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Francesco Saverio Dalba

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Leonardo Soleo

Leonardo Soleo

La scoperta del Pionites melanocephalus

Da Linneo a Brisson

testo e immagini di FRANCESCOSAVERIODALBA

Seconda parte

Nel precedente episodio (I.O. 2/2021) si era giunti alla prima descrizione di quel Pionites melanocephalus che Edwards aveva incontrato in un bar di Londra, all’insegna White-Hart Yard, denominandolo White Breasted Parrot (pappagallo dal petto bianco) e producendone un’illustrazione notevolmente accurata. Correva allora l’epoca della cosiddetta Piccola Era Glaciale, quando il Tamigi talora congelava interamente, cosicché questo vessillifero dei Pionites in Europa probabilmente non avrà avuto vita facile, per quanto il venditore potesse aver nutrito il massimo interesse a mantenerlo in buona salute. La sua vicenda ricorda il pappagallo brasiliano della canzone di Sergio Endrigo, risalente ormai a mezzo secolo fa. La dieta delPionites non era nota e spesso ai pappagalli venivano somministrati alimenti impropri. Ad esempio il Levaillant, nel suo secondo tomo, pp. 49 e ss., dell’Histoire naturelle des Perroquets, che data al 1805, descrive una particolare dieta fornita alla c.d. terza varietà di cenerino: il cenerino a coda gialla. La diluizione del colore delle timoniere era dovuta alla senescenza, più che ad una mutazione, per quanto molti anni fa il mio amico Franco Gatti mi raccontò di avere visto dei cenerini (giovani) che avevano le ali molto più bianche del normale. A differenza delle vernici sintetiche, le quali scoloriscono con l’irradiazione dei raggi solari (un chimico mi spiegò che colui che dovesse inventare una vernice rossa che non si sbiadisse ne trarrebbe ampi guadagni) negli uccelli il colore si rinnova naturalmente ad ogni muta. Così Levaillant: “Questa terza [oltre al cene-

La "Terza varietà di cenerino" a coda gialla di Levaillant

Bruegel il Vecchio, Due scimmie incatenate, 1562

rino normale, Levaillant antepone alla terza varietà il cenerino nero ossia il Timneh, il cenerino c.d. tapirè ossia quello screziato di rosso] ed assai interessante varietà del Giaco o pappagallo cenerino ci presenta l’uccello nella sua estrema vecchiezza, nell’età della sua caducità. È la rappresentazione di un pappagallo che ha vissuto trentadue anni ad Amsterdam presso un mercante (il signor Meninck-Huysen), mercante che lo aveva ricevuto in eredità da uno dei suoi zii; che a sua voltalo aveva tenuto nel suo possesso per quarantun anni. Cosicché questo animale ha vissuto settantatré anni in stato di domesticità: senza dubbio ne aveva già due o tre quando fu trasportato dal suo paese natale in Europa; esattamente non ho potuto saperlo. Allorché io vidi questo parrocchetto, esso era ancora vivo, se può chiamarsi vita lo stato di languore e tristezza nel quale mi è apparso che si trovasse. [Il passo del Levaillant rievoca l’espressione dei due Cercocebus torquatus del noto olio di Bruegel il Vecchio, Due scimmie incatenate. Merita qui notare che almeno le scimmie (per quanto inumanamente incatenate) erano tenute in coppia. Ciò dovrebbe sempre avvenire per i pappagalli, affinché abbiano delle interazioni con i propri simili. La pratica dell’ “allevamento allo stecco”, che dovrebbe costituire l’extrema ratio per salvare pulli defedati o per salvaguardare specie assai rare, viene invece praticata spesso senza criterio, creando in tal modo animali per così dire confusi. Se un pappagallo allevato allo stecco costa il doppio di uno allevato dai genitori, forse che il sovrapprezzo compensa in qualche modo il disadattamento che può derivare all’animale? Alcuni Stati europei hanno già da molto tempo emanato atti legislativi in materia. I Paesi Bassi hanno rigidamente regolamentato l’allevamento a mano, mentre la Confederazione elvetica, con la Tierschutzverordnung del 2018, oltre a vietare i trespoli, consente la detenzione dei pappagalli solo se tenuti in coppia. L’art. 13, all. 2, tab. 2, requisiti particolari, n. 19) afferma che i pappagalli sono uccelli sociali ed impongono che debbano essere tenuti almeno in coppia. L’art. 3, primo comma e l’art. 25 impone che l’allevamento miri a selezionare pappagalli sani e che gli uccelli giovani debbano essere allevati in modo che si abituino alla convivenza con i loro conspecifici. Per non divertire troppo dall’oggetto della trattazione, la questione della legislazione europea sarà affrontata in separata sede]. Non si posava più sul posatoio ormai da due anni, periodo nel quale tutte le sue facoltà, che per quattro o cinque anni erano insensibilmente andate declinando, lo avevano ormai abbandonato. Aveva perso le sue forze, la memoria, la vista e da questo momento l’esistenza non fu per lui che uno stato di letargia continua. Negli ultimi tempi non mangiava che del biscotto imbevuto nel vino di Madeira”. L’autore dà poi conto delle notevoli capacità intellettive del pappagallo, che aveva nome olandese Kaarle, della sua capacità di portare il berretto da notte o le pantofole a richiesta o di chiamare in stanza la domestica quando abbisognava la sua presenza. Conservò la capacità di apprendere parole nuove sino all’età di sessant’anni (in lingua olandese che, secondo l’autore, si presta bene ad essere imparata dai pappagalli), epoca in cui iniziò il declino. “Il pappagallo perde dunque la memoria e la facoltà di apprendere a sessant’anni. Non credo che le medesime facoltà si conservino più a lungo nell’uomo” (p. 51). Per finire Levaillant si sofferma sul colore delle piume della coda: il pappagallo compiva regolarmente la muta sino al suo sessantacinquesimo anno, poco dopo perdette questa facoltà. Le penne che cadevano non venivano più rimpiazzate da quelle nuove. Quelle della coda talora si rinnovavano, ma una alla volta, in periodi irregolari; quelle neoformate, anziché essere rosse, erano di colore giallo. Dopo tre anni la coda divenne così, poco alla volta, interamente gialla, per poi non mutare più. Una volta morto venne fatto impagliare dalla famiglia, ma il rivederlo esanime accentuava il dolore, cosicché fu con-

