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Stefano Angelini e Francesco Faggiano
Il Diamante Mandarino e la mutazione “charcoal”
testo STEFANOANGELINIe FRANCESCOFAGGIANO, foto S. ANGELINI
Introduzione Nella storia dell’ornicoltura ornamentale, il Diamante Mandarino è sicuramente una delle specie che dopo l’ondulato e il canarino ha dimostrato grande capacità di adattamento alla vita domestica, ripagando nel tempo i suoi appassionati ornicoltori con un gran numero di varianti cromatiche, che spaziano dalla comune mutazione bruno fino ad arrivare alla complessa “charcoal” di cui ci occuperemo nel dettaglio in questo articolo tentando di identificarne la genetica e la giusta selezione.
Cenni e ipotesi sulla genetica del "charcoal" Più è complessa la livrea ancestrale di una specie, più geni e più considerando saranno coinvolti nella sua determinazione e conseguentemente più possibilità di variazioni potranno determinarsi. Facendo una semplificazione estrema del complesso genico che sottende la livrea della specie, possiamo dire che alcuni di questi geni si occupano della produzione dei diversi pigmenti, altri si occuperanno di quale e di quanto specifico pigmento deve essere prodotto e altri ancora di dove deve essere depositato. Questo ci permette di identificare tre grandi classi di geni così identificabili: geni qualitativi, che orientano la produzione delle eumelanine e delle feomelanine, ricordando che è sempre e solo il melanocita la cellula produttrice sia delle eumelanine che delle feomelanine; geni quantitativi, la cui azione specifica incide sulla quantità di melanina depositata sul piumaggio; infine geni regolatori della distribuzione del pigmento, che stabiliscono quale pigmento vada depositato o inibito in un dato punto del corpo. Nel Diamante Mandarino oggi abbiamo un ampio ventaglio di varianti fenotipiche frutto di mutazioni genetiche spontanee, riguardanti tutte e tre le classi di geni indicate. Come esempio di mutazione della qualità del pigmento possiamo sicuramente indicare il guancianera (geneticamente indicabile come onice), dove la variante genetica obbliga il melanocita a produrre solo eumelanina nera. Come mutazione tipicamente incidente sulla quantità di pigmento depositato sul piumaggio è calzante come esempio la mutazione dorsochiaro (genetica-
Coppia di Diamante Mandarino grigio charcoal
mente identificabile come agata), che vede definire un fenotipo caratterizzato da una riduzione del deposito melanico che interessa sia l’eumelanina che, in modo più marcato la feomelanina, ma solo perché già di base la quantità di feo è di suo inferiore alle eumelanine. Come esempio di mutazione inerente la distribuzione del deposito dei diversi pigmenti, quindi descrivibile come mutazione dei disegni, possiamo sicuramente ricordare il pettonero, che stravolge sia i disegni eumelanici che quelli feomelanici, ricordando che viene considerato disegno la selezione attenta può migliorare orientando l’espressione fenotipica della genetica per raggiungere e a volte superare l’eccellenza descritta negli standard. Vedremo di fatti nella trattazione specifica della mutazione “charcoal” come l’effetto mutante inibitorio di un gene permetta l’inespressione dello stesso, ma al contempo inneschi straordinariamente il prolungarsi dell’attività di altri geni che nel caso specifico determinano la saturazione eumelanica con impropria modulazione di nuove aree non pertinenti.
