Pomezia Notizie 2021_10

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ISSN 2611-0954

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e successive modifiche) - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. - Il mensile è disponibile su: http://issuu.com/domenicoww/docs/

Anno 29 (Nuova Serie) – n. 10

- Ottobre 2021 -

N° 10 della Serie online

LA PITTURA DI

ANDREA BONANNO COME RIVELAZIONE DELLA CONDIZIONE DEL DEGRADO DELL’UOMO DI OGGI di Sandro Bongiani “… Le figure, come delle apparizioni inquietanti, sono delle figure uscite dai loro corpi reali, per assumere delle forme declinanti il vuoto e l’assenza della spiritualità e della sentimentalità dell’uomo…”

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A pittura di Andrea Bonanno è diretta ad investigare e a rispondere alla nota problematica del monologo amletiano del “to be or not to be” del grande Shakespeare, per ciò che riguarda il destino dell’homo tecnologicus, dopo le ricognizioni condotte da importanti studiosi, filosofi e narratori, soprattutto quelli che hanno fatto parte di quel filone detto dell’utopia negativa che annovera il Morselli (Dissipatio H. G.), l’Huxley (Il nuovo mondo), il Fromm (La →


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All’interno: Peppino Mazzoleni, di Giuseppe Leone, pag. 5 Leggere e approfondire Libero de Libero, di Domenico Defelice, pag. 8 Graziella Bindocci, Donna luna, di Anna Vincitorio, pag. 10 Lavoro da remoto, tema di grande attualità, di Domenico Defelice, pag. 12 A Dante un monumento di A. Negrin, di Italo Francesco Baldo, pag. 14 Dante morì per una zanzara?, di Luigi De Rosa, pag. 16 Le tante virtù del nostro tempo, di Leonardo Selvaggi, pag. 17 Una finestra, di Anna Vincitorio, pag. 23 Notizie, pag. 32 Libri ricevuti, pag. 36 Tra le riviste, pag. 37

RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (Enzo Andreoli e la Shock Art, di Manuela Mazzola, pag. 25); Elio Andriuoli (E a te rispondo, di Pasquale Balestriere e Carla Baroni, pag. 26); Tina Ferreri Tiberio (Pareidolia, di Lorenzo Spurio, pag. 27); Manuela Mazzola (Tieni lontana la notte, di Claudio Vannuccini, pag. 28); Lorenzo Spurio (Multas per gentes. Itinerario poetico di Anna Santoliquido, di Licia Grillo, pag. 28); Lorenzo Spurio (Omaggio di Sinigallia a Dante Alighieri a 700 anni dalla sua morte. Amori tragici e sofferti, di Franco Patonico, pag. 29).

Inoltre, poesie di: Dante Alighieri, Mariagina Bonciani, Corrado Calabrò, Rocco Cambareri, Domenico Defelice, Ada De Judicibus Lisena, Nino Ferraù, Wilma Minotti Cerini, António Nogueira Pessoa, Gianni Rescigno, Peter Russell

società sana) e l’Orwell con il romanzo “1984”, in cui l’Autore è stato inserito nel 1984 da Gaetano Natale Spadaro. I veleni dionisiaci e panici dell’attuale tecnologia e del sistema mass-mediale hanno già annullato con la morte di Dio la condizione dell’uomo come creato a sua immagine e somiglianza, con la conseguenza che oggi non si può trattare la figura umana secondo un trito ed obsoleto umanismo narcisistico, ma che occorre presentarla come una figura dell’inconsistenza, dell’alterazione e di una tormentata e acre scissione, che estrania ciascuno ormai dal ricercare il suo vero essere e la sua identità. Per l’essere tutti asserviti a indottrinamenti e a manovre che vengono dall’alto di un sistema oppressivo, che ci priva di scelte volute dalla nostra anima in totale libertà, negando la nostra capacità di giudizio e di critica, la

conseguenza è che non vale più rispondere alla problematica del “chi sono?”.


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Stando alla tematica trattata, Andrea Bonanno è lontano dai triviali giochetti edonistici e ludici e dalle vuote esercitazioni prettamente formalistiche, per quanto riguarda la sua attività artistica con il mantenersi sempre fedele ad un atteggiamento molto riflessivo,

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e direi “verificale”, nonché critico. Ma è anche lontano dal voler proporre delle scene claustrofobiche simili a quelle di un Bacon, con le sue onanistiche deformazioni del corpo degli individui ritratti, simili ad infime bestie ansimanti, e le laidezze deplorabili di una macelleria orrida e vomitevole. Diversamente, le figure estatiche di Bonanno vivono atteggiate in un perdurante silenzio interrogativo e metafisico. Così gli spazi pittorici di Andrea Bonanno sono delle aree di commisurazioni fra i sogni di un ripristino della bellezza della vita, rivissuta con un alto pathos, e i beffardi giochi dell’ “industria culturale”, finalizzati ad una totale destrutturazione di ogni individuo, ritenuto oggetto di una ricezione passiva nell’accogliere un messaggio univoco ed esaltativo della realtà, fino a farci diventare dei desolati involucri, senza più organi e anima, a stento ancora comunicanti in un clima segnato da una amara solitudine e da una perdurante ed assillante dissoluzione. Sono dei glaciali manichini dell’assenza dell’umano, che tentano con un dialogo affettivo di ritrovare la forza e la vitalità di resistere e di opporsi all’immane perdita delle loro funzioni immaginative e critico-riflessive. Si aggirano in tossici scenari silenziosi e metafisici, spesso degradati e sconvolti da una perdurante azione inquinante da sembrare riflettere anch’essi le stigmate dello sconvolgimento e della reificazione dell’anima di ognuno. Le figure di Andrea Bonanno, presenti in paesaggi deserti, mostrano una staticità che può sembrare surreale, in realtà, come delle apparizioni inquietanti, sono delle figure uscite dai loro corpi reali, per assumere delle forme declinanti il vuoto e l’assenza della spiritualità e della sentimentalità dell’uomo, per chiederci una salutare svolta al loro destino letale e depersonalizzante. Si tratta di una pittura prodigiosa per inventività e stile, nonché di natura riflessivo-filosofica, in quanto essa dispone a delle commisu-


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razioni riflessive inevitabili e a delle autointerrogazioni da parte di quei fruitori che amano e si estasiano ancora di fronte ai prodigiosi ed inestimabili slanci di bellezza della natura e della vita umana. Le figurazioni dell’artista rivelano la presenza dell’<<inesistente>>, secondo il pensiero dell’Adorno, noto studioso francofortese, il quale appunto con il suddetto termine nega la realtà data, apparente e presentata come vera dal potere politico-economico dell’<<industria culturale>>. Infatti, è in forza delle immagini “nuove”, non comparse prima, che vengono rivelate le falsità della realtà empirica, proposta invece come vera e datrice di felicità. L’arte così assurge al ruolo di negazione della negazione. Lo scandaglio dell’artista rivela, per dirla con lo Hegel, la “potenza del negativo” dell’arte, ossia svolge la sua azione di negazione della realtà esistente, denotante una impositività violenta e nichilistica, perché dall’uomo oggi può essere data solo una raffigurazione simulatrice di sé, perché è ormai destrutturato totalmente da abusi e da sofisticati piani di asservimento ideologico e consumistico. L’artista, a mio parere, nel dipingere il vuoto e l’assenza di una imprecisabile identità ormai, denuncia un’aggressività anonima feroce e disumana, che oltre a ripetersi nella

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realtà di ogni giorno, ovviamente si riflette negli spazi delle composizioni dell’Autore, culminando in quegli involucri-figure, che trasmettono l’invito ad un vasto ripensamento, misto a dolore, della storia di ieri e di oggi, ma anche dell’orrore esercitato da quei detentori del potere che continuano, negando le nostre facoltà spirituali, ad avvelenare la natura e la nostra anima, che è chiamata oggi a ritrovare un completo riscatto di sé, alimentando il sogno di una totale liberazione da una ideologia che aliena e degrada di continuo l’uomo, conducendolo alla sua completa destrutturazione e ad una totale negazione della sua poetica spiritualità. Sandro Bongiani 30 giugno 2021.

Da: Mail Art Service, n. 115, settembre 2021

LA CANDELA Vedi quella candela che si consuma sul fiorito altare illuminando un angolo di chiesa? Anch’essa piange. Quand’era spenta non piangeva ed ora pare che soffra nella sua preghiera, anch’essa sembra un’anima che adora e piange le sue lacrime di cera. Lo vedi tu quel pianto, quel pianto senza grido e senza voce che scende lentamente? Esso rivela la nostra sorte nobile, ma atroce. L’anima umana è come la candela. Quando l’amore non ha acceso ancora l’anima nostra, essa non si consuma di pianto né di fuoco, ma quando poi sentiamo di bruciare, la fiamma ci distrugge a poco a poco ed è l’amor che insegna a lacrimare. Nino Ferraù Da: Orme di viandante, Edizioni G. B. M., 1985


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PEPPINO MAZZOLENI Una vita tra musica e pittura di Giuseppe Leone ON una presentazione dell’amico Beppe Marelli, che invita i lettori a leggere il libro, motivandone le ragioni attraverso una nota dell’autore: “Voglio lasciare ai miei concittadini lecchesi un mio ricordo storico, non solo artistico. I miei quadri potranno sempre vederli ed apprezzarli, le mie musiche potranno sempre ascoltarle e suonarle, ma mi piacerebbe che la città di Lecco si ricordasse di me anche per il mio contributo umano e sociale che ho dato fin dalla mia infanzia e gioventù” (3), Giuseppe Mazzoleni, pittore e musicista, più noto e conosciuto in

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città con il diminutivo di Peppino, ha pubblicato, nel 2020, I ricordi personali della mia vita, a cura e impaginazione grafica dello stesso Marelli. Un volume nel quale recupera i momenti più significativi della sua vita trascorsa a Lecco sin dalla prima infanzia, dove si era trasferito, ancora in tenera età, dalla nativa Calolziocorte, con la famiglia, e dove rimarrà fino agli anni della maturità, eleggendola, in seguito, a sede di affetti e di lavoro. Nato tra le due guerre, nel 1929, non molto a ridosso dalla conclusione della prima e non molto lontano dalla successiva, Peppino ricorderà - a novant’anni compiuti, e per la cronaca anche festeggiati nella splendida cornice di Villa Sironi a Oggiono, circondato dall’amore di Paola e della figlia Loredana nonché dall’affetto e gratitudine di numerosi estimatori, amici e amiche, - i lunghissimi anni trascorsi nella cittadina lariana proprio a partire dagli


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anni dell'infanzia, vissuti all’insegna del fascismo e dei patti lateranensi. “Praticamente – scrive - l’ambiente era quello che era. Tutto era fascista, tutto conforme a quello che diceva il Duce (11); oppure, “mi ricordo che quando andavamo a scuola all’inizio ci facevano dire l’Avemaria, poi ci facevano bere l’olio di merluzzo (era d’obbligo!), dicevano che i balilla dovevano essere forti”, … ci facevano marciare e poi ci portavano in un posto dove c’erano delle armi e ci davano dei fuciletti, dei piccoli fucili, mi ricordo che eravamo obbligati a fare degli esercizi di tiro con questi fucili. Io però ero sempre stato contrario a questa disciplina” (11). Sono anni, questi, che Peppino descriverà con esemplare sobrietà e misura, non caricando mai il suo racconto né di retorica fascista né di epopea partigiana: “Si andava a scuola il pomeriggio del sabato che era dedicato al fascio di Benito Mussolini. Vorrei anche ricordare che quando si entrava in aula e nei banchi, dovevamo alzarci in piedi, alzare il braccio destro e gridare “viva il Duce” (12); “Io ero a tavola coi miei genitori … A un certo momento sono arrivati in casa nostra questi fascisti, hanno preso mio fratello e l’hanno portato via …” (14); “Mio fratello era un po’ di sinistra, e non aveva mai voluto sottostare a questo regime e quindi era andato a fare il partigiano in Erna” (13); “Fu in quel tragitto che vedemmo due aerei inglesi sfrecciare … e colpire con parecchie bombe lo stabilimento della Fiocchi munizioni” (17). Il fatto che Peppino racconti ogni cosa con semplicità e schiettezza non significa che banalizzi il male. Per lui, anche se il fascismo rimane sempre il male assoluto, la violenza che proviene da chi non è fascista non è meno riprovevole. Almeno così fa pensare quando parla di esecuzioni di partigiani ai danni dei fascisti e di bombardamenti su Lecco e dintorni da parte degli alleati anglo-americani

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(17-18). Né banalizza il bene quando passa a parlare della pace pubblica e privata, dei luoghi dove ha trascorso fra suoni e colori i momenti piacevoli e sereni della sua vita: la Casa Matta, dove si riunivano i pittori amici: da Orlando Sora, a Gianni Secomandi, a Beppe Gilardi (39); la caserma vicino alla Canottieri, dove teneva i suoi concerti con l’orchestra Azalea; le scuole medie ed elementari dove istruiva i ragazzi nella musica; il Tubercolosario e la Casa del Cieco di Civate, che allietava con le sue note musicali. Anche in questo caso, sempre a proposito del bene, Peppino lo descrive, non perdendo mai di vista la sua contrapposizione al male: “dopo di allora, negli anni che seguirono, tutto in me era parso di cambiare, perché la vita e la società senza oscuramenti, libere da dittature, e con nuove speranze, proponevano nuovi orizzonti ed un futuro a me sconosciuto ma oltremodo affascinante” (5). Quello che colpisce, allora, sfogliando le 140 pagine di questo saggio e racconto insieme, nonché catalogo, almeno a giudicare dalle foto che ritraggono Peppino con il presentatore televisivo Corrado, il maestro Camillucci, Giorgio Gaslini, il maestro e amico


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Francesco Sacchi, il soprano Daniela De Francesco, il trio Turba, i giornalisti Germano Campione e Aloisio Bonfanti, il maestro Alberto Minonzio, il paroliere Walter Orsati, tanto per citarne alcune, è la meraviglia con cui si sofferma a commentarle, sempre “coerente di una pacata ma concreta soddisfazione” (4); in altri termini, di quell’inguaribile ottimismo che, in ogni istante, ha soffiato sulla sua vita estetica e civile. Peppino, scrivendo questo libro, pur in un’età così venerabile, non incappa mai in stati d’animo malinconici; e per una ragione molto

cende della sua vita personale, dall’altra ne descrive scene di vita culturale lecchese. Ammesso che non sia facile, per certi aspetti, separare le vicende private di Peppino da quelle pubbliche della cittadina lariana. Perché dei moltissimi eventi che hanno caratterizzato la vita cittadina, egli è stato tra coloro che li ha ispirati: ora, con le sue personali di pittura, ora, con i suoi sodalizi artistici con poeti e altri musicisti e artisti, pittori come lui, ora, coi suoi innumerevoli concerti. Tutti eventi che il Nostro, dagli anni dell’infanzia trascorsi all’ombra del fascismo,

semplice: a lui, non interessa ricercare o sapere ciò che è diventato, di volta in volta, in tutto questo tempo, ciò che ha acquistato e ciò a cui ha dovuto rinunciare. Ma gli preme avere rassicurazioni intorno all’“essere”, a ciò che è sopravvissuto ad ogni cambio di stagione e che ha permesso al suo io di non sbriciolarsi davanti alle derive della realtà. E questo è quanto gli sta più a cuore, dipingere, questa volta senza pennelli, un ritratto che li riunisca tutti, pubblico e privato a un tempo, che, mentre da una parte narra le vi-

agli anni della giovinezza e della maturità, vissuti nel segno della democrazia e dell’antifascismo, ha sempre potuto e saputo onorare, grazie a una creatività longeva e generosa che dura ancora, come si evince da questo suo ulteriore omaggio letterario a se stesso e alla città di Lecco, che va ad aggiungersi a un medagliere di per sé già onusto di riconoscimenti e premi. Grazie Peppino! Giuseppe Leone Peppino Mazzoleni, I ricordi personali della mia vita. Impaginazione grafica di Beppe Marelli, 2020. Pp. 140.


