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Il Diamante di Gould (2ª parte

Il Diamante di Gould

(Chloebia gouldiae)

testo e foto di FRANCESCOFORMISANO

Seconda parte

Esperienza personale Nei primi anni ‘90 l’ornitologia napoletana era in piena evoluzione, gli interessi però erano tutti rivolti verso i canarini cosiddetti di “forma e posizione,” sia lisci che arricciati, con una marcata preferenza verso i primi.La “galassia” comprendeva anche tantissimi appassionati che allevavano canarini sassoni, come veniva chiamato allora il canarino di colore; unanimemente considerati infine, a livello di “ruota di scorta” dalla maggioranza e di “nicchia” dal sottoscritto, quei pochi che si dedicavano con passione all’allevamento tutt’altro che facile dei “bengalini”, come erano chiamati all’epoca e lo sono ancora oggi (sic!) da distratti osservatori,le varie specie di Estrildidipiù comuni sul mercato. Con queste premesse e in quel contesto,intraprendevo, guardato anche con una certa malcelata commiserazione da quanti allevavano le razze di cui sopra, il mio percorso di allevatore di I.E.I.,oggiE.F.I.

Il primo approccio con la “famiglia” fu una coppia di Diamante mandarino, seguita a ruota da una di nonnetta comune

Diamante di Gould - coppia. Inizio parata nuziale

Il primo approccio con la “famiglia” fu una coppia di Diamante mandarino, seguita a ruota da una di nonnetta comune (Lonchura/Spermestes cucullata cucullata) e in breve, in un crescendo di curiosità, passione e emozioni, da tutte quelle specie presenti sul mercato e compatibili con le mie finanze ma soprattutto, con la curae le attenzioni cui ero capace mettere in campo, per soddisfare le loro esigenze. Di ogni specie cercai di acquisire quan to più nozioni possibili inerenti il loro corretto mantenimento in ambiente controllato, il fabbisogno alimentare e tutte le tecniche allora conosciute relative al benessere e alla loro riproduzione, che poi altro non sono se non l’essenza pura e il fine ultimo dell’allevare.Per questi motivi e non avendo punti di riferimento diretti (allevatori) locali da cui poter attingere nozioni, il primo passo fu l’acquisto di alcuni libri specifici, attraverso la lettura dei quali, sicuramente avrei potuto apprendere quanto desideravo. Fu così che, una trentina di anni fa scoprii, rimanendone affascinato, questa magnifica specie la quale però, veniva universalmente considerata dai vari autori come delicatissima e difficile da riprodurre. Combattuto tra il lasciar perdere, oppure tentare, optai per la seconda soluzione e, alla prima occasione, presso un rivenditore ambulante, in un mercatino domenicale che all’epoca si teneva alle porte di Napoli, me ne accaparrai due coppie - ancestrali - (da sempre ritenuti più attraenti e rustici, rispetto ai mutati).Il progetto “allevamento del

