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documentazione antimafia

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Francesca Petullà - Foro Romano

Le antiche esigenze di semplificazione che complicano la vita: il caso della documentazione antimafia

Come ormai accade da decenni, ogni tanto ed ha un contenuto vincolato, di tipo accertativo, che un Legislatore improvvisato ritiene che sia il attesta l’esistenza, o meno, di tale situazione tipizzata momento di semplificare, un refrain che ritor- nel provvedimento di prevenzione. Le comunicazioni na storicamente come un motivetto orecchiabile sempre antimafia hanno efficacia interdittiva rispetto a tutte le prima dell’estate e vede, poi, in settembre o novembre iscrizioni e ai provvedimenti autorizzatori, concessori la giusta definizione. o abilitativi per lo svolgimento di attività imprenditoAnche quest’anno a luglio abbiamo visto la nascita del riali, comunque denominati, nonché a tutte le attività decreto semplificazione convertito nella L. 11 settem- soggette a segnalazione certificata di inizio attività (c.d. bre 2020 n. 120 che, tra le tante disposizioni, accoglie s.c.i.a.) e a silenzio assenso (art. 89, comma 2, lett. a) e anche una norma relativa alla b), del d. lgs. n. 159 del 2011), e documentazione antimafia da comportano, altresì, il divieto di acquisire in sede di aggiudica- concludere contratti pubblici di zione, stipula ed esecuzione del Come prevede l’art. 86 lavori, servizi e forniture, di cotticontratto. del d. lgs. n. 159 del mo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi La documentazione antimafia 2011, le comunicazioni di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le Il sistema della documentazio- antimafia hanno validità forniture con posa in opera (art. ne antimafia, previsto dal c.d. Codice antimafia (d.lgs. n. 159 semestrale (comma 1) e 84, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 159 del 2011). del 2011) in attuazione della le informazioni antimafia L’informazione antimafia conlegge delega n. 136 del 13 agosto 2010 (art. 2), si fonda sulla hanno validità annuale siste nell’attestazione della sussistenza, o meno, di una delle distinzione tra le comunicazioni (comma 2) cause di decadenza, di sospenantimafia e le informazioni anti- sione o di divieto, di cui all’art. mafia (art. 84 del d. lgs. n. 159 67 (l’esistenza, come detto, di un del 2011), che costituiscono le provvedimento di prevenzione fondamentali misure di prevenzione amministrative definitivo), nonché nell’attestazione della sussistenza, o previste dal Codice nel libro II e tuttora confermate, nel meno, di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tenloro impianto, anche da diverse modifiche intervenute denti a condizionare le scelte o gli indirizzi della società per rendere le stesse più aderenti ad una fenomenologia o delle imprese interessate (art. 84, comma 3, del d. lgs. sempre in evoluzione. n. 159 del 2011). Pertanto, duplice il contenuto, di tipo La comunicazione antimafia fotografa, quindi, il cristal- vincolato, da un lato, e analogo a quello della comunilizzarsi di una situazione di permeabilità mafiosa conte- cazione antimafia, nella parte in cui attesta o meno l’enuta in un provvedimento giurisdizionale ormai defini- sistenza di un provvedimento definitivo di prevenzione tivo, con il quale il Tribunale ha applicato una misura personale emesso dal Tribunale, e di tipo discrezionale, prevenzione personale prevista dal Codice antimafia, dall’altro, nella parte in cui, invece, il Prefetto ritenga la

sussistenza, o meno, di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa, desumibili o dai provvedimenti e dagli elementi, tipizzati nell’art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011, o dai provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata. Se le comunicazioni antimafia si collocano nell’alveo dell’apparato normativo di stampo penale, per il loro contenuto vincolato, poiché il presupposto della loro emissione consiste nell’attestazione che a carico di determinati soggetti, individuati dall’art. 85 del d. lgs. n. 159 del 2011, non siano state emesse dal Tribunale misure di prevenzione personali definitive, le informazioni antimafia, invece, si distinguono per uno spiccato momento di autonomia valutativa da parte del Prefetto, nel soppesare il rischio di permeabilità mafiosa dell’impresa, di contenuto discrezionale, poiché ben possono prescindere dagli esiti delle indagini preliminari o dello stesso giudizio penale, che comunque la Prefettura ha il dovere di esaminare in presenza dei cc.dd. delitti spia (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011), non vincolanti per l’apprezzamento che, a fini preventivi, la Prefettura è chiamata a compiere in ordine al rischio di condizionamento mafioso. E’ inutile dire che dal 2016 si sono registrate diverse posizione dei TAR più o meno rigorosi, che hanno trovato una sintesi nella pronuncia della III sez. del Consiglio di Stato (n. 1743 del 3 maggio 2016) ove si è definitivamente affermato che l’impianto motivazionale dell’informazione antimafia deve fondarsi su una rappresentazione complessiva, imputabile all’autorità prefettizia, degli elementi di permeabilità criminale che possano influire anche indirettamente sull’attività dell’impresa, la quale si viene a trovare in una condizione di potenziale asservimento – o comunque di condizionamento – rispetto alle iniziative della criminalità organizzata di stampo mafioso.