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È giunto il momento (per noi!) di

LEGGERE E APPROFONDIRE

LIBERO de LIBERO di Domenico Defelice

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UR risiedendo a Roma, negli anni sessanta, e pur frequentando associazioni e cenacoli, mai abbiamo avuto occasione d’incontrare Libero de Libero, né di leggere e approfondire la sua poesia. A nominarci per la prima volta questo poeta a noi sconosciuto è stato, nel 1975, l’amico carissimo prof. Nicola Napolitano – Preside dell’Istituto Tecnico “Filangeri” di Formia, anche lui poeta e scrittore - in un piccolissimo ambiente romano ricavato nelle mura di Porta San Giovanni. Era in compagnia di una giovane donna, bellissima e tizianesca, poetessa e pittrice siciliana. Da circa due anni dirigevamo Pomezia-Notizie, da noi fondata nel luglio del 1973, e l’incontro era stato da lui caldeggiato perché pubblicassimo nelle nostre Edizioni la silloge della sua amica, per a quale egli aveva scritto una lusinghiera Prefazione. “La metto in buone mani”, disse Napolitano rivolto alla

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donna; “Defelice non si interessa solo di poesia, ma anche di arte; assomiglia un po’, per darti un’idea, a Libero de Libero, critico d’arte e poeta della nostra vicina Fondi”. C’era sembrata solo una battuta, pure poco felice - non conoscendo, noi, nel modo più assoluto, ripetiamo, Libero de Libro - e come tale l’accennammo, qualche mese dopo, a Ada Capuana, consegnandole, per una recensione, il volumetto da noi stampato in bella veste tipografica. “Guarda che non c’è proprio da ridere”, rispose la pronipote di Luigi Capuana, docente negli istituti romani, attrice e poetessa, pittrice e ceramista. In via Appia Nuova, allora, Ada Capuana curava la redazione romana del nostro mensile e organizzava riunioni di scrittori e artisti nella sua “Assolatella”. “Ci sono dei punti in comune tra te e il poeta di Fondi: egli, per esempio, si interessa di critica d’arte, come fai tu; ha scritto, tra i tanti, un bel saggio su Masaccio e ne sta preparando un altro su Sinisgalli”. Era appena uscito il nostro primo lavoro in quest’ambito: Andare a quadri, frutto di una nostra assidua frequentazione con pittori e nel quale figurano Carlo Levi, Mauro D’Ottavi, Eleuterio Gazzetti, Antonio Folichetti, Romualdo Marzulli, Saverio Scutellà, Maria Elena Di Stefano, Elio Giori, Lillo Messina e via elencando. Cari e indimenticabili amici, Nicola e Ada, i quali, come tanti “altri se n’andarono in furia,/sfasciando l’orto e schiantando cancelli”; “senza notizie ognuno partì” – scrive Libero de Libero - “nella notte/che viaggia come un treno”; “Rondini morte sono gli amici” – continua de Libero -, ma “che danno piume alla [nostra] luce”. E forse avevano ragione nel dire che qualcosa, della nostra attività e della nostra esistenza, non certamente allo stesso livello, fosse in parallelo con Libero de Libero. Una casa con “alberi [che] fanno verde cielo”, la sua come la nostra, e, in quella casa, la sua infanzia “cresciuta come falsa pianta”, al pari della nostra. Famiglia numerosa, la sua, e


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altrettanto la nostra: padre, madre, tre sorelle e tre fratelli. Genitori maneschi, che davano schiaffi e sculacciate in abbondanza, ma più per tradizione e educazione sbagliata che per mancanza d’amore e d’affetto; genitori che, però, “gli diedero […] l’opportunità di coltivare la sua passione per la lettura e di sperimentare la sua incipiente vena poetica” (WikipediA). Dei nostri, conserviamo nella mente un indelebile fotogramma del giorno in cui, grondando sudore nel cavare con la zappa barbabietole sotto il rovente sole d’agosto, impietositi, decisero di levarci dalla terra e farci studiare. Libero de Libero ha trascorso un periodo in seminario e in seminario, a Mileto, anche noi ci siamo stati per poco; eravamo, a quel tempo, anche Aspirante dell’Azione Cattolica. Sempre secondo WikipediA, “Furono gli insegnanti a introdurlo alla poesia di Dante, Leopardi, Baudelaire, i grandi poeti che lo <ubriacarono>”; e noi non possiamo non ricordare, con gratitudine e tenerezza, Raffaella Frangipane, la nostra docente al “Piria” di Reggio Calabria, che spesso si commuoveva nello spiegarci i grandi poeti; fu lei a prefazionare il nostro primo lavoro per il teatro, l’atto unico La mania del coltello, edito da La Procellaria nell’ottobre del 1963. Il linguaggio di Libero de Libero ebbe “costantemente per oggetto la natura, e per essa il desolato e solenne paesaggio della Valle Latina, umile e antico insieme. Un paesaggio che non fa solo da ispirazione e da sfondo, ma anima gran parte

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delle sue opere, compresi i due romanzi” (https://rosariobocchino.wordpress.com/2018/01/16); e noi non abbiamo mai smesso di amare la nostra Calabria e il suo paesaggio splendido e selvaggio; la Natura da noi sempre cantata è quella della nostra infanzia, che ricordiamo trascorsa come in un vero e proprio paradiso terrestre. Infine, Barbara Taccone accenna al suo frequentare i pittori; noi, con loro, spesso trascorrevamo gran parte del tempo. Andare a quadri - il nostro primo lavoro di critica d’arte - è proprio il frutto di questo nostro costante contatto e quante, quante volte abbiamo dormito nei loro laboratori, tra l’odore dei colori e dell’acquaragia! Il volume è uscito nel 1975, un po’ prima che Libero de Libero pubblicasse il saggio su Mino Maccari (Sheiwiller, 1976) e mentre eravamo intenti alla stesura della Pittura di Eleuterio Gazzetti, apparso, poi, nel 1980, e ad organizzagli una serie di mostre, come quella successivamente tenuta nella sala teatro della parrocchia di Sozzigalli di Soliera. Forse è giunto per noi il momento di leggere e approfondire il poeta di Fondi, anche perché siamo rimasti stupiti – contenti ma stupiti – nell’apprendere che alla nostra esile silloge antologica Fede violenza e pandemia è stato assegnato il premio Libero de Libero Città di Fondi 2021. Pomezia, settembre 2021 Domenico Defelice


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GRAZIELLA BINDOCCI

Donna Luna di Anna Vincitorio

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L titolo fa pensare alla luna umanizzata nella stessa autrice. Luna, intesa come luce di freddo argento che alimenta il mistero della notte; “colline nere echeggiano/ di civetta il grido/ mistero e paura/ cela l’ombra scura”. Luna è anche donna, sensualità, corpo sfiorato “dalle dita della notte/ che un brivido percorre”. Il testo scorre come la vita di Graziella che emerge “da profondità abissali” per poi manifestarsi. Sensazioni scaturite dal sogno. Nel sogno viviamo vite parallele apparentemente in contrasto perché esse stesse fanno parte del nostro essere. Tutto ciò che in noi emerge proviene da profondità lontane. Pulsioni, desideri inconfessati, frutto di inquietudini e sensazioni

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che alimentano e anche colmano le nostre incertezze. Nell’autrice, l’ignoto compagno e ladro per lei: “ad una rosa il profumo/ l’energia alla primavera/ i colori all’alba/ e la notte non conosceva/ il mistero della luna/ perdeva le stelle/ si popolava di fantasmi”. Graziella si racconta. Lunga la strada. Sono i momenti tristi e lieti del suo percorso dove i giorni colmi di tristezza si alternano a sorrisi. “Un ponte una strada/ diversi ogni volta/ perché io diversa/ più veri ogni giorno/ perché io più vera”. La sua vita una ricerca negli altri. Voler essere consapevole di verità terribili. La sua mano ferma fissa nell’obiettivo realtà lontane, spesso atroci che fa sue. Occhi che denunciano e, intorno a lei, “non solitudine. Ma folla di volti intorno…”. Lei è coloro che le si fanno incontro. C’è solitudine, la veste dei poeti, e voci, pianti nel mare della vita. Ricordo del padre a cui l’orrore della guerra rubò l’innocenza e dopo sette anni, il ritorno. “Un uomo cupo/ triste e silenzioso”. Graziella non ricorda il sorriso del padre. Il sangue, la morte, gli ospedali da campo. La sua è una poesia di vissuto e la vita è popolata di ombre vaganti, di eventi lontani o vicini che l’hanno segnata. Potremmo dire che il suo cuore batte con la stessa intensità della mano quando scrive. Sempre di lei “compagna la notte ora cosparsa di stelle, ora manto nutrito d’ombre”. “La notte assume in lei carnalità/ di fiore notturno”. È poesia che scorre. “Una lunga vita rivive/ dolci ricordi, amarezze lutti e nascite/ ne hanno costellato il cielo/ mescolati come petali/ di fiori di campo/ alla deriva nella brezza/ su un verde prato di primavera”. E lei aspetta ad occhi chiusi… La fine? No. Per una persona così ricca di emozioni, di sensibilità, di amore non può che esserci la continuità in tutto ciò che ha prodotto, sentito, sofferto. Voglio chiudere con – Le bambine di Aleppo – “Non sorridevano le bambine di Aleppo…/ guardavano in silenzio/ turisti davanti al Suk ben vestiti…/ con pochi euro si può comprare


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molto/ fra i poveri della città/ anche un sorriso/… Il Suk non c’è più devastato dalle bombe/ aleggia l’odore della morte/ nella città di Aleppo/ gelido… soffia il vento della paura/ Dove sono le bambine di Aleppo dal volto serio e la tristezza negli occhi?”. Anna Vincitorio Firenze, 14 agosto 2021 GRAZIELLA BINDOCCI - Donna Luna, Blu di Prussia, 2020 – pagg. 86, € 10,45

PICCOLA FIGURA Piccola figura nera immobile, posata in alto sull’angolo del tetto della casa in fianco alla mia, piccola figura solitaria e silenziosa che ti stagli sul grigiore del cielo osservando e quasi dominando sotto di te la terra e in alto il tutto… Così, dal mio balcone, anch’io guardo il cortile sottostante e scruto il cielo per trovarvi i segni dell’ormai imminente temporale. E se ad un primo sguardo io ti avevo invidiato quella tua possibilità di volo e di librarti alto nel cielo, ora mi è di conforto il pensiero del sicuro rifugio sotto il tetto della mia casa. 14 luglio 2021 Mariagina Bonciani Milano

Niente è eterno, tutto è provvisorio, le cose, come la vita, le stelle, le galassie; tutto perennemente si muta e si trasforma. È questa l’eternità. Domenico Defelice

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GIARDINI PENSILI I mille giardini dei tetti di Milano sono cupole verdi aperte al sole penetrate dalla luna. Sono sogno di boschi e foreste di savane e praterie. Sussurrano l’Africa in noi… … e l’ominide oscilla fra i rami contende bacche agli uccelli beve rugiada dalle foglie, poi sale alle più alte cime tende le braccia alle stelle e le stelle lo irradiano, divine. I fastosi giardini pensili di Milano sono eco delle origini, miraggio della casa antica che aveva per tetto il cielo. Sono zone dell’anima, nostalgia di un globo giovane di spazi vergini. Vagheggiano semplicità tradite. Ada De Judicibus Lisena Milano (2021)


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LAVORO DA REMOTO TEMA DI GRANDE ATTUALITÀ di Domenico Defelice ON il rientro dalle ferie e l’apertura delle attività lavorative pubbliche e private si è riacceso il dibattito sul lavoro da remoto: servirsene massicciamente come è stato fatto in questi mesi di pandemia; ridurlo nei limiti indispensabili o eliminarlo del tutto? Il dibattito è necessario, perché il lavoro da remoto non può continuare ad essere senza regole, lasciato completamente alla discrezionalità dei datori di lavoro, siano essi i privati o l’amministrazione pubblica. La società in questi ultimi anni è radicalmente mutata e non soltanto a causa del maledetto virus che ha messo il ginocchio il mondo intero; però è per sua causa che l’utilizzazione del lavoro da remoto ha avuto un’accelerazione impensata; così, oggi esso è più che mai necessario, non va affatto eliminato e ha bisogno di normative urgenti e valide erga omnes. Va, intanto, indicata la percentuale dei dipendenti, specialmente pubblici, che potrà servirsi di tale forma di lavoro in quanto, in molti casi e in determinate situazioni, non si può ancora fare a meno dei lavoratori in presenza. Non dovrà più essere tollerato ciò che si è fatto finora e che, cioè, si debba lavorare seduti a una tastiera senza orari ben precisi e senza regole certe. Occorre stabilire se si potrà lavorare da remoto anche da luoghi assai distanti da quelli in cui hanno sede le aziende e se è da escludere l’Estero sempre o solo in ben specificati casi. Tutti i luoghi, comunque, debbono rispondere a una connessione perfetta. Il lavoratore da remoto deve godere di flessibilità e di orari simili a quelli in presenza (inizio uguale in presenza e da remoto; se, la pausa mensa in presenza è alle tredici, alle tredici dovrà essere pure quella del lavoratore da remoto; se ci sono altri stacchi normati nel lavoro in presenza, devono esserci anche in

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quello da remoto; chi lavora da remoto, insomma, deve farlo tale e quale fosse in presenza), eliminando, così, il marasma attuale, che ha fatto del lavoratore da remoto un vero e proprio schiavo, incollato al computer dall’alba al tramonto, a discrezionalità dell’azienda. Stabilire che i primi ad essere autorizzati a lavorare da remoto siano i dipendenti con bambini fino a una certa età, chi è portatore di handicap e chi ha familiari in situazione grave, da accudire. I buoni pasto dovrebbero essere in parte confermati, perché anche il lavoratore da remoto ha l’esigenza di pause e nutrirsi. Il salario non potrà venire decurtato se non delle eventuali aggiunte che l’azienda oggi concede per i viaggi; il lavoratore da remoto continua ad avere costi, tra cui, per esempio, un ambiente attrezzato, gli apparecchi, l’energia (solamente dal luglio 2021, la bolletta elettrica ha avuto un rincaro del 9,9% - quella del gas, addirittura, del 15,3% -, meno, comunque, del previsto, giacché il Governo è intervenuto per calmierare con 1,2 miliardi di euro)); occorre comprendere che, in parte, la casa del lavoratore da remoto si trasforma in una vera e propria dipendenza dell’azienda. Va inserito il diritto alla disconnessione e indicate le fasce di reperibilità. In pratica, il lavoro da remoto deve continuare a seguire quello in presenza, perché anche in tal caso si ha bisogno di stacchi (oggi, in certi momenti e situazioni, non si riesce neppure ad andare in bagno!). Si discute su di una fascia di inoperabilità che vada almeno dalle dieci di sera alle sei di mattina. Non basta. L’orario di lavoro da remoto deve seguire in fotocopia quello in presenza, con inizi e stacchi alle stesse ore, e ciò anche nell’interesse dell’azienda, altrimenti rimarrà l’agio alle discrezionalità sia da parte del lavoratore che dell’azienda. Bene eliminare l’indennità di trasferta, ma non sempre quella dello straordinario: se si fa lo stesso orario in presenza e da remoto è giusto che anche lo straordinario abbia le stesse regole. A monte di tutto ciò, c’è un problema che


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non può più venire ignorato: la necessità dell’abbassamento generale dell’orario di lavoro settimanale e giornaliero; l’orario generale di lavoro dovrà essere subito ripensato e diminuito per tutti; è assurdo che oggi si continui a lavorare otto ore al giorno e quaranta a settimana; è necessario lavorare di meno per lavorare tutti, abbattendo, così, la piaga della disoccupazione. Non è etico dare il reddito di cittadinanza, che abbrutisce e deresponsabilizza. Aiutare con sussidi i veri bisognosi e i disabili, gli ammalati, è diverso che dare il reddito di cittadinanza a tutti, compresi mafiosi, delinquenti comuni e spacciatori. A tutti si deve dare un lavoro, perché solo il lavoro è dignità, libera l’uomo da molti affanni, lo rende responsabile e lo tiene lontano da molte devianze. Anche con l’uso, massiccio o meno, del lavoro da remoto, l’azienda deve continuare ad essere un cuore pulsante e l’orario di lavoro in presenza e da remoto, perciò, non debbono divergere, scostarsi l’uno dall’altro; e, nelle aziende dove si lavora 24 ore su 24, dovranno essere rispettati i turni anche da coloro che lavorano a distanza e il lavoratore da remoto non può essere reperibile fuori del suo orario di lavoro. Chiediamo venia per esserci volontariamente ripetuti più volte in qualche punto; l’abbiamo fatto con l’intento di sottolineare la necessità di certi interventi e cambiamenti, essendo più che maturo il tempo d’affrontare il problema, d’apportare una radicale ed equilibrata riforma del mondo del lavoro, segno di civiltà, di giustizia e lungimiranza. Tutto è cambiato; tutto si evolve con velocità supersonica ed è una autentica vergogna continuare ad usare ancora norme che, su certi punti, risalgono a tempi ormai lontanissimi, addirittura a prima del fascismo. Domenico Defelice

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col bianco della luna, metterti nelle mani le stelle d’agosto ch’erano soltanto lucciole smarrite. Non so come facevi a diventare fata, bimba vestita di parole, di sogni incontrati e subito fuggiti dal profumo della primavera. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019

Luna blu (Perth, 2001) No, non dirò: Attimo fermati! solo rallenta un poco rallenta un poco i battiti. Enorme, blu, non capita due volte nella vita di vederla sospesa in mezzo al cielo; di vederla e non crederla un miraggio. No, non dirò stanotte come Faust: Attimo, oh! Sei troppo bello, fermati! ma prenderò ad occhi aperti un Dilatrend per rallentare questa notte i battiti. Corrado Calabrò

NON SO Non so come facevi a credere ch’io potessi dipingerti il volto

Da La scala di Jacob, Primo Premio Città di Pomezia 2017


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A DANTE ALIGHIERI MONUMENTO DI

ANTONIO NEGRIN di Italo Francesco Baldo

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A memoria dei grandi del passato ha avuto una decisiva svolta con la cultura romantica ed è proseguita sino ad oggi. Grazie a Ugo Foscolo e ai suoi Dei sepolcri (1807) e a I cimiteri di Ippolito Pindemonte (1805) il ricordo ha invitato alla erezione di monumenti atti a celebrare proprio coloro che sono stati proposta culturale per l’Italia. Così non solo monumenti ai regnanti, ai condottieri, ai papi, ma a chi ha onorato la storia, l’arte, la cultura in genere di un popolo. A Dante, simbolo della sapienza italiana, si pensò di dedicare un monumento sin dal 1818 (cfr. Idee per un monumento a Dante Alighieri. Lettere due, Italia, s.n., 1819) da parte di molti eruditi toscani. Una prospettiva per il “ghibellin fuggiasco” che avrebbe dovuto trovare sede “in faccia al destro fianco del nostro Duomo, ove un frammento di marmo obbliato dai più ci ricorda il suo nome immortale, col titolo di Sasso di Dante” che è vicino al tempio di S.

