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Quale Satiné: Bruno o Isabella?

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di SERGIOLUCARINI, foto: S. LUCARINI, B. ZAMAGNIeE. DELPOZZO

Su quello che viene definito “Fattore Satiné” è scorso e ancora sta scorrendo molto inchiostro. Le tematiche legate alla comprensione del suo meccanismo genetico sono argomenti molto gettonati nell’ambito della canaricoltura di colore. In tale direzione, nel mio piccolo posso dire di aver fatto la mia parte con diversi scritti pubblicati nel corso dei decenni. Queste righe risalgono a trent’anni fa: …Mi sono documentato, ho rispolverato tutti i miei appunti di allevamento e sono giunto alla conclusione che l’acquisizione dei tipi ridotti del Verdone Agata, Isabella, Lutinoe Satiné(ovviamente anche i corrispettivi del Canarino) sia collegabile a diverse espressioni del gene “rd” (riduzione). In pratica, il gene non mutato rd+ ha due alleli alternativi (allelomorfia multipla): rdino ed rda. Il primo è in grado di indurre una riduzione totale della eu nera e della feo, quando agisce sul tipo base Ancestrale (Nero bruno) produce il Lutino; il secondo, rda, che invece è decisamente meno drastico, sulla stessa base produce il mutato Agata. Gli altri due tipi, l’Isabellae il Satiné, nascono dall’interazione dei due alleli in oggetto rda e rdino con il tipo base Bruno(S.Lucarini “I.O.”n° 6/1991). In questo scritto, per la prima volta in Italia si fa riferimento all’allelia tra il gene “agata” e quello “lutino” (“satiné” nel Canarino).Sempre in questo articolo proposi l’inedito simbolo “rd” (riduzione) per indicare il locus coinvolto. Fino ad allora, per quello che riguarda il formulario dei geni implicati, si utilizzava la indifendibile simbologia “ z” ed “rb”, che ci tramandavamo da un corso giudici all’altro. Successivamente coinvolsi i colleghi della C.T.N.-I.E.I.(allora si chiamava così) per stilare una lista di denominazioni ufficiali, nonché uno standard descrittivo delle cromie ottimali riferito ai sei fenotipi allora conosciuti dell’indigeno europeo:

Foto 1 - Esempio di un ennesimo test di complementazione: ibridi mutati di Passero del Giappone Ino x Padda Agata, foto e all. S. Lucarini

Serie dei neri: 1)Ancestrale(br+rd+) 2)Agata(br+rda) 3)Lutino(br+rdino) Serie dei bruni: 1)Bruno(br rd+) 2)Isabella(Bruno + Agata) (br rda) 3)Satinè(Bruno +Lutino) (br rdino) In ambito I.E.I. (oggi E.F.I.) tale schema ha aperto la strada a quella che poi è stata definita la “serie allelica per il locus riduzione”, sequenza che attualmente per il Verdone annovera ben cinque geni alternativi. Altrettanti ne sono stati fissati e catalogati nel Diamante mandarino ed anche nel Cardellino. Considerando che non tutte queste forme apparse nelle tre specie citate sono tra loro sovrapponibili, possiamo al momento dire che gli alleli(1)potenziali individuati per il locus “riduzione”, compreso “rd+”, il non mutato, sono ad oggi almeno sette. Sempre in ambito “Estrildidi & Fringillidi”, oltre alle tre specie citate, moltissime altre presentano mutazioni ascrivibili al locusin esame. In maggioranza si tratta soprattutto di mutati di tipo “Ino”, i più vistosi e riconoscibili, ma anche gli “Agata” sono abbastanza numerosi. Tutte queste presenze, nel tempo, hanno consentito di acquisire, tramite centinaia di test di complementazione (vedi foto 1) basati su accoppiamenti sia extra specifici che in purezza, la sicurezza assolutacirca l’allelia tra i geni coinvolti. Oggi, stanti queste risultanze, non esiste membro del nostro “Collegio di specializzazione” che non abbia ben chiara la realtà genetica che ruota attorno al locus“riduzione”. Per noi sentire che viene messa in dubbio tale granitica realtà, cioè che le mutazioni agatae lutinopossano non essere tra loro alleliche, è come se ci dicessero che la Terra non è tonda ma piatta ed inoltre che non gira attorno al sole.