Gould e tarme della farina

Gould” non contemplava l’ausilio di balie, convinto com’ero che la specie fosse in grado, né più né meno ma al pari delle altre, di provvedere al sostentamento della prole.Fermo nella mia convinzione, iprimi due anni, raccolsi tantiinsuccessi riproduttivi, che più di una volta fui tentato di lasciar perdere. Un freddo e piovoso sabato di fine novembre del ‘93, poco dopo mezzanotte, in un’atmosfera quasi mistica, una cinquantina di infreddoliti “incurabili affetti dal mal di piuma”, me compreso, stoicamente radunati presso una stazione di servizio in quel di San Sebastiano al Vesuvio, partivano alla volta di Reggio nell’Emilia in pullman turistico (una sorta di pellegrinaggio); nella circostanza, mi recavo per la prima volta in visita alla mostra internazionale che annualmente si svolge nella città del Tricolore.Visitatori veterani, nei giorni precedenti, avevano assicurato - e garantito - che in quel contesto avrei potuto acquisire (a buon mercato) un cospicuo numero di quei “bengalini” che tanto mi ostinavo - a parer loro - ad allevare.Di “affari”, il giorno seguente, naturalmente manco a parlarne, anzi... esemplari di alcune specie, tra l’altro per niente eccezionali, costavano più del doppio di quanto a Napoli! Però quel viaggio non fu vano: in mostra scambio conobbi alcuni allevatori (del nord) che cedevano Gould in esubero al loro fabbisogno. Ovviamente, colsi l’occasione per scambiare quattro chiacchiere a proposito del mantenimento e in particolare delle presunte difficoltà riproduttive della specie; fu così che, tra tanti bla bla bla,un assaggio di Parmigiano e un goccio diLambrusco, uno di questi suggerì: “visto che al sud avete, per vostra “fortuna,” da un po’ di anni a questa parte, autunno e inverno abbastanza miti e soleggiati... ”di allevarlo all’aperto e, perché no?, magari in voliera, se ne avessi avuto la disponibilità. In breve, feci tesoro del suggerimento di quel signore e, avendo proprio da poco costruito in giardino una voliera esagonale con fondo in terra naturale, abbastanza grande da potervi piantumare leccio, tuja e altri arbusti di cui conosco solo il nome dialettale, vi inserii a inizio primavera, tra gli altri, una delle due coppie. Mai mossa si rivelò più azzeccata. Grazie alla bontà di spazio che indubbiamente l’aviario concede, la coppia si ritaglia un suo spazio e dopo circa un mese occupa stabilmente una delle tante cassette nido di legno,costruite artigianalmente dallo scrivente, (del tipo x Ondulati) fissate alla rete a varie altezze; il maschio, trasportando steli e foglie essiccate di graminacea sparse al suolo, vi assembla una sorta di tunnel a chiocciola, in fondo al quale insiste la coppa dove la femmina depone in sequenza regolare cinque uova di colore bianco rosato che, opacizzando (tre) dopo alcuni giorni di incubazione, confermano che sono state gallate. Trascorsi i canonici 14 gg. si verifica la schiusa; è questo il momento di “amletici” pensieri: alleveranno? non alleveranno? Faccio violenza alla mia curiosità, ispezionando il nido e il suo contenuto solo tre gg. dopo la presunta schiusa: il gozzo di tre vitalissimipulliè bello pieno, ergo? allevano, cribbio se allevano! Nel frattempo, l’altra coppia alloggiata in gabbia, sulla falsariga degli anni precedenti, dopo una nidiata abbandonata al suo destino e un’altra che vede i nidiacei sistematicamente espulsi dal nido poco dopo la schiusa, con epilogo facilmente immaginabile, nonostante lo scrivente si ostinasse - inutilmente a riporli nel nido, dopo averli raccolti moribondi dal fondo del contenitore tenendoli nel cavo della mano, alitandovi sopra nel tentativo di rianimarli con il calore e idratarli con il vapore acqueo condensato del proprio fiato. La pazienza è una delle mie poche virtù, abbinata all’altro “pezzo forte”: la tenacia (almeno così dicono coloro che mi conoscono da sempre) grazie alla quale, al terzo tentativo ottengo il risultato tanto atteso e tanto sperato; anche questa coppia, dimostrandosi infine assidua e premurosa, si dedica alle cure parentali. Naturalmente ancora oggi vi sono dei soggetti o coppie che palesano qualche turba, ma questo avviene anche in quelle specie considerate facili; basta perseverare e prima o poi i risultati arrivano. Grazie a quei primi soggetti ottenuti formai nuove coppie, ricorrendo negli anni successivi all’interscambio con allevatori del napoletano (nel frattempo, cresciuti di numero); compagni di viaggio sono stati gli amici AlessandroIacomino ePasquale Auriemma;il compianto Enrico Baldanza, Gennaro Ilardi e tanti altri bravi e tenaci allevatori che, come il sottoscritto, in tutti questi anni pazientemente hanno contribuito alla selezione di ceppi di Gould nurse free(consentitemi il neologismo anglofono), smentendo quell’autentica leggenda metropolitana quale è stato per tanti anni “l’inciucio”che il Gould non avesse attitudini alle cure parentali

