana" dell’anno 2021, permettendo così di concretizzare il processo di riqualificazione.

Dal punto di vista progettuale le scelte adottate rappresentano il punto di arrivo di un percorso di studi fondato sulla conoscenza dei manufatti e del contesto territoriale e sociale. Tale percorso è stato condotto in maniera multidisciplinare, cercando di integrare le informazioni provenienti da campi diversi. La ricerca delle fonti scritto-grafiche in archivio, l’indagine sul campo, attuata attraverso il rilievo geometrico-dimensionale, l’analisi sulla consistenza muraria degli edifici e, soprattutto, il confronto diretto con la comunità (attraverso tavoli condivisi) sono stati gli strumenti necessari alla redazione del progetto.

Con la consapevolezza che l’azione progettuale ha il compito di essere portatrice e garante della trasmissibilità della memoria, si è comunque deciso di inserire degli elementi di innovazione al fine di valorizzare e potenziare il patrimonio esistente sfruttando il suo pregio storico e rendendolo partecipe dei continui mutamenti che interessano il tessuto urbano e il suo contesto territoriale.

Contesto territoriale

Il territorio delle colline di Siena è tra le immagini archetipiche più note della Toscana. Consacrato come un’icona paesistica, questo paesaggio è contraddistinto da una struttura profonda, resistente e in buona parte ancora integra e leggibile, fondata su specifiche e caratterizzanti relazioni: il rapporto tra il sistema insediativo storico, colture e morfologia del rilievo,

l’identità
progetto
del luogo. dalla memoria al

Il

tra manufatti edilizi e paesaggio agrario, tra caratteri geomorfologici e disposizione del bosco. Un paesaggio storicamente modellato dalla diffusione della mezzadria e dai processi di modificazione territoriale ad essa legati, capillarmente connesso con gli insediamenti che, dai centri abitati fino ai poderi, reca ovunque l’impronta di una pervasiva opera dell’uomo.

Il succedersi e compenetrarsi di formazioni sociali e modi di produzione diversi ha strutturato versanti, sommità e crinali con un’edificazione compatta o isolata, localizzandovi centri abitati, complessi edificati e viabilità strategiche.1

Il nucleo rurale di Torri rappresenta uno dei pochi esempi di completa conservazione dei valori storici e architettonici del territorio ed è testimone di una memoria da preservare. Il villaggio nasce per ragioni strettamente legate alle attività agricole, caratteristica che ha definito in modo chiaro anche il suo sviluppo. All’interno dei suoi confini murati, lo spirito del luogo rimane pressoché immutato, definito dalla presenza di manufatti principalmente destinati alle attività rurali e artigianali come la fattoria, la falegnameria, il frantoio, il forno e i lavatoi pubblici. A partire dalla seconda metà del ‘900, la progressiva industrializzazione del territorio e il conseguente spopolamento delle campagne ha provocato la perdita della sua originaria centralità. Questa dinamica ha fatto sì che non si

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 118
1 Regione Toscana, PIT, Piano di IndirizzoTerritoriale con valenza di Piano Paesaggistico, ambito Colline di Siena Campagna di Torri nel 1954. La trama dei campi come vocazione d’uso degli spazi aperti frantoio della fattoria di Torri

innescassero quei processi di trasformazione che in molti casi hanno provocato un progressivo abbandono dei caratteri storici e peculiari dell’architettura rurale permettendo a Torri di mantenere una memoria quasi del tutto intatta. A testimonianza di ciò è frequente imbattersi in ambienti nei quali si possono ancora scorgere gli attrezzi sui tavoli e i macchinari da lavoro che lasciano percepire un passato ancora presente.

Ad accrescere ulteriormente il valore di questo centro storico è la presenza dell’antico monastero, fulcro dello sviluppo dell’intero abitato, intorno al quale si era formato un piccolo agglomerato di abitazioni divenute poi villaggio.

Un’altra peculiare caratteristica è che una buona porzione degli immobili del paese fanno parte della proprietà della Villa; questa circostanza, grazie ad una gestione di tipo conservativo degli immobili, ha tutelato e tramandato i valori storici e materici del passato; d’altro canto questa condizione ha provocato anche un effetto negativo a causa dell’immobilismo che ha portato a situazioni di degrado di alcuni spazi pubblici e l’abbandono di alcuni luoghi simbolici come la fattoria, il frantoio e l’antico forno. Un’altra problematica importante deriva dallo stato di conservazione di molti edifici che necessitano di importanti opere di restauro. La mancanza di adeguati spazi di sosta inoltre, costringe gli abitanti ad occupare con le autovetture l’intera Piazza Centrale, impedendo così lo sviluppo della vita sociale all’interno dello

l’identità del luogo. dalla memoria al progetto • marco corridori, giulia francesconi 119

Chiostro dell’Abbazia di Santa Mustiola.

Si intravedono tutti i materiali di cui si compone l’abitato di Torri

spazio pubblico. Per risolvere questa problematica risulta evidente che il recupero materiale delle pavimentazioni e l’inserimento di un nuovo sistema di arredo urbano sarebbe del tutto insufficiente per restituire la vocazione allo scambio e all’incontro che caratterizza da sempre il sistema urbano della piazza. In tale direzione l’utilizzo di un’area vicino alla porta di ingresso per un nuovo parcheggio ad uso degli abitanti del borgo potrebbe completare adeguatamente una concreta riqualificazione.

Il progetto di valorizzazione

Il progetto ha come obiettivo la riqualificazione dei principali spazi pubblici del borgo di Torri. Gli interventi si concentrano sui luoghi più significativi e vanno a ridisegnare l’ideale percorso che, dalla porta di ingresso, giunge fino alla Piazza Centrale, percorrendo le vie interne che si immettono in Piazza Maestro Ristoro fino a ricongiungersi con Via del Borgo.

La riqualificazione parte dalla volontà dell’Amministrazione e delle associazioni locali di restituire la giusta importanza agli spazi pubblici, ad oggi svalutati nel loro valore intrinseco poiché ingolfati dalla presenza delle vetture in sosta e dal degrado dei materiali. La nuova pavimentazione sarà l’elemento che principalmente restituirà qualità agli spazi pubblici del borgo. Il segno architettonico che il progetto vuole lasciare, seppure in maniera discreta, trae spunto dai segni caratteristici e fondativi del territorio: la maglia di ricorsi in pietra ricorda infatti la trama dei terreni coltivati tipici delle aree agricole limitrofe. Il tema dell’agricoltura e della vita ad essa legata è infatti quello che più identifica la storia e la natura del borgo di Torri che fin dalla sua origine ha organizzato le sue dinamiche economiche e sociali attorno alla produzione e lavorazione del grano. L’altro elemento che il disegno degli spazi pubblici vuole riscoprire è quello della viabilità storica che in maniera non invadente viene riscoperto con ricorsi integrati nella pavimentazione. Dalla ricerca storica infatti è emerso che lo spazio aperto più importante del borgo anticamente non fosse del tutto libero da costruzioni e che via Curva probabilmente continuava il suo percorso fino al circuito murario.

I materiali

Documenti storici riportano che i monaci dell’Abbazia di Torri nel corso del Trecento attivarono un’importante fornace per la produzione e la cottura di argilla, un segnale che conferma la grande attenzione riservata all’utilizzo dei materiali locali. Il materiale che maggiormente caratterizza gli edifici principali del borgo è comunemente chiamato ‘pietra di Torri’, una pietra calcarea di colore bianco grigiastro proveniente da cave

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 120
121

Concept del progetto

Gli studi preliminari che hanno portato alla definizione del progetto

oggi non più attive, situate nei pressi del paese. Tale materiale è stato utilizzato nella costruzione degli edifici più importanti dell’abitato: per gli elementi costruttivi del chiostro, per il rivestimento della facciata laterale della chiesa di Santa Mustiola e per il tratto di pavimentazione attualmente visibile in corrispondenza della piazzetta del Vescovado. Da tale importante testimonianza, e da alcune immagini storiche, si evince che la posa degli elementi lapidei era a lisca di pesce e proseguiva lungo tutta via del Borgo, unica via originariamente pavimentata. Quest’ultima attualmente non presenta più la pavimentazione antica che è stata sostituita con una nuova pavimentazione in pietra, non rispettando né il materiale originario né la posa degli elementi.

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 122

La scelta dei materiali del progetto fa riferimento all’analisi storica del borgo e allo studio dei materiali esistenti; le piazze e la viabilità interna, ad esclusione di via del Borgo che conduceva direttamente all’Abbazia, con ogni probabilità infatti, nascevano in terra battuta. Da qui la scelta di utilizzare un sistema di pavimentazione architettonica con ghiaia a vista che, grazie alla possibilità di utilizzare degli aggregati naturali caratteristici della zona e presenti in cave limitrofe, restituisce a Torri un’ immagine coerente con il contesto storico e paesaggistico. Tale materiale a bassa porosità, fibrorinforzato, con una buona resistenza agli effetti dei cicli di gelo/disgelo, ha la qualità di mantenere le caratteristiche di carrabilità necessarie per permettere il transito di vetture che per necessità dovranno attraversare il centro storico. Il disegno delle pezzature di pavimentazione, che daranno vita al disegno degli spazi pubblici, sarà scandito da ricorsi in pietra calcarea di colorazione compatibile con il contesto architettonico e paesaggistico esistente e da profili metallici con finitura brunita. Anche le caditoie a fessura per l’allontanamento delle acque avranno l’aspetto di sottili profili metallici. Il richiamo alla pietra calcarea locale sarà utilizzato anche in prossimità delle soglie dei prospetti principali che si affacciano sugli spazi pubblici.

Nuovi spazi urbani

Il processo di riqualificazione, del quale il progetto vuole essere elemento propulsore, ha come obiettivo quello di riattivare quelle sinergie perdute della vita di comunità. Il progetto propone di riscoprire i luoghi con maggior valore architettonico e sociale attraverso la collocazione di sedute e di zone d’ombra. Da queste considerazioni nasce il progetto di sistemazione del verde che prevede il posizionamento di essenze arboree coerenti con il contesto paesaggistico e di aiuole che ospiteranno essenze aromatiche. Tali elementi vanno a organizzare le attuali sistemazioni di iniziativa privata e spontanea nei pressi delle abitazioni che si affacciano sullo spazio pubblico mantenendone tuttavia la dimensione ‘domestica’ e condivisa del loro utilizzo.

Uno degli elementi più emblematici è il recupero della fontana, intervento che si collega al restauro delle vecchie fonti che si trovano appena fuori dal circuito murario, un’azione che mira a riscoprire il valore simbolico dell’acqua ricucendo una qualità fondante per lo sviluppo della vita cittadina.

La disposizione del nuovo arredo urbano trae spunto dalle dinamiche sociali che storicamente caratterizzavano la vita degli abitanti nell’utilizzo degli spazi pubblici. Il fine di riqualificare gli spazi storici porta a favorire un nuovo sviluppo delle dinamiche sociali che, nei centri abitati minori, sono andate inaridendosi. Da queste considerazioni si è deciso di riproporre alcune sedute nella piazza principale in prossimità di quel muretto attorno al quale gli

l’identità del luogo. dalla memoria al progetto • marco corridori, giulia francesconi 123

Il progetto degli spazi pubblici. Simulazione dell’intervento di recupero.

abitanti si riunivano in passato. In piazza Maestro Ristoro, le testimonianze orali e i segni ancora visibili nelle murature tramandano la presenza di una pensilina lignea a sbalzo sotto la quale era presente una panchina. Tale spunto è stato riproposto collocando una panca con seduta in pietra calcarea protetta da una pensilina con struttura metallica leggera e copertura lignea che, pur non ancorandosi alle strutture preesistenti, garantisce, come in passato, la protezione dagli agenti atmosferici.