Novello appena involato di Diamante Mandarino charcoal
il margine o confine di un’area colorata. Sono, questi, solo tre esempi esplicativi di un più complesso ed articolato ventaglio di varianti genetiche del Diamante Mandarino non sempre contenute in esatti confini; probabilmente perché sullo stesso carattere intervengono sicuramente più attività genetiche, che se nel tipo base risultano tutte coerenti e concorrenti alla definizione del mantello classico, in presenza di modificazioni dell’assetto genetico spesso vanno in contraddizione tra loro determinando artefatti o espressioni intermedie, che poi solo Il “charcoal”: storia e caratteristiche genetiche Da ormai un ventennio in Australia è fissata nel Diamante Mandarino una particolarissima mutazione approdata solo da 4 o 5 anni in Europa attraverso gli Emirati Arabi dove, a loro volta, solo una decina di anni fa hanno avuto le possibilità di acquistarne alcuni soggetti, immediatamente rinforzati attraverso l’accoppiamento con ottimi soggetti in loro possesso. Questo mutante, che produce un fenotipo completamente innovativo, stravolge come accennato nel paragrafo precedente l’intera genetica finora conosciuta perché determina un fenotipo per un fenomeno indiretto alla mutazione stessa, ovvero l’inibizione di un gene determina la sovraespressione di altri geni. I belgi, primi ad averli in Europa, hanno correttamente ritenuto opportuno mantenere la denominazione “charcoal”, ovvero carbone, indicata dagli australiani, per l’effetto ipermelanizzante e opacizzante che produce sul fenotipo (ma questo è solo l’aspetto macroscopico del mutamento) e inserendolo in ottimi ceppi di grigio classico ne hanno velocemente migliorato l’espressione fenotipica secondo i canoni della moderna mandarinicoltura, miglioramenti che hanno coinvolto ovviamente anche la struttura di questi animali, oggi già presentanti morfologie ottimali. Quello che caratterizza questa mutazione autosomica recessiva e non allelica a nessuna altra varietà già nota nel DM (pur potendo supporre che la stessa mutazione interessi anche il becco d’argento ventrescuro, sebbene non avendo ancora verificato questa ipotesi attraverso l’ibridazione) non è soltanto l’ipermelanizzazione del piumaggio, carattere già visto in altre varietà come ad esempio l’eumo, ma soprattutto il contemporaneo fenomeno di inibizione di alcuni caratteri, come ad esempio la definizione della guancia e la modificazione del disegno. Però, mentre ci spieghiamo la modifica di alcuni disegni, come tutte le aree bianche della livrea che essendo quasi o totalmente saturate dall’eumelanina nera prendono nuova identità, la scomparsa della guancia feo e la mancata sostituzione con una guancia nera è meno comprensibile. È chiaro che nel “charcoal” il melanocita non subisce quell’inibizione locale della produzione delle eumelanine così che il triangolo facciale, la zebratura della gola e del petto, il ventre e persino i pallini dei fianchi e gli scacchi caudali vengano completamente saturati, ma questo può spiegarci come mai non è più in grado di produrre la feomelanina? E soprattutto, come mai nelle aree di pertinenza feomelanica, in presenza della mutazione “charcoal”, non si verifichi il noto fenomeno di sostituzione che caratterizza ad esempio altri mu-
tanti come il guancianera? Sappiamo che esiste un gene che, mutando in una forma iperattiva chiamata “faccianera”, determina una saturazione quasi completa delle aree bianche; questo fenomeno di saturazione, però, ad un certo punto si esaurisce, permettendo il riavviarsi della sintesi feomelanica e lasciando presenti sul piumaggio aree bianche come pallini, zona anale e scacchi caudali, variamente sfumati di pigmento nero. Questo ci indica che anche la “charcoal” è data da una mutazione che sospende l’inibizione della produzione eumelanica che però non tende ad esaurirsi perché viene a mancare la causa inibente, andando a determinare una saturazione completa che non è influenzata da quanta feo si sarebbe depositata normalmente. Effettivamente, ad un’osservazione attenta, l’azione della “charcoal” non è di generale iper melanizzazione, ma di eumelanizzazione ordinaria. In altri termini, nella “charcoal” il melanocita che viene orientato a produrre solo eumelanina rimane in attività per tutta la crescita del piumaggio, anche in quelle aree normalmente bianche o che sarebbero pigmentate da sola feomelanina, ma in queste non si ha quella produzione massiva che si avrebbe per le feo e che permette la definizione della guancia. Tanto è vero che, pur considerando corretti i soggetti che presentano un colore grigio fumo sul dorso e nero uniforme e saturo del petto e ventre, spesso la guancia nei maschi “charcoal” si presenta grigia e zebrata, così come succede anche sul petto e addirittura il ventre si può presentare grigio scuro e anche leggermente perlato di bianco (aree non saturate). Il fatto che spesso si evidenzi su guance, petto e ventre la “zebratura”, se pur su un fondo melanico e non bianco, ci dice che la produzione del pigmento non è costante nella quantità e pur considerando come tipici i soggetti uniformi e completamente saturi è chiaro che questo sia più il risultato (sperato) di un’attenta selezione e non l’effetto base della mutazione, che possiamo definire solo come eumelanizzante. Il fatto, poi, che le aree bianche come triangolo facciale ed estremità posteriore (groppone e codione) vengano saturate da melanina nera è spiegabile sommando l’ininterrotta attività del melanocita con la mancanza specifica per quelle zone di un regolatore di base funzionante, che permette una sovraespressione del melanocita. Probabilmente l’effetto che produce il fenotipo “charcoal” sta nell’artefatto funzionale del recettore di membrana MC1R che, non recependo lo stimolo del gene agouti, il probabile gene mutante, che dovrebbe indurre la produzione della feomelanina, continua a produrre eumelanina sotto la stimolazione ipofisaria che è costante, ma quantitativamente zione uniforme fosse da preferirsi rispetto alla possibilità di preservare la zebratura che compare sovente anche in aree come la guancia e non solo sul petto. In questi soggetti non è raro, difatti, osservare anche una leggera perlatura biancastra sul ventre. Essendo il “charcoal” un fenotipo scurente ed idealmente capace di saturare le aree di piumaggio bianco, si ritiene giustamente che l’evidenza della zebratura sia un difetto perché riconducibile ad un artefatto del funzionamento dei geni preposti alla zebratura stessa del petto che, non inibiti dall’azione del
Diamante Mandarino grigio charcoal maschio
ondulatoria con picchi di produzione che caratterizzano il realizzarsi dell’effetto “zebratura”, dato da bande scure (nere) su fondo chiaro (grigio) uniforme.