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Giovanni “ove lo stesso Dante contando sul ravvedimento de’ suoi Fiorentini mal predisse che in questo tempio avrebbe riposato la sua salma, dopo esservi stato laureato.” Ma il desiderato monumento non fu costruito; Dante ebbe in Santa Croce ad opera di Stefano Ricci (1756-1837) un cenotafio, inaugurato nel 1830 e nel 1865 nell’omonima piazza una statua, opera di Enrico Pazzi. Il 1865, settimo centenario della nascita di Dante, ebbe celebrazioni in tutta l’Italia che da poco aveva raggiunto l’Unità, ma mancavano Veneto, Trentino e la Venezia Giulia con Trieste. Non si contarono le manifestazioni nelle principali città, dove furono eretti monumenti entro la fine del XIX secolo e nel Veneto Belluno, Padova, Rovigo Treviso, Venezia, Verona e Vicenza celebrarono il grande poeta che invitava ad essere cristiani e Italiani con pubblicazioni di grande spessore. Senza enumerarle tutte, ricorderemo particolarmente quella edita a Vicenza, che continuava una tradizione di studi danteschi e di amore per il poeta come scrisse del Fiorentino Ferreto de Ferreti, l’Ab. Francesco Villardi, per non nominare la preziosa traduzione in latino di versi del poema ad opera dei Frati di Monte Berico, i frati del Convento di San Pancrazio, Gaetano Dalla Piazza e altri. La pubblicazione: Dante e Vicenza: 14 maggio 1865, Vicenza, a spese dell'Accademia Olimpica [Tip. Paroni], 1865, contiene diversi studi introdotti dal Presidente dell’Accademia Olimpica Francesco S. Beggiato e a seguire Jacopo Cabianca, Bernardo Morsolin, che ricorda Gian Giorgio Trissino e Dante, Fedele Lampertico, e la prima stesura dell’ode di Giacomo Zanella A Dante Alighieri, la Bibliografia Dantesca a cura di Andrea Caparozzo, che parla del Codice dantesco della Biblioteca Bertoliana, e delle edizioni vicentine del sommo poema e di particolare interesse la proposta dell’architetto paesaggista vicentino Antonio Caregaro Negrin (1821 – 1898) Di un monumento a Dante Alighieri Progetto, pp. 117- 124 con due Tavole. L’idea del progetto risaliva al 1859 mutuato da coloro che pensavano “ad innalzare a Firenze, con obolo di tutta Italia, una statua al


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Divino poeta”. La gloria non solo dell’Italia ma dell’intero genere umano meritava secondo Negrin di qualcosa di più importante e “vagheggiò un’opera, non confinata a una piazza, ma levata a tanta altezza, che da lungi di tutta una famosa città si disegnasse il piedistallo su cui poggerebbe la statua dell’immortal Ghibellino.” Così dominato dal pensiero di Vincenzo Gioberti che scrisse “gli uomini grandi dopo Dante sono figli naturali di lui”. Negrin immaginò “un monumento che si presentasse come il cuore di una grande Panteon Italiano; a cui Dante, simbolo della sapienza italiana stesse sulla cima, siccome padre al di sopra de’ figli; ed ivi fosse rappresentato per l’arti il divino poema, che comprende il mondo materiale e spirituale e tutta la scienza del secolo.” Dante novello Omero, ispiratore di arti e poesia doveva avere un monumento che doveva sorgere in un luogo vasto “possibilmente nel centro d’Italia, perché come santuario de’ grandi della nazione, possa in processo di tempo ampliarsi, essendo destinato a tenere accesa la fiamma della emulazione negli Italiani; a molti dei quali sarà concesso di meritarvisi con l’opere un posto.” Progetto ambizioso che nello schema ricalca il rigore palladiano della Rotonda, ma s’innalza a simbolo della cultura italiana e del suo valore con vari gironi destinati ad accogliere statue dei grandi italiani in ordine cronologico, ossia i figli naturali del divino Poeta. Non mancheranno stanze per raccogliere codici danteschi antichi, e opere che si riferiscono a Dante o alla Divina Commedia e quanto riguardi la storia della nazione italiana. All’interno pitture monumentali, mosaici e affreschi a rappresentare le scene del Divino Poema. Bene all’idea dell’architetto A. Negrin s’adatta l’ultima strofa della poesia di G. Zanella: “Al tempio tuo, che immoto Leva la fronte su divine alture, Porga fidente il voto; E rinnovate e pure Dal monte scenderan l’età venture.”

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Il progetto non ebbe seguito, ma piace pensare che, se costruito, sarebbe un punto importante di riferimento anche oggi per tutti gli Italiani e la cultura che non s’abbandona ai passeggeri eventi alla moda, ma dal ripensare e vivere il grande passato anche vicentino, sa progettare e costruire per i dì futuri. Italo Francesco Baldo ----------------------------------------------------Sogno e strani poteri oscuri assistono il mio sogno luminoso; un suono quasi di pioggia incipiente avanza verso di me con strepitoso sibilo; ed ecco! tutte le mie ore dimenticate giacciono attorno a me come un velo di nebbia Fernando António Nogueira Pessoa Ich träume und seltsame dunkle Mächte helfen meinem hellen Traum; Ein fast beginnendes Regengeräusch kommt mir mit einem lauten Zischen entgegen; Und hier! all meine vergessenen Stunden liegen um mich herum wie ein Nebelschleier Je rêve et d’étranges pouvoirs obscurs assistent mon rêve lumineux; un presque bruit de pluie naissante s’avance vers moi avec un sifflement retentissant; et ici! toutes mes heures oubliées s’étendent autour de moi comme un voile de brume (Traduzione in tedesco e in francese di Marina Caracciolo)

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 16/9/2021 Ancora un femminicidio, non si fa in tempo a contarli! Una strage senza fine; più di sette vittime in una settimana. Una bestialità incontenibile, che non teme leggi e convenzioni, perché non teme la vita propria e quella degli altri; un’autentica follia. Alleluia! Alleluia! E l’assurdo è che si dica lo si faccia per amore! Domenico Defelice


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(700 anni fa, a Ravenna)

DANTE MORÌ PER UNA ZANZARA? di Luigi De Rosa

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ON tutti sanno che Dante, nato a Firenze nel 1265, oltre ad essere un sommo Poeta ed il padre della lingua italiana, fu anche un uomo politico. A trent'anni faceva parte del Consiglio del Popolo, e nel 1296 era un componente del Consiglio dei Dieci. Pur riconoscendo al Papa il potere politico, non gli permetteva di poter gestire gli affari pubblici del Comune di Firenze. Era quindi un guelfo. Ma un guelfo “bianco”. Per cui, con la vittoria dei “Neri” Dante fu messo al bando da Firenze, con una sentenza feroce che gli minacciava il rogo in piazza da vivo (nel caso fosse stato catturato) oltre alla confisca di tutti i beni. Cercò quindi altrove rifugio e protezione, mettendosi al servizio di Novello Da Polenta, Signore di Ravenna. Ma fu proprio questa vicenda del suo destino che lo portò ad una morte imprevista e comunque prematura. Infatti, di ritorno da una sua ambasceria a Venezia in cui aveva ottenuto che il Doge non muovesse guerra alle navi di Ravenna, nonostante qualche atto di pirateria (o comunque ostile) da parte di queste ultime, fu colpito subdolamente. Infatti, nelle cosiddette Valli di Comacchio fu punto da una zanzara anòfele femmina che gli inoculò il protozoo della malaria. Questa lo fece morire il 14 settembre 1321, a soli 56 anni. Esattamente, 700 anni fa. Il pensiero mi corre a Blaise Pascal, il filosofo del calcolo

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infinitesimale, secondo il quale l'uomo è una canna fragile, soggetta ai colpi del vento e dell'uragano. Sì è vero, è una canna, una “canna pensante”. (D'altronde si può anche dire: “E' pensante, è autonoma... Però rimane pur sempre una semplice “canna” ”). Dante fu conosciuto ed ammirato in tutto il mondo per la sua “Commedia” (che Boccaccio definì “Divina”). Spiritualmente e letterariamente fu un genio immenso. Ma fisicamente fu un debole organismo facilmente distrutto da un plasmodio, un esserino invisibile. Luigi De Rosa

Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia, quand'ella altrui saluta, ch'ogne lingua devèn, tremando, muta, e li occhi no l'ardiscon di guardare. Ella si va, sentendosi laudare, benignamente e d'umiltà vestuta, e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare. Mostrasi sì piacente a chi la mira che dà per li occhi una dolcezza al core, che 'ntender no la può chi no la prova; e par che de la sua labbia si mova uno spirito soave pien d'amore, che va dicendo a l'anima: Sospira. Dante Alighieri


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LE TANTE VIRTÙ DEL NOSTRO TEMPO di Leonardo Selvaggi I A superbia, la radice di tutte le iniquità, alimenta tutti i vizi, la forza che trascina a tutti i delitti, il nodo e la trama di tutte le tragedie della storia. È un desiderio disordinato d’innalzamento, è una stima eccessivamente grande delle nostre qualità, è un volere andare più oltre di quello che permettono le forze, i propri meriti. Un voler occupare i primi posti nella gerarchia. Si è nel pieno del materialismo: l’eternità della materia, il moto che nasce dall’inerzia, la vita che sorge dall’inanimato. Non si crede alla Provvidenza. Si vive in una solitudine sdegnosa, si hanno gli occhi e non si vede nulla. Ci si appropria di quello che non spetta. Le virtù vengono dall’educazione, dal lavoro, dall’affinamento delle azioni. L’aforisma “conosci te stesso” ci porta a considerare la nostra vera natura, a non essere orgogliosi, non dobbiamo essere convinti di essere quello che in realtà non siamo. Dobbiamo misurare le proprie forze in relazione agli esempi edificanti lasciatici dalle persone dedite al Bene. Il disordinato amore di sé fa vedere a ciascuno con lenti di ingrandimento la propria grandezza, nascondendo le imperfezioni. L’uomo più vacuo di meriti è quello che più si esalta e si inorgoglisce. La stima esagerata che l’orgoglio si attribuisce è funesta, non si pensa a correggersi perché non si conoscono le mancanze che si hanno. Il superbo costruisce su mobile arena l’edificio delle sue aspirazioni, trascina a sicuro naufragio il suo ottimismo. Come Icaro che con le ali di cera aveva la presunzione di arrivare al sole. Nemico del prossimo è il superbo, attribuendosi singolarità al di sopra di tutti. Bisogna far uso della propria azione a beneficio degli altri. Non si conosce la natura propria, fatta di miserie, di temporaneità, di sostanza corruttibile. I difetti, le limitazioni e le tristezze della vita. Il superbo crede di aver tutto meritato. Ha desi-

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deri insaziabili, pretendendo innalzamenti impossibili. Dominato da passioni sterili, inutili che si consumano in aspirazioni disordinate. Più si affanna ad acquistar benevolenze, più le antipatie perseguitano. Gli altri si disprezzano ricevendo in contraccambio indifferenza, sdegno. Si vela di falsa modestia, al minimo urto di contraddizione la superbia si accende, l’orgoglio è tutto coperto di spine, nessuno gli si avvicina. Non chiede consiglio a nessuno perché sarebbe ciò umiliazione. Si crede sufficiente a se stesso, fuori di sé tutto considera nulla. Non concepisce amicizia né dialogo né collaborazione. Cieco nell’intelletto, ostinato nella volontà. La sua intelligenza è creduta superiore, non sottomette a nessuno il suo giudizio. Ogni tipo di opposizione lo irrita, pronto a ribellarsi alle norme, a disprezzare le tradizioni, a disconoscere le convenienze pubbliche, i costumi più confacenti alla dignità dell’uomo. Esaltato non conosce superiorità, non sa di finire, non sa di essere polvere e cenere, la fragilità ha giorni contati, la bellezza sfiorisce subito. L’uomo, ombra vana, creatura vilissima, nata tra i dolori e le lacrime. II Non va rifiutata la stima alle cariche tenute, ciò è necessario per disimpegnarle con effetti positivi. Quanto maggiore sarà il prestigio tanto più facile sarà l’apprezzamento dell’elettorato. L’ambizioso se è dotato e tende a migliorarsi, il suo desiderio di eccellere, di ascendere nella scala sociale è un fatto naturale. Da ciò nasce lo spirito di emulazione. Ottima cosa è acquisire preparazione e virtù per sostenere gli impegni assunti, cooperando con questi al bene del prossimo. Arrabattarsi per conseguire posti senza le dovute capacità, con ansia smodata, costituisce il vizio dell’ambizione che è figlia della superbia. Chi ha un posto che non compete è semplicemente un intruso, aspira ad onori cui non è preparato, sarà piuttosto nocivo agli altri. Occorre un animo virtuoso, umiltà, considerarsi incapaci per le mansioni che si debbono svolgere, le imperfezioni fanno temere quando si hanno impegni di governo.


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Con responsabilità che aumenta quando l’ufficio cui si è destinati è di notevole importanza. Chi comanda è oberato di lavoro, non deve perdersi in futili parole. Chi è il primo negli onori ha poco tempo per sollazzarsi. È semplicemente il servitore di tutti. Chi si insuperbisce cade nei vizi. Le alte cariche sono accompagnate da tanta fatica e tanti pericoli. Non si pensa alla propria vanità, ma al bene pubblico. Democrazia significa occupazione continua, diverso da demagogia, fatta di promesse vacue. Si lavora in silenzio, senza essere incensati né adulati. Non il servilismo attorno, ma cittadini rappresentati degnamente da parlamentari capaci, dotati di perseverante abnegazione. L’ambizioso puro, riempito di vuotaggini, senza intelligenza e amore per il popolo si lascia abbagliare dallo splendore delle grandezze umane, ha desiderio insaziabile di primeggiare. Prima di accettarli occorre essere coscienti degli oneri. Di vanità ce n’è tanta, si pensa a salire soltanto, come dominati da cieca follia. Si aspira a tutto, ci si crede capaci di tutto, per egoismo si vuole sempre conseguire. Come Sisifo combattuto dalle pretensioni, ogni volta che la pietra rotola in basso, torna a salire carico di essa per essere sempre disingannato. Non si ha paura di essere disprezzati, ci si ostina di riuscirci senza avere le forze necessarie, non importa di cadere pestati, di essere malvisti per la propria impotenza. Di mania di grandezza molti soffrono nel nostro tempo, si rendono temibili, il fatto di arrivarci prende tutto se stessi. L’idea dominante è superare, si abbandonano a stravaganze, in continua agitazione. L’ambizione se non è sorretta da idealità e da sensibile trasporto verso l’azione benefica è un’infermità, molti arrivano alle aberrazioni immaginando di avere attitudini speciali. Pretese smodate. Presi da invidia studiano il carattere degli altri per trovare difetti, inventano mancanze quando non ci sono. C’è la corsa a raggiungere i posti elevati, si guerreggia, si va all’assalto con tutti i mezzi subdoli, con trappole e agguati per distruggere il nemico delle proprie mete. Con l’adulazione si