Illuminazione

Per quanto riguarda la nuova illuminazione, la genesi del progetto ha cercato un dialogo con il recente sistema di illuminazione pubblica inaugurato nell’estate del 2020. Questa illuminazione, che interessa tutto il borgo, ad esclusione della piazza principale, presenta dei corpi illuminanti a lanterna con fissaggio a parete tramite braccio in colore brunito. Nel caso della Piazza Centrale, non potendo utilizzare lo stesso sistema illuminante adottato per il resto del paese poiché inadatto ad illuminare la grande superficie, si è optato per un sistema a proiettori che permette di mimetizzare la dimensione del corpo illuminante, evitando così un confronto estetico con le lanterne esistenti. I nuovi elementi avranno dimensioni ridotte (elementi cubici con lato di circa 20cm) e saranno posti nel sotto-gronda degli edifici che si affacciano sulla piazza. Nella porzione di piazza più

la preesistenza genera progetto • francesco collotti 124 •
• Immagine dell’intervento realizzato in Piazza Maestro Ristoro

lontana dai fronti degli edifici l’illuminazione sarà assicurata da apparecchi ad incasso, applicati a terra a fianco del fusto delle nuove alberature. L’ultima porzione illuminata sarà il tratto di viabilità che dalla porta del paese conduce alla piazza. In questo caso il sistema illuminante scelto sarà ad incasso a pavimento con effetto a luce lavata washwall che valorizzerà il percorso di ingresso del borgo creando un effetto scenografico sull’antica muratura a confine con l’abbazia.

L’obiettivo del progetto degli spazi pubblici non è solo quello di determinare solo una ‘funzione’ per un determinato luogo ma è importante saperlo valorizzare in quanto essere unico, sia nella sua peculiarità avvalorata dal pregio storico sia nel suo carattere sociale e collettivo, rendendolo un ‘organismo vivo’ del tempo in cui si colloca.

Bibliografia

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l’identità del luogo. dalla memoria al progetto • marco corridori, giulia francesconi 125

la conservazione di un’immagine. le facciate

Premessa

L’iniziativa pubblica è stata in grado di mettere in moto un rinnovato interesse per il recupero di alcuni degli immobili più importanti fino ad ora rimasti inalterati dai processi di modernizzazione, ma anche di manutenzione programmata, provocando talvolta l’accumularsi di fenomenologie di degrado antropico dovute a piccoli lavori di risistemazione puntuale e molto spesso poco integrati con il patrimonio storico.

La ri-nascita delle dinamiche di rinnovamento e trasformazione degli spazi pubblici ha innescato così anche la volontà, da parte della proprietà privata, di riqualificare i propri immobili.

Conservare un’immagine

L’intero insediamento è contraddistinto da un’uniformità costruttiva da cui deriva il suo aspetto omogeneo. Tutti i paramenti murari sono costituiti da muratura in pietra mista a laterizio di modesta fattura che conferiscono al borgo una forte identità materica. Sulla maggior parte degli edifici si nota la presenza di degrado antropico come cavi elettrici e altri elementi incongrui che ne determinano l’aspetto decadente. Le superfici sono caratterizzate da uno strato di intonaco ormai in tutto o in parte distaccato che lascia trapelare il paramento in pietra o, talvolta, la presenza di arcate o mensole in travertino testimoni di un importante passato.

Nel capire quali interventi compiere e con quale gradiente di cambiamento, ci si è chiesti quanti e quali strumenti utilizzare in modo consapevole e con il fine di restituire una nuova immagine. L’analisi stratigrafica, in primis, ha permesso di osservare, registrare e interpretare i dati materiali in grado di evidenziare un importante segno di memoria.

Conservare i segni significa preservare le risorse gnoseologiche del costruito storico, questa consapevolezza è fondamentale per salvaguardare l’autenticità del manufatto nella storia e quindi la sua futura leggibilità, mirando alla sua comprensione senza però voler ristabilire quell’unità ormai andata perduta.

L’obiettivo principale è stato quello di conservare una percezione degli effetti del tempo sul manufatto senza però ottenere una versione ‘cosmetica’ del restauro, per questo motivo l’approccio metodologico è stato quello di conservare quelle parti di materia che portano i segni

Particolare della facciata di Piazza Vescovado a Torri

Veduta di Torri. Si evidenzia lo stato di conservazione dei paramenti murari

del divenire ma al tempo stesso sono considerati rilevanti nella definizione dell’immagine odierna. Si è quindi cercato di mantenere in parte visibili i segni stratificati attenuandone la confusa eterogeneità visiva tramite puliture e velature parzialmente coprenti. I segni che caratterizzano la fabbrica sono quindi impronte nel presente dell’opera ma sono anche linguaggi stratificati che raccontano il passato. Sono state effettuate mirate demolizioni di quei dati stratigrafici che non rendevano chiara la definizione dell’immagine progettuale oppure che riversavano in condizioni di degrado per cui era impossibile effettuare un intervento di consolidamento.

Immagine dello stato di conservazione degli edifici di Piazza Centrale

Il recupero degli spazi pubblici, promosso in origine dall’esigenza degli abitanti del posto, ha innescato un processo che ha portato alla nascita di un interesse generale nel recupero non solo dello spazio pubblico, ma anche di una porzione significativa di manufatti del paese, che nondimeno definiscono l’immagine consolidata della ‘pelle’1 dell’abitato di Torri.

Gli interventi

La Piazza Centrale costituisce lo spazio aperto più ampio all’interno del borgo fortificato, gli edifici che vi si attestano, oggetto di intervento di restauro, sono rivolti a Sud e presentano una visibile condizione di degrado dei paramenti murari, frutto di numerose

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1 Doglioni F., Scappin L., Squassina A., Trovò F., 2017, Conoscenza e Restauro degli intonaci e delle superfici murarie esterne di Venezia, campionatura, esemplificazioni, indirizzi di intervento, il Prato Casa Editrice

superfetazioni e del naturale invecchiamento dei materiali utilizzati. Sono facilmente individuabili i lacerti di intonaco in progressivo e continuo distacco e che lasciano intravedere la consistenza della muratura portante. La caduta degli intonaci ha permesso di individuare alcuni importanti elementi architettonici, in particolare il più interessante è l’arco a sesto acuto formato da conci in travertino la cui apertura è stata tamponata in passato per far spazio ad una porta di dimensioni più ridotte. Numerose aperture tamponate presenti sulla facciata presentano uno stato di degrado dovuto all’impiego di materiali scadenti e incongrui. Il monumento ai caduti, alla sinistra dell’arco, presenta anch’esso alcuni segni di rimaneggiamento e degrado, tra cui il distacco del bugnato decorativo che insiste sui bordi dell’elemento in marmo. Su tutta la superficie della facciata si notano inoltre numerosi elementi metallici e plastici, segno di alterazioni recenti. La vegetazione infestante che è cresciuta ai piedi dell’edificio inoltre contribuisce a formare fratture nella muratura e impedisce un’accurata diagnostica delle condizioni della parte basamentale.

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La piazza del Vescovado si trova in una posizione più defilata e costituisce senza dubbio il luogo più caratteristico del nucleo abitato, circondata da edifici di particolare pregio come la Chiesa di Santa Mustiola, il cui lato meridionale presenta evidenti caratteri gotici: l’elegante portale è coronato da un arco a sesto acuto e un architrave con una fitta decorazione e teste decorative. Sugli altri lati della piazza, quello rivolto a Est e quello rivolto a Nord, si attestano le facciate oggetto di intervento di restauro. La facciata rivolta ad Est ospita il portale d’ingresso del chiostro ed è caratterizzata da un paramento murario in pietra mista e intonacato. Sopra il portale si trovano due elementi decorativi lapidei rappresentanti lo stemma della famiglia Piccolomini e una lapide dedicata a Papa Pio II. Il chiostro dell’abbazia, perfettamente conservato sui quattro lati e articolato su tre ordini, costituisce una delle opere più suggestive della campagna senese. Il primo ordine, romanico e policromo grazie all’uso di travertino, ‘alberese nero’ di Vallerano e calcare rosa, colpisce per la ricchezza delle decorazioni, presenti non solo sui capitelli delle colonnette, ma anche sui fusti, sui pilastri d’angolo e sui pulvini ed è articolato da 12 arcate per lato. Il secondo ordine, costruito probabilmente tra il XIII e il XIV secolo, è caratterizzato da un paramento in laterizio faccia vista in buono stato di conservazione, colonnini anch’essi in laterizio e basi e capitelli in pietra calcarea.

Il primo solaio di calpestio ingloba il primo ed il secondo ordine ed è caratterizzato da una struttura lignea composta da grandi mensole intarsiate che reggono le travi lignee.

Il terzo ordine è presumibilmente riferibile alla fine del XIV secolo, realizzato in legno e con copertura tradizionale composta da un’importante struttura lignea e manto in coppi e tegole. La facciata rivolta a Nord invece fa parte di un edificio di minore importanza, sia per la composizione in alzato sia per la tipologia di materiali e tecniche costruttive utilizzate. Alcuni elementi interessanti di questa facciata sono le finestre cieche decorate con dipinti murari al primo livello.

Il progetto e il cantiere di restauro

È interessante notare come i due edifici oggetto degli interventi di restauro, benché costituiti da materiali e tecniche costruttive simili, siano stati interessati da condizioni climatiche differenti e che queste abbiano determinato allo stato attuale due situazioni conservative completamente differenti.

Gli edifici rivolti a Sud, di Piazza Centrale, hanno perso quasi completamente ogni traccia di intonaco, mentre le facciate di Piazza Vescovado, collocate in posizione più protetta dagli agenti atmosferici e dall’esposizione diretta del sole, hanno conservato l’intonaco originario, sebbene in condizioni conservative pessime.

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Piazza Vescovado Facciata con ingresso al chiostro dell’Abbazia.

Simulazione dell’intervento della facciata di Piazza Vescovado: strumento di valutazione preventiva degli effetti degli interventi di restauro

• Piazza Vescovado a intervento completato

I due progetti quindi si sono inevitabilmente distinti in base al singolo caso, se da un lato in Piazza Centrale si è deciso di mantenere visibili gli effetti del tempo, andando a fermare le alterazioni del degrado, ma non stravolgendo l’immagine ormai consolidata dei manufatti, nel caso delle facciate intonacate di Piazza del Vescovado si è proceduto alla ricognizione delle fenomenologie del degrado mirata ad illuminare le cause dei processi di alterazione e al successivo intervento principalmente conservativo di consolidamento degli intonaci esistenti.

Per entrambi gli interventi si è proceduto per fasi:

• la fase analitica (indagini in situ e analisi di laboratorio) è stata fondamentale per approfondire lo studio. I rilievi e le mappature tematiche, le analisi dirette dei materiali costruttivi hanno permesso la definizione di un intervento specifico; la restituzione di mappature tematiche è stata finalizzata a rilevare il tipo di materiale, i fenomeni di

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degrado e la loro diffusione sulla superficie; l’esecuzione di indagini in situ quali tasselli stratigrafici, prove di pulitura, l’analisi di laboratorio dei campioni prelevati in situ sono finalizzate alla caratterizzazione del supporto materico degli intonaci.

• La campagna di indagini diagnostiche ha messo in evidenza come le cause di degrado fossero ascrivibili maggiormente a depositi superficiali, umidità di risalita e anche alla scarsa qualità dei materiali che con il tempo hanno perso le loro caratteristiche chimico-fisiche; la mancanza di coesione della materia e di adesione al supporto ha determinato cadute e perdite localizzate o diffuse di strato pittorico ed anche dell’intonaco con formazione di lacune, disgregazioni e rigonfiamenti e mancanze nelle decorazioni a stucco.