Sul fattore “ino SL” Il primo verdone Lutino è stato descritto nel 1916. Si trattava di una femmina catturata in Inghilterra. Successivamente, Verdoni affetti da tale mutazione, non so se eredi di quella prima femmina o meno, si sono diffusi in Francia e in Belgio per poi arrivare anche da noi. Con il passare dei decenni, anche in altre specie sono stati fissati fenotipi analoghi. Per quello che riguarda le denominazioni, ci si è di norma basati sul suffisso “ino” abbinato alla indicazione del colore di fondo, quindi il termine Lutino è rimasto per quelle specie che, al minimo o quasi nullo residuo melanico tipico della mutazione, sovrappongono una vistosa colorazione gialla di origine lipocromica, come ad esempio nel Cardellino, ma anche in Estrildidi come il Diamante di Gould o il Diamante Pappagallo. Quando invece il lipocromo è assente, come nel caso del Passero del Giappone o del Diamante codalunga, in riferimento al tipico residuo di eumelanina bruna si è per diverso tempo preferita la denominazione “Crema-ino”. Quando nel 1997 descrissi per la prima volta questa mutazione nel Diamante mandarino, proposi il termine neutro Ino, svincolando la denominazione della mutazione dal colore percepibile. La cosa in ambito E.F.I.è stata accolta con favore e da allora tale termine è stato utilizzato sia per indicare tali mutati in diverse specie (Codalunga, Passero del Giappone, Mandarino, etc.) sia per nominare dal punto di vista tecnico/genetico il fattore mutato in oggetto. Cioè, oggi diciamo che il Verdone Lutino è un mutato di tipo InoSL. Segnalo che in letteratura scientifica i mutati di tipo Ino vengono divisi in due gruppi principali: albinismo tirosinasi negativo (Ty-neg) e albinismo tirosinasi positivo (Ty-pos). Tra i primi, possiamo inserire tutti i mutati ad occhi rossi che trasmettono questa caratteristica con un meccanismo recessivo autosomico. Sono quindi degli InoNSL(non sessolegato), ad esempio, il Golatagliata Albino, il Verdone Citrino, Il Cardellino Albino, etc.; tra i secondi, cioè tra gli InoSL(sessolegato), tutti quelli sopra già citati. Tra questi ovviamente anche il Canarino Satiné. Ed eccoci al dunque, per comprendere il meccanismo di quello che in canaricoltura viene definito “fattore satiné” e per dare una risposta all’interrogativo di cui al titolo di questo scritto: “Quale Satiné: Bruno o Isabella?” basta studiarsi bene la sequenza sopra riportata a proposito di quelli che una volta provocatoriamente proposi come i “sei tipi base” del Verdone, e questo perché una cosa è certa: il meccanismo, sia nel Verdone che nel Canarino, è perfettamente identico, solo che nel Silvano, per una serie di circostanze favorevoli, si è dipanato davanti ai nostri occhi in modo lineare, quindi facilmente interpretabile, mentre nel Ca-

Foto 2 - Femmina di Verdone Ambra, quinto allele nel locus riduzione riconosciuto nell’indigeno, foto e all. B. Zamagni

narino, stante una sequenza di eventi meno favorevole, la lettura risulta più complessa. Il peccato originale infatti è che nel Canarino il fattore oggi universalmente chiamato “InoSL” è apparso in un ceppo di Isabella. Quell’Isabella di cui bisogna sempre sforzarsi di ricordarne la natura, cioè quella di un doppio mutato per agatae per bruno. In uno di questi uccelli, ripeto a base bruna, durante la meiosi, per una duplicazione errata, invece di riprodurre un gene “rda”, ne ha prodotto uno diverso, un “rdino”; questo, abbinato a “br” già presente nei genitori Isabella, ha generato il primo soggetto Satiné (br rdino). In questo alveo, l’errore è stato poi quello di dare la denominazione alla mutazione riferendosi ai suoi effetti correlati non al tipo base non mutato, il Nero bruno (come era definito all’epoca), ma ad una base già mutata, quella bruna. A questo punto non penso si debba aggiungere altro, tutti i Satiné

(con disegno) sono soggetti genetica-

mente a base Bruno. Il cosiddetto Isabella Satiné non è altro che un Bruno Satiné (base genetica sempre br rdino) che sconta la analoga forzatura selettiva sui cosiddetti geni “modificatori” già in essere sui tipi Agata ed Isabella.

