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NELLA GDO CRESCE IL NERVOSISMO TRA LE INSEGNE
from retail&food 03 2023
by Edifis
Basta girare per i negozi della GDO per capire che alcune insegne stanno perdendo quel minimo di lucidità necessaria per affrontare un contesto inflativo di media/lunga durata dotandosi di strumenti adeguati. Per il momento, i fatturati gonfiati dall’inflazione reggono il confronto sull’anno precedente. Sempre meno i volumi. Lo si capisce dalle polemiche con i fornitori, dalla promozioni sempre più azzardate, dall’affanno dei fine mese. Dai confronti anno su anno.
L’inflazione cambia tutto lo scenario
Il cliente viene vellicato blandendolo con lo stagionato “vieni da noi che trovi il bianco che più bianco non si può” del famoso Dash della Procter & Gamble. Ma mentre il Dash è passato dal fustino al liquido fino al monodose di oggi, in molti nella GDO sono rimasti inchiodati all’idea che l’avversario sia solo e soltanto l’insegna concorrente. E la si batta sul prezzo. Pochi comprendono che, con l’inflazione, il vero “nemico” da affrontare è il contesto complessivo che dipende dalla struttura dei costi dell’impresa a monte e a valle, dalle sue dinamiche e dal peso politico e organizzativo che il settore nel suo complesso ha nei confronti di chi quei costi li determina o li governa. Senza questo approccio la semplice leva del prezzo più basso comprime solo i margini. Ed è una spirale difficile da fermare. E senza sottovalutare che i consumatori, estremamente sensibili di questi tempi, sono sempre più indotti a pensare che il prodotto, quando non è in promozione, ha un prezzo ingiustificato. Soprattutto i clienti più importanti, quelli che acquistano abitualmente quel prodotto. E questo spinge al nomadismo di insegna. In tempi di inflazione il consumatore controlla più di altri momenti il prezzo di ciò che acquista abitualmente. E collega promozioni e responsabilità degli aumenti all’insegna che li propone. Non all’azienda titolare del prodotto. Certo ci sono sempre i clienti spot che inseguono la promozione da “volantino”. Oggi ci sono poi le app tipo doveconviene.it o volantinofacile.it o promoqui. it che forniscono un quadro delle promozioni come mai in passato. Ma questi clienti difficilmente riacquistano lo stesso prodotto a prezzo pieno. In realtà l’abuso delle promozioni genera un circolo vizioso da cui è difficile uscire. Soprattutto in tempi di inflazione. Prima o poi ci sarà un competitor che applicherà al prodotto un prezzo più basso rispetto agli altri e si ritorna tutti al via come in un eterno gioco dell’oca.
Caroprezzi reale più forte delle statistiche
La domanda che molti manager si pongono è se esistono nella GDO margini a sufficienza per sostenere una deriva di questo tipo e per quanto tempo. Intanto il consumatore si sente preso in giro e rischia di non fidarsi più di nessuno. L’inflazione poi non colpisce tutti allo stesso modo. Non servono le statistiche per capirlo. Charles Bukowski spiega che “un uomo con la testa nel forno acceso e i piedi nel congelatore statisticamente ha una temperatura media”. Lo stesso vale per l’inflazione. Moneyfarm ha utilizzato l’indicatore di “inflazione effettiva” per comprendere meglio il peso sulle famiglie italiane. Con il supporto di Smileconomy, società indipendente specializzata in educazione finanziaria, ha calcolato che a dicembre 2022 l’inflazione misurata da ISTAT ha segnato +11,6% rispetto al dicembre 2021, ma per i profili tracciati l’inflazione effettiva va dall’11,5% al 18,3%, poiché i consumi concreti delle famiglie esaminate superano l’inflazione media del paniere ISTAT. In termini assoluti emerge che l’inflazione costa alle famiglie da 188 a 363 euro in più al mese, che, su base annua, significa tra i 2.000 e i 4.000 euro in più.