Per quanto riguarda la fase operativa di cantiere:

• per le facciate di Piazza Centrale si è proceduto alla generale rimozione degli intonaci ammalorati e cementizi e alla pulitura con spazzole e bisturi di tutti i giunti di malta. Queste

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operazioni hanno messo in luce tutta una serie di peculiarità che rendono unica ogni porzione del paramento murario, a partire dai grandi portali presenti in facciata fino ai più semplici elementi realizzati con antiche tecniche costruttive. La costruzione della nuova malta è avvenuta prendendo come punto di partenza il materiale già presente in facciata e cercando di replicarne la matericità, la cromatura e soprattutto la dimensione degli inerti. Successivamente, tramite prove campione accuratamente esaminate, è stata eseguita l’operazione di stilatura di tutti i giunti di malta. L’ultima operazione eseguita sull’intera superficie delle facciate è stata l’applicazione di un prodotto protettivo a base di Silicato di Etile.

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Piazza Centrale ad intervento completato

• per le facciate di Piazza del Vescovado, le operazioni preliminari hanno riguardato la pulitura con acqua distillata, con la quale è stata effettuata la rimozione parziale di alcune ridipinture ed integrazioni pittoriche, impiegando bisturi e piccoli scalpelli. Le fessurazioni profonde, come quelle presenti negli elementi decorativi in marmo, sono state consolidate tramite iniezioni di malta di calce idraulica additivata con resina acrilica. Per quanto concerne le lacune di maggiori estensioni, presenti principalmente nella porzione superiore della facciata di ingresso al chiostro, si è proceduto consolidando l’intonaco parzialmente decoeso mediante iniezioni di resina acrilica in emulsione e integrando in sottolivello le parti di intonaco completamente distaccato con malte premiscelate composte da leganti idraulici pigmentati con cocciopesto e di granatura differente rispetto all’intonaco originario; L’intervento sull’intonaco ricostruisce le mancanze/lacune con stretto riferimento alle tecniche e finiture dei tratti conservati. Si è ricercato, in accordo con il parere della Soprintendenza, il differenziale che si crea tra parti conservate e parti ricostruite. L’uniformità delle superfici è ottenuta da una lieve scialbatura parzialmente coprente (velatura) che lascia trasparire le diversità degli intonaci e al tempo stesso ne attenua le discontinuità.

Bibliografia

Doglioni F., Scappin L., Squassina A., Trovò F. 2017, Conoscenza e Restauro degli intonaci e delle superfici murarie esterne di Venezia, campionatura, esemplificazioni, indirizzi di intervento, il Prato Casa Editrice, Venezia.

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Fiorani D.1996, L’invecchiamento e il degrado, in CARBONARA G., Trattato di restauro architettonico, vol. II, Utet,Torino.

Fiorani D. 1996, Rilievo del degrado e diagnostica, in CARBONARA G.,Trattato di restauro architettonico, vol. II, Utet, Torino.

Franceschi S., Germani L. 2011, Il degrado dei materiali nell’edilizia. Cause e valutazione delle patologie, (II edizione) Dei Tipografia del Genio Civile, Roma.

Franceschi S., Germani L. 2010, Manuale Operativo per il Restauro Architettonico. Metodologie di intervento per il restauro e la conservazione del patrimonio storico, Dei Tipografia del Genio Civile, Roma.

NorMaL 1/88 1988, Alterazione macroscopiche dei materiali lapidei: lessico, CNR-ICR, Roma.

NorMaL 24/86, 1986, Metodologia di rilevamento e di analisi della vegetazione, CNR-ICR, Roma.

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Ogni operazione condotta nei centri storici comporta un giudizio e questo deve essere dato in primo luogo nei termini dell’architettura e dell’analisi urbana. (Rossi, 1978)

Il recupero e la valorizzazione degli insediamenti nelle aree interne italiane ha ricevuto negli ultimi anni una crescente attenzione progettuale e mediatica1. Si è verificata una sorta di ‘riscoperta’ delle piccole città2 e delle aree rurali, a cui si riconoscono il valore culturale e paesaggistico.

Il progetto che interviene in questi contesti ha il dovere di porsi in maniera critica (Collotti, 2017). E questo, che sia un’opera da costruire, ristrutturare o ricostruire, è necessario che presti attenzione anche al programma nel suo insieme, valutando: gli obiettivi generali, la qualità dei soggetti coinvolti, l’impatto sul paesaggio, il coinvolgimento della comunità, la sostenibilità, le tempistiche e le tipologie di approccio al progetto3. Che ricada o no sotto il cappello di rigenerazione urbana, il coinvolgimento della comunità è un fattore fondamentale4. Il mancato o limitato coinvolgimento della comunità locale, infatti, impoverisce il progetto. È assente un elemento centrale per la comprensione delle ricchezze e delle complessità intrinseche del luogo, giacché la comunità non si individua semplicemente nei residenti o nei proprietari degli immobili interessati da un progetto, quanto in un gruppo di persone che condividono un senso di appartenenza e hanno interessi comuni.

1 Il tema ha avuto ampio risalto anche con lo stanziamento di parte dei fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) per la rigenerazione di alcuni borghi italiani. Il PNRR è un piano straordinario elaborato dallo Stato Italiano per gestire i fondi Europei Next generation EU stanziati in seguito alla Pandemia da Covid-19. Vi sono sei missioni principali: digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; salute; e transizione ecologica; mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione. https://italiadomani.gov.it/it (05/2022)

2 Per piccole città si intende quegli insediamenti di media e piccole dimensioni che si distinguono dalle grandi città per estensione, vocazione rurale del luogo, numero di abitanti, presenza di servizi infrastrutturali, rapporto con il paesaggio, disponibilità e varietà di servizi al cittadino.

3 Si distinguono due principali tipi di approccio: dall’alto (top-down), si riferisce ad azioni in cui è una persona, o un gruppo ristretto, a prendere decisioni; dal basso (bottom-up), si riferisce ad un’impostazione collettiva per la risoluzione di un problema, fanno parte di questa categoria le progettazioni partecipate, la gestione concertata, la democrazia locale.

4 “Le sperimentazioni di rigenerazione urbana dal basso contribuiscono all’inclusione sociale attraverso cambiamenti nell’agire dei soggetti e delle istituzioni» (Ostanel, 2017, p. 38).

Foto del limite del borgo incastellato di Torri
il progetto delle piccole città. esperienze di recupero e valorizzazione a tema culturale

Legarsi alla montagna

Maria

intervento su cartolina, 1981. Courtesy: © Archivio Maria

Installazione

termporanea di VladyArt.

Farm Cultural Park, Favara, 2014/2015.

Crediti e courtesy: Farm Cultural Park.

È importante sottolineare la sostanziale differenza tra i progetti che riguardano le grandi città e quelli che coinvolgono quelle medio-piccole. Le dinamiche sociali, economiche e ambientali sono sostanzialmente diverse. Sebbene ci siano obiettivi comuni, come il raggiungimento di un certo livello di sostenibilità ambientale ed economica, le specificità sono tali che gli interventi non siano comparabili. Per esempio, il ritmo e il modello di vita del piccolo centro sono di per sé più sostenibili rispetto alle attività e ai consumi dei grandi agglomerati urbani, quindi le azioni e i parametri di valutazione saranno diversi. Altri elementi da considerare sono le differenze tra i livelli di occupazione, i fenomeni di spopolamento o inurbamento, la varietà e la quantità dei servizi, la composizione della popolazione. Tutto questo fa parte del progetto architettonico che, come abbiamo visto nelle pagine di Martinelli5, si differenzia tra città e insediamenti rurali, rispondendo a determinati princìpi insediativi e alle specificità tipologiche. Per cui anche se gli obiettivi generali possono assomigliarsi quelli specifici e i mezzi per realizzarli dovranno necessariamente distinguersi6. Il progetto, ad ogni scala, da quello paesaggistico all’installazione

5 Si veda l'intervento di E. Martinelli in questo volume.

6 A livello europeo sono in atto alcune linee d’azione destinate anche ai piccoli centri. All’interno del programma URBACT è stato attivato il City Centre Doctor dedicato a piccole città https://urbact.eu/citycentredoctor?fb-

clid=IwAR3VCjSPrjqZQZXKrHgmBVEEhq1MNx8c8ltRd-s-FZb0lVf-D7T7R3TaP-c (05/2022), mentre

l’ENRD European Network for Rural Development è dedicato in maniera specifica alle aree rurali e ai piccoli centri (Smart Village). https://enrd.ec.europa.eu/home-page_en (05/2022)

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temporanea, deve quindi configurarsi come intervento multidisciplinare, corale e di lungo respiro (Rocha e Bertini, 2020).

Tra le varie possibilità di intervento sulle piccole città quella a tema culturale è tra le più applicate (Bernardoni et al., 2021). Tra le motivazioni potrebbe esserci l’identificazione della cultura come mezzo di unione e condivisione di valori e la possibilità di integrazione con l’offerta turistica. De Luca e Da Milano (2006) sottolineano che le ragioni alla base del successo di alcune operazioni nei processi di rigenerazione sono legate alle capacità di mediazione tra aspetti materiali e immateriali del territorio e alla libertà creativa dei soggetti coinvolti attivamente nel progetto. I modi in cui l’architettura, intesa come disciplina nella sua più ampia accezione, può intervenire in contesti preziosi e delicati come i paesi sono vari. Architettura, arte contemporanea e azioni culturali si identificano forse come il mezzo

Bodies in allience Marinella Senatore, Volterra, 2020.

Crediti e courtesy: Nicola Ughi

più immediato per riuscire a stabilire un collegamento o un dialogo tra luogo e comunità. Tra gli aspetti da non trascurare vi è il fattore turistico che rappresenta per certe aree una risorsa economica strategica. Nelle aree marginali si punta alla produzione di programmi di qualità per attrarre un turismo ristretto, colto e lento e per avere ricadute positive sul tessuto sociale locale, distinguendosi da quello di massa delle città o dei litorali. Un aspetto importante di questi progetti è la considerazione del luogo come parte di un sistema, quindi parte del paesaggio. Non c’è la sola visita di un determinato luogo ma si esplora la rete di relazioni che caratterizzano un’area. È attraverso la forza collettiva delle iniziative all’interno delle dinamiche territoriali che questi sistemi policentrici possono distinguersi ed esprimere una loro centralità (Rocha e Bertini, 2020). Di seguito, quattro diversi casi studio mostrano le potenzialità del progetto culturale come mezzo di recupero o valorizzazione delle piccole città

Tra le iniziative a tema culturale più famose si annovera un’opera d’arte collettiva e di rigenerazione anti-litteram: l’installazione di Maria Lai a Ulassai (Nuoro) "Legarsi alla montagna" del 1981. L’artista ha coinvolto tutta la popolazione del suo paese natale per la costruzione di una performance collettiva. L’installazione temporanea di scala paesaggistica legava, con pezzi di stoffa, memoria, tradizioni e persone (Pireddu, 2018). L’installazione ha fatto da apripista alla realizzazione di numerose opere permanenti di Lai a Ulassai. Con il tempo il piccolo centro è diventato, anche grazie al lavoro della "Fondazione Orfan Stazione dell’Arte" fondata dall’artista, meta di attrazione sia artistica che turistica.

Tra gli interventi sul tessuto urbano più riusciti e studiati vi è il "Farm Cultural Park di Favara" (Agrigento). L’iniziativa, nata nel 2010, è stata la reazione ad un tragico episodio, il crollo di una palazzina nel centro storico che ha causato la morte di due bambine. La zona era caratterizzato da una situazione di degrado e abbandono. Una famiglia ha acquistato un’intera area, restituendo alla comunità un patrimonio che altrimenti sarebbe stato demolito o sigillato: i Sette Cortili. Gli spazi sono stati recuperati dai proprietari con l’aiuto di volontari e residenti, formando una collaborazione con fondazioni, galleristi, artisti e architetti siciliani. È stato realizzato un centro culturale che ha iniziato ad ospitare opere d’arte, installazioni e incontri. Il progetto è cresciuto, recuperando altre aree o organizzando iniziative collaterali. Favara è diventata una meta turistica dell’area di Agrigento e il modello Farm Cultural Park è stato esportato in altri luoghi della Sicilia, prima, e d’Italia, poi (Contato, 2015).

