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il payback

sto modo, molte le forniture nei confronti delle regioni sarebbero in perdita con conseguente inevitabile squilibrio economico-finanziario per le imprese e possibile fallimento di molte di esse.

Questo istituto ha effetti devastanti soprattutto sulle micro, piccole e medie imprese che rappresentano il nocciolo duro del settore nel nostro paese, costituito soprattutto da distributori nazionali di produttori internazionali. A parte le multinazionali che operano direttamente nel nostro paese e che, negli anni, hanno accumulato ingenti patrimoni e potrebbero, non senza sacrificio, eventualmente sostenere anche un prelievo coattivo come quello sopra descritto, le piccole e medie imprese non possono permetterselo soprattutto per due ordini di ragioni: (i) sono tendenzialmente meno patrimonializzate e, per stare sul mercato e/o per guadagnare quote di mercato, hanno dovuto, negli anni, praticare prezzi particolarmente competitivi che hanno garantito margini bassi che verrebbero completamente erosi dal prelievo di cui sopra; (ii) con una normativa di questo tipo non possono programmare le future attività, perché non possono sapere quale sarà, effettivamente, il margine di guadagno sulle vendite; questo pregiudica, di fatto, la possibilità di formulare offerte nelle gare pubbliche indette dalle centrali di committenza regionali e da Consip L’applicazione dell’istituto avrebbe, dunque, l’effetto di espellere dal mercato moltissime micro, piccole e medie imprese che, anche ove riuscissero a sopravvivere, certo non avrebbero interesse a continuare a rifornire in perdita gli enti del SSN. Rimarrebbero sul mercato solo le imprese di maggiori dimensioni con un drastico calo della concorrenza.

Per questo, a fine 2022, è stata costituita l’associazione PMI sanità, costituita da oltre 150 micro, piccole e medie imprese, che ha commissionato a Nomisma S.p.A. uno studio per verificare gli effetti del payback. Secondo questo studio

(https://www.nomisma.it/la-richieste-di-payback-sui-dispositivi-medici-potrebbe-mettere-a-rischio-1400-aziende/) ha evidenziato che il payback coinvolge oltre 6.000 imprese di cui il 44% circa ha meno di 10 addetti e il 70% circa ha meno di 50 addetti. Di queste, 2 imprese su 5 si troverebbero in difficoltà economico-finanziaria se dovessero pagare il payback e le imprese con almeno un fattore di criticità economico-finanziaria dopo l’applicazione del payback sono, in 3 casi su 4, con meno di 50 addetti, ossia PMI. Si tratta di società che impiegano circa 190.000 addetti e hanno versato imposte per circa 960 Mln/€ nel 2021 e 3,828 Mln/€ nel periodo 2015-2018 a cui si aggiungerebbero 704 Mln/€ chiesti con il payback per il periodo 2015-2018.

In altre e più semplici parole, molte PMI del nostro paese che ogni giorno forniscono dispositivi medici gli enti del SSN potrebbero non riuscire ad adempiere alle proprie obbligazioni e/o addirittura potrebbero diventare insolventi se le Regioni dovessero pretendere i pagamenti.

Gli effetti del payback sulla sanità pubblica

La scomparsa dal mercato delle piccole e medie imprese determinerebbe minore concorrenza e, conseguentemente, un abbassamento della qualità e un innalzamento dei prezzi.

Un effetto indiretto sarebbe, poi, l’inevitabile aumento dei prezzi dei dispositivi medici per ammortizzare il costo del payback che, giocoforza, farebbe ulteriormente aumentare l’inflazione che, in questo momento, è già a due cifre. In altre parole, è prevedibile che il costo del payback venga, poi, ribaltato dalle imprese superstiti sui prezzi delle gare a cui parteciperanno con la conseguenza che la misura, pur essendo mortifera per le PMI, si rivelerà inutile, anzi dannosa, per lo Stato stesso. Questi sono gli effetti, pressochè certi, a medio-lungo termine.