e che il suo allevamento non potesse prescindere dal ricorso alle balie (allora il Passero del Giappone, oggi sempre più il Diamante mandarino). Da allora, due, tre coppie di Gould, alloggiate all’esterno in contenitore da 55 o 60cm, sono ospiti fissi tra gli Estrildidi nel mio piccolo allevamento, affiancate, nell’ultimo decennio, da qualche coppia di guttato, Donacola petto castano, Diamante mandarino, Padda, etc.. Quando ci sono i piccoli nel nido, oltre al misto avanti detto, fornisco del pastone morbido all’uovo, uno qualsiasi del commercio, quello che costa meno. Personalmente credo che i pastoni siano elaborati col pensiero rivolto più all’allevatore che agli uccelli, inoltre non lo ritengo indispensabile ma utile solo nei primi 5/6 gg. dopo la schiusa; tale convinzione viene da osservazioni personali durante la riproduzione con diverse specie di estrildidi, Gould incluso. In contenitore dedicato, poi, fornisco del miglio bianco e del niger tal quale e, dal 6° giorno dalla schiusa, anche fogliolina di lattuga o di altra verdura; spiga di panico coltivata personalmente coi semini ancora immaturi e, quando è stagione, fruttescenze di graminacea come la Persicaria, la Digitaria e la Setaria, erba infestante il mio orto.Da un po’ di anni a questa parte, somministro anche le perle morbide; devo dire che i miei Gould ne vanno matti e ingozzano alla grande i nidiacei. Osservazioni in voliera hanno confermato quanto riportato in letteratura circa la caccia data in natura a insetti volanti; infatti, spesso ho notato Gould in riproduzione sulla ciotola contenente le larve di Tenebrio molitor, contenderle, battaglieri, ad altri ospiti della voliera considerati naturalmente più “insettivori” rispetto al nostro beniamino.Non gradite inveceda coppie alloggiate in gabbia, quando fornite (sempre vive), nella pinzetta porta frutta e verdura. Sempre in voliera, anni fa si è osservato un episodio di parassitismo da cova da parte di una “stravagante” D. mandarino che ha deposto alcune uova nel nido dei Gould; questi hanno allevato e svezzato sia i propri, sia un piccolo D. mandarino fino all’indipendenza, smentendo coi fatti, ancora una volta, chi li vuole inetti

Osservazioni in voliera hanno confermato quanto riportato in letteratura circa la caccia data in natura a insetti volanti

nelle cure parentali, trasformandosi da “baliati” in… “baliandi”! Di solito inanello i nidiacei tra il 5° e il 7° giorno di età, mai riscontrato ferite alle zampette o peggio, dita amputate a seguito di tentativi da parte dei genitori di sfilare l’anellino; quando ho iniziato ad allevarlo, si usava l’anellino tipo ”A”, oggi “Y”; il “salto di qualità” è dato dalla selezione operata dagli allevatori e dalla mangimistica moderna. Concludendo questo capitolo, vorrei descrivere le due “tecniche” attivate in occasione di femmina alle prese con “l’inconveniente” più frequente: la ritenzione dell’uovo o uovo molle. 1) Indubbiamente la più popolare tra gli allevatori, riportata spesso da diversi autori sia sui manuali che in vari artt. sulle riviste di ornitologia tecnica e pratica: si tratta di massaggiare delicatamente l’addome con alcune gocce di olio tiepido, direzione petto/coda, mentre si maneggia la bestiola a circa 10 cm di distanza da un pentolino con dell’acqua precedentemente portata ad ebollizione.Il calore, il vapore acqueo e l’olio contribuiscono, i primi a dilatare e il secondo a lubrificare la cloaca e, grazie al massaggio delicato, l’addome si distende favorendo l’espulsione dell’uovo che, in caso contrario, avrebbe esito letale. “Effetto collaterale indesiderato”: il piumaggio interessato dal massaggio, per diversi giorni si tiene unto e umidiccio e questo scondiziona l’uccellino ai fini riproduttivi.Tra i ricordi: una Cantore d’Africa depose direttamente nel pentolino, durante il massaggio a conferma della bontà della tecnica adottata, deponendo nella circostanza un... uovo sodo! 2) La tecnica cui personalmente ricorro di solito, però, è un vecchio “metodo” molto sbrigativo ed efficace, che io chiamo della nonna (ma l’ho visto fare anche alla mamma) rivisto eadattato: in praticasi pone in un sacchetto di poliestere, tipo quelli usati per la frutta dai fruttivendoli, la femmina in difficoltà; dopodiché, si soffia formando un palloncino e, legata l’estremità con un