Il lavoro sullo spazio, sull’appropriazione e sulla risignificazione dei luoghi è tradizionalmente tradotto in maniera efficace dall’arte contemporanea, come dimostrato da Lai.

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Nel 2020 è nato il progetto "Una Boccata d’Arte", organizzata da Fondazione Elpis e Galleria Continua. Sviluppato come risposta al periodo di pandemia, l’iniziativa cerca di riportare in piazza “la gioia di stare insieme, la partecipazione collettiva alla bellezza e alla cultura”7. Ogni anno, 20 artisti affermati e emergenti sono invitati ad intervenire in un borgo di una regione italiana per realizzare installazioni temporanee in situ: un progetto collettivo che coinvolge idealmente tutto lo stivale. A Volterra (Pisa), Marinella Sanatore ha lavorato sul tema della piazza, legandosi alla spazialità del luogo, al suo significato antropologico e all’uso dello spazio pre e post pandemia. Un’installazione luminosa, delle grandi lettere in legno con lampadine sul tipo delle luminarie, firma dell’artista, componevano la scritta BODIES IN ALLIENCE e si disponevano nello spazio di Piazza dei Priori. “Nella triste circostanza della pandemia del 2020, con forzati momenti di isolamento, la posizione del corpo – individuale e collettivo – è stata messa completamente in discussione: si sono forzatamente create nuove modalità di relazione tra le persone, specialmente da un punto di vista fisico, ponendo l’accento proprio su quanto la vicinanza fosse data per scontata e come sia, ora più che 7 https://unaboccatadarte.it/ (05/2022)

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Vista di Radicondoli

Crediti e courtesy: Fondazione

sistema Toscana

mai, essenziale. Ma il concetto di comunità, di alleanza sentimentale e sociale, costituisce una possibile via di conoscenza e trasformazione dei rapporti tra le persone”8. Sempre in Toscana, l’edizione 2021 del progetto ha coinvolto Radicondoli, piccolo borgo in provincia di Siena, meno famoso della più turistica Volterra 9. Qui è intervenuta l’artista Adelita Husni-Bey. La sua installazione sonora diffusa faceva riferimento al ripetersi delle pandemie: "Il tempo ripetuto// Repeated Time". Il lavoro è stato realizzato con l’OCR - Orchestra da Camera Radicondoli e si è ispirato agli esercizi di pedagogia sonora. Gli strumenti musicali hanno interpretato le cronache e le narrazioni della peste in Val d’Elsa della metà del 1600, si sono mescolate a quelle relative alla pandemia da Covid-19 e poi legate alle letture interpretate dall’associazione teatrale Rabel. Durante l’estate 2021, le composizioni hanno riverberato nei vicoli del borgo, convogliando nelle scuderie del Comune10. Per prossimità geografica, potenzialità turistiche e similarità paesaggistiche i casi delle due esperienze toscane si avvicinano alla dimensione di Torri. Queste evidenziano come le tipologie di intervento possono variare e che anche l’effimero può far parte della famiglia di progetti che creano un dialogo tra luogo, preesistenza e comunità. La ricerca attraverso il progetto sulle piccole città ci offre grandi possibilità di sperimentazione che non è formale e fine a stessa, ma ha implicazioni reali e complesse, coinvolge molte discipline e, potenzialmente, tanti attori. Università, studenti, amministrazioni locali, privati e cittadini possono essere tutti parte di un progetto multidisciplinare di valorizzazione e recupero11. Gli obiettivi sono spesso ambiziosi e di lungo respiro, il progetto lo si costruisce pezzo per pezzo. Come una sorta di elogio alla lentezza, si procede nella direzione opposta al consumo veloce di beni ed esperienze a cui siamo ormai abituati. Si ritorna in qualche modo al ritmo, lento, che tradizionalmente caratterizza la campagna e gli insediamenti rurali.

8 Progetto a cura di F. Paperini, https://unaboccatadarte.it/edizioni/ba2020/marinella-senatore-volterra-toscana/ (05/2022)

9 Il borgo ha all’attivo dal 1986 un rinomato festival, il Radicondoli Festival. A cura dell’Associazione Radicondoli Arte, è un evento multidisciplinare. Nato per recuperare il dismesso convento dell’abbondanza, l’iniziativa ha ricevuto negli anni un successo crescente di pubblico e di critica, affermandosi e arricchendosi di contenuti ed esiti https://www.radicondoliarte.org/ (05/2022)

10 Progetto a cura di Martina Marolda, https://unaboccatadarte.it/edizioni/ba2021/adelita-husni-bey-radicondoli-toscana/ (05/2022)

11 A titolo di esempio si veda Martinelli (2020)

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Bibliografia

Bernardoni A., Cossignani M., Papi D., Piccioli A., 2021, Il ruolo delle imprese sociali e delle organizzazioni del terzo settore nei processi di rigenerazione urbana in Impresa Sociale 3/2021.

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Contato A., Bartoli A., 2015, Dialogo su Farm Cultural Park, in Carta M., Lino B., (a cura di) Urban hyper-metabolism, ARACNE editrice, Ariccia.

De Luca M., Da Milano C., 2006, Il patrimonio e le attività culturali nei processi di rigenerazione urbana, Economia della Cultura, 16(3), pp. 371-382.

Martinelli E., 2020, Rigenerazione partecipata. Il caso di Sant’Angelo Vico L’Abate, Officina*, 30/2020, pp. 38-43.

Ostanel E., 2017, Spazi fuori dal comune. Rigenerare, includere, innovare, Franco Angeli, Milano.

Pireddu A., 2019, Il ritorno a casa - Maria Lai a Ulassai, 1981, Firenze Architettura, 22(2), pp. 2027.

Rocha J., Bertini V. (a cura di), 2020, Architecture, tourism and marginal areas, Lettera Ventidue, Siracusa.

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la preesistenza genera progetto • francesco collotti 144
ilprogettodellepiccolecittà.esperienzedirecuperoevalorizzazioneatemaculturale•giadacerri 145 Appendice documentaria

“L’antica abbazia vallombrosana della SS. Trinità e di S. Mustiola nel paese di Torri è uno dei più notevoli tra gli edifizi del periodo romanico, importanti e poco noti, dei quali è ricca la provincia di Siena” (Canestrelli, 2015, p. 1).

Con queste parole Antonio Canestrelli apriva, ormai più di un secolo fa, il suo studio dedicato all’abbazia di Torri uscito a puntate nella «Rassegna d’arte senese»1, ma si può dire che in questo lungo lasso di tempo la conoscenza che di essa abbiamo non sia progredita di molto e che fra gli oggetti più misteriosi di tutto il contado senese siano da annoverare l’abbazia ora trasformata in villa padronale e lo splendido chiostro a tre ordini, e la vicenda storica del fiabesco paesino che da essa si snoda, stretto, lungo il crinale verso il piano. Purtroppo la perdita completa di quello che doveva essere un imponente archivio monastico, non compensata come in altri casi da iniziative di duplicazione, costringe lo studioso ad andare spigolando notizie qua e là nei fondi documentari altrui e a scorrere gli indici dei nomi in opere di carattere più generale per cercare ‘Torri’, senza poter impostare una ricerca sistematica. Il presente scritto non può sfuggire a questa maledizione né ha la pretesa di colmare una lacuna di tali dimensioni, per ovviare alla quale sarebbe necessario unire le competenze di più studiosi, dagli storici dell’arte e dell’architettura medievale agli archeologi, agli storici della chiesa agli studiosi di agiografia: più modestamente ci si accontenterà di mettere insieme quanto finora noto e cercare di inserirlo nelle problematiche storiografiche attuali, con l’intento almeno di indicare le linee maestre di una ricerca che è ancora in gran parte da effettuare2.

1 Lo studio del Canestrelli uscì postumo nella «Rassegna d’arte senese» fra il 1920 e il 1921, per essere poi rilegato in un unico fascicoletto nel 1922 dallo Stabilimento Arti Grafiche San Bernardino di Siena. Nel 2015 chi scrive ha curato la riedizione del lavoro per l’editore Betti di Siena (vedi la bibliografia), per cui le citazioni vengono prese da quest’ultima.

2 Il vuoto seguito allo studio del Canestrelli è stato nel tempo occupato da pubblicazioni opera di dilettanti la cui buona volontà è pari solo all’impreparazione: ci sarà consentito astenersi dal menzionarle.

note
storia dell’abbazia
per la
e del paese di torri

Le origini

Il Canestrelli reperì presso l’Archivio Arcivescovile di Siena quello che a tutt’oggi è conosciuto come il più antico documento indirizzato alla nostra abbazia, un privilegio rilasciato da papa Alessandro II su richiesta di Beatrice marchesa di Toscana datato 13 gennaio 1070 (1069 nello stile dell’Incarnazione), e indicò quindi come epoca di fondazione del cenobio genericamente la seconda metà dell’XI secolo. Egli inoltre lo considerò membro fin da subito del nascente ordine vallombrosano pur mancando nel dettato della pergamena un qualsiasi riferimento ad esso (Canestrelli, 2015, p. 2). In tempi recenti Wilhelm Kurze ha ritenuto di poter anticipare la nascita del monastero alla prima metà dell’XI secolo, spingendosi anche ad ipotizzare come fondatrice una non identificata famiglia nobiliare senese, per analogia con vicende meglio conosciute di altre abbazie del territorio (2000, p. 54). Torri sarebbe dunque in origine un Eigenkloster, un monastero di famiglia sorto per la volontà di una qualche stirpe aristocratica in ascesa di dotarsi di questo strumento di potere: tale infatti è da considerarsi, per l’epoca, un cenobio di religiosi, centro di potere insieme spirituale, economico e politico-istituzionale che affianca il castello nella strategia di costruzione di un dominio territoriale (Kurze, 1989, pp. 299-302). Lo studioso tedesco però non si è spinto ad ipotizzare di quale famiglia si tratti, e ciò è comprensibile considerata la scarsità di attestazioni disponibili per l’intera area senese di quella epoca. Delle dinastie aristocratiche in ascesa dopo il fatidico anno Mille, famiglie che si usa definire di impianto ‘zonale’ vale a dire in possesso di un certo numero di centri incastellati entro un determinato e coerente ambito territoriale, l’unica cui si può attribuire un ruolo attivo nella fondazione di Torri è quella dei cosiddetti conti di Siena dalla quale poi sarebbe scaturita la schiatta degli Ardengheschi, ma solo per deduzione, principalmente osservando la dispersione dei beni patrimoniali dei quali essa disponeva liberamente entro un’area piuttosto vasta, beni che indirizzava verso una pluralità di enti religiosi non limitandosi alla sola abbazia di San Lorenzo al Lanzo, il monastero di famiglia (Cammarosano, 1979).

Ma la recente scoperta di un documento che attesta l’esistenza del nostro monastero già nel 1033 induce a nuove riflessioni e suggerisce nuove ipotesi (Favini, 2003; Fabbri, 2021). In quell’anno una coppia di coniugi donò al cenobio di San Salvatore di Fontebona (o della Berardenga) un terreno con vigna nel piviere di San Vito in Verzuris, avente fra i confinanti la terra de monasterio Sancte Trinitatis qui vocitatur a Turri3. La notizia

3 Il Cartulario venne pubblicato da Eugenio Casanova a puntate nel «Bullettino senese di storia patria» fra il 1914 e il 1922, successivamente ristampato in volume unico (1927). Il documento in questione è al numero DLXXV. Ringrazio il dott. Aldo Favini, autore della scoperta, per la preziosa segnalazione.