L’esperienza di Peppino Vitti Naturalmente, tutto quello che fino a qui ho scritto è valido se si dà credito (come spero ed auspico) al fatto che le due mutazioni “agata” ed “ino” siano tra loro alleliche. Se invece, cosa di cui è convinto il mio amico Peppino Vitti (“I.O.” n° 2/21), le due mutazioni non fossero alleliche, allora sì che diventa possibile la coesistenza di due fenotipi Satiné (con disegno), uno a base Isabella ed uno a base Bruno. In ambito ornitologico, Peppino Vitti è una delle persone che stimo di più. L’analisi tecnico-genetica che troviamo nel suo articolo è secondo me ineccepibile. Sia l’ipotesi dell’allelia che quella delle due mutazioni indipendenti sono ben sviluppate ed esplicitate con un preciso formulario. Poi Peppino, tra le sue argomentazioni, cala un asso importante: racconta infatti che utilizzando in allevamento un ibrido nato dall’accoppiamento tra un Verzellino con una Canarina Satiné, quindi un soggetto Nero bruno portatore di Satiné, oltre ai canonici e prevedibili soggetti Nero bruno, Bruno, Lutino (Satiné Nero) e Satiné, ha generato anche una femmina Isabella (Bruno + Agata), cosa assolutamente non in linea con l’ipotesi dell’allelia tra “agata” ed “ino”. Chi vuole approfondire può andare a rileggere la nota di Vitti che, sui risvolti connessi a tale risultato, come ho già detto, ha sviluppato un formulario molto chiaro ed esplicativo. Da questo suo lavoro, per far capire di cosa stiamo parlando, riprendo solo la formula genetica dell’ibrido di Verzellino vista nell’ottica della allelia: br+ rd+/br rdino(Nero bruno/Satiné). Un soggetto che in meiosi è in grado di produrre due gameti “parentali” br+ rd+e br rdinoe per crossing-over i due gameti “ricombinanti” br+ rdino e br rd+ . Quattro gameti che corrispondono nell’ordine a: Nero bruno, Satiné, Lutino(Satiné Nero) e Bruno. Come si vede, non c’è possibilità che possa esserci un gamete in grado di generare un soggetto Isabella(br rda). Stanti così le cose, da dove è uscito questo animale? Secondo Peppino Vitti tale soggetto nasce grazie al fatto che, oltre al Bruno Satiné, possa esistere anche un Isabella Satiné, un triplo combinato come si usa dire oggi, soggetto cioè mutato per bruno, per agatae per ino (satiné), cosa che implica, appunto, che agata ed ino non siano fattori tra loro allelici. Essendo personalmente certo che invece lo siano (come detto, in ambito E.F.I.sono centinaia i test di complementazione che provano il legame allelico tra agata ed ino), deve per forza esserci una diversa interpretazione di quanto accaduto nell’allevamento del mio amico Peppino. Sembrerebbe una situazione senza via di uscita, invece una possibile spiegazione in fondo penso di averla e si basa su una caratteristica dell’“rd-locus” e soprattutto dell’allele Inoin particolare: la relativa instabilità della replicazione in fase di meiosi.