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cerca di piacere alla persona dalla quale si attendono favori, non si temono abbattimenti, ci si trascina pure nella polvere. L’ambizioso esalta quelli che disprezza, serve chi più odia. Con l’ipocrisia ha mille facce, è un violento, davvero un “lupus homini lupus”, vive un’eterna contraddizione tra quello che è e quello che cerca di parere. III Il nostro tempo tanto ricco di paradossi. Il peccato è un merito, la forza fisica pare sia sublimità spirituale. Ci si assoggetta a tutti, non si ha dignità. C’è della brutalità contro ogni senso del giusto e dell’umano. Le doti morali, la consapevolezza di sé, il senso di responsabilità sono frantumati. Apparenza, inganno. Molti politici rissosi, come bestie si contrappongono. Vanità da prime donne, lusingatori in vesti eleganti, esercitano fascino, attrazioni, aspetti da imbonitori. Il popolo vive sempre abbandonato, i mutamenti sono illusori. Il parlamentare che è suo rappresentante si esalta nella sua inutilità, non ha la sensibilità che lo fa muovere con modi semplici, adoperandosi con assiduità, studio, passione politica. Gli avversari in pubblico sono pestati, ma fuori rimangono uniti, sono dei miseri che hanno bisogno di vicendevole sostegno. Sono senza consistenza tanti politici, vuoti, senza oratoria e senza idee. Non hanno pensieri e progetti per attuare i programmi necessari alla vita sociale. Molti passano da una attività all’altra spinti sempre da quel virus che corrode e infiamma tutta l’anima, l’ambizione, hanno aspetti duri, nessuna nobiltà d’animo. Falsi propositi che sfumano come bolle d’aria. Non c’è applicazione né entusiasmo ad agire per lo Stato. Ottengono gli onori, ma non l’onere, si presentano carichi di ideali e non hanno spiritualità per animarli. Rozzi, impaludati, emolumenti facili che non si sanno da dove arrivano. Benessere per le avide voglie. In mezzo alle onoranze appaiono disonorati. La bassezza dei loro principi li pone in cattiva considerazione nell’opinione pubblica. Fanno numero


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nell’assemblea, gridano, ma non hanno uditorio. L’ambizioso davanti alle cariche mostra la sua debolezza. Confuso nella massa, i difetti si nascondono. I vizi che oggi appaiono virtù si incrociano. Gli inferiori guardano con invidia, gli uguali con sdegno davanti alle ambizioni, i più alti con timore. Gli esaltati sempre insoddisfatti, nemici del pubblico, usurpatori di beni materiali, privi di senso di uguaglianza e di giustizia, di umanità e di perseveranza per mirare alla realizzazione del bene comune. IV Nel nostro tempo avido, senza affetti, egoista, tecnologico, alienato, l’ambizione domina ampiamente, attratta dalle cariche pubbliche e sostenuta da illusioni che il popolo vive, considerandosi detentore di sovranità. L’ambizione troneggia sopra le aspettative di benessere, di cambiamenti, di riforme che mai si fanno. Non si concepiscono sacrifici e dedizioni né virtù né onore. La politica ha tanto malcostume, tanta confusione e dispendio di denaro. Si vive di diffidenze, di sospetti, gli uni contro gli altri, le discordie e le invidie tra i partiti: un ambiente battagliato ove di rado si riesce ad essere decisi e unitari, guidati dal buon senso e dalla volontà di operare. La modernità con i suoi sviluppi in tutti i settori ha apportato mutamenti nei rapporti sociali, ha conseguito ai più astuti di migliorare le proprie condizioni di vita. Si è allargato il senso di sopraffazione, si gareggia a chi riesce di più a raggiungere posizioni di maggior peso e arricchimenti. Nell’ambiente politico un libero movimento che sa di anarchia, apre la strada all’arrivismo. Un egocentrismo diffuso, i più dotati nel saper fare con audacia e ostinazione hanno quello che si vuole per vie tortuose e sotterfugi. L’istintivismo più agguerrito ha fatto crescere l’amor proprio e tutte le passioni più deplorevoli. Superbia e avarizia sono modi di essere apprezzabili. Chi ancora è semplice e schietto e crede alla coerenza e all’onorabilità della persona, alla dignità passa per retrogrado e incapace. Arroganza e presunzione, i requisiti che

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fanno essere appariscenti, estrosi. Non si ha scrupolo a possedere quello che agli altri in qualche maniera appartiene. Le leggi sono frammentate, spesso vengono formulate da isolati gruppi che influiscono sulla maggioranza e riescono a sostenere i propri interessi. Espressione di partitocrazia, non di ampi consensi e di basi omogenee di collaborazione a vantaggio della comunità intera. Si difendono i privilegi contro i più elementari sentimenti umani e i principi essenziali della razionalità. L’amor proprio esasperato, la fonte di queste novelle virtù. Tutto sbocca nell’ingordigia, nell’esagerata smania di avere quanto più possibile per dissiparlo nelle piacevolezze, a dispetto dei miseri e delle sofferenze di ogni tipo. Tanta violenza e inganni per sottrarre denaro pubblico. Si parla di tangenti, di truffe, di bancarotta. L’avarizia si camuffa sotto il manto del giusto, della previdenza, della parsimonia. Denaro da estorsioni come fosse venuto fuori da spirito di risparmio, da sacrifici affrontati durante una vita di dure fatiche. Amministrazioni di complessi industriali, di enti regionali non controllate che hanno dato possibilità di illeciti. Primari ospedalieri, alti funzionari dello Stato con cecità diabolica, senza decoro e rispetto della serietà delle funzioni attribuite, protagonisti protervi di appropriazioni. L’oro nella testa, tutto quello che passa sotto le loro mani. Il cuore si pietrifica, freddo, duro, metallizzato. V I rappresentanti dell’ordine pubblico anch’essi carichi di vizi, di indolenza, arroganti, privi di dignità umana, non coscienti dell’alto dovere cui debbono attendere durante le operazioni che sono necessarie alla salvaguardia della sicurezza del cittadino. Assoldati alla rinfusa, senza preparazione e istruzione adeguata. Il cittadino onesto maltrattato. Sono timorosi e sfuggenti davanti ai violenti. Arruolati e messi davanti al truogolo per sfamarsi. Per delicati compiti nessuna inclinazione, presi dalle campagne e dai paesi più arretrati, hanno l’aspetto duro e rozzo,


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come tronchi insensibili, tanta arroganza e vanità nel nome della legge, massacrata, pestata nei suoi principi da questi cosiddetti servitori dello Stato. Tanta paura se si gira di notte per la città, non trovi protezione, ti inoltri come in una giungla, è facile rimanere intrappolato. Pubblici ufficiali pronti con le manette, senza cognizioni e razionalità messi a guidare e a morigerare il consorzio civile. Nel Senato della Repubblica è arrivata la cocaina per storditi, incartapecoriti esperti di legislazione. Case squillo, denaro a profusione e lussuria per zoticoni calciatori, visti come divi. Studentesse che abortiscono, appassionate di sesso in aule trasformate in luoghi di fornicazione. Ragazze conviventi, tra comodità e carezze materne tutte dedite alle perversioni. L’avarizia, l’insaziabilità sono contro il senso del moderato. Felice chi si contenta di poco. L’avaro si dimentica di godere del proprio, pensa di acquistare sempre, è servo di quello che possiede. È un uomo che non conosce ciò che basta. Se ciascuno prendesse solo l’indispensabile per provvedere alla propria esistenza e lasciasse il superfluo non si avrebbe né ricco né povero. Quello che va oltre il necessario non è suo, è di chi ha bisogno di essere soccorso. L’aridità di chi è insoddisfatto. La vera ricchezza quella dell’animo sofferto. I beni terreni servono solo quando si usano, la parte che non corrisponde alle necessità vale molto quando viene distribuita. L’oro è tanto sdrucciolevole che mettendo il piede sopra l’uomo facilmente scivola e precipita. Il consumismo, il disamore verso gli oggetti, la corsa ai divertimenti, le macchine, tutti i mezzi meccanici usati con sregolatezza comprimono le facoltà umane, portano al materialismo eccessivo, ai processi di massificazione, ai camuffamenti, alle deformazioni, all’anonimato. Tante le manifestazioni svirilizzanti, si assiste ad una specie di progressivo svuotamento di ciò che costituisce l’essenzialità della nostra natura. Un disordine e un disorientamento dentro la struttura razionale. La modernità nelle sue aberrazioni genera incentivi

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di corruzione. Mollezza e temperamenti snervati si uniscono a inettitudini. Adulteri, trasgressività, l’aumento dei divorzi senza limiti. VI La sensualità la vedi infiltrarsi e farsi importuna, inquietando e molestando anche le occupazioni in cui l’impegno e l’applicazione avrebbero piena espressione. Famiglie sconquassate, senza quella unitarietà che crea affetti e modi di vivere ordinati, la figliolanza sperduta, gran parte dei rapporti coniugali sono in stato di scompiglio. Pare sia venuto meno il senso della saggezza e della misura. Si è ribelli e rissosi, immorali. Libertinaggio, disamore in case divenute semideserte, ammorbate. Solitudine e smania di divagazioni. Il piacere materiale conseguente alla insoddisfazione degli animi. Non si è comunicativi, dispersivi soltanto, dissolti. I vincoli sono labili, si è sordi alla voce della parentela, le leggi della fedeltà promessa spesso violata, calpestata la gratitudine, la coerenza, dimenticati l’onore e la reputazione. Il materialismo invade con il progresso cosiddetto civile, i vizi, le turpitudini occupano i vuoti della mente. Gli aspetti esteriori hanno in gran parte una presenza indecorosa, poco riguardo alle forme e convenzioni sociali. La sensatezza non pare viva molto negli atteggiamenti, ma piuttosto una rozzezza selvatica. Il cuore umano si ha l’impressione che tenda a svuotarsi di tutti quei contenuti che fanno la vita lieta e serena. Tanta agitazione, inquietudine, non si sa cosa si vuole. Dominano, se si osserva bene, instabilità e velleità capricciose. Dolcezza e gentili tratti sul viso si leggono poco, si è stesa una specie di patina che soffoca il respiro alla pelle, come a tutto il corpo. Un turbamento sparso. Non parliamo di freschezza e di candore, tante le espressioni rudi e avvizzite. Si manifestano la sete di godere i momenti di gaudio che fanno fremere la persona, il torpore che si accompagna all’impuro. Ci si maltratta nei ritmi di questo tempo disordinato, stanchi e delusi, non ci si


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ama, astio e malumori, le forze sembrano finite. Come dispersi i desolati rimasti impigliati nel frascame dopo gli affetti spezzati. Desideri indefiniti serpeggiano nell’intimo. Altra confusione viene dalla tanta emigrazione incontrollata dall’Est, ad infestare con la voracità delle cavallette terreni malsani, acquitrinosi. Insetti, sprovveduti a caterve arrivano affamati da terre infelici, volontà irretite che scoppiano, presi da voluttà di guadagni immediati. Nel passato dal consumismo tenuti rinserrati in maglie politiche dispotiche, mai avvezzi a intraprese, senza individualità sviluppate. Senza sofferenze e privi di comprensione umana. In quantità massicce donne romene come rosse soldatesse, senza ritegno, mercenarie, si adattano a tutte le condizioni, in sovraffollamento promiscuo. Chiamate da famiglie con malati, da vecchi abbandonati. Divorziate lontane da mariti dediti all’acquavite. Alleviano inibizioni, frustrazioni, sconvolgimenti morali. VII Impressione di abbandono e fuga da ogni attenzione e sforzo di tenere alla meglio amalgamato l’ambiente quotidiano che ci è attorno. Nelle città di grande agglomerazione si sta come in uno stato di provvisorietà. Lo spazio, l’anonimato. Il sozzo che sa di lussuria. Si disertano gli affetti legalizzati e si prediligono quegli temporanei che si infiammano per lasciare cenere e delusioni. Si vuole il nuovo, l’imprevisto, l’avventura, il monotono del matrimonio fa morire. Si intrecciano rapporti sessuali negli ambienti di lavoro, oggi di sicuro più frequenti di una volta. Il denaro abbondante porta alla ricerca di godimenti peregrini. La mente eccitata desidera intensità che sfibrano e lasciano debilitati. Munti e rimunti corpi flaccidi, mortificati. Anche gli ambienti di alti funzionari denarosi sovraccarichi di brillantezze e di sfarzo si fanno prendere in questi turbolenti movimenti dell’illecito. Nauseati, tediati trascorrono nottate di baldorie per sperdersi e annullarsi in momenti di stravaganze e di bizzarrie. Distruggono patrimoni ed energie. Macchiato l’onore, inaridito il cuore,

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amareggiata l’anima, gli stupefacenti spremono quei pochi umori rimasti in membra insecchite. I prati della lussuria costituiscono in tanti luoghi spiagge incantevoli per menti disordinate in cerca di futilità che sono soltanto spine, felicità evanescenti. Ottenebramenti che pestano le vitalità connaturate. La lussuria che scorre con fantomatico fluido, che annebbia dentro miasmi e vapori nocivi. La lussuria, concupiscenza avvolgente e intorbidante produce un effetto simile a quello della lussazione delle membra del corpo, le disloca, le perturba nel loro funzionamento, ne impedisce lo sviluppo, le rende inutili per la vita spirituale. Il nostro tempo, con le evoluzioni e il senso del civile allargato in modo falso, ha continuato a creare fratture negli strati della società. Le nuove virtù si sono proliferate fra gli ambienti. Il vizio sempre qui attecchisce. La modernità, gli sviluppi tecnologici dovrebbero portare benessere anche se in parte limitata nei luoghi ove langue il bisogno. I ricchi e quelli che sanno manovrare gli ingranaggi delle strutture sociali il fango e il turpe li maneggiano con l’oro. Chi più si dà alle infrazioni, ai peccati viene esaltato e si fa degna persona. L’uomo rozzo, ingordo, pieno di denaro, ad eccezione di chi pur attorniato da ricchezze se ne rende superiore, non vede le cose divine, i sentimenti, non ha la volontà agguerrita. Lo sguardo non è rivolto al cielo, s’infossa, non può sostenere gli splendori del sole. Il viziato, l’avaro, il superbo perdono l’aspetto umano, andando per le esagerazioni e gli eccessi, fuori dalle norme naturali. Oggi si vuole che la virtù non esista, la coscienza è considerata un nome, la morale un fantasma, il rimorso un’illusione, il materialismo vede l’uomo costituito di terra organizzata. L’individuo è un malevolo, devi sempre nasconderti per non subire i suoi assalti. Devi farti vedere nelle lacrime e nei patimenti per non accenderlo nella sua violenza e vederlo addosso con le sue maledizioni. Vanno punite e disonorate le lubricità e le sfrenatezze di ogni tipo. La virtù dell’uomo non si avvolge di nebbia, è brillantezza e si muove con le forze dell’equilibrio e della misura. Tutto ciò che è lecito danneggia il prossimo, è


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uno strumento che tende a distruggere le strutture sane della società. Il buon esempio, le tradizioni di morigeratezza il più delle volte non vengono rispettati. Il licenzioso, l’egoista esasperato, il violento non ascoltano le buone espressioni, quelle che conducono alla salute dell’anima, ad essere sensibili e umani. Le prediche non servono al letargo morale. Si parla al muro, al vento, si fugge, non si ascolta. Non si vogliono né il dialogo né il confronto. La coscienza rimane compressa, gli echi che si innalzano da essa vengono assopiti e affogati col rumore e la gazzarra. Quando sprofonda nei gravi abusi, rimane oltraggiata l’autentica natura umana. Leonardo Selvaggi

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In libreria, ma acquistabile anche in Internet:

TEMPO SENZA TEMPO Erano gli alberi giganti con un solo piede, era tempo di trecce di pampini e di messi nel biondo meriggio, era cielo di promesse e il pianto lacrime beate, era assolata fanciullezza, era tempo senza tempo. Rocco Cambareri Da Veri scelti, Guido Miano Editore, 1983

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 7/9/2021 Francesco Grillo, su Il Messaggero del 7 settembre 2021 rispolvera una vexsata quaestio: far sì che i Comuni abbiano la “capacità di dialogo con l’Unione Europea non più intermediata dalle Regioni”. Alleluia! Alleluia! Non basta più uno Stato frantumato in regioni, province, comuni e circoscrizioni, ognuno con una enorme quantità di poteri, spesso fra loro contrastanti; ora pure, ai Comuni, competenze con l’Estero! Per accrescere bailamme e marasma? Domenico Defelice

Un libro, firmato Domenico Defelice, dal fascino singolare: da una parte la scrittura del noto personaggio (…), dall’altra le opere di uno straordinario autore, Domenico Antonio Tripodi, definito fin dalla copertina “Pittore dell’anima” (…) Le pagine sono ricche di testimonianze pittoriche di vario tipo tutte lasciano pensosi per la naturalezza della struttura umana e animale rappresentata, in qualunque posizione essa sia, statica o in movimento (…). Realistiche trova, il critico, le immagini pittoriche (centocinquanta pezzi) che rappresentano alcuni personaggi descritti da Dante nella “Divina Commedia”. Di questi, perfettamente realizzati, ne vengono citati diversi, vedi Manfredi, Beatrice, Ulisse”… Anna Aita Su Fiorisce un cenacolo, aprile-giugno 2021.