(segue) la documentazione antimafia: la istituzione della white list

Sempre in un’ottica di accelerazione e semplificazione, il comma 52, art. 1, l. 6 novembre 2012, n. 190 ha previsto l’istituzione presso le Prefetture di un elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori pubblici non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa operanti nei settori maggiormente esposti a rischio di infiltrazione mafiosa, espressamente indicati nel successivo comma 53, vale a dire: trasporto di materiali a discarica per conto di terzi; trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi; estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti; confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume; noli a freddo di macchinari; fornitura di ferro lavorato; noli a caldo; autotrasporti per conto di terzi; guardiania dei cantieri. La disposizione in parola non prevedeva però alcun obbligo di utilizzare i predetti elenchi ai fini delle verifiche antimafia, necessarie per l’affidamento delle attività sopra indicate, conseguentemente, il d.p.c.m. 18 aprile 2013, all’art. 2, comma 2 ha riconosciuto carattere volontario all’iscrizione de qua, in considerazione dell’originaria formulazione del citato comma 52 (11). Successivamente, la predetta norma è stata modificata dall’art. 29, comma 1, d.l. 90/2014, convertito dalla l. 114/2014, il quale dispone che per le attività imprenditoriali di cui al comma 53 la comunicazione e l’informazione antimafia liberatoria, da ottenere indipendentemente dalle soglie stabilite dal d.lgs.159/2011, è obbligatoriamente acquisita attraverso la consultazione, anche in via telematica, di apposito elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti nei medesimi settori. L’iscrizione nell’elenco tiene luogo della comunicazione e dell’informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali essa è stata disposta. La Prefettura effettua verifiche periodiche circa la perdurante insussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa e, in caso di esito negativo, dispone la cancellazione dell’impresa dall’elenco.

La banca dati nazionale unica della documentazione amministrativa

Sempre in un’ottica di semplificazione e razionalizzazione, è stata istituita in attuazione dell’art. 2 della legge delega (L. n. 136 del 13 agosto 2010), la Banca dati nazionale unica della documentazione amministrativa (art. 98, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011), ora operativa, peraltro, per effetto dell’adozione del d.P.C.M. n. 193 del 2014. La Banca dati nazionale, consente all’autorità prefettizia «di avere una cognizione ad ampio spettro e aggiornata della posizione antimafia di una impresa» e di potere venire a conoscenza, nella consultazione della Banca dati per il rilascio della comunicazione, di ulteriori elementi che la inducano a più seri approfondimenti circa la possibile permeabilità mafiosa dell’impresa e al rilascio di una informazione antimafia. Va qui ricordato, peraltro, che il sistema della documentazione antimafia rafforzato dall’istituzione della Banca

dati, per sua stessa struttura mutevole nel tempo, è soggetto a costante aggiornamento (art. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011) perché, come prevede l’art. 86 del d. lgs. n. 159 del 2011, le comunicazioni antimafia hanno validità semestrale (comma 1) e le informazioni antimafia hanno validità annuale (comma 2). Al riguardo il Consiglio di Stato, nella sua più recente giurisprudenza, ha chiarito che la validità annuale dell’informazione antimafia, che va richiesta da ogni singola amministrazione in ogni singolo procedimento per il quale è prevista e deve essere rinnovata di volta in volta dalla Prefettura per ogni singolo procedimento, deve intendersi riferita al valore legale del documento antimafia, che comunque mantiene i propri effetti interdittivi per una durata annuale, e non già per gli elementi indiziari posti a base dell’informativa, che non “scadono”, come è ovvio, né perdono la loro valenza sintomatica solo per il decorso del termine annuale, sicché ben potrà la Prefettura, ove richiesta dall’amministrazione interessata, emettere una nuova informativa, decorso l’anno, sulla base degli stessi elementi già posti a fondamento della precedente e purché non ne sopraggiungano di nuovi che elidano l’efficacia indiziante degli elementi pregressi.

