2 minute read
GHOST KITCHEN DELLA DISCORDIA: IL VERO NODO SONO I REGOLAMENTI
from retail&food 03 2023
by Edifis
Da Amsterdam a Parigi fino a Barcellona, tante amministrazioni cercano di limitare cucine e magazzini al servizio del delivery. Anche in Italia sarebbe opportuno intervenire in tempo
L’ultima, in ordine di tempo, sembra sia stata la municipalità di Barcellona. Secondo una delibera da poco approvata, le ghost kitchen, quelle che riforniscono soltanto il mercato del food delivery, potranno essere utilizzate solo in contesti suburbani industriali, ma non in centro città o in zone caratterizzate da attività famigliari o tipiche. Allo stesso modo, l’amministrazione ha bandito del tutto i “dark store”, ufficialmente per “non danneggiare i negozi di quartieri e non peggiorare la qualità della vita dei residenti”. Questi magazzini, su cui si appoggiano i servizi di recapito della spesa di operatori come Glovo o Getir, andranno riconvertiti in normali mini market oppure in magazzini all’ingrosso, ma senza collegamento al delivery. L’anno scorso, invece, si era mossa Madrid, con un provvedimento per limitare la superficie delle dark kitchen a 350 metri quadrati al massimo e con l’obbligo, per i locali, di approntare uno spazio interno in cui i rider sostano per aspettare gli ordini. In Francia, già dalla scorsa estate, il dibattito aveva assunto una dimensione nazionale, per via di un disegno di legge che avrebbe equiparato queste attività a quelle “commerciali al dettaglio”, invece che all’ingrosso, di fatto legalizzandone l’espansione. Un disegno cui si erano opposti tanti Comuni, tra cui Parigi, che nel frattempo aveva ordinato la chiusura di oltre 40 di queste cucine, proprio perché installate in zone in cui non era permesso aprire attività all’ingrosso. Sul finire del 2022, a Madrid, la polemica aveva riguardato addirittura lo chef stellato Dani Garcia, reo di aver aperto una dark kitchen registrata in camera di commercio come “Laboratorio artigianale per realizzare modelli di opere 3D”. Le stesse critiche stanno raccogliendo i dark store, ossia quei magazzini che non fanno vendita al dettaglio, ma servono per rifornire il delivery della spesa degli operatori come Getir. Ma qual è il vero nodo della discordia? solo gruppi di rider in attesa, che non arricchiscono niente, questo va detto con onestà”. Ma il problema principale riguarda controlli e regolamenti. “Una normale attività di ristorazione riceve continui controlli, a partire dalla Haccp sulla salubrità degli alimenti. Queste cucine, invece, non sono ancora inquadrate in modo univoco, sfuggono proprio alle categorie e quasi mai sono controllate. Ci sono tanti operatori seri, ma a un occhio esperto molti di questi luoghi sono inguardabili, lavorano senza il rispetto minimo delle procedure”. In Francia, qualche inchiesta aveva “beccato” alcuni addetti delle cucine a gettare nella spazzatura normale persino gli oli esausti. Le questioni relative alla qualità, poi, coinvolgono nel concreto anche i consumatori. “Infatti, non basta che un determinato brand pubblicizzi l’hamburger con carne di chianina sulla app. Chi verifica la tracciabilità della materia prima?”.
“Dal punto di vista linguistico, si fa un po’ di confusione tra cloud, ghost e dark kitchen. Ad ogni modo, il tema presenta almeno due aspetti” ragiona Michele Ardoni, fondatore di Dynamic Food Brands, impegnato a sviluppare un’idea evoluta di cucine collegate al delivery (Sciallami). “Da un lato, la situazione del contesto urbano è un problema. Un bel negozio porta footfall e aumenta la qualità di una strada. Una cucina virtuale porta
Sul mercato italiano, queste attività muovono volumi ancora relativamente bassi. Eppure, il trend è in aumento, anche perché sono le società di delivery a spingerlo. Le ghost kitchen, rispetto a un ristoratore tradizionale, sono in genere più performanti e condividono con le app quella che è la miniera d’oro di oggi, ossia i dati su consumo, preferenze e abitudini del cliente. Una regolamentazione seria del settore, sottoposto così a regole e controlli, porterebbe senz’altro a un aumento dei costi per le società e di conseguenza una crescita dei prezzi finali al consumatore. Ma come in tanti altri settori, il prezzo maggiorato è, o almeno dovrebbe essere, una tutela in più sul prodotto che si riceve a casa.