Loci complessi Ci sono dei testi nella mia libreria che ho consumato a forza di sfogliarli: uno di questi è “Il gene” di Benjamin Lewin, un “mattone” di seicento pagine per la maggior parte per me assolutamente indecifrabili. Nel paragrafo dedicato ai “loci complessi”, tra gli altri cita il caso del locus “w” coinvolto nella sintesi cromatica degli occhi del Moscerino della frutta (Drosophila melanogaster). Il colore degli

Foto 3 - Femmina di Verdone Mascherato, quarto allele nel locus riduzione, foto e all. B. Zamagni

Foto 4 - Bruno satinè mosaico rosso maschio, foto. E. del Pozzo

occhi della Drosophilaè dato da una mescolanza di pigmenti, uno di colore marrone ed uno di colore rosso, sintetizzati attraverso vie metaboliche separate. Il primo mutante isolato è stato white(w1), recessivo legato al sesso, che causa un blocco totale di entrambi i pigmenti. A questo primo mutante, nello stesso locus si sono aggiunte nel tempo decine di forme alleliche, molte con un effetto più o meno parziale su uno, l’altro o entrambi i pigmenti citati. La maggior parte di queste varianti, così come il primo isolatow1, sono costituite da inserzioni di tratti genici di varia lunghezza nei pressi di una regione regolatrice. In pratica queste inserzioni causano un ritardo di lettura, con conseguente perdita più o meno parziale di funzione. Spesso questa variazione è associata ad un cambiamento che avviene nel segmento stesso. Per esempio, la delezione di una piccola parte dell’inserzione w1dà l’allele we(eosina), che ha recuperato un minimo di espressione. Gli alleli usualmente sono identificati dai soprascritti i cui nomi riflettono il fenotipo. Per esempio, wa è l’allele albicocca, wiè l’allele avorio (ivory) e così via. I numerosi esempi di questo tipo di effetto implicano che la perdita più o meno marcata della funzione non sia dovuta semplicemente all’inserzione in sé, ma possa essere influenzata sia dalla natura che dalla lunghezza del segmento inserito. Altra caratteristica è l’instabilità: molti di questi alleli derivano da duplicazioni errate con delezioni o inserzioni che modificano la lunghezza del tratto inserito. Il mutante wc , che ha l’occhio cremisi, reverte con una frequenza di circa 10-3 verso forme con occhi più colorati. Fenomeni analoghi sono ipotizzabili a livello della genetica dei nostri uccelli? Personalmente sono convinto di sì: “è noto che l’”ino-locus” legato al sesso ha un tasso di mutazione piuttosto elevato...“ (Albinism in the Canary), Inte Onsman, Research & Advice Group, MUTAVI. A questo proposito posso portare un esempio molto ben documentato che riguarda la nascita della mutazione “ambra” nel Verdone, verificatasi nell’allevamento del Sig. Federico Boccarusso di Fano, uno dei più blasonati allevatori di Verdoni che abbiamo in Italia. Nel suo allevamento, nel 1994, da una coppia formata da maschio Agata/Lutino per femmina Lutino, che prevedibilmente poteva generare solo prole Agata e Lutino, nel primo nido, oltre a due maschi Lutino è nata una femmina di uno strano colore, decisamente più chiara rispetto ad una Agata ma, altrettanto decisamente, più colorata rispetto ad una Lutino. Dopo diverse interpretazioni errate, una volta accertata l’allelia di questa nuova espressione con le precedenti agata e ino, sul fenomeno si è fissato il punto: a causa di una duplicazione errata, il maschio ha trasmesso un inedito gamete, che rispetto all’originale ino ha recuperato un minimo di funzionalità. A questo nuovo fenotipo è stato assegnato il nome di Ambra (vedi foto 2). Un caso analogo è certamente successo anche quando, in un ceppo di Isabella, è apparsa la prima Canarina Satiné; anche lì, certamente, si è trattato di una duplicazione errata. Un gene già mutato che nel momento della replicazione è mutato ulteriormente. Detto tutto questo, non penso sia troppo azzardato pensare che un analogo caso di duplicazione errata potrebbe essere quello che è successo nell’allevamento di Peppino Vitti, dove l’ibrido di Verzellino portatore di bruno e diino ha trasmesso un gamete dove era presente un gene rda al posto del normale rdino ,cosa che ha portato alla nascita di una Isabella (br rda). È andata così? Personalmente penso proprio di sì; d’altra parte, ipotesi alternative, almeno dal punto di vista di uno come me che conosce bene la serietà e la preparazione dell’amico Peppino, non ci sono.

