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Verso lontani orizzonti, di Fabio Dainotti, pag
by Domenico
MARINA CARACCIOLO
VERSO LONTANI ORIZZONTI
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di Fabio Dainotti
L’ultima fatica letteraria di Marina Caracciolo, Verso lontani orizzonti. L’itinerario lirico di Imperia Tognacci. Bastogi, Roma, 2020, pagg. 80, euro 10 è in libreria. L’autrice non è nuova a questo genere di lavori. Ha infatti licenziato alle stampe nel corso del tempo numerosi e importanti studi su vari autori. Citiamo soltanto Gianni Rescigno. Dall’essere all’infinito, uscito nel 2001 per i tipi di Genesi Editrice. Bastogi ha poi pubblicato una monografia critica su Ines Betta Montanelli. Gli interessi della Caracciolo sono ampi e spaziano dalla letteratura alla musica. Ha collaborato tra l’altro con la UTET per la realizzazione di Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei musicisti e di altre vaste pubblicazioni storico-musicali. Per le altre opere dello sterminato catalogo rimandiamo alle biografie e ai siti a ciò deputati.
Il titolo Verso lontani orizzonti è già ricco di informazioni, perché spesso in queste illuminanti pagine si parla di viaggio.
Nell’Introduzione Marina Caracciolo ci fornisce la chiave per entrare nella sua officina metodologica, parlando tra l’altro di parolechiave. Sottolinea poi nel percorso di Imperia Tognacci la volontà di accedere ai segreti dell’Essere. “Passa così - scrive la Caracciolo - sopra gran parte di questi versi, un senso di avventura inquieta e misteriosa, che li sfiora come un volo radente”. L’autrice cita poi Francesco D’Episcopo, che nella sua monografia dedicata alla poetessa parla di una “cifra dominante e inconfondibile”. Sulla Tognacci hanno scritto molti critici. Ne citiamo alcuni, tra gli studiosi non altrove citati: Barberi Squarotti, Domenico Cara, Marco Delpino, Italo e Lorenza Rocco, Tito Cauchi, Domenico Defelice, Gabriella Frenna, Antonia Izzi Rufo, Giuliano Ladolfi, Giuseppe Laterza, Giuseppina Luongo Bartolini, Carmine Manzi, Nicla Morletti, Nazario Pardini, Roberto Pazzi, Luigi Pumpo, Orazio Tanelli, Anna Ventura.
Nel primo capitolo l’autrice dà conto del poemetto di Tognacci, attiva anche nel campo narrativo e saggistico, intitolato Traiettoria di uno stelo, che tiene dietro a una silloge giovanile “destinata più che altro a una circolazione privata”. I temi sono già tutti presenti in nuce: paesaggi, memorie, la fede. E “prende avvio il senso itinerante, una sorta di Sehnsucht”. Un viaggio nella memoria alla ricerca di cose perdute, come “le spensierate estati di fanciulla”. “E attraverso questo sguardo amoroso, scrive Marina Caracciolo, si rimette in moto la giostra del tempo; un mondo agreste risorgente nel riverbero del sole, che sotto un cappellino di paglia filtra tra le ciglia”. Un canto dell’esule che “prende figura nella corriera che avanza nello scenario che muta”. Marina Caracciolo nota a tal proposito la dolcezza elegiaca dei versi e cita Francesco Fiumara che nella prefazione parla di “scie luminose nello specchio dell’anima”.
Ne La notte di Getsemani, si descrive l’attesa della morte del Cristo, che chiede che l’amaro calice gli sia allontanato, dilazionato, che gli si conceda ancora un po’ di tempo. Al silenzio del Padre celeste fa da contrappunto la partecipe sofferenza di una natura romanticamente animata: gli ulivi, il prato, l’alba, il vento, gli
uccelli che mormorano nella loro lingua incomprensibile - ma che Pascoli, conterraneo della poetessa, cercò di rendere in modo mirabile - verità che agli umani non è dato afferrare. In esergo Imperia Tognacci ha citato dei versi di David Maria Turoldo, quasi a voler indicare, nel catalogo delle sue ascendenze letterarie, un poeta religioso, un “faro luminoso”. La Caracciolo diventa, con il suo modo di esporre accattivante e poetico, una poetessa al quadrato, qualcuno che parte dal testo per darne non solo una sua lettura mirabilmente centrata sul testo medesimo, ma una sua rifazione originale, se ci si passa l’espressione; gareggia, in certo qual modo, col testo stesso, ma senza mai rischiare il misreading.