Scelta del portanido

elastico o legaccio di nylon, viene lanciato per aria a mezza altezza per circa un minuto, dandogli un “effetto a giro” - rubando il termine al lessico calcistico. Ciò provoca la contrazione e la distensione dell’addome mentre la bestiola, svolazzando, cerca di equilibrarsi per assumere la giusta postura di volo, favorendo la corretta posizione dell’uovo nell’ovidotto. Diversamente dalla prima, questa tecnica, anche se stressante, non scondiziona l’uccellino, anzi, personalmente in diverse occasioni, con Fringillidi ed Estrildidiprovenienti dall’emisfero australe, che come è noto mantengono il periodo riproduttivo proprio delle latitudini di origine, per niente sensibili al nostro fotoperiodo, ho riscontrato la deposizione nel nido dell’uovo, se con guscio, il giorno successivo al “trattamento”. Va detto comunque che entrambi i metodi sono validi e mirano a salvare la vita all’uccellino, se effettuati in tempo utile; è essenziale osservare tutti i giorni lo stato di salute della femmina durante la deposizione, in modo particolare se coincide con un periodo climaticamente avverso.Quando nella tarda mattinata o nel pomeriggio la si nota “impallata” e non ha ancora deposto, bisogna intervenire e “aiutarla”; se dopo il “trattamento” si alimenta e defeca, si può essere certi della riuscita dell’operazione e prima o poi l’uovo verrà fuori. Per i curiosi, il “metodo della nonna”: in occasione di gallina afflitta da ritenzione dell’uovo o uovo “lapido”, come chiamiamo a Napoli l’uovo senza guscio (molle), usanza contadina voleva si ponesse in un sacco di juta la gallina che, apatica, se ne stava in disparte nel pollaio; l’occhio esperto allertava, inducendo l’esplorazione rettale (col dito), per capire il motivo del malessere mostrato. Dopo la “visita”, confermata la “diagnosi” e posto il pennuto in un sacco, lo si faceva rotolare giù per le scale; in seguito a questo frastornante rollin’ over down, poco dopo si verificava la deposizione dell’uovo (quasi sempre “lapido”). Infine, vorrei condividere con quanti hanno avuto lo stomaco e il coraggio di arrivare a leggere fino a questo punto, la soluzione che ho “escogitato” quando si presenta quel abnormal behaviour (altroneologismo) di cuipoc’anzi, così normale innatura.Bisogna osservare al tramonto se la femmina si ritira nel nido oppure si appollaia sul posatoio, alla pari del maschio, apprestandosi a passare fuori dal nido la

Espulsione dell'uovo, dopo il ...giro nel ''palloncino'' notte; in quest’ultimo caso non bisogna fare altro che prendere una pezzuola (lana o stoffa) e appoggiarla sui nidiacei. Al mattino di solito la si rinviene già rimossa e accantonata in un angolo della cassetta nido, mentre i pulli hanno il gozzo bello pieno. Questo va fatto fino a quando i nidiacei non iniziano ad impiumare (2-3 sere) dopodiché sono in grado di scaldarsi a vicenda. Soluzione semplice ed efficace; chissà se qualcuno dei primi allevatori di Gould ci avrà pensato, all’epoca:in fondo, bastava metterci... ‘na pezza!

Ibridazione La perfetta dislocazione del disegno e l’arcobaleno di colori cui è dotata la sua livrea, stimola moltissimo la fantasia degli ibridisti di professione, quelli dell’incrocio estremo, per intenderci; ma, ahimè, a fronte degli innumerevoli tentativi che senz’altro sono stati fatti, di ibridi finora il Gould ne ha generati davvero pochi; personalmente l’unico che ho avuto il piacere di osservare, anche in diverse occasioni, è quello stupendo - con il Diamante di Kittliz (Erythrura kittliz), che tra l’altro risulta essere anche il più “comune”.Bellissimo e interessante quello con il D. quadricolore, realizzato anni fa da Gianni Incerti, bravissimo e capace allevatore in auge sul finire del secolo scorso. Sembra si sia ottenuta prole ibrida anche con il Diamante di Tanimbar e, forse, Diamante coloria e Diamante di Peale. Comunque pochini e solo e sempre con appartenenti al Genere Erythura;potrebbe essere stata questa “casualità” a indurre gli studiosi a riclassificare il Gould, inserendolo nel Genus Erythrura eabolendo di fatto il vecchio taxon Chloebia? Indubbiamente i tubercoli (verruche) fluorescenti alla base del becco nei nidiacei, comune anche nei pulli delle erythrurine, ne denunciano una certa affinità “fisica”, sebbene la diversa colorazione della coda fa riflettere... e non poco! Se così fosse, il Gould si collocherebbe come specie di recente evoluzione. Di solito, quando si scrivono artt. ornitologici, questo capitolo viene chiuso dall’autore auspicando quanto prima di poter ammirare ibridi - fattibili o

meno - tra l’oggetto della nota e una lunga lista nella quale sono comprese una miriade di altre specie: tanto sognare non costa nulla e aiutare anche gli altri a farlo, men che meno. Onestamente, agli amici ibridisti, oltre che esortarli a tentare, altro non mi sento di dire, ricordando comunque, per dirla come ai tempi di Roma Caput Mundi: “Audentes Fortuna Iuvat!”.