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è contenuta nel cosiddetto Cartulario della Berardenga, un codice realizzato nel XIII secolo

dall’abbazia di San Salvatore a Fontebona per conservare in copia le carte d’archivio, e l’accuratezza nella trascrizione dei documenti anche più antichi che viene riconosciuta a quella operazione redazionale ci rassicura sulla correttezza dello scritto e quindi sull’autenticità della testimonianza (Cammarosano, 1974, pp. 11-20). Dunque il monastero di Torri esisteva almeno una quarantina di anni prima di quanto attestato in precedenza, e ciò andrebbe in prima battuta a confermare l’ipotesi avanzata dal Kurze. Tuttavia la distanza della proprietà in questione dalla sede abbaziale (circa 22 chilometri a nord-est in linea d’aria) e la sua collocazione eccentrica, addirittura in diocesi di Arezzo, suggeriscono di effettuare una lettura più attenta e approfondita della dotazione patrimoniale del nostro cenobio: restituire una fisionomia attendibile al patrimonio di Torri significa cominciare ad intravedere la sagoma del suo fondatore. Purtroppo come già detto la documentazione non ci sostiene per quell’epoca remota e dobbiamo basarci su attestazioni più tarde, essenzialmente sulle bolle concesse all’abbazia dai papi Eugenio III nel 1152 e Innocenzo IV un secolo dopo (Canestrelli, 2015, pp. 3-4), che dovrebbero comunque aver conservato qualche elemento originario della dotazione, dalle quali dovremo però espungere quei beni che possiamo pensare entrati successivamente nella disponibilità dell’abbazia e aggiungere invece quelli che per altra via sappiamo appartenuti ad essa, come appunto il terreno nella Berardenga dal quale ha preso le mosse il nostro ragionamento. L’operazione è rischiosa, ma vale la pena tentarla. Detto questo, possiamo annoverare nel patrimonio originale di Torri innanzitutto la metà del padule d’Orgia, vasta area umida dalle grosse potenzialità produttive che l’abbazia metterà pienamente a frutto, come vedremo; collegata ad essa, anche se non dichiarata esplicitamente, dovrebbe essere la vicina sorgente del Busso, copiosa vena d’acqua buona ancora ai giorni nostri sfruttata per soddisfare la sete delle popolazioni circostanti, che all’epoca del Catasto del 1320 appare circondata da circa 350 di ettari di bosco e lavorativo delle popolazioni circostanti di proprietà del monastero4. Nella dotazione originale si trovava poi il poggio di Montacuto, a circa due chilometri dall’abbazia in direzione nord, rilievo dalle pendici scoscese su cui si ergeva un antico castelliere che poteva controllare, dalla sua posizione strategica, lo sbocco della vallata del torrente Rosia nella piana omonima; il poggio verrà ceduto alla metà del XII secolo al comune di Siena (vedi oltre), ed è per questo motivo che non compare nelle bolle papali. Fino a questo momento abbiamo davanti, con ogni probabilità, beni di origine fiscale tutti collocati nelle immediate vicinanze dell’abbazia: è questo un primo punto fermo da tenere presente. Allargando lo sguardo ai possedimenti più lontani

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4 Archivio di Stato di Siena, Estimo 52, c. 440v.

dobbiamo innanzitutto considerare

la chiesa di Santa Maria in Croce nel borgo di San Quirico in Osenna (oggi San Quirico d’Orcia, distante 42 chilometri in linea d’aria) in diocesi di Arezzo, ricordata nella bolla di Eugenio III ma relativamente alla quale ci rimangono anche alcune pergamene degli anni 1092 e 1142-43: da esse emerge un preciso interesse del nostro monastero a curare la proprietà in questa area e anzi possibilmente ampliarla acquisendo il controllo di metà della chiesa di San Donato nel piviere di Pava, nei pressi di San Giovanni d’Asso (Tacchetti, 1975-76, pp. 36-43 e 58-62). Anche San Quirico d’Orcia è da sempre centro di pertinenza fiscale e nel XII secolo sede di funzionari imperiali tedeschi (Schneider, 1975, pp. 278-279; Cammarosano, Passeri, 1976). E ugualmente lontano dall’abbazia è il terreno a San Vito in Verzuris, al quale vanno logicamente collegati, trovandosi nella medesima zona, l’ospedale di Cuna, di cui la bolla papale del 1152 è l’attestazione più antica (Cammarosano, Passeri, 1976), l’ospedale di Monteroni e la chiesa di Taverne d’Arbia menzionati invece nella bolla di papa Innocenzo IV: anche questo insieme di possedimenti dunque dovrebbe aver fatto parte della dotazione originaria. Al contrario, quasi tutte le restanti possessioni menzionate nel privilegio papale del 1252 dovrebbero essere acquisizioni più recenti, trattandosi di località fino ai primi del Duecento profondamente inserite nel dominio ardenghesco: Orgia, Rosia, Stigliano, Brenna, Montecapraia, Recenza, Cerreto Merse, Frontignano, Anterigoli, Mallecchi. Considerazioni analoghe valgono per la curtis di Campagnatico in Maremma, antica pertinenza degli Aldobrandeschi (Collavini, 1998, p. 80). Restano fuori da questo quadro i beni a Tonni, piccola località affacciata sul corso del torrente Rosia a pochi chilometri da Torri, che quindi possiamo considerare facenti parte della dotazione originaria.

Se la nostra ricostruzione è corretta possiamo dire, riassumendo, che il patrimonio abbaziale nell’XI secolo era composto da consistenti porzioni di terre fiscali in prossimità del monastero (il padule d’Orgia, la sorgente del Busso, il poggio di Montacuto) e da ospedali e chiese dislocati su alcune delle più importanti arterie stradali del comitato senese: la via Francigena (Cuna, Monteroni, San Quirico) e la direttrice successivamente nota come Lauretana (Taverne, San Vito in Verzuris) che puntava sulla Val di Chiana e la zona umbra. Sarà un caso, ma le uniche attestazioni documentarie sul patrimonio monastico nell’XI secolo sono legate alla grande viabilità senese: quale centro di potere, intorno all’anno Mille, può aver avuto l’interesse e la capacità di fondare un cenobio a Torri dotandolo nel modo descritto? Non una stirpe aristocratica zonale, troppo vasto essendo l’orizzonte tracciato dalla nostra pur scarsa documentazione per famiglie che si affacciavano allora sul grande palcoscenico della storia, compresse fino a quel momento

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nelle loro aspirazioni da un potere marchionale ancora forte (Wickham, 1996). Di più, gli Ardengheschi, la consorteria più vicina alla nostra zona per interessi patrimoniali, proprio nella prima metà dell’XI secolo stava affrontando un processo di territorializzazione, nel senso che i diversi gruppi parentali stavano concentrando ognuno i propri beni in aree ristrette e liberandosi di quelli più periferici (Angelucci, 2000, pp. 45-46), quindi è difficile pensare ad essi come protagonisti di una operazione quale abbiamo cercato di definire. Non rimane quindi che suggerire per questo ruolo, sia pure con tutte le cautele del caso, proprio il potere marchionale che nella seconda metà del X secolo si appoggiò decisamente alle istituzioni cenobitiche del territorio, già esistenti o di nuova fondazione, assegnando loro ampie porzioni di terre fiscali, oltre che allodiali, per cercare di proteggerle dalla cupidigia delle nuove famiglie aristocratiche in ascesa (Manarini, 2016, p. 174). Campione di questa politica fu Ugo di Tuscia, fedele esecutore della volontà imperiale, al quale si riconoscono per l’area senese decisi interventi a favore di San Michele di Marturi e di San Salvatore al Monte Amiata entrambe collocate sulla via Francigena (Kurze 1989, pp. 306-310; Manarini, 2016, pp. 103104). Proseguendo in questo ragionamento si potrebbe addirittura individuare il decennio successivo al 986 nel quale Ugo resse anche il ducato di Spoleto e Camerino il periodo entro il quale collocare l’epoca della fondazione di Torri, dal momento che allora egli “ottenne, oltre ai territori del ducato, anche una più netta influenza sulle città toscane da sempre legate al ducato spoletino, quali Arezzo, Siena e Chiusi” (Manarini, 2016, p. 101): la cosiddetta via Lauretana sulla quale erano collocati diversi possedimenti del monastero andava per l’appunto in quella direzione. Essendo Torri posizionata lungo il percorso fra Marturi e Monte Amiata, l’abbazia avrebbe potuto inserirsi a controllo dello snodo rappresentato dalla città di Siena in funzione di una viabilità trasversale che dalla Toscana centrale portava in Umbria. D’altra parte non è necessario pensare ad una iniziativa di fondazione puntualmente pianificata e diretta dall’alto: come mostra il caso di San Michele di Marturi, creazioni spontanee di comunità religiose da parte di persone profondamente devote in quell’epoca non erano infrequenti, iniziative che si stabilivano su terra fiscale trovando una sponda nella benevolenza marchionale che magari interveniva successivamente, nel caso il cenobio avesse avuto successo, con donazioni mirate (Kurze, 1989, pp. 165-179; Tomei, 2016).

Queste considerazioni rafforzano l’ipotesi di una origine marchionale, cioè ‘pubblica’ e non familiare, del nostro monastero. Naturalmente siamo nel campo delle ipotesi, è bene ribadirlo, suggerite semplicemente in prospettiva di studi più approfonditi; ipotesi cui si arriva più che altro per esclusione, essendo estremamente labili le attestazioni certe in nostro possesso. Tuttavia esse vanno esplicitate poiché il quadro restituito appare coerente, anche in relazione a certi avvenimenti successivi. Prendiamo ad esempio il famoso intervento di Beatrice

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di Lorena presso il papa del 1070 per porre sotto la protezione apostolica il monastero e svincolarlo da ogni potere laico locale, considerato il documento più antico relativo a Torri prima della scoperta di quello del 1033: esso appare pienamente coerente con l’atteggiamento generale tenuto dalla marchesa nei confronti degli istituti monastici, nessuno dei quali venne da lei fondato in Toscana ma ai quali dedicò numerose attenzioni tese a proteggerli dalle usurpazioni laicali dopo la morte di Goffredo il Barbuto nel 1069 (Bertolini, 1970). Più nello specifico, Beatrice si interessò a San Michele di Marturi e a San Salvatore del Monte Amiata (Ceccarelli Lemut, 1994, p. 153), proprio i due monasteri sulla via Francigena sui quali già era intervenuto Ugo di Tuscia. In altri termini, il privilegio sollecitato al papa da Beatrice nel 1070 avrebbe rinsaldato un rapporto già esistente fra il vertice del marchesato e questa realtà cenobitica, piccola ma dotata di un ruolo preciso, del quale evidentemente la cancelleria marchionale, o comunque il suo entourage, aveva conservato memoria.

Altra osservazione che cozza con l’idea di una origine da Eigenkloster, la forma di gran lunga preferita dalle consorterie comitali (D’Acunto 2006, pp. 292-293): nel corso delle vicende belliche che Siena dovette affrontare per sottomettere definitivamente gli Ardengheschi furono messe a ferro e fuoco dall’esercito comunale Rosia e Orgia, ma venne risparmiato proprio Torri che pure si trova nel mezzo fra le due, essendo il monastero evidentemente schierato con il comune cittadino (Balestracci, 1988).

Per concludere questa parte bisogna precisare che l’abbazia entrò a far parte dell’ordine vallombrosano soltanto nel 1153, secondo quanto attestato in una bolla di papa Anastasio IV (Vasaturo, 1962, p. 475).