La informativa liberatoria provvisoria: come superare i termini di rilascio ipotecando di tempi di esecuzione

Ed ecco l’arrivo dell’’articolo 3 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 conv. in L.120/2020, che introduce in chiave derogatoria sino a dicembre 2021 una disciplina dei controlli eseguiti dalle Pa sulle imprese affidatarie dei contratti pubblici semplificata. Dal 17 luglio 2020, ricorre in via sistematica, ma possiamo dire anche in via ordinamentale il presupposto dell’urgenza per l’acquisizione della documentazione antimafia, e potrà essere consentita l’erogazione di benefici economici, comunque denominati, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e pagamenti da parte di Pubbliche amministrazioni, anche se il rilascio di tale documentazione non dovesse essere immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale antimafia. Questa documentazione sarà comunque rilasciata dalla banca dati antimafia, mediante una interrogazione che prescinde dal completamento delle verifiche prefettizie (pari a 30 giorni nell’ipotesi della comunicazione antimafia, e a 30 o 45 giorni - a seconda dei casi - in quello dell’informazione antimafia), anche quando - ed è questa, probabilmente, la vera novità - il soggetto risulti non censito. Ottenuta, si potrà procedere con la stipula del contratto, sotto condizione risolutiva, come avviene di norma, alla scadenza dei termini concessi al Prefetto per i controlli, che dovranno in ogni caso questa volta essere effettuati entro 60 giorni; e, al pari di quanto accadeva sino ad oggi, nel caso in cui dovesse essere accertata una causa ostativa alla stipula, la stessa Pa dovrà recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento delle prestazioni già eseguite (anche se la norma si riferisca alle sole “opere”, come nel Codice antimafia) e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. Naturalmente, il recesso potrà essere evitato se, e solo se, l’opera è in corso di ultimazione o se si tratta di forniture o servizi ritenuti essenziali per il perseguimento dell’interesse pubblico e il prestatore non sia sostituibile in tempi rapidi, come previsto dall’articolo 94, commi 3 e 4, del Dlgs. n. 159/2011 e dall’articolo 32, comma 10, del decreto-legge n. 32/2014. Tale precisazione è quanto mai opportuna, sotto il profilo sistematico, in quanto consente di evitare il sorgere di problematiche interpretative e applicative dovute al mancato coordinamento fra le diverse normative di settore, che invece si sono poste a seguito di precedenti interventi legislativi (basti pensare al rapporto fra la misura del controllo giudiziario delle attività economiche e delle aziende di cui all’art. 34 bis, d.lgs. n. 159 del 2011, inserito nel codice antimafia dalla l. n. 161 del 2017 e quella del commissariamento per finalità antimafia di cui al citato art. 32, del decreto «anticorruzione»). Inoltre, anche dal punto di vista delle finalità perseguite, la prosecuzione dei contratti in essere in regime controllato, e quindi la definitiva esecuzione delle prestazioni e opere appaltate, in luogo dello scioglimento dei vincoli negoziali, appare in linea con le esigenze di «accelerazione degli investimenti e delle infrastrutture», pur sempre «senza pregiudizio per i presidi di legalità» (cfr. premesse al d.l. 76 del 2020), poste alla base del decreto «semplificazioni», poiché fa sì che venga allontanato il rischio dell’avvio di nuove procedure ad evidenza pubblica. Tuttavia, la portata della misura acceleratoria viene ridimensionata perché comunque sempre 60 giorni occorre attendere per la conferma di quanto la interrogazione da come risposta. Ed ancora, la liberatoria non potrà essere rilasciata all’istante, quando la banca dati rilevi, a carico del soggetto sottoposto a verifica, misure di prevenzione (anche solo proposte), o tentativi di infiltrazione mafiosa desumibili dalle situazioni indicate dall’articolo 84, comma 4, lettere a), b) e c), del Codice antimafia (applicazione di una misura cautelare o presenza di sentenze di condanna, anche non definitive, per turbata libertà degli incanti o del procedimento di scelta del contraente, intermediazio-

ne illecita e sfruttamento del lavoro, estorsione, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, usura, riciclaggio, impiego di denaro, di beni o di utilità di provenienza illecita, associazione per delinquere e trasferimento fraudolento ed ingiustificato di valori, oppure - ancora - omessa denuncia di fatti di concussione o estorsione). E quindi, in tali circostanze occorrerà attendere gli accertamenti prefettizi del caso, secondo le regole tradizionali contenute negli articoli 88, comma 2, e 92, comma 2, del Codice antimafia.