Descrizione del fenotipo Il nome “charcoal” = carbone, dato dai colleghi belgi a questa mutazione, rende perfettamente l’idea del fenotipo ottimale richiesto per questa mutazione, ovvero nero come il carbone. Nell’applicare i presupposti generali della selezione del Diamante Mandarino ci si è domandati se una saturagene mutante “charcoal”, tendono ad esprimersi anche in aree di non pertinenza. È un fenomeno già più volte osservato nel DM in altre condizioni genetiche dove, rotto l’equilibrio dato dall’assetto genetico “ancestrale” per la presenza di un mutante, gli altri geni si esprimono in modo differente e in aree di non pertinenza. Ricordiamo che ogni singola cellula del corpo di un essere vivente contiene esattamente gli stessi geni di tutte le altre cellule e che è l’informazione proveniente dal mondo circostante che gli dice come comportarsi. Quando questo messag-
Diamante Mandarino grigio charcoal
gio è artefatto o interpretato male perché uno o più geni sono mutanti, la risposta è impropria; sarà poi la selezione a orientare e migliorare la nuova possibilità fenotipica che si va a determinare. Così per il DM grigio “charcoal” maschio è ritenuto ottimale un colore grigio fumo, scuro e uniforme su capo, guance e dorso, mentre si ritiene ottimale un petto e un ventre nero carbone, con fianchi castani, ma privi di pallini (perché è caratteristica della mutazione la saturazione di ogni area del piumaggio). Anzi, come detto, va evidenziato che ogni area acianica del tipo classico viene saturata da eu nera, così che il triangolo facciale diventa nero e molto evidente, anche perché si fonde con la lacrima; groppone e codione sono completamente neri e anche gli scacchi della coda vengono pigmentati, così che copritrici caudali e timoniere assumano lo stesso colore nero. Nella femmina l’attività melanizzante è più contenuta, così come succede anche nelle femmine faccianera, probabilmente perché l’assetto ormonale femminile incide sull’espressione del poolgenetico che sottende la definizione dei disegni neri. Si evidenziano comunque sature di eu nera e non grigia le aree del triangolo facciale, del calzone completo (groppone e codione sono totalmente interessati da melanina nera) e le copritrici caudali come nel maschio, mentre il ventre è tendenzialmente grigio scuro. Un altro elemento caratteristico del fenotipo femminile, dove la differenza tra la porzione superiore del corso con la porzione inferiore è minima, è data dalla presenza di “perlatura nera” sul bassopetto e sul ventre. Tale richiesta fenotipica per il DM grigio “charcoal”, pur se estremizzata e ancora raggiungibile con difficoltà, permette di distinguere il “charcoal” dall’eumo, col quale potrebbe confondersi con un’osservazione sommaria dei soggetti. Va ricordato che, pur determinando un fenotipo molto simile, l’eumo risulta preservare molto il disegno classico su un fondo melanizzato, ma non scuro come il “charcoal”; le due mutazioni non sono alleliche e la eumo presenta due piccoli indizi distintivi che però fanno la differenza e che sono alterazione della struttura del piumaggio, il quale per anomalo sviluppo degli uncini risulta poco compatto soprattutto su remiganti e timoniere, con presenza di feomelanina sui fianchi e sulle guance. Entrambe queste caratteristiche non sono presenti sul “charcoal”.