I rapporti con Siena

Già il Canestrelli (2015, p. 8) aveva notato gli stretti legami che univano l’abbazia al comune di Siena, legami concretizzatisi in tutta una serie di collaborazioni sia sul piano politico che in quello economico. Abbiamo menzionato la cessione al governo cittadino del poggio di Montacuto nel 1156: essa va posta in relazione ad altre iniziative prese in quegli anni dal comune senese per affermare la propria autorità sul territorio, in particolare su quello ancora egemonizzato dalla potente consorteria degli Ardengheschi (Cammarosano, 1991, pp. 43-45). Il poggio di Montacuto, sul quale sorgeva da tempo immemorabile un castelliere (all’epoca ancora frequentato, come ha mostrato nel 2004 una ricognizione archeologica di superficie) era in una posizione troppo strategicamente importante per lasciarlo in mano a dei religiosi indifesi, in un’area sostanzialmente controllata dagli Aldobrandeschi: di qui l’accordo fra le parti. Ai nostri occhi il documento

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è importante anche perché per la prima volta il monastero affianca nella sua intitolazione santa Mustiola alla santissima Trinità, fino a quel momento unica titolare del cenobio, e l’abate ottiene in cambio dai consoli senesi l’omaggio di un cero da tre libbre il giorno della festa della novella patrona. E sarebbe interessante poter approfondire le motivazioni di questo cambiamento, di questo accostamento fra la suprema divinità cristiana e una santa certamente conosciuta a livello popolare in tutta l’area toscana meridionale, ma che aveva avuto il momento di massima diffusione del suo culto in epoca longobarda (Licciardello, 2009): i primi indiziati come responsabili dell’operazione sono naturalmente i Vallombrosani, considerando la coincidenza temporale tra l’inserimento di Torri fra le file dell’Ordine gualbertino e la prima menzione della santa a fianco della Trinità in un documento ufficiale, ma bisognerebbe chiarirne il contesto e le motivazioni.

La solidarietà fra il nostro cenobio e l’ancora giovane comune cittadino doveva toccare un momento di particolare intensità qualche anno dopo in occasione dello scontro che oppose il papa Alessandro III al Barbarossa e vide Siena schierarsi con l’imperatore e l’antipapa Callisto, nonostante il pontefice fosse di famiglia senese: il vescovo Ranieri lanciò l’interdetto sulla città e si ritirò in volontario esilio, ma il monastero di Torri restò fedele alle istituzioni cittadine nonostante la disposizione impartita a Vallombrosa dalla curia romana di deporre l’abate Rolando (Pellegrini, 2004, pp. 38-44). Quest’ultimo, forte dell’appoggio dei suoi monaci, proseguì per la sua strada non curandosi neanche di essere in forte minoranza all’interno dell’ordine vallombrosano (Piazzoni, 1999, pp. 384-385).

In ambito economico la collaborazione si concretizzò nel XIII secolo nella bonifica del padule d’Orgia e nella costruzione lungo il Merse di un imponente sistema di mulini da grano. Già da tempo, fin dal XII secolo, il monastero aveva edificato due mulini per proprio conto derivando l’acqua dal Merse con una gora (Cortese, 1997, pp. 100 e 115), ma la grossa operazione prese corpo soltanto a partire dal 1241 quando venne costituita fra il comune di Siena e l’abbazia una società per la bonifica e quindi un Consorzio fra tutti i possessori di terreni circostanti, cittadini e comitatini (Gelli, 2014). Venne realizzato un accorto sistema di canali di drenaggio che impediva il ristagno delle acque e ne favoriva il deflusso, in modo da liberare progressivamente sempre nuove porzioni di terreno coltivabile. Il Consorzio avrebbe dovuto tenere aggiornato un registro di tutti i proprietari con l’estensione dei rispettivi terreni, e costoro sarebbero stati obbligati a partecipare alle spese di pulizia e mantenimento delle fosse e dei canali di scolo. Nel 1245 poi fu avviata la costruzione dei mulini sul Merse, suddivisi in due grandi edifici, uno a Brenna e uno a Serravalle, ognuno da quattro palmenti. La gora realizzata per alimentarli era costituita

“da un canale lungo complessivamente oltre 6 Km, sostenuto in parte da argini di terra

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e in parte scavato nella roccia, talvolta con l’apertura di gallerie artificiali, dotate di sostegni in muratura, attraverso speroni di calcare che ostruivano il percorso. Il canale di Brenna viene mantenuto in quota, lungo il fianco dell’altura di Montestigliano, ad un dislivello di oltre 15 metri rispetto al fiume sottostante, in modo da ottenere una pendenza costante e controllata su tutto il percorso a partire dalla presa fino all’ultimo opificio alimentato” (Cortese, 1997, p. 77).

Altre clausole prevedevano che l’abbazia si sarebbe accollata tutte le spese di impianto e perciò avrebbe incassato tutti gli utili per i primi cinque anni di esercizio, successivamente le spettanze sarebbero state divise a mezzo con il comune di Siena. Il materiale edilizio e tutto quanto il necessario alla manutenzione sarebbe stato reperito nei vasti boschi di proprietà monastica. Operazione grandiosa per capacità ideativa e impegno economico. È stato scritto che il nostro monastero

“è uno dei primi e principali innovatori nel campo delle tecnologie idrauliche per la zona indagata: l’abbazia non acquistò mulini, ma fu tra i primi a costruirne, e si tratta delle più imponenti strutture tra tutte quelle individuate, in grado di raggiungere altissimi livelli produttivi. La gora che i monaci scavarono per alimentare questi opifici era una realizzazione di alta ingegneria idraulica, che comportò il superamento di notevoli difficoltà tecniche e l’impiego di una grande forza-lavoro, ma che una volta ultimata era in grado di garantire la macinazione in più impianti per tutto l’arco dell’anno” (Cortese,1997, p. 116).

E questi comunque non erano i soli impianti molitori progettati e posseduti da Torri, nel XIII secolo il monastero ne aveva anche altri per proprio conto nella zona di Orgia. Nella seconda metà del Duecento però quote via via crescenti dei mulini furono rilevate dal monastero cistercense di San Galgano, acquistate sia dal comune senese che da Torri (Cortese, 1997, pp. 107-109).

Un altro settore economico che vide i nostri monaci fortemente impegnati fu quello della produzione della lana, per il quale essi misero in piedi sempre lungo il corso del Merse altre strutture azionate da energia idraulica, delle gualchiere, macchine per follare i panni che facevano risparmiare tempo e manodopera al lungo processo di lavorazione (Malanima, 1988). E anche questa impresa fu realizzata in joint-venture con il comune di Siena. Purtroppo la cronica scarsezza di documentazione ci costringe ad essere imprecisi: il progetto appare definito nel Costituto del 1262, ma già alla metà del Duecento era attiva una gualchiera a Brenna presso il cosiddetto Mulino del Pero, in comproprietà fra Torri e il comune di Siena (Giacchetto, 2019-20, pp. 359-360). Gli impianti più grossi

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furono però costruiti più a monte nella zona di Mallecchi e costituirono per oltre due secoli il punto di riferimento obbligato per tutti i lanaioli senesi: possiamo figurarci i convogli di muli carichi di balle di lana da follare che si muovono quotidianamente dalla città in direzione del Merse, attraversando il padule bonificato per la cosiddetta ‘via dritta’ che conduce a Stigliano, per poi ritornare con i panni infeltriti. Secondo il catasto del 1320 le gualchiere di Mallecchi erano collocate all’interno di una grossa tenuta di 375 ettari quasi tutti boscosi del valore complessivo di oltre 2.700 lire, mentre gli impianti veri e propri erano stimati 283 lire. La proprietà era divisa a mezzo fra l’abbazia e l’Arte della Lana di Siena, che era subentrata al comune cittadino negli anni ‘90 del Duecento. Sorge spontaneo l’interrogativo su fino a che punto il nostro monastero, una volta realizzati gli impianti, fosse coinvolto nel processo produttivo vero e proprio, in altre parole se partecipasse attivamente alla confezione dei pannilana, settore di punta dell’economia medievale: i documenti rimasti ci dicono che Torri vestiva semplicemente il ruolo di proprietario delle gualchiere, limitandosi a riscuotere dall’Arte della Lana o dagli occasionali appaltatori un affitto annuale in denaro (Giacchetto, 2019-20, pp. 121-123). I monaci però erano grandi fornitori della materia prima, la lana che ottenevano dai greggi di pecore allevate: un raro documento del 1237 ci parla di una aggressione subita a Frosini da Guido pecorarius mentre conduceva un gregge di ben 600 pecore di proprietà del monastero e di due carnifices cittadini5. Dalle scarne note del procedimento giudiziario possiamo dedurre che l’abbazia utilizzasse le sue possessioni a Campagnatico, attestate nel catasto del 13206, come base per effettuare già a questa epoca l’allevamento transumante di grossi greggi di pecore in Maremma, associandosi a imprenditori senesi. Il ricavo era costituito da carne, formaggi e lana grezza da collocare sul mercato cittadino: ancora una volta la comunità monastica faceva riferimento alla grande e vicina realtà urbana.

Un altro settore economico che vide i nostri monaci profondamente coinvolti fu quello della produzione di laterizi, dei quali si sviluppò una grande domanda in Siena a partire dalla metà del Duecento e poi per tutto il Trecento, laterizi che venivano cotti in una fornace da essi costruita nei pressi dell’abbazia (Balestracci, Piccinni, 1977).

Un tale complesso produttivo, cui si deve aggiungere l’attività siderurgica impiantata non distante a Monticiano, ha indotto a definire l’area geografica affacciata sul corso superiore del Merse la “zona industriale” di Siena nel Medioevo (Balestracci, 1988, p. 157), una zona alla cui realizzazione dettero un contributo fondamentale i monaci di Torri.

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Il paese
5 Archivio di Stato di Siena, Biccherna 698, c. 116v. 6 Archivio di Stato di Siena, Estimo 52, c. 455v.

Non possiamo limitare la nostra analisi alla sola abbazia come fece il Canestrelli, anche la storia del paese sottostante è degna di attenzione. La solita mancanza di documentazione ci costringe pure in questo caso ad andare per congetture, per cui possiamo postulare in maniera molto semplice e intuitiva che all’origine dell’abitato ci siano state le diverse attività economiche messe in piedi dal monastero e i suoi bisogni. Un contributo decisivo per il decollo di una comunità di villaggio raccolta intorno all’abbazia deve essere venuto dalla cessione a Siena del poggio di Montacuto nel 1156, di cui abbiamo già parlato, dal momento che il castelliere posto sulla sommità è risultato abitato fino alla seconda metà del XII secolo e non oltre, come rilevato da una ricognizione archeologica di superficie nel 2004: per stornare il pericolo di un utilizzo ostile di quella posizione militarmente forte (i fianchi della collina sono molto ripidi soprattutto in direzione del piano) il comune cittadino deve aver imposto l’abbandono dell’insediamento sommitale, i cui abitanti con ogni probabilità si saranno spostati dabbasso a formare il paese di Torri. Non risponde a vero l’affermazione del Canestrelli (2015, p. 8) secondo la quale i consoli del comune rurale di Torri nel 1205 giurarono fedeltà a Siena: come è evidente anche ad una prima lettura della pergamena (che oltretutto andrebbe datata al 1206), si tratta di Torri di Maremma, castello soggetto ai signori di Gello e Montorsaio. Di sicuro comunque nel XIII secolo il paese cresce impetuosamente, come testimonia l’erezione della chiesa parrocchiale intitolata a san Gregorio menzionata nel documento papale del 1251 ma che evidentemente doveva esistere da tempo (Canestrelli, 2015, p. 4). Già agli inizi del secolo la comunità di Torri è in pieno sviluppo come mostra la ricognizione fiscale del 1208, la prima effettuata dal comune di Siena per cominciare ad inquadrare la capacità contributiva degli insediamenti del contado, nella quale al paese viene assegnata una tassazione di 100 lire, cifra media fra quelle attribuite alle varie comunità del territorio (Ascheri, 1993). Un particolare degno di nota è che Torri, insieme a Monticiano, è l’unico centro fra quelli della Montagnola e delle Colline Metallifere ad essere censito e quindi chiamato a contribuire, un ‘onore’ che certamente i suoi abitanti all’epoca avranno gradito poco ma che per noi rappresenta un dato prezioso perché ci indica un grado di sviluppo già notevole: i due insediamenti che delimitavano la ‘zona industriale’ di Siena erano in attività.