Conclusioni Non sono uno specialista in Canarini di colore, quindi con questo mio intervento non ho alcuna intenzione di entrare nel merito se sia giusto o meno affiancare all’attuale Satiné dal fenotipo “diluito” anche una versione “ossidata”. Al riguardo non ho, infatti, né il ruolo né la competenza per esprimere pareri. Quello che mi ha spinto ad assemblare queste righe era la puntualizzazione sulla realtà genetica che lega i fattori “agata” e “inoSL”. Secondo me, non si può mettere assolutamente in dubbio il dato certo circa la loro allelicità allo scopo di giustificare dal punto di vista tecnico-genetico uno sdoppiamento a livello espositivo del “tipo” Satiné. Al più, una decisione favorevole in tal senso si potrebbe trovare dando il giusto peso alla presenza e alla funzione dei geni, poco studiati e poco valutati, che nell’ambiente vengono indicati come “modificatori”. Qui siamo nell’ambito della genetica di popolazione riferita a geni ancestrali che codificano per la disposizione della eumelanina sulla singola penna, o anche per il suo dosaggio in incremento o in riduzione. Geni che, in numero indeterminato, caratterizzati certamente da un

alto grado di divergenza allelica, costituiscono il substrato su cui opera il lavoro del selezionatore. Lavoro portato avanti, una generazione dietro l’altra, con l’eliminazione progressiva degli alleli indesiderati. Negli anni Ottanta, scrissi con la collaborazione di Bruno Zamagni una serie di articoli sulla genetica e la selezione dei sei tipi allora conosciuti del Verdone. Zamagni era, ed ancora è, il più preparato tecnico in materia. I suoi soggetti in mostra erano imbattibili. A proposito del Satiné, scrivemmo che la sua selezione andava portata avanti con il supporto di soggetti Bruni ben ossidati. Quando poi, nei primissimi anni ’90, assieme ad Umberto Caimi in C.T.N. predisponemmo uno standard per questo indigeno, coerentemente tracciammo per il Satiné (Bruno + Lutino) un percorso verso la massima espressione della eumelanina bruna. In ambito I.E.I., la ricerca della massima presenza cromatica nell’ambito della specifica mutazione è una costante in tutti i settori, sia tra i Fringillidi che tra gli Estrildidi. In canaricoltura si è fatta una scelta diversa, altrettanto lecita, anche se a mio vedere meno coerente, ovvero quella della separazione dei tipi “diluiti” da quelli “ossidati”. Da quel momento è iniziata una deriva genetica che ha creato due popolazioni nettamente divergenti, ognuna caratterizzata da un specifico e peculiare poolgenetico. I Neri e gli Agata ne sono gli opposti punti di riferimento. Da una parte la forzatura verso disegni larghi e continui; dall’altra l’analoga forzatura verso la massima contrazione tesa ad esaltare la classica sequenza spezzettata, il “chicco di riso”. Il tipo Isabella, essendo l’equivalente a base Bruno dell’Agata, ne ha seguito la sorte nel medesimo percorso selettivo, privilegiando tra i “modificatori” gli stessi alleli codificanti per il disegno spezzettato. Quando è arrivato il Satiné, “ciccandone” la natura genetica, lo si è inserito “di ufficio” tra i diluiti, facendogli seguire la sorte dei suoi presunti tipi di riferimento. Peppino Vitti, andando controcorrente, ha fatto invece una scelta differente: ha inserito i suoi Satiné nell’alveo degli “ossidati”, accumulando nel genoma dei suoi soggetti tutti gli alleli conseguenti. Questa scelta, per le argomentazioni esplicitate fino a qui, è secondo me perfettamente razionale e, se mi è consentito dirla tutta, dato che la differenza sia a livello genetico che fenotipico tra i suoi soggetti e i classici Satiné c’è ed è ben marcata, pur non avendo assolutamente voce in capitolo, “faccio il tifo” lo stesso a che la sua tenacia ed il suo oramai quarantennale lavoro di selezione trovino il giusto riconoscimento.

Nota

(1)Alleli (termine che deriva dal greco allelon, “alternativo”), ad indicare geni alternativi per lo stesso locuscromosomico.

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