Storie di ornicoltura: l’esperienza di Stefano Angelini col DM “charcoal” Ho ritenuto opportuno riportare l’esperienza di Stefano Angelini per aggiungere a questa monografia sul “charcoal” anche un vissuto emotivo che testimoni come sia la passione a portare avanti nel tempo l’ornicoltura, che non è un semplice esercizio sportivo o un improbabile business, ma parte pervasiva delle nostre giornate che ci permette di crescere come persone attraverso l’accudimento dei nostri amati uccelli domestici e attraverso quell’intreccio di relazioni sociali che l’ornicoltura può farci realizzare. «Quando nel 2000 ho iniziato ad allevare, l’entusiasmo del neofita mi portava ad allevare un po’ di tutto, ma il Diamante Mandarino è stato capace di conquistarmi in modo totalizzante, tanto che presto ho dedicato tutto l’aviario a questo straordinario estrildide australiano. Ho cercato tra allevatori e sul web di documentarmi e capire come funzionasse la sua genetica e la sua selezione e non ho tardato ad imbattermi nel “charcoal”, già allora presente in Australia, ed è stato amore a prima vista. Purtroppo, le possibilità di riuscire ad importare direttamente dall’Australia in Italia questa varietà di DM erano zero, sia per limiti legali che economici. Ho continuato comunque a seguire di tanto in tanto qualche allevatore australiano che portava avanti questa particolare mutazione, anche se da quello che ho potuto capire i presupposti ornicolturali e selettivi degli allevatori australiani sono molto diversi da quelli europei e italiani, sia per mentalità che per possibilità. Dopo qualche anno, l’interesse di facoltosi appassionati del Bahrain e di altri paesi mediorientali ha fatto la differenza. Questi allevatori hanno speso davvero molto per acquistare i migliori
DM un po’ da tutto il mondo, arrivando a pagare i più grandi tecnici del Mandarino perché andassero a scegliere i migliori soggetti dagli ornicoltori di ogni dove, predisporre le coppie e giudicare negli show. In pratica, hanno miscelato i migliori ceppi di DM inglese (selezionati principalmente per forma e posizione) con i migliori ceppi Olandesi (selezionati principalmente per colore e disegno), ottenendo così una selezione mediorientale del DM con ottime caratteristiche di forma e posizione abbinate a ottimo colore e disegno. Sulle ali del vento e di “internazionali”, ricchi principi arabi hanno potuto acquistare i primi “charcoal” e inserirli in questi nuovi ceppi che hanno velocemente migliorato la stanca selezione australiana. Dopo qualche anno di riproduzione mirata e la stabilizzazione di più ceppi, sono iniziate le impegnative trattative che dal Bahrain hanno permesso di portare in Belgio prima ed in Olanda subito dopo il “charcoal”. Da qui inizia la storia europea di questa mutazione, che come primo step di una selezione un po’ più consapevole e tecnica, ha verificato la non allelicità con gli eumo e l’effetto della sovrapposizione con il faccianera, da cui si evidenzia un fenomeno sinergico che fa esprimere ottime potenzialità alla mutazione “charcoal”, ma senza evidenziare realmente la presenza stessa del faccianera. Anche l’interazione con il guancianera produce caratteristicamente un miglioramento fenotipico addirittura in condizioni di eterozigosi, ovvero i grigi “charcoal” portatori di guancianera si esprimono fenotipicamente meglio dei grigi “charcoal” puri, non presentando i deficit di melanizzazione o le zebrature considerate difetto. Suggestiva è la combinazione “charcoal” guancianera, che vede nei maschi migliori un’espressione nero saturo della parte inferiore dal mento alla cloaca con la comparsa di una guancia se pur non particolarmente estesa comunque evidente ed espressiva. La prova con il pettonero, anch’essa mutazione non allelica alla “charcoal”, ha evidenziato l’esclusività selettiva delle due mutazioni, che combinate presentano carattere antagonista una sull’altra, facendo comparire nei soggetti “charcoal” pettonero una sfumata guancia brunastra e il disegno caudale, condizione ritenuta impropria nella selezione della “charcoal”. Due anni or sono, io e l’amico Muraro abbiamo finalmente coronato il nostro sogno acquistando alcuni soggetti e riuscendo a riprodurli anche con buon successo, dando avvio alla stabilizzazione di due nuove linee di sangue italiane, che attualmente promettono molto bene sia come rusticità dei soggetti che come fenotipo nonostante la variabilità espressiva dei soggetti. Vedremo nei prossimi anni le varie combinazioni con altre varietà cosa saranno in grado di regalarci». Si ringrazia per la collaborazione Stefan Verhoeven.
Diamante Mandarino grigio charcoal femmina