Più difficile è però attribuire volti e fisionomie precise ai personaggi coinvolti in queste attività che esulavano dalla semplice produzione agricola, almeno per Torri dal momento che Monticiano era centro specializzato nella produzione e lavorazione del ferro. Il rilievo di un’ascia scolpita su due pulvini delle colonne che ornano il chiostro dell’abbazia, databile alla prima metà del Duecento (Moretti, 1999, p. 491), simbolo generico dei

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lavoratori della pietra e del legno, ci indica tale settore produttivo, sviluppatosi anche grazie alla disponibilità di legname dai boschi e alla natura del sottosuolo. Ma purtroppo relativamente a Torri non è andato disperso solo l’archivio del monastero, abbiamo perso anche i registri degli atti dei notai che in quel periodo erano attivi in paese, strumento principale e a volte unico per penetrare nella carne viva delle comunità del contado. Il comune di Siena nella sua opera di amministrazione del territorio soggetto ha prodotto innumerevoli atti nei quali compaiono, riflessi, personaggi del contado alle prese o con l’apparato giudiziario o con quello finanziario cittadino: facendo ricerca su queste fonti per tematiche diverse, ogni tanto capita di imbattersi in abitanti di Torri e quello che segue è il magro bottino incamerato finora da chi scrive. Possiamo dire innanzitutto che a Torri hanno lavorato diversi notai dei quali oggi resta soltanto il nome: Neri Dietavive e Ranieri Dietavive (forse fratelli?) attivi negli anni ‘70 del Duecento7, Bonsignore di Rodolfo (anno 1295)8, ser Sozzo Milanesi documentato fra il 1300 e il 13109, infine un certo ser Guccio fra il 1302 e il 131410. E questi sono solo i nominativi incontrati per caso, cercando altro: sarebbe bastato anche uno solo delle decine di registri di atti da costoro realizzati per farci un’idea più precisa della vita del paese. Conosciamo poi torrigiani esercitanti la professione artigiana, qualificati nella documentazione come magistri: Guiduccio Venture (anno 1302)11, Piero Loli e Ristoro Allegretti documentati nel catasto del 132012. Infine un certo Tino Guiducci soprannominato «batte bambagia», appellativo che evoca la lavorazione del cotone13. Ma la testimonianza più significativa di una diversificazione nelle professioni esercitate all’epoca nel paese è quella di un atto giudiziario del 1273 nel quale si condannano due individui per aver ucciso certos mercatantes de Turri14 : purtroppo non sappiamo altro, né il loro nome né in che cosa commerciassero, ma essendo il delitto avvenuto vicino a Siena sappiamo almeno che il loro raggio d’azione comprendeva la città. Piccole attestazioni che vanno tutte a tratteggiare un corpo sociale non livellato nei lavori agricoli ma differenziato per professioni: all’ombra delle iniziative monastiche e comunali erano cresciuti gruppi familiari dediti all’artigianato e al commercio le cui attività necessitavano dell’opera del professionista della scrittura, il notaio. Una delle acquisizioni più recenti della storiografia sulle campagne medievali è proprio la consapevolezza dell’esistenza di una società differenziata per mestieri e ricchezza,

7 Archivio di Stato di Siena, Biccherna 709, c. 2r e Biccherna 725, c. 47r.

8 Archivio di Stato di Siena, Gabella dei contratti 34, c. 237r.

9Archivio di Stato di Siena, Gabella dei contratti 35, c. 81v, c. 150r e c. 175r; Gabella dei contratti 38, c. 84v e c. 100r; Gabella dei contratti 58, c. 95v.

10 Archivio di Stato di Siena, Biccherna 116, c. 185v e Gabella 13, c. 253r.

11 Archivio di Stato di Siena, Biccherna 116, c. 176r.

12 Archivio di Stato di Siena, Estimo 52, c. 549v.

13 Archivio di Stato di Siena, Estimo 52, c. 510r.

14 Archivio di Stato di Siena, Biccherna 725, c. 94v.

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almeno fino alla crisi trecentesca, all’interno della quale si può scorgere un vertice che viene definito ‘borghesia di castello’ (Pinto, 2007): Torri non fa eccezione. Tale consapevolezza era anche nel governo senese che ai fini fiscali usava suddividere i contribuenti del contado in quattro classi, la prima denominata dei ‘comitatini potenti per denaro e averi’, titolari di un imponibile superiore alle 500 lire, la seconda dei cosiddetti ‘mezzani’, con un imponibile compreso fra le 100 e le 500 lire, la terza di coloro che avevano beni di valore inferiore alle 100 lire, infine la quarta dei nullatenenti, stimati intorno al 10% del totale (Barlucchi, 1997). Grazie alla Tavola delle Possessioni, il grande catasto particellare descrittivo realizzato dal comune di Siena per tutto il suo dominio fra il 1316 e il 1320 (Cherubini, 1974, pp. 231-311), possiamo toccare con mano la stratificazione sociale esistente anche a Torri: qui su 59 nuclei familiari censiti, 3 appartenevano alla classe dei ‘comitatini potenti per denaro e averi’ (5%), 22 alla classe mediana (37%), 35 a quella inferiore (58%), mentre ci mancano dati per i nullatenenti dal momento che il catasto inquadrava solo i beni immobili. Su una popolazione che possiamo stimare intorno alle 300 unità, il più ricco risultava essere proprio un artigiano, maestro Ristoro di Allegretto titolare di un patrimonio valutato quasi 1.400 lire15 ; purtroppo il catasto non fornisce dati all’infuori di quelli relativi agli immobili, quindi non siamo in grado per il momento di aggiungere altri particolari, ma ciò conferma il quadro complessivo del paese che abbiamo fin qui tracciato.

La Tavola censisce anche il patrimonio dell’abbazia, che ammonta alla notevole cifra di 28.585 lire16 : uno studio dettagliato di esso esula dagli obiettivi del presente scritto, ma possiamo comunque dire che i monaci fondavano il loro patrimonio, oltre che su numerosi ed estesi appezzamenti nella zona di Torri e più in generale del padule d’Orgia, anche su una grossa proprietà nella curia di Campagnatico in Maremma costituita da una casa e un palatium al centro di due fondi di complessivi 47 ettari a lavorativo e vigna, valutati quasi 2.000 lire. Nel complesso i beni in mano ai nostri monaci appaiono consistenti ed equivalgono in valore a quelli dell’abbazia vallombrosana cittadina di San Donato, stimati 28.702 lire; altri enti religiosi senesi risultano ancora più ricchi, come la Casa della Misericordia che possiede immobili per oltre 66.000 lire, e il monastero di San Galgano il cui patrimonio si può stimare vicino alle 150.000 lire (Cherubini, 1974, pp. 251-252; Barlucchi, 1991, pp. 67-68); al contrario, i beni di San Lorenzo al Lanzo, in origine monastero di famiglia degli Ardengheschi, risultano di molto inferiori, ammontano a circa 15.000 lire e sono localizzati essenzialmente intorno al sito abbaziale

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15 Archivio di Stato di Siena, Estimo 52, c. 540r. 16 Archivio di Stato di Siena, Estimo 52, c. 455v.

(Angelucci, 2000, p. 122).

Anche se priva del materiale preparatorio, le cosiddette ‘Tavolette’ che per certe ricerche legate all’assetto del territorio sarebbero più utili, la Tavola di Torri opportunamente elaborata può dirci qualcosa sull’aspetto architettonico e urbanistico del paese. Le differenze più macroscopiche che si avvertono rispetto ad oggi sono rappresentate dall’assenza del Borgo, che prenderà corpo soltanto a partire dal XVI secolo; dalla mancanza di separazione fra l’abbazia e il resto del paese, e connessa a questo dall’estensione molto più modesta della piazza centrale, occupata da una fila di abitazioni; due gli accessi all’abitato, uno in alto dove oggi è il giardino della villa padronale, uno verso il piano all’altezza di via delle Cantine; nella zona della piazza centrale si trovavano la chiesa parrocchiale di San Gregorio e uno spiazzo con un frantoio, mentre l’edificio del forno sembra collocato verso il fondo del paese. Pure in questo caso siamo di fronte ad una ricostruzione ipotetica, anche se molto probabile: se avessimo i dati delle abitazioni in possesso ai cittadini senesi potremmo essere più precisi. Da segnalare per gli storici dell’arte, in questo contesto, il fatto che all’interno dell’abbazia i chiostri risultano essere più di uno, dal momento che per designarli si usa il plurale plaustris17

Ma il Trecento rappresenta per le campagne, non solo quelle senesi, un momento critico di grosse trasformazioni, quasi tutte di segno negativo. Già gli anni ‘20 del secolo conoscono le prime carestie, un aumento della pressione fiscale sulle comunità del dominio e di conseguenza l’esodo di gran parte della ‘borghesia di castello’ dal contado in città in cerca di migliori condizioni e opportunità: ciò impoverisce di colpo il corpo sociale del territorio, privato dei suoi elementi più dinamici. Anche in questo fenomeno Torri non fa eccezione e il maestro Ristoro Allegretti prenderà la cittadinanza senese negli anni ‘20, così come il più ricco abitante della vicina Rosia, un fabbro, e i più ricchi monticianini, coinvolti nella produzione del ferro (Barlucchi, 2020, p. 249): i centri della ‘zona industriale’ senese si stanno ruralizzando, ma si tratta di un movimento avvertibile dappertutto e anche nel territorio soggetto a Firenze. Parallelamente a questo, l’investimento in terre e appezzamenti effettuato da cittadini, processo iniziato già nella seconda metà del Duecento, emarginava progressivamente la piccola proprietà locale al cui posto nasceva il podere compatto ceduto a mezzadria, indebolendo ulteriormente il tessuto sociale delle campagne (Cherubini, 1974, pp. 51-119).

Il nostro paese per giunta venne messo a ferro e fuoco nel gennaio del 1333 (non 1332, come vuole il Canestrelli) dalle truppe pisane comandate dal fuoriuscito ghibellino fiorentino

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17 Archivio di Stato di Siena, Estimo 52, c. 442v.

Ciupo degli Scolari, episodio da inquadrare nell’ambito del confronto fra Siena e Pisa per il controllo di Massa Marittima. L’esercito nemico accorso in aiuto di Massa risalì la valle dell’Ombrone e poi quella del Merse devastando e prendendo prigionieri, finché si fermò a Rosia inutilmente fronteggiato dalle truppe senesi, forti di 800 cavalieri e di un numero imprecisato di fanti, che si attestarono proprio a Torri: nonostante le provocazioni, i senesi comandati dal famoso Guido Riccio da Fogliano non ingaggiarono battaglia ma lasciarono che i pisani sfilassero per la Montagnola in direzione di Volterra (Ciucciovino, 2011, p. 360). Non sono noti con precisione i danni sofferti dal paese, ma certo la sanguinosa incursione non deve essere stata indolore e comunque di sicuro vennero semidistrutte le gualchiere di Mallecchi che furono impossibilitate a lavorare per alcuni anni (Giacchetto, 2019-20, p. 126).

Poco dopo fu la Peste Nera a svolgere il suo tragico compito: anche se ci mancano dati precisi, non abbiamo dubbi sul fatto che il paese abbia subito un colpo ulteriore. Eloquente è la chiusura della chiesa parrocchiale di San Gregorio e l’apertura al culto della chiesa abbaziale, ristrutturata a tale scopo nella seconda metà del Trecento (Canestrelli, 2015, p. 45).

Abbiamo poi attestazioni indirette sull’impoverimento di uomini e di ricchezze subito in quel periodo non solo da Torri ma da tutta la zona affacciata sulla valle del Merse: all’interno del Consorzio del padule d’Orgia si moltiplicarono infatti gli attriti fra i proprietari cittadini e i sempre più immiseriti e rarefatti numericamente proprietari comitatini, mentre le diminuite necessità alimentari della popolazione inducevano a convertire in pascolo per il bestiame terreni già bonificati (Gelli, 2014). Il Consorzio faceva sempre più fatica a riscuotere i denari necessari alla manutenzione delle fosse al punto che a partire dagli ultimi decenni del Trecento la palude cominciò a riguadagnare terreno sconvolgendo l’assetto di un’area che agli inizi del secolo era considerata tra le più fertili e fruttifere di tutto il contado.