L’autrice si sofferma poi sul volume di versi Natale a Zollara. Zollara è il paese dove la poetessa, nativa di San Mauro Pascoli, trascorreva le estati e che qui non è più lo sfondo delle liriche ma la fa da “protagonista”. Imperia al minuscolo borgo dedica versi toccanti, trascelti sapientemente dalla critica e riportati a guisa di epigrafe sotto il titolo del terzo capitolo. E ritorna sul “vagare perenne che sembra creato da un vento misterioso”; sui riti e le consuetudini indimenticabili della giovinezza. Più vicini e in primo piano (quindi un procedimento per sineddoche, si direbbe), i volti delle persone care, i loro gesti che “stagliati sulla grande tela del tempo, acquistano sapore di leggenda”. L’autrice del volume riporta poi la posizione critica di Pasquale Matrone che, scrivendo la prefazione di Natale a Zollara, parla di “diario d’anima”. Un libro, scrive la Caracciolo, “con uno sguardo intento a sostare nelle vallate del cuore”. Una poesia che, come già aveva notato Bárberi, diventa sempre più “suasiva”. Il capitolo si chiude con un’osservazione interessante: la nebbia che nelle liriche avvolge il paesaggio fa pensare alla siepe leopardiana. Del resto anche l’amato Pascoli, se la memoria non mi inganna, aveva scritto una composizione dedicata alla nebbia.
Nel capitolo IV si rende conto dell’attività saggistica di Imperia, che aveva scritto un saggio sul grande poeta romagnolo, a cui poi ella dedica addirittura una raccolta, Odissea pascoliana, con prefazione di Giuseppe Anziano. (Lo stesso Pascoli, del resto, aveva scritto un poemetto dedicato ad Odisseo). “È come se fosse visto dall’alto di un monte o di fronte a una distesa marina, e là, in uno sguardo che tenta di scrutare nei segreti dell’Essere, il tono diviene grave come nel coro di un’antica tragedia”, scrive l’autrice della monografia. Particolarmente bella la sezione Zvanì. Canti per la tessitrice, a parere di Marina, che osserva come la sezione arricchisca il brano originale pascoliano (La tessitrice), “allargandolo in ampi cerchi che si dipartono dal nucleo”. Il poeta, “con uno sguardo profondo che contiene in sé i colori delle pianure, rivive l’amore… alla luce degli occhi di cielo della fanciulla”. Poi la studiosa riporta la chiusa finale evidentemente considerandola uno dei vertici della produzione della poetessa di San Mauro: “Per te, tessitrice, scrive /con nuovi alfabeti, parole la mia/ libera mano. Nell’ansa del fiume/ che odora di viola, inascoltato/ resta il mio canto nuziale”. Il capitolo si chiude con un riferimento a uno dei testi cui eminentemente è consegnata la poetica di Pascoli, con citazione dell’incipit: “Io sono la lampada ch’arde soave”, cui fa da “controcanto” la poetessa: “Infonda la poesia amore/ e fede, sia una lampada nell’oscurità”.
Anche La porta socchiusa, libro che viene analizzato nel capitolo V, è di argomento religioso, ma con un ritorno alle sorgenti pure ed evangeliche della grotta di Betlemme. Anche questa è un’opera in cammino, “reale e fantastico ad un tempo”, osserva la studiosa torinese, che parla anche di espressione poetica immaginosa. Si riporta poi il pensiero critico di Antonio Crecchia, che accosta questa opera della Tognacci all’innologia cristiana.
Questo capitolo si chiude con una intrigante lirica, che vien riportata per intero, La profezia.
Anche ne Il prigioniero di Ushuaia (prefazione i Mario Esposito) c’è un viaggio, “all’origine di un’opera di poesia”, in Patagonia. L’autrice individua un duplice fascino
nel poemetto articolato in 20 sequenze. Uno è la bellezza di un paesaggio estremo illuminato da “una luce radiante”; l’altro è l’incanto generato dalla voce di un prigioniero della colonia penale, che ad Ushuaia è esistita veramente in passato. Un messaggio struggente, quello del prigioniero, che sembra lasciato in una bottiglia. Ma in seguito il poemetto assume una struttura dialogante; dialogo tra la poetessa e il carcerato; e i due gradatamente assumono le sembianze di elementi maturali, si sciolgono quasi in una fusione panica nel paesaggio, diventano pure voci. La strada si muta in pellegrinaggio dello spirito.
L’opera successiva è Il lago e il tempo. Anche questa merita la gloria di dare il titolo a un intero capitolo, il VII. Un’opera che si snoda senza soluzione di continuità nei due immensi calici metaforici del titolo, che si rivelano specchi, “ora luminosi ora opachi” da cui affiora il passato. Sandro Gros-Pietro e Vittoriano Esposito parlano di punto più alto quanto alla resa nella produzione letteraria di Imperia. Nei bei versi dedicati alla madre, al suo ricordo, si nota una ricerca di senso per dare esistenzialisticamente “un motivo al niente”; ricerca che trova la sua pacificazione in un approdo all’assoluto, all’infinito. Si preannunciano i lavori successivi, contraddistinti dall’ampio “respiro poematico”.