segnato a Levaillant, sotto l’espressa condizione che lo conservasse e ne eternasse la memoria. L’autore tenne fede alla promessa e, ripercorsi gli eventi della sua vita, ne dipinse una illustrazione a corredo della sua opera. Tornando all’alimentazione storica dei pappagalli, anche il bel volume A Century of Parrots di R. Lowsi diffonde sulle diete fornite in passato. Molte specie, come noto, non si trovano in allevamento proprio per questioni legate alla corretta dieta: si pensi alle Micropsitta, alle Pyrilia, al Bolbopsittacus od all’Agapornis swindernianus. Non è molto che è stata messa a punto una dieta equilibrata per i Lori: nei libri degli anni ‘90 si trovano riportate elaborate ricette domestiche. Dopo Edwards il melanocephalus ricompare tra i 37 pappagalli descritti da Linneo, nella fondamentale X edizione del Systema Naturae del 1758, qui occupa il 33° posto. A quell’epoca tutti i pappagalli erano ascritti al genere Psittacus, oggi riservato unicamente alle due specie di cenerino: Psittacus erithacus e Psittacus timneh. La sistematica dei pappagalli è di recente andata soggetta a molteplici modificazioni: alcuni Generi un tempo monolitici, come l’Aratinga si sono frammentati in Eupsittula, Thectocercuse Psittacara. Ad essere maggiormente esploso è stato il genere Charmosyna, che oggi suddiviso tra Charminetta, Hypocharmosyna, Charmosynopsis e Synorachma, quest’ultimo il genere più recente tra i pappagalli, introdotto nel 2020 da Joseph, Merwin e Smith su Emu120, n. 3, p. 210. Synorachma è un genere monotipico, comprendendo solo la Synorachma multistriata.Questo è un uccello assai particolare: ha la mandibola superiore bicolore, blu metallico ed arancione (la cromia ricorda alcune gomme per cancellare) estremamente lunga rispetto a quella inferiore, similmente al Nestor productus. Porta poi delle piume sul petto somiglianti a delle fiammelle o striature gialle, particolarmente simili a quelle che si vedono in Chalcopsitta scintillata, alle guance di Charmosyna