Le criticità rilevabili

La disposizione da apprezzarsi per il tentativo e lo sforzo profuso nell’adozione, comunque non sfugge da immediati rilievi per alcune criticità. In primo luogo, da un punto di vista sistematico occorre tener presente il disposto dell’articolo 2 del decreto, che, per l’affidamento degli appalti sopra-soglia, consente alle amministrazioni di discostarsi dalle regole procedurali ordinarie, “fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”. Ma, le misure di semplificazione per il rilascio della documentazione antimafia non sono state inserite nel Codice appalti a causa della loro efficacia limitata nel tempo; e quindi, come da prassi legislativa oramai consolidata, sono entrate a far parte di quel mondo giuridico- ordinamentale parallelo rispetto ai testi delle discipline di riferimento. In considerazione di questo dato oggettivo, sarebbe stato più corretto prescrivere che “le deroghe al Codice dei contratti sono ammesse a condizione che vengano comunque rispettate la disciplina antimafia e le relative semplificazioni previste anche dal Dl n. 76/2020.” In secondo luogo, il termine “informativa” sembra, infatti, richiamare alla mente la sola ipotesi della informativa antimafia, vale a dire della documentazione che deve esser richiesta dalle stazioni appaltanti prima della stipula dei contratti di appalto sopra-soglia Ue e dell’autorizzazione dei subappalti di importo superiore a 150 mila euro. Se così fosse, resterebbe escluso dall’ambito di applicazione di tale agevolazione la diversa ipotesi della comunicazione antimafia, richiesta, invece, per la stipula dei contratti di appalto sotto-soglia Ue. Al di là del dato formale, ragioni sistematiche fanno però propendere per una interpretazione che, in realtà, intende riferirsi ad entrambe le tipologie di documentazione, soprattutto se si considera che nel decreto si dà ampio risalto alla semplificazione per gli affidamenti sottosoglia. Un’ulteriore criticità è rappresentata dalle modalità di rilascio della informativa liberatoria provvisoria, attraverso la banca dati nazionale unica antimafia, salvo poi rinviare anche a “tutte le ulteriori banche dati disponibili”, ma al di là del fatto che non sono state indicate, ma quali sono le altre banche dati? AVCPASS non può esser perché sappiamo tutti che uno strumento di comunicazione attraverso il quale vengono richiesti e ottenuti certificati e documentazioni ivi rubricati, e tra questi non vi è la certificazione antimafia; la Banca dati degli operatori economici di cui all’art. 86 del Codice non è stata attivata e quindi certo non può riferirsi a questa. Ma al di là di ciò non si comprende dove sia la semplificazione atteso che comunque anche se nell’immediato possiamo ricevere una risposta sempre 60 giorni occorre aspettare per la diciamo cd conferma a fronte dei 45 gg precedenti. Sulla carta. in realtà tutti noi operatori sappiamo che i tempi di rilascio delle documentazioni antimafia certo non brillano per tempistica e, quindi siccome gli strumenti operativi sono gli stessi, sorge il dubbio che non vi sarà una celerità nella definizione della stipulazione del contratto efficace in tutte le sue parti.

I protocolli di legalità: il principio di proporzionalità imposto dalla Corte di Giustizia

Infine, l’ultimo comma dell’articolo 3 del decreto Semplificazioni è dedicato ad una modifica diretta del Codice antimafia e vede l’introduzione dell’articolo 83-bis. Nonostante la sua collocazione all’interno decreto, la norma appare però di dubbia semplificazione, dal momento che si limita di fatto a riprendere contenuti già noti e conosciuti perché già presenti anche se in diversi testi normativi nell’ordinamento. Bello strumento di condivisione di finalità importantissima, ma di scarsa utilità pratica perché nel concreto in fase di esecuzione non vi è alcun momento di verifica contrattuale sul rispetto di quanto ivi prescritto. Si riconosce, pure, la possibilità al Ministero dell’interno di sottoscrivere protocolli (o altre intese, comunque denominate) per prevenire e contrastare i fenomeni di criminalità organizzata “anche allo scopo di estendere convenzionalmente il ricorso alla documentazione antimafia”. La vera novità è data dalla possibilità che tali accordi possano essere siglati anche con imprese di rilevanza strategica per l’economia nazionale, e con le associazioni delle categorie produttive, economiche o imprenditoriali, maggiormente rappresentative a livello nazionale; in detti accordi poi, si prevede che gli stessi accordi possano determinare le soglie di valore oltre le quali è prevista l’attivazione degli obblighi fissati dal proto-