Mutazioni Diverse mutazioni di colore, nel corso degli anni, hanno interessato il piumaggio di quest’autentica gemma alata, tutte comunque tese a diluire se non addirittura far “sparire” il pigmento. La prima, (apparsa e fissata in Sud Africa nel 1960)è quella che ha interessato il colore del petto, che viola nel maschio e malva nella femmina, è virato in bianco in entrambi e chiamata appunto Petto bianco: autosomica recessiva, lasciando inalterato il restante, ha in sostanza inibito la feomelanina. Di seguito e in ordine sparso, le più comuni mutazioni: Blu, la quale inibisce il lipocromo, anch’essa recessiva; Pastello, eumelanina ridotta, trasmissione genetica sesso legata a dominanza incompleta, singolo e doppio fattore; Petto chiaro, allelica e dominante sulla Petto bianco e di tipo recessivo libero sull’ancestrale; Avorio (verde mare), sessolegata; Ino (ad occhi rossi Lutino); Bruno, sessolegata. Come detto più volte, anche riferendomi ad altre specie di uccelli, preferisco l’ancestrale ritenendolo oltre che più bello, anche molto più robusto e prolifico; però, avendo avuto un debole per i colori azzurro, celeste e blu, fin dai tempi delle elementari, la mutazione blu in questa specie mi “attizza” e la considero al massimo della sua espressione abbinata alla testa nera, petto bianco.Allo stesso modo, ritengo il massimo del cattivo gusto (come si fa a togliere tutti i colori a questo autentico arcobaleno alato?) la cosiddetta mutazione “bianca”, in realtà: Blu Pastello Petto Bianco. Naturalmente le suddette, combinate tra loro, danno origine a molteplici tipi di Gould mutati dei quali, nel corso degli anni, le competenti CTN IEI, oggi EFI, ne hanno stilato lo standard ai fini espositivi, dedicandogli una miriade di categorie. I “malati” del Gould, nel frattempo si sono costituiti in club e, come tale, annualmente organizzano ad hoc,in sedi stabili -Travagliato (BS) e Lanciano (CH) - riuscitissime mostrespecialistiche.

Conclusioni Come anticipato nell’introdurre questa nota, essa è stata elaborata pensando al neofita, a coloro cioè che si avvicinano per la prima volta a questa magnifica e interessante specie, ai quali mi permetto di suggerire di iniziare allevando gli ancestrali – più robusti e rustici – scegliendo i soggetti più “svegli”; tutte le altre voci dello standardsi possono man mano inserire, come anche le mutazioni.È importante iniziare con coppie sane, acquisite presso allevatori che non “baliano”; questo tipo di allevamento è da preferire, non fosse altro per alcuni non trascurabili vantaggi, qui elencati; 1)considerando che per una coppia di

Gould in riproduzione bisogna predisporne due o tre di balie, non essendo nelle facoltà dell’allevatore sincronizzare a comando l’estro dei

“baliati” e dei “baliandi”, questo raddoppia se non triplica la spesa per attrezzature e mangime. 2) Va tenuto in debito conto, poi, il tempo necessario per la pulizia dei

Spighe di panico immaturo

contenitori e l’accudimento dei pennuti; infatti, una cosa è pulire una gabbia o accudire una coppia, altra cosa tre o quattro moltiplicate per quante coppie di Gould si allevano! 3) Il ricorso sistematico alle balie per l’allevamento intensivo a scopo commerciale e di lucro, incentivato dal prezzo abbastanza alto fino a qualche decennio fa, ha generato ceppi deboli, oltre alla perdita parziale delle attitudini alle cure parentali della specie.I soggetti allevati dai genitori, indubbiamente risultano essere più robusti, beneficiando degli anticorpi familiari specifici (pappetta del gozzo) rigurgitati crop to cropdai genitori nei primi gg. di vita dei nidiacei. Dulcis in fundo: a parte tali indiscutibili vantaggi (vuoi mettere?) l’enorme soddisfazione di ammirare questi volatili mentre allevano, dopo essere stati per tantissimi anni ritenuti - a torto - incapaci di farlo, beh, indubbiamente non ha prezzo!

