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BLOOMING GROUP SPECIALISTI NEL FOOD

La realtà torinese, 35 locali in portafoglio, vuole crescere ancora al Nord, forte degli accordi con marchi quali Burger King, Alice Pizza, Rossopomodoro. Gli investitori ci sono. “E anche la strategia: quella di una progressione ragionata” racconta il Ceo Davide Canavesio

L’autostrada A4 segna da sempre la dorsale principale dell’industria italiana. Proprio lungo questa direttrice, dal Piemonte al Veneto, passando per la Lombardia, si sta sviluppando l’avventura di Blooming Group, gruppo specializzato nella gestione di locali food&beverage, che oggi ha in portafoglio 35 punti vendita. Nato nel 2017 con la creazione di Bkno, la società si è “fatta le ossa” come franchisee di Burger King. A fine 2022 ha acquisito il concorrente Arlica Food che ha portato in dote altri 9 fast food del brand. Così il numero dei Burger King è salito a quota 18, attestando la società come principale franchisee, per numero di locali, in Italia. A questi si aggiungono anche gli 8 ristoranti in gestione, sui circa quaranta del brand, di BEFED, la catena del galletto di Gianpietro D’Adda.

Gli ultimi mesi hanno segnato invece l’esordio nel segmento “pizza”. A dicembre è arrivato un accordo con Alice Pizza, che prevede un piano di 6 nuove aperture in due anni fra Torino e il Piemonte. Il primo store è già realtà. Inoltre, è stata avviata anche una collaborazione con

Rossopomodoro, che per ora ha preso la forma di un primo ristorante, aperto al centro commerciale I Viali di Nichelino, nella prima cintura di Torino. Blooming gestisce anche marchi retail come Il Barbiere e marchi propri, a valenza locale, com Lab, Il Barotto e Gallo’s. A livello di capitale, il 51% è in mano all’attuale amministratore, Davide Canavesio, classe 1971, manager e imprenditore, che vanta un lungo passato nel settore automotive, alcuni anni da presidente dei giovani imprenditori torinesi di Confindustria e un’ottima serie di relazioni nel tessuto economico locale, dove spicca la presenza nel Cda di Fondazione CRT. Fanno parte dell’avventura anche il vicepresidente esecutivo Maurizio Cimmino (che in epoca pre-Covid dirigeva la principale società italiana organizzatrice di eventi di street food), la vicepresidente Barbara Graffino, che è anche Ceo di Talent

Garden Fondazione Agnelli e dei Giovani imprenditori in seno all’Unione industriale torinese, più un gruppo di soci istituzionali e colleghi imprenditori. “Una compagine che ha deciso di investire in Blooming con un orizzonte temporale di dieci anni. Un’eccezione, nel panorama di oggi, e una grande manifestazione di fiducia” racconta Davide Canavesio in questa intervista a retail&food.

Tiriamo le somme del 2022. Come si è chiuso il bilancio?

In crescita, anche grazie alle acquisizioni. Il bilancio definitivo registrerà ricavi sopra i 30 milioni di euro.

I brand della ristorazione che avete in gestione rientrano nella categoria “fast casual dining”. Rossopomodoro fa un po’ eccezione. Qual è la vostra strategia complessiva?

Come gruppo, abbiamo consolidato l’esperienza grazie a Burger King, quindi è naturale che siamo specializzati su quel tipo di offerta. Questo, oggi, è un filone molto promettente. Ormai, agli occhi dei consumatori, l’offerta a prezzo contenuto non si traduce in minore qualità. Tanti brand di questo segmento, non solo i nostri, non vengono più identificati con il “junk food”. E anzi, io parlerei di “accessible food”. Questo tipo di proposta una volta catturava solo i giovani, adesso anche le famiglie e persino i lavoratori in pausa pranzo. Dunque, anche per noi imprenditori è una scelta vincente. Rossopomodoro, in effetti, è un discorso a parte, non siamo più nel “fast”. Per noi è l’esordio in un segmento nuovo. È una sfida che vogliamo affrontare, con un pizzico di prudenza.

Quante saranno le nuove aperture nel corso del 2023 e dove si concentreranno?

Cerchiamo una crescita ragionata. Dunque, con cinque nuove aperture nel 2023 saremmo soddisfatti. Per quanto riguarda le aree geografiche e i canali di vendita, di sicuro privilegiamo quelli con alta densità di persone. C’è ancora spazio per crescere proprio nel bacino che corre lungo la A4, magari verso est, non per forza in Piemonte. Siamo basati a Torino, ma in realtà nella regione sviluppiamo meno del 50% dei volumi. Potremo considerare altre province, oltre al capoluogo, ma non vogliamo pestare i piedi a operatori già affermati.

Gestite sempre direttamente i punti vendita o vi affidate a subaffiliati? E rispetto ai canali di vendita?

No, nessuna affiliazione. Siamo noi a gestire e questo è un punto qualificante nel nostro rapporto con i brand.

Nei vostri ristoranti lavorano centinaia di persone. Qual è il suo giudizio sul tema del difficile reperimento del personale nella ristorazione?

Non abbiamo una predilezione univoca, vagliamo le scelte di volta in volta, anche perché oggi in portafoglio abbiamo di tutto, compreso il “drive”. Possiamo dire che il centro commerciale è interessante, perché consente di rapportarsi con interlocutori professionali. Allo stesso modo, il travel offre ottime potenzialità, ma è un canale più complicato in cui entrare vista la presenza di grandi operatori consolidati.

Che ruolo riveste, invece, il delivery?

Prima del Covid pesava meno, sia come ricavi sia come fee da riconoscere alle piattaforme. Oggi la domanda è cambiata e non si tornerà più indietro. Il cibo a domicilio, quindi, è uno dei vari canali di vendita che occorre proporre ai clienti.

È importante, comunque, avere sempre un equilibrio nel portafoglio dei punti vendita. Alcuni ristoranti gestiti da Blooming arrivano addirittura a generare il 50% dei ricavi dalle app, in altri casi siamo prossimi allo zero. Dipende dalla zona.

Di sicuro è un problema presente, acuito dalla pandemia e dal reddito di cittadinanza che ha creato illusioni eccessive. Noi non usiamo il contratto di somministrazione, solo assunzioni regolari inizialmente a tempo determinato. Nonostante questo, succede spesso che ai colloqui si presenti meno della metà delle risorse interpellate. Riuscire ad aumentare la retribuzione media, nei contratti, sarebbe senz’altro d’aiuto. Ma le imprese dovrebbero fare lo sforzo di raccontare meglio queste professioni per renderle appetibili. Bisognerebbe che nella comunicazione trasparisse la serietà della ristorazione organizzata e, di contro, che si parlasse un po’ meno di cibo solo in relazione a Masterchef o simili. In Blooming lavorano tanti ragazzi che hanno iniziato semplicemente nello staff e poi sono diventati store manager, un ruolo importante che prevede anche la gestione economica, altri si sono trasformati in area manager. Questo è un percorso che, una volta acquisite le competenze sul campo, consente anche di sganciarsi per andare a sviluppare una propria idea imprenditoriale. Nonostante l’incertezza della congiuntura, in prospettiva il food e il retail restano settori con un enorme potenziale.

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