Ognuno, famiglia o singolo, quindi ha le sue abitudini di consumo, il suo stile di vita e quindi la sua inflazione. Le famiglie che concentrano la maggior parte delle proprie spese sui beni e sui servizi più irrinunciabili, come l’energia e i prodotti alimentari, subiscono inevitabilmente un’inflazione più alta delle famiglie che possono permettersi di diversificare maggiormente i propri acquisti. A questo va aggiunto il differente peso inflativo tra le grandi città e i piccoli centri. Le insegne che prima taravano i loro listini su un mix consolidato e conosciuto si trovano a dover fare i conti anche con la particolare tipologia di consumatori che entrano nei loro punti vendita che oggi hanno una possibilità di spesa differenti alterate significativamente dall’inflazione. Sia in termini reali che di aspettativa. Non è un caso che i discount, appena si è avuto chiaro il problema, hanno potuto adeguare subito in parte i loro listini, mentre la GDO tradizionale indugiava proprio per gestire la differente percezione da parte del consumatore tra le diverse insegne. Ma oggi quel margine si è ridotto. È vero che il prezzo di un prodotto considera costi, consumatori, competitor e obiettivi dell’azienda ma se l’inflazione cambia le carte in gioco per uno o più fattori in campo il rischio è che inseguirsi con un ribasso estemporaneo fa solo perdere la percezione del valore dei prodotti ai propri clienti. E come conseguenza la stessa credibilità dell’insegna. Che fare quindi? legali e di compliance. Per questo, auspico che la mia precedente esperienza in-house possa rendere lo studio ancora più attrattivo e rispondente alle esigenze delle aziende che cercano una consulenza.
Con l’inflazione elevata e la crescita debole è molto probabile che nel 2023 la spesa per i consumi ristagni, per poi riprendere (forse) a crescere nel 2024. Se l’inflazione manterrà i suoi effetti negativi pur differenziati per reddito più che interventi generalizzati sul cuneo fiscale occorre innanzitutto sostenere i redditi bassi. Un’altra operazione potrebbe riguardare il rinnovo dei contratti di lavoro alleggerendone il peso fiscale e contributivo (almeno nelle tranche 2023 per evitare ricadute sul salario differito). Sul taglio dell’IVA ci sono diverse teorie. Un esempio su tutti in Danimarca. Coop 365discount, che fa parte di Coop Denmark, ha abbassato i prezzi dell’ortofrutta dell’equivalente dell’IVA, che in quel Paese è del 25%. Allo stesso tempo ha avviato una petizione tra i danesi per proporre livelli di IVA differenziati. Nel periodo della riduzione, le vendite di ortaggi sono aumentate del 44% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, mentre le vendite di frutta sono aumentate del 23%. Da noi la critica è che se si dovesse abbassare l’IVA oltre a minori entrate per lo Stato il beneficio non sarebbe limitato ai meno abbienti. Infine si potrebbe concordare un sostegno alle politiche già in essere in molte insegne GDO su panieri specifici valorizzando determinati prodotti nazionali attraverso accordi di filiera. E alleggerire i costi dell’energia se i costi dovessero risalire. Per fare questo è fondamentale un percorso comune tra governo, agro-industria e distribuzione. Credo che i tempi siano maturi.
Quali sono, oggi, gli aspetti che possono creare le maggiori criticità nelle partnership in ambito food&retail?
La consulenza è fondamentale per fare in modo che tenant e brand siano allineati. Ad esempio, in ambito real estate è cruciale la fluidità e rapidità nell’approvazione di un’apertura. Quando i processi non sono reattivi, si finisce per avvantaggiare concorrenti più snelli e dinamici. Anche su questo iter servono clausole ad hoc. Un altro aspetto sensibile, nel contesto di oggi, riguarda le cosiddette “green clause” nei contratti di locazione o affitto d’azienda con centri commerciali o fondi immobiliari. Questi elementi, quando impongono obblighi non bilanciati di compliance ESG in capo a chi occupa un punto vendita, possono costituire un costo nascosto, spesso sottovalutato dai tenant.