collo, e quindi - in tal senso - eventualmente fissare regole antimafia più stringenti, pur non avendo la forza propria di una legge. La prima di queste due previsioni è probabilmente la immediata risposta alla sentenza della Terza Sezione del Consiglio di Stato 20 gennaio 2020, n. 452, con cui è stato affermato che è illegittima l’acquisizione - prevista da un protocollo di legalità - di una informativa antimafia da parte di un soggetto privato. A seguire, gli ulteriori due commi dell’articolo 83-bis si limitano a riportare, entro i confini del Dlgs. n. 159/2011, disposizioni - di contenuto analogo - presenti in altre fonti di legge: da un lato, si ribadisce infatti che l’iscrizione sia nelle white-list (articolo 1, comma 52, della legge n. 190/2012, e articolo 7, Dpcm 24 novembre 2016), sia nell’anagrafe antimafia degli esecutori istituita nell’ambito della ricostruzione post sisma del 2016 (articolo 30, comma 10, del d.l. n. 189/2016, conv. dalla legge n. 229/2016) equivale al rilascio dell’informazione antimafia. Stessa disposizione del comma 17 dell’articolo 1 della legge anticorruzione, è infine, il terzo ed ultimo comma dell’articolo 83-bis del Codice antimafia, che altro non fa se non ripetersi nei seguenti termini: “Le stazioni appaltanti prevedono negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto dei protocolli di legalità costituisce causa di esclusione dalla gara o di risoluzione del contratto”. Al riguardo la Corte di Giustizia, sez. X, 22 ottobre 2015, in C-425/14, con una pronuncia relativa proprio alla previsione dei cc.dd. Protocolli di legalità, ha affermato che «va riconosciuto agli Stati membri un certo potere discrezionale nell’adozione delle misure destinate a garantire il rispetto del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di trasparenza, i quali si impongono alle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure di aggiudicazione di un appalto pubblico», perché «il singolo Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazione di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni

favorevoli. alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni del rispetto del principio e dell’obbligo summenzionati». Di fatto è innegabile che l’utilizzazione della legislazione antimafia, anche in funzione di contrasto alla corruzione che inscindibilmente si lega anche alle infiltrazioni mafiose, ha portato all’affermazione e riconoscimento legislativo dei protocolli o patti di legalità, nell’art. 1, comma 17, della L. n. 190 del 2012, e alla consacrazione della loro (eventuale) efficacia espulsiva, se prevista dalla lex specialis, nell’ipotesi del loro mancato rispetto. La Corte di Giustizia, però, ha rilevato un limite alla loro operatività e, cioè, la loro soggezione al principio di proporzionalità, sicché gli impegni assunti e le dichiarazioni contenute nei protocolli non possono oltrepassare i limiti di ciò che è necessario al fine di salvaguardare i principî di concorrenza, parità di trattamento e di non discriminazione, nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva. Anche il Consiglio di Stato sin dalla sentenza della IV sezione, 20 gennaio 2015, n. 143, ha negato, sulla scorta di diversi argomenti di carattere letterale e sistematico, che vi fossero elementi tali per ritenere violato, da parte dell’aggiudicatario ( la vicenda riguardava il caso Expo) il protocollo di legalità, e ciò in ragione anche del fatto che nessuna violazione emerse né fu accertata durante la fase selettiva, essendo le notizie delle indagini penali e gli arresti di molto successivi all’aggiudicazione ed alla stessa stipulazione del contratto d’appalto.

Conclusione

Un breve riflessione finale: la semplificazione in una materia quale quella antimafia non deve esser ricercata a scapito della legalità. Il prevedere che comunque si pagherà quanto eseguito a soggetto che poi risulta coinvolto, forse è un elemento che per ns fortuna e soprattutto per la bravura degli inquirenti troverà scarta applicazione, ma di fatto espone un soggetto cioè il Rup che quel contratto ha avviato. Su questo una riflessione in più andrebbe fatta.

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