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Il Racconto

UNA FINESTRA di Anna Vincitorio

F

INESTRA aperta su uno spazio non commensurabile: colline, ulivi, una palma sulla destra in sofferenza per il caldo. Ancora un’altra estate in un tempo indefinito di attese. Orizzonte, ora limpido, ora velato. Poteva intravedersi il mare al confine. Sovrano il silenzio dell’uomo. Indistinto il brusio degli animali che non si vedono ma lanciano un richiamo raccolto dall’udito, non so quanto amico. Dalle travi brunite della stanza spunta la testa di un geco; silenzioso, viscido, freddo. Più allegra il brusio delle api anticipo dell’oro di un miele che verrà raccolto. Si allungano al tramonto le ombre sull’erba alta non ancora tagliata. Le altre finestre sono chiuse. La vita scorre all’interno: il quotidiano ma anche l’ignoto al calare dell’ombra. La donna teme il buio perché animato di ignote presenze. Non sono visibili ma le sente aggirarsi subdole. Figure sconosciute o del passato. Non hanno volto. Si allungano in spazi vuoti. Lontano, il fischio di un treno. Dove andrà? Gli occhi inseguono figure che non hanno volto. Manichini senza orbite si spalancano su angosce non definibili ma non per questo meno inquietanti. Si delinea un tempo remoto di fantasmi che risalgono all’origine dell’uomo. Non si vedono ma se ne avverte la presenza. Affiora il lontano ricordo di un incubo in cui enormi ragni neri correvano lungo il muro. Archetipi del suo inconscio. La donna non può che aspettare il buio. Resta l’enigma dell’ora sull’orologio dimenticato fermo alle 13. Sono trascorsi ben quarantasette anni da quando una vita si spezzò all’improvviso. Quello sguardo glauco, vitreo nella fissità della morte. Forse sarebbe meglio poter dormire, ma lo spazio sarà per i sogni o per gl’incubi? C’è in lei una sensazione di solitudine ma anche, nelle enigmatiche ombre che l’avvolgono,

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una pacata gaiezza. Rivede con la memoria i campi arati, le stoppie affogate nel sole; grida di bimbi inseguiti dalle oche con le manine alzate. Forse è meglio chiudere le persiane. I pochi mobili, nella loro immobilità, appaiono come pietrificati. La casa, al calare del buio, le diventa estranea. Fuori, il tutto e il nulla. L’infinito è mistero. Il suo spirito è predisposto a riandare alle acqueforti di Klinger e a una presa di coscienza dell’eternità e del tempo che si ferma. Studi di un tempo lontano: Zarathustra di Nietzsche. La solitudine anche se colma del fascino dell’indefinito, diventa opprimente se al silenzio si aggiungono le ombre. È la predisposizione d’animo a rendere le ombre liete o angoscianti. Un bilancio della propria vita; alternanza di ricordi; l’inconfondibile blu di mari lontani, cattedrali barocche sorte sul nulla, il ritmico danzare dei dervisci nell’immaginario di spazi senza confini. Però, con chi condividere le sensazioni e i ricordi? Ha intorno a sé oggetti di un passato diluito dal tempo ma presenti. Una fine coperta ricamata con fili di lino e angeli che si tengono per mano. Una zia mai conosciuta la ricamò per le sue nozze. Non fu mai usata per la sua morte tragica e precoce. Ancora… un quadro dipinto dalla figlia bambina: un’allegra processione di figure colorate verso chissà quali sogni. Davanti ai suoi occhi una enorme pergola verdissima diffonde fresche ombre. Osserva una tavola al di sotto e, con gli occhi del ricordo, vede una cena cristallizzata nel tempo e un uomo ai confini della vita che abbracciava con gli occhi i presenti. Complice un tramonto dai lunghi caldi colori. Una telefonata al mattino. Un invito per andare a Pisa. Nel caldo ventoso è festa e sul Lungarno si affaccia il Palazzo Blu svettante di bandiere. – Mostra di Giorgio De Chirico – Prendono corpo le visioni della notte: “Sulle piazze quadrate le ombre si allungano nel loro enigma matematico: dietro i muri le torri insensate appaiono coperte di piccoli drappi dai


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mille colori e dappertutto è l’infinito e dappertutto è il mistero… Quando la profondità ancora glauca della volta celeste dà la vertigine a colui che immerge lo sguardo; egli trasalisce e si sente attirato dall’abisso come se il cielo fosse sotto di lui”. Giorgio De Chirico. Firenze, 11 agosto 2021 Anna Vincitorio

È IN TRADUZIONE NEGLI STATI UNITI D’AMERICA la silloge di poesie

12 MESI CON LA RAGAZZA di Domenico Defelice A tradurla è la dottoressa scrittrice e poetessa

Aida Pedrina Ecco, di seguito, un brano nell’originale e nella bella traduzione: NON PIÙ FRUSCIO DI FOGLIE... Picchiò con dita scarne. (Il pesco era già morto, alla finestra non si tendeva più ramo né foglia.) Mi rannicchiai dietro la panca oppresso da un terrore di fanciullo. “Anima delicata, per te la vita parole ha d’autunno! Non disperare. Colei che ami un giorno a te verrà con le sue mani di purissima seta a tergere il tuo pianto e miele recherà sulle sue labbra fresche e angeliche polle. Non più fruscio di foglie ascolterai, né sbattere di rami alla finestra; ma un’armonia soave ogni tuo sogno renderà certezza...” Vi riconosco, o voce d’oltre tomba,

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voce amica. Ansie e pene più certo non avrete; questi giorni dei morti a noi soltanto recan lacrime amare... O Marcellina, quanto mi fai soffrire! Che non ti parli al cuore più tua nonna? Fredda pietra s’è fatta? Deh, vieni, vieni, dimmi che m’ami, fammi scordare il grido di civetta che strazia questo gelido novembre.

NO MORE RUSTLING LEAVES It knocked with bony fingers. (The peach tree was already dead: at the window there was neither branch nor leaf). I was crouching behind the bench oppressed with the terror of a child. Delicate soul, for your life has autumnal words! Do not lose hope. The one you love will come to you someday with her hands of purest silk to wipe your tears and honey she will have on her lips fresh and heavenly springs. No more rustling of leaves you will hear, nor lashings of branches at the window; but a soothing harmony will make all your dreams come true.... I recognize your voice from behind the grave, friendly voice. Surely, yearnings and sorrows you no longer have; these days of the dead bring bitter tears only to us living.... Oh Marcellina, how you make me suffer! Is your grandmother no longer speaking to your heart? Did she turn herself into cold stone? Oh come, come, tell me you love me; make me forget the ominious cry of the owl piercing this ice-cold November.


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Recensioni MANUELA MAZZOLA ENZO ANDREOLI E LA SHOCK ART Oceano Edizioni di Bari, Anno 2021, Euro 15,00, pagg. 113. L’artista romano Enzo Andreoli, classe 1967, ha lavorato dapprima come scultore d’intarsi, anche lucidatore con acido ossalico, in seguito è divenuto scultore marmista itinerante tra New York e il Medio Oriente, accumulando notevole bagaglio pratico per poi ritornare nella sua Roma a dedicarsi alla pittura. Il suo credo è la libertà di non sentirsi vincolato né a un prima né a un dopo, nel senso che vive il presente indicativo con tutto sé stesso proponendo un’arte cosiddetta shock per via dell’impatto provocatore. La poetessa saggista, romana anch’ella, Manuela Mazzola ha voluto posare la sua attenzione sulla

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produzione artistica pittorica di Enzo Andreoli, per la riuscita di questo saggio attraversante l’universo mentale (interiore) dello stesso e accostare i suoi testi alle riproduzioni a colori delle pitture ad olio andreoliane. Se nella vita vera Enzo Andreoli ha infranto le regole dell’esistenza banale, quella che accontenta molta gente legata alle tradizioni del passato e benpensante, non poteva non riflettere certe direttive anche soprattutto nel suo modo di fare pittura e così ha ‘abbracciato’ lo stile dai colori prevaricanti che stimolano, appunto, lo stato dell’emozione violenta, scuotente. Al tempo delle avanguardie artistiche del Novecento ci fu il pittore francese Henri Matisse (18691954), antagonista storico del cubismo di Pablo Picasso, fondatore del gruppo dei fauves (belve), ovvero coloro che vollero dipingere in modo trasgressivo con l’uso dei colori allo stato puro, senza mischiarli e senza badare alla tridimensionalità ma al solo linguaggio cromatico esuberante che metteva in secondo piano l’immagine stessa, quindi suscitante impatto, urto visivo. Dal fauvisme alla pittura di Andreoli il passo è stato brevissimo, perché molte sono le corrispondenze circolanti fra i due come, ad esempio, la stesura del colore cosiddetta à plats (anti-tridimensionale), alla Paul Gauguin, evidente di più nella serie andreoliana dell’Urban Art. Il saggio della Mazzola risulta diviso in tre parti a seconda dell’argomentazioni pittoriche di Andreoli: Urban Art, Natural Life e Astratto. Gli scorci urbani ripresi dall’artista anticonformista Enzo Andreoli sono vedute d’angoli di città quali Roma, New York, Venezia, Tel Aviv, comunque immagini forti e statiche al contempo, dai colori ordinatamente stesi per creare energia espressiva e atmosfere irreali all’insegna d’una pacatezza che nel quotidiano non esiste, perché scarseggia nell’animo dell’uomo moderno. «La visione delle metropoli è sempre senza proporzioni, con una prospettiva alternativa; le tinte cromatiche utilizzate, così colorate, così vivide, ricordano che l’essere umano ha ancora a sua disposizione una scelta, che è quella del rispetto del pianeta. Toni allegri, che riportano alla spensieratezza, al gioco e alla leggerezza che ancora si può trovare nel mondo, come nella visione di un bambino, la cui mente è ancora innocente. I labirinti della scaletta richiamano lo stile di Escher.» (Pag. 40). Le facciate delle case, i grattacieli, i


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ponti, i lastricati delle piazze, sono un tripudio di pigmenti ordinatamente stesi su tela, ma l’ordine è all’opposto del conformismo per cui lo shock vero e proprio sta nella violenza delle intensità adoperate. Nella sezione seconda Natural Life c’è il mondo floreale e fruttifero dell’Andreoli, che, seguendo sempre il filo conduttore matissiano, ha proposto fiori di campo, frutta raccolta in vassoio, fiori recisi nel vaso per finire con una coppia di nudi abbracciati in blu la cui sagoma unificante è molto vicina alla rappresentazione del Nudo blu di Henri Matisse, del 1952, quale silhouette piatta dalla tecnica del papiers découpés riguardante l’anatomia femminile con le gambe accovacciate mirata alla semplificazione, all’essenziale, alla purezza della forma, anche grazie al colore blu usato per indicare l’infinito e aprendo così il varco verso l’astrazione, la strada verso l’arte informale che avverrà negli anni Sessanta del Novecento in America. «L’opera vuole esprimere il concetto dell’amore universale fra tutti gli esseri terrestri, diversi tra loro e che, con il loro sentimento positivo di fratellanza, passione e rispetto, possono cambiare il mondo e la strada che è stata presa in passato dai nostri predecessori. Il futuro è nelle nostre mani, possiamo ancora cambiare rotta.» (Pag. 88). L’ultima sezione è dedicata all’Astratto, da premettere che prima delle tre suddivisioni l’autrice Mazzola ha voluto inserire altrettante sue tre poesie annuncianti più o meno le atmosfere trattate pittoricamente da Andreoli. Con l’astrattismo si può comunicare tutto e di più, c’è la massima libertà perché non si è vincolati al soggetto, a un tema specifico e l’astratto messo su tela da Andreoli sa di freschezza palpitante, è quell’intangibile realtà presentata in maniera giovanile, carica d’energia positiva, i colori sembrano possedere una sonorità per comunicarci, ad esempio, che le «[…] Porte (sono) come percorsi, possibilità che si possono presentare e che permettono all’anima, grazie al loro attraversamento, di farla crescere ed evolvere, per raggiungere alla fine l’unione con la propria parte divina. Le porte sono dipinte mediante i toni freddi e caldi della Shock Art.» (Pag. 104). Anche la collaborazione della studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Roma ad indirizzo “Edizioni ed Illustrazione per la Grafica d’Arte”, Carolina Campanelli, curatrice della postfazione critica a chiusura del saggio, ha notevolmente valorizzato la trattazione aprendo ulteriori finestre di collegamenti verso altri artisti importanti del passato, quali lo scrittore docente del Bauhaus pittore russo Wasilij Kandinsky e il pittore e teorico olandese Piet Mondrian. Isabella Michela Affinito

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PASQUALE BALESTRIERE E CARLA BARONI E A TE RISPONDO Benilde Ediziones, Siviglia, 2021 Un assiduo inseguirsi di pensieri, attraverso un dialogo ininterrotto, nel quale cultura e poesia compiutamente si fondono, è ciò che Pasquale Balestriere e Carla Baroni hanno realizzato in questo «libro a quattro mani» intitolato E a te rispondo – Canti quasi amebei, apparso nelle Benilde Ediziones di Siviglia. È questo un libro che riprende la tradizione poetica medioevale della «tenzone di due voci» poetiche che s’inseguono e si rispondono, in un intreccio di versi e di pensieri che trovano in ogni fine di lassa il loro rimando. Così, alla prima lassa, di Pasquale Balestriere, che termina: «È tempo d’acquietarsi nella sera», risponde Carla Baroni con lo stesso verso; e al verso di lei che conclude il suo dire: «che argento non sa piangere alle mani», risponde Balestriere con l’identico verso, dal quale poi si sviluppa e si diffonde il suo canto. Ne risulta un libro raffinato nella sua struttura, che si giova di una vasta esperienza culturale, che può risalire (e sovente risale) al mondo greco e ro-


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mano. Così sin dall’incipit si legge, da parte di Balestriere, «E giaccio qui sul cuore di Penelope», cui Carla Baroni risponde: «Non fui Penelope, non ebbi Proci intorno / ed un Ulisse a me non si abbandona». Ma da quel lontano passato ecco che la mente del poeta fa ritorno al presente, se egli può dire: «La scelta del dialogo a distanza / Ischia – Ferrara che ci tien vicini / non è certo per gioco» e Carla gli risponde: «Azzurro e terso di lietezza speri, / caro amico lontano, il mio futuro / tra i trilli degli uccelli e un nuovo sole. / Ma ben diverse son le nostre vite, / ben diversi gli assiomi a due esistenze, / parallele soltanto nell’età…». S’intrecciano così domande e risposte nelle quali i destini di due vite si rivelano, diversi eppure simili nella loro dedizione all’arte e in cui l’eleganza del dire sempre s’accompagna ad alti pensieri. Un libro veramente di molto pregio questo di Pasquale Balestriere e Carla Baroni, che si giova anche della traduzione di Mercedes Arriaga Fllòrez, Professoressa Ordinaria di Filologia Italiana presso l’Università di Siviglia, compiuta con raffinatezza e con aderenza al testo, che contribuiscono a rendere preziosa la presente pubblicazione, Elio Andriuoli

LORENZO SPURIO PAREIDOLIA Ed. The Writer, 2018 – pagg. 120 Nella raccolta poetica Pareidolia Edizioni The Writer, Lorenzo Spurio ci trasporta in una realtà cruda e dolorosa e ci consegna una visione del mondo circostante dal sorso amaro, proprio come dice Saba “Era questo la vita: un sorso amaro”. Ogni verso, ogni pensiero esprime un’esacerbata desolazione in cui l’uomo smarrito, sopraffatto da passioni e tormentato da compromessi, vive sospeso tra emozioni, perplessità, drammaticità. La raccolta è suddivisa in quattro sezioni: Affossamenti, Ecchimosi, Dedicatio e Pareidolia, in ognuna delle quali il poeta s’interroga sul mondo attuale. La sensazione immediata che si prova nella lettura dei versi è quella di uno scorrere spietato e ineluttabile di una condizione umana, all’apparenza, senza via di scampo. Per la Sezione Affossamenti “In ventuno di nero”: «Il risentimento ormai è dato ai pochi / e ci si annulla in molecole d’acqua / in un Mediterraneo/ conca di morti /acquitrino di angosce/ culla di dolore abissale» i versi di questa poesia, nati in seguito all’esecuzione di ventuno egiziani copti a opera dell’Isis in Libia nel febbraio 2015, hanno toni intensi di drammaticità e di pathos e il riferimento al

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Mediterraneo, conca di morti, colpisce a fondo e tristemente le nostre coscienze indifferenti e assopite, scuotendole. Il poeta Spurio con le sue riflessioni e notazioni, che diventano indagini dettate dall’enigmaticità dei drammi umani, scava alla radice del problema, mette a nudo tematiche scottanti e tragiche, graffia l’anima del lettore, rivelando in tal modo la sua profonda sensibilità, come in “Sacchi neri (Carme lento)”: «Ma quell’acqua che pesa troppo/ è a sigillo di un naufragio atroce/ che d’Agosto si bagna nel Mediterraneo/ non può fingere di non conoscere./ La vostra vita dispersa nelle acque/ dimora in ogni molecola di mare». Invero il tema “Mediterraneo” e delle sue acque è molto sentito dallo Spurio ed è spesso ricorrente. Intensamente emotivi e struggenti sono anche i versi di “Queiq River (L’ acqua rossa di Aleppo)” e de “L’acqua indocile”, sembra che gli spazi abbiano una dimensione incompleta e che il senso del mondo diventi frammento di una realtà fugace e fluente, proprio come l’acqua. L’elemento “acqua” è molto spesso presente nella poesia dello Spurio: l’acqua rappresenta il fluire del tempo e delle cose, è mutevole, ma sempre uguale a se stessa. L’acqua è vita, ma può essere anche morte, distruzione; talvolta l’acqua prende i riflessi della luce e ci abbaglia. Orbene, i versi del poeta attraverso l’immagine simbolica dell’acqua invitano a superare le angustie dei nostri limiti e ad avere una visione più elevata della vita e della nostra esistenza; inoltre, in modo sagace e perspicace mettono in evidenza la crisi irrefrenabile dei valori in atto nella società dandone così testimonianza e analizzando i vari aspetti del tempo in cui viviamo. Nella sezione Ecchimosi i riferimenti agli eventi tragici, di ieri e di oggi, riguardanti la storia dell’umanità ci sorprendono come una sferza pungente e dolorosa. Ad esempio in “Humus negato”: «Quando traduci il verso/ di paure e fronde di sole/ nei riverberi asciutti/ dell’indolenza che cresce/ non chiedere l’evidenza / se la sera non traspare./ Sempre s’ammazza il giorno/ nei balconi che vibrano/sotto trucioli di cielo» vi è la denuncia della guerra in Siria, dei siriani bombardati, di come la vita, seppur fragile sia sempre preziosa. Goethe affermava: «Se non hai mai mangiato con le lacrime agli occhi, non conosci il sapore della vita», analogamente il nostro Poeta mette in evidenza la crisi Siriana e il sacrificio di tante vite umane; una crisi che ha distrutto e stravolto la vita di una generazione, soprattutto bambini (humus negato ossia terreno fertile, produttivo) e ha reso terribilmente immane e difficile lo sforzo di ricostruzione e inestimabile la speranza di una Pace duratura.


