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Settembre 2021

AFGHANISTAN, UNA LEZIONE PER L’OCCIDENTE E IN FUTURO… di Italo Francesco Baldo

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ON siamo riusciti a raggiungere ciò che ci eravamo prefissati” Così Angela Merkel, cancelliere della Repubblica Federale tedesca ha sentenziato il fallimento chiaro e veloce di far diventare l’Afghanistan uno Stato, ossia un popolo secondo i dettami della cultura “detta” occidentale. In realtà si trattava di una dimensione solo politica, ossia l’affermarsi nello Stato orientale della prassi della democrazia in politica. L’errore è palese, chi ha tentato ciò ha sbagliato e non si tratta di individuare chi abbia sbagliato, tutti hanno sbagliato, perché hanno assunto la prospettiva della sola politica per raggiungere una nuova realtà per un popolo che ha radici culturali diverse e soprattutto ben radicate come ben dimostra la storia. L’occidente, un temine un po’ generico, ha dopo l’11 settembre 2001 portato avanti la prospettiva che il cambiamento politico di certi Stati, tra cui appunto l’Afghanistan potesse dare direzioni nuove, più moderne, più attinenti al mondo occidentale che si auto-considera, leibnizianamente, il migliore dei mondi possibili, dove il meglio di quanto può avere l’uomo esiste ed è praticato. Non a caso proprio l’occidente ha puntato tutto sulla politica

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con quella nota espressione “tutto è politica”, e non ha nemmeno considerato quanto il suo mentore, quanto Voltaire ha scritto nel suo “Candido”. Quale la ragione del fallimento? La principale è quella di aver elevato un modo di governare, appunto la democrazia, come assoluto, l’unico possibile per tutti, dimenticando la grande lezione che ci viene dai pensatori greci, in particolare Aristotele, che con semplicità affermava che diversi sono i modi di governare un popolo, uno Stato. Essi sono. monarchia, aristocrazia, politica, che oggi chiamiamo democrazia. Tutti validi sé portano il bene alla popolazione. Essi degenerano in tirannide, oligarchia, democrazia, che oggi invece chiamiamo demagogia o, meglio oclocrazia. L’assolutizzazione di una modalità non è sempre possibile e non sempre è fonte di benessere. Le forme di governo dipendono da una cultura che è propria di una popolazione, nel caso afghano da una cultura che affonda le proprie radici nel Corano e nella prassi che da esso deriva. È una visione del mondo che ha almeno 1300 anni e se non appare così radicata nelle città, ma è discutibile, lo è invece nell’animo stesso della gran parte della popolazione. Questa ha subito le invasioni, le pressioni di diversi popoli, ultimi i Russi e di coalizioni, quella del recente fallimento. Nessuna è stata una vera proposta che all’interno della dimensione culturale propria del popolo afghano. Sono apparse sempre come una imposizione, da “sopportare”, ma anche da combattere, mentre ministri degli esteri immaginavano una realtà che non esisteva e soccorritori lo facevano proprio in nome di quel cambiamento che non era né sentito né vissuto dal popolo. L’esempio ultimo ne è la prova, un esercito foraggiato, addestrato dagli “occidentali” si è di fatto sciolto in qualche giorno, ovvero è ritornato ad essere “afghano”, indipendente dal volere di chi aveva occupato il territorio della nazione. Questo risultato forse può inse-


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