Linneo, Systema Naturae, X edizione, p. 102

Linneo, Systema Naturae, X edizione, p. 101

placentis ed alle piume retrooculari di Psittaculirostris edwardsii, alle strisce gialle caratteristiche di Neopsittacus. Essendo una colorazione tipica di uccelli appartenenti a generi differenti, ma tutti dislocati sull’Isola di Papua Nuova Guinea è logico presumere che il tratto risponda a ragioni adattative. Quando i pappagalli appartenevano ad un unico, onnicomprensivo genere, in una nota a piè di pagina 101 Linneo ne delinea i tratti con esaustiva brevitas, in latino: “I pappagalli sono monogami e si spostano in coppia, sono garruli e loquaci, docili, longevi, si nutrono primariamente di noci, ghiande, semi di zucca, cardamomo, si arrampicano col becco, se irati sollevano le piume, sono riflessivi”. Del melanocephalusscrive, sempre latinamente: “Pappagallo dalla coda corta, verde, al di sotto è giallo, con un cappuccio nero, dal petto bianco. Mus. Ad. Fr. 2. p.” e poi soggiunge: “Pappagallo scarlatto [coccineus], dal ventre bianco”. Edw. av. 169 t. 169 “abita in Messico”. Tra i colori del melanocephalus il rosso, non fosse per l’iride, è in realtà assente. Linneo, con ogni probabilità, si è confuso tra le tavole dell’Edwards, subito dopo il nostro Pionites, infatti, si trova illustrato il Lori dal

Linneo Museum Adolphi Friderici, p. 15

Statius Muller, Vollstaendiges Natursystem, suppl., p. 80

cappuccio nero (Lorius lory), nel quale il colore rosso prevale e, immediatamente dopo (p. 171), vi è un’altra immagine che effigia un Lorius chlorocercuscon il petto giallo molto chiaro. A questa svista va dunque attribuito il coccineus. Linneo trae la propria (corretta) descrizione - limitata agli aspetti cromatici dell’animale – da un esemplare impagliato collocato al secondo piano del Museum Adolphi Frederici, la raccolta del re di Svezia, che nel giro di un decennio dall’arrivo

Planche enluminee del Daubenton, n. 455 a Londra del primo pappagallo di ‘Carraccos’ si era arricchita di un suo propriospecimen, questa volta impagliato. Per certo il melanocephalus non vive in Messico. Forse l’esemplare svedese era partito da un porto messicano o forse Linneo aveva semplicemente ricevuto un’informazione errata. Lo svedese rettifica entrambe le imprecisioni, quella sul colore e quella sul Messico, della decima edizione del suo Systema naturae nell’opera bilingue (in svedese ed in latino) di otto anni successiva: Museum S:ae R:ae M:tis Adolphi Friderici regis Svecorum, Gothorum, Vandalorumque: In quo animalia rariora, imprimis & exotica: aves, amphibia, pisces describuntur, tomi secundi prodromus, chiamandolo però melanocephalos. Questa la descrizione: “Pappagallo dalla coda corta, verde, giallo al di sotto, dal cappuccio nero, col petto bianco, Nat. 10, p. 102, n. 33, Edw ornith 169, t. 169. Abita in Suriname. È grande quanto una tortora, ha la testa nera, il collo giallo ed i femori gialli, il petto bianco, tendente al giallo, verdi sono il dorso, le ali, la coda e la macchia retrooculare, le remiganti nerocerulescenti, col margine esterno verde, le timoniere verdi e corte”. La tortora viene molto spesso evocata quale unità di misura per comprendere le dimensioni dei pappagalli, così nell’elenco di quelli presso il museo di Adolfo Federico di Svezia lo Psittacus nobilisè grande come una tortora, così pure lo Psittacus alexandri(lo Psittacus garrulus ha invece la dimensione di una colomba). Questo costume ricorda quello delle esplorazioni del capitano Cook, dove molti animali vengono paragonati alla grandezza di un greyhound, che è ad esempio il metro per descrivere la dimensione del canguro. All’epoca era ben più facile che le biblioteche pubbliche o private avessero una copia della X edizione del Systema naturae che non del volumetto sul regio museo svedese, cosicché per molti anni la patria del melanocephalus restò tralatiziamente il Messico, anziché il Suriname.