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In Dedicatio Spurio fa esplicito riferimento a diversi autori e personaggi da cui attinge intensità e dinamismo intellettuale: pensiamo a Federico García Lorca, ad Antonia Pozzi, a Rosario Livatino. Poi nell’ultima parte di Pareidolia mette a nudo se stesso, s’interroga sul senso della vita, lascia trasparire anelito di giustizia e lealtà; in “Corri e scolorisci la notte” leggiamo: «Dell’anima che si piega e / si siede non vista, ti parlo./ Non chiedere il senso:/ la sera s’è incenerita,/ la stanza vive storie,/ vorticano le onde e/ i petali intirizziti nell’angolo/ stillano gocce di mistero…La lotta si consuma tra l’erba e/ il sospiro che brilla e riparla. Slega il buio all’istante: corri e/ ruba le forme più belle, ad esse congiungi le idee che s’alzano,/ corri: ora sei quello che vuoi». Tuttavia questi versi esprimono efficacemente il bisogno intimo di rialzarsi, prendere in mano la vita, slegare il buio, le tenebre, ciò che è opaco e incerto, lottare, perché la lotta si consuma tra l’erba e il sospiro, una metafora bellissima ed eloquente di come ciò che è umile, semplice (il filo d’erba), insignificante, può avere il potere di cambiare il mondo. È un barlume di luce, che s’intravede in tanta desolazione e che suona come un monito rivolto all’uomo di ogni tempo ad avere fiducia nel futuro ed avere il coraggio di andare avanti, senza mai lasciarsi sopraffare dalla forza bruta dei propri egoismi e degli eventi. Tina Ferreri Tiberio S. Ferdinando di Puglia, 01/07/2021

CLAUDIO VANNUCCINI TIENI LONTANA LA NOTTE Porto Seguro, 2021, Pagg 240, € 15,00 Tieni lontana la notte è un grido nelle nebbie dell’uomo, affinché non si arrenda, perché ritrovi le ragioni dell’essere e riscopra dentro di sé la forza del senso di appartenenza e la dignità di essere umano, così chiude la premessa del suo ultimo lavoro, Claudio Vannuccini. È un romanzo che racconta non solo l’amore tra Mario e Alessandra, ma anche la storia di una violenza sessuale. Dietro agli strani comportamenti della protagonista si nasconde la paura e la perdita di fiducia nel genere umano. L’amore spezzato rompe tutte le certezze e i delicati equilibri di una giovane donna: “Vittima del buio, piange l’iniquità di un tempo che le ha negato i sogni”. Mario è un ragazzo semplice e sincero, bloccato dagli strani discorsi e comportamenti di Alessandra.

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Le collere improvvise, le continue fughe e quei silenzi così pesanti in cui si nasconde l’inferno; tutto quello che non può essere detto s’insinua tra la vittima e il mondo esterno diventando un peso doloroso che lacera chi lo sopporta. Il romanzo è ambientato nei quartieri di Roma, descrivendo le abitudini dell’attuale gioventù romana; è uno spaccato della realtà giovanile, spesso annoiata dalla routine quotidiana che s’incontra dopo la scuola nelle discoteche e nei locali. Anche in questo lavoro si riconosce la cifra stilistica del Vannuccini ossia la dinamicità e la scorrevolezza del testo, dei dialoghi, grazie all’alternanza di capitoli ambientati nel presente e altri nel passato. Tra il passato e il presente, infatti, si dipana la trama che coinvolge il lettore tenendolo con il fiato sospeso fino alla fine, per scoprire l’epilogo della difficile storia d’amore. La sensibilità dello scrittore, anche in questo romanzo, ci conduce in un universo scottante e delicato, ossia la violenza, che sappiamo essere un delitto contro la persona e che ha conseguenze molto gravi sullo stato psico-fisico della vittima: dalla vergogna alla frustrazione fino alla depressione e al suicidio. La donna che la subisce spesso si sente una sopravvissuta poiché non potrà più tornare ad essere quella che era come afferma Alessandra: “I miei sogni invece sono stati spezzati, stracciati e gettati via, cancellati in un momento, in un soffio di vento”. Manuela Mazzola

LICIA GRILLO MULTAS PER GENTES Itinerario poetico di Anna Santoliquido FaLvision Editore, Bari, 2021. In maniera quasi parallela alla mia recente pubblicazione del saggio La ragazza di via Meridionale. Percorsi critici sulla poesia di Anna Santoliquido (Nemapress Edizioni, Roma/Alghero, 2021) giunge felicemente la notizia della pubblicazione di un nuovo saggio sulla fertile attività letteraria della poetessa lucana Anna Santoliquido. Difficile, dopo averlo attentamente letto, non dar seguito con un breve commento d’analisi di questa nuova opera che, assieme agli studi di Francesca Amendola, va ad aggiungersi alla consistente produzione letteraria di matrice critica su Anna Santoluquido. Pochi poeti di questa età a noi contemporanea possono, infatti, contare di un diorama così ampio di attestazioni critiche, di giudizi entusiastici e a loro volta capillari tesi da un desiderio costante di approfondimento di contenuti, ispirazioni ma anche di forme impiegate. Il poter contare su una serie di volumi che affrontano


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il tessuto esistenziale della poetessa e la sua produzione è di per sé un qualcosa di estremamente positivo perché significa che quanto ella produce non solo viene letto, e dunque recepito perché oggetto di interesse, ma è altamente valevole di attenzioni critiche, particolareggiate, che non di rado assumono visioni e progetti assai efficaci e pertinenti nel far risaltare le doti di genialità e grandezza della Nostra. Il recente volume pubblicato è di Licia Grillo e porta il titolo di Multas per gentes. Itinerario poetico di Anna Santoliquido (che richiama il verso incipitario di un triste componimento di Catullo dai contenuti elegiaci, in memoria del fratello, ma che è anche simbolico di un possibile “ritorno”) ed è edito da FaLvision Editore di Bari. Uno studio agevole (poco meno di cinquanta le pagine lo compongono) nel quale vengono riportati per intero alcuni tra i più bei testi poetici della Santoliquido sin da Casa di pietra (opera imprescindibile per avvicinarsi alla sua poetica) sino alle opere più recenti. Licia Grillo le riporta non quale mero compendio esemplificativo di opere selezionate dalla vasta produzione della Poetessa ma perché intende richiamarle nel corso del suo ragionamento critico e, a sua volta, farne oggetto privilegiato di discussione e di ampliamento investigativo. Un breve riferimento nella parte finale del saggio ci ricorda che questo saggio è stato “chiuso”, ovvero completato, a settembre 2014 tuttavia esso viene alla luce solamente ora, dopo circa sette anni da quando venne concepito ed è il prodotto finale di una borsa di studio che la Grillo co-organizzata dall’Università “Aldo Moro” di Bari ha vinto. Dopo la pregevole prefazione del docente universitario Daniele Maria Pegorari nella quale ben vengono evidenziate le tre componenti inscindibili della produzione della nostra (la tradizione meridionalistica, l’azione sociale e l’elemento religioso) il saggio si articola in tre diversi tematici successivi, in sé indipendenti, attorno ai quali Licia Grillo ha inteso argomentare il suo approfondimento della poetica santoliquidiana. Il primo capitolo è dedicato ai rapporti tra poesia e scrittura e qui si passa in rassegna il retroterra nativo e culturale della Nostra che l’ha condotta ad essere quel che oggi è ovvero una donna e una poetessa stimata e riconosciuta, anche a livello internazionale. Con opportuni richiami alla tradizione letteraria di matrice classica e camei anche imprevedibili l’Autrice affronta la questione annosa delle relazioni simbiotiche, eppure difficilmente indagabili, tra vita e letteratura, tra esperienza e scrittura fornendo delle disamine curiose quanto articolate. È il capitolo che parla delle origini della Nostra, di quella Forenza natale, nel Potentino, dove tutto ebbe inizio, a contatto con la vita di campagna, le case di pietra e la condizione disagiata, quando non addirittura vilipesa,

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della classe contadina. Il secondo capitolo, che è quello quantitativamente e tematicamente più ricco, porta il titolo di “Maternità e creazione”. È questo l’ambito dove, da più vicino, si parla dell’impegno della Nostra nei confronti del mondo femminile che l’ha portata nel 1985 a fondare il Movimento Donne e Poesia, importante punto di crescita e di promozione sociale, psicologica, culturale e letteraria. Licia Grillo non manca di riferirsi anche a una trama spirituale della poetica della Santoliquido – già tracciata da Pegorari nella prefazione e individuata da altri critici – in questa sezione del suo scritto che dedica alla questione, indirettamente, due dei sotto-capitoli più incisivi dell’intera opera: “La concezione metafisica della poesia” e “Divinità della scrittura”. L’ultimo capitolo, “La contemporaneità della poesia”, serve un po’ da collante ai tanti elementi forniti e indagati nel corso del saggio, è una scrittura che, adottando un andamento sinottico, riesce a toccare e a fare il punto sulle varie tematiche e idee già fornite. Sembra, dunque, come una sorta di “sintesi” in un processo di tesi e antitesi, di idee e confutazione delle stesse. In effetti il tono della Grillo non è mai perentorio né insindacabile nel parlare dell’opera della Nostra e questo fa sì che altre idee, concezioni, vedute e interpretazioni attorno a quel che via via va approfondendo siano possibili e, anzi, auspicabili. Senza dimenticare che “La poesia avviene solo nel momento in cui diventa possibile attestare una partecipazione totale e un coinvolgimento pieno in grado di permettere la relazione tra i versi e la realtà”. Lorenzo Spurio Jesi, 14/08/2021

FRANCO PATONICO OMAGGIO DI SENIGALLIA A DANTE ALIGHIERI A 700 ANNI DALLA SUA MORTE AMORI TRAGICI E SOFFERTI Edizioni “Il Cantastorie” (autopubblicazione), Senigallia, 2021 Per un amante del dialetto come il sottoscritto ricevere le nuove pubblicazioni del poeta senigalliese Franco Patonico (1944) è qualcosa di particolarmente interessante, riconoscendo nella lingua vernacolare non tanto l’espressione melanconica di una vita passata ormai percepita lontana ma la vera essenza delle proprie radici, dell’anima popolare, della propria appartenenza al territorio. Franco Patonico, che nel corso degli anni ha


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pubblicato vari libri di poesie in dialetto (tra cui ricordiamo le opere Machì so’ nat’ (parla com’ magni) del 2013 e A Senigallia machì so’ nat’ del 2019), oltre a vari racconti, tanto in italiano che in lingua, è forse – nella regione Marche – uno degli esempi più fulgidi di questo amore intestino con la propria lingua vernacolare. Suoi testi poetici sono stati pubblicati in varie antologie tra cui I Poeti dialettali di Senigallia (La Felice, Senigallia, 2011) a cura di Domenico Pergolesi e Convivio in versi. Mappatura democratica della poesia marchigiana (PoetiKanten, Sesto Fiorentino, 2016, II vol.) a cura del sottoscritto. Non solo pubblicazioni, molte delle quali volutamente autoprodotte e da lui curate nei minimi dettagli anche nella preparazione e impaginazione dei rispettivi volumetti, ma anche dicitore, partecipante convinto a recital, incontri poetici e, giustamente, vincitore di vari premi letterari. La sua presenza sulla scena culturale senigalliese negli ultimi decenni è una costante e una sicurezza; la grande capacità di questo poeta nel districarsi col suo dialetto è tale che non solamente ha scritto e pubblicato poesie in dialetto relative alla sua Senigallia dove è nato ed è fortemente radicato, ai suoi usi e costumi, alle sue genti ma sia anche in grado, con esiti molto buoni, di riferirsi al mondo tutto, abbracciando ora l’uno ora l’altro i principali temi della nostra attualità con particolare aderenza alle questioni etico-civili. Per la versatilità dei contenuti e soprattutto per la sua capacità d’ascolto nei confronti dell’ambiente, tanto di Provincia che nazionale (quando non addirittura internazionale) è possibile sostenere la sua condizione di neodialettale, sebbene questa sia una definizione che spesso non mette d’accordo molti critici e studiosi. Sta di fatto che, a ragione, Patonico va collocato in quella linea di purezza della lingua vernacolare, strenuamente promossa e difesa per mezzo di varie iniziative, che nella città di Senigallia è stata a lungo coltivata da rappresentare senz’altro uno dei dialetti più distinti della provincia di Ancona. Una linea di ascendenza che rintraccia progenitori in Nicola Leoni (1897-1983) e che si protrae con esempi chiarificatori quali, ad esempio, Renata Sellani (1922-2018) che fu dirigente scolastico e per molti anni Presidente dell’ANPO.S.DI, l’Associazione Nazionale Poeti e Scrittori Dialettali ed Edda Baioni Iacussi (1931) di Marzocca. Il dialetto che Patonico utilizza, pur traendo origine dal tessuto dell’oralità, vale a dire alle forme effettivamente impiegate nei rapporti dialogici familiari del secolo scorso mostra una meticolosa attenzione per la trascrizione grafica sulla carta, ce

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ne rendiamo conto dai vari segni grafici e dalle lettere particolari impiegate, in campo fonetico, per meglio evidenziare e significare determinati suoni. Questo per dire che per il Nostro il dialetto non è solo una passione molto forte, un interesse particolarmente sentito e coltivato ma anche motivo di studio, approfondimento e ricerca. Ce ne rendiamo ben conto dalle ultime pubblicazioni – sempre autoprodotte, questa volta sotto il “marchio” personale de Il Cantastorie – dove l’autore si fa interprete di opere letterarie dell’alta tradizione italiana, analizzando da vicino contenuti, respirando i relativi contesti, avvicinandosi a personaggi di narrazioni e cicli della classicità ampiamente noti e apprezzati su larga scala. Patonico si fa attento traduttore di opere, o di parti di esse, nel suo dialetto motivato sia da un grande amore verso la letteratura in senso lato che della sua parlata. Sono nella gran parte delle rivisitazioni e adattamenti, com’è ovvio che sia, perché molto spesso risulta difficile predisporsi alla traduzione di un testo d’altri, basato su una lingua, una metrica e anche un andamento ritmico e melodico diverso che per forza di cose impone un adeguamento dei codici linguistici. Se è vero che per qualcuno “tradurre è un po’ tradire il testo”, questo luogo comune sembra non addirsi in nessun modo al caso di Patonico che, invece, oltre ad essere in grado di rispettare adeguatamente il testo di partenza è artefice attento nel rendere anche i doppi sensi, le sfumature, gli elementi direttamente più evocativi, analogici o addirittura umoristici. Sta di fatto che non è tanto il dialetto senigalliese a mostrarsi permeabile, duttile e adatto a questo genere di “operazioni”, ma quello proprio messo in atto da Patonico che, come già asserito, è frutto di uno studio attento tanto sul lessico, la sillabazione, la musicalità e la componente grafico-testuale. Tra i più recenti lavori vanno di certo annoverati Omaggio di Senigallia a Dante Alighieri a 700 anni dalla sua morte nel quale il Poeta propone la versione in dialetto dei Canti I, III, V, XXVI e XXXI dell’Inferno della Divina Commedia nella circostanza dell’anniversario che quest’anno ha visto e vedrà l’organizzazione di eventi atti a celebrare il Genio fiorentino. Nella premessa Patonico subito chiarisce che “Il ritorno alle tradizioni, cioè mantenere vivo il nostro linguaggio, ci riporta all’atmosfera in cui hanno vissuto i nostri nonni. È un po’ come ritornare, per quanto mi riguarda, all’infanzia, a quando in famiglia si parlava solo il dialetto”. A completamento delle cantiche che Patonico ha deciso di “versare” nel suo dialetto sono, in appendice, una