Tale vasto processo storico, tutto sotto il segno dell’impoverimento della società abitante le campagne, registra per Torri un punto di arrivo e insieme di svolta ai primi del Quattrocento, quando il paese doveva essere quasi spopolato al punto da indurre i governanti cittadini a sollecitarne il ripopolamento con famiglie contadine immigrate dall’area fiorentina allettate da esenzioni fiscali. La situazione è spiegata bene dalla petizione in saporoso volgare presentata dagli abitanti del paese alle autorità senesi nel 1414:

"Dichiarano che dal tempo delle «taxe vechie» erano più di 50 uomini, «puoi per cagione di chi ha tenuto per li tempi passati la Badia di Torri et e’ cittadini v’anno auto a fare, tuti l’uomini v’erano si so’ partiti perché non v’avevano beni propri, anzi tutti stavano per mezaiuoli et

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siamo visuti a comuno rotto et con pocho ordine»; ora, dopo uno sgravio, sono soltanto 10 uomini, quasi tutti fiorentini, «venuti da I anno in qua ad abitarvi in deto castello "(Ginatempo, 1988, p. 239).

In poche righe i torrigiani dell’epoca sintetizzano un processo plurisecolare, stigmatizzando la grettezza dell’amministrazione abbaziale e dei senesi, proprietari di gran parte dei terreni, causa prima della trasformazione dei piccoli proprietari terrieri in affittuari di poderi a mezzadria; poi la fuga dei mezzadri quando le loro condizioni si sono fatte insostenibili e di conseguenza la fine della comunità come istituzione (il «comuno rotto»), infine l’immigrazione di questi fiorentini stranieri, relativamente ai quali possiamo solo immaginare gli attriti e gli episodi di ostilità.

Il Quattrocento segna anche la fine della presenza vallombrosana nel paese: ai primi del secolo l’abbazia è data in commenda e nel 1462 definitivamente soppressa da papa Pio II che nomina gli arcivescovi di Siena abati perpetui (Canestrelli, 2015, p. 22). Si apre quindi tutto un nuovo scenario per il paese che viene trasformato profondamente cominciando ad assumere il volto che ancora oggi porta: tutta da indagare è l’operazione urbanistica che conduce all’apertura del Borgo, alla separazione fra gli edifici abbaziali e il paese per mezzo di un’alta muraglia e all’apertura della piazza centrale, sproporzionata in relazione all’abitato. Si tratta di modifiche strutturali avvenute a partire dal XVI secolo, anche indotte dal saccheggio subito da Torri nel 1530 ad opera delle truppe di Ferrante Gonzaga che qui si acquartierarono (Canestrelli, 2015, p. 23): per questa epoca però chi scrive non ha competenze, è giunto quindi il momento di chiudere questo contributo e lasciare la parola agli storici dell’Età moderna.

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Profili biografici

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Francesco Collotti (1960), architetto e professore ordinario di Composizione Architettonica presso l’Università degli Studi di Firenze. Già docente ETH a Zurigo e TU Dortmund, impegnato in una intensa attività didattica e di ricerca internazionale nell’ambito di accordi e convenzioni di cui è responsabile presso Unifi. Docente presso EMADU/UEMF a Fès. Coordinatore del Dottorato di Ricerca dell’Università di Firenze in Architettura, Progetto, Conoscenza e Salvaguardia del Patrimonio Culturale. Collaboratore di numerose riviste scientifiche internazionali ha, tra l’altro, pubblicato Appunti per una teoria dell’architettura (2002) e Idea civile di architettura (2017).

Ha realizzato edifici pubblici e case per la gente, messo in opera luoghi della memoria, siti archeologici, paesaggi fortificati. Ha in corso alcuni progetti pilota promossi dal DIDA in Medio oriente e Anatolia ed ha appena terminato la ricostruzione di edifici e spazi pubblici nel centro storico di Francoforte (DomRömer).

Eliana Martinelli (1987) è architetta e ricercatrice presso l’Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale. Nel 2017 ha conseguito cum laude il dottorato di ricerca in Composizione Architettonica presso l’Università IUAV di Venezia, con la prima tesi in Italia sull’opera di Turgut Cansever. È stata docente presso l’Université Euro-Méditerranéenne de Fès, l’Università di Pisa, l’Università Federico II di Napoli, la SRH Hochschule Heidelberg e l’Università degli Studi di Firenze, dove, come membro dell’unità di ricerca Dar_Med, si è occupata di progetto architettonico e urbano nel mondo euro-mediterraneo, con particolare attenzione al contesto turco e marocchino. È tra le fondatrici della rivista internazionale di architettura nel mondo islamico DAr.

Dal 2019 al 2022 è stata assegnista di ricerca nell’ambito della rigenerazione architettonica e urbana a base culturale, orientata alla valorizzazione del patrimonio. Ha all’attivo numerose pubblicazioni e partecipazioni a convegni e concorsi internazionali.

Chiara Simoncini (1996) è architetto e dottoranda in Progettazione Architettonica e Urbana presso l'Università degli Studi di Firenze. Si forma presso la Scuola di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, dove si laurea cum lode e dignità di stampa con una tesi in composizione architettonica e storia dell’architettura contemporanea.

Dal 2021 è cultrice della materia presso i laboratori di Progettazione Architettonica e Design di Interni del Prof. Arch. Francesco Collotti.

Dal 2022 è membro della redazione della rivista internazionale di architettura nel mondo islamico DAr_Design, Architecture, Research.

L’attività di pubblicazione riguarda i suoi principali interessi di ricerca circa l’architettura mediterranea con una particolare attenzione alla salvaguardia del complesso paesaggio delle piccole città costiere e l’eredità architettonica modernista delle realtà vernacolari delle ex Repubbliche Socialiste Sovietiche.

167 profili biografici

Giulia Sagarriga Visconti (1997) è architetto e borsista presso l’Università degli Studi Firenze. Si forma presso la Scuola di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, dove si laurea con lode con una tesi in composizione architettonica e tecnologia dell’architettura.

Dal 2021 è cultrice della materia presso i laboratori di Progettazione Architettonica e Design di Interni del Prof. Arch. Francesco Collotti.

L’attività di ricerca e pubblicazione si articola nel mondo della riqualificazione delle piccole realtà costiere industriali degradate e dell’architettura vernacolare indigena delle realtà tra Melanesia e Polinesia in Oceania.

Milo Agnorelli (1989), dottore in Architettura presso l’Università degli Studi di Firenze. Cultore della materia del laboratorio di Progettazione Architettonica del prof. Arch. Francesco Collotti e borsista di ricerca presso l’Università degli Studi di Firenze in merito a: "Studi e ricerche per il recupero, ecosostenibile della Tenuta Pubblica di Mondeggi - valorizzazione di immobili storici e riqualificazione di spazi collettivi e spazi privati con particolare riguardo alla resinificazione di ambiti insediamenti consolidati." Attualmente impegnato come collaboratore al RUP per la realizzazione del nuovo complesso Ospedaliero-Universitario Pisano S. Chiara. Collabora attivamente con vari studi di architettura tra Siena, Firenze e Pisa.

Marco Corridori (1989) architetto, si laurea in Architettura presso l’Università degli Studi di Firenze. Nel 2020 consegue il dottorato di Ricerca in Architettura presso l'Università degli Studi di Firenze, con una tesi dal titolo: Le Mura di Grosseto: dalla conoscenza ad un nuovo Distretto Culturale Evoluto. Prosegue il proprio percorso di ricerca presso l'Università degli Studi di Firenze tramite il Corso di Perfezionamento in documentazione e gestione dei beni culturali e conseguendo assegni e borse di ricerca. Parallelamente alla ricerca svolge attività professionale nel campo del restauro e della valorizzazione del patrimonio esistente, tra le esperienze più significative: il restauro della Basilica del Sacro Cuore di Gesù (GR), l’ampliamento del Cimitero della Misericordia (GR), il progetto di recupero del Baluardo Maiano (GR), la redazione del Masterplan delle Mura Medicee di Grosseto. Ha realizzato progetti di riqualificazione degli spazi pubblici di borghi storici come Istia d’Ombrone (GR), San Gusmè (SI) e Torri (SI).

Giulia Francesconi (1989), architetto, si laurea in Architettura presso l’Università degli Studi di Firenze con una tesi sul restauro della Rocca di Sala di Pietrasanta. Dal 2016 matura esperienze nel campo della documentazione e gestione dei Beni Culturali come Cultrice della Materia del Corso di Rilievo dell’Architettura presso l'Università degli Studi di Firenze e come borsista sul tema Rilievo e documentazione della chiesa di San Giovanni Battista in Campi Bisenzio (FI), finalizzati alla redazione del piano-programma del monumento. Svolge attività professionale nel campo del restauro e della rigenerazione urbana e matura

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esperienza nell’ambito della valorizzazione del patrimonio culturale esistente con i progetti di restauro dell’area spettacoli presso il Baluardo Fortezza e del Bastione Maiano, la redazione del Masterplan delle Mura Medicee di Grosseto, il restauro dell’ingresso al chiostro dell’abbazia di Santa Mustiola a Torri (SI) e la riqualificazione del Borgo di Gavorrano (GR).

Giada Cerri (1986) è architetto e Ph.D. in Management and Development of Cultural Heritage (IMT Scuola Alti Studi Lucca). Ha svolto esperienze di ricerca e professionali in Italia e all’estero e attualmente è assegnista di ricerca e docente a contratto presso l’Università degli Studi di Firenze. L’attività di pubblicazione riguarda i suoi principali interessi di ricerca: museografia e allestimento, management e comunicazione dei beni culturali, architettura degli interni, sicurezza e vulnerabilità sismica degli allestimenti e delle collezioni museali. È coinvolta in vari progetti e gruppi di ricerca nazionali e europei ed è parte della redazione della rivista internazionale DAr_ Design, Architecture, Research. Parallelamente all’attività di ricerca e di didattica porta avanti la pratica professionale. Come libero professionista si occupa di consulenza, progettazione e allestimento museale, progetto di interni e, in modo più marginale, di grafica e di scenografia.

Andrea Barlucchi (1959) dal 2008 è Ricercatore e Professore Aggregato di Storia Medievale presso l’Università degli Studi di Siena. In precedenza aveva usufruito di borse e assegni di ricerca dalle università di Firenze e di Siena e di una borsa post dottorale dall’Harvard University Center for Italian Renaissance Studies – Villa I Tatti di Firenze. Ha collaborato a progetti di ricerca europei, fra i quali il progetto ERMO (2015-2017). I suoi interessi di ricerca sono indirizzati alla storia delle campagne toscane bassomedievali, in particolare negli aspetti delle dinamiche sociali ed economiche; a questi temi ha dedicato numerosi saggi e alcuni volumi, fra i quali Il contado senese all’epoca dei Nove (1997). Attualmente è presidente dell’Associazione di Studi Storici Elio Conti di Firenze e direttore della collana Studi e fonti di storia toscana.

169 profili biografici
didapress Università degli Studi di Firenze 2023

Il borgo incastellato di Torri, che nel suo toponimo tiene dentro un tipo edilizio preciso, è racchiuso da un bordo che cinge il grappolo di case allungato su un fianco del pendio, parte di quel paesaggio dove togliendo l’urbanistica alla geografia e volgendo lo sguardo dalla parte opposta di Siena, alcune dita di colline si lasciano intravedere segnate nel controluce da filari precisi di olivi che salgono regolari e dall’antica fatica dell’uomo (e delle donne) su questa terra. Il volume La preesistenza genera progetto. Il caso studio di Torri parte dal racconto di questo territorio, dalla sua storia e dalla sua memoria ed è l’esito di un percorso didattico e di ricerca svolto all’interno del Laboratorio di Progettazione dell’Architettura V e del laboratorio di tesi dedicato alla rigenerazione di borghi e di piccoli insediamenti italiani, entrambi tenuti dal prof. Collotti.

ISBN 978-88-3338-180-0

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