A breve termine, invece, i dati dello studio Nomisma sopra citato inducono a ritenere che la crisi di moltissime PMI determinerà forti criticità operative sul servizio svolto dagli enti del SSN che potrebbero non ricevere più tempestivamente e/o con continuità i dispositivi medici ordinati a causa delle difficoltà economico-finanziarie causate dall’applicazione dell’istituto. Molti di questi dispositivi medici sono necessari per gli interventi in sala operatoria, per l’urgenza, le diagnosi o, ancora, per le più basilari attività di assistenza clinica e terapeutica. L’eventuale assenza e/o carenza di dispositivi medici, quindi, avrebbe riflessi diretti sulla qualità del servizio e sulla possibilità stessa di continuare a curare i pazienti.

Lo stato del contenzioso, la posizione delle regioni e le possibili soluzioni

Allo stato, molte società stanno promuovendo istanze di sospensione cautelare dinanzi ai vari TAR che, quindi, dovranno decidere se accogliere le richieste di sospensiva e se sollevare la questione di legittimità costituzionale. Nelle more, la regione Sardegna e la Provincia autonoma di Trento si sono già determinate a sospendere le pretese di pagamento e pare che altre regioni stiano pensando di procedere in tal senso anche in considerazione della necessità di ricontrollare i dati sui crediti trasmessi dagli enti del SSN che, in diversi casi, pare contengano errori.

A breve termine, non c’è dubbio che la sospensione della misura potrebbe evitare conseguenze drammatiche per le imprese e il SSN e potrebbe dare al Governo la possibilità di ripensare lo strumento che, così com’è, non è utile a nessuno, neppure allo Stato che, a fronte di un incasso immediato anche se parziale, correrebbe il rischio di dover interrompere alcuni servizi anche di carattere essenziale, di subirebbe l’aumento dei prezzi nel medio-lungo periodo e un abbassamento pressoché certo della qualità delle forniture, in danno del SSR e del servizio reso ai cittadini. Dall’altro lato, in assenza di una sospensione immediata, moltissime micro, piccole e medie imprese uscirebbero dal mercato ed è lecito chiedersi quale sia la politica industriale di un Paese che costringe le sue imprese a rifornire sotto-costo o, addirittura, a chiudere con conseguenze di non poco momento anche sul fronte occupazionale.

Pur nella consapevolezza delle difficoltà connesse alla limitatezza delle risorse economiche disponibili, l’istituto andrebbe abolito del tutto.

Una possibile “soluzione ponte” per gli anni addietro, che tiene conto della limitatezza delle risorse disponibili, potrebbe essere l’istituzione di una franchigia che possa avvantaggiare tutti gli operatori del settore e mitigare quantomeno il rischio di fallimento delle micro, piccole e medie imprese e l’interruzione di servizi sanitari essenziali.

Se è necessario prevedere dei tetti di spesa, questi dovrebbero essere determinati in ragione di dati storici e di istruttorie specifiche fatte, di anno in anno, sulla base dei fabbisogni effettivi di strutture e pazienti e non arbitrariamente e in misura fissa, com’è avvenuto finora. Il superamento dei tetti di spesa, poi, non può essere certificato dopo anni e all’insaputa dei fornitori che, invece, dovrebbero essere tempestivamente edotti dello sforamento così da poter decidere consapevolmente se continuare a rifornire gli enti del SSN a prezzi ridotti.

Oltre 4.000 imprese e più di 190.000 lavoratori sono impegnati ogni giorno a contribuire al funzionamento del SSN rifornendo medici, tecnici ed infermieri del materiale necessario alla diagnosi ed alla cura dei pazienti. La maggior parte di queste imprese sono micro, piccole e medie e di queste la quasi totalità sono italiane, impiegano lavoratori italiani e pagano le tasse in Italia e non potranno più farlo se il Governo e le regioni non troveranno rapidamente soluzioni alle problematiche esposte.

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