Nel 1760 torna a comparire nel tomo II, p. 122 dell’Ornithologia Sive Synopsis Methodica: Sistens Avium Divisionem in Ordines, Sectiones, Genera, Species, Ipsarumque Varietates, di M-J. Brisson (1723-1806). Al numero 42 si trova lo Psittacus Mexicanus pectore albo,in francese Le Perroquet a poitrine blanche du Mexique. Il passo deve molto all’Edwards (a cominciare dal richiamo alle dimensioni di una tortora), ma parrebbe che il Brisson abbia a sua volta avuto la facoltà di esaminare un esemplare in vita, come sembrerebbe potersi desumere dalle numerose misurazioni delle principali parti del corpo: “Becco 9 pollici e ½ linea, coda 2 pollici e ½ ecc…”, sia dall’annotazione “Edwards avec une figure exacte” ma soprattutto dall’indicazione corretta del colore delle pupille e delle palpebre, che, notoriamente, non si conserva sugli animali impagliati o, peggio, in pelle. L’areale indicato viene fatto corrispondere al Messico ed alla Caracarum regione (ancora oggi la diocesi di Caracas è detta Archidiœcesis Caracarum; mentre è una mera assonanza il nome comune del rapace Caracara, mutuato da un’onomatopea del verso della lingua Tupí) e la seconda indicazione, in effetti, è corretta seppure parziale. Nel Settecento non è raro imbattersi in indicazioni geografiche inesatte. Tra i pappagalli viene subito alla mente Vini peruviana, St. Muller, nel Vollständiges Natursystem, Suppl., p. 80 attribuisce il nome di Psittacus peruvianus, in tedesco Langschwanzsittich, ossia pappagallo dalla coda lunga, quantunque esso abitasse all’epoca a Tahiti ed in altre Isole dei mari del Sud. Per giunta Muller cita Buffon, che lo aveva chiamato Petite Perruche de l’Isle de Taïti (nel testo, invece, viene descritto col nome locale di arimanon ossia uccello della palma da cocco). Per un curioso sommarsi di imprecisioni, alla Planche enluminee n. 455

dell’opera di Buffon, lo Psittacus peruvianus viene indicato correttamente come nativo di Tahiti, mentre nell’illustrazione è sovrastato da un Forpus passerinus (animale sudamericano), qui indicato come Petite perruche du cap de Bonne-Esperance. La questione merita maggiore approfondimento in un prossimo articolo. Altro pappagallo di Tahiti, un Cyanoramphus ormai estinto, viene denominato da Latham come Cyanoramphus novaezelandiae, con la specificazione che Habitat in nova Zealandia. Più curiosa è la storia del kookaburra, Dacelo novaeguineae,che si trova narrata nella piacevolissima monografia Kookaburraking of the Bush di Sarah Legge. Dacelo è l’anagramma di Alcedo, mentre si direbbe che novaeguineaestia ad indicarne la provenienza. Pierre Sonnerat (il cui nome evoca subito il Gallus sonneratii) diede alle stampe, nel 1776, il libro Voyage à la nouvelle Guinée, con un’illustrazione Sonnerat, Voyage a la Nouvelle Guinée, Parigi, 1776. Illustrazione del tipo di Dacelo novaeguineae del Daubenton (il cui nome evoca altrettanto immediatamente laDaubentonia, ossia l’aye-aye) con la legenda: ‘Grand martin-pêcheur de la nouvelleGuinée’. Sonnerat riferisce di avere osservato il kookaburra nella foresta dell’isola della Nuova Guinea. Fatto sta che il Dacelo novaeguineae vive solo in Australia e che la nave di Sonnerat non aveva navigato più ad est delle Molucche, Sarah Legge chiosa: “La storia ha dimostrato che l’ambizione di Sonnerat talora lo portava ad essere fantasioso riguardo alla realtà e l’introduzione del Kookaburra sghignazzante nel mondo scientifico sembra costituire proprio il caso. In realtà Sonnerat aveva probabilmente ricevuto la pelle da Joseph Banks, quando la nave di Sonnerat incontrò l’Endeavour di Cook al Capo di Buona speranza, nel 1770, al suo ritorno dal viaggio agli Antipodi. Allo scandalo del kookaburra, come l’altro simile, consistito nel sottrarre alcune pelli di pinguino dal collega Commerson e farle passare per uccelli della Nuova Guinea. Le autorità soprassedettero allo scandalo del kookaburra, come ad un altro, simile, consistito nel sottrarre alcune pelli di pinguino al collega Commerson e farle passare per uccelli della Nuova Guinea. Ciò perché il Francesi, incluso Sonnerat, aveva finalmente rotto il monopolio delle specie degli olandesi, contrabbandando alcune preziose piante dalle isole delle spezie”. Così in meno di due decenni sono registrati in Europa tre esemplari di Psittacus melanoleucus, uno dei quali sicuramente giuntovi vivo e vivente (Edwards), un altro verosimilmente visto in vita (da Brisson) ed un terzo impagliato (l’olotipo svedese). Ma ben presto sarebbero pervenute sul Vecchio continente delle curiosissime notizie relative ai suoi costumi e sarebbe stato chiamato Maipouri, ossia pappagallo-tapiro. Di questo nel prossimo episodio.

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