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serie di poesie di argomento dantesco che il poeta ha deciso di inserire quale naturale completamento dell’opera: vi troviamo opere che affrontano il tema dell’eternità e del colloquio col tempo; il raffronto umano con l’alterità spaziale del non-conosciuto rappresentata dalla “selva oscura” e un avvincente omaggio al padre della Vita Nova. L’altro volume, che conta ben centoventinove pagine, porta come titolo Amori tragici e sofferti; in quest’opera Patonico ci accompagna per mano in un interessante e coinvolgente percorso tematico nella letteratura italiana attraverso vicende (tristi) di amori impossibili o negati, sottoposti alle ingerenze del tempo, del potere e minati inesorabilmente da forze traditrici. Il sottotitolo del volumetto ben chiarisce l’intendimento dell’autore: quello di raccogliere, con viva probabilità, alcune tra le storie più passionali e al contempo tormentate che la letteratura (complice anche la cinematografia con i relativi adattamenti) ha tramandato nel corso del tempo. Il volume, infatti, ci parla di Storie di quattro amori tragici dove l’amore prevale sempre sulle vicende umane anche quando il suo epilogo è sofferto e in molti casi va incontro alla morte. Nella premessa al volume Patonico si riferisce ai brani da lui tradotti dalle opere di cui a continuazione parlerò definendole “cantiche”, in effetti sembrano avere le caratteristiche di musicalità e cantabilità dei testi e lo stesso autore diviene, nell’atto della trascrizione su carta in versione dialettale di questi brani, un vero e proprio cantastorie. Le opere delle quali Patonico ha deciso di dedicarsi sono quattro: in apertura è la vicenda di Quo Vadis (68 d.C.) narrata nel romanzo del polacco Henryk Sienkiewicz del 1895, resa ben nota dall’omonimo film. Patonico ha prima operato una sorta di riassunto delle vicende principali dell’opera che poi ha tradotto nel suo dialetto e infine gli ha dato la forma del poemetto che riscontriamo nel volume in ben 308 versi di dodecasillabi a rima alternata. Il secondo poemetto è dedicato alla quinta cantica dell’Inferno (presente nel precedente volume commemorativo per Dante pubblicato quest’anno) interamente dedicata all’amore impossibile e disperato di Paolo e Francesca. Il terzo, alla vicenda tormentata di Giulietta e Romeo, di argomento shakespeariano ma il Nostro parte non tanto dalla versione originale o tradotta in italiana di quest’opera centrale nel teatro mondiale ma da una versione di per sé già tradotta che è quella di Monteci e Capuleti, poemetto del poeta vicentino Zeffirino Agazzi pubblicato a Padova nel 1943. Patonico aveva già raccolto questa

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sua versione in un precedente volumetto, presentato e diffuso alla Biblioteca “Luca Orciari” di Marzocca di Senigallia nel 2016. Seguiamo le varie fasi della storia amorosa dei due giovani appartenenti a famiglie nemiche sino al costruirsi vero e proprio del finale tragico sebbene una pesante aria piombata di fatalismo sia presente e pronosticabile sull’opera sin dagli inizi. Le scene più intense e desolanti sono, forse, quelle che prendono piede immediatamente dopo l’instaurarsi del sonno eterno di Giulietta. Patonico fornisce degli apparati in italiano prima dei testi in dialetto senigalliese che meglio consentono, per coloro che non conoscono bene le rispettive opere, di avvicinarcisi in maniera spigliata e mai accademica e di approfondirne i contenuti. Infine viene proposta la vicenda amorosa di Renzo e Lucia tratta da un’opera narrativa capostipite della letteratura italiana, i Promessi sposi (1827) di Alessandro Manzoni. Qui, con estrema sintesi, Patonico è in grado di produrre un efficace adattamento dell’intero romanzo ottocentesco in centosessantotto dodecasillabi a rima alternata dove incontriamo i Bravi, Renzo, l’avvocato Azzeccagarbugli, Lucia, fra’ Cristoforo, lo spietato don Rodrigo, don Abbondio, la monaca di Monza, Griso, L’Innominato e il cardinale Borromeo, la presenza fosca dei monatti sino alla luce provvidenziale dell’intervento mariano. Anche in questo volume, come il precedente, corredano l’opera alcune poesie aggiuntive tra le quali mi pare rilevante citare due adattamenti in senigalliese di opere leopardiane: la poesia “L’Infinito” e il “Canto notturno di un pastore errante per l’Asia”. L’ampio e suasivo tragitto tematico che Patonico ci fa fare attraverso i suoi adattamenti e rivisitazioni di alcune storie e scene centrali della nostra tradizione letteraria è così ampio e diversificato (si parte sia da poemi che da romanzi) che va a toccare il tema dell’amore – fil rouge portante dell’opera – in numerose sfaccettature, lì dove è osteggiato e reso impraticabile, tormentato e perseguitato dal potere e dalle divisioni, negato e, solo in taluni casi, recuperato, salvato e restaurato. Si tratta anche delle vicende che conducono a morte o disperazione come quella contenuta nella tragedia del Bardo Inglese, di momenti di altissima intensità emotiva e spirituale che, anche leggendole (qui in dialetto) sono capaci di un profondo raccoglimento personale e di una fascinazione intramontabile. Complimenti, dunque, all’autore, per la sua opera di rivitalizzazione e di riproposizione del classico in termini e circostanze non nuove (dacché il dialetto tutt’altro è


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che qualcosa di nuovo) ma che necessiterebbero maggior impulso, conoscenza e diffusione. Esperimenti che avvicinano il Grande, la classicità, il famoso, l’ufficialità della storia e della letteratura, al Piccolo, alla conoscenza di zona, al contesto familiare, all’ambiente circostanziale e ristretto nel quale effettivamente si nasce, si cresce e s’appartiene. Lorenzo Spurio Jesi, 14/08/2021

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE GIACOMO È NATO! AUGURI! AUGURI! – La nostra amica collaboratrice Aurora De Luca, poetessa e scrittrice, è al settimo cielo: è diventata madre! È nato Giacomo, il tre luglio 2021, meravigliosamente “sconvolgendo – come lei stessa ci scrive – ogni piano e creando una nuova vita, dall’oggi al domani”, suscitando “emozioni nuove e fortissime”. Alla cara amica Aurora, al papà, ai genitori di entrambi, gli Auguri della Direzione e della Redazione del nostro mensile. Lei, inoltre, è divenuta zia quasi in contemporanea, come due volte nonni i suoi genitori, perché, il 17 di giugno, la sorella Verdiana aveva già dato alla luce la splendida Maya! “Siamo ancora tutti frastornati” confessa Aurora - per il “grande stupore delle due nascite a così breve distanza tra

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loro”. Ogni nuova vita è un dono di Dio, procura gioie immense e profonde emozioni, tali da sconvolgere l’esistenza. Pomezia-Notizie ha sempre dato risalto a simili avvenimenti ed è perciò che sono indescrivibili la nostra commozione e la nostra esultanza. *** A DEFELICE IL PREMIO de LIBERO 2021 – Siamo lieti di annunciare che la breve silloge FEDE VIOLENZA E PANDEMIA del nostro direttore Domenico Defelice ha vinto il Premio Nazionale di Poesia de Libero Città di Fondi 2021. La premiazione si terrà sabato 30 ottobre, a Fondi, alle ore 18 e la pubblicazione del libro avverrà entro la prossima edizione dello stesso Premio. Un grazie agli organizzatori e alla Giuria per l’inaspettata scelta. *** “LO SGUARDO del POETA, un gioco tra poesia e immagini”. Mostra fotografica Saletta dell’Arte Galata Museo del Mare, a Genova, dal 10 al 26 settembre 2021 L’Inaugurazione è avvenuta il 9 settembre ore 17 ad ingresso libero fino ad esaurimento posti (ingressi contingentanti nel rispetto delle misure anti Covid19). Sono intervenuti: Nicoletta Viziano - Presidente Istituzione Mu.Ma Musei del Mare e delle Migrazioni -, Maurizio Daccà, Vice Presidente Promotori Musei del Mare; Maria Paola Morando, Presidente Unitre - Bogliasco - Golfo Paradiso; Maria Novaro, Presidente Fondazione Mario Novaro onlus. Presente la Prof.ssa Bianca Montale e proiezione del video “Lo sguardo del Poeta”, realizzato dalla Fondazione Mario Novaro onlus. Evento collaterale: martedì 21 settembre 2021, alle ore 17, nell’Auditorium del Galata Museo del Mare: “Montale. Genova, Le Cinque Terre e i poeti”, conferenza del Prof. Francesco De Nicola, già docente di Letteratura Italiana e Contemporanea presso l’Ateneo genovese, docente presso l’università di Granada e Presidente del Comitato di Genova della Società Dante Alighieri. Al termine, proiezione del video “Lo sguardo del Poeta”, realizzato dalla Fondazione Mario


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Novaro onlus. “È possibile raccontare con una immagine l’emozione di un verso poetico? È quanto abbiamo sperimentato leggendo i versi di Eugenio Montale, cercando di interpretare con le nostre foto il suo sguardo sulla Liguria e sul suo mare.” Queste le parole di Anna Maria Guglielmino, ideatrice del progetto Lo sguardo del Poeta, realizzato con il Gruppo Fotografe Unitre Bogliasco che dirige da alcuni anni. Quest’anno, ricorrendo il 125 dalla nascita e il quarto decennio dalla scomparsa di Montale, il gruppo delle quattordici allieve ha riletto le sue poesie e alcune di queste hanno suggerito l’accostamento dei versi del poeta alle loro fotografie, dando così vita ad un percorso visivo che intreccia immagini e versi. Le quattordici fotografe sono: Anna Maria Guglielmino, Franca Acerenza, Teresa Calamia, Tina Castrignanò, Daria Dellepiane, Gabriella Golteni, Adriana Iotti, Paola Mansuino, Frida Marchi, Annamaria Nicosia, Laura Percivale, Franca Rossi, Titta Simi, Anna Maria Sorarù. L’esposizione è stata allestita al I° piano del Galata Museo nella Saletta dell’Arte, spazio espositivo curato dall’Associazione Promotori Musei del Mare. Le foto, di grande formato, sono state disposte in ordine cronologico secondo l’anno di pubblicazione delle Raccolte da cui i versi sono tratti. Otre a quello introduttivo, sono stati esposti i pannelli che riportano: un commento a firma di Mariapaola Morando, Presidente dell’Associazione Unitre-Bogliasco-Golfo Paradiso; la riproduzione del manoscritto di “Meriggiare pallido e assorto”. La Fondazione Mario Novaro, da molti anni impegnata a valorizzare e diffondere la cultura ligure del Novecento, ha realizzato un video pubblicato sul proprio canale You Tube e proiettato il giorno dell’inaugurazione della mostra e prima della conferenza del Prof. De Nicola. *** Les Madeleines D‘Autan - La Francia meridionale, i castelli, la natura assolata e ventilata dal soffio della montagna; un ambiente, un paesaggio, dove si inseriscono La mostra

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Terra fiorita di T.Zarpellon , i Cuchi di Nove (in terra che suona) e il momento coreutico teatrale -Les Madelaines d’Autan -, ispirato al luogo nell’ambito delle eredità culturali nell‘ambito delle passeggiate patrimoniali promosse dal Consiglio d‘Europa. “Cultural heritage provides communities with tangible and intangible experiences that favor the perception of common past and traditions, creating connections between citizens and places and between citizens and the community of which they are part, favoring a focus on local dimensions, enhancing resources and natural, environmental, cultural and social heritage, improving the quality of life. They offer opportunities for discussion and debate on issues affecting the entire community, as well as to expand their social network, impacting the ties within and with the community through their physical and social characteristics and through the social and cultural environment that they host as part of “The Faro Convention Implementation” 2021. Siamo andati a Saissac, sulla montagna nera, portandoci appresso dipinti e piccole sculture d’argilla (dalle mostre -terra fiorita e terra


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che suona) i cuchi dei Cucari Veneti e i disegni di Toni Zarpellon ,provenienti da Nove Terra della Ceramica; nel segreto intento di scoprire con gli amici del luogo, (attori di strada, provenienti da lontane regioni ora abitanti a Saissac con cui nel tempo abbiamo condiviso un teatro della memoria di guerre passate-Wohin-di savane incontaminate l’elefante e la fanciulla-), la storia di questo paese abitato dai Catari prima che le persecuzioni del 1300 li allontanassero disperdendoli; ricostruendo perlomeno ai nostri occhi quanto di meglio caratterizzava la regione della Linguadoca: l’accoglienza, la tolleranza

Inter-religiosa, l’importanza della donna nella tradizione delle Maddalene. Ecco allora le Maddalene d’Autan, la dolce presenza delle tradizioni madrifocali nella rappresentazione tra gli orti e le vie del castello di Saissac, all’aperto, animata dal vento d’Autan che sempre rinnova il cielo delle foreste, dei campi dalla montagna nera, lungo la catena dei Pirenei verso il mare delle Baleari vicino, verso l’Africa non più lontana (il mondo femminile delle benedettine, delle comunità matriarcali, della savana a cui dedichiamo il nostro incontro ispirato musicalmente al blues dell’anima e dei deserti.

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Testo “Une très noble dame de. Maraclée était aimée d'un templier, un seigneur roi de Sidon..., mais elle mourut « très jeune, et la nuit où elle fut enterrée, l'amant pervers entra dans le tombeau, exhuma’«le cadavre et le viola‘». Puis une voix est sortie de nulle part qui lui a ordonné de revenir après neuf mois car il trouverait un fils... Le chevalier obéit à l'injonction Baphomet, Abufihamet, Bufihimat! (Refrain) A l'heure dite, s‘ouvre de nouveau le tombeau et on trouve une tête sur les os des jambes du squelette… «Gardez-le avec soin, car elle sera ‘le donneur de tout bien!" Alors il l'a emporté avec lui. La tête est devenue son génie protecteur et il pouvait vaincre ses ennemis simplement en la portant. En temps voulu, le chef est entré en possession de l'Ordre des Templiers. (Inquisition) "Dans chaque province du Languedoc il y a des idoles, c'est-à-dire des têtes (une fille apparaît avec son visage de clown) Ils adorent de telles idoles, (adoration de la tête) Ils prétendent que la tête aurait pu les sauver Qu'elle peut produire de la richesse Qui fait fleurir les arbres Ce qui fait germer la terre…. (ou le saint graal (caché entre Carcassonne, Rennes le chateaux et d'autres lieux...) Les Madeleines avaient guéri la tête sans corps dans l'humble chapelle, cachée parmi les résurgences, dans l'abondance d'eau propre, avec laquelle arroser les champs et étancher la soif des hommes et des bêtes. Dès lors, les talibans sont venus conquérir les saintes prostituées Mais la tête dans l'humble chapelle votive les terrifiait comme une méduse, les rejetant” Manifestazione ed incontro di Arti della Rappresentazione & Dromocosmica teatro.