BIBLIOGRAFIA

I Ploceidi - Giorgio De Baseggio - Edagricole 1971 Gli Uccelli Esotici - Elisabetta Gismondi - De Vecchi Editore Milano 1993 Finches & Sparrows -P. Clement, A. Harris, J. Davis - Christopher Helm Ltd. - London 1993 Italia Ornitologica- AA.VV. - F.O.I. Piacenza

Note della C.T.N.- E.F.I. all’articolo “Il Diamante di Gould” di Francesco Formisano

Francesco Formisano descrive il Diamante di Gould in maniera molto puntuale com’è d’altronde sua abitudine allorquando si cimenta a scrivere articoli sulla nostra rivista ufficiale I.O. Formisano classifica il Diamante di Gould, ascrivendolo al Genere Erythrura, puntualizzando che tale classificazione tassonomica sia quella ritenuta più corretta dalla maggioranza degli studiosi. Ci preme puntualizzare che alla luce delle recenti modifiche nel sistema binomiale, cui sono state riclassificate molte specie ornitiche, basandosi non più su criteri morfologici ma sulla base delle caratteristiche del DNA, moltissime specie hanno subito travasi in seno ad altri Generi. Peraltro lo stato delle conoscenze disponibili è in costante miglioramento e la classificazione tassonomica delle specie ornitiche subisce costanti aggiornamenti. Ma è pur vero che non tutti gli organismi di ricerca Internazionale sono allineati tra loro nella classificazione sistematica degli uccelli. La CTN-EFI nel recente passato ha dovuto prendere delle decisioni, circa i riferimenti tassonomici proposti dai diversi organismi mondiali, assumendo come punto di riferimento il gruppo di lavoro tassonomico internazionale HBW- BirdLife International, che classifica il Diamante di Gould appartenente al Genere Chloebia, specie Monotipica. Tale decisione ha assunto una fondamentale importanza, allorquando fu promulgata la DELIBERA N°7 del 2018 di CTN-EFI (ratificata dal CDF-FOI in data 24/11/2018), ove fu disposto di accettare nelle manifestazioni espositive gli ibridi INTRAGENERE o INTERSPECIFICI frutto di tutte le possibili combinazioni fra specie diverse (tranne le sottospecie) anche se appartenenti allo stesso Genere. La medesima proposta fù avanzata dalla nostra CTN-EFI anche in ambito COM e durante la riunione COM/OMJ di Cervia (Settembre 2018) fu accettata con larga maggioranza dai Paesi membri. Alla luce di questa Delibera, dalla stagione mostre 2019, è stata superata la precedente regola, sulla ammissibilità espositiva degli Ibridi, anche in ambito COM, che vietava (tranne esplicite eccezioni) la esposizione di specie ibride, generate da parentali appartenenti allo stesso Genere. Con l’introduzione di questa nuova regola, fu comunque sancito il divieto di esporre ibridi INTRASPECIFICI (GENERATI DAGLI ACCOPPIAMENTI FRA LE SOTTOSPECIE). Questa nuova regola permette di esporre ibridi generati fra Specie diverse e non Ibridi generati fra sottospecie (meticci). Ci è parso doveroso soffermarci ed argomentare questa parte dell’articolo di Formisano sulla corretta Tassonomia del Gould, in quanto, una classificazione generica non ufficialmente assunta dalla CTN-EFI, di specie diffusamente allevate (appartenenti alla Famiglia degli Estrildidae e Fringillidae ma non solo) darebbe luogo a generare ed esporre ibridi non ammessi dalla attuale regola vigente sia in ambito FOI che in ambito COM. Infatti un eventuale ibrido di Gould (Chloebia gouldiae) x Kittlitz (Erythrura trichroa) è attualmente inteso come ibrido generato da parentali appartenenti a due Generi diversi e non tanto come ibrido Intragenere (qualora il Gould venisse classificato appartenente al Genere Erythrura).

Il Presidente di C.T.N.-E.F.I.

CARMELO MONTAGNO

Diamante di Gould Testa Nera Femmina Diamante di Gould Testa Nera Maschio

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