La Caracciolo ci presenta poi Il richiamo di Orfeo, un poemetto in 45 strofe, in cui si pone l’eterna domanda: qual è il ruolo della poesia? La parola richiamo infatti può avere due accezioni: il fascino e il monito ad astrarsi dalla Alltäglichkeit, dalla grigia quotidianità, simbolizzata dal giro della ruota. E la risposta non è univoca: la poesia è ponte “tra contingente e infinito, è appiglio e conforto, rinascita e trasfigurazione del vissuto”. Orfeo non si gira, la Poesia non può morire.
È il bosco a essere al centro del successivo poemetto di Imperia, Nel bosco sulle orme del pastore. Scrive Marina: “La poetessa, dopo aver percorso a ritroso il sentiero del tempo, si perde in una selva che si tramuta in una conca di memorie ‘alla presenza del cuore’. Poi appare il pastore Aristeo, che non è qui semplice trasposizione del mito, perché è tante altre cose; può addirittura apparire come il pastore errante di leopardiana memoria e porsi le stesse domande, con parole diverse: quale lo scopo/di questa moltitudine di stelle? Figura multiforme, precisa la Caracciolo, che si “pone come alter ego, come controfigura” della poetessa. In questa volontà dialogante con i personaggi del mito Imperia Tognacci sembra ripercorrere, non so se volutamente, la strada intrapresa anni addietro da Roberto Mussapi, che ridiede voce e vita ai personaggi della letteratura e, appunto, del mito.
In conclusione vengon riportate le parole di Bernardo di Clairvaux, che figurano nell’ esergo iniziale del libro: «Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà».
Nel poemetto, con prefazione del dantista Andrea Battistini e postfazione del direttore Angelo Manitta, si assiste a un altro viaggio, fino al porto di Aqaba, durante il quale “filtra un’esperienza che collega il Sé all’Uomo e alla Storia.” Ma soprattutto colpisce il fascino delle impronte della storia, sempre “vive allo sguardo degli uomini”. C’è anche una sosta a Petra, capitale del Regno dei Nabatei. Ed ecco, scrive Marina, che nella “volontà di uscire dal labirinto delle consuetudini” si insinua la nostalgia. Come la regina di Saba ritorna da Gerusalemme alla sua patria, carica di saggezza e di doni, così l’autrice di Là dove pioveva la manna ritorna alla vita di sempre e alle abitudini di ogni giorno. Il viaggio rivissuto nella “rifrazione cristallina della parola poetica” ha arricchito però la viaggiatrice di una nuova visione del mondo. Ma ormai batte alla porta del cielo una nuova alba, un nuovo cammino.
E puntualmente una nuova avventura succede: è costituita da La meta è partire, in via di pubblicazione all’epoca di composizione dell’opera della Caracciolo.
Per concludere, Marina Caracciolo dà prova, nella sua produzione saggistica, di una grande capacità di analisi dei testi e di chiara
esposizione delle tematiche che da questi emergono. Sono libri, i suoi, e questo ne è l’esempio, che si leggono sempre volentieri, perché uniscono alla dottrina una non comune affabilità dell’eloquio.
Fabio Dainotti
Marina Caracciolo, Verso lontani orizzonti. L’itinerario lirico di Imperia Tognacci, Bastogi, Roma, 2020, pagg. 80, euro 10. Il pensiero d’eternità Una pietra gettata in mare Il dente di leone che si perde In un solo soffio D’aria. E già non son più io.
Carolina Ceccarelli Quercia
Ciampino, RM
SENTIRTI AL TELEFONO
Sentirti al telefono è come se la tua voce non fosse passata nel tempo: specchio d’illusione in cui t’incontro. Hai vent’anni né affanni né fitte alle ossa. Sono onde i tuoi capelli e le labbra hanno sorrisi trascinati alla mia bocca dai flussi della brezza. All’ombra d’un carrubo ti denudi e di petali occulti il tuo pudore t’arrossa il viso la fiamma che ti arroventa gli occhi.
Gianni Rescigno
Da Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019.
SCAVO
Scavo Eterne buche E colmo il vuoto Della mia assenza. Io, Soggiogata dal tempo Espatriata in questa vita Che mi coltiva e mi lascia essiccare Io, Un pomodoro secco Un bosco estivo La distanza di un no La paura di un sì
NOSTALGIA DELLE ORIGINI
Amo il bacio dell’alba ai miei balconi forse per quel bisogno che m’induce a ritornare a limpide visioni, a purità di origine e di luce.
So che l’alba è inadatta alle passioni violente, al furto, all’omicidio truce, so che ci fa più semplici e più buoni, quasi più nuovi e indietro ci conduce
nel tempo… O dolce infanzia delle cose, quanta poesia si perde sui cammini che percorriamo poi tra lotte odiose!
Qui, tra bagni di luce mattinale m’aspetto ancor qualcosa dai bambini ma dagli uomini nulla o solo il male.
Nino Ferrù
Da Orme di viandante, Edizioni G. B. M, 1985
Presentazione, il 9 maggio 2021 a Galati Mamertino, del libro su Nino Ferraù di Francesco Spadaro: Il Poeta e la bambina, Armando Siciliano Editore.