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Articolo redatto da Leonardo Bordin Attori Jolanda Bertozzo, Leonardo e Gregorio Bordin, Byron Scouris e Camilla Bombardini; Regia Giorgio Bordin, 2021 *** IL SISTEMA – Alessandro Sallusti intervista Luca Palamara (Edizioni Rizzoli – 26 gennaio 2021 - Copertina rigida – 18,05 Euro) - Nell'ambito dell'Aperitivo con l'autore, manifestazione tenutasi ad Asiago per l'estate 2021, la quale ha visto la partecipazione di vari autori fra cui cito Carlo Cottarelli, Ferruccio De Bortoli, Tony Capuozzo, Oscar Farinetti (fondatore di Unieuro e di Eataly), il 26 agosto ho assistito alla presentazione da parte di Alessandro Sallusti del libro “Sistema”. Sallusti esordisce dicendo che tale libro riporta fatti sconcertanti e inquietanti, tutti verificati dalla casa editrice per la loro veridicità prima della pubblicazione. Tale libro risulta un documento che farà storia per il contenuto scottante come il precedente libro “La casta” di Stella e Rizzo. La democrazia si regge su tre pilastri: 1) l'informazione; 2) la politica; 3) la giustizia. Se questi pilastri vengono indeboliti la democrazia ne soffre. I giudici tengono dossier riservati per diversi politici. Per creare tali dossier vengono utilizzati dei programmi trojan nei cellulari. Tale trojan fu disattivato sul cellulare del politico sotto controllo perché doveva incontrare Pignatone, il quale, essendo importante, non doveva essere coinvolto nelle intercettazioni. Se serve tali dossier vengono tirati fuori per screditare il politico di turno, che viene così sottoposto ad una gogna mediatica/ giudiziaria salvo poi essere assolto dopo 6/7 anni di giudizio. Ma intanto hanno perso le elezioni successive, rimanendo così fuori dal gioco politico. La magistratura si è comportata in tal modo sia con Berlusconi che con Renzi. Per Fini il dossier non fu tirato fuori dal giudice. Tale Giudice fu poi premiato con un incarico di sottosegretario nel Governo Monti. Anche sullo stesso Palamara vi era un dossier

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riservato che asseriva che questi aveva dormito in albergo con una donna che non era sua moglie. Per i giornalisti vale la stessa cosa: si fanno figli e figliastri. Lo stesso Sallusti fu perseguitato con una condanna, mentre altri giornalisti, nonostante le varie denunce, la fanno franca! Le nomine dei giudici non sono trasparenti e quindi operano sotto ricatto di quelli che li hanno nominati. Giuseppe Giorgioli *** PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA DANILO MASINI - Sabato 25 settembre 2021, alle ore 17, presso il Circolo Stanze Ulivieri di Montevarchi, l’Accademia Collegio de’ Nobili di Firenze, con patrocinio del Comune di Montevarchi, ha presentato l’Antologia della 13a Edizione del Premio Internazionale di Poesia “Danilo Masini”, fondato da Marcello Falletti di Villafalletto. Dopo la cerimonia di premiazione, con un grande concorso di pubblico assai qualificato e di diverse Autorità, è seguito un Recital pianistico con il pianista Leonardo Macerini. ***


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PREMIO SCRIPTURA - Egregi Autori, gentili Autrici, per l'edizione 2022, sono diventate 21 le sezioni aperte alla partecipazione gratuita. Il Premio vanta la collaborazione di diversi enti e associazioni del territorio nolano e vesuviano e mira a valorizzare la creatività artistica che si esprime nelle sue svariate declinazioni: dalla poesia alla prosa, dalla fotografia alla musica. Le ventuno sezioni del premio sono rivolte, su scala internazionale, ad adulti, a giovani e studenti di scuola secondaria di primo e secondo grado. Il concorso, inoltre, prevede la realizzazione di una Antologia che raccoglie, oltre ai lavori dei vincitori delle varie sezioni del premio, tutte le opere particolarmente meritevoli; la pubblicazione premio, in cinquanta copie, delle sillogi vincitrici di poesie e narrativa. In collaborazione con il Progetto Opera Indomita Scriptura, a cura dello scrittore Pietro Damiano, sarà realizzata una ulteriore Antologia, a partecipazione gratuita, i cui proventi saranno devoluti a sostegno del popolo afghano. Grata per l'attenzione che vorrete dedicarmi. Cordiali saluti Anna Bruno Chiedere regolamento completo e scheda di partecipazione. Anna Bruno, cell. 3388021032; e-mail: premioscriptura@gmail.com

LIBRI RICEVUTI ANTONIO CRECCHIA – Pasquale Martiniello Atto Secondo – Nota dell’Editore Daniela Marra; in copertina, a colori, foto di Martiniello – Ediemme Cronache Italiane, 2021, pagg. 216, € 18,00. Antonio CRECCHIA è nato a Taverna (CB) e risiede a Termoli. Sue poesie sono inserite in numerose antologie di prestigio nazionale e pubblicate in diverse riviste letterarie. Ha ancora molte opere inedite - saggi critici e poesie - e gli sono

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stati assegnati oltre cento premi e riconoscimenti. Socio di varie Accademie, traduttore dal francese - Au coeur de la vie (2000), di Paul Courget; Fragments (2002), di Paul Courget; Diadème (2003), di Paul Courget; Jardins suspendus (2005), di Andrée Marik; Le poémein (2005), di Jean-René Bourlet; MerOcéan (2006), di Andrée Marik; Sur la plage de l’océan (2008), di Yann Jaffeux -, ha avuto incontri con alunni di vari istituti e con docenti di materie letterarie che hanno preso in esame vari componimenti della sua produzione poetica, esercitando un’accurata e puntuale analisi testuale. Opere a lui dedicate: Il Walhalla di un poeta (2010), di Lycia Santos do Castilla; La maturità poetica di Antonio Crecchia nella rassegna critica di AA. VV. (2015); La sensibilità poetica e critica di A. Crecchia (2017), di Vincenzo Vallone; A. Crecchia: L’uomo, il poeta, il saggista (2017), di Brandisio Andolfi; Crecchia nel giudizio della critica (Vol. I, 2017), di AA. VV.; Crecchia all’esame della critica (Vol. I, 2017), di AA. VV. eccetera. Lungo l’elenco delle sue pubblicazioni. Poesia: Il mio cammino (1989), Soave e gentile mia terra (1992), Parole per colmare silenzi (1993), Tarassaco di nuova primavera (1994), Ascesa a Monte Mauro (1995), Lirico autunno (1998), Lo spazio del cuore (1999), Oltre lo spazio della vita (2003), Frammenti (2004), All’ ombra del salice (2004), Ossezia e oltre (2005), In morte del Papa Magno (2005), Fiori d’argilla (2006), I giorni della canicola (2008), Nuovi frammenti (2008), I giorni della fioritura (2008), Un po’ per celia, un po’ per arte (2009), Notte di Natale (2009), Luci sul mio cammino (2009), Aliti di primavera (2010), Nei risvolti del tempo (2012), Pensieri al vento (2016), Poesie occasionali (2016), Canti di primavera (2016), Florilegio poetico (2017), Foschie (2017), Barlumi (2017), Costellazione di versi (2019). Saggistica: Dentro la poetica di Rosalba Masone Beltrame (1992, sec. ed. 1993), La dimensione estetica di Brandisio Andolfi tra poesia e critica (1994), Orazio Tanelli (1995), Silvano Demarchi: Un poeta di spessore europeo (2002), La folle ispirazione Coscienza etica e fondamenti estetici nelle


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opere di Vincenzo Rossi (2006), L’evoluzione poetica, spirituale e artistica di Pasquale Martiniello (2007), Pasquale Martiniello: Poeta ribelle ad ogni giogo (2008), Carmine Manzi: Esemplarità e fertilità di una vita dedicata alla cultura (2009), La militanza letteraria di Silvano Demarchi dall’esordio ad oggi (2011), Vincenzo Vallone: Valori e ideali, realtà e fantasia (2013), Il mondo poetico di Rita Notte - un’artista della parola (2013), Brandisio Andolfi (2014), Vincenzo Rossi: Un talento creativo al servizio della cultura (2014), Carlo Onorato: La missione sociale educativa di uno scrittore molisano (2014), Lycia Santos do Castilla: La grande matriarca dell’arte espressiva (2016), Itinerario scientifico-letterario di Corrado Gizzi (2017). Ricerca storica: Taverna, ottobre 1943 (1990), Taverna - Dalle origini alla Grande Guerra (2006), Tavernesi nella Grande Guerra (2016). Teatro: Eccidio in casa Drusco (2008), Ius primae noctis (2008), Mythos il fascino del mito antico (2017), Natale in versi (2018). Prosa: Aforismi (vol. I, 2019). ** NATIONAL GEOGRAPHIC – Sicilia. Palermo, le Egadi e le meraviglie della costa occidentale – Testi di William Dello Russo; all’interno, a colori, 108 foto a colori, alcune su due pagine – Centaura, Edizioni White Star, luglio 2021, pagg. 96. ** WILMA MINOTTI CERINI – SARA RUSSELL – ROBERTO SALBITANI – Epistolari e memorie con Irwin Peter Russell – Volume a più voci, di straordinario valore documentario. Si compone di una Introduzione e poi: Nascita di un’amicizia: dal lei al tu; Appunti di vita con mio padre di Sara Russell; Peter Russell e le vie dei canti poetici di Roberto Salbitani; All’interno dell’epistolario sono presenti le seguenti opere di Wilma Minotti Cerini: Il traghettante, racconto; Il vino di Khayyam, poesia; Tropico del cancro, poesia; In memoria di Peter Russell, poesia. In copertina, Peter Russell al Lido di Venezia, fotografia di Roberto Salbitani; nelle due bandelle, a

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colori, due opere pittoriche di Thetis Blacker; all’interno, in bianco e nero più di 40 foto, oltre alla riproduzione fotostatica di intere lettere di Peter Russell – Venilia Editrice, agosto 2021, pagg. 180, € 18. “Il libro mi pare ben riuscito – scrive Wilma Minotti Cerini nella sua lettera d’accompagno del 14 settembre 2021 -, inquadrare le 4 pagine di una lettera di Russell non era facile. Lì c’è il mio rapporto delle idee con lui. E pure la storia di Sara ha il suo significato di un passaggio di benessere alla perdita del tutto per la rivoluzione komeinista./ Peter aveva il coraggio di sapere ricominciare si metteva in gioco, o facendo lezioni di inglese, o andando a Firenze due volte la settimana per guadagnare la vita, come lui descrive./È questa forza inarrestabile che mi ha sempre stupito, aveva un grandissimo coraggio”… Wilma MINOTTI CERINI è nata a Milano nel 1940. Attualmente vive a Pallanza (VB). Ha all’attivo diverse pubblicazioni. Per la poesia: La luce del domani; Alla Ricerca di Shanti (1993); La strada del ritorno (1996), L’alba di un nuovo giorno (2020). In campo saggistico: Caro Gozzano (1997); Una questione di dosaggio (1998); Peter Russell Vita e Poesia (2021). Nella narrativa: Rajana (romanzo, 1998); I figli dell’illusione (racconto filosofico, 19981 e 20182); Ci vediamo al Jamaica (romanzo, 2010); Le verità nascoste (2021). L’Autrice è presente nella Storia della Letteratura Italiana, nel Dizionario Autori - Poeti scelti a livello Europeo -, in varie riviste letterarie e nel sistema www.Literary.it. È Senatrice dei Micenei.

TRA LE RIVISTE MAIL ART SERVICE – Periodico dell’Archivio di Mail Art e letteratura “L. Pirandello” di Sacile, diretto da Andrea Bonanno – via Friuli 10 – 33077 Sacile (PN) – e-mail: postmaster@andreabonanno.it - Riceviamo il n. 115, settembre 2021, dal quale segnaliamo: “La pittura di Andrea Bonanno come rivelazione della condizione del degrado


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dell’uomo di oggi”, di Sandro Bongiani; “Domenico Antonio Tripodi breve profilo artistico”, di Tito Cauchi; una poesia e nota biografica di Vincenzo Gasparro e poi tanto altro e rubriche e foto. * FLORILÈGE – Rivista trimestrale di creazione letteraria e artistica, diretta da Stéphen Blanchard - 19 allée du Mâconnais, 21000 Dijon, Francia. E-mail: aeropageblanchard@gmail.com - Riceviamo il n. 184, settembre 2021, con in prima e in quarta di copertina, oltre che all’interno, delle belle immagini di opere dell’artista Remy Demestre; sessanta pagine tutte da sfogliare e da leggere, specialmente di poesia. * L’ERACLIANO – mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili – fondata nel 1623 -, diretto da Marcello Falletti di Villafalletto – Casella Postale 39 – 50018 Scandicci (Firenze); e-mail: accademia_de_nobili@libero.it – Riceviamo il n. 282/284, luglio-settembre 2021. In apertura, il bell’articolo di Marcello Falletti di Villafalletto: “Per non dimenticare”, sulla nascita dell’Accademia; seguono rubriche varie documentate da belle foto a colori. Tre le firme, segnaliamo quella di Manuela Mazzola, anche nostra valente collaboratrice.

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 13/9/2021 Le scuole hanno riaperto, ma, come i trasporti, son tali e quali all’inizio della pandemia e nell’inverno che incrudelirà fra poco il rinnovo dell’aria nelle aule avverrà solo attraverso porte e finestre aperte. Alleluia! Alleluia! Mesi e anni sprecati senza far nulla e quando, con gli allievi a casa, si potevano e si dovevano eseguire lavori e cambiamenti. Ma non è mancata la nostra più grande virtù, lo spreco del denaro: milioni e miliardi tra monopattini e banchi a rotelle. Domenico Defelice

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MENSCH (?) What is man that he should think of him? Giobbe Chi sei tu, chissà O che cosa siano le querce E la rosa, la gemma o la stella O il ruscello di montagna O lo scarafaggio? Perché essi siano Sulla terra o su nell’aria, Ebbene, caro mio se anche tu sapessi Che cosa, onnisciente, faresti allora? Conoscendo tutto vicino e lontano Sarebbe arduo fare qualcosa Con un minimo granello di significato Forse è meglio rimanere come siamo! Il resto tutto dolore, tutto aceto. Lascia che lo scaltro impari i trucchi Io mi dibatto, ma campo con speranza… Peter Russell Pratomagno, aprile 1998. Traduzione di Peter George Russell Da: Epistolari e memorie con Irwin Peter Russell, di Wilma Minotti Cerini, Sara Russell, Roberto Salbitani, Venilia Editrice, 2021.

Ripercorrere quei sentieri Nei quali trovarono ristoro, Dove i boschi decaddero E l’anima respira ancora L’orma metafisica Non è vano pensare, Dove risorge la traccia del tempo, anime che seguono perché irrisolti, certezze vaghe E il pensiero filosofico Che ci mantiene vicini Ci consola appena Il mondo s’annulla Nella concretezza di una solitudine Che si fa palese, e ci appartiene Noi stringiamo tra le mani


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Solo: quell’affidatici Wilma Minotti Cerini Da: Epistolari e memorie con Irwin Peter Russell, di Wilma Minotti Cerini, Sara Russell, Roberto Salbitani, Venilia Editrice, 2021.

CANZONE DELLA MORTE Pratomagno 27th December 1999 I have shot my arrows at the sun I have joined the earth to sky.

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Death’s but a prelude to the dawn. Gently I’ll sing, till soon I die, Fragile ephemeral pawn To time the eternal King Indovino il mio strale contro il sole Ho congiunto la terra al cielo. Trapasso senza preludio all’albeggio. Soavemente cantando, sino al prossimo spirare, Fragile effimero pegno Verso il tempo dell’eterno Re Peter Russell Da: Epistolari e memorie con Irwin Peter Russell, di Wilma Minotti Cerini, Sara Russell, Roberto Salbitani, Venilia Editrice, 2021.

IN MEMORIA DI PETER RUSSELL Ho attesa l’ora del rimpianto come si attende una colomba, nel cielo, trasmigrante. Non ho guardato giorni, non ho contato minuti,


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ma tra nebbie orbate ho contemplato la catena spezzata, con quella malinconia che segue l’ora crepuscolare, quando la luce interiore si contrae e lascia spazio al lamento dell’anima. Compenetrata dallo smarrimento mi sono abbandonata all’abbandono. Emersa nella notte, la tua voce cadenzata e gentile anima giovane in corpo macerato, sei alfine giunto all’improvviso tra un frusciar di carte sparse: le nostre idee a raffronto, i tuoi pensieri su lembi di carta, le tue buste ricomposte che facevano sorridere. Noi siamo ciò che siamo, noi siamo ciò che vogliamo, noi fummo della mente: amici, e guardavano cose create con la purezza e lo stupore dell’infanzia, per ritrovare il loro Creatore e cercavamo il “nostro Universale abbraccio” quell’oltre il padre, quell’oltre la madre quell’oltre tutto. Ora deposte le armi della vita ripiegata l’ironia, mi piace pensarti in quella Pace dove risuonano tra armonie di sfere eccelse, anche le pale di un antico mulino, col vento che stormisce il sentiero della selva tra leggiadre spire, dove il pettirosso torna alla tua finestra, alle tue briciole. Wilma Da: Epistolari e memorie con Irwin Peter Russell, di Wilma Minotti Cerini, Sara Russell, Roberto Salbitani, Venilia Editrice,

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2021. Foto di pag. 39: Peter Russell con il figlio Peter George tra la natura di Pian di Sco’, in Toscana. AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 15/9/2021 I sindacati, che dovrebbero difendere i lavoratori anche dalla pandemia, sono contrari al Green pass che, anche se per via surrettizia, dovrebbe costringerli a vaccinarsi. Alleluia! Alleluia! Vero: il Governo non ha il coraggio di stabilire per legge l’obbligo della vaccinazione, ma è certo che oggi molti Enti e Organizzazioni è come se non ci fossero, non assolvendo in assoluto i loro compiti: i Sindacati; l’ONU (l’ha sentito qualcuno da alcuni decenni a questa parte?). Domenico Defelice

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